Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. DL353/2003 (conv. In L. 2702/2004 n. 46) art. 1 comm. 1 AUT. GIPA/C/PD/29/2011. In caso di mancato recapito rinviare a CMP Padova per la restituzione al mittente previo pagamento resi
O r g a n o u f f i c i a l e d e l l’ UNI TAL S I • B i m e s t r a l e n ° 2 - m a r / a p r 2
­­ 0 1 5
Dossier Salute
Dono per la salvezza
Sommario
Editoriale
D ossier Salute
2-5
IL PAPA
A TUTTO CAMPO
A. Metalli
20-21
Riflessione
SUPERARE
CON LA FEDE
MALATTIA
E DOLORE
don D. Priori
26
pupi avati
racconta
C. De Carli
22
IL PRETE
‘GAUCHO’
riforma
del CODICE
DELLA STRADA
M. Giuliano
18
INTERVISTA
AL CARD.
BASSETTI
28-29
Bioetica
confronto
con i nuovi
diritti
A. M. Cosentino
di
Card. Angelo Bagnasco,
Card. Dionigi Tettamanzi,
On. Beatrice Lorenzin,
Carmine Arice,
Federico Baiocco,
Augusto Chendi,
Alessandro De Franciscis,
Miela Fagiolo D’Attilia,
Fabrizio Noli
Marco Tampellini
23
19
OBIETTIVO
SARAJEVO
LA GROTTA
TORNA
AI PELLEGRINI
G. Pepe
Editore:
U.N.I.T.A.L.S.I.
(Unione Nazionale
Italiana Trasporto
Ammalati a Lourdes
e Santuari Internazionali)
ALLA RICERCA
DELLA DIGNITà
è L’ORA
DEL 5X1000
6-17
Caporedattore:
Massimiliano Fiore
30-31
25
Dono
per la salvezza
Direttore responsabile:
Filippo Anastasi
27
32
Leggere
card. comastri
e aldo M. valli
Redazione:
Fraternità, organo ufficiale
dell’Associazione
è iscritta al Roc n. 2397
c/o Presidenza Nazionale
UNITALSI in Via della
Pigna 13/A
00186 Roma
Tel. 06.6797236-int 222,
fax 06.6781421,
[email protected]
c/c postale n° 10274009
intestato a UNITALSI
via della Pigna
13/A - 00186 RM
Hanno collaborato:
Card. Angelo Bagnasco,
Card. Dionigi Tettamanzi,
Mons. Luigi Marrucci,
On. Beatrice Lorenzin,
Carmine Arice,
Federico Baiocco,
Augusto Chendi,
Angela Maria Cosentino,
Alessandro De Franciscis,
Miela Fagiolo D’Attilia,
Chiara De Carli,
Maristella Giuliano,
Caterina Martino,
Fabrizio Noli,
Danilo Priori,
Gaetano Pepe,
Marco Tampellini
Con approvazione
ecclesiastica,
rivista bimestrale,
reg. n. 21 trib. Roma
in data 5 gennaio 1988
Foto:
Sergio Pancaldi,
Marco Mincarelli,
Monica Fagioli,
archivio Unitalsi,
huffingtonpost.it,
ufficio stampa
Emergency.
Stampa:
Mediagraf Spa
viale della Navigazione
Interna 89 35027
Noventa Padovana (PD)
Finito di stampare:
aprile 2015
facebook pagina ufficiale
Questo periodico
è associato all’Uspi
twitter profilo ufficiale
800 062 026
prOntO Unitalsi
[email protected]
www.unitalsi.it
di Mons. Luigi Marrucci Assistente Ecclesiastico Nazionale
e Salvatore Pagliuca Presidente Nazionale
Stare con i malati
è “tempo santo”
Quanti vengono a Lourdes
come volontari di Unitalsi dicono
sempre di ricevere più di quanto
danno. è così per tutti, da chi viene
per la prima volta a chi viene
da cinquant’anni.
È un momento di liberazione
dell’animo, in cui la vita assume
la sua vera dimensione e in cui
chi dà riceve amore, gratitudine,
amicizia e molta fede.
Mentre si apprende la notizia dell’indizione dell’Anno Santo
della Misericordia da parte di Papa Francesco, un evento
di grazia attraverso il quale potremo riscoprire la gioia di
essere Chiesa per rendere feconda la misericordia di Dio in
ogni periferia umana ed esistenziale, ripercorriamo il primo
incontro con Lourdes nel mese di febbraio.
Abbiamo vissuto la Giornata mondiale del malato a Lourdes
con tantissimi italiani, in una percentuale maggiore rispetto
a quella delle altre nazionalità presenti. Per noi la ricorrenza
dell’apparizione della Vergine Maria a Bernadette a Lourdes
rappresenta un momento di richiamo necessario al senso del
servizio che ci prepariamo ad offrire tutto l’anno. Preghiamo,
facciamo festa e programmiamo insieme i pellegrinaggi a
venire. Ovviamente c’erano tanti malati, a cui era dedicata
la giornata, proprio perché sono fra i più cari alla Vergine,
che già nei giorni in cui apparve a Bernadette cominciò a
guarire i pellegrini, chiedendo alla bambina di far sapere che
bisognava recarsi a Lourdes in processione. Papa Francesco
ha inviato questo messaggio in occasione della Giornata del
malato: “Il tempo passato accanto al malato è un tem-po
santo”; è una “menzogna” indurre a credere che alcune vite
“non sarebbero degne di essere vissute” solo perché toccate
dalla malattia, anzi “le persone immerse nel mistero della
sofferenza e del dolore (…) possono diventare testimoni
viventi della fede”. Questa è una verità che tocchiamo con
mano in pellegrinaggio come nella vita a casa. Sembra un
modo di dire, ma quanti vengono come volontari di Unitalsi
dicono sempre di ricevere più di quanto danno: è così per
tutti, da quelli che vengono per la prima volta a chi viene
da cinquant’anni. È un momento di liberazione dell’animo,
in cui la vita assume la sua vera dimensione e in cui chi dà
riceve amore, gratitudine, amicizia e molta fede.
L’incontro con la Madonna non si conclude nel solo
pellegrinaggio, altrimenti sarebbe una parentesi di una
settimana appena sufficiente forse a sentirsi “più buoni”.
Quello che noi cerchiamo non è questo, ma una condivisione,
un cammino di fede, un’amicizia fra persone tutte in qualche
modo bisognose. Nel Dna dell’Unitalsi è inscritto un episodio
importantissimo successivo alle apparizioni: quando Bernadette tornò a casa e la madre vedendola sconvolta le chiese
le ragioni di tanto stupore, la bimba rispose: “Perché Lei mi
guardava come una persona”. Così è l’amicizia che ci unisce.
Tu non sei il medico, l’avvocato, l’operaio, il prete, il malato
o il volontario, tu sei innanzitutto una persona come me.
Conosciuti da sempre come “quelli dei treni bianchi”,
abbiamo sviluppato il nostro impegno al servizio della
malattia e della sofferenza perchè possa diventare
scuola di speranza. Perché non è lo scansare la
sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce
l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in
essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione
con Cristo, che ha sofferto con amore.
Oggi più che mai abitiamo una società che prova a negare la
realtà della sofferenza, per lasciare spazio solo al bello e al
perfetto. La nostra esperienza associativa - particolarmente
legata al messaggio della Grotta di Lourdes - è alimentata,
invece, dalla gioia vera di tanti amici che hanno saputo
leggere la propria condizione di sofferenza quale segno di
attenzione del Signore. È questo il vero “miracolo” quotidiano
che alimenta questo nostro cammino di Chiesa, dove il dolore
ed il limite umano si sublimano nella certezza della speranza.
Vogliamo essere testimoni di carità discreta e, al tempo
stesso, efficace, al servizio delle necessità del prossimo.
Per questo l’Anno Santo della Misericordia rappresenta
una occasione ulteriore per orientare l’azione quotidiana
dell’Unitalsi nel solco di una esperienza di Chiesa viva,
fertile, che recepisce e trasmette l’entusiasmo per Dio e per
la vita.
1
Le parole
sono pietre
Francesco dixit…
• Il pastore deve avere lo stesso odore
delle sue pecore
• La corruzione “spuzza”
• Si possono fare belle omelie, ma se non si è vicini alle persone, se non si soffre con la gente,
se non si dà speranza, quelle prediche
non servono, sono vanità
• La realtà si vede meglio dalla periferia che
dal centro, compresa la realtà di una persona,
la periferia esistenziale
• Avere fede non significa non avere momenti
difficili, ma avere la forza di affrontarli sapendo che non siamo soli
• Attenzione alle comodità! Quando ci sentiamo comodi, ci dimentichiamo facilmente degli altri
• L’umiltà salva l’uomo; la superbia
gli fa perdere la strada
• Se noi siamo troppo attaccati alla ricchezza,
non siamo liberi. Siamo schiavi
• Il cuore si indurisce quando non ama. Signore, dacci un cuore che sappia amare!
• Non c’è peccato che Dio non possa perdonare. Basta che noi chiediamo perdono
• Gesù non è un personaggio del passato:
Egli continua sempre ad illuminare
il cammino dell’uomo
Straordinaria intervista al Santo Padre
Il Papa a tutto campo
di Alver Metalli
Lei parla molto di periferia. Questa parola
gliel’abbiamo sentita usare tante volte. A
che cosa e a chi pensa quando parla di
periferie?
Quando parlo di periferia parlo di confini. Normalmente noi ci muoviamo in
spazi che in un modo o nell’altro controlliamo.
Questo è il centro. Nella misura in cui
usciamo dal centro e ci allontaniamo
da esso scopriamo più cose, e quando
guardiamo al centro da queste nuove
cose che abbiamo scoperto, da nuovi
posti, da queste periferie, vediamo che
la realtà è diversa.
Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo
2 fraternità 02-2015
posto dove tu sei arrivato. Un esempio:
l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano
arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto
raggiunto e capisce un’altra cosa.
La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro. Compresa la realtà
di una persona, la periferia esistenziale, o la realtà del suo pensiero; tu puoi
avere un pensiero molto strutturato ma
quando ti confronti con qualcuno che
non la pensa come te, in qualche modo
devi cercare ragioni per sostenere questo tuo pensiero; incomincia il dibattito,
e la periferia del pensiero dell’altro ti
arricchisce.
La droga avanza e non si arresta e attacca i nostri giovani. Chi ci deve difendere?
E noi come possiamo difenderci?
è vero, la droga avanza e non si ferma.
Ci sono paesi che ormai sono schiavi
della droga. Quello che mi preoccupa
di più è il trionfalismo dei trafficanti.
Questa gente canta vittoria, sente che
ha vinto, che ha trionfato. E questa è
una realtà. Ci sono paesi, o zone, in cui
tutto è sottomesso alla droga.
Riguardo all’Argentina posso dire
questo: fino a 25 anni fa era ancora un
paese di passaggio, oggi è un paese di
consumo.
E, non lo so con certezza, ma credo che
si produca anche.
Come nasce
l’intervista
All’estrema periferia di Buenos Aires c’è una favela, qui
la chiamano villa, dove vive
padre Pepe, vecchio amico di
Papa Francesco. A dargli una
mano per aiutare i settantamila
disperati di questa bidonville
c’è Alver Metalli, che anni fa ha
lasciato la vita comoda di giornalista Rai a Roma per andare
in Argentina, tra i “memores
domini”. Per anni ha frequentato assiduamente l’arcivescovo Bergoglio, adesso gli scatta
l’idea raccogliere le domande
di chi vive nella villa e portarle
al Papa per pubblicarle sul foglio stampato nella ‘villa’ Càrcova, appunto Càrcova News.
E il sogno diventa realtà. Papa
Francesco riceve a Santa Marta Padre Pepe e Alver Metalli e
sorprendentemente risponde
su tutto.
Qual è la cosa più importante che dobbiamo dare ai nostri figli?
L’appartenenza. L’appartenenza a un
focolare. L’appartenenza si dà con l’amore, con l’affetto, con il tempo, prendendoli per mano, accompagnandoli,
giocando con loro, dandogli quello di
cui hanno bisogno in ogni momento per
la loro crescita. Soprattutto dandogli
spazi in cui possano esprimersi. Se non
giochi con i tuoi figli li stai privando
della dimensione della gratuità. Se non
gli permetti di dire quello che sento-
no in modo che possano anche discutere con te e sentirsi liberi, non li stai
lasciando crescere. Ma la cosa ancora
più importante è la fede. Mi addolora
molto incontrare un bambino che non
sa fare il segno della croce. Vuol dire
che al piccolo non è stata data la cosa
più importante che un padre e una madre possono dargli: la fede.
Lei vede sempre una possibilità di cambiamento, sia in storie difficili, di persone
che sono provate dalla vita, sia in situa-
zioni sociali o internazionali che sono
causa di grandi sofferenze per le popolazioni. Cosa le dà questo ottimismo,
anche quando ci sarebbe da disperarsi?
Tutte le persone possono cambiare. Anche le persone molto provate, tutti. Ne
conosco alcune che si erano lasciate andare, che stavano buttando la loro vita
e oggi si sono sposate, hanno una loro
famiglia. Questo non è ottimismo.
È certezza in due cose: primo nell’uomo, nella persona. La persona è immagine di Dio e Dio non disprezza la
3
propria immagine, in qualche modo la
riscatta, trova sempre il modo di recuperarla quando è offuscata; e, secondo,
è la forza dello stesso Spirito Santo che
va cambiando la coscienza.
Non è ottimismo, è fede nella persona,
che è figlia di Dio, e Dio non abbandona i suoi figli.
Mi piace ripetere che noi figli di Dio ne
combiniamo di tutti i colori, sbagliamo
ad ogni piè sospinto, pecchiamo, ma
quando chiediamo perdono Lui sempre
ci perdona. Non si stanca di perdonare;
siamo noi che, quando crediamo di saperla lunga, ci stanchiamo di chiedere
perdono.
Come si può arrivare ad essere sicuri e
costanti nella fede? Noi attraversiamo alti
e bassi, in certi momenti siamo coscienti
della presenza di Dio, che Dio è un compagno di cammino, in altri ce ne dimentichiamo. Si può aspirare ad una stabilità
in una materia come quella della fede?
Sì, è vero, ci sono alti e bassi. In alcuni
momenti siamo coscienti della presenza di Dio, altre volte ce ne dimentichiamo. La Bibbia dice che la vita dell’uomo sulla terra è un combattimento, una
lotta; vuol dire che tu devi essere in
pace e lottare. Preparato per non venir
meno, per non abbassare la guardia, e
allo stesso tempo godendo delle cose
belle che Dio ti dà nella vita. Bisogna
stare in guardia, senza essere né disfattisti né pessimisti.
