anno XVII - Numero 56 - 21 luglio 2011
L’intervista
L’allestimento spiegato dal regista
Arnaud Bernard
A Pag.
2
La Storia dell’Opera
Scelta con qualche perplessità
e divenuta simbolo di Puccini
A Pag.
6e7
Tre monete per Tosca
Riferimenti storici e
quell’aureo che porta
il nome di Marengo
A Pag.
8e9
Le Terme di Caracalla
Piccola guida per capire
il monumento simbolo del III Sec.
A Pag.
12
Curiosità
I tanti disastri che
hanno accompagnato
le infinite repliche dell’opera
A Pag.
13
Tosca
di Giacomo Puccini
Tosca
2
Il
Giornale dei Grandi Eventi
L’allestimento spiegato dal regista Arnaud Bernard
Tosca si muove su un set cinematografico
R
oma è la città dell’arte, dei monumenti, ma anche del
cinema. Questo sicuramente ha ispirato il francese 45enne Arnaud Bernard
per la regia di questa Tosca in un contesto impareggiabile come le Terme di Caracalla. Ed infatti in questo nuovo
allestimento tutto lo
spettacolo si svolge in
un set cinematografico. «Il palcoscenico è
concepito come un luogo
nel quale sono in corso le
riprese di un film su Tosca», ci spiega Bernard,
che continua: «Abbiamo dei focus diversi sulle
diverse ambientazioni dei
tre atti, la chiesa di
Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel
Sant’Angelo, ma la particolarità è che intorno ai personaggi vedremo tutto quel movimento di persone ed attrezzature che si crea su un set,
dalle cineprese ai ciak, dagli
attrezzisti agli elettricisti, dai
dolly ai carrelli. Tutto è a vista, al pari del doppio mondo
dell’attore che prima aspetta
dietro le quinte leggendo magari la Gazzetta dello Sport e
poi entra in scena e diventa
personaggio».
Bernard non ha pretese di
rileggere l’opera pucciniana, di fornirne interpretazioni, «perché la Tosca è di
Puccini e non mia». La scenografia è volutamente sobria. «Ho voluto un impian-
to leggero per non interferire
in questo bellissimo ambiente. Qui, come all’arena di Verona, bisogna coprire pochissimo, per lasciare parlare la
monumentalità delle architetture alle spalle: Scarpia
nell’opera è stretto tra quat-
tro mura, mentre qui ne bastano due, come nei set reali
dove non si ricostruisce tutta
la stanza; per Sant’Andrea
della Valle basta l’altare e
l’impalcatura, il resto è aria,
spazio, profondità». Meno
male diciamo noi – e con
noi molti altri - dopo la
Trilogia di Respighi che il 2
luglio ha aperto questa
stagione estiva, dove le video installazioni del regista Carles Padrissa con i
mimi della Fura dels Baus
(gruppo catalano che già
curò al Costanzi le scene
del discusso Le Grand Macabre a giugno del 2009)
per quel loro essere ricche
d’effetti video, di significati reconditi, è sembrata un
po’ troppo invadente, co-
Il G iornale dei G randi Eventi
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Andrea Marini
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prendo fisicamente le rovine con lo schermo e distraendo lo spettatore dalla musica, che in un concerto - qual esso era - dovrebbe essere protagonista. La cartina di tornasole
è stato, sullo stesso palcoscenico due giorni
dopo, il bel concerto
di Fiorella Mannoia,
dove unica scena erano i timidi giochi di
luce in mezzo alle rovine, poderose e
semplici sullo sfondo.
Tornando alla Tosca,
Bernard è alla prima
esperienza di lavoro
sia in questo spazio,
che nel cimentarsi
con tale titolo pucciniano. «A Caracalla ero venuto da semplice spettatore a
vedere degli spettacoli, mentre con Tosca è la prima volta
che mi cimento con una regia
tutta mia, anche se è un titolo
che ho seguito varie volte come aiuto regista nei miei 21
anni di professione». Così il
regista desidera sottolineare l’aspetto “verista”
del proprio allestimento,
che si rifà poi al verismo
ricercato in tanti particolari dallo stesso Puccini.
«Vorrei che gli attori accentuassero al massimo la differenza tra la recitazione naturale del “fuori scena” con
quella più carica, più gestuale
di quando sono “personaggio”. Qui si vede tutto, dai
professori d’orchestra che
suonano fuori buca e fuori
scena per il colpo di cannone,
il tamburo o le campane, fino
alla tortura di Cavaradossi, la
quale diviene una sequenza
in parallelo a ciò che si svolge
nell’ufficio di Scarpia. Un
qualcosa questo che non si vede normalmente, ma che qui è
mimato, appare in quel corridoio parallelo che è il dietro le
quinte. Durante questa fase
si vedono anche i truccatori i
quali tra le grida del tenore lo
sporcano di finto sangue prima che entri in scena per essere presentato a Scarpia e
Tosca».
