PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA
La Pro Loco di Avola pubblica in edizione digitale
alcune significative opere della cultura regionale
e locale con lo scopo di agevolarne la diffusione
soprattutto fra i giovani sempre più fruitori delle
nuove tecnologie .La speranza è che le nuove
pubblicazioni contribuiscano alla definizione
dell’identità dei giovani avolesi
che nella
conoscenza del passato troveranno la
spiegazione di tanti problemi attuali.
Gli e-book sono stati realizzati, in spirito di puro
volontariato ,dall’Insegnante in pensione Palmeri
Angelo.
Avola,Aprile 2014
il Presidente della Pro loco
Peppino Corsico
AVV. CORRADO CALDARELLA TIBERIO
HYBLA MAJOR JUNIOR
AVOLA ANTICA
EDIZIONE DIGITALE PRO LOCO – AVOLA
-E-BOOK REALIZZATO DA ANGELO PALMERI
Su iniziativa del Presidente della PRO LOCO Peppino Corsico e del
Direttivo, dopo meditata lettura, ho steso la prefazione al libro di Corrado
Caldarella Tiberio "Hybla Major Junior. Avola Antica" che la stessa ha
deciso dí ripubblicare alla distanza di 33 anni.
***
Il volume si propone di indagare e illustrare l'antica città di Hybla
nelle sue vicissitudini: origine, collocazione, identificazione, pluralità,
storicità, evoluzione interrogativi, potenza, grandezza, corruzione lessicale;
per mano del suo illustre figlio (leggi nella pagina successiva i cenni
biografici) non sempre e non da tutti i suoi concittadini conosciuto ed
apprezzato come merita. Opera civile e colta, del Caldarella Tiberio, non
certo sterile né partigiana; quasi avvertisse in sé il dovere di informare i
concittadini – e non solo – sulle nobili origini e millenaria storia della
propria città affinché potessero – e possono – sentirsi orgogliosi e onorati di
abitare in un luogo di siffatto prestigio e di così alto lignaggio.
Certo, per riuscire nelle non tanto nascoste intenzioni non bastava la
volontà o l'aspirazione ma occorrevano ingegno e cultura, padronanza del
linguaggio e alta modestia, genialità trasversale. tutte doti, naturali e
acquisite, che il nostro Autore possedeva in abbondanza. Prosa la sua, ma
grande ed ispirata, capace di risonanza suggestiva, per la passione e l'amore
per la Città, per la dedizione a una visione razionale nata dalla mente e
supportata dal cuore, per una tangibile sublimità che nasce dalla scorrevole
narrazione dei fatti, sicuramente importanti – non solo a livello locale –, pur
senza ricorrere a immaginazione esaltanti. Ed è proprio alla sublimità che il
Nostro spesso fa ricorso per descrivere nomi di località, di personaggi, di
eventi che hanno toccato la nostra Hybla/Avola sin dalla preistoria.
L'anonimo autore del volumetto di critica letteraria e di estetica "Del
sublime" scrive che la forza del sublime fa sì che "i fatti" narrati con l'entu siasmo della passione sembra proprio vederli in maniera tale che "esso non
porta i lettori alla persuasione ma all'esaltazione", in quanto "il sublime non è
che l'eco della grandezza interiore".
8
Il concetto di sublime è, a mio parere, la chiave di lettura di questo
libro, anche se esso apre molti spazi alle congetture e al pensiero libero. Con
un duplice obiettivo: illustrare la teoria storico-leggendaria della nascita e vita
della/e città di Hybla e di liberare gli avolesi dall'oscurantismo ingiustificato
intorno al proprio passato. Sembra dire l'Autore: "Cari concittadini e cari
studiosi, non c'è nulla di cui preoccuparsi: gli accadimenti hanno una loro
logica, anche se non sempre prefigurabili (Epicuro); la persona informata e
assennata può vivere tutto con tranquillità senza farsi condizionare dalla paura o
dalle opposizioni". Una grande lezione di modernità/attualità, a ben vedere.
Questo, o qualcosa di molto simile, dovette essere l'intendi mento del
ns Autore, anche se, talvolta, la narrazione risulta trop po colta e un tantino
"pesante" per i comuni lettori. Tuttavia il di Lui spirito trascende ogni
concettualizzazione stratificata palesando la sua grazia raffinata ed il suo
realismo, partecipativo e affettuoso nel guidare il lettore verso la meravigliosa
avventura di cittadinanza magnificamente contagiosa.
Avola, 04 Ottobre 2013
Prof. Carmine Tedesco
Proseguendo nella diffusione delle opere di concittadini che hanno
onorato Avola, la Pro Loco dà alle stampe HYBLA MAJOR JUNIOR di
Corrado Caldarella Tiberio. Cí asteniamo dal dare un giudizio storico critico
sull'opera, convinti come siamo che la vastità del problema e l'inte resse che ha
sempre suscitato la nascita e l'ubicazione delle Hyblae possa far rinascere il
dibattito già vivo nel '700.
Il manoscritto dell'opera è da parecchi anni in nostro possesso per
gentile concessione dell'amico Lorenzo Caldarella nipote dell'autore, ma
l'indifferenza e la superficialità per le nostre cose prima, e le precarie condizioni finanziarie poi, ne hanno ritardata la pubblicazione. Oggi che, anche per
merito della Pro Loco, sì avverte un maggior bisogno di conoscenza, diamo alle
stampe il manoscritto fiduciosi in un suo benevolo accoglimento.
IL PRESIDENTE
Prof. Gaetano Cusi
CENNI B IOGRAF IC I SULL'AUTORE
Corrado Caldarella Ti berio nacque in Avola nel 1869, da fami glia
di modesti agricoltori.
Avendo manifestato un forte attaccamento allo studio, venne so stenuto in tale tendenza, tanto da fargli conseguire due lauree, una in
Lettere e l'altra in Giurisprudenza.
Fu insegnante, per moltissimi anni, di materie letterarie all'Isti tuto
Magistrale "Matteo R aeli " di Noto, dove fu appr ezzato per la sua
cultura e per le sue capacità didattiche.
La sua vena di scrittore si manifestò in qualche opera giovanile,
data alle stampe, tra cui "Cavallo ed il 93 in Sicilia", "Il sentimento del
divino e il dramma dello spirito".
Combattente, come Ufficiale dell'Esercito, nella intera campagna di
guerra del 1915/1918 fu decorato con medaglie di bronzo al valor militare.
Sposò a Noto la signorina Giuseppina Ciarcià, che fu sua valente e
tenace collaboratrice, con particolare riguardo alla presente opera il cui
manoscritto originale fu in massima parte da lei redatto sotto dettatura
dell'autore.
Per moltissi mi anni visse a Not o, si a durante il periodo di in segnamento, sia, lasciato questo, per il primo periodo di attività pro fessi onale forense; in questa ulti ma atti vità si dist inse per cultura
giuridica, zelo, serietà cd impegno.
Tr asferita ad Avola questa su a atti vit à pr ofessi onale, la conti nuò
con l'usato slancio e con massima abnegazion e, e fu qui che concepì
l'idea di rendere onore al suo "campanile" intendendo far cono scere e
divulgare che tra le varie Hyble, Avola Antica nella sua ubica zione
rappresentava la continuazione dell'Hybla Major seppure Junior rispetto alle altre,
ma sempre Major.
Per tale dimostrazione fece ampie ricerche in antiche opere ed in
constatazioni sul luogo e pose l'attenzione sul fenomeno glottolo gico di
varianti fonetiche attraverso i secoli, per le quali dalla Hybla antica si è giunti
alla denominazione della attuale Avola.
Pur avendo finito il manoscritto, l'autore non potè avere la sod disfazione
di rileggerlo pubblicato, perché morte lo colse, quasi improvvisamente, nel 1945.
12
PREFAZIONE
Avola oppidum . . . . quae olim Hybla vel Abola
(Maurolico)
E certo che anticamente sorgevano in Sicilia diverse Ible, ma sulla
origine, sul numero, sul sito e sulla loro discendenza regnano ancora le più
grandi incertezze.
Queste sono derivate soprattutto dal fatto che gli storici non hanno
tenuto presente le trasmigrazioni delle antiche città dovute alle nuove
immigrazioni. Ha dominato infatti il presupposto che le Ible fossero nate e
scomparse nel medesimo sito.
Tale presupposto ha reso impossibile l'armonia delle fonti. L'ap parente
contrasto ha infatti condotto gli storici moderni ad accusare di gravi errori
gli antichi o a travisarne il testo. La storia delle Ible pertanto aspetta ancora
la chiave di tali contraddizioni e la spiegazione del perchè molte città
moderne si contendono l'onore di discendere da esse. Una delle città che
ambiva l'onore di discendere dalla maggiore delle Ible era la città di Avola
antica. Essa fino al terremoto dell'11 gennaio 1693 sorgeva tra Siracusa e
Noto antico in un grande sperone montano delle pendici meridionali dei
Monti Iblei. E ben a ragione ambiva tale onore perchè è ancor vivente la
prova di una città preistorica scavata interamente nella roccia ed è ancor
vivente il suo nome, che indubbiamente è una corruzione fonetica del nome
di Hybla. E’ notevole al riguardo che mentre le altre città, che si dicono
discendenti della maggior delle Ible, come Augusta, Iudica, Paterno, Melilli
(') hanno un nome completamente diverso, solo Avola, per quanto corrotto ne
conserva il nome. lbla Major infatti in origine non ebbe che il solo nome di
Ibla ed assunse il soprannome di Major dopo che sorsero le altre Ible
minori. Alle due prove anzidette si univa poi una antichissima tradizione
( 2 ). Ma ciò nonostante in tutti i tempi se ne è dubitato e le incertezze
possibilmente sono nate dal fatto che questa città preisto rica nel grande
risveglio letterario del 1500 restava ignota ai superficiali osservatori. Nel
corso di millenni infatti essa si era trasformata in una città moderna in
muratura con diversi quartieri e molte chiese e luoghi religiosi. La nuova
città però conserva ancora il suo vecchio castello, ma certamente restaurato.
All'epoca dei comuni, però, unica fra le città dell'isola, assu meva uno
stemma che simboleggiava la millenaria fama del suo mie le (3).
Il suo stemma infatti aveva questi simboli: nella metà superiore una
croce, mentre in quella inferiore erano tre speroni montanti con tre api
volanti. Evidentemente erano simboleggiati: la fede cristiana, gli speroni
montanti del luogo, la fama del suo miele. La nuova città in muratura nel
terremoto anzidetto copriva di macerie la città preistorica e quindi
trasmigrava in pianura poco lungi dal mare. Il sentimento popolare della
nuova Avola si è sempre rivolto verso l'antica dove furono ricostruiti: una
chiesa, la Madonna delle Grazie e il Convento dei Cappuccini.
L'antica e la nuova Avola hanno sempre seguito la vecchia tra dizione,
ma nel 1500 nasceva un grave dissenso fra gli storici. Il Faz zello (1498-1560)
nella sua Storia di Sicilia, accennando alla mediterranea Avula e fermandosi
alle prime apparenze leggermente la disse recente e di nome Saraceno (4),
mentre la grande maggioranza degli storici la ritenne proprio una delle antiche
Ible.
Fra essi il dotto netino Vincenzo Littara (1550-1602) nelle sue opere
chiamò sempre la città col nome di Ibla. Il suo discepolo Rocco Pirri pure da
Noto (1577-1651) celebre storiografo del Re Filippo IV, nel suo libretto dei
sinonimi disse che Avola, Abola, Abolla, e Ibla non erano che lo stesso nome e
nella sua Sicilia Sacra disse: Abola, saracenicae appellutionis, in edito
monte oppidum conditum quod Hyblam antiquam et appellant et esse aliqui
credunt (5). Della stessa opinione furono il Caraffa e il Parisi di Modica e il
Maurolico di Messina (1494-1575).
E’ notevole al riguardo che molti storici intuirono che il nome di lbla si
era foneticamente corrotto in Abola. Ma questa intuizione re stava una
semplice credenza perchè nessuno dava una sufficiente co noscenza della
preistorica città, nessuno dimostrava il processo di trasformazione del nome
originario, e nessuno spiegava il come Ibla Maggiore si fosse ritrovata sui
monti iblei. Questo era lo stato della controversia quando nel 1745
P. Francesco Di Maria di Avola (16991755) con la sua Ibla Rediviva
cercò di dimostrare che la città fosse stata l'antica Ibla Major. Ma anche
questo dotto Cappuccino seguì l'erroneo presupposto che la città fosse nata e
rimasta nel sito di Avola antica (6). D'altro canto la glottologia non era allora
neppure nata e quindi l'improbo lavoro si riduceva ad una indigesta
raccolta di antiche fonti storiche guardate attraverso un prisma di
preconcetto, di credenze bibliche e di leggende. Egli infatti, partendo
dall'errore che Avola antica fosse il sito originario dell'antica Ibla Major, fu
costretto a modificare le antiche fonti e a fare una vera requ isitoria contro
Pausania che la collocò in agro Catanensi. Nè seppe nulla dire sulla
corruzione del nome di Ibla. Foneticamente infatti non fece che un timido
accenno al cambiamento della b di Abula in v di Avula per dedurne soltanto
la possibilità che il nome di Abula si fosse corrotto in Avola e per dire che
appunto perciò il Fazzello avesse detto: Avula recens et novi nominis oppidum
(7).
Pertanto una critica anonima, sconveniente nella forma ma acuta ed elevata,
subito gli oppose che egli cadeva in una petizione di principio perché non
dimostrava che Avola Antica fosse una delle tre Ible noverate dagli storici
(8). Questo appunto scardinava l'intero lavoro. L'autore rispondeva è vero nella
sua elaborata Risposta Apologetica, ma si limitò a dire che se il Littara
meritava fede quando sull'autorità di due storici aveva ritenuto che Neas
fosse stata trasportata nel sito di Noto antico, egli ben poteva meritarla
quando si appoggiava all'autorità di ben 24 storici e ad una costan te
tradizione (9). Ma questa risposta non fu certo una dimostrazione. E peggio
ancora quando i critici gli opposero il vero cioè che Avola fosse venuta al
mondo quando lbla Maggiore era già distrutta. Egli infatti, appoggiandosi
all'autorità del Maurolico, del Pirri, dello Alapide e di Eritreo,
ostinatamente oppose che questo assunto non fosse altro che una ciarla. E
suppose anche che Ibla Maggiore fosse stata distrutta e riedificata nel
medesimo sito ( 10 )! Pertanto la credenza, per quanto generale, restò sempre
una credenza. Tanto vero che il dotto storico Michele Amari nel 1854
poteva ancor dire che varie città di tal nome ebbe la Sicilia nella regione fra
levante e mezzodì ancorche di nessuna si conosca appunto il sito ( 11 ). E il
dubbio lo sentiva lo stesso Di Maria il quale terminava la sua opera con la
speranza di potersi ricavare col tempo altre notizie della florida Ibla
Major. Ma la sua speranza è rimasta delusa perchè nulla è stato fatto per
esumare una città trimillenaria. Ancora infatti sulle abitazioni della
preistorica città pascola il gregge e cresce il mandorlo e l'ulivo. Ancora i
ruderi del vecchio Castello formano dei muretti paraterra. Nè basta perchè
lo stesso castello è ora divenuto una casina di villeggiatura.
E non è tutto ancora perchè contrariamente al vivo sentimento popolare,
sono divenute di ragion privata il vecchio convento e la vecchia Chiesa!
Nè gli studiosi locali, generalmente scettici, hanno saputo por tare alcun
contributo alla soluzione della controversia (12)
Non sappiamo infine spiegarci come il giovane maestro Orsi, sia pure in
una fugace e superficiale visita alla città di Avola antica, nulla abbia
detto della preistorica città limitandosi a rilevare una quarantina di
sepolcri siculi della Cava Tirone ( 13). Ma poichè la glottologia ha fatto
grandi passi, poichè abbiamo tanto prezioso mate-riale storico e una visione
nuova delle vicende delle antiche lble, per nuove vie ci lusinghiamo di
dimostrare che l'antica tradizione locale è una verità storica.
Dimostreremo cioè che Avola antica è una città preistorica naturalmente
fortificata di probabile origine sicana: che il suo nome non è altro che una
corruzione fonetica di quello originario, che nel suo sito trasmigrava la
celebre Ibla Major. Diremo ancora quando e perchè fu costretta a
trasmigrare e quando e dove Ibla Major divenne famosa per il suo miele e
per il fiume Erineo che le scorre vicino. Finalmente riassumeremo in
appendice i risultati delle nostre ricerche ed esporremo la storia e geografia
delle Ible.
(1) Francesco Vita disse proprio che Megara fosse stata l'antica Ibla Maggiore; il l'azello
dubitò che fosse si tuata ove fiori un tempo la città di ludica distrutta dal Conte Ruggero;
Cluverio e Briezio la posero nel sito dell'attuale Paternò; Gianandrea Massa la suppose
nelle campagne di Centorbi. Regalbuto e Catania: il Grande Atlante De Agostini colloca la città nel
sito dell'attuale Melilli.
(2) Que sta t radizi one , c ome ved re mo oral me nte si è tra ma ndata negli atti pubblici
notarili anteriori al terremoto dcl 1693 e negli atti della curia vesco vile e vicariale.
(3) Che, come vedremo, era il simbolo di Ibla Mcgale.
(4) Egli dice di nome saraceno tutti i notai foneticamente corrotti senza vedere che le
stesse parole arabe nella guttura popolare subivano i medesimi mutamenti fonetici della
lingua del luogo. Pertanto come disse recente il Castello di Avola antica, disse anche
recente e di nome saraceno il Castello di Cassibile dove è ormai certo che esisteva una antica
città Sicula.
( 5 ) Roc co Pirri - Eccl e si a. V i n Di Ma ri a 1. R . 50
(6) Disse il Di Maria: E che era poi impossibile e ripugnante che distrutta tibia
Maggiore, si sia altra volta rifatta e che siasi poi appellata col moderno nome di Avola ?
...C osi il te st o non può mai sostenere la vost ra cia ncia c he Avuta sia venuta al mondo
quando l'Ibla Maggiore era distrutta ............................................ R. A. 91.
(7) Di Maria - Ibla Rediviva 55
(8) Di Maria - Risposta Apologetica 32 - 92
(9) Di Maria - Risposta Apologetica 93
(lo) ivi 91. Vedi nota a foglio 3 N" 2
(11) Michele Amari - Storia dei Musulmani in Sicilia 1° ed., 334 - 2° 471
(12) Molto ci aspettavamo dall'amico G. Gubernale che in un trentennio ha raccolt o
paziente mente i n molti inediti tutte le notizie antiche e rece nti della preistorica e della
storica città di Avola antica. Egli ha avuto la profonda convinzione che la preistorica città
fosse indubbiamente l'antica Ibla Major ma purtroppo, segu endo fedelmente il Di Maria,
non ha dato alcun contributo alla soluzione della controversia. Egli però ha il merito di
avere additato la via delle ricerche presso la Curia Vicariale e l'Archivio di Stato di
Siracusa (e di avere esumato delle antiche scritture).
(13) Egli qualificò la sua fugace visita semplicemente negativa perchè non trovò traccia
di materiale antico. Disse però che la città di Abolla citata da Stefano Bizantino sembra
indicata dal superstite nome attuale. Disse altresì di non doversi tener conto della moneta
spuria del D'Orville che pur porta il nome di abulensis con l'effigie di un bue indicante la
pastorizia e un grappolo di uva che simboleggia la coltivazione della vite. Né parlò della medaglia del
Parata che simboleggia la eccellenza del miele di Ibla Megalos, che è il precedente storico dello
stemma di Avola antica.
Orsi - Scoperte varie - Melilli, Avola, Siracusa, Mineo.
CAP. I
AVOLA ANTICA E LA PREISTORICA HYBLA OPPIDUM
Polche vogliamo dimostrare che Ibla Major dall'agro Catanensi trasmigrava sul
monte di Avola antica, rileviamo anzitutto che esso è naturalmente fortificato e che
sotto la distrutta città medievale giace una città preistorica con una piccola necropoli.
Ben a ragione gli storici hanno dato alla città la qualifica di oppidum e l'hanno
chiamata ,Monte e Castello (1). Si può anzi dire che essa, come Camicus, la
metropoli sicana, poteva essere difesa da un presidio di tre o quattro uomini (2).
Dall'altipiano lblense si parte infatti verso sud uno sperone montano fra due valli
divergenti a sponde inaccessibili, la Cava Bugliula e la Valle fuori legge o Valle
Tirone o Tifone. Per circa m. 200 esso digrada sulla roccia e si assottiglia al punto da
formare il così detto scivolone. Quindi, come un collo d'oca, si innalza per circa m.
20 e forma un ampio monte. Esso, oltre che protetto a nord, ad est ed ovest, era anche
protetto a sud perchè volgendo a martello verso est, ha una altra valle inaccessibile, la
Caurararo. E al dì la di questa valle era protetto dal lungo Costone Ronchetto che in
direzione est-ovest forma la sponda sinistra dell'Erineo. Le estreme difese poi della
città erano costituite da una grande spianata che è il pianoro del monte e del
Castello. La spianata di circa mq. 17000 oltre che inaccessibile a nord, est ed ovest,
aveva un cornicione roccioso che con opere aggiunte formava una muraglia di difesa.
All'estremo nord di essa a forma di gobba di cammello, sí eleva poi un rialzo roccioso
che ancora è denominato il Castello.
Esso aveva una triplice difesa: la prima formata dal cornicione della spianata, la
seconda di roccia tagliata a forma di muretto e la terza formata da un altro cornicione
di roccia naturale dell'altezza
di oltre m. 2. Pertanto Avola antica era una città naturalmente fortificata ed
esattamente fu detta Monte e Castello.