Come essere costanti nella fede? Se
non ti rifiuti di sentirla, la troverai molto vicina, dentro al tuo cuore. Poi, un
giorno potrà capitare che tu non senta
un bel niente. Eppure la fede c’è, è lì,
no? Occorre abituarsi al fatto che la
fede non è un sentimento. A volte il
Signore ci dà la grazia di sentirla, ma
la fede è qualcosa di più. La fede è il
mio rapporto con Gesù Cristo, io credo
che Lui mi ha salvato. Questa è la vera
questione riguardo alla fede. Mettiti a
cercare tu quei momenti della tua vita
dove sei stato male, dove eri perso,
dove non ne azzeccavi una, e osserva
come Cristo ti ha salvato. Afferrati a
questo, questa è la radice della tua fede.
Quando ti dimentichi, quando non senti niente, afferrati a questo, perché è
questa la base della tua fede. E sempre
con il Vangelo in mano. Portati sempre
in tasca un piccolo Vangelo. Tienilo in
casa tua. Quella è la Parola di Dio. È da
lì che la fede prende il suo nutrimento.
Dopotutto la fede è un regalo, non è un
atteggiamento psicologico. Se ti fanno
un regalo ti tocca riceverlo, no? Allora,
ricevi il regalo del Vangelo, e leggilo.
Leggilo e ascolta la Parola di Dio.
La sua vita è stata intensa, ricca. Anche
noi vogliamo vivere una vita piena, intensa. Come si fa a non vivere inutilmente?
E come fa uno a sapere che non vive inutilmente?
Beh, io ho vissuto molto tempo inutilmente, eh? In quei momenti la vita
non è stata tanto intensa e tanto ricca.
Io sono un peccatore come qualunque
Buon Giubileo
L’annuncio ufficiale è stato dato il 12 di aprile, domenica
in Albis, ma Papa Francesco aveva stupito tutti già il 13 di
marzo, secondo anniversario della sua elezione, quando
aveva anticipato al mondo intero la sua intenzione di indire l’Anno Santo della Misericordia.
Sarà un Giubileo nelle corde di questo pontificato, dedicato ad un tema specifico che vuole significare l’attenzione di Francesco alle periferie del mondo, alle periferie
dell’anima alle periferie dell’esistenza. Un anno dedicato
ai più deboli, ai più bisognosi, ai più doloranti nel fisico
e nell’anima. Mai nessun Papa aveva mai dedicato un
Giubileo straordinario ad uno specifico sentimento di gra-
altro. Solamente che il Signore mi fa
fare cose che si vedono; ma quante volte c’è gente che fa il bene, tanto bene,
e non si vede. L’intensità non è direttamente proporzionale a quello che vede
la gente. L’intensità si vive dentro. E si
vive alimentando la stessa fede. Come?
Facendo opere feconde, opere d’amore
per il bene della gente. Forse il peggiore dei peccati contro l’amore è quello
di disconoscere una persona. C’è una
persona che ti ama e tu la rinneghi, la
tratti come se non la conoscessi. Lei ti
sta amando e tu la respingi. Chi ci ama
più di tutti è Dio. Rinnegare Dio è uno
dei peggiori peccati che ci siano. San
Pietro commise proprio questo peccato,
rinnegò Gesù Cristo… e lo fecero Papa!
Allora io cosa posso dire?! Niente! Per
cui, avanti!
Lei ha attorno a sè persone che non sono
d’accordo con quello che fa e che dice?
Si, certo.
Come si comporta con loro?
Ascoltare le persone, a me, non ha mai
fatto male. Ogni volta che le ho ascoltate, mi è sempre andata bene. Le volte
che non le ho ascoltate mi è andata male.
Perché anche se non sei d’accordo con
loro, sempre – sempre! – ti danno qualcosa o ti mettono in una situazione che
ti spinge a ripensare le tue posizioni. E
questo ti arricchisce.
È il modo di comportarsi con quelli con
cui non siamo d’accordo. Ora, se io non
4 fraternità 02-2015
zia, come la misericordia. Finora i precedenti parlano di
Anno Santo straordinario indetto da Pio XI (1933) per i
1900 anni della Redenzione e di quello analogo indetto
nel 1983 da Giovanni Paolo II, per l’anniversario dei millenovecentocinquanta anni della Redenzione.
Un Anno Santo che per noi dell’ Unitalsi calza a pennello,
come un abito su misura. Nella misericordia c’è la missione dei nostri volontari e nel dolore c’è la vita quotidiana.
Poi la data d’inizio, quella dell’apertura della Porta Santa,
è il nostro giorno, la festa dell’ Immacolata. A Lourdes
e soprattutto a Roma ci sarà molto da fare per tutti noi.
Buon Giubileo
F.A.
sono d’accordo con qualcuno, smetto di
salutarlo, gli chiudo la porta in faccia,
non lo lascio parlare, e non gli domando
le ragioni del disaccordo, evidentemente mi impoverisco da solo. Dialogando,
ascoltando, ci si arricchisce.
La moda di oggi spinge i ragazzi verso
rapporti virtuali. Come fare perché escano dal loro mondo di fantasia? Come aiutarli a vivere la realtà e i rapporti veri?
Io distinguerei il mondo della fantasia
dalle relazioni virtuali. A volte i rapporti virtuali non sono di fantasia, sono
concreti, sono di cose reali e molto concrete.
Ma evidentemente la cosa desiderabile
è il rapporto non virtuale, cioè il rapporto fisico, affettivo, il rapporto nel tempo
e nel contatto con le persone. Io credo
che il pericolo che corriamo ai nostri
giorni è dato dal fatto che disponiamo
di una capacità molto grande di riunire
informazioni, dal fatto insomma di poterci muovere in una serie di cose virtualmente, ed esse ci possono trasformare in “giovani-museo”.
Un “giovane-museo” è molto ben informato, ma cosa se ne fa di tutto quello
che sa? La fecondità, nella vita, non
passa per l’accumulazione di informazioni o solamente per la strada della comunicazione virtuale, ma nel cambiare
la concretezza dell’esistenza. Ultimamente vuol dire amare.
Tu puoi amare una persona, ma se non
le stringi la mano, o non le dai un abbraccio, non è amore; se ami qualcuno
al punto di volerlo sposare, vale a dire,
se vuoi consegnarti completamente, e
non lo abbracci, non gli dai un bacio,
non è vero amore.
L’amore virtuale non esiste. Esiste la
dichiarazione di amore virtuale, ma il
vero amore prevede il contatto fisico,
concreto. Andiamo all’essenziale della
vita, e l’essenziale è questo.
Dunque, non “giovani-museo” informati solo virtualmente delle cose, ma
giovani che sentano e che con le mani
– e qui sta il concreto – portino avanti le
cose della loro vita…
Mi piace parlare dei tre linguaggi: il
linguaggio della testa, il linguaggio del
cuore e il linguaggio delle mani.
Ci deve essere armonia tra i tre. In
modo tale che tu pensi quello che senti
e quello che fai, senti quello che pensi
e quello che fai, e fai quello che senti e
quello che pensi. Questo è il concreto.
Restare solamente nel piano virtuale è
come vivere in una testa senza corpo.
Per televisione sentiamo notizie che ci
preoccupano e ci addolorano; che ci
sono fanatici che la vogliono uccidere.
Non ha paura? E noi che le vogliamo
bene che cosa possiamo fare?
Guarda, la vita è nelle mani di Dio. Io
ho detto al Signore: Tu prenditi cura di
me. Ma se la tua volontà è che io muoia o che mi facciano qualcosa, ti chiedo
un solo favore: che non mi faccia male.
Perché io sono molto fifone per il dolore fisico.
5
Il cardinale Angelo Bagnasco
D ossier Salute
Il pianeta
salute
La salute e i suoi problemi, la salute
del corpo e i suoi misteri di guarigioni inspiegate sono argomenti ai
quali tutti noi dell’ Unitalsi ci avviciniamo durante i nostri pellegrinaggi, ma anche quotidianamente. Mirabilmente il cardinale Tettamanzi ci
spiega che la salute è un dono per il
bene nostro e degli altri, che ci aiuta
a capire come la salvezza in Cristo
è il dono più atteso e infinitamente
più prezioso.
In questo dossier vogliamo analizzare ogni aspetto del pianeta salute,
da quello teologico, a quello umano.
Passeremo dal punto di vista degli
operatori sanitari alle guarigioni miracolose. Ovunque alla ricerca di un
segno che ci aiuti a vivere meglio la
nostra vita e a far vivere meglio la
vita ai sofferenti.
F.A.
6
fraternità 02-2015
Grazie Unitalsi
Il Mistero Pasquale
Eminenza cosa dire ai volontari dell’Unitalsi?
La salute è un dono
la salvezza è guarigione
Sono essenziali, sono essenziali e ne approfitto per dirgli grazie, a nome mio e a
nome di tutti i vescovi italiani e soprattutto da parte degli ammalati.
Il cardinale Dionigi Tettamanzi nasce a Renate,
provincia di Monza e della Brianza, 85 anni fa.
Grandissimo teologo, viene dapprima nominato
Arcivescovo di Ancona-Osimo (1989), poi di Genova
(1995) e infine di Milano (2002), dove rimane in carica
fino al 2011. È stato segretario generale
e vicepresidente della Cei. Cardinale dal 1998.
Cosa dovrebbe fare per l’Unitalsi per la
pastorale della salute e per aiutare di più
la Chiesa?
Innanzitutto rimanere fedele a se stessa,
alla propria vocazione e portare i malati
dalla Madonna. Questo è essenziale e
questo nei limiti del possibile accompagnare i malati nella loro solitudine e nelle loro case e nei loro luoghi di degenza
e una presenza sempre più intensa dei
volontari giovani e meno giovani. Ma
innanzitutto portarli dalla Madonna, ma
perché l’Unitalsi nasce così, e quindi è
bello continui così nonostante le difficoltà di oggi.
No al pessimismo sterile, no alle lamentele, siamo pochi, siamo anziani, non è
questo lo spirito cristiano, la mancanza
di fiducia non è cristiano.
Il Carisma dell’Unitalsi è la Madonna,
sono gli ammalati, il carisma dell’Unitalsi è accompagnare i malati fuori di
casa, questo non è indifferente non è
privo di significato.
Uscire di casa insieme con gli altri, è
questo lo scopo, i malati fuori casa per
incontrare la Santa Vergine.
Angelo Bagnasco nasce a Pontevico (Brescia) nel 1943, da famiglia genovese sfollata per la
guerra. Vescovo di Pesaro nel
1998, poi Ordinario militare nel
2003 e arcivescovo di Genova
nel 2006. Nel 2007 sostituisce il
card. Camillo Ruini alla Presidenza della Cei (Conferenza Episcopale Italiana) ed è creato cardinale da Benedetto XVI.
di Dionigi card. Tettamanzi
Nella gioia e nella fatica d’ogni giorno la nostra vita ci si presenta come un
dono straordinario che ha la sua sorgente nella paternità di Dio: “In lui infatti
vivia-mo, ci muoviamo ed esistiamo” (Atti 17,28). Ed è nella incrollabile
fedeltà di Dio a questa sua paternità che ci viene donata la fede: una fede che
sta o cade sul mistero centrale della risurrezione di Gesù, il Crocifisso risorto.
E così veniamo sollecitati a cogliere il logos - il senso, la bellezza e la responsabilità - che la risurrezione del Signore riveste per la nostra vita di quaggiù:
questa, in realtà, non si identifica con la totalità della vita umana, ma ne è
soltanto “l’inizio”. Infatti il nostro corpo terreno, con il suo soffrire e il suo
gioire, dovrà da un lato subi-re la morte biologica e dall’altro lato ricevere
un’esistenza assai diversa (cfr 1Cor 15, 44). Scaturisce da qui la consapevolezza del cristiano di essere quaggiù un “pellegri-no” che conduce una vita,
per vari aspetti, provvisoria: “Passa la scena di questo mondo” (1Cor 7,31).
D’altra parte la stessa risurrezione del Signore Gesù, mentre ci conferma che
tutto è relativo e tutto deriva e tende alla paternità di Dio, ci dice che questo
nostro corpo e questa nostra vita non sono delle semplici “impalcature” da
sopportare e da eliminare. Sono invece “espressioni della nostra persona” che
verranno trasfigurate e portate a compimento.
E questo a partire da Cristo risorto, che ci spinge ad “osare la speranza”, ossia ad “aprire al futuro” ogni nostro momento e aspetto di vita, anche senza
un’apparente via d’uscita. Si tratta di un’audacia che nasce e cresce nell’esistenza di ogni giorno, “quando tutto va bene”, quando salvezza e salute
sem-brano essere intimamente alleate tra loro rendendo così piacevole la vita
sino a non pensare che un giorno essa verrà trasformata: passerà attraverso un
suo declino ed entrerà nella gloria di Dio. È proprio la contemplazione della
Pasqua di Cristo a farci evitare il pericolo di confondere tra loro salvezza e
salute. L’azione salvifica del Signore Gesù durante la sua vita terrestre e il
dono che egli ha fatto di se stesso fino alla morte di croce ci chiedono di tenere in armonica tensione due realtà e affermazioni che potrebbero sembrare
in contraddizione l’un l’altra. La prima affermazione riguarda la salute fisica
e psichica: questa è un bene prezioso che rivela qualcosa della salvezza di
Dio che in Gesù si è preso cura dei malati e dei sofferenti. Non però di tutti quelli che egli ha incontrato: del resto
le guarigioni narrate nel Vangelo sono solo dei “segni” che
aprono la prospettiva su valori più grandi della salute stessa.
Sì, la salvezza di Dio è molto di più che la salute: in realtà
la salvezza è guarigione non di “una parte” dell’uomo, ma di
“tutto” l’uomo e di “tutta” l’umanità.
Al riguardo possiamo essere illuminati da un esempio riferitoci dall’evangelista Marco (1,29-31). Gesù si trova in casa
di Pietro, dove la suocera dell’apostolo è in preda a una forte
febbre. Ora il Signore la prende per mano e “la solleva”. Si
noti: il verbo greco usato dall’evangelista rimanda ad un gesto di risurrezione: “la fa risorgere”.
Quella di Gesù è dunque una missione liberante, tanto
che la suocera si mette a servire il Signore e i suoi discepoli. La salute è un dono per il bene nostro e degli altri,
un dono che ci aiuta a capire che la salvezza stessa è il
dono più atteso e infini-tamente più prezioso.
