Quattro deficienti e una donzella
(ovvero viaggiare verso nord e incontrare Omero)
Stefano Gueraldi
(REV 2 – 25 febbraio 2007)
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Ne è consentita la diffusione telematica purché non a scopi commerciali, a condizione che
venga riconosciuta l’attribuzione all’autore originario e che questa dicitura sia riprodotta.
A Helsinki l’incontro con l’ultimo quinto, quello mancante; era lì ad
attenderci in aeroporto, contento di vederci dopo una settimana passata nella
noia più totale a zonzo per la capitale. Giusto il tempo di riprendere fiato
che ci apprestiamo a ritirare l’auto noleggiata dall’Italia. Cerchiamo di
capire come funziona questo Grand Voyager e via, inizia il viaggio.
La Finlandia e i suoi luoghi comuni sono il motivo per il quale abbiamo
deciso di partire. Con la curiosità di scoprire una nazione che vive con ritmi
differenti rispetto ai nostri abituali, come dei novelli Sal Paradise e Dean
Moriarty, ci avviamo tra le contraddizioni apparenti di un paese dove
innovazione e tradizione coesistono e dove tecnologia e ambiente non
sembrano essere in antitesi. Dopotutto, la pur presente mano dell’uomo
lascia il passo al verde incontaminato, un verde che aiuta a ritrovare la
propria dimensione dando modo di riscoprirsi parte della natura.
È bastato uscire dalla bolgia autostradale della capitale per lasciare alle
spalle il caos quotidiano della nostra modernità e immergersi nell’atmosfera
finlandese. Poche decine di chilometri lanciati verso ovest ed ecco che la
mano dell’uomo lascia il passo alla natura. Una natura addomesticata, al
servizio dell’uomo, ma comunque imponente e sempre presente.
Trovando il coraggio di uscire da quelle strade statali che, unico raccordo
tra le principali città del paese, segnano per centinaia di chilometri il
paesaggio, si viene premiati entrando in una dimensione completamente
diversa della vita finlandese. Alla frenesia della città si sostituisce la
rilassatezza e la tranquillità della campagna. Il manto stradale cambia in
modo netto, quasi a volerne sottolineare le differenze, e la terra battuta,
rossastra e finissima, accompagna ora il nostro percorso attraverso campi di
segale e minuscoli centri abitati non segnati nelle carte stradali dove anche
una sola piccola casa diventa pretesto per indicare un paese.
Sono i luoghi descritti da Omero nell’Iliade, secondo una suggestiva teoria
che riconduce a queste terre le gesta eroiche degli audaci achei. Le notti
chiare, così come le gelide rugiade che incrostavano di ghiaccio gli scudi
dei valorosi guerrieri narrate nei poemi omerici, troverebbero infatti una più
precisa e consona collocazione se trasposti nell’area baltica, dove quelle
incongruenze e contraddizioni che da sempre legano le vicende omeriche a
una collocazione mediterranea svaniscono come un brutto sogno alle prime
luci dell’alba.
L’idea che Schliemann fosse un commerciante trombone con la passione
dell’archeologia mi ha sempre turbato. D’altra parte, quella sua arguzia nel
ricondurre un qualsiasi scavo archeologico degno di nota all’universo
omerico esprime una rara qualità commerciale. Un Bill Gates d’antan,
insomma. Solo che invece di rifilare al mondo intero sistemi operativi
maldestramente ispirati, ha avuto l’ardire di avviare la più brillante fabbrica
di sogni mai esistita. Una fabbrica in grado di celebrare il mito attraverso la
visibilità; un pizzico di malizia e una buona dose di fortuna sono così
riusciti a rendere reale il più antico enigma della storia. Nonostante le
contraddizioni e le forzature evidenti negli scavi di Schliemann non si può
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certo negare il fascino dato dalla possibilità di ritrovarsi finalmente a
contemplare il mito. E quando si rimane sedotti non è poi così facile
ritrovare la strada che conduce alla ragione.
Attraverso strade di campagna arriviamo a Kisko per poi proseguire
lambendo la costa orientale del Kirkkojärvi fino alla piana di Aijala, l’antica
spiaggia dove secondo le cronache sbarcarono gli achei. Il paesaggio che si
presenta agli occhi dello straniero è sognante. Per chi è abituato a vivere
costretto da catene montuose che attenuano le bizzarrie del tempo, l’assenza
di monti sufficientemente alti da impedire cambiamenti repentini del clima e
quelle nuvole in perpetuo movimento mosse da venti che rendono l’aria
tersa e la pianura nitida, diventano teatro ideale nella ricerca di quella libertà
interiore repressa nella modernità.
Lasciati ai lati i boschi di abeti e betulle, tra il verde dei campi nel tragitto
che da qui porta a Salo, insoliti tumuli si stagliano nella pianura talvolta
circondati da qualche raro arbusto. Antichi sepolcri dell’età del bronzo,
manufatti di cui queste zone sono particolarmente ricche.
Raggiungiamo Salo in serata dove decidiamo di passare la notte nell’ostello
locale. La scuola elementare è stata adattata giusto per l’estate. Le classi che
diventano camerate con l’aggiunta di qualche branda e una sala mensa uso
cucina a disposizione degli ospiti.
Dovremmo essere da soli in tutto l’edificio. Purtroppo ci sbagliamo. La
confusione creata dal nostro arrivo sveglia due ubriachi che stavano
smaltendo la sbronza qualche stanza più in là. Non sembrano pericolosi, ma
i loro racconti iniziano ad alimentare la tensione. Con lo sguardo spento
parlano di risse, scontri e manganellate ricevute dalle forze dell’ordine.
Davanti a loro, il bicchiere ricolmo di un’orrenda bevanda leggermente
alcolica al sapor di lampone si vuota al finire di ogni frase. Sono in fuga da
Helsinki dove hanno picchiato alcuni poliziotti arrivati per sedare una rissa
all’interno di un locale. Sono finlandesi di origine russa. Non sono in buon
rapporto con la popolazione e ancor meno con le istituzioni. Tenersi lontani
per qualche giorno dalla città sarebbe servito a calmare le acque.
Ci mostrano orgogliosi le loro cicatrici e i lividi lasciati dai manganelli della
polizia. In un inglese pastoso e sgrammaticato Kaspar, il più socievole dei
due, cerca di rassicurarci sulla loro buona fede. Siamo amici e non avremo
nulla da temere. Il terribile battibecco tra i due, però, non aiuta certo a
placare gli animi.
Poco prima di cena Viktor esce dalla doccia con il solo asciugamano in vita,
uno spettacolo di per sé assolutamente disgustoso. Lo sguardo vitreo e il
passo misurato, si avvicina al tavolo e appoggia con fare tranquillo un
qualcosa che non riusciamo subito a riconoscere. Solo quando pochi istanti
dopo cade distrattamente a terra aprendosi in tutta la sua ampiezza, ci
rendiamo conto che si tratta di un coltello a serramanico lungo almeno una
spanna. Da lì in poi l'ansia inizia ad insinuarsi tra di noi. Certo, siamo amici
e non abbiamo nulla da temere, ma la litania di Kaspar sembra più un modo
per calmare il suo collega che una sincera rassicurazione per i nostri animi.
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Ad ogni affermazione di Kaspar con lo scopo di tranquillizzarci, Viktor ci
osserva con lo sguardo spento mentre con tono grave e lento risponde:
«forse, o forse no». Più di una volta la paura che quell’uomo enorme si
scagliasse verso di noi è sembrata fondata. Se a questo aggiungiamo che di
lì a poco il ragazzo dell’ostello sarebbe tornato a casa chiudendo a chiave la
porta d’ingresso e lasciandoci in balia dei due, il quadro diventa chiaro.