Erroneamente poi il Fazello la disse recente e disse il Castello moderno di
fabbrica e di nome (3). Ciò è nato dal fatto che alla preistorica città si era sovrapposta
una città in muratura (4) ed al fatto che nel medio evo le porte, il Castello, le mura,
con la nuova tecnica muraria erano stati rifatti cd adattati ai nuovi tempi (5). E peggio
ancora quando la città fu distrutta dal terremoto del 1693 perehè le antiche grotte
furono tutte coperte di macerie. Il tempo intanto ha riesumato la preistorica città. Il
nuovo stradale Avola-Palazzolo, che la taglia a zig-zag distrusse è vero molte grotte e
cisterne, ma molte ne scoperse con lo sgombero delle macerie. Il nuovo accesso
stimolò anche i proprietari del luogo che si servirono del pietrame per la costruzione
di muretti paratemi. Di fatti nei bassi terrazzi rocciosi, davanti le grotte. crescono
rigogliosi dei filari di mandorli. Pertanto la città, per quanto mutilata e guasta dal
tempo e dagli scavi, è emersa in tutta la sua interezza. Per ricostruirla basterebbero gli
atti notarili che si conservano nell'Archivio di Stato di Siracusa. Essi dimostrano i
numerosi trasferimenti delle grotte e le relative adiacenze. Il concittadino G.
Gubernale, sfogliando gli atti dei Notari Antonino Calvo (1632-1635) e Sebastiano
Tiralongo (1691-1693) nel solo quartiere del Castello rilevava le seguenti grotte: la
grotta di Giuseppe Landolina confinante con grotte di Matteo Tiralongo da una parte
e con altra grotta dello stesso Landolina dall'altra; seguono altre due grotte dei
Landolina a cui tien dietro la casa di Antonio Lanza: una grotta di Mariano De Amico
confinante con la grotta di Antonino Roccaro; la grotta di Domenico Romano
confinante con grotta di Martino Caruso e con grotta della ved. di Corrado Bengiorno; la grotta di Natale Martorina in contrada S. Lionardo confinante con grotte di
Giuseppe Blanco, con grotta di Pietro Angelo Celeste e via pubblica; la grotta della
ved. di Francesco Rassetta confinante con casaleno di Antonino Dugo e casa di Maria
Ved.Mantici , la grotta di Corrado Tiralongo confinante con casa di Antonino
Piraino, casa di Francesco Carbeni e via pubblica; la grotta di don Francesco Carbeni
confinante con grotta di Martino Caruso... ; una grotta di Antonino Piccione
confinante con altra grotta della veci. Piraino; una casa con grotta in contrada S.
Lionardo di certo Natale Mazzone confinante con casa di certo massaro Pulino
Corrado, con case del Dott. Giuseppe Blandino; una grotta di Vincenzo Buscema
confinante con grotta di Antonino Rametta; una grotta di Giuseppe Fazzino
confinante con grotta di Corrado Antonio De Amico e grotta ii Antonino Roccaro;
una grotta di Matteo Tiralongo confinante con casaleno di Vincenzo La Scala: la
grotta di Giacomo Medoro in contrada detta li casi del Canonico confinante con
grotta di Francesco Portuesi e grotta di Mariano Raeli; casa con grotta di m/ro Santo
Bosio in contrada Saneto Pctro; la grotta di Antonio Molisina in contrada case dello
Canonico.
E così sono ricordate numerose altre grotte e case con grotte nel Quartiere delli
Balzi. nel Quartiere delli Marchi e di S. Lionardo, nel Quartiere Troncello e nelle
contrade dello Palo di A. Aloe, di Porta delli Vexini o di Porta dello Porco, nella
contrada Fontanazza, nella contrada Lavinaro. E notevole che anche la Chiesa di S.
Venera aveva anche la sua grotta. Si ricorda infatti una grotta seu morgana in
contrada Porta delli Vixini confinante con grotta della venerabile Chiesa di S. Venera
ed un casaleno con grotta di Grazia Principato conlinante con la grotta di detta
venerabile Chiesa. E ciò negli atti di soli due notari ed in soli due o tre anni (16911693) (1632-1635). Ed erano tutte delle ampie grotte come sono quelle che tuttora
si vedono. Salendo infatti per lo stradale abbiamo rilevato: verso la fine della prima
rampa nelle terrazze soprastanti e in un breve tratto di una cinquantina di passi,
abbiamo trovato numerose grotte spesso contigue, spesso a gruppi e talvolta
intercomunicanti. Sono delle ampie caverne ad uso di abitazione naturalmente logore
dal tempo, ingombre di terriccio e spesso franate sul davanti.
Generalmente, tranne qualcuna che minaccia rovina, lasciano vedere la loro
ampiezza e quanto vi è di notevole. Alcune sono dimezzate; altre internamente
distrutte. Al margine superiore dello stradale si notano poi avanzi di grotte e cisterne.
Ne abbiamo visitato circa 25 in buona parte in tutta la loro interezza. Generalmente
hanno una larghezza variabile di m. 4.5.6.7. per circa altrettanto di lunghezza e
un'altezza di m. 2,50 ed anche 3. Le porte di entrata sono generalmente franate ma
qualcuna che si conserva intatta è della larghezza di m. 1.10 circa e dell'altezza di
m.2. E’ notevole che in tutte o quasi esistono delle lunghe mangiatoie scavate nella
roccia, alte m. 1 circa e della lunghezza variabile di m. 2.3.4.5. Vi si notano anche le
così dette stacce che sono degli incavi ad anello scavate nella roccia per attaccarvi gli
animali (4). Il soffitto è di forma piana e nelle pareti si trovano degli incavi che
probabilmente servivano per le primitive lucerne. In qualche grotta il livello del
pavimento è diverso: in una la parte più interna è circa m. I più alta, in una altra la
sezione più interna è di circa m. 0.50 più bassa e vi si trovano due mangiatoie.
Quest'ultima era indubbiamente una stalla con relativa concimaia. Alcune hanno dei
lucernai rotondi che vanno dal basso in alto del diametro di cm. 30. Tutte poi
conservano la impronta dello strumento con cui furono scavate C7)
Sopra alcune di esse, forse distrutte per ragioni statiche, si vedono ancora larghe
tracce di antica muratura a malta (8). Nelle cisterne si trova poi uno speciale intonaco
impermeabile liscio all'esterno e internamente granuloso, spesso a più strati.
Nell'interno delle grotte non ho rilevato alcuna nicchia sepolcrale, solo fra un gruppo
e l'altro di grotte ho rilevato qualche nicchia probabilmente votiva della larghezza di
circa m. 1. Si ha pertanto una serie di ampie grotte ad uso promiscuo di abitazione e
di ricovero per gli animali.
Nelle terrazze soprastanti alla seconda rampa dello stradale, in un breve
percorso. ho notato altri 26 ambienti compresa qualche cisterna. Alcuni appaiono
tagliati dallo stradale. Le grotte generalmente sono alte e spaziose, spesso contigue e
spesso intercomunicanti. Generalmente sono provviste di mangiatoie per gli animali.
Le dimensioni sono quasi uguali a quelle precedenti e, come in queste, in alcune
rimane la sola sezione posteriore con larghe tracce di muratura. Ancora più ad ovest è
degna dì speciale mensione una serie di sci grandi androni contigui, pure a soffitto
piano. Essi, tranne il primo, formano delle grandi spelonche perchè interamente
aperte sul davanti. La prima grotta di forma trapezoidale è della larghezza di m. 5 e 6,
della profondità di m. 5.50 e dell'altezza di in. 2.60. Nella parte sinistra. all'altezza di
m. 1.20 è notevole una scala della larghezza di in. 0.70 che dà nella terrazza
soprastante. Da questa grotta si scende ad ovest in una spelonca sottostante di forma
trapezoidale della larghezza dai m. 5.50 ai 7.30, della profondità di oltre m. 11 e
dell'altezza di m. 3. Vi si trova qualche incavo a forma di staccia, qualche altro da
lucerna. Non vi è traccia di destinazione. Attigua ad ovest e soprastante di circa m. I
si ha un'altra spelonca della larghezza media di m. 7.50 della profondità di circa m.
11 e dell'altezza di oltre 3 metri. La parte posteriore porta un incavo della larghezza
di in. 2.20 della profondità di m. I e dell'altezza di m. 1.70 All'entrata sono due
nicchie forse per lucerne o per immagini votive. Vi si trovano due incavi a forma di
giaciglio di lunghezza imprecisabile. In quello dí destra è una staccia molto alta ed
altre se ne trovano internamente. Attigua ad ovest è una grande spelonca divisa in due
sezioni: la posteriore della larghezza di m. 3.60 ed altrettanto di profondità e
dell'altezza di m. 2.30. Parrebbe una cisterna perchè vi è una bocca che dà nella
terrazza soprastante, ma tale non è perche da essa si scende nella sezione anteriore
mediante tre gradini. Onesta sezione è della larghezza di oltre m. 6, della profondità
di in. 5 e dell'altezza di m. 2.50. Entrando, a destra, si trova un incavo ad arco
dell'altezza di m. 1.10 e ad esso corrisponde un altro incavo nel frontone della grotta
dove sono pure dei buchi da borrello. Nello interno sono notevoli due grosse stacce
nel soffitto. La parete di sinistra si prolunga oltre il frontone come si prolunga un'altra
parete parallela.
Adiacente ad ovest è un'altra spelonca della larghezza di m. 5,50 per in. 9 e
dell'altezza di oltre m. 3. Attorno alle tre pareti, a forma di ferro di cavallo, si nota
una panchina di pochi centimetri dal pavimento della larghezza di circa m. 0.70.
Contigua ad ovest è una altra sezione di androne della larghezza di m. 7 e della
profondità di m. 6 circa. Nessuna traccia di destinazione. Vi si nota una grande
staccia. Tra la quinta e la sesta spelonca si notano tracce di antica muratura e larghe
tracce di muratura si notano sul frontone di qualche spelonca. Se dovessi dire le mie
impressioni direi che queste grandi spelonche probabilmente erano: la prima il
palazzo del capo e le altre dei luoghi pubblici di adunanze, di sedute, di sicurezza
pubblica, di esecuzione. Nella stessa rampa, verso ovest, si notane una decina di
grotte e qualche cisterna. Generalmente non restano che le sezioni posteriori. Spesso
sono interrate sul davanti e poco visibili. In una si nota intatta e visibile una
mangiatoia con cinque stacce che occupa tutta la parete posteriore. In queste sezioni
si notano larghe tracce di antica muratura. Al margine superiore dello stradale
s'innesta poi un'antica via della larghezza di circa m. 2 a pendio molto ripido. A
sinistra della detta via, le terrazze rocciose sono interamente popolate di grotte.
Generalmente esistono le sezioni posteriori della larghezza media di in. 4 o 5. Spesso
sono intercomunicanti e spesso interrate e impenetrabili. Su queste sezioni si notano
larghe tracce di muratura. All'inizio della detta via, nell'innesto con lo stradale, è
notevole una grotta a soffitto piano della larghezza di circa m. 7 e dell'altezza di circa
m. 2. Vi si entra per una frana tanto larga da entrarvi dei carri. A destra infatti vi è la
vera porta di entrata con due scalini che danno sulla detta via, della larghezza di circa
m. 1. All'entrata, adiacente alla parete anteriore, si ha un piccolo rialzo roccioso di
forma quadrata internamente e soprastante si trova una staccia. Evidentemente era un
truogolo da maiale (9).
La grotta comunica con la sezione posteriore di altra grotta dove è una
mangiatoia quanto è lunga la parete con 7 robuste stacce forse per
animali bovini. Adiacente ed ora intercomunicante si ha un'altra sezione
di grotta di modeste dimensioni. Succedono ad est altre grotte di cui una
semidistrutta della larghezza di m. 5 circa, interrato con scala di
accesso alla gradinata soprastante. Sono degne di rilievo due ampi e
grotte intercomunicanti: la prima nella parete posteriore, ad altezza
imprecisabile ha un largo incavo della larghezza di oltre m. 3.50. In
esso si notano le basi di un antico torchio per l'estrazione di olio, vino
ed altro. Nel centro infatti si not a una scodella di for ma circolar e
incavata nella roccia con un beccuccio anteriore per l'uscita del liquido.
Ai lati sono due profondi buchi manufatti per le travi di un torchio
primiti vo. Queste due grotte hanno sul davanti larghe tracce di muratura
e vi si trovano anche dei grossi blocchi di pietra. Abbiamo poi creduto
inutile di visitare le altre innumerevoli grotte che generalmente
occupano tutto il versante meridionale (10 ). Rileviamo soltanto che nel
versante orientale denominato costa di S. Ven era, ver so la sommità. è
notevole un gruppo di alcune grotte. In una di esse si riscontra una
galleria di oltre m. IO che risale al tempo dei primi cristiani. Pare
quella in cui la Santa faceva le sue orazioni. Più ad ovest doveva
trovarsi la chiesa di S. Venera in muratura.
Necropoli - Tranne poche celle sporadiche esistenti altrove, la ve r a
necropoli è ad ovest della città nell a ripida sponda occidentale del la
Valle Fuori Legge. Vi si trovano infatti una quarantina di celle
mortuarie scavate nella roccia che da sud a nord arrivano fino al punto
in cui la valle raggiunge il piano di campagna ed incontra la Via del
Cassero o Rua Grande che era la via principale della città. In questo
punto. quasi sulla piattafor ma stradale, è notevole un buco scavato nella
roccia da permettere la discesa di un uomo. Esso im mette in una galleria
sottostante di dimensioni imprecisate. Le celle mortuarie vicine sono
poi a finestra e di forma rettangolare. Gene ral mente hanno una
larghezza di circa m. 2 ed una profondità ed al tezza di quasi metro uno.
In esse è notevole un rialzo roccioso, ca pezzale o panchina, di circa cm.
10 ora da un lato soltanto ora da entrambi. Come si vede pertanto, non
abbiamo le celle a forno del primo periodo siculo, ma quelle quadrate e
più grandi del secondo e terzo. La notevole profondità poi dimostra che
ogni cella non ser vi va per un solo cadavere e il doppi o rialzo roccioso
indica che più cadaveri o stavano seduti sulle due panchine laterali o
adagiati per disteso con la testa e dall 'uno e dall 'alt ro lato. La porticina
o fi nestra di accesso di for ma rettangolare e debitamente scorniciata,
doveva essere chiusa da una lastra rettangolare di cui non si è trovat e
alcun esemplare ( 1 2 ). Si tratta pertanto di celle di famiglia capaci di
contenere diversi cadaveri. Esse rientrano spiccatamente nel secon do e
terzo periodo siculo in cui le celle si adornano di panchine ed i morti
non vi stanno più accoccolati, ma seduti o adagiati con le gambe
piegate. Può anche darsi che vi giacesser o distesi con la testa sul
capezzale. Queste poche celle mortuarie sono poi del tempo in cui la
sicana Hibla venne a contatto coi siculi che popolavan o tutto l 'altipiano
e poi con la Geleate che venne allo sbocco della Cava Grande. Da ciò è
nata la leggenda che nelle stesse grot te di abitazione esistessero delle
celle mortuarie che però non abbiamo riscon trato.
Intanto, di fronte alle 5000 celle mortuarie di Pantalica, alle 2000 di
Dessueri e di Cassibile, in una città preistorica rimasta per millenni nel
medesi mo sito, l 'insignificante numero di celle mor tuarie, presuppone il
rito dei seppellimenti a grandi masse o della incenerazione propri di uno
stadio di civiltà poco avanzato c ome era quello del popolo sican o.
Questo barbaro rito funebre però non può far meraviglia quando si
perpetuò in Avola antica fino al 169 3 e nella nuova città fino alla legge
che vieta la inumazione dei cadaveri dentro le mura dell'abitato. Il
sottosuolo infatti delle chiese di Avola era destinato al seppelli mento
dei cadaveri ed accanto alle singole mu mmificazioni e quindi alle celle
individuali in muratura, si perpetuava il rito dei seppellimenti a grandi
masse. La chiesa madre di Avola è infatti un cimitero e il suo piazzal e
prese il nome di Cimitero della Matrice.
La stessa strada adiacente alla sacrestia prese il nome di Vianella o
Vanedda dei morti. Ed erano dei cimiteri la chiesa di Gesù, quella di S.
Sebastiano, di S. Venera, la chiesa dei Cappuccini ed altre. Se pertanto i
seppellimenti collettivi durarono nella nuova Avola fino ad epoca
recente, che dire dell'antica città in muratura e della preistorica città in
cui gli abitanti vi vevano in caverne? Da ciò è nata la l eggenda che nelle
stesse caverne di abitazione esistessero delle celle mortuarie che però
non vi sono.
(1 )
R ic ci oll o - Avut a Il ybl a M aj or oppid um Tol ome o - Hybl a M ont e e Ca st el l o.
M a urol ic o - Avuta oppid um i uxt a Pac hi num. R oc c o Pi rri - Avol a i n ed it o mont e
oppi d um. B a ud re nd - Ll ybl a M aj or Avola oppid um Sic ili ac a pud net um.
Fa ze ll o
-
Avol a re ce ns e t novi nomi ni s oppid um.
(2 )
Di od oro di sse c he Ded al o fa bbri cò Ca mi c o t a m a rc ht um e t fle xuosu m ut a t ri um
ve l quat uor homi num pra c si d i o d e fe ndi possi !. Si sa c he Ca mi co pre nd e va nome da l
fi ume omoni mo, ma ne ssun o l o ha ide nti fic at o. Si va ga qui nd i ne lle i pote si se ci oè t osse
l 'Ak ra ga s di Gi rge nti o l a ci tt à di Si c ul ia na o il c a ste ll o d i Ca lta be ll otta o quel l o di
Pl at a ne ll a.
R i ol o - Ri ce rc he st oric he - La Si ci lia na 11 . 5
Ad ol fo Hol m
(3 )
Ge ogra fia d ell a Sic ili a a ntic a. III, 6 0
II Fa z e ll o c hia mò rec e nt i a nc he Ra gusa . B ute ra, Scic li . Al ca ra. Nic osi a , B usc e mi
c d al t re . In Di M a ria IR . 187
(4 )
Essa e bbe i nve ro i l Qua rti e ro d i Suso o d e l Ca st el l o, i l Qua rti e ro d ett i M a rc hi o
d i S. Li ona rd o, i l Qua rti e ro It ri a ed il Qua rt ie ro de i Ca voni . Vi e ra poi ìl Pi a no
d ell 'Orol ogi o e vi e ra no a nc he a lt re a bi taz i oni i n forma di borghi.
(5 )
Pe r ossc rva re qua l e fosse l a nuova ci tt à di Avola a nt ic a pri ma de ll a sua
d i st ruzi one, ba sta vede re una pl a nc et ta i n ra me c he t rova si i n pot e re d el di li ge nt e
ri ce rca t ore Gae ta no Gube rnale .
(6 ) Le ma ngiat oi e sono c oe ve all o sc a vo d ell e grott e e qui ndi nell a t ra smi gra z i one di
Hi bla M aj or i bovi ni e d e qui ni e ra no add ome st i ca ti .
(7 )
Furono sc a va t e all 'e tà de l me ta ll o?
(8 )
L'Orsi t rova sol t a nt o ne l III° pe r. si c ul o l e pri me a ppl ic azi oni d ell a t ec nic a
mura ri a .
(9 ) II c a va l l o, i l boxe , l a ca pra , il c a ne e ra no ad d ome st i c at i a nc he d ura nt e l a ne ol it i ca .
(1 0 ) Non sa ppi a mo spi e ga rc i c ome ma i qua l c he st ud i oso 'Loc a l e me t t a a nc he i n
d ubbi o c he si t ra t t i d i una c i tt à pre i st ori c a e c red a cl ic l e grot t e si a no d i forma z i one
na t ura l e c ome que l le d i P ost umi a . Pa re c he non si si a ma i de gna to d i vi si t a re le grot te
d a noi d e sc ri tt e pe rc hé ba st a l a se mpl i c e vi st a pe r c onvi nc e rsi c he si t ri t a t a d i grot t e d i
a bi t az i oni fat te a re gol a d 'a rt e c on st ru me nt i da ta gl i o ada t ta te al le ne c e ssi t à de l t e mpo.
Sono i nfa t t i c oe ve a l l o sc a v o l e nume r o se ma n gi a t oi e sc a va te ne ll a roc c ia a c i r ca m 1
d i al te z za c on l e st a c c e sc a va te sul l a pa re t e e fac ie nt i pa rte d el l o i nt e ro sc a v o. Le
st e sse port e d i i ngre sso son o fa t t e c on si mme t ri a e c on l e st esse d i me nsi oni d e ll e
no st re . Né e ve ro c he l e a nti c he c a rt i ne non fa cc ia no me nz i one d el l 'a nt ic a c it tà pe rc hé
ne l l a c a rt i na , di C la ud i o
Tol ome o Al e ssa nd ri no si t rova una H ybl a (d e tt a Il ybi a ne l l a pa rte d e sc ri tt i va ) ad ove st
d i Si ra c usa e sot t o Noe t um. Ne l l a t a vola 5 o d el l o Atl a nte ed it o i n R oma ne l 154 6 1 596 si t rova una i bla M onte e C a st el l o. Ugua l me nt e i n una ge ogra fi a
de l Tol ome o,
t ra d ott a d a l C e rt u ni ed e di ta i n Pa d ova . si t rova una Ibl a M onte e C a st e ll o. F ra l e
c ort i ne mod e rne poi d el De Agost i ni e ne l Pa ce ad e s. a l p ost o d i Avol a a nt i ca , si t rova
una a bol l a c he è una c o rruz i one d i !bl a .
(1 1 ) La ve ne raz i one d i que st o ora t ori o ri sul t a da ll e d i sposi z i oni d el Ve sc ovo
C a pobi a nc o da te i n se gui t o al l a vi si t a pa st ora l e 18 /12 /16 54 . l n e ssa i nfa tt i si l e g ge c he
que l l a grot t a d ove va re st a re c hi usa e non d ove va a p ri rsi ma i se n on d i e t ro l i ce nz a de l
Ve sc ovo Fora ne o o d e l R et t ore de l la C hie sa e qua nd o si a pri va pe r l a d e voz i one de i
fe d el i . sopra l a port a d ove va a pporsi l a sc ri t ta : La ma ti na le d onne , pe r hoggi
l 'huo mj ni . E c i ò sot t o pe na d i sc o mu ni c a e d i t el a pe na pe c uni a ri a di ont e 4 pe r
c i a sc uno. Dobbi a mo l a l e t t ura d i que st a pa st ora l e al l 'a mi c o G. Gube rna l e .