Questa è la logica del Regno: l’amore di Dio per l’uomo,
espresso nell’attività terrena di Gesù (in particolare quella
cosiddetta “terapeutica”), anticipa quella salvezza di tutta
un’umanità che soffre nella malattia e nella morte, così come
e ancor più soffre per la schiavitù del male morale, il male
del peccato e dell’iniquità. E così, da una parte, troviamo il
dono miracoloso che invita l’uomo ad aprirsi alla misericordia di Dio e, dall’altra parte, notiamo come questa apertura a
Dio si accompagna ed esige il segno della nostra carità: una
carità che dà sollievo concreto all’uomo nella sua infermità e
fragilità. I due aspetti indicati vengono unificati nella Morte e
Risurrezione di Gesù, in quel Mistero Pasquale in cui l’amore
di Dio per l’uomo si manifesta e si fa efficace nella vittoria
sul dolore e sulla morte sconfitti nella Pasqua del Signore. È
dunque in Cristo crocifisso e risorto che la salvezza dell’uomo raggiunge la sua pienezza definitiva.
Dopo la sua Risurrezione, attraverso il dono dello Spirito
Santo, Gesù rimane vivo e operante nella sua Chiesa che
lo invoca, lo annuncia e lo serve. Rimane presente in ogni
uomo, presente in ogni cuore umano. Sta qui il punto centrale e qualificante della “pastorale della salute”: far sì che la
vita e la morte di ogni persona si aprano e vengano assunte
e redente da Cristo crocifisso e risorto. Merita qui il posto
di una conclusione, che rasserena e insieme stimola la pastorale della Chiesa e di ciascun suo membro, il numero 32
del Sinodo del 2012 sulla Nuova Evangelizzazione:
“La nuova evangelizzazione deve essere sempre cosciente
del mistero pasquale di morte e risurrezione di Gesù Cristo.
Da questo mistero infatti si diffonde una luce sulle sofferenze
e malattie degli uomini, che dalla Croce di Cristo possono
comprendere e accettare il mistero della sofferenza che offre
loro la speranza nella vita che viene.
Nel malato, in chi soffre, in quanti sono portatori di handicap e in chi si trova in uno speciale bisogno, la sofferenza di
Cristo è presente e possiede una forza missionaria.
Per i cristiani deve esserci posto per i sofferenti e per i malati. Loro hanno bisogno della nostra cura, ma noi riceviamo
ancora di più dalla loro fede. Attraverso il malato, Cristo illumina la sua Chiesa in modo che chiunque entri in contatto
con il malato può trovare riflessa la luce di Cristo. Ecco perché i malati sono così importanti nella nuova evangelizzazione” (n. 32).
Dossier Salute
7
D
Il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin
Volontariato
risorsa insostituibile
di Massimiliano Fiore
Ministro, dal virus Ebola alla spending review come sta
cambiando il sistema sanitario Nazionale. Come fate convivere
sperimentazione e risparmio?
Con il Patto per la Salute che abbiamo siglato il 10 luglio
2014 sono state introdotte importanti novità, tra cui la
certezza del budget che permetterà di riprogrammare il
sistema sanitario nel segno dell’appropriatezza, della lotta
agli sprechi, dell’efficienza e della qualità. Ciò al fine di
dare risposte sempre più qualitative ai bisogni sanitari dei
cittadini e far fronte alle nuove sfide che si impongono alla
nostra attenzione, quali l’invecchiamento della popolazione
ed i nuovi farmaci. Uno strumento valido per la lotta agli
sprechi è senza dubbio la digitalizzazione del sistema, utile
per la tracciabilità dei processi. La lotta agli sprechi è dunque
il cardine del nostro progetto. I risparmi che deriveranno dalle
azioni di razionalizzazione saranno reinvestiti in sanità, nel
personale e nell’ammodernamento tecnologico, per fare due
esempi. La qualità del nostro sistema sanitario va non solo
mantenuta ma anche implementata, è questo che i cittadini
si aspettano. In merito alla risposta alle emergenze sanitarie
di tipo biologico, malattia da virus Ebola compresa, pur
richiedendo indubbiamente maggiori risorse nel momento in
cui queste si manifestano, poggia, nel nostro Paese, su una
rete consolidata di sanità pubblica, su centri diagnosticoterapeutici di eccellenza, nonché sugli Uffici di sanità del
ministero della Salute, presenti nei porti e aeroporti, che,
quotidianamente, applicano misure di prevenzione, controllo
e profilassi nei confronti della popolazione generale e per
specifici casi di malattie infettive e, ove previsto, dei loro
contatti.
Sempre più persone con disabilità anziane e giovani chiedono
più servizi efficienti e un’assistenza alla persona aggravando la
rete di volontariato ormai al collasso. Ministro, quali i rimedi e
quale importanza del volontariato?
Il volontariato è una risorsa insostituibile per il nostro Paese.
Fare volontariato significa prendersi cura degli altri, regalare
un sorriso a chi soffre, mettendo a disposizione delle persone
meno fortunate il nostro tempo, le nostre competenze, la
8 fraternità 02-2015
La tragica fine di Annalena Tonelli
Beatrice Lorenzin
nasce a Roma nel 1971.
Eletta alla Camera
dei Deputati da due legislature,
la prima con Forza Italia,
la seconda con NCD.
Ministro della Salute del governo
Letta dal 28 aprile 2013 viene
riconfermata nel governo Renzi
il 22 febbraio 2014
nostra umanità. Le migliaia di volontari del nostro Paese che
si pongono gratuitamente al servizio degli altri rappresentano
un esercito virtuoso, una forza buona che auspico cresca
sempre di più. E in sanità ciò è ancora più importante perché
i volontari affiancano gli operatori sanitari, che da soli non
possono fare tutto, rappresentando un ausilio prezioso
per loro e per i malati. Io credo molto nella necessità dello
sviluppo di una cultura dell’umanizzazione delle cure e
ritengo che il volontariato sia in questo un grande ausilio e
una grande risorsa. Ma i volontari sono importantissimi non
solo all’interno delle strutture sanitarie, ma anche sul territorio
per l’azione di sensibilizzazione e informazione ai cittadini
su tanti temi importanti, azione che possono svolgere grazie
alla diffusione capillare di molte associazioni di cui fanno
parte. In questo ambito rappresentano per noi un prezioso
ausilio per sensibilizzare la popolazione sull’importanza della
prevenzione, stili di vita e screening, ad esempio. Ringrazio
dunque veramente di cuore tutti voi che dedicate tempo
ed energie per migliorare la qualità di vita delle persone
affiancandoci ogni giorno nel veicolare un’informazione
corretta e nel dare sostegno e assistenza a chi ne ha bisogno.
All’Italia del volontariato, della cooperazione sociale,
dell’associazionismo noprofit e delle imprese sociali il
Governo si sta rivolgendo con una grande proposta di
riforma - un disegno di legge delega - posta all’attenzione del
Parlamento dopo un confronto con gli operatori. L’idea guida
è che il mondo del terzo settore possa fornire un contributo
determinante allo sviluppo per la sua capacità di esser motore
di partecipazione dei cittadini e di costruire legami sociali,
mettendo in rete risorse, competenze e soluzioni innovative.
Tutta questa rivoluzione investirà direttamente il variegato
mondo del volontariato per la salute, cui già il Ministero dedica
attenzione attraverso la vetrina rappresentata dal sito tematico
www.volontariatosalute.it ove è assicurato alle associazioni
che lo richiedono un servizio di visibilità, oltre all’incontro
con gli operatori e alla possibilità di comunicare le tante
encomiabili iniziative realizzate sul territorio nazionale.
Martire in missione
contro la TBC
di Miela Fagiolo D’Attilia
Popoli e Missioni
I malati la chiamavano “Hooyedeen”
che in somalo vuol dire “la nostra
madre”.
Per l’Organizzazione Mondiale della
Sanità invece era doctor Tonelli,
referente per la Somalia per la lotta
alla tubercolosi, piaga endemica del
Corno d’Africa. Per tutti, la donna
che diceva di sé “Io sono nobody” è
rimasta una icona della missione, per la
sua incrollabile fede nel Cristo e per i
molti miracoli quotidiani di accoglienza
dei nomadi somali a cui ha dedicato
tutta l’esistenza. Nata a Forlì nel 1943,
Annalena è stata uccisa il 5 ottobre del
2003 da un colpo di pistola alla testa,
sparato a bruciapelo nel cortile del “Tb
Center” di Borama da lei fatto costruire
in Somaliland. Aveva appena finito
l’ultimo giro di visita dei pazienti e la
somministrazione dei farmaci previsti
dal protocollo di cura da lei messo a
punto, nei lunghi anni di servizio per
la cura dei malati di tubercolosi, il
Dots, poi applicato in tutto il mondo.
Annalena, “donna, sola e cristiana”
era una missionaria laica partita alla
fine degli anni Sessanta dall’Italia per
il Kenya, infiammata dalla passione
che condivideva con gli amici del
“Comitato per la lotta contro la fame
nel mondo” di Forlì. Aveva una laurea
in legge che avrebbe messo da parte per
imparare sul campo a curare i nomadi
del deserto, di cui ammirava quella
“fede rocciosa” con cui si è misurata,
vivendo un dialogo con l’islam, spesso
non facile, ma senza dubbio esemplare.
In Somalia
si impegnò
come medico
e come religiosa
ottenendo
un prestigioso
riconoscimento
dall’ONU
Lo scopo di Annalena era quello di una
totale condivisione con le popolazioni
islamiche somale: per questo si è fatta in
tutto uguale a loro nella povertà e nelle
sofferenze, convinta che solo chi si fa
povero e condivide la sofferenza delle
persone che le sono date, può essere
tramite dell’amore di Cristo. In questa
chiave si può capire come una donna
dalla forte personalità mistica, eremitica
e ascetica, abbia potuto costruire
ospedali, salvare miglia di persone e
vincere battaglie là dove in tanti erano
stati sconfitti. A chi le chiedeva ragione
della sua vita, rispondeva: “Ho scelto di
essere per gli altri: i poveri, gli sfruttati,
gli abbandonati, i non amati.
Così sono stata e confido di continuare
ad essere fino alla fine della mia
vita. Volevo seguire solo Gesù
Cristo. Null’altro mi interessava così
fortemente: Lui e i poveri in Lui”. Dal
primo ospedale a Wajir in Kenya a quello
di Merka in Somalia e infine a quello di
Borama nel Somaliland, doctor Tonelli
ha vissuto la sua coraggiosa missione
lottando contro l’oppressione delle
donne, creando scuole per handicappati,
preparando migliaia di pasti per i più
bisognosi. Un impegno che le ha valso
l’assegnazione del prestigioso Premio
Nansen
dell’Alto
Commissariato
per i Rifugiati dell’Onu ma anche il
risentimento dei signori della guerra
somali, coinvolti - non è stato mai
chiarito come – nella sua morte. Ma
Annalena è viva nella memoria della
gente a cui ha dato se tutta sé stessa.
“Chi ha avuto una vita più bella della
mia?” rispondeva sorridendo a chi le
chiedeva il senso del suo servizio.
DossierDossier
Salute
9
D
Con fedeltà creativa
accanto ai malati
di Don Carmine Arice
Direttore dell’Ufficio Nazionale
per la pastorale della salute della CEI
Si legge nello Statuto che “L’UNITALSI è un’associazione
pubblica di fedeli che, in forza della loro fede e del loro particolare carisma di carità, si propongono di incrementare la
vita spirituale degli aderenti e di promuovere un’azione di
evangelizzazione e di apostolato verso e con le persone ammalate, disabili e in difficoltà, in riferimento al messaggio
del Vangelo e al Magistero della Chiesa” (art. 1). È un programma di vita cristiana completo, affascinante, esigente e
impegnativo che riassumerei così: amici di Cristo e a servizio
dell’evangelizzazione della Chiesa, nel mondo della sofferenza. Mi pare di ritrovare tutti gli obiettivi della pastorale
della salute, descritta da un documento della CEI come “la
presenza e l’azione della Chiesa per recare la luce e la grazia
del Signore a coloro che soffrono e a quanti se ne prendono
cura”. Siamo in vocazione e possiamo quindi dire che l’UNITALSI può essere un’espressione significativa della pastorale
della salute della Chiesa, vista anche la sua esigente natura
giuridica di associazione pubblica di fedeli. Ma l’associazione non è una realtà astratta, essa è composta da persone concrete, ed esiste e si realizza in quanti oggi accolgono, in forza
della loro fede, questo carisma di carità.
Cari amici mi sono attardato nelle premesse, perché ritengo
vitale una continua. attenta e sincera riflessione sul carisma
originario della nostra esperienza evangelica, in un momento
così complesso e difficile, come quello che oggi stiamo attraversando. La sfida che ci sta davanti è grande: una fedeltà
creativa al carisma unitalsiano. Fedeltà perché l’UNITALSI
ha visto riconosciuta dalla Chiesa una missione che non può
essere tradita; creativa perché la situazione è sempre in mutamento e i contesti socio-culturali nei quali l’annuncio del
Vangelo viene proposto, sono in continua evoluzione.
Contesti, mutamenti e difficoltà connesse non sono un
intralcio all’opera di evangelizzazione bensì il presente
che ci provoca e chiede una risposta capace di ridire con
linguaggi sempre nuovi l’amore di Dio agli uomini, nella
testimonianza della carità. Essere nel mondo della salute il “ci sono di Dio”, presenza che accompagna malati
e sofferenti nel loro cammino di vita esercitando il ministero della consolazione (cfr. Francesco, Lumen fidei,
57), è lo scopo dell’Associazione, quello che ci ha dato la
Signora alla Grotta di Massabielle, senza il quale la sua
esistenza non avrebbe più senso. Ed è una storia che stanno scrivendo tanti soci, lontani da giornali e televisioni,
ma presenti accanto a chi soffre.
Questo rimane l’unico l’obiettivo irrinunciabile dell’Associazione anche qualora la crisi economica e gestionale che
stiamo attraversando fosse, come ci auguriamo tutti, brillantemente superata. Riflettiamo sovente sull’articolo 1 dello
Statuto. Non può che farci del bene!
10 fraternità 02-2015
Il medico di fronte
alla Grotta
di Federico Baiocco
Responsabile Nazionale Medici Unitalsi
Difficilmente mi viene posto un quesito quando mi accingo a
scrivere per Fraternità, ma in questo caso il quesito è duplice.
Il medico e l’operatore sanitario cambiano la propria missione
di fronte al popolo dei pellegrinaggi a davanti ad eventuali
guarigioni inspiegate?
Qualsiasi persona di buon senso può modificare la propria
sensibilità e disponibilità al servizio di fronte alla sofferenza,
e occasioni di pellegrinaggio sono condensati di povertà
umana nella percezione che ci si offre al prossimo come si è.