Barricarsi in camera organizzando dei turni di guardia è improbabile, oltre
che snervante. Meglio cercare con l’aiuto del ragazzo una sistemazione in
qualche ostello nelle vicinanze nonostante l’ora tarda.
Sbaracchiamo in tutta fretta ma, quando ormai pronti a partire ci
raccogliamo davanti al Grand Voyager, Daniele non è tra noi. E anche
Viktor è sparito. E con lui il coltello a serramanico. Cercando di mantenere
la calma, malgrado la tensione sempre crescente, cerchiamo Daniele in
lungo e in largo attraverso le aule della scuola. Nessuno. Kaspar
sprofondato nel bicchiere pieno dell’imbevibile brodaglia non è certo
d’aiuto. In due proviamo a scendere nei sotterranei, tenebrosi come solo i
sotterranei riescono a essere: bagni tenebrosi, docce tenebrose, sgabuzzini
tenebrosi, caldaie tenebrose. Andrebbero bene per ambientarci un racconto
tenebroso, ma di Daniele nessuna traccia. Solo quando l’ansia stava per
sopraffare quel minimo di autocontrollo che faticosamente eravamo riusciti
a mantenere, scorgiamo in lontananza, verso la palestra, delle ombre in
movimento. Lente e rilassate, si stagliano ondeggiando dall’ampia vetrata
che rischiara il corridoio con il bagliore della sera nordica. La voce di
Daniele, calma e rassicurante, risuona debole nel corridoio mentre la sua
mano appoggiata amichevolmente alla spalla di Viktor mostra una certa
distensione tra i due. «Non preoccupatevi, è tutto a posto. Voleva fare due
passi e ho colto l’occasione per calmarlo» ci dice intuendo dall’espressione
del nostro viso il nostro stato di apprensione. «Ad ogni modo, vediamo di
levare al più presto le tende».
Alle undici e mezza di sera partiamo finalmente verso Turku, più tranquilli
e rilassati. Per la prima volta da che eravamo partiti veramente uniti.
Nella zona prospiciente Turku si collocano le isole appartenenti al più
importante arcipelago del Baltico. Decidiamo di fare un cambiamento di
programma avventurandoci tra terra e mare. Collegate tra loro da un
efficiente servizio di ferry boat gratuiti, con i quali è possibile raggiungere
Stoccolma non senza qualche difficoltà, le isole mostrano ancora una volta
il lato agreste del paese. I bassi fondali dei pochi laghi fin qui incontrati
lasciano posto all’oscuro mare, livido e impetuoso come solo un mare del
nord sa essere. Le acque sospinte dal turbinio del vento s’infrangono sulla
bassa costa dove il loro odore e quello dei boschi vicini si mescolano in una
nuova fragranza. La giornata è soleggiata e si rivela particolarmente
rilassante farsi accarezzare la pelle dalla brezza marina. Con i finestrini
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aperti e i capelli al vento, corriamo per strette strade di campagna immersi
nell’atmosfera frizzante che ogni prima volta porta con sé.
Inebriati dalla natura,
il respiro s’acquieta
al sapore dell’aria.
Ovviamente, come ben sa anche il più mediocre degli scrittori, dopo aver
delineato un quadretto così sdolcinato e smorfioso da impaurire anche il
lettore con un tasso di glicemia nella norma, è quasi impossibile non
aspettarsi l’imprevisto. Un imprevisto vestito da polizia municipale che
dopo aver controllato con efficace tecnologia la nostra velocità ha pensato
di fermare lato strada l’allegra brigata. E finalmente comprendiamo perché
tutte le auto locali frenano all’ingresso di ogni paese qualsiasi sia la loro
velocità di crociera.
Il tutto si è svolto nella frazione di tempo necessaria ad acquisire velocità
dopo una leggera discesa che porta giusto al centro di un piccolo paese
sperduto tra le isole. Lasciando il piede dall’acceleratore senza però avere
l’accortezza di riporlo sul freno per contrastare la forza di gravità, siamo
entrati a Simonby senza accorgerci della pattuglia pronta ad ingannare il
tempo con il rilevatore laser. Paletta in vista, accostiamo diligentemente.
Ora, posso capire che per la polizia locale la possibilità di trovare
finalmente qualcuno così poco rigoroso nel rispettare le regole dia
l’opportunità di mettere in pratica per la prima volta tutte quelle norme
imparate al corso di addestramento, ma essere accompagnati dentro un’auto
della polizia e fatti accomodare nei sedili posteriori per un eccesso di
velocità è una prassi alla quale non siamo certo abituati. Ogni resistenza è
inutile, cercare un dialogo all’aria aperta evitando la condizione
claustrofobica data dallo spazio angusto dell’auto della polizia sembra
un’operazione impossibile: quelli sono i sedili posteriori, si accomodi e
fornisca patente e libretto.
Bisogna ammettere che in Finlandia essere ligi alle regole è uno stato
mentale. Che siano giuste o sbagliate sono regole e per questo vanno
rispettate. Ogni considerazione personale è bandita: la norma regola il
comportamento. Punto. Dunque, anche entrare nel piccolo paese alla
velocità di cinquantotto chilometri all’ora spinti dal moto inerziale della
discesa diventa un’infrazione particolarmente grave. Indipendentemente dai
fattori il prodotto non cambia: novanta euro. E c’è ben poco da mediare,
anche quando si scopre che la giovane poliziotta incaricata di trasmettere la
multa ha vissuto per molto tempo in Italia, il paese più affascinante che
abbia mai visto per la sua cultura, per il buon cibo e per le persone che lo
abitano. Indipendentemente dai fattori il prodotto non cambia: novanta euro.
Gli amici italiani, la loro vitalità, le visite ai musei d’arte, quel mare
incantevole della costiera amalfitana, il sole d’inverno. Sono sempre
novanta maledetti euro.
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Queste lande con orizzonti a più infinito mostrano un cielo così immenso da
sembrare finto (porca miseria, novanta euro!), mentre le nuvole sempre più
ostili prendono le forme più disparate – alcune sembrano delle signorine in
divisa che redigono una multa, ma credo si tratti di una allucinazione dovuta
allo shock culturale.
Decidiamo di inoltrarci nuovamente per strade secondarie e dopo aver
lasciato l’auto a lato dello sterrato ci avviamo nel bosco. Non molto grande
come bosco. Anzi, tutt’altro. Tempo pochi minuti e infatti il boschetto
finisce, e pure la terra sotto di noi. Davanti ai nostri occhi si apre uno
spettacolare mare scuro e livido che inizia ad inasprirsi sospinto dal vento
che porta con sé nuvole cariche di pioggia.
Affascinati da questo scenario così avvolgente, solo successivamente ci
rendiamo conto di essere circondati da piccole costruzioni di legno sparse
un po’ ovunque. Le più fortunate in vista mare, le altre tra il bosco e la
radura. In Finlandia la sauna ha un importante valore sociale e queste
piccole saune ad uso privato lo dimostrano. Raccolte, intime, per quattro
persone, cinque al massimo. Le pietre sistemate al centro e la piccola stufa
alimentata a legna posta al di sotto così da portarle velocemente ad alta
temperatura. L’odore di abete e betulla a impregnarne l’interno. Al di fuori,
per quelle dirimpetto al mare, una lunga corda legata sapientemente
all’albero più resistente viene usata per aiutarsi a risalire dai pendii umidi e
scivolosi dopo essersi gettati nell’acqua gelida come prevede la regola della
sauna finlandese professionale.