(1 2 ) Re c e nte me nt e pe rò se ne è not a t a una a nc ora c hi usa e ine spl ora t a pc r c hè a
not e vol e al t ez za da t e rra .
-
CAP. II
HIBLA ANTIQUA NEI SUOI MUTAMENTI FONETICI
E NELLE ANTICHE SCRITTURE
All'esistenza della città preistorica si lega la derivazione fone tica del
nome. Il fatto fu intuito nel 1500 in cui il Maurolico rilevò che, secondo
l'opinione di molti, la parola Avola era una corruzione volgare della parola
Ibla ('). Nessuno intanto ha pensato di dimo strare l'esattezza di questa
intuizione, che oramai ha piena conferma nelle comuni regole fonetiche e nelle
antiche scritture (2). Al riguardo è intuitivo che quel processo di addolcimento
che le parole subiscono nella guttura infantile e in quella popolare, non
poteva risparmiare il nome della città. E così come la lingua parlata
corrompeva prima la purezza della lingua latina e poi formava le nuove
lingue romanze, nella parola Hybla avremo ugualmente la parola latina
corrotta e declinata e successivamente la parola romanza indeclinabile. Non
parliamo anzitutto della scomparsa della lettera H che secondo i
grammatici non fu una consonante ma una semplice aspirazione. Essa infatti
divenne fievolissima e spesso muta anche durante la repubblica e scomparve
nelle lingue romanze ( 3 ). Il primo e vero mutamento fonetico fu pertanto il
cambiamento della y iniziale in A che apparve durante il periodo arabo. Nel
dialetto siciliano, e specialmente nel dialetto locale, è comune il
cambiamento di suono delle vocali nell'incontro di altri suoni. E comune il
cambiamento della e in a (4) della e in i o della o in a (I0). Ed è
comunissimo finalmente il cambiamento della i nella vocale aperta a.
Questo cambiamento poi avviene tanto nelle vocali iniziali che nel corpo
della parola. Limitandoci intanto a questo ultimo mutamento notiamo:
dalle parole illuminare, intentus, illucescere, illudere si ha in siciliano
addumari,attentu,alluciari,alludiri.
Nè ciò deriva dal mutamento della preposizione perchè lo stesso si verifica
anche quando non è dubbio che la preposizione resta immutata. Così da
insimul fr. pr. ansambl sic. ansemmula (sittemmiru m'ansemmulu) indivinare sic.
annuvirari in cui certamente non muta la preposizione. Spesso anzi si antepone
alla parola la vocale a. Così da heri sic. ajeri cd acri; oliva sic. uliva ed
auliva; rubare sic. arrubbari; ridere sic. arririri.
Spesso il cambiamento si verifica anche nel corpo della parola come in
Syracusae sic. Sarausa; silvaticus sic. sarvaghiu; sincerus sic. sanzeru. Spesso
anche la e si muta in a come in ebreo sic. abbreii. E’ notevole la parola latina
ibor- is da cui si hanno avorio sic. avoriu in tutto simile alla parola Ibla.
Spesso per evitare il suono della i esso si sopprime addirittura es. italiano talianu. Come si è detto le parole importate subiscono lo stesso addolcimento:
cat. botifarra sic. buttafarri; prov. maquignon sic. maccagnuni. P. pertanto
comune il cambiamento della i in a.
Questo primo mutamento appare in forma letteraria durante il dominio
arabo (827-1191 d.C.). Ne dà notizia lo Amari nella sua Storia dei
Mussulmani in Sicilia. Egli lo trova in due manoscritti di Ibn-el-Atir in cui lo
scrittore arabo parla della insurrezione fatta dai Cristiani contro gli invasori
in Vai di Mazzara. Nell'860, dice lo Amari, si sollevarono molti castelli
dell'isola comprese Sutera e Abla e scrive in nota: - l'un dei mss. di Ibn-elAtir ha Abla, l'altra Ajla. Cercando i nomi geografici che possono adattarsi
a quei suoni. occorre in prima la classica voce di Hvbla . . viene poi Avola.
terra presso Siracusa, che è per conto l’Abola di un diploma del 1149 e forse
l'Abolla di Stefano Bizantino (7). Come si vede lo Amari esattamente rilevò
che il nome di Abla non poteva riportarsi che ai nomi di Hybla o di Avola
proveniente da Abola, ma non vide che Hybla, Abla, Abolii ed Avola non
erano che una serie di trasformazioni dell'identico nome.
Questo primo mutamento in Abla è poi il presupposto della seconda
trasformazione in Abula e Abola mediante l'interposizione di una vocale fra
il gruppo bl. Foneticamente è comune l'addolcimento del suono di un
gruppo di consonanti mediante l'interposizione di una vocale. Dalla parola
araba blath (lastra di pietra) con la interposizione della vocale a si ha il
siciliano balata; dalla parola araba sgiflatha si ebbe il siciliano ciafalata,
come da massra si ebbe mazzara, da Caltha (castello) si ebbe calata, come in
Calata-Bellotta Calata-Biano. E la vocale interposta varia secondo il suono del
gruppo di consonanti: dal latino alga si ha alica, da alba si ha ariva; dal vecchio francese primtemp si ha il siciliano primutempu, dal catalano malparat
si ha il siciliano maluparatu e malaparata, così dal vecchio francese mofflet si
ha il vecchio siciliano muffuleto ed il nuovo muffuletta. Ugualmente dal
vecchio siciliano siptembru si ha settemmiru (7'). Questa interposizione è poi
confermata dagli atti scritti. Lo stesso Amari infatti, come si è detto, dà per
certo che Avola sia l'Abola di un diploma del 1149. L'interposizione poi
della u e della o nel gruppo di bl non solo appare nel diploma anzidetto di
Federico III, ma anche nelle successive concessioni.
Abbiamo letto la copia legale di una concessione fatta da Federico 111
d'Aragona portante questa data: Ex registro regiae cancelleriae H.S.B.
anni 1369 f. 296. Il Re Federico conferma a Fede rico Orlando, figlio ed
crede di Orlando Federico, suo nipote, una concessione del 1367 ( 10 ) che si
trova trascritta nella nuova. Egli concede ad Orlando Federico prima e poi al
figlio Federico Orlando et suis aeredibus et successoribus terram Abole et ejus
Castrum ac feudum Cassibilis et etiam Castrum cum vassallis, tenimentis,
territoriis, finibus ("). Questa concessione evidentemente riguarda la città di
Avola Antica col relativo Castello ed il limitrofo feudo di Cassi bile col
relativo Castello dove appunto sorgeva una vecchia città sicula.
Abbiamo pertanto la prova, e lo vedremo meglio, che la parola Abla si
trasformava a sua volta in Abola ed Abula. E la trasformazione in Abola
risale a secoli prima per come si rileva da un privilegio concesso da Re
Ruggiero nel 1149 a Giorgio Stradigoto di Messina dove si legge: Rolandi,
amici nostri nobilis Baronis Abolae. Nella lingua italiana e nel siciliano
moderno è poi comune l'addolcimento della labiale b nel suono più debole
della v. Difatti dal latino tabula, fabula, gubernator si ha in italiano tavola,
favola, governatore, mentre dal vecchio siciliano barba, chibu, baxu, bulliri,
erba, ,boi, si ha varva, civu, vasciu, vughiri, erva , vo( 1 2 ). Pertanto col
cambiamento della b di Abula e di Abola in v si ha la trasformazione in
Avula ed Avola. Ed è altresì comunissima la sincope di una vocale o di una
consonante, come è comune il cambiamento della i, in u, che hanno un
suono quasi uguale.
Quindi spesso s'incontra la parola Auola e spesso si ha l'ultima pressione
35
dialettale Aula per come il volgo da secoli pronunzia il nome della città.
Pertanto le parole Aula antica e quella di Avola Antica non sono che una
corruzione fonetica delle parole Hybla Antiqua.
Tutti questi cambiamenti sono pienamente confermati dagli
atti della Curia Vescovile di Siracusa e della Curia parrocchiale
di Avola e dagli atti notarili della città di Avola Antica. Nella
detta Curia Vicariale di Avola abbiamo trovato sei registri che
dal 1598 vanno al 1738. Sono un'ampia raccolta di
encicliche, licenze, processi, subaste che riassumono le
molteplici attività della curia. Ai registri si legano poi dei
fascicoli di corrispondenza della curia vescovile di Siracusa e
da tutti questi atti si rileva che Avola Antica in latino puro era
chiamata Hybla, mentre in latino corrotto era chiamata col
nome di Abula ed Abola. E si rileva altresì che queste due
parole erano scritte anche con la doppia b e che nella lingua
volgare si erano già trasformate in Avola, Auola„ ed Aula. In
tali atti infatti si trova una mescolanza di sermo rusticus e di
volgare e questa mescolanza si trova spesso in uno stesso
indirizzo e spesso la forma corrotta è adoperata in forma
indeclinabile. Difatti dalla corrispondenza della Curia
Vescovile si rilevano questi indirizzi: Rev. Vicario terre Abule Ree.
Ter. Abule - Ree. Vicario Terre Abule - Avola.
2/8/1681 Ai Rev. Vicaris Terrarum Licodie et Abule - Avola Licodia
28/8/1681 Al Vicario Terre Abbule- Auola
30/9/1681 Al Ree. Vicario Terre Abbule - Auola
I 0 / 10/ 1681 AI Rev.Vicario Terre Abbole - Avola
Nel secondo registro si riscontra Terre Abole (pag. 62) erarius curie
vicarialis Terre Abole (80) R. do Vic. Terre Abole - Avola(81) Avole die (84)
Aule die - huius Terre Abole (323) Antonio De Petro Curie Vic. huius. .. Abole
vet. (329) Abule die Aug.
Nel terzo registro che comprende gli atti della Curia anteriori e posteriori
al terremoto del 1693 si trova anzitutto la seguente preziosa intestazione:
Registrum
Curiae Vicurialis huius civitatis Hyblae Majoris Annorum 1690....1708
Nel quarto si trova: Abule die (20/7/1728 p. 340) Abole p. 343
Terre Abule.
Nel quinto si trova anzitutto la seguente intestazione:
Registrum
Curiae Vic.huius civitatis Hyblae Majoris annorum 1738
e nel contenuto Avole die (p. 22).
In questo volume le date spesso si leggono così scritte: Avole die…martiis
Avole die.. Un esposto del sacerdote Artale della città t di Avola ha la seguente
data: Abole die. . . Aug/ti. Si ha pure
Avola die . . Auole die. . .
Il volume comprende anche un editto in data 7/2/1693 con cui, in seguito al
terremoto, al fine di batter moneta, s'invitano i cittadini a consegnare alla
zecca l'oro e l'argento da essi posseduto. Lo stesso nome di Abule - Abola Avola si riscontra negli atti di battesimo nella Chiesa Madre. Pertanto, come si
vede, nel 1600 e 1700 la stessa città di Avola Antica nei registri della Curia
Vicariale di Avola e nella corrispondenza della Curia Vescovile di Siracusa in
lingua latina pura viene denominata Hybla ed Hybla Major, in latino corrotto
Abula - Abbula- Abola ed Abbola e in volgare prima nella forma indeclinabile
di Abule ed Abole e poi finalmente nelle ultime trasformazioni Auola - Avola
ed Aula che è l'ultimo addolcimento della parola (12).
Ma anche nel 1500 Avola Antica portò sempre lo stesso nome di Ibla. Un
manoscritto della seconda metà del 500 si lega al nome del Dott. Michele
Calvo medico e filosofo veramente insigne di Avola Antica. Egli scrisse due
volumi intitolati: Conclusionum medicarum Centuriae ‹luae (13).
E poichè il Calvo era intimo di Lorenzo Bolano di Catania, Littara
Vincenzo e Pugliesi Girolano da Noto, di Giambattista Parisi di Modica e di
Alfonso Benivieni da Siracusa, fra il frontespizio e la prima pagina del
manoscritto si trovano due lodi in poesia di cui una del Parisi da cui
trascriviamo quanto segue(14) :
Hybla canam, sonet meis sic versibus Hvbla.
Atque Per illustres nunc sonet Hybla choros. Hybla per
Aequora jam consonet, Hybla per undas. Aeterea
Per silva.s Ilyblam cuncta sonent
Hybla
Parens Calvi est. Calvo laetitur alumno Hybla
Viris magnum protulit Hybla decus. Trunca
Foret sine te Calvo, Trinacria tellus. Trinacria
O Michael te decet esse caput. (16)
Come si vede il Parisi scioglie un inno a Ibla perchè madre di Calvo.
Pertanto nel 1500 Avola in latino puro ha il nome di Ibla. E questo nome ha
negli scritti del Littara e di Rocco Pirri che sono della vicina Noto.
Negli atti notarili del tempo il nome della città di Avola Antica in lingua
dotta è sempre quello di Ibla mentre in latino corrotto e in volgare assume le
trasformazioni fonetiche di cui sopra. Nel 1500 infatti nell'Archivio di Stato
di Siracusa si trovano gli atti notarili dei notari Polidoro Pietro, Polidori
Sebastiano, Inguanti Paolo e Vincenzo Tirindullo. In data 18/8/1593 nel Tirindullo
ad es. si trova: Cum sit ad literas domina Maria De Aragona Marehionissa terre
Abule . . . fucrunt perplures Pirati huius terre Abule. Pertanto si ha la forma
indeclinabile di Abule.
Le minute del notaro Inguanti sono illegibili. Nel 1600 si trovano le minute
di tredici mastri notari. In quelli di Oddo Mariano la città cd il Marchesato di
Avola si trovano indicati come segue: huius terre Abole - huius terre Abula -h.
t. Abole - h. t. Abule - terre Abulae - in bue terra A buie - eivis huius terre
Abole - h.t. Abole. Quindi si trova: Abe - ,4bbe - A.lar/tus Abe - huius
Marchionatus Abole - March/us Abule.
Nelle minute del Notar Tiralongo Corrado-Antonino si trovano le seguenti
forme: hic Abe-terre Abule-terr.us Abe-in hoc March.tusAbule-huius March.tus
Ab.a-Ab.e e anche Abb.e-huius Marchionatus .Abole ed anche Abule.
Nel 1700, nella nuova Avola, si trovano gli atti di ben venti notari. In
quelli del Notaro Tiralongo Corrado-Antonino(1709-1731) si trova:huius
march.tus Abule ed Abe-Ab.e-hic Abe-hic Abb.e. E’notevole l'atto 31/8/1709
in cui si legge:site et posite in olim dirupta Hybla ci in territorio Truncelli in
hoc terr.Ab.e in contrada Bochini. Il volume porta infine la seguente
sottoscrizione:Noi. Corradus Antonius Tiralongo Hyblensis. In data 25/4/1709
si trova scritto: Marius Calafiore hujus Mar.tus Abole e cosi di seguito negli
atti la parola Abola ora si trova abbreviata in Abe ora Ab.e. Si trova anche
integralmente la parola Abole.
Anche negli atti del Notar Romano Bartolomeo(1700/1711) il nome della
città si trova sotto le seguenti forme:Abule-Abe ed Ab.e. A pag. 45 si trova:
Corradus Antoninus Di Giorgio Hyblensis. Nel volume si trova anche inserita
una lettera in volgare in cui nitidamente si trova la parola Auola. Il nome
della città si trova anche sotto la forma abbreviata di Hab.e. A pag. 3 si trova
anche Abule die. Alla fine della prima parte del volume si trova scritto:
Minute actorum mei notarii Bartholomei Romano Hyblensis e quindi negli
atti successivi: M.us Auole b.Mar.tus Abule-h.M. Abule. (p. 39)
h.M.Abule. Fra gli atti del notaro Sebastiano Tiralongo (1682-1734) trovasi
l'atto 31/1/1727 con cui, poichè in olim antiqua et diruta Hybla, ante formidabile
terremotum die 11/1/1693 occursus i
congregati
cives
huius
civitatis
Abolae, si obbligavano di provvedere all'acquisto dei vasi sacri e delle altre
cose neccesarie per la somministrazione dei Santi Sacramenti. E’ notevole
anche in questo atto che la città distrutta è chiamata diruta Ilybla mentre la
nuova è chiamata col nome di Abola. Presso lo stesso notaro trovasi l'atto
22/2/1727 in cui si legge: Cum in olim antiqua IHybla, alma ven.le Mat.ce Eccl.a
sub titolo S. Nicolai Ep.i exsisterit….et demolita jam p.ta antiqua Hybla in hoc situ
reedificata fuerit nova civitus Ilybla eius cives …poichè la chiesa amplius non
est apta ut prius in olim vetusta Hybla pro distribuzione d. Sanctorum
Sacramentorum pro ut.urget....Pertanto la distrutta città è chiamata sempre
col nome di Hybla. In data 2/3/1734 nella Chiesa dei Cappuccini di Avola si
fa la seguente epigrafe a P. Angelo Caprera morto nel Marzo 1734: R.P. Angelus ab
Hybla Maj. Concionator cappucinus obiiti
Hyblae calendis Martiis anno D.ni 1734.
Nel 1733 P. Vito Amico Statella pubblicava una nuova edizione della Sicilia
Sacra di Rocco Pirri ed a pag. 182 del l' Vol. si legge: Abola in edito monte
oppi dum quod Hyblam antiquam appellant…FamiliaeAragoniae, nunc Princeps
Casteveterani ah anno tit. Marchionatus insignitus. Col progredire della cultura
letteraria scompare il nome di Avola e rimane il nome di Hybla in tutta la
sua purezza.
Nell'atto 29/4/1782 in Notar Limpido, Joannes ct Benedicto Fugales et
Aparo hujus civitatis Hyblae....concedono in enfiteusi uno stacco di terre in
contrada Chiuse di Carlo per un canone da pagarsi hic Hyblae in pecunia.
Nell'atto 10/4/1782 i concedenti si dicono hujus civitatis Hyblae e il
pagamento è convenuto in hoc territorio Hyblae. Lo stesso si legge nell'atto
11 /4/ 1782 . Con atto 31/7/1790 in notar Fiore, don Corradino Genovesi civitatis
Neti et modo in hac civitate Hyblae repertus concede in enfiteusi uno stacco di
terre in contrada Caggi a certo Veni-Veni hujus civitatis Hyblae. Con atto
3/12/ 1786 in notar Limpido don Corradus Di Giorgio h.civ.Hyblae concede in
enfiteusi uno stacco di terre in contrada Pantanello per un canone da pagarsi
hic Hyblae in pecunia. Pertanto presso i notari di Avola antica e nuova si
tramanda l'antica tradizione e la città appare prima in latino corrotto sotto le
forme di Abula-Abola-Abbola-Abbula-Auola, quindi si distingue l'antica sotto il
nome di Hybla e la nuova sotto quello di Abola e finalmente anche la nuova
città è chiamata col nome di Hybla ed i cittadini Hiblenses. È poi notevole che
tanto nei registri della Curia, quanto nella iscrizione a P. Angelo Caprera la
città è qualificata col nome di Hybla Major. Possiamo quindi concludere che il
nome di Hybla, seguendo nei secoli le comuni regole dei cambiamenti fonetici,
con una serie di trasformazioni, si è corrotto in quello italiano di Avola e nel
dialettale di Avula e che le parole Hybla Antiqua et Hibla vetus
corrispondono alle nuove di Avola Antica, di Aula Antica, di Avola Vecchia e
Aula Veccia per come il volgo le pronunzia.
É un errore pertanto il dire che Avula ed Abola siano dei nomi recenti e
saraceni. Abbiamo anzi visto che le stesse parole arabe e provenzali
introdotte in Sicilia hanno subito le medesimi regole fonetiche.
Le anzidette trasformazioni fonetiche eliminano anche molte incertezze. Se
una delle trasformazioni fu quella in Abola, se questo nome si trova scritto
anche Abbola come dubitare che quando è scritto colla doppia II o quando alla
b è sostituita la p non sia lo stesso nome? Quindi la città di Abolla ricordata nel
VI° secolo da Stefano Bizantino o di Apolla, come scrive il Ghisleri, non
può essere che la stessa città di Avola. Se poi Auola non è che una ulteriore
corruzione di Abola, anche il sito di questa città indicato dai geografi del 1500
non può essere che quello di Abola, di Abbola, di Abolla od Apolla. Del pari
gli stessi notari di Avola si sottoscrivevano con l'aggettivo di Hyblensis, se
Hybla si corrompeva in Abula, non è lecito dire che la moneta Abulensis,
portante l'effige di un bove e di un grappolo di uva non sia di Avola antica.
(17).
Abbiamo poi dimostrato che la medaglia del Paruta simboleg giante la
fama del miele di Ibla Maggiore, che porta il nome di Megalos Ibla (Ibla
Maggiore) non è che il precedente storico ed arti stico, dello stemma di
Avola antica (18).
Maurolico. Istoria Siciliae V. Avula
(2) Non sappiamo spiegarci come il Rocco Pini, pur ritenendo che Avola fosse
l'antica Ibla, credeva che Abola fosse un nome saraceno. R. Solarino per spiegare la
sua ipotesi che Avola fosse una colonia di Ibla Megara, recentemente diceva che il
nome di Abola derivasse per metatesi dal fiume Alabo. Anche l'Orsi ammetteva
soltanto la probabilità di una identificazione di Avola con l'Abolla di Stefano Bizantino.
(3) C. H. Grandgent - Fonologia Trad. Maccarrone n. 249 p. 139
(4) E’ notevole al riguardo che gli stessi mutamenti subiscono anche le parole
importate: ar. tennura sic. tannura; zerba sic. zarba.
(5) Prov. commenseille sic. accuminsaghia; raisin sic. racina; panteiser sic.
pantaciari; ecorcher sic. scurcari; saigner sic. sagnari; escoter sic. scuttari; echellon
sic. scaluni
(6) prov. roogner sic. rarugnari
(7) Amari I ed. la. 334 e 2.a 471. Nulla poi di strano che l'oppidum Hybla avesse
steso la mano ai rinforzi bizantini che nell'859 o nell'està dell'860 presero terra a
Siracusa. E nulla di strano che in Val di Mazzara si fosse sollevata qualche altra
Ibla.