Lontani dalle proprie certezze e disponibili ad offrire i propri
dubbi, paure e povertà. Il medico in questo caso, seppur nella
propria competenza, non viene chiamato a dare una terapia,
ma ad accogliere questa condizione di disagio profondo.
Solo se dentro di se fa spazio per accogliere tutto ciò, diventa
possibile percorrere una strada comune. Ma c’è una chiave
di volta che può aiutare il medico: la grotta di Massabielle. È
quel luogo che ha cambiato e che continua a cambiare tanti
operatori sanitari e non solo. Lo spazio che Bernadette ha fatto
dentro di se e che, mi sia permesso, anche Maria ha fatto in lei,
sono l’esempio e lo sprone per poter accogliere la sofferenza
dell’altro cosi come è: nuda, cruda, talvolta spaventosa, quasi
incomprensibile. Lourdes è l’unico luogo dove sono avvenute
guarigioni inspiegate (non spiegabili nel momento temporale
in cui accadono) e questo pone ai medici quesiti profondi che
spesso hanno risposta complessa e talvolta non ne hanno. E
quando non riusciamo a dare risposta poniamo la definizione
di guarigione inspiegata, nella quale la nostra scienza non
riesce ad entrare più e lascia il campo ad interventi che fuori
dalla nostra portata vengono definiti soprannaturali. Noi
medici non parliamo di miracoli, problematica da sviluppare
in altra sede, ma restiamo profondamente colpiti da quanto
accade di fronte alla Grotta. Non è la guarigione inspiegata
che mi spinge a tornare lì non appena mi è possibile, ma la
certezza che in quel luogo c’è la possibilità di vivere una
condizione di condivisione, nella quale ognuno può trovare
la propria via.
Varie volte ho presentato gli ambiti secondo i quali il medico
e gli operatori sanitari possono avvicinarsi al servizio a
Lourdes.
PROFESSIONALE:
vedere e riconoscere la sofferenza dell’altro.
UMANA:
stare accanto alla persona mediante l’ascolto.
CRISTIANA:
“servire” con gli altri per rivelare il volto di Gesù medico.
Ma tutto questo ha senso se queste prospettive le collochiamo
in quella più ampia della Grotta, dove Bernadette e Maria
hanno fatto spazio al Gesù che può anche essere medico.
Esperienza, quella di Bernadette e Maria, che seppur nella
specificità temporale e personale, con un pò di presunzione
può diventare esperienza ripetibile quando come medico, o
come semplice volontario, di fronte alla grotta accompagno
una persona sofferente.
Coscienti che siamo insieme popolo dei pellegrinaggi, e
che ognuno ha la possibilità di avere la propria guarigione
inspiegata, più o meno tangibile, consapevoli che tutti hanno
il diritto a guarire, secondo le proprie possibilità e secondo
un progetto che non sempre è comprensibile.
Dossier Salute 11
D
I nostri miracolati
Alessandro De Franciscis
Il mistero
che non so spiegare
Elisa Aloi Nasce a Patti, nel 1931 e risiede a Messina.
Vive per undici anni ingessata in tutto il corpo per una gravissima forma di tubercolosi ossea fistolosa, che inizia a 17 anni.
Al secondo viaggio a Lourdes, nel 1958, ormai morente, dopo l’ennesimo intervento chirurgico, senza alcun beneficio, viene bagnata
nell’acqua delle piscine. Avverte subito la sensazione di riprendere
possesso delle sue membra, ma non le credono. Al ritorno a casa
esce dal suo sarcofago di gesso e riprende a camminare. Nel 1965
l’Arcivescovo di Messina decreta la sua guarigione miracolosa.
di Filippo Anastasi
Professore che differenza trova tra fare il medico, il professore
universitario ed essere adesso un ispettore di miracoli?
Ma come saprà non mi occupo di miracoli, ma di guarigioni
inspiegate o apparentemente inspiegate. Mi pare di trovare in
questo lavoro un completamento del mio cammino, peraltro
inatteso e provvidenziale, perché non ho fatto richiesta di
andare a Lourdes, ma è stato il Vescovo che mi ha convocato
facendomi questa proposta e mi è apparsa, come già detto
altre volte, la svolta della mia vita. A Lourdes è molto netta
la distinzione tra guarigione e miracolo. Ai medici spetta
studiare le guarigioni, come stabilito dall’istituzione del
Bureau nel 1883, e invece ai vescovi e quindi alla gerarchia
della Chiesa di discernere davanti alla guarigione su cui medici
si sono pronunciati definendola inspiegata e inspiegabile. I
vescovi poi esprimono un’interpretazione cristiana del senso
del miracolo. Nell’ambito medico noi facciamo la stessa cosa.
In medicina esistono fenomeni di guarigioni inspiegate? Sì che
esistono e lo studio che si fa è esattamente quello di cercare
di inquadrare innanzitutto la pregressa malattia o un malattia
nota, la guarigione certa e poi cercare se c’è una spiegazione
conosciuta. Questo è il lavoro che si fa a Lourdes solo tra
medici, unica indagine nell’unico luogo di pellegrinaggio di
tutte le religioni che conosca. Insomma nel fare questo mi
sento a mio agio.
Quanti casi all’anno meritevoli di attenzione passano per il
Bureau di Lourdes?
Insieme con la mia segretaria stimiamo di effettuare un centinaio di incontri l’anno. Ascolto un centinaio di storie e le
registro pubblicandole sul bollettino dell’associazione internazionale medica di Lourdes e ne registro tra 30 e 40 che considero serie, veritiere. Dopodiché inizia la caccia ovviamente alle notizie e alla documentazione. E lì devo dire che non
ho nessuna collaborazione da parte delle persone. Rispetto
al recente passato c’è un enorme cambiamento. Le persone
oggi vengono dal dottore, dal medico della Grotta e vengono
a raccontare una storia altamente verosimile, ma non hanno
nessuna aspirazione a fare il lavoro di raccolta della documentazione di raccogliere le cartelle cliniche. Non hanno nessuna
ambizione di essere riconosciuti come miracolati, quindi c’è
12 fraternità 02-2015
Vittorio Micheli Nasce nel 1940 a Borgo Valsugana, in provincia di
Trento, dove risiede. A 22 anni, durante il servizio militare come alpino, gli trovano un cancro al collo del femore e all’anca. L’osso è stato
mangiato da tumore. Viene portato a Lourdes, è morente, non mangia
quasi più, lo bagnano nell’acqua delle piscine e subito avverte immediati forti miglioramenti. Viene ricoverato all’ospedale militare di Trento,
si sente bene, ma i medici per mesi non gli credono. Eppure riprende
a camminare e gli esami radiografici sono sorprendenti: l’osso eroso
dal tumore risulta ricostruito. Tredici anni dopo l’Arcivescovo di Trento
decreta la guarigione miracolosa.
Delizia Cirolli Nasce nel 1964 a Paternò, in provincia di Catania, dove
risiede tuttora e fa l’ infermiera. All’ età di 12 anni, bambinetta, viene
colpita da un tumore osseo al ginocchio. I medici consigliano l’amputazione, ma il papà la rifiuta e la porta a Lourdes, da dove però torna
aggravata. Due mesi dopo è moribonda. Gruppi di preghiera si formano intorno alla bambina, che il giorno dell’ Immacolata viene bagnata
con l’acqua di Lourdes. Delizia improvvisamente si alza dal letto e si
mette a camminare, desiderando uscire da casa.
Il miracolo è riconosciuto dall’ Arcivescovo di Catania, nel 1989,tredici
anni dopo l’inspiegabile guarigione.
un cambiamento antropologico molto interessante tra le guarigioni di Lourdes.
Nell’ultimo caso della Sig.ra Castelli, il medico, il professore si
imbatte nel mistero del miracolo, che sensazione prova?
Alla domanda se credo ai miracoli, la risposta è sì. Provo la
stessa emozione del primo barelliere giunto per la prima volta
a Lourdes, con la differenza che nella maturità della vita e
della mia professione ho limpida e chiara la missione che mi è
stata affidata dal Vescovo di Tarbes e Lourdes quella di cercare
la verità.
Quindi sono innanzitutto alla ricerca della verità, quando poi
questo lavoro è terminato - il cristiano che sono e l’amico
di Lourdes che sono - mi inginocchio commosso davanti al
mistero che non ho saputo spiegare.
Nella foto
Presidente Bureau
des Constatations
Médicales di Lourdes
Danila Castelli Nasce il 16 gennaio del 1946, a Bereguardo, in provincia di Pavia, dove vive tuttora. Dopo i 35 anni viene colpita da numerose forme tumorali. La più grave è un “feocromocitoma”, tumore
nella zona rettale e vescicale. Numerosi gli interventi chirurgici, ma
senza alcun beneficio. Ormai morente Danila va in pellegrinaggio a
Lourdes e viene bagnata nell’acqua delle piscine del Santuario. Ne
esce con una straordinaria sensazione di benessere. È guarita ed il
Bureau constaterà questa situazione di inspiegabilità dopo indagini e
riunioni durate tredici anni. Nel 2013 il Vescovo di Pavia, mons. Giovanni Giudici, dichiara il carattere “ prodigioso-miracoloso e il valore
di segno” di questa guarigione.
Dossier Salute 13
D
Accompagnare malati e pellegrini
Pastorale della Salute
Il medico
non è un “tecnico”
L’assistenza
non compete solo
ai professionisti
di Marco Tampellini
Consigliere Nazionale
La figura del medico, forse più di altre, è sempre stata
l’emblema dell’apparente contrapposizione tra Scienza e
Fede tanto che fin dai tempi del Medioevo il cerusico era
addirittura scomunicato dalla Chiesa Cattolica.
Nonostante i progressi, ancora oggi questo contrasto non
è per nulla risolto ed è diventato un problema soprattutto
di coscienza personale: il medico spesso è combattuto tra
l’essere un buon tecnico che combatte le malattie, oppure
un uomo che accoglie un altro uomo bisognoso di aiuto.
Sicuramente tutti noi siamo portati a dire che la nostra
indole è quella di accogliere il malato perché naturalmente
siamo portati all’empatia, ma dobbiamo ammettere che in
un mondo dove viene premiata l’efficienza della produzione
e dove predomina la “globalizzazione dell’indifferenza”
(Papa Francesco) sovente non siamo in grado di piangere
quando un nostro “amico” ci precede nella Pasqua Celeste
oppure d’evitare di riferire di un paziente come “il pancreas”
piuttosto che “il femore”.
D’altra parte già Gesù disse : “Che cosa è più facile: dire al
paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati,
prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che
il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla
terra, dico a te - disse al paralitico -: àlzati, prendi la tua
barella e va’ a casa tua” (Mc 2, 9-11).
Interpretando il brano secondo i nostri tempi Gesù ci parla
proprio di questo conflitto stimolandoci a riflettere, a cambiare
la nostra visione superficiale empatica in quanto illusoria:
il tecnicismo è una banalità rispetto all’accogliere l’uomo
sofferente che è davanti a noi e se anche proclamiamo che
noi “perdoniamo i peccati” oggi siamo molto più orientati
a dire al malato “alzati e cammina”. Gesù, però, allo stesso
tempo ci rassicura che nonostante sia difficile conciliare
questi due aspetti il Figlio dell’uomo ha il potere di farlo e ci
sprona a capire il nostro cammino. Il medico unitalsiano è per
sua natura un privilegiato perché è chiamato continuamente
a riflettere su questo argomento e a cercar di trovare delle
soluzioni: pur essendo medico (e quindi tecnico) accetta di
accompagnare delle persone ammalate a Lourdes e a vivere
con loro l’esperienza dell’incontro con Dio.
14 fraternità 02-2015
di p. Augusto Chendi
Sottosegretario del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari
Il medico unitalsiano deve quindi mettere a fianco dei
defibrillatori l’accoglienza della persona che si affida a
noi. Superficialmente siamo tutti pronti a dire che siamo
bravissimi ad accompagnare anche nella sofferenza
ogni pellegrino, ma spesso è solo un’illusione perché è
più facile essere promossi ad un corso BLSD, essere dei
tecnici, piuttosto che perdonare i peccati.
E Lourdes ce lo ricorda ogni giorno, soprattutto quando
offre a noi medici il mistero delle guarigioni miracolose: il
nostro tecnicismo si annichilisce di fronte al non spiegabile
e abbiamo paura.
Ci accorgiamo d’essere come dei piccoli bambini che si
spaventano quando sono di fronte a ciò che non conoscono,
che non “possiedono” razionalmente. Ma come nei bambini,
sicuri della protezione dei genitori, anche in noi, protetti
dall’amore materno di Maria, insieme allo stupore del
miracolo nasce la curiosità di capire perché Dio ci lascia dei
messaggi tangibili, intuibili anche dal “tecnico”. Il medico
unitalsiano deve quindi accogliere il Messaggio di Dio
cercando d’essere un buon tecnico che fa “camminare” i
paralitici e che accoglie l’uomo sofferente “perdonando” i
suoi peccati.
L’esperienza complessiva dell’assistenza alla persona
ammalata, anziana o disabile sembra essere qualche cosa
che appartiene ai cosiddetti “professionisti della salute”,
assecondando in tale modo l’idea che la salute e il suo
eventuale recupero, così come la sua custodia nelle diverse
forme di fragilità, sia relegata pressoché esclusivamente tra le
mura delle strutture di assistenza e di cura. Di fatto, molteplici
sono le persone e le figure, che a pieno titolo compongono
l’articolato spettro della pastorale sanitaria in senso ampio.
Fra queste, in particolare, non può essere sottaciuto l’apporto
diretto che i familiari offrono nell’assistere e nell’alleviare le
sofferenze dei loro congiunti. Lo stesso deve essere affermato
anche per tutti coloro che, nel segno squisito della gratuità,
si pongono al fianco di gruppi di persone e di strutture
sanitarie e di cura nella dimensione “feriale”, quotidiana
della prossimità al sofferente e alle persone fragili e indifese.