Ritroviamo il fascino delle città mitteleuropee in una soleggiata giornata a
Turku, ex capitale finlandese e perenne rivale di Helsinki. Come spesso è
accaduto ai centri abitati del nord Europa, anche Turku è stata oggetto di
innumerevoli incendi nel corso della sua storia. Incendi che hanno portato a
una ridefinizione continua del tessuto urbano, ma che non hanno impedito di
preservare l’unico quartiere di case in legno adagiato sulla collina antistante
il fiume e diventato oggi museo a cielo aperto. Ora, posso capire che le case
in legno abbiano un loro fascino e posso anche capire che in questi luoghi
dove la materia prima non manca costruire una casa in legno sia un processo
più semplice e immediato. Quello che non riesco a comprendere, invece,
sono le motivazioni che hanno portato le popolazioni nordiche a perseverare
con la costruzione di case in legno nonostante almeno una volta ogni cento
anni le città andassero letteralmente in fumo, bruciate da incendi più o meno
accidentali che piegavano l’economia urbana obbligando i cittadini a vivere
senza un passato. Ma, soprattutto, mi sfugge la casualità per la quale,
nonostante ogni cento anni le città andassero letteralmente in fumo, un po’
ovunque si sono salvate piccole porzioni di città adibite dalla lungimiranza
politica locale a noiosissimi musei etnografici. Che Nessuno, comunque,
obbliga a visitare.
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Sulla città domina un’opera di Mario Mertz. I numeri al neon, situati lungo
la verticale della ciminiera di una vecchia fabbrica del centro cittadino, si
sviluppano in una lunga serie di Fibonacci che, ergendosi al di sopra della
città, si propone come punto di riferimento visivo per coloro che accedono
al centro dall’arteria principale. Nelle immediate vicinanze, il castello di
Turku. Rilassato all’ombra degli alberi nel parco adiacente il castello, mi
lascio ipnotizzare dalle evoluzioni di due scoiattoli che si rincorrono a
mezza altezza sull’albero di fronte. Come due Cip & Ciop in salsa
finlandese i due scoiattoli continuano a giocare tra loro aggrappati alla
corteccia dell'albero continuando a roteare attorno al tronco. Si fermano,
raccolgono delle ghiande, fanno cadere le ghiande e ritornano a inseguirsi
roteando attorno al tronco dell’albero. Poi scendono. Uno alla volta si
avvicinano circospetti ai miei piedi. Piano, lentamente, con un po' di paura
mista a curiosità, quasi fossero un elastico. Infine ritornano sui loro passi,
salgono nuovamente sull’albero e ricominciano a rincorrersi roteando
attorno al tronco. Ben sapendo che Nessuno li osserva.
Nuovamente in movimento proseguiamo il nostro viaggio dirigendoci verso
nord, alla volta di Rauma, cavalcando le infinite statali finlandesi. Spostarsi
in Finlandia non è difficoltoso, la rete stradale è curata, ma le distanze che
separano i grandi centri obbligano a delle lunghe e snervanti attraversate. Il
limite di velocità molto basso costringe a rivedere la tabella di marcia. Ogni
tanto qualche auto con targa straniera ci supera ridicolizzando i limiti di
velocità. Lasciamo volentieri la mano, avendo già avuto modo di conoscere
le giovani poliziotte finlandesi.
Betulle a destra, betulle a sinistra, la strada inesorabilmente dritta con
qualche curva giusto per ravvivare la guida. Già al terzo giorno ci rendiamo
conto di quanto il tempo trascorso in auto sarà tutt’altro che irrilevante.
L’auto come casa, come luogo di vita quotidiana. E dobbiamo ancora
lasciarci alle spalle il popoloso sud del paese.
Città considerata patrimonio internazionale dall’UNESCO Rauma è l’unica
ad aver interamente preservato l’impianto urbanistico originario. La
cittadina, situata lungo la costa baltica, diventa così uno specchio attraverso
il quale conoscere il passato urbano della Finlandia. Un passato nel quale le
basse case in legno, circondate da strade in ciottolato, si snodano con i loro
colori pastello per tutto il centro storico. Ci aggiriamo lentamente per i
vicoli curiosando qua e la, senza capire in effetti quale sia la differenza con
il museo etnografico. È una città morta, talmente ben conservata da apparire
finta. Camminiamo nel silenzio totale di un pomeriggio lavorativo e tra le
strade Nessuno ci accompagna. La città non è molto grande, ma tra quelle
case così simili è piuttosto facile perdere l’orientamento. Girando in tondo
per ore, Nessuno si è proposto come guida; poi, d’un tratto, scompare così
com’era venuto. In balia degli eventi, richiamando quel nome a gran voce,
ci rendiamo conto di essere caduti inconsapevolmente nella trappola più
antica mai raccontata.
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Ci svegliamo a Tampere, in una giornata di pioggia. Del giorno prima pochi
ricordi offuscati: case di legno, colori pastello, confusione e smarrimento.
Persone incontrate? Nessuno.
Tampere è la più grande città industriale della Finlandia, storico teatro delle
battaglie che hanno lacerato la Finlandia durante la guerra civile scoppiata
nel 1918. Una Torino nordica: qui iniziarono i primi subbugli dei lavoratori,
da qui partì la lotta che portò alla guerra civile tra Bianchi e Rossi, qui trovò
rifugio Lenin – a differenza di Torino – in vari periodi della sua vita prima
di ritornare in Russia dopo la rivoluzione del febbraio 1918. E proprio a
Lenin è dedicato un museo poco lontano dal centro cittadino. Ben poco,
chiariamoci subito. Quello che pomposamente è chiamato “museo” altro
non sono che due misere stanze ricavate da un appartamento al terzo piano
di un edificio residenziale in cui sono state raccolte le documentazioni della
permanenza di Vladimir Ilic Ulianov nella patria finlandese. Attraverso le
vetrine, ci accompagnano dei veri e propri feticci: il cappello usato da
Vladimir Ilic Ulianov nel freddo inverno del 1908, il paltò che Vladimir Ilic
Ulianov usò per ripararsi dal ventoso autunno del 1909, le ciabatte in pelo
d’orso usate da Vladimir Ilic Ulianov per tenere i piedi al caldo mentre
pianificava il ritorno nella patria russa alla fine del febbraio 1917.
Senza l’ottima documentazione scritta la visita si concluderebbe in pochi
minuti. La dispensa distribuita all’ingresso aiuta invece a creare il pathos
necessario all’incontro con il reperto più importante di tutto il museo.
Bacheca dopo bacheca, il materiale presentato ricostruisce minuziosamente
la vita finlandese del rivoluzionario russo in ogni suo aspetto, sino a
raggiungere un momento di grande tensione con il più emozionante reperto
presentato al pubblico: in fondo alla sala, ritagliandosi uno spazio tutto per
sé, si staglia tra le cianfrusaglie il divano letto nel quale Vladimir Ilic
Ulianov dormì in una notte di primavera. E non da solo, bensì condividendo
il già angusto spazio con uno sconosciuto rivoluzionario finlandese durante
la visita a un amico comune a Tampere.