(8-9) Avolio - op. cit. 41. 42. 45
(10) Altri dicono che la data sia del 1361
(11) Dobbiamo tale lettura alla cortesia del Cav. Corrado Tiralongo Presti.
(12) Avolio - op. cit. 123
(13) Non abbiamo trovato la forma Abola, ma evidentemente è lo stesso nome di
Abola tanto vero che da Abola si hanno le monete e i cittadini Abol lenses da cui
deriva l'aggettivo avolese,
(14) Nella Biblioteca Sicula del Mongitore si hanno del Calvo i seguenti cenni:
Michael Calvus et Salonia Abulensis philosophiae et medicinae doctor, egregio
ingenio ac doctrina insignis inter aevi sui literatos enituit. Claruit laudatissimus
magnaque aestimatione prosecutus anno 1575. Obiit Abulae ibique in lapideo
tumulo jacebat in ecclesia S. Mariae de lesu ordinis ohservantium S. Francisci.
Ex Rocco Pirri Net. Ecclesia Sirac. 250.
(15)
Questo manoscritto e stato rinvenuto da G. Gubernale nella Biblio teca
Comunale di Palermo. Secondo gli atti del notar Portuesi il Calvo addi 5 4/1564 fu
nominato protomedico di Ibla. Addì 24/7/1585 egli fondò un benetizio nel Monastero della
SS. Annunziata. Il 3/11/1585 tenne a battesimo un figlio del magnifico Giovanni
Laudato. Negli atti della Curia Vicariale di Avola nel 1617 appare il seguente
elenco degli officiali della terra di Avola: Don Gio. Giacomo Delli Gioi - Vicario
Dottor Michele Calvo - Giudice - Gio. Giacomo Calvo - Giudice - Gio. Bernardino
Calvo medico senza salario. Gli ultimi due sono figli di M. Calvo.
(I6) Canterò di Ibla, con questi miei versi e fra le illustri schiere Ibla risuoni. I
bla risuoni per le acque. Ibla per le onde. Tutte le cose celesti can tino Ibla fra le
selve. Ibla è la madre di Calvo: Ibla è allietata dal figlio Calvo. Ibla arrecò agli
uomini egregi un grande onore. La terra di Sicilia ri marrebbe stroncata senza di
te. O Michele, tu sei degno di essere il capo della Sicilia.
(17) Nota il Pace che nell'età romana diverse città dell'Isola fra cui Ibla Megale
coniavano delle monete - op. cit. 1'.
118) I Siculi e tanto meno i Sicani non conoscevano l'alfabeto e solo nella
immigrazione greca adottarono i segni dell'alfabeto greco.
(1)
CAP . III
HYBLA MAJOR ED HYBLA GELEATIS SENIORES EI" JUNIORES
Non par dubbio che Hybla Major originariamente sorgeva in agro catanensi e
che la Geleate era nei medesimi confini Tucidite e Pausania sono concordi al
riguardo.
Come è noto nella guerra di Atene contro Siracusa (415/413 a.C.) gli
Ateniesi fissavano in Catania i loro accampamenti. Di conseguenza pensarono
di sottomettere la città fortificata di Centuripe, la sola città nemica che
poteva dettare delle preoccupazioni. Al riguardo Tucidite dice: Di là (cioè da
Megara) fecero vela per Catana, dove, fornitisi di vettovaglie andarono con
tutte le loro forze contro Centuripe piccola città dei Siculi ed avutala a patti
partirono (naturalmente verso Catana) dopo avere incendiato le messi degli
Inessei e degli Iblei ('). I detti Iblei senz'altro soprannome non potevano
essere che quelli di Ibla Maggiore ( 2). Quindi la città doveva trovarsi fra
lnessa e Catana cioè nelle vicinanze di Paternò.
Conforme e più esplicito è Pausania il quale dice: Furono in Sicilia due
città denominate Ible : una chiamata Gereate. l'altra, come era,
soprannominata Maggiore. Anche alla nostra età entrambe conservano i nomi
primitivi. Di esse una sita in territorio di Catania è completamente deserta,
l'altra la Gereate sita nei medesimi confini è ridotta in forma di piccolo borgo
(°). Quindi il sito della Major era nel territorio di Catania, il che conferma il
passo di Tucidite, mentre quello della Gereate era nei medesimi confini del
detto territorio. La prima città poi nel II sec. d. C. era completamente
deserta, mentre la seconda era ridotta ad un piccolo borgo.
Le due città pertanto erano estinte e di esse non esisteva che il nome. Se
pertanto le troviamo altrove, vi erano trasmigrate. Ed erano trasmigrate in
tempi diversi: mentre infatti al tempo di Pausania (Il sec. a. C.) di
Ibl a Major n on esisteva che il nome, della Gere ate r e stava ancora un
piccol o borgo. Perchè poi e quando e verso dove trasmigrarono si rileva
dalle antiche fonti.
Hvbla Major - La città dovette trasmigrare a causa della inva sione
sicula. Tucidite parl ando di questa immi grazione, dopo aver detto che
i Siculi, partiti dalla estrema punta meridionale dell'It alia con zattere
ed altri primitivi mezzi di trasbordo, fecero la traversata d ell o st rett o
col ven t o favor evol e, aggiun ge: Qu esti p ertan to venuti in Sicilia
grossi di gente, sconfitti in battaglia i Sicani, li cacciarono nelle parti
meridionali e settentrionali dell'Isola, si stanziarono nelle campagne più
fertili 300 anni prima della venuta dei Greci ed ancor oggi occupano il centro
ed il settentrione dell'Isola (5). In un pr i mo t empo adunque i Si culi, vinti
in bat tagli a i Si cani, l i cacciar ono verso sud e vers o nord ed
occupano l e terre più fertili come sono quelle della costa orientale. In
un secondo tempo. quando nella invasione greca i Siculi sono respinti
dalla costa verso il centro dell'Isola. si riducono nel centro e nel
settentrione dove appunto si tr ovan o al t empo d el la gu er r a di At en e
cont r o Si r acusa. F ch e i Siculi avesser o occupat o tutta l a cost a
ori ental e è con fer mato da Diodoro Siculo il quale così riassu me l a
guerra nata dall 'invasione sicula: Dopo molte età la nazione dei Siculi,
passata con tutte le sue famiglie dall'Italia in Sicilia, occupò le contrade che
erano state abbandonate dai Sicani e bramosa di acquistare più territorio
incominciò ad estendersi più al largo e a fare incursioni e saccheggi a danno
dei limitrofi. Così nacquero frequenti guerre fra Siculi e Sicani fino a tanto
che venuti i due popoli a patti concordarono di mutuo consenso i confini entro
i quali ognuno di essi dovevasi contenere (6).
Diodoro pertanto conferma e completa la narrazione di Tucidite cioè: che i
Siculi occuparono le contrade abbandonate dai Sicani, che la guerra durò
lungamente e che ebbe fine quando di mutuo con senso furono fissati i confini
del doppio dominio. Come è noto infatti quello dei Sicani si ridusse alla parte
occidentale dell'Isola, alla zona limitata dai due fiumi Imera, che sboccano a
nord e a sud dell'Isola. Diodoro poi, sia pure in modo leggendario,
determina inoltre le terre che i Sicani abbandonarono. Di fatti aggiunge:
Ma di poi come avvenne in moltissime parti l'Etna spargeva le sue fiamme e
a tratti lontani occupava molti paesi colle sue eruzioni e in devastare le terre
durò assai anni. gli abitanti (cioè i Sicani) presi da timore, abbandonarono
le parti della Sicilia volte verso l'aurora e ritiraronsi nelle occidentali (7). E.
dice infatti perchè e dove si rifuggiarono. Difatti contínua: Nei tempi
antichi i Sicani abitavano su monti naturalmente fortificati in cui edificavano le
loro città per paura dei ladroni (81. I Sicani pertanto vinti dai Siculi si
rifuggiarono sui monti in luoghi naturalmente forti fi cati per meglio
resistere alle incursioni sicule. Finalmente lo storico riassume la
seconda fase della guerra dicendo che i Siculi bramosi di estendere il
proprio territorio cominciarono a fare incursioni e saccheggi a danno dei
Sicani, che quindi nacquero frequenti guerre e che finalmente i due popoli
stabilirono di accorcio i confini dei due domini.
Ma quid della Major in questo grande sconvolgi mento etnico?
Nella pri ma fase dell 'in vasion e essa cert amente r estò indisturbata
per chè non era una citt à costi era. Le pri me gr andi tappe d ell 'in va sione furono infatti Zancle ( 9 ), Catana,
Leontini, Augusta, Ortigia.
I Sicani natural mente, cacciati verso sud, si stanziar ono sui monti più
vicini e specialmente nei luoghi naturalmente fortificati. Quindi
dovette esser e occupato anche l 'altipiano lblense. come quello che
offriva un sicuro rifugio. La Major pertanto dovette trasmi grare nella
seconda fase e precisamente quando i Siculi nella loro espansione
territoriale fondarono Inessa e Centuripe. Questi stanziamenti siculi
infatti r endevano i mpossi bile l a vit a della Maj or ch e quindi cercò
sicurezza sui monti Iblei. Questa trasmig razione però non fu ne po teva essere totalitaria, perchè nel 415 a.C. all'inizio cioè della guerra
di Atene contro Siracusa, er a ancora colti vato il suo territori o. In
quale stato però fosse allora la città si rileva chiaramente da Tucidite.
Egli dice infatti che Nicia nella prima estate della guerra da Catana si
volse contro Centuripe città fortificata e che, dopo averla ottenuta a
patti, nel suo ritorno incendiò le messi degli lnessei e degli Iblei. Ciò
dimostr a che la Major era allora compl etamente innocua e che era
ancora una città nemica ( n ). La spiegazi one di questa apparente
contraddizione sta nel fatto che la città nel 415 era già trasmigr ata ed
era una città nemica, ma che la trasmigrazione non fu totalitaria.
L'incendio delle messi pertanto fu un atto di ostilità contro la Major
Junior contro cui Nicia preparava un'i mpr esa militare. Difatti nella
stessa pr i ma estat e, con met à della flotta t entò di espugn ar e Ibla
Gel eate che gli i mpedi va ogni comunicazione coi confederati dello
altipiano iblense. Col tempo la Major scompar ve del tutto dal terri torio di Catana tanto ver o che al tempo di Pausania (130 d.C.) era
completamente scomparsa. Non restava pertanto che la Junior tanto
vero che Tol omeo e i suol traduttori e aggiornat ori con una nuova
qualifica di Monte e Castello e sotto i nomi di Ibla, loia, ed Auola la
collocarono ad ovest di Siracusa. Mentre pertanto la senex scompare e
scompare definitivamente in quel luogo, la Junior sopravvi ve fra i
geografi, storici, e poeti. Difatti M. Tullio Cicer one (Oraz. 5) per
come ci riferisce Maurolico (II" p. 72) dice Similiter vexatos
fuisse Liparcuses. Petrinos.. . Moticenscs, IHybletises .
E
così
Pomponio Mela che scrisse nel 55 e nel L. IV n. 5 disse la lbla esi stente e celebr e fr a le città mediterranee. Plinio il Grande la disse
esistente. Del pari Tito Livio scrisse che dopo la partenza di Marcello
dalla Sicilia defezionar ono al cune città fra cui Ilyb la et Menella
(IV° in Di Maria I.R.73). Del pari Claudiano che scrisse nel 390, parlò
di una Hybla cognomento Majorem; Stefano Bizantino nel 530 parlò di
tre Hybl e come esistenti. C osì tutti gli st orici del '500 come ad
esempio il Littara in De Rebus Netinis (1593) così Ortellio (1590) in
Thesaur, Geog. IV: Hybla Vergilii in Bucolicis vulgo Avida est, così
Eritreo (1580), così Maurolico (1562), così Marciano Eracliote (De
Circuitus orbis) collacava la Major fra Noto e Siracusa,così Rocco
Pirr il quale dice che Abola sia sinonimo di Hybla. Anche il Pace e il
De Agustini segnano una Abolla nel sito di Avola antica.
Hybla Hera
Geleates. Come si è detto, Pausania pone una Ilybla
Gereate ai confini del territorio di Catana, mentre Diodoro dice che
la Gereate era non longe a Centuripe. Ma poiché Geleate era un soprannome e non una quarta Ibla, e questo soprannome non era sicu rament e della M ajor e t anto meno della Megara, per come err onea mente ha creduto il F azello, non poteva essere che quello della Hera.
Pertanto Hybla Gerente o Geleate e probabilmente Galeate non era
che la stessa Ibla Era. Tale soprannome poi non proveniva dal fatto
che la Era si trovasse in quel di Gela per come erroneamente hanno
detto i traduttori di Tucidite, ma dal fatt o che si trovava sul fiume
Gela. Quest o fiu me pertanto diede il nome a lla gr eca citt à, che si
stanziava sulla sua foce e dava il soprannome alla Mera che doveva
trovarsi alla sua sorgente. E che il suo sito originario fosse appunto
questo si ricava concordemente dalle dette fonti, che la pongono sui
confini del territorio di Catana, e non longe a Centuripe. Nè poteva
essere in territorio di Gela. che nacque secoli dopo. nè poteva essere
ad oriente della detta città perchè Ippocrate partendo da Gela e quindi
passando i fiumi Hybley, l'Hypparis e l'Hyminius per incontrare sullo
Eloro la potente Siracusa non si sarebbe lasciato alle spalle una città
nemi ca. M a poi chè Tucidit e dice ch e Nicia nel 415 a.C. con met à
della flotta tentò di espugnare una Ibla Geleate posta a sud di Sira cusa, bisogna veder e se dall e sor genti del Gel a l a ci ttà si t rovasse
altrove in un sito poco lungi dal mare.
La spiegazione di questo grande enigma storico che ha affaticato la
mente degli storici è nella trasmigrazione della città. Crediamo infatti
di avere di mostr at o ch e l a Her a Gel eate, dagli estr emi bracci del
Gela trasmigrava allo sbocco della Cava Grande. Vero è che i siculi,
al tempo della guerr a contr o Siracusa, dimor avano al centro e nel
settentrione dell'isola, ma per ragioni speciali molte città dell'interno . venendo a
contatto con gli stanziamenti greci, furono costretti a tra smigrare. Così nella
espansione territoriale dí Siracusa, che attraverso le valli dell'Anapo e
dell'Erminio, formava un corridoio tra Siracusa e la costa meridionale
dell'isola, così per Gela che risalendo il fiume arrivava ai suoi bracci
estremi. Così come Acre fondata da Siracusa alle sorgenti dell'Anapo
costringeva a trasmigrare le città vicine come Pantalica e Neas, così Gela
costringeva a trasmigrare tanto la Dissueri che la Geleate. Crediamo al
riguardo di avere dimostrato in appendice che la Era Geleate trasmigrava
appunto nel sito di quella città che l'Orsi esplorava sulle colline orientali
dello sbocco della Cava Grande e a cui diede l'errato nome di Cassibile e
una data remota del IX° o X° secolo a.C. In quel sito infatti troviamo la
contrada Gereate a cui evidentemente la città aveva dato il nome. E poichè i
suoi abitanti erano sagacissimi interpreti di sogni. Dionisio che con essi
spesso si consultava, nella stessa contrada aveva una villa detta appunto
Gereate. Questa Hybla pertanto è proprio quella città nemica che Nicia a
sud di Siracusa tentò di espugnare per aprirsi u n a vi a d i
c o mu n i c a z i on e c o i c on f e d e r a t i d e l l ’ a l t o p i a n o Ib l e n s e .
49
L a Geleate infatti era una confederata di Siracusa ed insieme alla Major
ostacolava la comunicazione anzidetta. Ogni altra ipotesi è un'as surdità
militare perchè Nicia, con metà della flotta non poteva pen sare di
imprendere una così lunga navigazione senza una grande necessità
militare, nè poteva pensare di espugnare la piccola Era che per giunta,
anzicchè sull'Erminio, si trovava sugli estremi bracci del fiume Gela.
E così può anche spiegarsi il fatto che Ippocrate, mossa guerra ai Siculi
cadde sotto la città di Ibla. Crediamo infatti che il tiranno mosse guerra ai
Siculi dell'altipiano e quindi contro Ibla Major e contro la nemica Geleate
e che cadde davanti la città di Hybla Major. Questa città infatti doveva
essere la prima che il tiranno, movendo da Gela, doveva incontrare nel suo
cammino.
(1 ) Gue rra d el Pe l oponne so. VI. N. 94 -Tra d. Pe yron Il - Te st o la ti no se guito dagli
st orici: Atheniense s reve rsi Catanam et illic f rumentati cum omnibus copiis profecti
sunt in Centuripem oppidum siculorum„ qui cum ex conventione intrassent, incensis
segetibus Inesseorurn et Hybleorum, discessere et Catanam sunt reversi.
Fazzello - Hybla Major cujus cives Hyblaei - Maurolico - Hybla Maxima unde llvblaei.
( 2 ) Degli storici alle parole Hyblaeorum di Tucidite hanno aggiunto Ge reatorum e
quindi hanno detto che Tucidite collocasse la Gereate presso Cen t uripe. In t al mod o il
Di Ma ria ha sost e nut o l 'e rrore c he il sit o ori gi na ri o della Major fosse quello di Avola
antica. Il Fazello ha poi detto che la Gereate fosse proprio (procul dubio) la Megara!
( 3 ) Pausa nia della Cappadocia verso il 130 d.C. scri sse la geogra fia di tutta la Grecia
ed a proposito della Eliaca descrisse la statua di Giove dicendo: Ilybleorum donunt esse
aiunt e disse quanto sopra (V 334 Di Maria I.R.46). Nessuno storico come il Pausania è
stato così ingiustamente e leggermente vituperato da storici ant ichi e moderni. Egli
avrebbe errato sul numero delle iblc: avrebbe errato dicendo che le due Ible fossero
estinte quando gli storici latini e lo stesso Stefano Bizantino ne hanno a ssicurato
l'esi stenza; avrebbe errato chiamando Gereate. la Gelcate o Megara e Maggiore la Galeatc.
Lo stesso Fazello dice che la Gereate fosse procul dubio Megara. E così pure il Cluverio, il
Padre Massa e peggio ancora il Di Maria. Lo stesso Pace chiama Geleate la Maggiore.
Tutta que sta ba bele è nata dal falso pre supposto della immutabilità del sito ori gina ri o
delle l ble. E c osì sono state c alunniate di a ssurd o ca mpa nili smo ta nt e ci ttà c he
gi usta me nt e di sce nd ono o dalle Ible ori gi na rie o dalle l ble trasmigrate.
13) VI. N. 2 - (rad. Peyron 77
(6) Diodoro - trad. Compagnoni V. 307.
(7) Diodero - (rad. Compagnoni V. Cap. I V.
(8 ) Ecco il testo seguito dagli storici: Caeterum abitabant priscis temporibus Sicani in
montibus natura munitis in quibus urbes latronum metu aedificarunt. I Sicani perta nto si
rifuggiarono sui monti per nece ssità di difesa. Diodoro op. cit. VI cap. l l.
t91 I Sic uli c osì la c hia marono perc hè il lid o si curva a forma di fal ce ' ch e i Sic ul i
c hia ma va no Zan clo s. Tucid ite VI. 35 - Di od oro IV. 35.
(10) Probabilmente prese nome dalla parola sicula Katinon, scodella, Catania infatti è una
conca circondata da piccole colline.
l)(I La Geleate come la Major erano due città nemiche perchè entrambe erano
confederate di Siracusa. Tanto valeva poi espugnare la Gelcate come la Major perchè caduta
l'una, anche l'altra cadeva.
CAP. IV
IB LA MAJOR ED IB LA GE LEATE - OR IGINI E C IVILTÀ
Come abbiamo detto, la Major dai pressi di Paternò trasmigrava
sulle pendici meridionali dell'altipiano iblense, mentre la Era Geleate,
dagli est remi br acci del Gel a, tr asmi gr ava all o sbocco dell a Cava
Grande. Queste due città rappresentano due diversi stadi di civiltà e
quindi diversa è la loro origine. Anche noi riteniamo infatti che la Major
è una città sicana ( 1 ), mentre la Geleate è i ndubbiamente una città
sicul a. E che la M aj or sia una citt à si cana si ri leva anzitutto dal fatto
stesso della sua trasmigrazione. Se infatti trasmigrò a causa delle
incursi oni sicul e (1 ) e speci fi cat ament e a causa degli st anzi a men t i
si culi di In essa e di C entur ipe, essa n on poteva esser e ch e sicana. Ciò
è confer mato da Diodoro siculo il quale parlando di Du cezio (448 -440
a.C.) così scrive ( 3 ): Post haec Ducetius siculorum dux urbes omnes quas
ejusdent gentis incolac habitabant, excepta Hybla, in unum et communem
duxit ad stip endia contributionem et vitae parem reique institutionem
(Diodoro lI cap. XXII). Questa città adunque er a regni cola, ma non er a
della med esi ma gent e ed appunto perciò ebbe una speciale autonomia e
non fu soggetta allo stesso regime e alle stesse contribuzioni. Essa visse
in mezzo ai siculi dell'altipiano perchè coi siculi non si verificò alcun
contrasto d'interessi essendo il suo territorio in pianura fra il Caccipari e
l'Asinaro. Era invece interesse di Ducezio di mantenere questa sentinella
avanzata dell'altipiano. E che la Major fosse una città sicana basta tener
presente le profonde differenze con la Geleate. Mentre infatti questa città
vi ve in capanne asciutte ed arieggiate, la Major vi ve in umide caverne;
e ment re la Geleat e h a una n ecr opoli di ci rca 2000 cell e mortuarie e
segue il rito dei seppellimenti individuali e per famiglia, la Major non ha
nessuna necropoli se togliamo quella quarantina di celle mortuarie che sono,
per giunta del III° periodo siculo. Pertanto seguiva il rito della tumulazione a
grandi masse o dell'incenerazione. In quanto poi alla Geleate nessuno dubita
che sia una città sicula perchè i Siculi vennero in Sicilia nella protostoria e
gli antichi storici sono ricchi di particolari sulla lunga guerra sostenuta dai
Siculi contro i Sicani. Si discute invece sull'origine dei due popoli, sulla data
delle due immigrazioni e sul loro stato di civiltà.