È, questo, il grande e ricco mondo dell’associazionismo,
confessionale o meno, nel quale da oltre 110 anni offre in
prima persona il proprio contributo l’UNITALSI. Come già
affermato, i volontari unitalsiani a partire dall’originaria
vocazione di accompagnamento delle persone ammalate
e disabili ai Santuari mariani di Lourdes e di altri luoghi
di culto, hanno sviluppato un’assistenza che si affianca
all’accompagnamento, alla vicinanza ‘feriale’ dei fratelli
sofferenti, andando a costituire un valido e prezioso - e a
volte insostituibile - supporto alle famiglie, che accolgono nel
proprio seno un familiare ammalato o disabile. Al riguardo,
essendomi anche personalmente reso “compagno di viaggio”
di questi volontari in occasione di iniziative dell’UNITALSI,
come nel caso del Pellegrinaggio dei Bambini in Missione
di Pace a Roma e in seguito a Barcellona, così come
recentemente in occasione del I° Convegno per Operatori
Sanitari UNITALSI nel dicembre scorso, ho potuto costatare
quanto siano preziosi la collaborazione e l’aiuto alle famiglie
nell’assolvere la fatica dell’assistenza, soprattutto nella
continuità spesso logorante e senza soste della quotidianità.
Questo aspetto, lungi dall’essere frutto di puro calcolo,
costituisce una testimonianza che la Chiesa, come “comunità
sanate” opera in favore del prossimo, spesso senza clamori
o echi di cronaca, bensì secondo il binomio tipicamente
cristiano dell’umiltà e del silenzio.
Il bene, infatti, si compie ed è quanto mai efficace
soprattutto quando è compiuto lontano dagli echi della
cronaca e nelle contingenze quotidiane della vita.
In questo contesto pienamente ecclesiale, la pastorale
unitalsiana concorre, quindi, ad annunciare il “Vangelo della
Vita” - seconda la profonda intuizione di San Giovanni Paolo
II -, assecondando in particolare il desiderio di assoluto, di
cui i pellegrinaggi a Lourdes e nel diversi Santuari mariani
italiani e nei diversi Paesi del mondo sono una eco profonda
ed eloquente. Porsi, pertanto, in ascolto dell’anelito di tanti
fratelli e sorelle piagati nel corpo e nello spirito significa per
i volontari dell’UNITALSI essere custodi e servitori della
vita umana, ovvero della persona la cui dignità inviolabile
e vocazione trascendente sono radicate nella profondità del
suo stesso essere. Inoltre, la dimensione ecclesiale, assicurata
anche dal punto di vista formale, dall’approvazione degli
Statuti dell’UNITALSI dalla stessa Conferenza Episcopale
Italiana come Associazione pubblica di fedeli, conferisce alle
diverse iniziative unitalsiane il ‘sapore’ e la certezza di agire
nel quadro più ampio della pastorale della salute, ossia della
presenza e dell’azione della Chiesa volte a portare la Parola e la
grazia del Signore a coloro che soffrono, ai loro familiari così
come a tutti coloro che hanno fatto del servizio al prossimo
sofferente una scelta di vita, ovvero una “vocazione”.
A ragione, quindi, nel ministero di quanti individualmente
o comunitariamente si adoperano per la cura pastorale degli
infermi, rivive la misericordia di Dio, che in Cristo si è
chinato sulla sofferenza umana e si compie in modo singolare
e privilegiato il compito di evangelizzazione, di santificazione
e di carità affidato dal Signore alla Chiesa.
Dossier Salute 15
D
Missionario laico in Kenya
I pazienti non sono clienti
Fabrizio Pulvirenti. il medico colpito dal virus di Ebola
Per anni ha lavorato fianco
a fianco con padre Zanotelli
e padre Moschetti
nelle baraccopoli di Nairobi,
dove la mortalità è altissima.
Torno in Africa, ora capisco
la tragedia dei malati
di Fabrizio Noli
vaticanista GRR Rai
Per anni il dottore Gianfranco Morino ha fatto il medico nelle
baraccopoli più estreme di Nairobi, un missionario laico nei
bassifondi dell’umanità…
Fabrizio Pulvirenti, medico volontario di
Emergency, guarito da ebola, la sua storia è nota al grande pubblico. Il virus di
Ebola continua a colpire in Africa, dalle
notizie che arrivano dalla Sierra Leone la
situazione non è affatto pacifica…
Qui ci sono i pazienti veri. Ogni volta che torno in Europa, - ma
anche qui quando sono in contatto con medici privati – penso
che il paziente si sia trasformato in cliente. I nostri malati
rimangono ancora pazienti non serviti da nessuno e senza
alcun diritto, neanche quello alla salute e all’educazione.
I casi di Ebola hanno subito una flessione nel numero quotidiano di nuove
infezioni. Io credo che ci sia un errore
di fondo nell’interpretazione della malattia da Ebola, perché bisogna stare
attenti in quanto sconfiggere un’epidemia non equivale a sconfiggere Ebola.
Ebola è un virus silvestre, una volta che
si esaurisce il suo focolaio epidemico il
virus torna nelle foreste e magari tra sei
mesi ricomparirà in un’altra area. Del
resto la storia delle epidemie ce lo insegna. Noi abbiamo avuto epidemie una
ogni due anni dal 1976 ad oggi.
Nelle baraccopoli, dottor Morino, i suoi pazienti sono numeri anonimi o ne ricorda qualcuno per l’aiuto che gli ha saputo
dare?
Un vaccino è possibile, secondo lei?
Il virus ha un’estrema variabilità sia inter-ospite, cioè cambiando il mantello
antigenico passando da un ospite all’altro, sia intra-ospite, cioè all’interno
dello stesso organismo infettato, cambiando le sue caratteristiche di superficie, proteiche, quindi cambiano i siti di
16 fraternità 02-2015
Lei è tornato di recente a fare il medico in
Sicilia, ma ha dichiarato che vuol tornare
presto in Africa occidentale. Che cosa
può portare un medico colpito da questo
virus a tornare tra chi combatte tra la vita
e la morte?
duta, perché per Ebola non è conosciuto se, e in che misura, e quando, l’immunità decade.
È una delle cose che stiamo cercando
di studiare all’Istituto Spallanzani. Vedremo nei prossimi mesi quello che
verrà fuori dallo studio del mio plasma,
poi daremo una risposta alla Comunità
scientifica.
Se c’è una prospettiva che cambia nei
rapporti con i pazienti è quella dell’empatia, perché conoscendo i sintomi, per
averli sperimentati in prima persona, si
partecipa di più alla tragedia del malato.
La cosa da sottolineare è che un virus
come ebola è difficile da sradicare
L’epidemia potrà esaurirsi nell’arco di
due mesi, due settimane?
attacco degli anticorpi. Si può dire che
è un virus intelligente.
Non c’è paura di una possibile ricaduta?
Rimane la paura di una possibile rica-
Non so dare un pronostico esatto, però
Ebola sarà pronto a ricomparire in altre
zone dell’Africa perché comunque c’è.
Ricordo spesso i pazienti, perché sono abbastanza fisionomista, e sono dunque centinaia quelli che riconosco al di fuori
della loro patologia. Devo dire che non viene mai meno la
partecipazione, anche se sul momento si richiede, soprattutto
per il lavoro di chirurgo, freddezza.
Le patologie più diffuse nelle baraccopoli?
Sicuramente c’è stata l’escalation dell’Aids, insieme a patologie costanti come tubercolosi e malaria. C’è la malaria d’
importazione, perché molti emigrano dall’ ovest dove è molto
diffusa e poi gastroenteriti nei bambini e le broncopolmoniti
dovute alle forti escursioni termiche.
I giorni sono decisamente caldi, ma le notti in baracca sono
molto fredde.
Il cancro è piaga diffusa, perché l’ambiente è molto inquinato
e tutte le diagnosi sono in stato avanzato, perché questa gente
non ha modo di accedere ai mezzi diagnostici preventivi o a
eventuali cure.
F.A.
Dossier Salute 17
Intervista al card. Gualtiero Bassetti
Obiettivo Sarajevo
La solidarietà
è la medicina dell’Unitalsi
Dalla periferia
all’Europa
La sua diocesi è un microcosmo dove convivono tutte le frontiere della missione.
Ormai il mondo s’è fatto piccolo; non esistono più le isole
incontaminate di una volta. Le diocesi italiane, e in primo
luogo Perugia, sono interessate dai grandi flussi migratori:
un’infinità di tradizioni etniche, religiose e culturali cercano
di convivere, non sempre facilmente, in un territorio che fino a
qualche decennio fa era monoetnico, identificato da un’unica
cultura e, per lo più, da un’unica tradizione religiosa. Si dice
che in questi ultimi anni si è arrivati a parlare, a Perugia, più
di cento lingue diverse. L’approccio con chi viene da contesti
e storie diversissime da quelle a noi familiari non è sempre
facile. Il mondo ecclesiale cerca di farsi prossimo soprattutto
a quanti arrivano per motivi umanitari, in cerca di lavoro
e di una vita più degna. Ma le frontiere della missione non
riguardano soltanto i nuovi venuti. C’è tutto un mondo di
nostri connazionali che vive ai margini del contesto ecclesiale,
in certi casi arrivando a malapena alle soglie della dignità del
vivere umano. Non si tratta, a volte, di casi clamorosi, ma di
bisogni inespressi, di situazioni vissute nel silenzio e che tocca
a noi scoprire e saper interpretare, pur con grande rispetto. È
anche a questo tessuto capillare che cerchiamo di avvicinarci
con la carità e il coraggio della testimonianza cristiana. In
questo senso, oltre alla Caritas diocesana, un lavoro molto
importante svolgono i gruppi e i movimenti ecclesiali.
Come si può fronteggiare il degrado metropolitano e l’immigrazione massiccia e spesso incontrollata anche nelle campagne?
L’immigrazione nel nostro Paese si è fatta più pressante negli
ultimi anni. Senza un’attenta politica di accoglienza e di
integrazione, si rischiano situazioni pesanti di convivenza, con
l’esasperazione di chi non riesce a comprendere il fenomeno
e vede la propria realtà cittadina o di quartiere sconvolta dalla
presenza di tante persone con attitudini e esigenze diverse. La
non gestione di tali fenomeni ha generato spesso, in chi sperava
di trovare da noi una vita migliore, situazioni di profondo
degrado e di povertà, forse peggiori di quelle lasciate nei Paesi
d’origine. Il discorso vale tanto per le periferie metropolitane,
abbandonate a se stesse, quanto per le realtà rurali dove molti
immigrati sono arrivati attratti dai lavori agricoli stagionali,
nei quali hanno trovato possibilità di sopravvivenza, ma anche
rischi di sfruttamento.
I parroci in particolare devono comportarsi come missionari?
Veramente i nostri sacerdoti si trovano a vivere e a cercar di
controllare un fenomeno talvolta più grande di loro. Anche se
il coraggio e la carità non mancano nei nostri preti, spesso si
18 fraternità 02-2015
Il cardinale Gualtiero Bassetti
Nato a Popolano di Marradi,
diocesi di Faenza-Modigliana,
nel 1942 ordinato Vescovo
nel 1994 e trasferito
ad Arezzo-Cortona-Sansepolcro
nel 1998. Promosso alla sede
arcivescovile di Perugia - Città
della Pieve nel 2009 è stato
nominato vice Presidente
della Conferenza Episcopale Italiana
nel 2009 e creato Cardinale
nel Concistoro indetto da Papa
Francesco il 22 febbraio 2014.
sentono come sopraffatti nei confronti di un flusso migratorio
fatto non da masse indistinte, ma da tante singole persone, con
volti, problemi, sofferenze e speranze, cui cercano – anche
attraverso le Caritas e le associazioni cattoliche – di arrecare
sollievo concreto. Sovente il parroco è il punto di riferimento
per famiglie disperse in vari continenti, è l’elemento di unità
per comunità etniche sparpagliate nel territorio. Intorno alle
nostre parrocchie e negli oratori si aggregano tanti ragazzi e
giovani provenienti da confessioni religiose le più diverse. La
Chiesa non fa distinzioni: apre a tutti le sue porte, che sono
le braccia di una madre “esperta in umanità”, come diceva il
beato Paolo VI.
In questo contesto, come si inserisce l’opera dei volontari Unitalsi? Non solo pellegrinaggi, ma quotidiana assistenza a malati,
disabili e ospiti delle case famiglia.
L’opera dell’Unitalsi è benemerita. Da più di cento anni è
vicina a chi soffre, nel corpo e nello spirito. La medicina che
l’associazione dispensa è molto semplice e a portata di tutti: la
“compagnia”, il “farsi accanto”. Tante malattie oggi si possono
curare grazie alle conquiste scientifiche. Ma la solitudine si
può curare solo con l’amore della vicinanza e della solidarietà.
“La solitudine è il veleno più grande per gli anziani” e per i
malati, come ha detto papa Francesco. Grazie dunque all’opera
dei volontari dell’Unitalsi; grazie per l’amore e per l’affetto
che portate ai malati e ai disabili. Farsi accanto a quelli che la
società scarta perché non più utili e produttivi o perché malati
è un segno di risurrezione. La morte e la sofferenza si vincono
anche – e direi soprattutto – con piccoli gesti di bontà.
M.F.
Nel 2009 Mons. Pero Sudar, vescovo ausiliare di Sarajevo,
ha rivelato come in Bosnia sia in corso un processo di
islamizzazione. Ne fanno le spese soprattutto i cattolici,
che sono numericamente molto diminuiti. Dagli 850.000
prima della guerra del 1991-95, sono scesi oggi a
442.000. Sudar ha citato ad esempio la diocesi di Banja
Luka, dove i cattolici sono scesi da 150.000 (prima della
guerra) a 35.000.
La maggior parte è partita “perché le loro case sono state
bruciate, anche per la pressione, per la paura di perdere
persino la vita”. Lo stesso fenomeno si è verificato a
Sarajevo, dove oggi i cattolici sono solamente 17.000 su
600.000 abitanti.
Papa Francesco troverà un Paese multietnico e multireligioso,
che dopo la guerra non ha ancora raggiunto una stabilità
politica. Il nostro problema – dice il vescovo Sudar- è proprio
questo: non riusciamo a trovare un accordo al nostro interno
e per questo abbiamo bisogno di un appoggio, di un aiuto
dall’esterno. In questo senso, certamente, papa Francesco può
essere un aiuto per la Bosnia Erzegovina.
Il giorno dopo l’annuncio della visita è apparsa sul quotidiano
locale Oslobodenje una comunicazione della comunità
musulmana che saluta la visita del Papa e si augura che possa
contribuire alla formazione di uno Stato stabile.
Il reis-ul-ulema Husein Kavazovic, capo della comunità
musulmana bosniaca, ha visitato il Cardinale Vinko Pulic,
arcivescovo di Sarajevo, per proporgli un incontro comune
tra il Papa e i capi religiosi della città. Questo incontro sarà
probabilmente il cuore della visita di Francesco. Il desiderio
dei capi religiosi non cattolici di incontrare tutti insieme
Francesco, non separatamente nelle proprie comunità come
avvenne durante la visita di Giovanni Paolo II, è certamente
un’ottima premessa. Questo mostra una nuova intenzione
di dialogo e collaborazione. Una caratteristica di questo
pontificato è il prestare attenzione alle regioni periferiche,
lontane dai centri decisionali. La Bosnia è piccola, ma il Papa
vi vede una grande opportunità di coesistenza e dialogo. La
sua visita vuole valorizzare questa possibilità.