Partiamo alla volta di Jyväskylä, giovane centro universitario nonché città
dove trovano spazio molte delle opere progettate da Alvar Aalto. La città è
giovane e giovanile; e molti sono i luoghi di ritrovo per gli universitari. Le
caffetterie e le birrerie non mancano e sono sparse un po’ per tutto il centro.
La città è di nuova fattura e si fa apprezzare per le sue linee pulite e
razionali. Linee curiose, sempre attente a giocare con quanto le circonda.
Con le macchine fotografiche alla mano entriamo nella facoltà di Pedagogia
credendo di trovare qualche ostacolo. Invece, nessuno sembra prestare
particolare attenzione alla nostra presenza e siamo perciò liberi di curiosare
a destra e a manca senza una meta precisa. E proprio muovendoci tra aule
deserte e corridoi affollati incontriamo Suvi, una giovane studentessa di
storia dell’arte che, incuriosita dal nostro interesse per l’architettura, si
presta ad indossare le vesti di Cicerone. Grazie a una guida d’eccezione,
riusciamo così a muoverci con disinvoltura tra gli edifici e le strutture che
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compongono la facoltà di Pedagogia, una delle più importanti opere di Aalto
nella città di Jyväskylä. A fare da corollario alla geniale gestione dello
spazio, però, sono soprattutto la cordialità e la disponibilità dei finlandesi
che si presentano tutt’altro che introversi e taciturni.
L’impareggiabile curiosità reciproca, infatti, ci permette di stabilire un buon
rapporto con Suvi, che ci regala uno splendido pomeriggio in compagnia.
Scopriamo così che la nostra interlocutrice conosce abbastanza bene il
nostro paese, dove ha già avuto modo di vivere per qualche mese grazie al
progetto Erasmus. Non ne condivide però un certo comportamento
sbarazzino, tanto da rimanere un po’ perplessa quando, con rinnovata faccia
di legno, incuriositi dalla confusione all’ingresso, entriamo nell’aula magna
della facoltà durante una conferenza internazionale sui rapporti tra le culture
ungro-finniche. Cogliamo l'occasione di una pausa accordata dal relatore per
fotografare le soluzioni adottate da Aalto nel progettare questa aula. Il
nostro muoversi con spiccata naturalezza ci fa sembrare a occhi estranei dei
fotografi professionisti.
Finalmente a Jyväskylä arriva il tanto sospirato primo approccio con la
sauna finlandese! Del gruppo, solo Antonio aveva provato il piacere
catartico della sauna. Arrivato a Helsinki una settimana prima di noi,
Antonio ha avuto tutto il tempo per apprezzare la liturgia e i ritmi imposti da
questa pratica; e proprio lui ci introduce in quel mondo.
Chiariamolo subito, la sauna non è un bagno turco. Il che dovrebbe essere
lapalissiano, eppure spesso le due pratiche vengono confuse. Nel bagno
turco il tasso di umidità è molto alto e può raggiungere livelli elevati (anche
del 90%), da cui il caratteristico vapor acqueo che annebbia la stanza. La
temperatura invece è relativamente bassa, stabilita attorno ai cinquanta gradi
centigradi. Nella sauna, invece, la temperatura è ben più alta e oscilla tra i
settantacinque e novanta gradi, mentre il tasso di umidità rimane molto
basso. Inoltre, benché la nudità imposta possa risvegliare in qualche modo
certi sogni erotici giovanili mai veramente dimenticati, bisogna sottolineare
che la sauna promiscua esiste solo nelle abitazioni private (purtroppo),
mentre nei luoghi pubblici le saune sono differenziate per genere, allo stesso
modo delle toilette.
Liberatisi da qualsiasi tipo di abbigliamento, quindi, varchiamo la porta
della sauna completamente nudi. Entriamo in una stanza piccola, molto
calda e interamente ricoperta di legno e sediamo su panche distribuite su più
livelli. A lato, un piccola stufa sulla quale poggiano centinaia di pietre
roventi dove viene gettata dell’acqua gelida con un mestolo da cucina.
Appena gettata sopra le pietre, l'acqua evapora immediatamente rilasciando
una parte del calore; una volta raggiunto il basso soffitto il vapore scende
restituendo una seconda parte del calore, maggiore della prima. Il risultato è
quello di sudare quanto un’ora di corsa in una soleggiata giornata d’agosto,
ma con questa sensazione di trascendenza decisamente molto orientale.
Sembrerebbe tutto finito, e invece è solo l'inizio. Dopo una permanenza in
sauna variabile e un numero variabile di mestolate rigeneranti, una volta
usciti dalla sauna con i pori ben dilatati e in mancanza di un prato innevato
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o di un bel lago pronto uso, ci si infila prontamente sotto la doccia gelida!
Posso capire che potrebbe sembrare un gioco nemmeno troppo velatamente
masochista, ma la sensazione provata, dopo un primo impatto violento
degno del peggior incubo alla Hellreiser, è molto, molto rilassante. Da qui
una scelta: o ritornare nuovamente in sauna, dilatare ancora per bene i pori
della pelle e poi infilarsi di nuovo sotto la doccia con masochistico piacere,
o sedersi su comode poltrone godendosi appieno il momento di relax.
La sera prepariamo una cena semplice nelle sale comuni dell’ostello e
cogliamo l’occasione per invitare anche Suvi. Ben disposta per l’invito,
rimane nuovamente perplessa al conoscere l’orario dell’incontro. Con
simpatia, ma senza rinunciare al gusto cinico per la stilettata
dall’inconfondibile sapore finlandese, ci fa notare quanto i nostri ritmi siano
decisamente fuori luogo in Finlandia: «Carissimi, qui non siamo in Italia
dove si cena quando si vuole. Ora siete in Finlandia!». Le biondine, infatti,
cenano alle 17.30 circa.
Come già avevamo avuto modo di scoprire durante la giornata, Suvi si
dimostra una piacevole conversatrice. Grazie a lei riusciamo finalmente a
decifrare la mentalità finlandese, le sue peculiarità e le sue idiosincrasie. La
difficoltà di vivere in una terra di confine dove lo stare da una parte o
dall’altra può fare la differenza. Un po’ di malinconia vela le sue parole,
mettendo in luce, nonostante la sua giovane età, un carattere fortemente
legato alla propria tradizione. D’altra parte Suvi non è una ragazza di città e
ciò può forse spiegare questo suo legame privilegiato. Studia a Jyväskylä,
certo, ma è una ragazza del nord. Viene da Oulu all’estremità nord del golfo
di Botnia, dove si prepara a ritornare in settimana. Rispetto al tragitto che
avevamo tracciato sulle mappe stradali sarebbe stata necessaria una decisa
virata verso ovest, ma non possiamo mancare di ricambiare la cortesia. Le
offriamo un passaggio fino a casa. In fondo lo spazio in auto non manca e la
sua compagnia allieterà ancora per qualche giornata il nostro viaggio.
La mattina ci attende ancora la città di Jyväskylä con altri importanti edifici
progettati da Alvar Aalto. Dopo essere riusciti a visitare il museo progettato
e dedicato interamente ad Alvar Aalto godendo della riduzione studenti
grazie a una vecchia tessera delle fotocopie dell’università, soffermiamo la
nostra attenzione sul Teatro Comunale, centro culturale cittadino. Entriamo
facilmente, ma scopriamo dal via vai concitato di persone elegantemente
vestite che all'interno dell’auditorio si sta tenendo un simposio a pagamento.