Filisto siracusano del V° secolo a.C. disse che i Sicani vennero
dall'Iberia, mentre Timeo credette che fossero autoctoni. Altri ancora ritennero
che fossero venuti dall'Africa ed altri dal Lazio. L'Orsi, seguendo il Sergi e
la suggestiva tradizione latina, ha ritenuto che i Sicani e Siculi avrebbero
fatto parte della grande famigli a Euro-africana, che dalle coste settentrionali
dell'Africa si distese per tutta l'Europa mediterranea. Una corrente per Creta
sarebbe passata in Grecia portando i germi di quella cultura che culminò
nella civiltà egeo-micenea. Sarebbero questi i Pelasgi che pervennero anche
nella Italia meridionale. Un'altra corrente sarebbe passata nella Spagna che
dal nome degli occupanti avrebbe preso il nome di lberia. Alla terza
sarebbero appartenuti i Liguri che colonizzarono l'Italia set tentrionale e
centrale penetrando anche nel Lazio.
Questa ipotesi corrisponde alla tradizione latina tramandataci da
Catone, Plinio e Servio secondo cui i Sicani prima di passare in Sicilia
abitarono nel Lazio. Quindi Sicani e Siculi, secondo l'Orsi, sarebbero due
rami della stessa gente giunti nell'isola in tempi diversi con un fondo comune di
civiltà ( 4 ). Meno incerta è l'immigrazione sicula come quella che avviene
negli albori della storia. Gli antichi e moderni storici riconoscono infatti che
essa venne dall'Italia passando in Sicilia attraverso lo stretto di Messina. I
Siculi invero cacciati dal Lazio occuparono la bassa Italia e successivamente
invasero la Sicilia con tutte le loro famiglie. Ma quando vennero i Sicani e
quando i Siculi? Seguendo l'antica tradizione storica i Siculi vennero in Sicilia 300
anni prima dei Greci cd i Sicani 300 anni prima dei Siculi.
E poichè i Greci vennero nell'ultimo terzo del sec. VIII a.C. (5). i Siculi
sarebbero venuti nell’X1 e i Sicani nel XIV secolo. L'Orsi intanto dagli studi
stratigrafici è stato condotto ( 6 ) ad affermare che il periodo neolitico o della
pietra lavorata che chiamò civiltà di Stentinello cessava di vivere nel XXVII
sec. a.C. e che questa civiltà che ignorava completamente l'uso dei metalli,
precedette il primo periodo siculo ( 7 ). Egli dice infatti al riguardo che quando
nell’VIII secolo vennero i Greci, i Siculi fruivano della civiltà del III periodo
che colloca dal X o IX al VI secolo a.C.; che la civiltà del II° periodo occupò se
non tutto il I millennio a.C. certamente una buona parte di esso e che
infine la civiltà del I° per. deve collocarsi dalla metà del III° millennio al sec.
XIX. Quindi concludeva che l'esordio della civiltà specificatamente sicula
doveva valutarsi al XXV sec. a.C. ('').
Ma queste date non sono senza contrasto. Mentre infatti il Pa troni
innalza l'origine della civiltà sicula al V o ai IV millennio a.C. (9) il Pace e
l'Arias tendono ad abbassarla. L'Arias infatti la riporta alla metà del II0
millennio a.C. ( 10 ) mentre il Pace la riporta a qualche secolo prima dell'anno
mille cioè al sec. XI cioè 300 anni prima della colonizzazione greca per come
dice l'antica tradizione storica (11 ). Una falcidia quindi di ben 14 secoli che
lascerebbe fortemente perplessi sull'attendibilità delle indagini stratigrafiche.
Meno incerto è lo stadio di civiltà tanto dei Siculi che dei Sicani. La civiltà
di questi due popoli passa anche attraverso le due età della pietra e dei metalli e
dei periodi in cui si dividono.
La prima ha il periodo paleolitico o periodo della pietra scheggiata
(12) e il periodo della pietra levigata contrapposto con la scoperta del rame
detto periodo neolitico (13). A sua volta l'età dei metalli ha il periodo del
bronzo ottenuto con la miscela del rame e dello stagno, detto periodo cuprolitico o
eneolitico o aleolitico e il successivo periodo del ferro. L'età della pietra
rimane nelle oscurità della preistoria e della paletnologia, mentre quella
dei metalli entra nella pr otostoria cioè negli albori della storia. L'età
della pietra secondo l'Orsi sarebbe cessata di vi vere nel XXVII sec.
a.C. L 'ar cheol ogia n on ha credut o di potere stabi l ire se in quest o
stadi o di ci vilt à si debban o ved er e i S icani dell a t rad izi one ma se n on
è dubbia l 'esi stenza dei Sicani in Sicilia e se essi precedettero i Siculi
che erano nello stadio di ci viltà dei metalli, la civiltà d i Stentinello non
poteva essere che quella dei Sicani. E dei Sicani dovevano essere le
stazioni di Piano Notaro, Valdesi, S. Angelo Muxaro, quella di Avola
antica e quella del villaggi o neoliti co di Megara Iblea che secondo
l 'Orsi cessava di vi vere nel XXVII sec. a.C. In questa età i popoli
vi vono
in
casali
e
villaggi,
abitano
nelle
grotte
o
in
pagliai
generalmente dì forma circolare ('') e si ha il rito funerario dei
seppellimenti a grandi masse e d ell a in ciner azion e, ment re le cell e
mortuar ie poi son o a forno con volta bassa.
Ben diversa doveva essere l a ci viltà si cula che entra nella età dei
metalli. Al riguardo il Pace così riassume i quattro complessi dei
monumenti rivelati alla scienza dall'archeologo Paolo Orsi in trenta anni
di meravigliose scoperte:
I° periodo detto cuprolitico orientale. L'Orsi attribuisce a quest o
peri odo l a cr onol ogia dal XXV al XV sec. a.C. In esso preval gon o
ancora strumenti di basalto e di selce, ma si conoscono strumenti di
bronzo. Rarissi mo appar e anche il ferr o. Si fa lar go uso di ossa ridotte
ad utensili e piccoli strumenti. I villaggi sono for mati da capanne di
for ma circolare e talvolta quadrate. I morti sono seppelliti in camerette
tondeggianti scavate nella roccia. Vi sono sepolti molti cadaveri
rannicchiati, il che dimostra dei seppellimenti per famiglia o gruppi di
famiglie.
II riodo.
il ver o periodo del bronzo perchè è largamente diffuso,
per quanto raro si conosce anche il ferro. In questo periodo diminuiscono
i seppellimenti a grandi masse. Le celle mortuarie spesso precedute da un
padiglione o atrio esterno, si adornano di panchine in cui si edon o o vi
adagian o i cad aver i. Le for me sepolcral i sono più grandiose di quelle
del primo periodo e le celle contengono vasi, coltelli, scuri silicee,
ornamenti, ceramiche cd elementi di bronzo. In questo periodo gli
strumenti litíci vengono levi gati con raschiatoi, cuspidi, seghe, lame. ecc.
III° pcriodo o prima età del ferro. L'Orsi vi attribuisce la cro nologia
dell'VIII e VII sec. a.C. I villaggi sono ancora aggregati di capanne. ma
appaiono elementi costruttivi della difesa e delle abita zioni. I.e celle
mortuarie sono più vaste ed assumono forma quadran golare con un solo
ambiente preceduto da padiglione. I cadaveri ven gono distesi ed adagiati
con la testa sulla panchina. Il ferro si diffonde. Di esso Sono fatte fibule. anelli
e coltelli.
IV° periodo. L'Orsi vi attribuisce la cronologia dal V al IV se col o
a.C. I villaggi non differenziano molto dai precedenti, ma appaio no
fr equenti gli elementi costrutti vi. Nell a pri maver a del 450 a.C. con la
caduta di Du cezio. si intensifica il processo di fusione etnico fra
indigeni e colonizzatori greci ed il ciclo della civiltà spiccatamente sicula
viene compiuto. La ci viltà greca si sovrappone infatti alla ci viltà sicula
Naturalmente il vecchio rito popolare si sviluppa in forme che
s
sentono il contatto con la grecità.
Ciò pr emesso, qual e la ci vilt à del Cassi bil e o di Avol a anti ca
cioè delle due Ible vicine trasmigrate sui monti Iblei?
Come si è detto la Era Geleate dai pressi di Caltagirone trasmi grava sulle colline del Cassi bile. Quest a città ch e era sfuggit a all a
at t enzi on e deg li ar ch eol ogi, n el 1897 fu espl or ata dall 'Or si . E gli
trovò una i mport ante necr opoli di cir ca 9000 cell e mortuar ie che in
parte esplorò. Le celle sono di for ma rettangolare ed eccezi onal ment e
ellittica, munite di panchine in cui sono adagiati i cadaveri sopra un
fi anco con le gambe pi egat e e la test a sull a pan china. Il rito funebre era
quello dei seppellimenti individuali o per famiglia. Accanto ai cadaveri poi
trovò un'abbondante ceramica di scodelle, boccali, piattelli a gambo, ollette,
bottigliette, fiaschi, bacinetti, calicetti nonchè una rilevante quantità di coltelli,
scuri, pugnali silicei e di bronzo ed oggettini di lusso come amuleti, fibule,
fermagli da cintura. La città poi, secondo l'archeologo, era formata di capanne di
paglia e si stendeva nei terrazzi interposti fra le cavette La Mola, Spinetta e S.
Anna. I capi poi dimoravano al di là del fiume, sull' altipiano di stante in linea
d'aria 3 o 4 Km. circa da Avola antica. L'archeologo poi giudicò che si trattasse
di una città sicula e tanto per dare una data disse che datava dal X o IX sec. a.C.
Ma egli disse però che quello stadio di civiltà era recensiore a quello de l
gruppo Tapsos, Pantalica, C. Pantano e del Plemmirio e che rappresenta un
passaggio fra il II° e il III° per. siculo. Se l'origine della civiltà sicula si abbassa
poi di 14 sec. devono altresì abbassarsi le date dei singoli periodi. Difatti
l'Arias abbassa il H per. sec. X-VIII e quindi il III cadrebbe nei sec. VII e
VI a.C. Comunque è certo che la Geleate dovette trasmigrare sul Cassibile
non prima del VI sec. a.C. e il suo stadio di civiltà non poteva essere che quello
del III° periodo. E’certo infatti che la città rimase sul Gela fino alla uccisione
di Cleandro, tiranno di Gela tanto vero che Aristotele la chiamò Cleandri
caede infamis. Quindi dovette trasmigrare perchè non poteva competere con la
potente vicina. Tanto più che alla morte di Cleandro ne assunse il potere suo
fratello Ippocrate. uno dei più grandi condottieri del tempo. Egli infatti vinse
Siracusa sull'Eloro e sottomise tutte le città della costa orientale della
Sicilia. Se la Geleate non fosse trasmigrata e fosse stata nelle vicinanze di
Gela Ippocrate, prima di partire verso l'Eloro, si sarebbe sbarazzato di questa
molesta vicina così come sottomise Camarina che era una co lonia di Siracusa.
Egli pensò invece alla Geleate, dopo le sue glo riose imprese. Difatti Erodoto
dice che Ippocrate verso la fine della 71° Olimpiade illato Siculis bello ante
urbem Hybla periit (15).Ben diversa doveva essere la civiltà di lbla Major: anche
questa città è sfuggita all'attenzione degli archeologi. Il Fazello nel 1500 la
disse una città medievale compreso il suo castello e ugualmente l'Orsi in una
visita fugace nel 1889 rilevò soltanto la distruzione di una città medievale.
Questo doppio errore è dipeso dal fatto che nel medio evo, sulla città troglodita
si era sovrapposta una città in muratura che fece scomparire l'antica.
Evidentemente poi se la civiltà della Major fu originariamente quella della
pietra non può dirsi che essa si fosse conservata come in un compartimento
stagno e quindi dovette subire l'influenza della civiltà sicula. Tant o vero che
le celle mortuarie sono appunto quelle del III° per. sic.
Se è vero poi che essa fu una città sicana, se la civiltà sicula ha
principio col periodo cuprolitico, la civiltà sicana non poteva essere che
quella della pietra. Pertanto, se la città fu costretta a trasmigrare nella
immigrazione sicula, la sua civiltà deve riportarsi alla età della pietra, cioè alla
civiltà di Stentinello. E diciamo almeno perchè secondo l'Orsi essa andrebbe
al di là del 2700 a.C. e secondo il Patroni al IV o V millennio a.C. Allo stato
delle cose poi a nostro avviso, abbiamo quanto basta per inquadrare la Ibla
Major nelle antiche civiltà. Certo è anzitutto che abbiamo una città scavata
nella roccia. cd è notevole al riguardo che le stesse grotte di abitazione con tengano delle mangiatoie di animali, delle concimaie, dei truogoli tutti
scavati nella roccia, coevi allo scavo. Ciò dimostra che gli abi tanti facevano
largo uso di animali domestici come il cavallo, il mulo, l'asino, il maiale e che,
come dice Diodoro, essi vivevano lavorando la terra. Pertanto gli abitanti,
invece di abitare in capanne arieggiate ed asciutte, vivevano in umide
caverne, accanto agli animali. Lo stesso può dirsi per il rito mortuario. Se la
Geleate venuta sul Cassibile in epoca così recente conta una necropoli di
circa 2000 celle mortuarie, come mai la Major non ha una vera e propria
necropoli? Essa, è vero, ha una quarantina di celle mortuarie, ma esse sono
di epoca recensiore. Difatti a giudicare dalle poche celle accessibili che abbiamo
visitato esse sono di forma rettangolare ed adorne di panchine simili a quelle
della necropoli di Cassibile. Non si ha alcuna cella a forno che è la primitiva
forma delle celle mortuarie. Ciò dimostra che esse dovevano riportarsi al
tempo in cui Ibla Major venne a trovarsi a contatto con la Geleate e coi Siculi
sparsi nell'altipiano. Né è vera la supposizione che l'inumazione dei cadaveri
avveniva nelle stesse grotte di abitazione, perchè non vi è traccia al riguardo.
Necessariamente pertanto dobbiamo riportarci ad un'epoca di tumulazione a
grandi masse o della incinerazione il che ci conduce ad un periodo di civiltà
anteriore a quello della Geleate. Al riguardo sarebbe il caso di esplorare una
caverna che si trova in piano alla fine della Vall e fuori legge in prossimità
delle ultime celle mortuarie. Ivi si trova un buco di forma circolare scavato
sulla roccia da cui un uomo può scendere nell'ambiente sottostante. Questo
ambiente è di notevole ampiezza per come dicono delle persone che vi sono
scese. Il punto in cui si trova, quasi a contatto delle celle mortuarie fa
supporre un carnaio di cadaveri.
Questa civiltà non può essere quella della pietra e quindi deve risalire
secondo l'Orsi ad un'epoca anteriore al XXVII sec. a.C. secondo il Patroni al
IV o V millennio e secondo la tradizione storica al sec. XIV a.C. Ma i Sicani
che fondarono la città di Ibla nelle vicinanze di Paternò pervenivano sul
monte di Avola antica nel periodo di espansione della trasmigrazione sicula
cioè dopo la fondazione delle città dì Catana, di Imessa e di Centuripe cioè in
epoca in cui i Siculi erano nel periodo cuprolitico.
E nulla di strano che si fossero serviti di strumenti di bronzo quando
incominciarono e fecero quella grandiosa mole di escavazione. E nulla di
strano anche perchè prima di procedere allo scavo delle proprie abitazioni gli
abitanti dovettero vivere in capanne di legno per come probabilmente
vivevano, anteriormente nella sede primitiva. Pertanto Ibla Major è una città
sicana che ebbe la fortuna di poter convivere in mezzo ai siculi quando
l'immigrazione greca li cacciò dalla costa (16).
(1)
Le ragioni addotte dal Di Maria sono inconcludenti perchè parte dal l'erroneo
presupposto che la Era e la Geleate siano due città distinte.
(2)
Abbiamo detto dei Siculi perchè è escluso che fossero delle incursioni greche.
(3 )
Al tempo di Ducezi o: Duo in Sicilia imperia, siculorum unum quod sola
mediterranea possidebat cujus regia urhs Trinacria, alterum: Siracusanorum - Fazello in Di
Maria HZ. 58.
(4 )
Corrado e Ippolito Cafici in Paolo Orsi.
(5)
II Pace cosi riassume i dati delle fondazioni siciliane: Nasso 735-4; Siracusa
734-3; Zancle 729.8; .Mile 716-5; Casmene 694-3; Acre 664-3; Selinunte 628-7; Camarina.1 599-8;
Agrigento 583-2: Imerd 048-7.
(0) Un pò diversa sare bbe la cronologia secondo Filistio siracusa no che prese parte
alla guerra di Atene contro Siracusa. Egli infatti dice che i Siculi sarebbero venuti nella
terza generazione prima della guerra di Troia (1184) cioè circa 80 anni prima e quindi nel
sec.
XIII.
Il
Fazello dice infatti:
Ut
autem Philistius siracusanus scribit
tempus
trasmigrationis siculorum fuit anni octaginta onte bellunz troianorzn. Il cap. 3 - Di Maria R.A. 26.
(7)
La silice, la quarlite. l'ossidiana, il basalto servivano per la confezione di
coltelli. raschiatoi e scuri, mentre le ossa servivano per fare lisciatoi, pun teruoli ed aghi.
(8)
Fratelli Cafici su Paolo Orsi.
(9)
Preistoria - Milano 1937 - I. 293.
(10)
Archaeologia.
(11)
Arte e civiltà della Sicilia antica - I. 155.
(12)
I a pietra viene scheggiata e manufatta con altri sassi a bordi taglienti o a punte
acuminare. Arias op. e. 89.
(13)
In que sto pe riod o si ha l 'inizi o di una metallurgia a nc ora de bole e povera di
fronte ai sovrabbondanti strumenti litici. Questo è il periodo più fio rente in Grecia. Esso fà
capo alla civiltà cretese dove si manifesta una civiltà ricca e potente e una cera mica di
elevate concezioni che attesta una capacità artistica unica nella protostoria. Questa civiltà si
suole datare tra il 2500 e il 1()00 a C. e viene chiamata egeo-micenea o cretese micenea - V. Arias op.
cit.
(14)
L'antica capanna non poteva essere diversa dai pagliai che si vedono anche ora
nelle nostre campagne sia di forma circolare che ellittica e quadran golar e Esse e ra no formate
da un'ossat ura di pal afitte i nfi sse al suol o c on le pareti te ssute di canne od altro ed il tett o
a c ono o ellittic o. La diffe renz a poteva essere soltanto che la confezione dell'antica capanna
doveva essere più accurata. Essa infatti era rivestita di fango per proteggere l'uomo dai rigori
del freddo e dalle piogge.
(15)
Erodoto - le Nove Muse - VII 294, Trad. Elenchi. Questa Ibla fu la Gelente o la
Major. Anche que sta era una sentinella avanzata dell'a ltipiano e faceva causa comune coi
Siculi. Questa ipotesi sarebbe confortata dal fatto che Ibla, senz'altra aggiunta, sarebbe proprio la
Major.
(16)
E notevole al rigua rdo che tale coesi stenza arrivò al punt o che Ibla Major fece
parte del regno siculo e fu esentata dai contributi di guerra. Ciò si spiega col fatto che nessun
contrasto di interessi si verificò perchè il terri torio di Ibla era in pianura fino all'Asinaro.
CAP. V
L'ALTIPIANO IBLENSE
Tanto lbla Major che la Geleate, non solo trovarono la loro difesa nel
sito naturalmente fortificato, ma anche nel baluardo di fensivo dell'altipiano
iblense. Questo infatti è protetto a nord dalla Cava Grande e ad est e sud da
una grande dentellatura di speroni montani. La Cava Grande in cui scorre il
Cacciparis, è una gola grandiosa che si estende per circa Km. 10 e difende
a nord tutto l'altipiano. Essa è infatti a ripido pendio, profonda circa m. 400
e larga circa m. 1000 ( 1). Quindi è assolutamente intransitabile e divide
l'altipiano Cugni di Cassaro, che resta a nord dall'altipiano iblense, che rimane
a sud e che ancora è denominato Montagna di Avola.
La dentellatura montana, che lo chiude da levante e mezzogiorno, è poi
formata da monti di notevole altezza fra cui il Montedoro di m. 394, il
monte di Avola antica di m. 414, il Cozzo Tirone o Titole di m. 431, il Cugno
Agosta di nt. 476. Questi speroni montani sono divisi da cave e cavette.
Sottostante poi al monte di Avola antica, in direzione est-ovest si svolge la
Cava Pisciarello dove scorre il fiume Erineo od Orino e la Cava Serpe che,
all'estremo ovest, si avvicina notevolmente alla Cava Grande lascian do
interposte le contrade Carrubbella e Turisco. Questo è il grande baluardo
dell'antichità, rifugio di popoli sconfitti che fu sempre sparso di fitte
popolazioni sicane e sicule ( 2). Col tempo esso divenne un vero campo
trincerato perchè da ogni lato fu difeso da varie città fortificate. Difatti, men tre a nord rimase difeso dalla Cava Grande, ad est fu difeso dalla sicula
Geleate. fortificato sul colle La Mola, a sud da lbla Major ed a sud ovest
dalla città di Netum, la nuova Neas anch'essa forti ficata perche difesa
all'intorno da profonde valli. Pare pertanto che Netu m costituisca l 'estrema
difesa
sud
occident ale
del
campo
trin cerato
ibl ense.