La Bosnia è sicuramente un Paese alle periferie dell’Europa, ma
la Prima guerra mondiale è iniziata qui. Adesso deve tornare al
centro dell’ Europa. È un territorio dove si incontrano diverse
culture e religioni che possono contribuire alla crescita della
comunità, di una società multietnica e pluralistica..
Con l’annuncio della sua prossima
visita alla città martire,
Papa Francesco conferma
di guardare con attenzione ai luoghi
segnati dalla convivenza tra culture,
fedi e confessioni diverse.
Sarajevo, quel giorno di Wojtyla
Sarajevo, Bosnia, aprile 1997. È appena finita una
delle guerre civili più sanguinose e barbare di ogni
tempo, nel cuore della civilissima Europa. Giovanni
Paolo II desidera fortemente andare a Sarajevo, ma le
condizioni di sicurezza sono molto, molto precarie….
…Il Papa era dentro lo stadio a celebrare la Messa e
lo stadio fino a due mesi prima era stato una enorme
fossa comune di ventimila morti. Buttati lì tutti insieme, mussulmani, cristiani, cattolici, ortodossi, ebrei,
atei. Poi quei poveri corpi erano stati spostati sulle
colline intorno allo stadio. Il Papa vedeva dall’altare
intorno a sé solo croci, steli, cippi islamici. Ad un certo punto della celebrazione prese a nevicare e il Papa
piangeva. Poi gridò, urlò: “Mai più la guerra ! Che Sarajevo da città della morte diventi città della vita !”
Come d’incanto non nevicava più ed uscì il sole.
Qualcosa di straordinario, un prodigio della natura:
nevicava ed usciva il sole, come se gli eventi atmosferici seguissero le parole del Papa. Se parlava di
morte nevicava e il cielo piangeva. Se parlava di vita e
di speranza sbucava il sole e il cielo sorrideva.
(da “In viaggio con un Santo” di Filippo Anastasi, ed
Messaggero di Padova, 2011)
19
Riflessione
Superare con fede
malattia e dolore
don Danilo Priori vice Assistente Ecclesiastico Nazionale
Lourdes è la casa in cui ci piace
accogliere i nostri fratelli;
la Madre celeste
il modello a cui ispiriamo
il nostro servizio quotidiano.
La storia dell’Unitalsi si tesse con i fili
preziosi della carità vissuta “verso e
con” le persone malate, sofferenti e con
disabilità. La nostra Associazione è infatti un’esperienza condivisa che inizia
in prossimità della Grotta di Massabielle, nel dialogo fruttuoso e intimo con la
Vergine Maria, ma che diventa sussulto
di fede capace di trasfigurare il quotidiano. Uscire dalle proprie comodità e
raggiungere le periferie dove incontrare
il fratello in difficoltà per annunciare la
gioia dell’incontro con Gesù è il senso
del nostro peregrinare; abitare con delicatezza la relazione col prossimo e tendere la mano a chi ha bisogno di aiuto è
il tratto che ci contraddistingue; educare
alla vita buona del Vangelo e testimonia-
re col sorriso la speranza che non delude
è lo stile del nostro fare.
Lourdes, insomma, è la casa in cui ci
piace accogliere i nostri fratelli; la Madre celeste il modello a cui ispiriamo il
nostro servizio quotidiano. E proprio
nella quotidianità siamo chiamati da
una parte a riconoscere la salute come
dono prezioso, e dall’altra a collocare le
nostre fragilità e i nostri limiti nel cammino di fede che il Signore intende farci
compiere. Non è un caso se il Vangelo ci
racconta della richiesta, avanzata dagli
apostoli, di aumentare la loro fede (cf
Lc 17,5). Tuttavia, una volta rincuorati e istruiti gli apostoli sulle meraviglie
operate dalla fede, quand’anche delle
dimensioni di un seme di senapa, Gesù
riprende il cammino verso Gerusalemme, una sorta di pellegrinaggio lungo
il quale incontra instancabilmente le
periferie esistenziali dell’uomo provocando la sua risposta, poiché anche “se
noi manchiamo di fede egli però rimane fedele, perchè non può rinnegare se
stesso” (2Tm2,13).
Tra queste il racconto evangelico si sofferma spesso sull’esperienza della malattia e del dolore, in quanto è questa la
circostanza in cui - ieri come oggi - la
fede rischia di essere messa a dura prova. Ad approcciare Gesù stavolta sono
dieci lebbrosi, persone che, proprio a
motivo della loro malattia, vengono tenute ai margini della vita sociale e religiosa del popolo e ritenute responsabili
di mancanze verso Dio (cf Lc 17,11-19).
Probabilmente, a motivo del loro stato,
non hanno mai potuto incontrare il Maestro, e forse la sua fama di guaritore è
giunta fino ai loro orecchi; ma stavolta
incrociano il suo cammino e pur tenendosi a dovuta distanza, come volevano
le prescrizioni in materia, alzano la voce
affinché Gesù possa accorgersi di loro e
riversare su di essi quella misericordia
invocata. Non urlano infatti al Signore
di essere immondi, ma invocano la sua
pietà! A differenza di altre guarigioni,
Gesù non li tocca e non li intrattiene in
un dialogo prolungato, ma li invia verso i sacerdoti, ai quali era assegnata la
facoltà di verificare la guarigione delle
persone e la dichiarazione della loro
purità, e dunque il loro reinserimento a
pieno titolo nella comunità.
Le parole di Gesù sembrano anticipare la guarigione che accade lungo
la strada e i dieci lebbrosi accolgono la sua parola senza replicare. Ma
il loro andare a breve si rivela - per
buona parte di loro - esclusivamente
finalizzato ad ottenere la guarigione:
superata la sofferenza della malattia si comportano come coloro che
reputano dovuta la salute, una sorta
di ristabilimento di una condizione
iniziale ingiustamente infranta dalla
malattia stessa.
Soltanto uno di loro, un samaritano, appare essere veramente toccato dall’in-
20 fraternità 02-2015
contro con Gesù: con uno spirito che
sembra ricordare un episodio simile accaduto a Namaan il Siro (cf 2Re 5,15),
quest’uomo guarito dalla lebbra - uno
solo tra il gruppo dei dieci - torna indietro per dire grazie del dono ricevuto; e il
dono non è semplicemente la guarigione
corporale, della quale si sono accontentati gli altri nove, bensì una rilettura del
proprio vissuto alla luce dell’incontro
con Gesù.
Questo racconto presenta somiglianze
con l’esperienza vissuta da Giovan Battista Tomassi: come lui chissà quante
persone, devastate dalla lebbra di una
malattia che divora spirito e corpo,
sono tornate guarite da Lourdes; ma
sono probabilmente poche quelle che si
sono ricordate di tornare sui propri passi e rendere grazie al Signore in gesti e
opere!
È Gesù infatti che colloca l’uomo guarito in una nuova relazione con Dio e lo
conferma nel suo cammino di fede; ora
non dovrà più abitare le periferie dell’e-
sistenza con gli occhi bassi di chi viene
escluso perché il Signore è andato ben
oltre le sue aspettative, donandogli la
prospettiva della salvezza. Ed è sempre
Gesù che, con rammarico e un velo di
amarezza, guarda gli uomini e le donne
di ogni tempo tutte le volte in cui si limitano ad invocare il suo intervento per
situazioni contingenti, dimenticando di
proiettare le meraviglie operate da Dio
nell’ambito del ben più ampio progetto
di salvezza. Chissà con quali occhi il Signore guarda l’Unitalsi in questo tempo;
e chissà con quali occhi l’Associazione
rincorre affannosamente il raggiungimento dei minimi occupazionali sui
treni e negli alberghi, dimenticando di
tornare indietro per ringraziare quello
stesso Signore del dono prezioso ricevuto mediante il servizio ai più poveri.
Proprio nelle difficoltà più grandi basterebbe forse fare nostre le parole del salmista: A te, Signore mio Dio, sono rivolti i miei occhi; in te mi rifugio, proteggi
la mia vita (Sal 140,8).
Riflessione 21
I nuovi Santi
Il prete “gaucho”
che piace al Papa
La Grotta
torna
ai pellegrini
Manca poco, pochissimo, e il Cura Brochero – il “prete gaucho” amatissimo in Argentina – potrà compiere il grande passo ed essere annoverato tra i Santi del calendario, dopo la
beatificazione avvenuta nel 2013. “Il verdetto della commissione di 7 medici della Pontificia Congregazione per la Causa
dei Santi, che da Roma sta studiando il possibile miracolo,
si dovrebbe conoscere presto”, conferma Mons. Santiago
Olivera, arcivescovo della città argentina di Cruz del Eje e
postulatore della causa di canonizzazione.
Il miracolo sarebbe la rapida guarigione di una bambina aggredita dal patrigno e dalla madre. “Tuttavia oltre a questo
caso - dice mons. Olivera - ce ne sono altri; molti riguardano
coppie che non potevano avere figli oppure persone guarite
da problemi cardiaci”. Il primo miracolo attribuito a Brochero, quello decisivo per la beatificazione, aveva invece avuto
come protagonista un giovane la cui ripresa dopo un terribile
incidente automobilistico non poté essere spiegata dagli esami medici .
La devozione di Papa Francesco per Brochero non è un
mistero per nessuno. Lo conferma il postulatore mons.
Olivera. “È vero, perché tra l’altro era un prete che amava molto i gesuiti e gli esercizi spirituali”. E spiega ricordando un episodio con protagonista proprio l’attuale
Papa: “Nel 2009 Bergoglio, allora arcivescovo di Buenos
Aires, elogiò proprio Brochero citandolo quale esempio
di “sacerdote che usciva, che andava verso l’incontro”.
È la stessa idea di Chiesa del Papa, una Chiesa che stia
in mezzo alla gente e che si può riassumere proprio nella
definizione che il Papa dà di Brochero: “un pastore con
odore di pecora”.
A Roma Olivera si è incontrato anche con Papa Francesco.
“Gli abbiamo detto che vorremmo fosse lui ad officiare l’eventuale cerimonia di canonizzazione in Argentina “. E il
Papa ha manifestato la volontà di farlo, forse l’anno prossimo, quando dovrebbe recarsi in Argentina.
Una volta l’arcivescovo Bergoglio si trovava in visita alla
casa di Brochero, a Villa Cura Brochero, il paese in cui il
prete esercitò il suo ministero e dove morì, nei pressi della
città di Cordoba. C’erano anche delle telecamere che lo riprendevano per un servizio giornalistico e il futuro Papa ripeteva: “Imitiamo il padre Brochero, che usciva, usciva, usciva
a cercare la gente, i lebbrosi, i malati, i poveri…”. E infatti,
Brochero, povero e lebbroso ci morì, dopo aver percorso in
lungo e in largo a dorso di mulo la Traslasierra, bella regione
nei dintorni di Cordoba oggi nota per i suoi altipiani (le sierras, appunto), ma che all’epoca del prete gaucho era una terra
22 fraternità 02-2015
di Gaetano Pepe
difficile, sotto molti aspetti simile al “far west” americano.
Lì, dove mancava quasi tutto, l’attività di Brochero andò ben
oltre la semplice evangelizzazione tanto che è oggi unanimemente riconosciuta come decisiva per lo sviluppo di quella
parte del Paese. Il “pastore con odore a pecora” costruì personalmente – aveva buone conoscenze di ingegneria – e con
l’aiuto dei fedeli scuole, strade, cappelle, uffici postali, oltre
a fondare la Casa di Esercizi Spirituali ancora oggi in piena
attività (e che attira anche molti non cattolici).
“Finalmente si torna in Grotta!”. Queste sono le parole esclamate dai fedeli presenti a Lourdes il 2 Aprile 2015, Giovedì
Santo. Alle ore 9 e 30, infatti, Mons. Nicolas Brouwet, vescovo di Tarbes e Lourdes, insieme con padre Horacio Brito,
Rettore del Santuario di Nostra Signora di Lourdes, ha ufficialmente riaperto l’accesso alla Grotta di Massabielle.
Dopo quattro mesi e mezzo, i pellegrini hanno potuto ritrovare la proverbiale serenità che questo luogo di fede elargisce.
C’ era voglia di tornare, una necessità forte rinchiusa nel cuore da tempo. I molti presenti si sono precipitati alla Grotta.
L’apertura , prevista inizialmente il primo di aprile, è stata
rinviata di un giorno a causa di problemi dell’ultimo minuto,
ma poi tutto è stato risolto prontamente .
.
“Siamo qui oggi – dice chiaramente emozionato il rettore Brito - per tornare là dove Maria richiama tutti noi ogni giorno,
come faceva con Bernadette durante le apparizioni e là dove
Maria ci ha chiesto di venire in processione. Facciamolo in
raccoglimento”. Dunque, gli operai hanno rimosso le barriere
e Mons. Brouwet, con padre Brito, hanno guidato i fedeli in
processione, intonando l’Ave Maria di Lourdes.
Arrivati in Grotta, il vescovo di Tarbes e Lourdes ha incitato i
fedeli a “vivere questo luogo in silenzio, per riuscire a pregare
e a meditare con la giusta concentrazione. Oggi è la giornata
perfetta per iniziare a farlo, avviandoci verso la Domenica di
Pasqua”. Dopo aver pregato insieme ai pellegrini, il vescovo
si è avvicinato alla roccia, inaugurando il passaggio in Grotta,
seguito dal rettore e dai presenti, che non attendevano altro.
Ricordiamo le principali novità che gli unitalsiani in arrivo nel 2015 potranno notare nel “piazzale della Grotta”,
dopo lo “spazio alberato” che lo precede:
•la pavimentazione in pietra (modificata anche in Grotta)
a forma semicircolare;
•l’impianto d’illuminazione potenziato;
•le panche in legno curve;
•la barriera protettiva che delinea la forma tipica
del teatro romano e accompagna il pellegrino
verso il passaggio in Grotta, con la scoperta della Sorgente.
Oltre il piazzale, sono evidenti i lavori, che proseguono a
tamburo battente, per la costruzione del nuovo ponte mobile
che faciliterà il passaggio tra le due sponde del fiume Gave.