Entrare è assolutamente proibito. Non digiuni dai film di James Bond, però,
ben sappiamo che quando qualcosa è assolutamente proibito significa che in
fondo è prevedibilmente accessibile. E ricordando che non si deve mai dire
mai, di soppiatto, con scatto felino, riusciamo a salire le scale e arrivare al
piano superiore dove si trova il Café del teatro. Da qui la vista è buona e si
riesce a controllare le bionde vichinghe dalla corporatura generosa che
stazionano diffidenti alle porte d’entrata alla sala. Nei nostri completi da
agente segreto comprensivi di occhiali da sole in finta tartaruga, che il
rispetto per l’equilibrio ambientale è importante, lunghi pastrani alla
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Humphrey Bogart e giornale in lingua rigorosamente finlandese per non
dare nell’occhio, teniamo sotto controllo la situazione senza farci scoprire e
attendiamo il momento migliore per agire.
Che siano dovute andare al bagno o che abbiano avuto contemporaneamente
l’urgente necessità di strafogarsi di cheeseburger al McDonald prospiciente
il teatro – che per mantenere generosa una certa corporatura bisogna curare
soprattutto i particolari – fatto sta che entrambe le valchirie si assentano per
qualche minuto regalandoci l’occasione che stavamo aspettando per entrare
di nascosto nella sala del teatro. Sgattaioliamo prudentemente verso la porta
d’accesso nelle nostre tenute, pronti a rinnegare di conoscerci qualora
fossimo colti con le mani nel sacco dal personale del teatro. Muovendoci
silenziosamente con un occhio alle scale e uno a dove mettere i piedi,
arriviamo alla porta. Poi, uno alla volta, entriamo di soppiatto senza farci
scoprire. E mentre la sala gremita ascolta con interesse l’auditore, noi
riusciamo finalmente a godere appieno delle strutture armoniche e
funzionali progettate da Aalto. I nostri completi da agente segreto
dimostrano di valere il carissimo prezzo al quale li abbiamo comprati; e
nessuno nella sala pare fare a caso a noi nonostante il modo in cui siamo
vestiti.
Alle sei di sera abbiamo appuntamento a casa di Suvi per la tradizionale
torta di benvenuto. Troviamo facilmente il complesso residenziale
universitario: una serie di edifici anonimi immersi nella natura. In Finlandia
ad ogni studente è assegnato un alloggio gratuitamente e indipendentemente
dal reddito. Infatti, gli studenti universitari sono completamente spesati
perché sono il futuro del paese, un futuro su cui investire. Sembra una
banalità, ma confrontandola con il belpaese acquista il sapore rotondo della
beffa. Non solo possiamo permetterci il più basso numero di laureati di tutta
l’Unione Europea, ma riusciamo addirittura a negare un loro essere parte
fondante nel futuro del nostro paese.
Suvi ci accoglie insieme ad Æro, il suo fidanzato. Un giovanotto un po’
timido e introverso, curioso di capire da che parte dell’universo eravamo
saltati fuori. Entriamo in casa togliendoci le scarpe come da abitudine nei
paesi nordici e ci sediamo attorno a un basso tavolino dove consumiamo una
gustosa torta di lingonberry. Intanto Suvi ci annuncia ufficialmente che
saremo ospiti a casa dei suoi, a Oulu, nella giornata di domani. Un modo per
dimostrare la sua gratitudine a questi stranieri che si sono offerti di darle un
passaggio fin lassù.
Si parla di politica e dello stato assistenziale finlandese, dell’università e
della sua organizzazione, della cultura finlandese e del matrimonio dei due.
Suvi è una gran chiacchierona, all’opposto di Æro che invece si trova un po’
impacciato a causa della scarsa conoscenza della lingua inglese. Però è un
ragazzo simpatico e, una volta rotto il ghiaccio, assolutamente fracassone.
Ma si sa, le donne sembrano nate apposta per riuscire a frenare il fracasso
che gli uomini vorrebbero esprimere in santa pace. E le occhiatacce di Suvi
in direzione di Æro ad ogni minima occasione che contemplasse
l’espressione di comportamenti maschili ambigui erano inequivocabili.
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A cena avanziamo degli enormi würstel che in Finlandia chiamano makkra.
La mattina successiva, con sano gesto goliardico, li lasciamo in dote nel
frigorifero dell’ostello dopo averci scritto sopra “Remember my member”.
Lasciamo definitivamente alle spalle la regione dei laghi e ci avventuriamo
verso nord. La strada si inserisce come una lunga lingua tra i boschi di abeti
e betulle. Le pianure lasciano spazio alle dolci colline e tra il verde
imponente della natura fanno capolino delle fattorie dai colori vivaci che,
unite ai colori del grano, testimoniano la presenza discreta dell’uomo.
Anche il cielo inizia a cambiare. Quella luce pacata che accompagnava la
sera diventa sempre più invadente, vegliando adesso su queste terre per tutta
la notte.
Percorriamo a ritroso la storia del mito, su fino alle terre dove
probabilmente nacquero le antiche leggende tramandate dagli aedi. La teoria
che traspone nel baltico l’avvicendarsi delle epiche omeriche riconduce in
seno alla civiltà che abitava questi luoghi nell’età del bronzo l’origine stessa
della mitologia greca. D’altra parte, che gli achei non fossero una
popolazione indigena del mediterraneo è un fatto storicamente accertato.
Meno certa è invece la loro origine. C’è chi sostiene che siano una
popolazione nomade delle steppe, chi parla di una lontana popolazione
indoeuropea, chi vi individua un popolo tutt’al più confinante con le terre
greche. Quale che fosse, portò con sé le proprie leggende e i propri miti,
trasponendoli poi nella nuova realtà. Le aporie mediterranee legate alle
epiche omeriche però, contraddittorie pur nella loro precisione narrativa,
pèrdono d’un tratto la loro ambiguità una volta ricollocate nella sede più
consona, quella baltica. La coerenza geografica ritrovata e la minuziosa
descrizione dei luoghi ben si adattano a queste terre abitate fin da tempi
antichissimi quando le migliori condizioni climatiche permisero lo sviluppo
di civiltà progredite. Civiltà marinare, come testimoniano i ritrovamenti
archeologici un po’ in tutta la penisola scandinava. Civiltà che il mondo
accademico difficilmente aveva pensato di ricollegare a quelle genti che
discesero verso sud, stabilendosi poi nella penisola ellenica; forse anche per
quella intrinseca abitudine nel mondo accademico di sentirsi al sicuro
coccolati dall’ufficialità della tradizione.
Disceso sul finire dell’optimum climatico post glaciale, con le sue terre
d’origine inasprite da un clima sempre più freddo e inospitale, dunque,
questo popolo indoeuropeo ricreò nel mediterraneo memoria del suo
ambiente originario. Per questo non all’Egeo, ma al nord sarebbe necessario
guardare per cercare la genesi del mito.
Riconducendo infatti all’area baltica le avventure narrate nei poemi omerici,
ciò che più sorprende è proprio il grado di affinità – geografiche,
orografiche, climatiche, astronomiche e quant’altro – con quei luoghi
apparentemente così lontani. Da lì, ricercare negli stessi luoghi anche le
origini del mito il passo è breve. In effetti, nei poemi omerici la mitologia è
ben strutturata e se, come sembra essere, le epiche narrate riconducono a
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terre ben lontane da quelle tradizionali è molto probabile che le radici stesse
della mitologia greca, le radici culturali, siano da ricercare altrove.