E
non
è
improbabile che Ducezio avesse trasportato l a su a patri a Neas a Not o
Anti co per compl et ar e l a di fesa del l 'al tipiano. La greca Acre infatti,
fondata da Siracusa, era una minaccia contro i siculi. Al tempo di
Ducezio poi erano due i domini dell'isola: il regno medit err an eo d ei
siculi, e quello lit or aneo di Si racusa. In quel tempo Ibla Major faceva
parte del regno siculo tanto vero che Ducezio la esentava dai tributi di
guerra che impose a tutte le genti sicule. L'altipi ano pertanto doveva dar
luogo a gr andi avvenimenti militari. Il primo di essi è legato alle
vittoriose imprese di Ippocrate. tiranno di Gela. Erodoto di Alicarnasso
dice di lui che verso la fine della 71° Olimpiade (493 a.C.) sconfisse
Siracusa sull 'Eloro, assog gettò al suo dominio i Gallipolitani. i Nassii, i
Leontini, i Zanclei, che concepì e cercò di attuare l'ardito disegno di
sottomettere al suo dominio tutti i popoli della Sicilia. Infatti, dopo di
avere sottomesso le città della costa orientale. mossa guerra ai Siculi,
appo la città di Ibla perì ( 3 ). 1l tiranno adunque, per soggiogare i siculi
dell'altipiano. comprese l e due Ible che l o guardavano. tentò pri ma d i
espu gnare la citt à forti fi cata di l bla ch e senz 'alt ra aggiunta indi ca l a
Major, come quella che prima incontrava nel suo cammino. Nè poteva
prima attaccare la Gel eate senta essere preso alle spalle dalla Major. Le
due Ible poi erano cosi vicine e cosi strettamente legate nella dif esa ch e
t ant o val e va at t accar e l 'u n a qu ant o l 'al t r a. La r agi on e d el l a sconfitta
probabilmente dipese dal fatto che il tiranno non potè fare uso della
cavalleri a, né del suo comandante in capo Gelone che in tante battagli e
si era rilevato di grande talento militare.
Il secon d o fatt o d 'ar me ch e si l ega all 'al t i pi an o fu al t empo della
guerra di Atene contro Sir acusa (415 -413 a.C.). All'inizio della guerra,
entrambe le parti cercarono degli aiuti nei popoli vici ni, sia di uomini
che di vi veri e denaro. E gener al mente, mentre i popoli dell a cost a si
schi eraron o dall a part e dei sir acu sani, quelli dell 'in terno si
schieraron o dalla parte degli Ateniesi. C osi cchè, mentre i siculi
dell 'altipiano i blense che odiavano i greci part eggiavano per Atene,
Ibla Maj or e l a Geleate parteggiar ono per Sir acusa ( 4 ). Per tanto il
comando ateniese agi va di conseguenza. Esso anzitutto fis sava in
Catana i propri accampamenti, poi con la flotta si recava nel Tirreno per
riscuotere da Egesta gli aiuti promessi. Successivamente pensava di
espugnare la città di Centuripe ed al ritorno incendiava le messi prima di
Inessa e poi di Ibla città nemiche. Non occorreva con tro Ibla alcun fatto
d'ar mi sia perché la città non era fortificata, sia perché era di già
trasmigrata.
In quel tempo però non era complet ament e scomparsa e quindi i
superstiti che ancora vi rimanevano attendevano alla cu ltura delle loro
terre. Quell'incendio intanto preludiava una impresa contro le due
sentinelle dell'altipiano iblense. Nici a infatti con metà della flott a
uscendo da Catana e navigando al largo di Siracusa verso la Sici lia
ulteriore investì Ibla Geleate p er salire sull'altipiano attraverso il
Caccipari. Ma il tentativo non ebbe fortuna perchè gli Ateniesi cum
clade repulsi fuerunt(5 ). Al riguardo poichè nessuno ha mai pensato che
allo sbocco della Cava Grande fosse trasmigrata la Hera Geloatis, i
traduttori di Tucidite, hanno volto il nome di Ibla Geleate con la perifrase
di Ibla in quel di Gela come se la piccola Geleate, nata secoli prima della
greca Gela, si fosse intrufolata nel territorio di essa. E ciò senza dire che
era inconcludente una impresa così lontana e che Ippo crate, tiranno di
Gela, muovendo contro Siracusa, non si sarebbe lasci ato alle spalle una città
nemica.
Il t erzo fatt o d 'ar mi avveni va nel sett embr e del 413 a.C. cioè
nell'epilogo della guerra anzidetta. Come dice Tucidite, dopo la disfatta
navale i due comandanti ateniesi tentarono di partire verso Catan a. Ma il
viaggio fu ostruito dai Siracusani e quindi, dopo vari tentativi dovettero
cambiare rotta dirigendosi verso Camarina e Gela attraverso l ’ al ti pi an o
Ibl en se. An ch e all or a d eci ser o di sali r e sul l 'al ti pian o at traverso il
fiume Caccipari. Ma anche questo tentativo fallì misera mente, tanto
vero che i due comandanti decisero di raggiungere l'al tipiano attraverso il
fiume Erineo. Ma mentre Nicia raggiunse il fiume, la metà dell'esercito comandata da Demostene fu aggirata e sconfitta nella contrada Palaz zetti dove
si arrese. Sull'Erineo intanto Nicia attese invano l'altra metà dell'esercito e
durante quell'attesa fu sorpreso dall'esercito siracusano che gli comunicò la
sconfitta di Demostene e che gli intimò di fare altrettanto. Ma poichè Nicia
subordinò la resa alla condizione di lasciarlo partire indisturbato con tutti i
suoi, fu costretto ad ingaggiare battaglia nel costone Tilibelli (Tellus belli).
Gli fu pertanto impossibile di raggiungere l'altipiano e si diresse verso
l'Asinaro dove l'esercito ateniese al guado del fiume fu ín parte distrutto ed in
parte preso prigioniero.
In questo fatto d'arme Ibla Major naturalmente dovette schierarsi contro
gli ateniesi sia perchè confederata di Siracusa sia perchè gli ateniesi le avevano
incendiato le messi. Se difatti i Siculi dello altipiano erano confederati di
Atene e nella ritirata avevano pro messo degli aiuti in viveri e denaro, Nicia
senza l'opposizione della Major per salire sull'altipiano non avrebbe avuto
bisogno di aspettare la venuta di Demostene. E anche quando poi fu sorpreso
dai Siracusani avrebbe sempre potuto raggiungere l'altipiano. Dovette per tanto trovare in Ibla Major tale resistenza che fu aggirato dal nemico e costretto
a mutar rotta: infatti invece di andare verso Camarina si diresse verso la foce
dell'Asinaro.
(I) il Littara la disse orribilis visu ed è una delle grandi meraviglie del
mondo.
(2) Sulla sponda destra della Cava si trovano ancora degli avanzi di città
preistoriche su cui ci riserviamo di indagare.
(3) Erodoto - Le Nove Muse Trad. Benelli VII 294. Questa Ibla non era la
Megarese perché tutta la costa era stata sottomessa e quindi non poteva
essere che la Major o la Geleate. Gli storici sono discordi al riguardo, del
resto. attaccando la Major attaccava anche la Geleate.
(4) Tucidite VI - n. 88 trad. Peyron.
(5) Saliano in Di Maria I.R. 62.
64
CAP VI
IL TIMO E L'ERINEO
Essi si legano al nome di Ibla Major e vi gettano larghi sprazzi di luce.
Nel brullo altipiano iblense cresce spontanea la pianta del timo che dà un
miele dolce e fragrante. Oggi dal timo si estrae anche una essenza odorifera
e nella nuova Avola già sorge una fabbrica di essenze in cuí il timo è gran
parte. Questa pianta è stata simboleggiata nello stemma della città. Le tre api
volanti su tre speroni montani ritraggono il luogo e la eccellenza del miele.
E che poeti naturalisti e storici decantassero il miele di Avola antica e non
quello delle altre Ible a noi non par dubbio. Se la lbla famosa per il suo
miele è indubbiamente la maggiore, se questa città si trasfe riva sulle pendici
meridionali dei monti iblei e ai tempi di Tolomeo si trovava ad ovest di
Siracusa, la Ibla decantata ai tempi di Cesare per il sito miele non poteva
essere che Avola antica. Pertanto se Virgilio (70 a.C. - 19 d.C.), quando la
originaria lbla era scomparsa, cantò le api iblee, ben disse Ortellio: Hybla
Vergilii in bucolicis vulgo Avola est ut scribit in suo indice Eritraeus (')
Ugualmente quando Seneca (2 a.C. - 65 d.C.) quando Ovidio
(43 a.C. - 18 d.C.) quando Marziale (42 a.C. - 104 d.C.) decantarono
mella iblea e le api che pascuntur in Ibla non potevano parlare che
della nuova Ibla Major. E quando Plinio (23 - 79 d.C.) disse che il
miglior miele veniva Atticae regionis et siculae himettus et Hiblae
a locis non intese parlare che del monte Imetto dell'Attica e delle
contrade di Avola antica. E questa fama è perdurata anche nei moderni scrittori fra cui il Mongitore, il Cantù, il Parini che hanno de cantato i fiori di lbla, il ferace timo, la fama dei favi iblei. È notevole
fra gli altri il Littara (1550-1602) che chiamò Avola antica col nome di Hybla e
che l a disse fertili s mell e
suo.E
ciò anch e quando nel territorio di
Noto cresce abbondante la pianta del timo. Il Fazcllo, ritenendo che Ibla
Major fosse stata unicamente nel sito originario,e che Avola antica fosse
recente e di nome sar aceno, cadde di con seguenza nell'errore di ritenere
clic la città famosa per il suo miele fosse stata la città di Megara perchè
anche i colli vicini sono abbon d an t i di t i mo e d i sal i ci . M a se n essu n o
h a mai fat t o i l n ome d i Megara e se il nome di Ibla senz'altra aggiunta
è unicamente quello di Ibla Maggiore, nulla importa che la pianta del
timo cresca abbon dante neí colli di Melilli ed altrove.
Avvenn e pertant o nell 'anti chità quell o che è avvenuto per l a
mandorla Avota che in tutto il mondo oggi dà il nome a quella della
provincia di Siracusa. Ma che ciò sia vero è confermato da una med agli a d el P aru t a ch e si mbol eggi a l a fa ma d el mi el e d i Ibl a M ag gi or e
(2). Al ri gu ard o è ben e pr emett er e ch e l a Hi bl a Maj o r ad orava in
modo particolare la dea Ibla, protettrice della città. Pausania per
significare il culto profondo verso questa dea, disse che il suo tempio erat
siculorunz omnium celebritate religiosum. Ebbene, la medaglia anzitutto porta
all'intorno il nome di Ibla Maggiore (Megalos Hybla) e mentre nel suo r ovesci o
ha l 'i mmagine di una donna appoggi ata ad un bastone che port a un vaso
in mano e che ha sotto i piedi un animale simile ad un cane, nel suo
diritto ha l'immagine di una donna velata in volto ed inseguita dalle api. E
evidente che le due immagini deri vano da un unico concetto artistico ed
espri mono un'unica dea protettrice del miele. Nel rovescio infatti la dea porta il
mellarium vas e col bast one ha ucciso l 'ani mal e infesto agli al veari;
mentre nel diritto la stessa dea coperta in viso da un velo protettore, nella
stesso mellarium vas ha colto il miele ed è inseguita dalle api. l.a
medaglia quindi, ment re si mboleggia l a pr ot ezion e degl i al veari ,
ripr oduce quello che avvi ene quando si coglie il miele: colui che lo
coglie si pr otegge il vi so e quando lo ha colto è inseguito dalle api .
Questa medaglia pertanto rappresenta il precedente storico ed artistico dello
stemma di Avola Antica in cui si trovano tre api volanti come si mbolo
della fama del miele ibleo. Indubbiamente pertanto la città famosa per il
suo miel e è Ibla Maj or Junior ci oè la città di Avol a Antica.
L'Erineus. Come è noto il Cacciparis, l'Erineus e l'Asinaro sono
ri masti famosi per l 'epilogo terrestre dell a guerr a di Atene contr o
Siracusa del set tembre 413 a.C. Nel 415 a.C. si ri accese in fatti in
Sicilia la lunga guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta. Atene su
richiesta della città di Egest a si decise di invi ar e una grande flott a
contro Siracusa nemica degli Egestei, mentre Sparta veniva in soccorso di
Siracusa. Nici a e Demost ene fur ono i due comandanti ateniesi, mentre
Gilippo fu il comandante in capo dell'esercito spartano. Nella prima
estate, come si è detto, gli Ateniesi, per mettersi in comunicazione coi
confederati siculi dell'altipiano, cercarono invano di espu gnare Iblu
Gel eate che abbi amo identificato allo sbocco della Cava Grand e. Molt o
pr obabil ment e Ibl a Major an ch 'essa nemi ca degl i Ateniesi, venne in
soccorso della Geleate, tanto vero che nella seconda estate gli Ateniesi,
dopo avere ottenuto la resa della città di Centuripe, tornando vers o
Catana, incendiavano le messi degli Inessei e degli lblei. Nella terza
estate fu il tremendo epilogo della guerra perchè gli Ateniesi subirono
una serie di sconfitte: per mare nel porto mag giore di Siracusa e per
terra sul Caccipari, sull'Erineo e sull'Asinaro. Avvenuta la disfatta
navale la spiaggia offrì un miserando spettacolo di rottami, di morti di
feriti e di morenti che invocavano aiuto(3). Ma il comando ateniese per
salvare l'esercito di terra decise di prendere subito la fuga. Per un tranello
però ordito dai Siracusani fu costretto a ritardare la partenza e quindi
soltanto il terzo giorno si mise in marcia verso gli accampamenti di
Catana. Ma ogni tentativo fu reso vano perchè i Siracusani ne impedirono
il passaggio. Allora il comandante Ateniese decise di prendere la via
opposta per dirigersi verso Cama rina e Gela attraverso l'altipiano iblense.
Tucidite dice infatti: Questa via non portava più a Catana, ma all'altra parte
della Sicilia verso Camarina e Gela e alle vicine città greche e barbare. Avendo
pertanto acceso molte pire partirono di notte... Il corpo di Nicia si mantenne unito
e fece molto cammino, ma quello di Demostene che formava la metà e più
dell'esercito si sgominò e marciava senza ordine. Tuttavia sul far del giorno
arrivarono al mare e messisi per la strada detta Elorina, ne andarono per
guadare il fiume Caccipari donde a seconda del suo corso intendevano recarsi
nella contrada superiore mediterranea giacche speravano che i siculi, stati prima
avvertiti. sarebbero venuti ad incontrarli(4). I due condottieri pertanto
volevano raggiungere l'altipiano iblense seguendo il corso del Cacciparis,
ma questa rotta dovette essere abbandonata perché Tucidite dice: Giunti
al fiume trovarono anche là una pattuglia di siracusani che attendevano con
muri e steccati a chiudere il passo; dopo averla sbaragliata varcarono il fiume e di
bel nuovo s'indirizzarono verso un altro fiume chiamato Erineo perché tale era
l'ordine dei comandanti (5). Pertanto, mutata la rotta, il nuovo ordine era
quello di salire nella contrada superiore mediterr anea seguendo il corso
dell 'Erineo. P are che qui Tucidite contenga una lacuna. Questo
cambiamento
di
rotta
per
raggiungere
sempre l 'altipiano iblense
dimostra che sul Cacciparis trovarono un ostacolo insuperabile. Passato
infatti il fiume e sbaragliata la guardia siracusana, era facile salire per le
colline Palazzetti. Questo ostacolo adunque n on pot eva deri vare ch e
dalla resist enza di Ibl a Geleat e posta a cavaliere del fiume. Questa
lacuna pare colmata da Saliano con temporaneo della guerra che nel 412 a.C.
scrisse una storia di Sicilia.
Egli dice: Atque in fugam versi in terram evaserunt circumspicientes si
quam in castris aut munitionibus viam salutis invenirent Ma dice al t r esì: E x
mu ni to
qu oda m
co l l e
cu m
cla d e
repu l si
E cco
l 'ostacolo
clic
incontrarono. E questo colle non poteva essere, come ritiene il Di Maria,
il monte di Ibla Major. Doveva essere invece la collina Palazzetti che è
sulla riva destra del fiume. Pertanto, restando immutata la rotta, il nuovo
ordine era di salire sull'altipiano seguendo il corso dell'Erineo. Ma questa
rotta fu fatale ai due corpi di esercito che separ atamente furono
raggiunti e distrutti dal nemico.
a)Demostene. Egli chiudeva la ritirata e doveva essere il primo a
subire l 'urt o del nemi co. I Siracusani, sul far del gi orno, si avvi dero
della partenza degli ateniesi e con lestezza li seguirono. D'altro canto,
mentre l 'esercito di Nicia marciava ordinatamente e celermente, quello di
Demostene marciava lentamente e disordinatamente e quindi
restò
indietro di 50 stadi. Dice lo storico che i Siracusani incontra ron o
Demost ene all 'or a del pran zo, e subito l 'assali ron o e ch e la l or o
caval leri a n on durò molt a fati ca ad att orni are qu el cor po di sgi u n t o
d al l 'eser ci t o. D e most en e al l or a, an zi c ch è an d a r e a v an t i pr en deva ad
ordinare le truppe in battaglia e tanto tardò che fu accerchiato e messo
nella maggiore confusione; imperocchè serrate le truppe dentro un luogo
che era cinto da un muricciuolo, fiancheggiato da due Iati da una strada e
piantato di non pochi ulivi, ( 6 ) erano da ogni parte bersagliati. Lo storico
continua dicendo che quando Gi lippo vide il nemico sfinito dagli stenti e
dalle ferite, invitò alla resa gli isolani che facevano parte dell'esercito
ateniese. Poche città accettarono la resa, ma poi, concordate le
condizioni, tutti si arresero nel numero di 6000 deponendo i l denar o
dentro scudi rovesciat i e ne empirono quattro. Quindi furono condotti a
Siracusa ( 7 ). Ma quale fu il luogo della battaglia? Secondo il Di Maria
sarebbe stata la Cava Pisciarello in cui scorre l'Erineo, mentre la pace si
sarebbe conclusa nella limitrofa contrada Piano della Pace. Questa ipotesi
suggestiva sarebbe avvalorata dall'ora dell'incontro. Se difatti sul far del
giorno l'eser cit o at eniese er a sul C acci pari s , all 'or a del pran zo anch e
Demost ene d oveva tr ovar si sull 'Erineo che dist a una diecina di chilo metri. E la limitrofa contrada Piano della Pace poteva aver preso nome
dalla resa di Demostene. Ma quest a i pot esi è purtroppo con tradetta da
due ragioni perentorie: se Nici a, che si trovava sull 'E ri neo in attesa di
Demostene, nulla sapeva della battaglia e della resa cli c appr ese due
gi orni d opo d al nemi co (8), l a d ett a bat tagli a n on poteva esser e
avvenuta nella Cava Pisciarello per ché in tal caso Nicia. ch e er a
sull 'Erin eo, ne avrebbe inteso si curament e il fragor e.
D'al tr o canto null a di st ran o ch e Demost ene all 'ora d el pran zo si
trovava ancor a nei pressi del Cacci paris sia perchè marci ava lenta mente, sia perchè il passaggio di un grande esercito di circa 40.000
uomini da un guado forzato, per giunta ostacolato da opere di sbar rament o, non era t anto semplice, sia perchè il mu tament o di rott a
presuppone un ostacolo insormontabile nella difesa di quelle colline.
Non può pertanto respingersi la versione di Plutarco il quale nella vita
di Nicia dice che preso restò Demostene insieme con quella parte d i
eser cito che governata er a da lui e che fu t olta di mezzo pr esso un a
vill a dett a Pol izeli o dove l o stesso Demosten e sguai nando la spada si
ferì, ma non potè uccidersi essendo sopr avvenuti i nemici che glielo
impedirono ( 9 ). Quindi la battaglia e la resa sarebbero av venuti in
contrada Palazzetti che da quella villa prese il nome e che si trova a poca
distanza dal Cacci paris. E questa versione corrisponde al luogo della
battaglia indicato da Tucidite. Come si è detto infatti, lo storico dice che
la battaglia si svolse in una chiusa di terre cinta da un muriecinolo,
piantata da non pochi ulivi e fiancheggiata da due lati da una strada.
Ebbene, questa chiusa, che nessuno finora ha saputo identificare, è appunto
nella contrada Palazzetti e corrisponde al la pr opri et à M azzon el l o ch e
di sta d al fi u me cir ca m. 600 . essa infatti è della sufficiente estensione
di ett. 16, è popolata di antichi ulivi ed è fiancheggiata da un lato dalla
Via Florina e dall'altro dalla Via Tangi(10)
b) Nicia. Ben altro ascendente aveva Nicia sul proprio esercito che
si mantenne unito e fece molto cammino. Egli nel giorno in cui
Demostene si arrese, aveva già varcato l'Erineo. Tucidite infatti dice che
nello stesso giorno della fuga arri vò all 'Erineo e, dopo averlo var cat o,
andò a posar si sopra un 'altur a ch e non poteva esser e se non in
cont rad a Seggi o (in edito loco) E in quel lu ogo evidente men t e d ovet t e
r i man er e i n at t esa d i Demost en e. L o sor pr eser o i n t a n t o i S i r acu san i ,
i q u al i gl i comu n i car on o l a r esa d i De mo -stette e gli intimarono di
fare altrettanto( 11). Ma poichè Nicia mise avanti la condizione che gli
fosse permesso di allontanarsi liberamente con tutto l'esercito (12), i
Siracusani assalirono gli Ateniesi da ogni parte e li saett aron o fino a
sera.