Nella foto
Cura Brochero
in una foto d’epoca.
in alto
la statua in suo onore
23
è l’ora del 5 x 1000
A tutti soci, ai volontari anziani e giovani,
nelle periferie del nostro Paese…
grazie e grazie...
a quanti non fanno parte
dell’Associazione e si sono avvicinati
agli stand, portando via con loro
una piantina d’ulivo,
simbolo di pace, di fraternità
e di appartenenza all’UNITALSI
Abbiamo 110 anni di vita
alle nostre spalle
e 110 anni di vita
da raccontare.
di Caterina Martino
Storie di malattia, disabilità, indigenza, povertà. Storie
di esultanza, condivisione, accoglienza, accudimento.
Ci trovi su tutto il territorio italiano dove c’è una persona
anziana sola che ha bisogno di aiuto e di compagnia, dove
c’è una persona malata che ha bisogno di sostegno o di
essere accompagnata in ospedale, dove c’è il bisogno di
sorridere, di gioire e di divertirsi, sempre accompagnati
per mano da Cristo Gesù, nello spirito caritatevole che ci
contraddistingue.
Quella dell’UNITALSI è una “storia di servizio” che dal
1903, anno della sua fondazione, si è sempre alimentata
del desiderio di essere uno “strumento” nelle mani di Dio,
per portare la speranza dove c’è disperazione, donare un
sorriso dove regna la tristezza.
Noi siamo quelli dei treni bianchi
che si nutrono del desiderio
di vivere il Vangelo nella quotidianità
e per questo, partendo dai pellegrinaggi,
realizziamo una serie numerosa
di progetti in grado di offrire risposte
concrete ai bisogni di ammalati,
disabili, persone in difficoltà.
24 fraternità 02-2015
Grazie alle vostre donazioni
noi garantiamo, con i nostri volontari
e i nostri mezzi, agli anziani
ed ai disabili un insieme di servizi
domiciliari leggeri, di volta in volta
attivabili, e atti a rispondere
ad una serie di bisogni specifici
di carattere psicologico-sociale;
di favorire l’inclusione sociale
di persone disabili e anziane attraverso
l’attivazione di una serie
di servizi di tipo socio-assistenziale
tra cui:
•accompagnamento per semplici commissioni;
•visite a domicilio per compagnia e relazione sociale;
•acquisto di medicinali o alimenti;
•accompagnamento per la riscossione della pensione,
per terapie, per esami clinici;
•disbrigo di pratiche presso Uffici ed Enti Pubblici;
•passeggiate nel quartiere per mantenere
viva la vita di relazione;
•visite a musei, cinema, teatro e manifestazioni
di diverso tipo per impegnare il tempo libero;
•servizi di “tregua” per i parenti di persone anziane
e disabili con difficoltà di autonomia;
•supporto alle persone disabili e anziane
per il raggiungimento della loro autonomia
nella vita domestica tra cui aiuto per la preparazione
dei pasti, igiene della casa e personale.
•incontri di auto-mutuo aiuto.
•accoglienza gratuita delle famiglie di bambini
ricoverati presso gli ospedali pediatrici.
25
Un docufilm di Pupi Avati
Aci
Treni bianchi
e non solo
Codice della strada
verso la semplificazione
di Maristella Giuliano
di Chiara De Carli
MILANO. Pupi Avati racconta la storia
degli ultimi cento anni delle Ferrovie
Italiane. È così che il noto regista è stato
incaricato di girare un mediometraggio
di 45 minuti, in cui protagonisti sono
gli ultimi 100 anni di storia ferroviaria
del Paese: dall’ingresso dell’Italia
nella Grande Guerra all’EXPO 2015.
Iniziativa che prenderà il via nel
prossimo mese di maggio, nella città di
Milano e la cui inaugurazione coinciderà
con il primo viaggio del Frecciarossa
1000, il non plus ultra della tecnologia
europea nell’Alta Velocità ferroviaria.
Il filo conduttore è il viaggio in treno, che rappresenta l’evoluzione e le
trasformazioni della società italiana
nell’ultimo secolo.
Ecco, perché è nata l’idea di includere in
questi quarantacinque minuti gli storici
viaggi della speranza, con i treni bianchi dell’UNITALSI, Unione Nazionale
Italiana Trasporti Ammalati Lourdes e
Santuari Internazionali, associazione
che da più di un secolo si preoccupa di
ridare valore e autenticità agli emarginati dalla società. Di tutto questo abbiamo parlato con il maestro Pupi Avati.
Nei suoi film sono presenti testimonianze di fede, ma immagini di treni
che io ricordi poche..
Francamente ricordarmi esattamente di
40 film è un po’ difficile. Sicuramente
in qualche scena sono presenti, ma
non come protagonisti della storia.
Solitamente, il treno è stato identificato
come mezzo di spostamento tra una
scena e l’altra, ma è la prima volta che
do atto a delle sequenze essenziali per
una storia che si svolge all’interno dei
convogli.
26 fraternità 02-2015
L’immagine del treno, come mezzo di
comunicazione e ideale del viaggio:
come viene vissuto dal suo punto di
vista?
Viene vissuto insieme alla coincidenza
dei 100 anni di storia ferroviaria e con
l’apertura di EXPO 2015, nei primi
di maggio. È un’occasione che viene
data da questa iniziativa, aggiunta alla
concomitanza del centenario dell’inizio
della prima guerra mondiale, il 24
maggio 2015. In questi anni, il treno
ha accompagnato lo sviluppo storico,
economico e culturale di un Paese; è
quindi un pretesto per raccontare un
viaggio lungo un secolo vissuto tra
i vagoni di un treno, che via via si è
evoluto parallelamente al nostro Paese.
Le scene saranno tappe di un’evoluzione
che sarà possibile riscontrare proprio
durante l’EXPO: l’ultima sequenza
si conclude con la partenza del
Frecciarossa 1000 che entra nei
padiglioni dell’EXPO, come in una
sorta di lieto fine.
E nello specifico per i trasporti dei malati?
In questi anni, le funzioni del treno sono
state varie: dalle più deprecabili, come
il trasporto degli ebrei ad Auschwitz,
per citarne una tra le più nefaste, ad altre
le più nobili e addirittura sacrali come
quella che effettua l’Unitalsi. Chi non
conosce l’Unitalsi! Negli ultimi incontri
in Sala Nervi con il Sommo Pontefice
mi sono reso conto di quanto sia vasta
l’ampiezza dell’attività svolta. Ciò che
colpisce è sia l’entusiasmo dei malati,
sia di chi li assiste. Ricordo addirittura
nella mia infanzia e nella mia giovi
nezza che essere volontario dell’Unitalsi
era quasi un segno di riconoscimento,
molto apprezzato. Tra le attività del
treno, è sicuramente rimasta quella più
nobile e più spirituale, per questo meno
legata alle contingenze esterne.
Ogni anno, sono all’incirca novanta
i convogli si recano a Lourdes, trasportando persone che scelgono di
intraprendere questo viaggio, nella
speranza che accada qualcosa e
che cambi la loro vita. Ad accompagnarle persone che si prendono
cura di loro: tutto ciò si somma alla
riconoscenza che gli ammalati hanno nei confronti dei volontari.
Per questo ho deciso di raccontare
un breve flash in cui un ragazzo eredita questo insegnamento dal padre, che era stato barelliere per oltre
trent’anni.
Il tramandamento tra generazioni,
consiste in una caratteristica del mio
cinema, sostengo sempre l’insegnamento delle tradizioni attraverso le
generazione, senza interruzione.
Secondo lei il messaggio che l’Unitalsi
desidera trasmettere è ancora attuale?
Secondo me lo è sempre di più. Anche
se ultimamente non sono più solamente
le malattie fisiche, ovvero le varie forme cardiovascolari, tumori a rendere
ostaggi della disperazione, ma soprattutto le malattie della mente.
Le persone stanno progressivamente
sempre più pazze, perché vivere nelle
contingenze quotidiane è molto complicato. Ultimamente ci si deve confrontare con la solitudine, con contesti
famigliari che non danno più garanzie
e protezione.
La riforma del codice della strada è ancora una volta sotto la
lente del nostro legislatore, ma questa volta più che procedere
in singole o parziali modifiche, si punta alla revisione
dell’intero impianto codicistico. Il disegno di legge S 1638,
attualmente allo studio del Senato, reca infatti “Delega al
Governo per la riforma del codice della strada, di cui al decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285”. L’atto è stato già approvato
dalla Camera dei deputati e, per essere legge, deve superare
l’esame del Senato. Attualmente l’ottava Commissione del
Senato (lavori pubblici e comunicazioni) sta svolgendo
l’esame in sede referente ed è stato disposto un ciclo di
audizioni informative di organismi tecnici, associazioni ed
esperti nel settore che aiuteranno la Commissione stessa ad
individuare i temi più urgenti e significativi da proporre in
sede di riforma. Il disegno di legge in sostanza prevede una
delega al governo per l’adozione entro dodici mesi dall’entrata
in vigore della legge, di decreti legislativi di modifica del
codice della strada. Il nuovo codice dovrà essere riorganizzato
e soprattutto semplificato, per renderlo più accessibile a tutti i
cittadini. In 230 articoli, il legislatore del ’92, aveva pensato
di disciplinare tutta la disciplina attinente alla circolazione
stradale, nella sua accezione più ampia, e in questi 22 anni
di vita del codice, si sono succeduti più di 100 interventi
legislativi di modifica, spesso settoriali e parziali. Per giungere
alla semplificazione sarà quindi necessario procedere anche
alla delegificazione di alcune disposizioni, soprattutto quelle
più tecniche, che troveranno la loro disciplina in regolamenti
a parte. L’obiettivo è giungere all’articolazione di un testo
più comprensibile e snello composto di pochi articoli e volto
a disciplinare essenzialmente i comportamenti corretti che i
cittadini devono adottare su strada, al fine di generare un
aumento dei livelli di sicurezza stradale, e riuscire a dimezzare
entro il 2020 il numero dei morti rispetto al 2010, in linea con
quanto richiesto dall’Europa. Tra le varie proposte di modifica,
particolare attenzione è dedicata all’utenza vulnerabile. Per
utenza vulnerabile si intendono bambini, disabili, anziani,
pedoni, ciclisti, conducenti di ciclomotori e motoveicoli. In
tema di utenza vulnerabile sono significative soprattutto le
proposte sviluppate per le aree urbane, quali: la pianificazione
della viabilità per incentivare la mobilità ciclistica e pedonale;
l’accesso delle biciclette, dei ciclomotori e dei motocicli alle
corsie riservate ai mezzi pubblici; la facoltà per i comuni di
riservare appositi spazi per il parcheggio delle donne in stato
di gravidanza e di coloro che trasportano bambini di età non
Il Papa a Napoli ha indossato
il casco per la campagna
sulla sicurezza sulle strade
Gesto simbolico di Francesco per sostenere la campagna dell’Aci ‘A Maronna. Nell’incontro con i giovani
l’altro ieri a Napoli Papa Francesco ha indossato un
casco per il motorino. La scelta, ha spiegato il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo della città ‘’ha rappresentato un atto simbolico della campagna per la
sicurezza stradale che stiamo portando avanti con l’Aci all’insegna del motto ‘A Maronna t’accumpagna!’’.
‘’Abbiamo preso anche le misure della testa di Papa
Francesco per fargli indossare un casco adatto’’ racconta parlando in Curia con i giornalisti al termine della
messa officiata.
superiore a due anni; il rafforzamento del trasporto pubblico e
l’interconnessione tra questo e le altre modalità di trasporto; la
specificazione delle modalità di sosta e di transito dei veicoli
adibiti al servizio di invalidi, e la previsione dell’aggravamento
delle sanzioni nel caso di utilizzo improprio (abuso) del
contrassegno o di occupazione illegittima degli stalli dedicati
alle persone disabili; l’introduzione della definizione normativa
di car pooling, inteso come uso condiviso di veicoli privati,
organizzato tramite l’intermediazione di soggetti pubblici o
privati.
Sempre in tema di disposizioni rivolte alle persone disabili, si
prevede l’attribuzione al Ministero della salute del compito di
adottare le linee guida per le commissioni mediche locali, in
merito alle attività di accertamento dei requisiti psicofisici per
il conseguimento e il rinnovo della patente di guida.
Queste e tante altre sono le novità all’esame del Parlamento,
che avremo modo di approfondire anche nei prossimi numeri.
Comitato di redazione della Rivista giuridica on line
della Circolazione e dei Trasporti ACI (www.rivistagiuridica.aci.it)
27
Bioetica
Confronto
con i nuovi diritti
Angela Maria Cosentino docente di Bioetica
In arrivo una
monumentale,
innovativa
e rivoluzionaria
enciclopedia
Le questioni di carattere bioetico in quasi tutte le nazioni si traducono in leggi
che orientano l’agire di miliardi di persone. Si richiede, perciò, per legislatori
e non solo, una bussola di orientamento
che, pur nel rispetto del pluralismo etico
e religioso, si fondi su un comune denominatore permanente nell’uomo: l’etica naturale aperta alla trascendenza e
al rispetto dei diritti fondamentali della
persona.
A tal fine, l’Enciclopedia di Bioetica e
Scienza Giuridica, progettata in 12 volumi, edita dalla SEI (Edizioni Scientifiche Italiane) di Napoli, rappresenta un
importante riferimento sotto il profilo
scientifico, antropologico, etico e biogiuridico, per i contributi di autorevoli
autori provenienti da 37 Università italiane e straniere, 5 Atenei pontifici, centri ospedalieri di studio e di ricerca.
Nata in ambito cattolico, come sviluppo
della bioetica, l’Enciclopedia è aperta
al mondo per offrire soluzioni rispettose della legge naturale scritta nel cuore
dell’uomo.
L’opera, giunta ormai al volume VIII
(M), è stata presentata, con una conferenza pubblica, nell’Auditorium del
Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per
studi su Matrimonio e Famiglia. L’evento, introdotto da Mons. Livio Melina,
Preside dell’Istituto, ha registrato l’intervento del Cardinale Elio Sgreccia,
Presidente emerito della Pontificia Ac-
28 fraternità 02-2015
cademia per la Vita, direttore dell’opera
insieme al prof. Antonio Tarantino, docente di filosofia del diritto, Università
del Salento di Lecce, fortemente impegnato nella raccolta di fondi europei che
ne hanno consentito la pubblicazione.
Elio Sgreccia ha tracciato da “artigiano” (come ama definirsi) che costruisce
senza un modello davanti, il solco della
bioetica personalista ontologicamente
fondata (aperta alla trascendenza), cioè
non relativista perché presuppone l’essere della persona.