Muoviamo così verso il golfo di Botnia, avvicinandoci quindi ai confini di
quella che dovrebbe essere la Pereìe omerica. Se davvero queste terre sono
le stesse dove ha avuto origine la tradizione mitologica è inevitabile pensare
come la ridefinizione delle grandi migrazioni protostoriche mostrerebbe
quanto le diverse culture dei popoli già così strettamente interrelate abbiano
espresso poi, attraverso i millenni, uno sviluppo ciclico dello scorrere delle
idee: il karma dell’uomo come animale sociale.
Avevamo già potuto apprezzare le qualità caratteriali del popolo finlandese
ma l’ospitalità ci lascia persino disorientati. Non come sconosciuti, ma
come dei vecchi amici di famiglia ci accolgono i genitori della ragazza che
si preoccupano subito di offrirci un giaciglio per la notte. Sembra che
l’essere amici della figlia e l’aver conquistato la sua fiducia sia il solo e
unico motivo per poterci considerare loro amici. Già dopo aver varcato
l’ingresso rimaniamo piacevolmente imbarazzati da tutte le attenzioni che ci
vengono rivolte: la necessità di confrontarsi sembra più forte della paura che
il diverso porta con sé. E così, tra una tazza di caffè e una fetta della
tradizionale torta di benvenuto, si crea un forte interesse attorno al motivo
per il quale la loro terra possa essere al centro di particolari attenzioni. E
non risulta facile spiegare quanto sia importante lo spazio, la natura, la
conservazione del territorio, per chi vive in un paese dove il cemento
lentamente inghiotte il paesaggio circostante. È difficile spiegare quali
sensazioni la pace ritrovata negli immensi spazi, dove l’occhio si perde in
sconfinate lande, reca all’animo dell’uomo che spazio non conosce.
L’onore più grande per un ospite è l’invito alla sauna. Impensabile un
rifiuto, che sarebbe accolto come un giudizio negativo all’ospitalità offerta.
E quale miglior approccio alla sauna di quello privato?
Come avevamo potuto appurare a Jyväskylä i finlandesi hanno un ottimo
rapporto con il proprio corpo e la sauna lo dimostra. L’idea di condividere
momenti personali trasformando la catarsi individuale in catarsi collettiva,
allo stesso modo della nudità imposta, ne fanno un mezzo lontano dal
pudore al quale siamo abituati. La sauna privata, inoltre, è più intima e
raccolta e l’odore del legno si fa tanto intenso da essere parte stessa della
pratica. Mentre il corpo viene accarezzato dal calore purificante e la mente
trova giovamento e rigenerazione tra i leggeri vapori aromatizzati dal sapore
del legno che circonda la piccola stanza, la pacificazione dei sensi raggiunta
richiama lontane filosofie orientali. Dopo la consueta doccia gelata, il fisico
ne esce rinvigorito, pronto per affrontare la vita quotidiana.
La nostra vita invece ci riservava un tavolino elegantemente addobbato con
candele profumate sotto al porticato che dava sul giardino del retro. Sopra il
tavolo dei succhi di frutta, acqua, mirtilli e stuzzichini vari. È incredibile
come possa ancora esistere in città il silenzio assoluto. Nel buio e nel
silenzio della notte, in accappatoio e ciabatte, ci siamo sentiti a casa.
Il giorno dopo è già tempo di separarsi dai nuovi amici e una profonda
tristezza si insidia in tutto il gruppo; ma non prima di una colossale
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colazione finlandese per allietare questi momenti infelici. E finalmente
comprendiamo perché le giovani biondine finlandesi sono tutte un po’ in
carne, anche quando meno te l’aspetti. Il tavolo in cucina si presenta al
nostro risveglio come un ricovero per affamati: pane di ogni tipo, formaggi
variegati, strani involtini di riso chiamati Kajalan Piikka, salmone
affumicato nei modi più disparati; nonché caffè in quantità industriali, latte,
yogurt e tè. Avrebbero potuto sfamare un esercito ma avevano deciso di
ingozzare solo noi. Anche i difensori della “colazione sostanziosa”
sarebbero disposti a ritrattare le loro posizioni di fronte a tanto. Proviamo un
po’ di tutto, lasciandoci scivolare in questa nuova dimensione dai sapori
forti. Sui Kajalan Piikka caldi lasciamo sciogliere del burro, quel tanto
necessario a mantecare leggermente il riso. I carnivori si appassionano al
gusto del salmone, mentre i vegetariani si lasciano tentare dagli Ilman Lihaa
e dal loro impasto avvolto in foglie di cavolo.
A fatica troviamo la volontà per lasciarci alle spalle la vita degli ultimi
giorni. E mentre l’automobile si allontana verso nord e la distanza tra il
nostro presente e il nostro passato aumenta, la radio trasmette musica
struggente quasi a completare il comune stato d’animo nel momento
dell’addio: sapevamo di lasciare alle spalle qualcosa che non sarebbe mai
potuto ritornare.
Come in un libretto Harmony, percorriamo la strada che ci porta verso
Rovaniemi avvolti dalla tristezza.
Intanto, a Oulu Glenda Jackson attraversava il pontile con il sole che
volgeva al mattino mentre Brendon alle sue spalle si allontanava verso
l’automobile. Era dura da accettare, difficile pensare ancora al futuro senza
di lui. I suoi occhi lucidi versavano lacrime acri di profondo risentimento.
«Perché lei?» continuava a ripetere. «Perché lei? Chiunque altra, ma non
lei».
Come un mantra.
Cosa mai aveva portato alla decisione di lasciarla così, durante la vacanza
finlandese programmata da mesi? E perché tradirla con LEI?
Fra tutte non c’era donna più spregevole. Dannata, dannatissima stronza.
LEI: Alyssa Osbourne, la moglie di suo zio Philippe. Vent’anni più giovane
di lui. Vamp da salotto, seduttrice diabolica.
Non erano mai andate d’accordo, quel suo essere sempre così dannatamente
provocante e quel suo civettare con tutti senza un po’ di rispetto per lo zio
Philippe. E adesso, oh adesso! Non contenta, le aveva rubato anche il suo
Brendon.
«Perché lei?» ancora.
L’auto che rombava ormai all'orizzonte stava portando via il suo unico
amore. Mentre i dolori per l’amore perduto, quelli, rimanevano con lei.
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Abeti e betulle ritornano ad essere i nostri compagni di viaggio e il mare del
golfo, poco alla volta, scompare alla vista. Rientriamo rispetto alla costa e ci
dirigiamo verso Rovaniemi. Non ne comprendiamo perfettamente il motivo,
ma abbiamo la sensazione di intraprendere un viaggio nel viaggio. La meta
è la tundra, ben oltre il circolo polare, quasi al confine con la Norvegia.
Il tempo volge al brutto, il vento sembra non voler continuare a sospingere
le nuvole che gonfie di pioggia si fermano con tutto il loro carico sopra le
nostre teste. E mentre l’acqua inizia a colpire incessantemente il parabrezza
oltrepassiamo il circolo polare artico. La terra nella quale ci avventuriamo è
una terra di frontiera, non molti scelgono di rimanere e ben pochi sono
quelli che si stabiliscono qui. Oltre alle poche famiglie Sami rimaste che
ancor oggi vivono dell’allevamento delle renne, capita di incontrare qualche
audace imprenditore stanco della frenesia cittadina,
Le renne sono un pericolo per gli automobilisti, soprattutto nel periodo
dell’anno che va da giugno ad agosto dove cercano refrigerio e tregua dalle
zanzare ai bordi delle statali. Non preoccupandosi troppo del transito delle
auto, le renne non di rado si gettano da un lato all’altro della strada
causando gravi incidenti. I finlandesi, popolo previdente, tengono nel
bagagliaio dell’auto un’ascia da brandire come usavano gli eroi del
Kalevala. Un modo un po’ barbaro di risolvere la questione, sul quale la
sfortunata renna potrebbe giusto avere qualcosa da ridire. Anche i Sami
potrebbero obbiettare, ma se la fuga è rapida tutto dovrebbe risolversi in
modo indolore; non per la renna, questo è certo.