E
siccome
le
pi ccole
alture
dell a
contrada
Seggio
non
per mettevano una buona difesa, Nicia dovette trasferirsi sul costone
Tilibelli che è sulla sponda destra dell'Erineo e che significa appunto
teatro di guerra (tellus belli). Su questo pertanto, a nostro avvi so, si
svolse la battaglia ( 1 3 ). Dice Tucidite che la notte stessa gli Ateniesi si
apprestarono a partire, ma vedendosi scoperti, d eposero di nuovo le armi
tranne 300 che, avendo forzato le guardie, disertarono. Sul far del giorno
intanto si rimisero in cammino e saett ati da ogni part e a mar ce for zat e
si diressero verso la foce dell'Asinaro dove nel settembre del 413 a.C.
avvenne la grande sconfitta dell 'esercit o e dove Nicia impl orò perd on o
al vitt orioso n e mi co ( 1 4 ) Di fr on t e a q u est o r acco n t o d el l o st or i co
ch e segu ì l a gu err a, n on sappiamo spiegar ci l a seguent e ver si on e di
Di od or o: Cosi per tre giorni, pizzicando sempre alla schiena dei miseri e prevenendoli dappertutto nei luoghi di passaggio, tolsero loro di potersi incamminare
in diritta linea verso Catania, città loro alleata. Sicchè poi, obbligati ad andare
indietro e a internarsi nelle campagne Elorine, al passo del fiume detto delle
asine furono da tutte le bande serrati e trucidali in 18.000 e in 7.000 presi vivi
fra i quali erano Dell 'ostello e Nicia comandanti supremi ( 19 ). Pertanto alla
foce dello Asinaro in unica battaglia sarebbero stati fatti prigionieri tanto
Nicia che Demostene! Esatto invece pare il numero dei prigionieri in
circa 13.000 clic corrisponde a quello indicato da Tucidite nei due
combattimenti. E poichè tutto l'esercito era di oltre 40. 000 uomini, i
18.000 numerati da Diodoro dovettero essere la cifra complessiva dei
morti e dei disertori. Secondo Tucidite poi i Siracusani uccisero Nici a
Demostene contro la volontà di Gilippo che alle altre glorie voleva
aggiunger e quella dí presentare ai Lacedemoni gl i stessi capit ani
nemici (16).Secondo Diodoro invece fu Gilippo che, contrariamente
all'oratore
Nicolao padre di due figli uccisi in guerra, pronunziò una
violenta requisitoria contro Nicia e Demostene. Lo storico infatti dice: Così
avendo parlato il Lacone (Gilippo) la plebe mutò pensiero e sancì la proposta di
Diocle. Onde immantinente i comandanti supremi dell'esercito ateniese e tutta
la turba degli alleati furono uccisi. I cittadini di Atene poi vennero chiusi nelle
cave di pietre e alcuni di essi. che avevano avuto liberale educazione, per favore
dei giovani Siracusani, esentati dalle catene, restarono salvi(17). Quasi tutti
gli altri indegnamente tormentati nelle prigioni, finalmente terminarono i loro
giorni in mezzo alla miseria(18).
Non è difficile, come qualche altro storico afferma, che Nicia e
Demostene, nel momento della esecuzione fossero stati posti in salvo. A
noi poi sembra più attendibile la versione che Gilippo si opponesse alla
morte dei due condottieri ne mici perchè non poteva venir meno alle
condizioni della resa concordate con Demostene e alla misericordia invocata
da Nicia.
Gli storici dicono poi che questa battaglia terrestre fu la più grande
che nell'antichità i greci fecero contro i greci. Essa ebbe il suo epilogo nel
territorio di Avola ed il Littara esattamente cantò: Fecundant Hyblae
projecta cadavera campos....(19)
(1)
In Di Maria: Ibla Rediviva 84.
(2)
In età romana diverse città coniavano 111011(2R Ira cui Ibla
Megale - Pace Op. cit. I. 493.
(3)
Tucidite dice infatti che era orrenda la condizione degli Ateniesi
non solo per la sconfitta subita, ma perchè i morti giacevano insepolti e i
feriti imploravano aiuto. Quindi non meno di 40.000 uomini marciavano
con gli occhi a terra. I due comandanti fac evano di tutto per rinfrancarli.
VI, n. 74 trad. Peyron
(4)
Tucidite
-
VII.
Evidentemente
i
siculi
dell'altipiano
parteggiavano per gli ateniesi come tutti quelli che abitavano nell'interno
dell'isola dispersi in casali.
(5)
Tucidite. ivi.
(6)
Tucidite VII N. 81. Il Pace ha creduto possibile che a quella
lontana età rimontino taluni di quegli ulivi tuttora viventi formati da
grandi tronchi vuoti all'interno che il popolo chiama ulivi saraceni - Opera cit. 381.
(7 )
Tucidite VIII N. 82 - Nicias interea harum rerum ignarus cum
suis i Erineum transgressus in edito quodam loco consederat.
(81 Tucidite VIII N. 82.
(9)
Plutarco - Vita di Nicia - Trad. Pompei V. 7.
(10 )
Nella mappa catastale è indicata al f. IO p. 10.11.27.. 11 Di
Maria, ritenendo che gli Ateniesi fossero stati con strage respinti dal
monte di Ibla Major ha supposto una battaglia con questa città e
contraddittoriamente ha supposto che Nicia potesse trovarsi al Cozzo
Tirone. Egli mentre intanto muta il colle in monte contraddice il fatto che
Gilippo aveva fino a sera saettato l'esercito di Nicia e lo avesse circondato e
costretto a mutar rotta.
(IO Nicias inierea harum rerum ignarus coni suis I. Erineum transgressus
n edito quodam loco concederat Tucidite VII - Trad. Pevron N. 82.
(12) La condizione era: Si toto cum exercitu liberum eum abire permitterent
ad belli expensas Siraeusanis solvendas suol inducturus - Fazello II 294 - Di Maria I.R. 68.
(151 II Di Maria ritenendo che Demostene fosse stato vinto nella Cava
di Pisciarello e che Nicia si fosse trovato o sul Cozzo Tirone o sul Monte
Gisini e che fosse stato respinto dal monte di Ibla Major ha creato una
situazione militare impossibile.
(14)
Tucidite VII N. 84 op. cit. La celebre piramide fatta da Blasco
Alagona nel 1353 nella contrada Pizzuta ricorda ancora questa battaglia.
(15)
Diodoro 13 cap. IV - Trad. Compagnoni 31.
(16)
Tucidite VII N. 84 Op. cit.
(17)
Plutarco dice che essi trovarono grazia recitando brani delle
tragedie di Euripide.
(181 Diodoro XIII cap. V - Op. cit. Vol. IV p. 52.
(19) I.ittara - Corradiade V. 240 - Lo scrittore però in Rebus netinis
dice che la battaglia avvenne in agro netino ut celeberrima adhuc demonstrat.
APPENDICE
STOR IA F GEOGRAF IA DELLE IB LE
La trasmigrazione e sdoppiamento delle Ible e i nuovi risultati da
noi ottenuti sulle Ible senjores e sulle juniores ci inducono a fare un quadro
riassuntivo delle relative controversie e della ubicazione di tutte le Ible
(1)Purtroppo infatti, mentre l'archeologia in questo mezzo secolo ha fatto
grandi passi, la storia e la geografia delle Ible non ne hanno fatto
alcuno. E ciò quando gli studi archeologici get tano grandi sprazzi di
luce sulle tenebre delle antiche Ible e delle antiche immigrazioni. Quante
furono, donde il nome, da chi furono fondate e quando e dove? Siamo
sempre o quasi nelle medesime incertezze. Per vedere clic cosa si
pensava 50 anni addietro basta leggere la Sicilia illustrata che nel 1888 i
Fratelli Salvo pubblicavano in Palermo sopra scritti originali e monografie dei
più illustri archeologi siciliani. Ivi si legge: Ora siamo alle famose Ible. Quante
sono? Non si potrebbe dire se si volessero contare quelle moderne città
,smaniose di attaccarvi le loro origini. La quistione non vien fuori oggigiorno;
aveva principio presso gli antichi che ne contavano parecchie: la Ibla Megarese
che divenne (?) presto greca la Gerente, Secondo Tucidite o Galeate secondo
Giovan Federico Facius editore in Lipsia di Pausania e la Era o Erea. Stefano
Bizantino le chiamò Ibla Maggiore, Piccola e Minore. Tre ne conta il Dott.
Holm e indica anche la distanza in cui sorgevano da Menae -Mineo. Tre
parimenti il Dott. Raffaele Solarino seguendo e il Bizantino e Cluverio: è una
di queste la sua Ragusa che egli con altri scorgono nella Erea. Vi ha dippiù_ Il
citato Bizantino ne scuopre (sic!) una quarta che egli chiama Tiella e
Paternò,Melilli, Avola e Butera pretendono cascunoi la propria. Sarebbero così
le Ible nè due, nè tre, ma cinque…
Lo storico Natale intervenendo fra i disputanti dichiara solennemente di
possedere validissimi argomenti da asserire che le Ible, anzicche tre o cinque,
non erano se non due e ne chiama testimoni Tucidite, Erodoto, Pausania e
Diodoro e scagliasi contro Cluverio e contro gli altri che misero fuori la terza
Ibla chiamata Herea, comparsa egli dice, dopo un errore di Stefano Bizantino.
Sicché per lui non vi erano altre Ible che la Megarese e la Galeote. E’ questa
la verità? Chi può dire di si ( 2 )? Siamo ancora intanto nelle medesime
incertezze. Finor a infatti nessuno ha pe nsat o all o sd oppi ament o dell e
Ibl e e tutti, mettendo capo agli antichi storici e pur senza contare la Tiella.
ora parlano di tre, ora di quattro Ible. Il Gubernale, dopo avere fatt o una
rassegna delle antiche . opinioni, conclude col Di Maria che la Ger eat e
fosse stata una Ibla distinta e quindi che l e Ible f osser o state ben
quattro e cinque con la Ti ella.
E dove nacque ad esempio la prima delle Ible? iI Ghisleri(3) il Pace (4) la
collocarono a Paternò, mentre il De Agostini la colloca a Melill i e
chiama Abolla la città di Avola Antica (5) . . che dire di Ibla Geleate o
Galeate? Il De Agostini la colloca a Paternò, mentre il Pace ne fa un
soprannome di Ibla Maggiore. E. che cos a di lbla Era? Ragusa In feri ore,
seguendo il Cluverio e il Solarino, ne ha assunto il nome. Ma i migliori
storici anche contemporanei ne dubi tino fortemente. Il Pace ad es. la
colloca ad ovest dell'Erminio, ma con un punto interrogati vo. mentre il
Ghisleri e il De Agostini la collocano sul fiume Hiblaeus posto fra
l'Erminio e il Gela.
Ed Ibla Megar a? Assunse o meno i tr e n omi di I bla di lbla
Gereatc e di Ibla Megara? E dove trasmigrò? Come si è detto, nessuno ha
pensato allo sdoppiamento delle Ib le e quindi il mistero avvolge ancor a
le numerose città moderne che sempre più tenace mente aspirano al vanto
di discendere dalle Ible dell'antichità. Nè si tratta di aspirazioni
platoniche perchè ognuna di esse ha un fondamento di vero nelle
tradizioni locali, negli avanzi archeologici, nelle iscrizioni o nelle fonti
storiche. Tanto che esse nel 1500 dai geografi venivano segnate col nome di
Ibla. E’nato quindi uno stuolo,di storici locali che con fervore hanno
difeso la loro causa.. Essi intanto di fronte al presupposto della
immutabilità del sito originario, han dato di cozzo nelle antiche fonti
storiche e quindi il rimedio di accusarle di errore. Tucidite disse che Nicia,
tornando da Centuripe, incendiava le messi Hybleorum cioè di Ibla
Maggiore. Ebbene gli storici hanno detto che egli intendesse parlare degli
Hybleorum Gereatorum(6) Pausania disse che in Sicilia furono due Ible
estinte, la maggiore e la Gereate e si è detto che egli avrebbe errato sul
numero delle Ible e dato il nome di maggiore alla Gereate e di Gereate a
quella che era la Megarese(7) E peggio per il geografo Claudio Tolomeo
quando segnava Ibla Maggiore ad ovest di Siracusa e quando di Megara
faceva una città mediterranea. E peggio ancora quando le mutazioni
fonetiche e la dominazione araba alterarono profondamente gli antichi
nomi e quan do il nome di Ibl a si mut ava in Abol a ed Auola. C ome
abbi amo detto questa babele è nata dal falso presupposto che le Ible
fossero nate e scomparse nel medesimo sito. Il Fazello infatti accusa di
errore il Tolomeo che collocò Megara in Me lilli solo perchè essa origina riamente era una città marittima. Degli anonimi si scagliano contro il Di
Maria quando sostenne che Avola antica fosse la stessa Ibla Major solo
perché essa era nat a nel territorio di Catana. Lo stesso Di Maria dominato
dal medesimo presupposto nella sua Risposta Apologetica credette che Ibla
Major fosse nata, estinta nel medesimo sito di Avola antica (8) così si
ripetono le antiche e sempre nuove controversie sul nome, sulla origine
sul sito sul numero e su tante altre questioni che rimangono ancora
insolute. Poiché intanto, come abbiamo dimo strato, tutte le Ible furono
costrette
a
trasmigrare
e
trasmigrando
si
sdoppiavano
perché
conservavano lo stesso nome tanto nel sito originario che in quello
successivo: poiché abbiamo identificato tre Ible Juniores e rinvenuto la
Tiella riassumeremo i risultati da noi ottenuti. a) Donde il nome? l cert o
che si hanno diverse Ible e dei monti Iblei. Ma il nome delle città non può
derivare da quello dei monti e vice versa perché la pri ma Ibla non nacque
sui monti Iblei. Esso quindi deve avere una origine comune che secondo
noi mette capo alla dea Ibla veneratissima in tutta la Sicilia. Questa dea,
secondo Diodoro siculo pare che si a la st essa C erere adorata sott o nome
diverso ma coi medesimi attributi. E se Cerere dalla radice Kern-frumento
era la dea delle messi e del miele, lo era anche la dea Ibla(9)
b) M a qu an t e fu r on o? Si è cer cal a in van o u n a nu mer azi on e nelle
antiche fonti perché esse si limitano a far mensione solo di quel la o di
quelle lble di cui hanno occasione di parlare. Per vedere quindi quante
fossero state, non vi è altro modo che quello di individuarle. Al riguardo
nessun dubbi o sull a esist enza della pri ma lbl a che poi fu detta Major. E
nessun dubbio su lbla Megara che in tempi storici fu l'ondata dai greci.
Del pari non è controversa la esistenza di una Hybla Hera o Herea o
Heraia o Nera. E siamo già alle tre Ible nume rate dal Bizantino, il quale
disse che erano in tutto tre: una col soprannome di maggiore, una Ibla
minore i cui cittadini si chiamavano Galeoti
e Megaresi, lu terza che
chiamavano Nera. Pertanto secondo il Bizantino e quasi tutti gli storici
posteriori tre erano le antiche Ible . Ma lo stesso Bizantino dice che i
cittadini della seconda Ibla erano detti Galcoti e Megaresi e dice ancora
che secondo Filistio siracusano fra le Hible una era chiamata Tiella. A sua
volta Pausania parla di una Ibla Gereate di già esistita situata ai confini
del territorio di Catana e Tucidite parl a di una Ibl a Geleate post a a sud
di Siracusa. Quid pertanto di questa e queste Hible Galeate, Geleate
Gereate? Federico Facius, traduttore di Pausania, conformemente al
Fazello e al Cluverio, ha creduto che la Geleat e non fosse che la stessa
Geleate. Ma checché ne sia di ciò, è evidente che la Geleate di Tucidite e
la Gerente di Pausania non sono che lo stesso nome. D'altra parte, come
si è detto, lo stesso Bizantino dice che fra le lble ve ne era una chiamata
Tiella. Pertanto la Gercate o Geleate era una quarta Ibla o un sapran nome? Ecco le due gravi incognite che da secoli hanno affaticato la
mente degli studiosi.
c) Hibla Nera Geleate. Gli storici, quasi unanimemente hanno ritent o
che Geleate fosse un soprannome di una delle tre lble. Il Pace
recentemente ha dato ques to soprannome ad lbla Maggior e(11 ), ma
erroneamente perchè, come si è detto, Pausania dice che la Maggiore e la
Gerente erano due città distinte esistenti in luoghi diversi del territorio
di Catana(12). Ed erroneamente il Fazello ha creduto che la Geleate
fosse la stessa Megara( ' 3 ) perché Megara era a nord di Siracusa in agro
siracusano, mentre Tucidite nel 415 a.C. colloca la Gelea te a sud di
Siracusa dicendo che Nicia la investì invano con metà della flotta. Si ha
adunque una Geleate a sud di Siracusa che deve essere o marittima o non
lontana dalla costa. Ma a sud di Siracusa non vi è che la Major Junior che,
come dice Pausania, è diversa dalla Geleate e che è mediterranea. Pertanto
esattamente si è creduto che Geleate fosse un soprannome della Era. Di
fatti dei traduttori di Tucidite hanno volto le parole Ibla Geleate con la
perifrase Ibla in quel di Gela(14 ). Ma erroneamente hanno creduto che
essa fosse in territorio di Gela e che da essa avesse preso il nome.
E evidente infatti che una città sicula nata secoli prima e con un
proprio territorio, non poteva prender nome da quello della greca Gela(15
). Quindi non poteva essere in agro gelatino. Ne. come si vuole. poteva
trovarsi
ad
est
di
Gela
sul
fiume
Hipparis
o
sull'Hyblaeus
o
sull’Hir minius. Essa infatti era indubbiamente una città nemica di Gela
perché uccise a tradimento Cleandro, tiranno della città, tanto che
Aristotile la disse Cleandri caede infamis. Pertanto quando nel 491 a.C.
1ppocrate. che succedette al fratello Cleandro, fu a tal grado d i pot en za
ch e passand o l o Hi ppari s prese C amarin a(16) scon fi sse sull'Eloro la
potente Siracusa e soggiogò le città della costa orientale, è assurdo
pensare che avesse lasciato alle sue spalle una città nemica. E che la città
non si trovasse sulla costa meridionale Io dice chiara mente Pausania il
quale la colloca nei medesimi confini del territorio di Catana(17 ). E lo
dice Diodoro che la colloca non longe a Centuripe(18)
Se pertant o la Er a aveva pr eso il soprann ome di Gel eat e dal
fiume Gela, se era nei confini del territorio di Catania, era non logge a
Centuripe, il sito originario non poteva essere che sulle montagne d i
Calt agir one che fanno part e dei monti Haer ei, ch e sono sopr a Gela cioè
sul fiume Gela, nei confini del territorio di Catania.
Esse invero si trovano sulla doppia displuviale del Gela e del
Simeto. Il Dissueri, affluente del Gela, arriva infatti a Caltagirone ed il
Margi affluente del Simeto ha origine in vicinanza della città. Questo
era pertanto il sito della senex città di Era.
Ben a ragione quindi il Nuovo Melzi dice che Caltagirone er a
un 'anti ca Ibl a M inor. Da qu el si t o poi fu costr et ta a tr asmi gr ar e
quando Gela nella sua espansione verso gli estremi bracci del fiume
omonimo raggiungeva le montagne di Caltagirone(19).
Difatti anche sulle alture dell 'attuale Caltagirone si st anziava una
colonia greca. Pertanto i Siculi, come ben dice il Pace, si riducevano prima
ai margini delle pianure sopra luoghi naturalmente fortificati e quindi col tempo
furono costretti a trasmigrare(20).
E noi crediamo fermamente che la Era trasmigrava allo s bocco
della Cava Grande. Ivi non è dubbia l'esi st enza di un'antica città
sicula che fino al 1897 restò una vera in cognita. Essa aveva il suo
castello sul Cozzo La Mola e la sua Necropoli a mezza costa delle
colline Cugno Mola, Cugno Spineta e Cugno Zagari. Nel 1897 l'Orsi attese
lungamente all'esplorazione delle 2000 celle sepolcrali e ne dedusse
l'esistenza di una preistorica città sicula fondata nel X o X1 sec. a.C. che
viveva in capanne di paglia nei terrazzi rocciosi interposti fra le cavette Mola.
Spineta e S. Anna, mentre i capi di essa dimoravano nella contrada Cugni di
Fazio dell'altipiano iblense ( 21). L'archeologo la chiamò Cassibile, ma
questo certamente non era il suo nome, p erchè C assi bil e non è
no verata f ra le ci ttà sicu l e. Qua l e dunque il nome? Il primo sprazzo di
luce si trova nel Fazello il qua le, parlando del fiume Caccipari, dice che
da terra un miglio è posta una fortezza in sulla riva del fiume dove si vedono
ancora certi grandi acquedotti con cui si conducevano le acque di questo fiume
nella contrada Gereate che è sotto questi colli ( 22 ). Quindi come le scompar se
cit tà di Ibl a Maj or, di M egara, di Fal ari a, di Not o ant ica e Avola
antica hanno dato il loro nome alle rispettive contrade, così Ibla Gereate
aveva dato il suo nome alla contrada anzidetta. Se ne ha una conferma in
Tucidite. Lo storico nel racconto degli avvenimenti militari della guerra di
Atene contro Siracusa dice anzitutto che dei Siculi che abitavano la pianura,
pochi si ribellarono ai Siracusani, mentre quelli che abitavano addentro
nell'isola dispersi in casali e che vivevano indipendenti subitamente tranne
pochi si accostarono agli Ateniesi recando vettovaglie al campo e alcuni anche
denaro ( 22 ). Pertanto, mentre i Siculi dei due altipiani erano con gl i ateniesi,
tanto Ibla Major che la Geleate che avevano il territorio in pianura, erano due
città nemiche. Quindi gli ateniesi, per avere una via di comunicazione con
l'altipiano Iblense dovevano espugnare o lbla Major o Ibla Gereate. Essi, per
ovvie ragioni, cercarono di espugnare la Gereate come la più vicina al mare e al
teatro di guerra.
L'umiliante tentativo è così descritto dallo storico: Ultimamente con una
sola metà delle navi Nicia venne ad Ibla Geleate, città nemica. ma non la prese.
Così terminò l'estate
(24).