L’Enciclopedia rappresenta un importante strumento annesso alla bioetica,
di cui rappresenta l’evoluzione, in un’epoca storica caratterizzata dai cosiddetti nuovi diritti1 nei quali anche il corpo
umano diventa oggetto di legislazioni, a
cominciare dalla prima legge sull’aborto
in Russia, nel 1920, emanata per facilitare le donne ad entrare, come gli uomini, nel mondo della produzione, e poi
diffusasi nei Paesi del Nord del mondo,
in nome della libertà individuale.
In realtà, la tripletta (come è stata definita da S. Giovanni Paolo II) che comprendeva contraccezione, sterilizzazione e aborto è stata imposta inizialmente
ai Paesi in via di sviluppo, in cambio
di aiuti economici, come birth control
(controllo delle nascite), dal triplice patto tra Usa, Giappone ed Europa, con il
coinvolgimento dell’Onu e di alcune sue
Agenzie, e poi è stata estesa anche ai Paesi industrializzati.
Con il diffondersi di una cosiddetta bioetica laica secolarista che non ammette
l’esistenza della verità (e neppure della ragione), si afferma sempre più una
visione utilitarista (secondo cui il bene
coincide con l’utile) e contrattualista
(secondo cui il bene è definito per accordo). In particolare, l’utilitarismo è stato avviato nel ‘700 dal filosofo inglese
empirista David Hume (1711-1776), il
quale riteneva che solo la scienza potesse pronunciarsi sulla verità dei fatti dai
quali, però, non sarebbero derivati doveri. Il filosofo, accettando la separazione
tra scienza ed etica, ha escluso il legame
tra vero e bene. Eppure, questa cosiddetta legge di Hume non corrisponde alla
realtà dell’essere umano e il Cardinale
l’ha spiegata con un esempio: nel caso
in cui in Toscana si legalizzi la bestemmia, perché utilizzata dalla maggioranza della popolazione (come uso locale),
essa resterebbe, comunque, sconveniente per l’essere umano. Il vecchio utilitarismo si trasforma nel neoutilitarismo
di Jeremy Bentham (1748-1832) il quale
applicò il principio (oggi di grande attualità) di massimizzare il piacere, minimizzare il dolore e ampliare la sfera
delle libertà personali per il maggior
numero di persone.
Successivamente, il filosofo australiano
contemporaneo Peter Singer compie un
passo ulteriore perché riduce la categoria di persona a quella di sensiente (ca-
pace cioè di provare piacere o dolore),
che diventa il registratore dell’etica. Per
il filosofo che introduce il criterio della
gradazione, l’uomo e l’animale hanno
simile natura giuridica con una differenza di gradualità relativa allo sviluppo
del cervello.
Il suo volume Ripensare la vita, che
raccoglie questa corrente di pensiero,
contemplando solo l’etica pubblica degli adulti fit (adeguati) esclude insieme
agli embrioni e ai soggetti in stato vegetativo, il riferimento al fondamento
dell’essere.
Infine, il filosofo americano contemporaneo Tristan H. Engelhardt, di impostazione liberale, sostiene che il bene
pubblico non si può costruire ma lo si
può definire mediante un accordo che
delinea l’etica dei consenzienti. Così,
(dopo il contratto sociale di J. J. Rousseau) compare il contratto etico di Henghelardt, che però, anch’esso ignora i
criteri fondativi.
La legge civile diventa etica pubblica,
la legge privata diventa l’ambito in cui
ognuno si comporta secondo l’ispirazione della volontà.
Nella foto
Mons. Elio Greccia
L’Enciclopedia, in tale pluralismo di
visioni, rappresenta un notevole sforzo
per promuovere un confronto tra etica
e diritto, tale da non imporre teorie riduzioniste verso Dio e la persona, che
riducano tutto all’utile, ma che si aprano
all’uomo e alla sua profonda domanda
di senso e di significato (oltre il riduzionismo biologico).
Quindi, in tale confronto, sarebbe irragionevole non considerare questa chiave
di lettura lumeggiata da fede e ragione,
luci provenienti da un’unica sorgente.
L’Enciclopedia, che si ispira a tale
sguardo antropologico, è destinata non
solo ai politici e a coloro che nel mondo
sociale si interfacciano con le istituzioni, ma anche a docenti, studenti e cultori
della vita che saranno stimolati dall’innovativo inserimento laterale al testo,
di richiami a ulteriori voci di ricerca e
dall’agevole collocazione delle note bibliografiche sia a piè di pagina sia a fine
argomento.
1 Cf. N. BOBBIO, L’era dei diritti, Einaudi, Torino 1989 e 1990.
29
La barberia del Papa, sotto il colonnato di San Pietro
Alla ricerca
della dignità
Su volontà di Bergoglio, poveri e
senzatetto che gravitano attorno al
Vaticano possono usufruire, oltre
che delle docce, anche del servizio
di barba e capelli. Si tratta dell’ultima iniziativa promossa dall’Elemosineria apostolica, il braccio
operativo della carità del Pontefice,
guidata da Monsignor Konrad Krajewski. (distico)
Dal 16 febbraio i clochard che vivono
attorno al Vaticano possono usufruire
non solo di docce e bagni ma anche
di un servizio di taglio barba e capelli.
L’ha voluto Papa Francesco che ha
autorizzato ad adibire uno spazio ad hoc
sotto il colonnato di piazza San Pietro.
La “barberia del Papa” è una delle
ultime iniziative per i poveri di Roma
promossa dall’Elemosineria apostolica,
il braccio operativo della carità del
Pontefice guidata da Monsignor Konrad
Krajewski, l’Arcivescovo polacco al
quale Bergoglio aveva chiesto di non
rimanere dietro la scrivania ma di
divenire il suo prolungamento concreto
a favore degli ultimi. Così Krajewski
dopo aver organizzato la costruzione
delle docce, che ha subito qualche
ritardo sui tempi di ristrutturazione
previsti, ha fatto riservare un’area dei
nuovi locali ampliati sotto al Colonnato
ad una sala da barbiere.
“La prima cosa che noi vogliamo”, ha
detto Mons. Krajewski, “è dare dignità
alla persona. La persona che non ha la
possibilità di lavarsi è una persona socialmente rifiutata e tutti noi sappiamo
che un clochard non può presentarsi in
un posto pubblico come un bar o un
ristorante per chiedere di usufruire dei
servizi perché questi gli vengono ne-
30 fraternità 02-2015
“Questa è casa vostra”. A sorpresa Papa Francesco ha raggiunto nella Cappella Sistina i 150 senzatetto, invitati dalla Elemosineria Pontificia a visitare
i Musei Vaticani. I clochard erano arrivati da poco quando, si è affacciato il
pontefice accompagnato solo da un collaboratore. Papa Francesco ha stretto
le loro mani, uno per uno, e ha preso la parola dicendo: “Benvenuti. Questa è
la casa di tutti, è casa vostra. Le porte sono sempre aperte per tutti”.
gati”. “Ma certo - fa sapere sull’ultima
iniziativa - fare la doccia e poter lavare
la biancheria non basta. È necessario
anche essere in ordine con i capelli e
la barba, anche per prevenire malattie.
Un altro servizio che un senzatetto difficilmente potrebbe avere in un negozio
normale perché magari potrebbe sollevare il timore di diffondere ai clienti
qualche malattia, come ad esempio la
scabbia”. Tra un paio di settimane il
servizio sarà pronto a partire assieme
alle tre nuove docce.
Molti hanno già donato l’attrezzatura
necessaria per il servizio: forbici, spazzole, rasoi e le poltrone da barbiere.
Tra i primi barbieri volontari due sono
dell’Unitalsi, altri frequentano l’ultimo
anno della scuola di barbieri di Roma.
Taglio e barba saranno effettuati di lunedì, il giorno in cui i negozi sono chiusi
e i barbieri sono quindi liberi dalla loro
attività. Tra una sforbiciata e una passata di rasoio, i volontari hanno ascoltato
le loro storie: “C’era un 19enne italiano cacciato di casa dal padre - racconta
Daniele Mancuso, parrucchiere di Fiumicino - . E un signore che non passava
dal barbiere da due anni. Ora sembra
averne 20 di meno”. “Noi - aggiunge
Arianna Corsi - abbiamo restituito loro
solo un po’ di dignità”. Un solo appun-
to: “Mi dispiace aver visto pochi barbieri di Roma”, conclude Daniele. Volontari dell’Unitalsi hanno consegnato
ai clochard kit per la barba, intimo e
asciugamani freschi di lavanderia. “Ci
siamo fatti lo shampoo - racconta qua-
si commossa Barbara, una delle poche
donne presenti al debutto del servizio
aperto il lunedì, il giovedì e il venerdì
- e i barbieri sono stati bravissimi”. “È
vero - si accoda Claudio - ho letto tutto sui giornali. Avevo i capelli fin sotto
le spalle e mi sono detto “meno male
che c’è Francesco”. Ad avvertire gli
altri senzatetto durante la consegna dei
pasti è stato l’elemosiniere pontificio,
Konrad Krajewski. “Lo devo ringraziare - dice Gregorio - i miei figli sono in
Grecia e mi piacerebbe rivederli. Così
sono più presentabile. Questo Papa è
come Wojtyla, non fa distinzioni tra
ricchi e poveri”. Sorride anche Pavel:
“Sono arrivato in cantiere 20 anni fa
dalla Polonia, poi mi sono trovato senza lavoro. Ora c’è qualcuno che si prende cura di noi. Adesso mancano solo i
bagni chimici di notte”.
Nelle foto
le docce realizzate sotto
al colonnato a Piazza San Pietro,
l’Elemosiniere del Santo Padre,
Mons. Konrad Krajewski
e i volontari “barbieri” dell’Unitalsi
insieme ad un clochard.
31
Leggere
“Predicate sempre il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole”. Francesco lo ha detto più volte.
I lettori
ci scrivono
Allora, per comporre un “alfabeto di Papa Bergoglio” bisogna tener conto non solo delle parole che ha pronunciato, ma
anche dei gesti, degli atteggiamenti, delle scelte. Dalla A di
“affari” alla Z di “zucchetto”. Temi importanti, come “famiglia” e “gioia”, ma anche curiosi e sorprendenti.
È il caso della lettera B, dove si trova la “borsa” che il Papa
porta con sé in aereo, della T, con il “telefono” così amato da
Francesco, e della U, dove figurano le “utilitarie” da lui usate
per spostarsi.
Caro Direttore,
sarà possibile ottenere l’indulgenza plenaria nel corso del
Giubileo anche in pellegrinaggio a Lourdes?
Maria Assunta C. Caserta
Gentile Maria Assunta,
l’indulgenza plenaria viene concessa dal Papa nella
formula stessa di indizione dell’Anno Santo. Nei precedenti
Giubilei, ad esempio, quello del 2000, era allargata, oltre
che al pellegrinaggio a San Pietro, nelle Basiliche giubilari
di Roma, in Terra Santa, e nelle Chiese designate in ogni
diocesi. L’altra volte il Santuario di Lourdes era tra i luoghi
sacri designati per avere l’indulgenza. E anche questa volta il
Papa ha deciso che la Porta Santa sia in ogni Santuario ed in
ogni Chiesa, secondo la volontà del Vescovo titolare .
Per ottenere l’indulgenza non basta però il solo pellegrinaggio,
ma è necessario ottemperare ad alcune elementari regole
del buon cristiano. Confessarsi e comunicarsi nel corso del
pellegrinaggio, avere atteggiamento di effettivo distacco da
ogni peccato, pregare secondo le intenzioni del Santo Padre,
fare atti di carità e penitenza che esprimano la conversione
del cuore, operata da sacramenti.
Ne esce un riassunto, scritto con penna arguta e mai banale,
degli aspetti più caratteristici di un pontificato che sta segnando in modo indelebile il messaggio e lo stile della Chiesa.
Un raffinato testo che attraversa le quattordici stazioni della
Via Crucis; per la preghiera personale e comunitaria nel tempo di Quaresima, tutto a colori, testi grandi e di facile lettura
arricchito con fotografie artistiche dove anche il popolo è partecipe della celebrazione.
Il cardinale Angelo Comastri attira il lettore verso la “Croce”
che ci parla dell’amore supremo di Dio; contempliamolo con
uno sguardo più profondo e scopriremo che la Croce non è il
segno della vittoria della morte, del peccato, del male, ma è
il segno luminoso dell’amore, anzi della vastità dell’amore
di Dio.
Gesù sulla croce ci affida difficoltà, sofferenze, malattie, umiliazioni, ma, unendoci ad essa e al suo dolore, possiamo partecipare non solo alla sua sofferenza, ma anche alla sua gloria.
Per la Pasqua di Cristo, ma anche per ogni periodo
dell’anno, questo libro è davvero prezioso!
32 fraternità 02-2015
Caro Direttore.
mi piace la nuova grafica, leggera, essenziale, senza la paura
del vuoto (gli spazi bianchi rendono la pagina più gradevole
alla vita). Mi piacciono anche le frasi in caratteri più grandi
virgolettate e il carattere lineare scelto per i titoli, nonché
le frasi scritte in rosso. Bene anche per l’essenzialità degli
articoli, mai pesanti o troppo lunghi. Una sola cosa non
ho gradito: sulla carta stampata le pagine 4 e 19, dove gli
articoli sono sovrascritti all’immagine, gli stessi risultano
poco leggibili perché si confondono col sottofondo, cosa che
peraltro non noto sulla copia in video.
Grazie comunque, e tanti auguri per la nuova Pasqua.
Cordialità
Ilario Dal Brun, Unitalsi Vicenza
Caro Ilario,
grazie per gli appunti precisi al nuovo numero di Fraternità.
Abbiamo cercato di fare del nostro meglio in economia e,
con incoraggiamenti come il tuo, cercheremo di fare sempre
meglio, Buona Pasqua e un abbraccio fraterno.
Ecco il libretto che accompagnerà i pellegrinaggi Unitalsi
in questo 2015, con una serie di riflessioni legate al Tema
Pastorale del Santuario di Lourdes: “LA GIOIA DELLA
MISSIONE”.
Uno strumento utile per meditare sull’esperienza del
pellegrinaggio, occasione speciale per riscoprire la
“missione” affidata dalla Chiesa a ciascuno di noi.
Una veste grafica moderna e funzionale rende questo
libretto un perfetto “compagno di viaggio”, da portare
sempre con sè, per scandire il tempo del pellegrinaggio
declinando così il tema della “missione”: la gioia della
missione nella comunione (giorno dell’arrivo); la gioia
della missione nella fragilità (giorno della celebrazione
penitenziale); la gioia della missione nella Chiesa (giorno
della processione eucaristica); la gioia della missione
nella quotidianità (giorno del flambeaux); la gioia della
missione nel quotidiano (giorno della partenza).
Scarica

Scarica il n. 2/2015