Il paesaggio che attraversiamo non è molto dissimile da quello che abbiamo
conosciuto e apprezzato in questi giorni e la temperatura è mite nonostante
le alte latitudini.
Queste sono anche le terre dei cercatori d’oro. Non molto oro, chiariamolo
subito. Una quantità appena sufficiente a sopravvivere. Anzi, il più delle
volte le vene aurifere sono talmente magre che il poco oro trovato viene
speso per festeggiare, ubriacandosi nell’unico bar del paese, come ci
conferma la polizia locale. Ma tanto basta per immergerci in una nuova,
onirica, dimensione.
È curioso entrare in questi piccoli paesi attraversati dall’unica strada
facilmente praticabile, avamposto dell’uomo in terre proibitive. Paesi dove
l’emporio, l’ufficio postale e il motel sono il centro cittadino e il parcheggio
a fronte fa le veci della piazza. La gente è diffidente, impervia come le terre
che abita. Eppure non è difficile, nell’atmosfera rilassata della sera,
strappare sorrisi di simpatia e benevolenza verso questi stranieri che amano
farsi cullare dal caldo abbraccio del loro paesaggio.
Risulta difficile abbandonarsi al sonno e lasciarsi così vincere dalla
stanchezza mentre il pallido riflesso delle colline sui laghi di Inari rapisce lo
sguardo in un ipnotico richiamo. Il paesaggio oltre la finestra rimane
sospeso, rischiarato per tutta la notte da un tramonto infinito.
L’aria della mattina ha sempre un buon sapore e, mentre dal lago si alza
l’idrovolante per il primo volo della giornata, ci destiamo da una notte
turbata dal pesante ronfare di Antonio. Non un leggero rumore di fondo che
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accompagna il sonno, piuttosto un grugnito continuo e costante, impossibili
da fermare. Un caffè forte è quanto ci vuole per superare il trauma del
risveglio. Una bella passeggiata nella brezza del mattino fa il resto. Il cielo è
terso e l’abbraccio di questo avvolgente paesaggio di frontiera ci riempie di
buon umore.
Si riprende la strada che porta a sud e in serata raggiungiamo Rovaniemi,
città completamente distrutta durante la seconda guerra mondiale e
progettata dall'onnipresente Alvar Aalto.
Pochi chilometri a nord di Rovaniemi passa il parallelo che delimita il
circolo polare ed è proprio qui che decidiamo di sostare prima di entrare in
città, al Napapiri Artic Circle. Qualche imprenditore intraprendente,
sfruttando l’immagine natalizia di questi luoghi, ha ben pensato di realizzare
il parco della vera casa di Babbo Natale. Un piccolo parco dei divertimenti
oltremodo kitsch dove è sempre natale – soprattutto per l’imprenditore
intraprendente che ha ben pensato eccetera. All’ingresso della stanza dove si
trova Babbo Natale, prima di entrare al cospetto di quest’uomo dalla finta
barba bianca, campeggia una scritta in caratteri corsivi incisa su una
tavoletta di legno: “Babbo Natale non gradisce che all'interno della sua casa
si effettuino fotografie, questo perché il flash potrebbe infastidire i folletti,
rovinare i secolari quadri di vita famigliare tanto cari a Babbo Natale,
disturbare la quiete del luogo e, in via del tutto cautelativa giusto per non
creare problemi alla direzione, per motivi di copyright”.
A curiosare tra i gadget del negozio – dove è possibile ammirare la brillante
operazione di marketing dell’imprenditore intraprendente che ha ben
pensato eccetera – troviamo Ran, una ragazza giapponese che sta girando
l’Europa da sola e che avevamo già avuto modo di incontrare prima a Turku
e poi a Jyväskylä. Crede a Babbo Natale e trovarsi lì per lei è un’esperienza
eccitante. La globalizzazione miete vittime dal Giappone alla Tanzania
senza distinzioni di censo. Che tristezza! Le diamo un passaggio sino
all'ostello e la invitiamo a unirsi con noi per la cena.
All'ostello riusciamo a familiarizzare con molte persone. Uniamo i tavoli e
diamo vita a un’unica grande tavolata internazionale. A Ran si aggiunge un
ragazzo giapponese che sta viaggiando per l’Europa con uno scalcinato
motorino da 50cc. Tra gli italiani conosciamo Aldo che sta compiendo il
giro della Finlandia in bicicletta. Suo casuale compagno di viaggio, un
irlandese ultrasessantenne libertino e fracassone, una specie di incrocio tra
Walt Whitman e Karl Marx in sella a una Vespa moddata.
La Finlandia è ricca di sentieri che l’attraversano e il trekking è molto
praticato. Complice la stabilità del tempo, decidiamo di avventurarci nel
parco nazionale di Oulanka e ci addentriamo nella quiete della foresta
finlandese. In questo parco naturale, situato tra i monti più alti del paese, si
trova uno dei percorsi più vari e più frequentati della Finlandia. Sono i
luoghi sacri agli dei: i monti dell’Olympo alla radice del mito originario
dovrebbero essere infatti compresi in questa zona attigua alla Pieira
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omerica. Il sentiero ben curato attraversa un paesaggio variegato e
multicolore disseminato d’acqua: zone paludose, risorgive e ruscelli
accompagnano un po’ tutto il percorso. Si parte da Ristikallio sino ad
addentrarsi nel parco dove è piuttosto facile imbattersi in baite di legno
chiamate autiotupa che offrono gratuitamente riparo al viaggiatore. Già dal
primo pomeriggio, però, le nuvole che prima fluivano placide nel cielo si
addensano in preoccupanti cumuli carichi di pioggia. In serata,
prevedibilmente, l’acqua inizia a scendere copiosa. Così, arrivati a metà
percorso, dopo aver trovato riparo per la notte in una baita vicina, inzuppati
benché attrezzati, siamo purtroppo costretti a capitolare.
La camminata finita male, nelle aspettative e nei risultati, aggiunta alle tristi
sensazioni che ci accompagnano della dipartita da Oulu e dalla famiglia di
Suvi, contribuisce a far scemare il nostro interesse verso quanto rimane del
viaggio. Certo, così come non esiste viaggio senza climax, non esiste climax
senza parabola discendente. E ogni viaggio porta con sé una parabola
discendente. Però colpisce duro, come un pugno allo stomaco. E lascia in
bocca l’amaro sapore della nostalgia.
Il lato rurale della Finlandia è forse quello più attraente e intrigante.
Attraverso le strade sterrate è possibile individuare percorsi alternativi per
raggiungere le stesse località e scoprire così situazioni di vita quotidiana
altrimenti snobbati dalle grandi arterie statali. Il percorso si snoda tra gli
istmi che separano i laghi della zona, utilizzati dalla popolazione locale
come canali di comunicazione, sino a raggiungere il villaggio di Heinavesi
prima, e successivamente la piccola Enonkoski. E mentre a tarda sera il sole
tramonta dietro le sagome degli abeti, dopo l’ennesima curva, la strada
polverosa innanzi a noi diventa improvvisamente banchina. L’acqua di
fronte e un traghetto che si staglia all’orizzonte; dall’altra parte del lago,
calmo come le acque che ha sin prima solcato. Fermi, bloccati al lato
opposto del lago, in ritardo sulle previsioni di marcia ci sentiamo presi in
giro dal destino. A leggere gli orari affissi sul pontile non ci sono
alternative: meglio ingranare la retromarcia e rivedere il percorso. Un
ultimo disperato tentativo prima di ritornare indietro. Segnaliamo la nostra
presenza con i fari abbaglianti. E attendiamo.