Lo storico non dice aincora il sito. ma così continua: Nel
seguente inverno gli ateniesi tosto si prepararono per assalire Siracusa ed i
siracusani, e per andare loro contro. Imperocche. non essendo stati in quel primo
tempo di paura e di aspettazione assaliti dagli ateniesi, i Siracusani ripigliavano
ognor di più coraggio e quando videro lungi da Siracusa navigare verso la Sicilia
ulteriore e tentare Ibla senza poterla ottenere, allora presero vieppiù a sprezzarli e
pregarono i loro capitani di condurli contro Catana (25). Ibla Geleate pertanto
doveva essere marittima o poco distante dal mare e rispetto a Siracusa, doveva
essere a mezzogiorno perchè le navi, venendo da Catania e passando da
Siracusa, navigavano verso la Sicilia ulteriore (26). Questa Ibla quindi non
poteva essere che la città sicula posta allo sbocco della Cava Grande, che era ad un
miglio dal mare e che apriva la via per l'altipiano iblense. lvi infatti era la
contrada Gereate che aveva preso nome dalla Gcleate. Ivi doveva essere quel
popolo che nelle cerimonie verso gli dei era più eccellente di tutti gli altri
barbari; ivi dovevano essere, come dice Cicerone, i sagacissimi interpreti dei
sogni (27). Difatti Dionisio che presso di essi si consultava, aveva nelle
vicinanze una villa chiamata Gereate (28). Nè Nicia a sud di Siracusa e tanto
meno in agro gelatino aveva altro obiettivo militare tranne quello di aprirsi
una via di comunicazione con l'altipiano iblense che gli forni va uomini,
vettovaglie e spesso del denaro. L'errore che Nicia avesse tentato di espugnare
una Ibla in agro gelatino è nata da un'errata traduzione delle parole di
Tucidite. Lo storico infatti non parla di una Ibla in quel di Gela, ma di una
Ibla Geleate che aveva preso nome dal fiume Gela. La collocazione poi della
Geleate in quel di Gela è un'assurdità storica e militare: storica perchè la
sicula Era nasceva prima della greca Gela e prima quindi doveva avere un
proprio territorio; militare perchè se la nemica Era fosse stata in quel di Gela, e
magari sull'Hyblaeus o sull'Hyrminius, Ippocrate prima ancora di muoversi
contro Siracusa l'avrebbe soggiogato così come fece con la nemica Camarina.
La Gcleate quindi non poteva trovarsi in agro gelatino, nè poteva trovarsi ad
est di Gela sui fiumi Hypparis, Hyblaeus ed Hyr minius. La città pertanto
investita da Nicia non poteva essere che la Hera Geleates Junior posta allo
sbocco della Cava Grande.
b) Ibla Tiella. Ma era anche un soprannome la Tiella? Il Bi zantino ne
parla ambiguamente dicendo che fra le Ible una era chia mata Tiella, ma il
Maurolico, numerando le diverse Ible, parla delle tre Ible del Bizantino e di
un'altra che secondo Filistio siracusano era chiamata Tiella (29). Egli
pertanto ritenne che quattro erano le antiche Ible, il che è indubbiamente
vero. Dello stesso avviso fu il Fazello, il quale disse che la Tiella al suo tempo
aveva anche perduto il nome e non sapeva se fosse stata la città di Judica che
era rovinata e deserta (30). Ma non è dubbio che si trattasse di una quarta Ibla
perchè la Tiella è certamente l'odierna città di Militello che è diversa dalle altre
tre. Il nome di Militello è infatti composto dalla parola Mili e dalla parola
Tiella foneticamente corrotta (31). La prima infatti si riscontra in diversi nomi
semplici e composti come in Milis, città della Sardegna in provincia di Cagliari,
in Milì S. Marco, in Milì-Illi, in Milì-as (32). La corruzione che consiste nella
semplice sincope della i del dittongo la troviamo comunemente come in miele,
cielo, insieme, fiera (mercato), che in siciliano diventano meli, celo, ansemi,
fera. E’ dubbio soltanto se la città fosse stata originariamente nel medesimo
sito. Certo è che nel '500 i geografi in Militello segnavano una Ibla monte e
castello.
Seguendo poi la cronologia dell'antica tradizione storica è fa cile
trovare la data di fondazione tanto delle lble senjores quanto delle juniores.
Se la senex Ibla Major fu di origine sicana, dovette essere fondata dai Sicani
non prima del XIV sec. a.C. in cui vennero i Sicani (33) mentre le sicule Era e
Tiella dovettero esserlo non prima dell'XI sec. a.C. in cui vennero i Siculi(34).
La greca Ibla Megara poi fu fondata nell'VIII sec. a.C. Naturalmente diversa è
la data di fondazione delle juniores. Mentre infatti la Major dovette trasmigrare
nella invasione e probabilmente nell'espansione sicula cioè nell'XI o X sec.
a.C. la Era trasmigrava nel periodo di espansione della greca Gela, cioè nel V
sec. a.C., mentre Megara trasmigrava nel V sec. a.C. durante il regno di Gelone
(35). E poichè le città trasmigrando conservavano il primitivo nome tanto nel
sito originario che in quello successivo, così è nato che molte città moderne
hanno sempre aspirato al vanto di discendere dalle Ible dell'antichità. Le une
infatti sono legate al solo sito originario, mentre le altre sono le vere e
proprie discendenti.
Riassumendo pertanto i risultati da noi ottenuti, possiamo fare il seguente
quadro riassuntivo:
I°) Hybla Major - Paternò - Avola antica. La senex Hybla Major fu una
città sicana non fortificata, che secondo Tucidite e Pausania era situata fra
Centuripe e Catana nelle vicinanze dell'attuale Pa ternò ( 336). Ma poichè
nell'immigrazione sicula proveniente dall'Italia i Sicani, cacciati da nord verso
sud, abbandonarono tutta la costa orientale, la città pur lasciando il proprio
nome nel sito primitivo (37) nel sec. XI o X a.C. trasmigrava sul monte di
Avola antica cioè al margine meridionale dell'altipiano iblense. Pertanto
scavata interamente nella roccia, la città diveniva Monte e Castello. Nel nuovo
sito il suo nome di Ibla con una serie di mutamenti fonetici si cambiava in
Abla. Abula, Abola, Abbola, Abolla, Avula, Auola, cd Aula e quindi questi nomi
non sono che il medesimo nome foneticamente corrotto (38). Essa è quella
stessa città di Ibla Monte e Castello che l'alessandrino Tolomeo nella sua
informe carta del tempo. segnava ad ovest di Siracusa e a sud di Netum. Per
questo la tavola di Tolomeo fu riassunta con le parole: Posi Anapum Hybla, posi
Hyblam Netum. Questa Ibla Junior è quella che nella tavola 63 della geografia
edita in Roma dal 1546 al 1596 venne segnata col nome di Auola. E’ quella
stessa che fu famosa per il suo miele simboleggiato nell o stemma di Avola
antica e nel suo precedente storico quale è la medaglia del Paruta che porta
scritto Megalos Hybla.
Tutto questo è confermato da una antichissima tradizione che trova
riscontro negli atti della curia vescovile di Siracusa e vicariale di Avola antica
e negli atti notarili da cui risultano i più recenti mu tamenti fonetici ed il fatto
che Avola antica è la olim dirupta Hybla. Questa fu la città sicana che dall'XI o
X sec. a.C. al 1693 d.C. rimase sempre nel medesimo sito ed a cui col tempo si
sovrappose una medioevale città in muratura. Nulla può dare la stratigrafia nè
la numismatica perchè il sito fu sempre abitato dallo stesso popolo. Essa al
tempo di Ducezio fece parte della nazione Sicula, ma non fu della medesima
gente e per la sua importanza strategica conservò la sua autonomia e fu esentata
dai forti contributi di guerra (39).
II°) Hybla Megara - Megara - Melilli Tucidite dice che Lami conducendo da
Megara una colonia fondò un borgo denominato Trotilo presso il fiume Pantacia e
che cacciato da esso fondò Tapso e poiché Iblone capo siculo, offriva loro un
territorio e se stesso per capo, fondarono Megara Iblea(40) . La città pertanto
prese il nome da Iblone o da Ibla e da Megara, patria dei nuovi coloni. Il sito
poi fu identificato dal Fazello il quale, dopo aver par lato del Fiume Alabo e
della vicina fonte di acqua dolce, dice che soprastà a questa fonte ed alla bocca
del fiume Alabi quasi un tratto di mano, una città rovinata la quale da una parte è
bagnata dal mare, e che le vestigia delle abitazioni facevano indubbia fede _che
quella era la città di Megara (4 '). L'Orsi nelle sue esplorazioni ha trovato in
Megara della vestigia di una città neolitica che rimonta al XXV sec. a.C. Il
sito adunque è identificato. Ma anch e Megara trasmigrava altrove e fondava
una Megara Junior. Quando Gelone infatti(491-478 a.C.) la distrusse attirando
i più ricchi a Siracusa, il popolo dovette certamente trasmigrare. Tanto è
vero che, come dice Tucidite, al tempo della guerra di Atene contro Siracusa,
la città era abitata dai Sicelioti. E trasmigrò sicuramente sulle colline
dell'attuale Melilli perché Claudio Tolomeo del II sec. d.C. trovava e poneva
in quel punto la città di Megara. Solo per un errore di traduzione Melilli,
invece di essere indicata sotto il nome di Megara, fu segnata come 1bla
Monte e Castello. In una traduzione infatti della geografia del Tolomeo fatta
dal Rosselli ed ampliata da Giuseppe Rosaccio si collocò in Melilli una Ibla Monte
e Castello. Ma questa erronea modifica fu successivamente corretta. Nel 1621
infatti il Rev. Gian Leornardo Cernuti veneziano, Can. di S. Salvatore
riproduceva fedelmente il testo segnando Ibla e Megara nel luogo in cui le aveva
segnato l'autore. Dall'errore di cui sopra forse è nata la erronea credenza che
Melilli fosse stata l'antica Ibla Major per come ancora si legge nel Grande
Atlante De Agostini. Pertanto ben a ragione il Baudrent disse: Ibla Minor aliis
est Mililli a Megara urbe excissa apud Augustami. Come si è detto poi il nome di
Mililli è composto dalla parola Mili e dalla parola Ibla. Le due parole
formarono quelle composta di Mililli perchè la b fu assimilata dalla I successiva
111°) Hybla Hera - Geleate - Caltagirone - Cassibile. Indubbiamente vi fu
una terza Ibla di origine sicula col nome di Hera, Heraea, Heraia o Nera e non è
dubbia altresì la esistenza di una Ibla Geleate diversa dalla Major e dalla
Megara che, secondo Pausania, si trovava nei medesimi confini del territorio di
Catana.
Poichè intanto come esattamente ritengono gli storici antichi e moderni,
Geleate non era che il soprannome di una delle tre Ible, se è escluso che fosse
quello della Major o della Megara, esso non poteva essere che il soprannome
della Era derivato dal sito in cu i sorgeva. Se difatti essa prendeva il
soprannome dal fiume Gela e doveva trovarsi nei medesimi confini del
territorio di Catana, non può essere dubbio il suo sito originario. Esso
doveva essere proprio nelle montagne di Caltagirone come quelle che sono nei
medesimi confini del territorio di Catana e sugli estremi bracci del Gela. Da
questo sito nel VI o V sec. a.C. la città fu costretta a trasmigrare a causa della
espansione territoriale di Gela che saliva verso gli estremi bracci del fiume
Gela(42). E così come trasmigrava la sicula Pantalica sita a poca distanza da
Acre, come trasmigrava la sicula Dissueri, trasmigrava anche la sicula Era
Geleate. Ed è così che dal VI sec. a.C. venne a trovarsi allo sbocco della Cava
Grande nelle colline di Cugno Mola, S. Anna e Cugno Zagaria. Essa sul Cugno
Mola ebbe il suo Castello e poichè durante la guerra di Atene contro Siracusa
parteggiò per questa città mentre le popolazioni sicule degli altipiani
parteggiavano per Atene, gli Ateniesi tentarono invano di espugnarla per aprirsi
una via di comunicazione con l'altipiano. Così è avvenuto che la contrada prese
il nome della città. E poichè i cittadini di Ibla Geleate erano sagacissimi
interpreti di sogni e presagi, Dionisio, che con essi spesso si consigliava, nelle
vicinanze della città costruiva una villa che prese appunto il nome di Gereate.
IV°) Hybla Tiella -Militello. Come si è dimostrato Ibla Tiella non è altro che
la città di Militello. Cadono pertanto le incertezze e e tutte(42) le ipotesi degli
storici. Militello infatti è indubbiamente composta dalla parola Mili e dal
nome Tiella. E cade anche la ipotesi dell'Holm che cercava la nuova Neas nel
sito dell'attuale Militello. Ad onor del vero gli storici del 500 ne intuirono il
sito perchè nella detta geografia edita nel 1564 a pag. 49 è segnata un'antica Ibla
che è chiamata Militello. L'unico dubbio è pertanto sul sito originario della
città. Era esso sul fiume Milias da cui avrebbe preso la parola Mili del suo
nome?
Concludendo pertanto: se quattro erano le Ible dell'antichità, se esse in
epoche e per ragioni diverse trasmigrarono: se trasmigrando conservarono il
primitivo nome tanto nel sito originario che nel sito successivo, ben a ragione
molte città moderne da secoli hanno aspirato al vanto di discendere dalle
antiche Ible. E ciò è anche una riprova della esattezza delle nostre conclusioni.
(1 ) Ouesta appendice pertanto pre suppone la conoscenza del lavoro prin ci{gale a cui
quindi ci riportiamo.
(2) La Sicilia illustrata - Tipografia dello Statuto - Palermo 1888 - p. 191.
(3)Atlante del Mondo Antico.
(4) Arte e Civiltà della Sicilia Antica - v. cartina annessa.
(5) Tavola della Sicilia Antica - 1938 IV Ed.
(6 )(7 ) Di Ma ri a I. R N XXVI. 45
(8) Di Maria: Tuttavia dato e non concesso clic Pausania abbia scritto il vero. . e ra poi
i mpossi bi le che d i st rutta L’l bl a Ma ggi ore, si sia alt ra volt a rifatta e che di nuovo ristorata,
siasi poi appellata col moderno nome di Avola? R. A. 91.
(9)Cinnirella - Popolo di Sicilia - 11-6-1941.
E’stra no il dire clic Ibla venga dall'ebraico i nghi ottire e che Abola ve nga da - boccone
- come ha ritenuto il Di Maria in I. R. 90.
(10) Hyblas in Sicilia tres omnino legimus: Hyblam cognomento Majorem, Hybla oppidum; alia
quae minor dicta est cujus incolas Hiblaeos Galeotos et Megarenses vocabant, cum a priore Hyblaci tantum
dicerentur. Tertia quam alio verbo appellai:t Neram omnium minimam; est is unam Tiellam dici
Phlistius refert. In Di Maria I. R. 22-R. A. 141.
(11)Pace op. cit. v. cartina annessa. Veramente il nome di Galeate le da, ma incliniamo
a )credere che esso non sia che una variazione dello stesso nome Gelcate.
(12)V. Ilybla Major Junior cap. IV.
(13)Vera me nte egli cade in contraddizione pe rchè me ntre da un canto dice che
Megara fosse stata proprio la Ge rcate; d'altro cant o scri ve: Urbes eorum (cioè dei Siculi)
Zancla, Catana, Siracusa, Neas, Centuripes, Leghum, Hybla Gereates non longe a Centuripe
ct Hybla Minor sopra Gelam ct pleraque aliae ut Diodorus, Tucidites, Plutarcus et Pausania
referunt. D. I. I. 250 Di Maria I. R. 27.
(14)Anche il Fazello fa dire a Tucidite che la Lia fosse in teriitorio di Gela.
(15)Secondo Tucidite Gela sarebbe stata fondata da Antifemo ed Eutitmo con coloni di
Rodi e Creta 45 anni dopo la fondazione di Siracusa - op. e. VI.
(16)Tucidite nel L. VI dice che la città fu fondata dai Siracusani I35 anni d opo la
fondazi one di Si ra c usa e c he gli a bit a nti pe r de fe zi one furono più volte espulsi dalla città.
(17)Nè mancano gli avanzi archeologici perchè quelle montagne furono sparse di Siculi
del primo e secondo periodo. Orsi, Siculi e Greci a Caltagirone 1904 - Libertini, Necropoli di
S. Luigi a Caltagirone - Amore, la Necropoli sicula della Rocca.
L'opinione dell'Orsi che la Hera fosse da ricercare nel sito dell':attuale Ragusa
Infe ri ore ha dat o e rrone a me nt e c redit o ad una opi ni one e scl usa dalle font i storiche. Orsi,
Nuove esplorazioni su Hybla Erea 1898.
(18)Hybla Gereates non longe a Centuripe, (IV) Di Maria R. A. 56.
(19)Dice il Pace che l'i nfl uenza della greca Gela ri sale e conqui sta la z ona mont uosa
att ra verso i brac ci e stre mi del Gela, il Di ssue ri e Maroglio. pervenendo alle alture di
Mazzarino e Caltagirone. Egli parla dei monti che circondano la piccola conca di S. Mauro
cinta di monti in cui vivevano delle genti preistoriche del I. II. e 111 periodo e d ella
montagna di Caltagirone dove uno stanziamento siculo occupava il declivio meridionale in
gruppi frazionati c he pe nde va no i nt orno al ce nt ro d ett o la R occa c he e ra l 'a ntic a rocca forte
della città.
(20)V. Pace - op. cit. I. 201.
(21)P. Orsi. Pantaliea e Cassibile, R. Accademia dei Lince' - 1899 - IX.
(2 2 )Faz e ll o t rad . Hi C a p. IV. Lo st e sso Fa z e l l o di ce : "T i ra va si la acqua ancora
dal fiume Caciparo a quella parte del territorio di Siracusa che si nominava Gereate.
(23)Tucidite VI n. 88 - trad. Peyron 126.
(24)(25) Tucidite - trad. Peyron VI n. 62.63.
(26)Quest o dice che Tucidite, non già come vuole il Fazello, che la Era fosse nel
territorio di Gela.
(27)Per come ricorda il Fazello, Pausa nia nel libro V dice che nella E ra esisteva u n
tempio fa mosi ssi mo e bellissi mo della dea dei siciliani chiamata Ibla e che da que st o
popol o fu portata i n Oli mpia la stat ua di Gi ove c on l o scettro in ma no. Filisti o dice che gli
Erei erano inte rpreti dei sogni e degli auguri e che circa la cerimonia degli dei erano i più
eccellenti di tutti gli altri barbari che erano in Sicilia. Fazello III Cap. IV. Di essi fa menzione
Cicerone che nel primo libro della divinazione li chiama sagacissimi interpreti di sogni.
(28)Eliano scrive che Dionisio si consigliava con loro e che in Era esisteva il tempio
della dea Ibla. Pausania dice che ai suoi tempi questo tempio era ancora in piedi.
(29)Egli disse infatti: lHyblas tres in Sicilia: maximam undeHyblaei,parvam quae et Megara
minimam quae et Nera et aliam quae Tiella ut ait Philistius
(30)Fazello III cap. IV.
(31)Questo fiume è ricordato da T. Livio nel I. IV della guerra cartagi nese. Forse da
questo fiume nacque la prima parola di Milì. Secondo il Fazello esso corrisponde al fiume
Marcellino che si scarica nel porto di Augusta.
(32)E’ comune il caso di nomi di città che si componevano con quello del luogo, specie
al tempo del dominio arabo. Dall'arabo djebel (monte) sono nate Gibil-Rossa Gibil-Lina, e da Chalta
(castello) Celia-Biano. Caltavuturo, Colta-Nissetta ed altre città.
(33) Cioè 600 anni prima dei Greci.
(34) Diversa sarebbe la cronologia secondo Ellanico perchè i Siculi ven nero nell a
terza gene razione pri ma della gue rra di Troia, sare mmo nel XIII sec. a.C. e i Sicani sarebbero
venuti nel XVI sec. a.C.
(35) Megara infatti fu distrutta da Gelone che attirò i più ricchi a Siracusa, mentre i miseri
trasmigrarono altrove.
(36)Holm. op. cit., anche il Pace la colloca nella regione etnea e preci samente a Paternò,
chiamandola però Maggiore o Gereate - op. cit. 1.173.196.204.
(37)V. Hybla Major junior Cap. IV.
(38)V. Ilybla Major cap. IL
(39)Non è adunque una colonia di Ibla Megara come ritenne il Solarino. né il suo
nome di Abola derivò per metatesi dal fiume Alabo. R. Solarino, Ricerche storiche.
(40) Tucidite Guerra del Peloponneso VI.
(41)Fazello op. cit. iIi - cap. IV.
(42)Ben dice nl riguardo il Pace che l'influenza della greca Gela risale e conquista la
zona montuosa attraverso i bracci estremi del Gela. il Dissueri e il Maraglio pervenendo alle
alture di Mazzarino e Caltagirone. Quindi. conti nua, i siculi si riducevano prima ai margini
delle pianure sopra luoghi naturalmente fortificati e quindi col tempo furono costretti a trasmigrare.
(43 )L’Hol m e rronea mente i nte rpreta nd o il pa sso di Di od oro ha rite nuto c he Nea
t ra sportata i n pia nura fosse la città di Palice e qui ndi ha c redut o che doveva cercarsi nel sito
della città di Militello - trad. Latino IV 162.
INDICE
P r e se nt a z i on e
Prefazione - Avola oppidum .
. Pag.
.
P a g.
quae olim Hybla vel Abola
Cap. I -
Cap. Il Cap. III Cap. IV -
Avola Antica e la preistorica
I lybla oppidum
Hyhla antiqua nei suoi mutamenti
fonetici
e nelle antiche scritture
I Iyhla Major ed Hyhla Geleatis seniores
et juniores
7
15
» 21
» 31
» 43
Ibla Major ed Ibla Geleate 51
Origini e civiltà
Cap. V -
L'altipiano iblense .
Cap. VI -
Il Timo e l' Erineo .
Appendice - Storia e Geografia delle Ib l e
-
61
» 65
»
75
Finito di stampare nel luglio 1980
dalle "Arti Grafiche Motta - Avola"
per conto della Pro Loco di Avola
Ristampa anastatica
per conto della Pro I .oco di Avola
p r e s s o G EP A S A v o l a
novembre 2013
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Untitled - pro loco