Poi il frastuono del traghetto rompe il silenzio e, nella quiete della sera,
l’ombra all’orizzonte inizia a muoversi lentamente verso di noi, che già
godiamo del tramonto all’aria frizzante della sera.
Al guardare la luce
nel lago riflessa,
rivedo me stesso
allo specchio, invecchiato.
Ci fermiamo per la notte in una fattoria nella zona di Kerimaki. Ci accoglie
una simpatica signora, una matrona in puro stile luterano, che dopo averci
indicato la disposizione delle camere, della cucina e dei bagni tra i vari
edifici che compongono la fattoria si ritira in casa. Poco distante, in riva al
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lago c’è anche una piccola sauna a legna. Così, dopo aver acceso il focolare
in cucina, andiamo a rilassare e purificare le nostre stanche membra.
La sauna è raccolta. Ben riscaldata. Lasciamo i vestiti nella sala adiacente
ed entriamo assaporando l’odore forte del legno.
Usciti per la pausa, immersi nel silenzio del bosco e rischiarati dalla luce
fioca di un sole perennemente all’orizzonte, decidiamo con naturalità di
tuffarci nelle acque fredde del lago come farebbero dei finlandesi
professionisti. Corriamo nudi sul prato, poi un leggero stacco sul pontile.
Ritmo e slancio. Mi chiedo, nel momento del tuffo, se non fossi tutto d’un
tratto diventato matto. Se non fosse stato il caso di ponderare maggiormente
vantaggi e svantaggi prima di prendere quella decisione. Ma è troppo tardi
per porsi domande, l’impatto con l’acqua ghiacciata è brutale. Avvolge il
corpo caldo penetrando nei pori dilatati dal calore con la violenza di un
milione di spilli. Riemergo per istinto di sopravvivenza, cercando l’aria con
avidità. Respiro ingoiando aria. Poi anche il cuore s’acquieta e guardando le
ombre scure del bosco stagliarsi sul cielo chiaro, immerso in quest’acqua
densa, ritrovo una complicità dimenticata con quanto mi circonda.
Resto lì fermo tra aria e acqua per qualche minuto con il pensiero che segue
il ritmo del respiro. Chiudo gli occhi e sono già lontano. Nel tempo e nello
spazio. Veloce come il pensiero. Sovraffollato di storie e emozioni e ricordi.
Cullato dalla sera. Poi nuoto lentamente verso il pontile e rientro in sauna.
La serata prosegue intima e raccolta. Attorno al pesante tavolo della sala da
pranzo in quella casa rurale dalle spesse mura di pietra, con il fuoco del
caminetto a illuminare la stanza, si fa il punto della situazione. Si discute.
Mentre le bottiglie di birra vuote si accumulano sul tavolo.
Viaggiando si mettono a dura prova le persone. Esce il carattere, senza filtri.
Con tutti i suoi difetti. Ma se il viaggio diventa un banco di prova, allora si
rischia di scontrarsi con un muro. E i muri sono duri.
Da qualche giorno le situazioni di attrito sono aumentate. Le sfumature si
sono trasformate in tinte decise, piene e contrapposte. Fino alla separazione.
Silvia è troppo attenta a se stessa per accorgersi che ci sono anche gli altri.
La sua ostentata indipendenza è piuttosto un meccanismo di difesa.
Difesa dalle proprie insicurezze, soprattutto. È un equilibrio molto delicato e
difficilmente compatibile con ciò che le sta attorno. Con il risultato di
allontanarsi dagli altri. Sempre.
I dialoghi si fanno concitati e le argomentazioni filosofiche diventano
frecciate. A tarda notte rimane solo il gusto amaro della sconfitta. Mi sento
molto vicino a persone con le quali non credevo di avere una così grande
affinità e mi allontano da chi, a un primo impatto, mi era sembrato essere
sulla stessa lunghezza d’onda.
Alla mattina lasciamo la fattoria e ci prepariamo psicologicamente all’arrivo
a Helsinky, visto un po’ come la fine di tutto.
Prima di arrivare nella capitale ci fermiamo in un luogo lontano dalla
frenesia delle rotte turistiche, un piccolo paese che segnava anticamente il
confine tra il feudo svedese e la Russia: un borgo rurale chiamato
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Ruotsinpyhtää. Rientrante di qualche decina di chilometri rispetto alla
statale per Helsinki il paese è circondato dall’acqua. Laghi e fiumi sono
parte del borgo quanto i boschi nei quali è immerso. Le case coloniche
sparse nel territorio hanno un accesso fluviale privato e i sentieri lungo il
fiume offrono un gradevole spunto per passeggiare all’ombra di alberi
secolari. Difficile dimenticare il profumo estivo e il buon sapore che
infondono nell’aria. Il sapore di una natura complessa, capace di dare e
togliere speranze. Piegata secondo necessità ma sempre pronta a riprendersi
quanto concesso. Contrariamente a quanto può sembrare, il borgo non è un
monumento al passato, ma parte stessa della comunità. Una comunità
consapevole della propria storia che si preoccupa di gestire autonomamente
le attività culturali e turistiche che il piccolo paese offre. Capita allora che
per ottenere a tarda sera le chiavi dell’ostello si debba telefonare al tassista
del turno di notte. E la mattina seguente spostarsi per la colazione dalla
vecchia taverna all’altro lato del paese dove il bar del borgo viene messo a
disposizione degli ospiti.
Seduti al bar, stiamo mangiando un boccone distrattamente quando Silvia ci
annuncia la sua decisione. Non è una decisione facile, ma non poteva andare
diversamente dopo l’ultima discussione. È stata una bellissima esperienza,
ma ora le strade si dividono. Deve ritrovare la sua autonomia.
Ha trovato un passaggio per Helsinki. Partirà domani, insieme al titolare del
bar che deve andare nella capitale per una commissione e si è reso
disponibile ad accompagnarla. Arriveranno via fiume, con la piccola barca
ormeggiata a pochi metri da noi. Non dobbiamo preoccuparci. È tutto ok.
Deve rimanere qualche giorno da sola. Ci rincontreremo all’aeroporto, dice.
E così eccola in fuga. Da se stessa e dagli altri.
Senza possibilità di ritrattare, accusiamo il colpo. Prendiamo atto della sua
scelta e la lasciamo camminare da sola. Rimane lì. Con i suoi pochi bagagli
a terra mentre noi partiamo verso Helsinki con qualche senso di colpa in
più. E la sua esile figura si fa sempre più lontana, mentre i contorni di quel
luogo lontano dalla frenesia del mondo scompaiono a poco a poco nello
specchietto retrovisore.
Prendiamo a destra imboccando l’unica vera autostrada finlandese. E con un
peso nello stomaco torniamo al capolinea. Alla capitale. A Helsinki.
Il pensiero ingombro degli incontri, degli scontri e degli abbandoni della
vita. E la strada che scorre veloce lasciandoci appena il tempo di un respiro.
Addio Finlandia. Addio.
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