andrea Marini
stagione Estiva alle Terme di caracalla
23 luglio 2011
Gala RobERTo bollE
aNd FRIENds
(Balletto)
Direttore
Regia
Scene
Asher Fisch
Arnoud Bernard
Carlo Savi
2 - 9 agosto 2011
aIda
di Giuseppe Verdi
Asher Fisch
Direttore
Interpreti
Hui He, Walter Fraccaro, Giovanna Casolla
Stagione 2010-2011 al Teatro Costanzi
30 settembre – 8 ottobre 2011
ElEkTRa
di Richard Strauss
Fabio Luisi
Direttore
Interpreti
Felicity Palmer, Eva Johansson, Melanie Diener
~~
La Locandina ~ ~
Terme di Caracalla - 21 luglio, 10 agosto 2011
TOSCA
Opera in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Prima rappresentazione:
Roma, Teatro Costanzi, 14 gennaio 1900
Direttore
Maestro del Coro
Regia
Scene e Costumi
Disegno luci
Asher Fisch
Roberto Gabbiani
Arnaud Bernard
Carlo Savi
Agostino Angelini
Personaggi / Interpreti
Floria Tosca
Mario Cavaradossi
Barone Scarpia
Angelotti
Sagrestano
Spoletta
Csilla Boross 21, 28/7, 5/8 /
Nadia Vezzù 24/7, 3, 10/8
Thiago Arancam 21, 24, 28/7 /
Kamen Chanev 3, 5, 10/8
Carlo Guelfi 21, 28/7, 5/8 /
Claudio Otelli 24/7, 3, 10/8
Alessandro Spina 21, 24, 28/7, 3/8/
Paolo Battaglia 5,10/8
Giorgio Gatti
Mario Bolognesi
Coro di voci bianche del Teatro dell’Opera di Roma
diretto dal M° Isabella Giorcelli
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA
Nuovo Allestimento del Teatro dell’Opera
~ ~ La Copertina ~ ~
adolf Hohenstein - "Bozzetto della scenografia del Terzo atto” per la prima rappresentazione di Tosca al Teatro Costanzi di
Roma il 14 gennaio 1900".
Il
Tosca
Giornale dei Grandi Eventi
N
on cerca complicati effetti speciali, proiezioni che
distraggono lo spettatore,
questa Tosca a Caracalla
con il nuovo allestimento
del regista francese Arnaud Bernard.
In tempi di forzati risparmi ha puntato sul minimalismo d’effetto, sull’idea di presentare l’opera
come se si assista alle riprese di un film sull’eroina pucciniana. Elementi
semplici ma incisivi, capaci di divenire protagonisti
davanti alla maestosità
delle rovine classiche, le
quali rimangono sfondo
d’eccezione, marchio da
non celare di una stagione
estiva d’opera senza pari
come ambientazione.
Tutto sarà a vista, e si
punta su questo per giocare proprio sul contrasto
tra il personaggio in scena
e quello che dietro le
quinte, come sul set, attende in maniera disinvolta il suo turno. A dirigere, davanti alla platea
che quest’anno è stata
portata ad una capienza
di 3500 posti, sarà il mae-
stro Asher Fisch cui sono
stati affidati i due titoli
d’opera (Tosca, appunto
ed Aida) ed il balletto del
Galà Roberto Bolle and
Friends.
Nel cast con Csilla Boross
(secondo cast Nadia
Vezzù) come Tosca, Thiago Arancam (Kamen Chanev) nei panni di Cavaradossi, spicca il qualitativo
3
Le Repliche
giovedì 21 luglio, h. 21.00
domenica 24 luglio, h. 21.00
giovedì 28 luglio, h. 21.00
mercoledì 3 agosto, h. 21.00
venerdì 5 agosto, h. 21.00
mercoledì 10 agosto, h. 21.00
baritono Carlo Guelfi
(Claudio Otelli), ormai
esperto del ruolo di un
convincente Scarpia.
Una Tosca tutta “a vista”
È il pomeriggio del 17 giugno 1800. L’opera inizia senza un’overture mentre l’ex
console della repubblica romana ormai caduta, Cesare Angelotti (basso), con l’aiuto della sorella, la
Marchesa Attavanti, si rifugia nella Chiesa di Sant’Andrea
della Valle. Qui si trova il pittore Mario Cavaradossi (tenore)
intento a dipingere una delle cappelle. Colto dalla bellezza
della Attavanti egli decide di ritrarla furtivamente. Angelotti e
Mario, vecchi amici stanno parlando quando vengono interrotti da Floria Tosca (soprano) la bella cantante amica di Mario. Angelotti è costretto a nascondersi e ad assistere Tosca che
fa una scena di gelosia a Mario, per aver riconosciuto nei liniamenti della Maddalena l’ Attavanti. Sopraggiunge il barone
Vitellio Scarpia (baritono), capo della polizia, in cerca di Angelotti. Egli persuaso della complicità di Mario (che gli è anche
rivale nell’amore per la cantante), cerca di ingelosire Tosca
mostrandole un ventaglio con lo stemma della Attavanti trovato vicino ai colori di Cavaradossi e la fa pedinare dal gendarme Spoletta (tenore), dandogli successivo appuntamento a
Palazzo Farnese. Scarpia assiste al “Te Deum” di ringraziamento per festeggiare la notizia della presunta vittoria austriaca di Marengo.
portato al cospetto del capo della polizia
per essere interrogato e quindi sottoposto
inutilmente a tortura per conoscere il nascondiglio di Angelotti. Le urla di Cavaradossi portano Tosca a
rivelare il rifugio dell’ex console. Giunge il gendarme Sciarrone
informando che a Marengo Napoleone non è stato sconfitto ma
al contrario ha vinto. Mario, che osteggia Tosca per aver parlato, viene comunque condannato a morte per alto tradimento,
ma dopo la condanna grida a Scarpia tutta la sua gioia per la vera vittoria di Marengo. Tosca sulle insistenze di Scarpia decide
di concedersi a lui per salvare la vita dell’amato.
Scarpia finge di ordinare che i fucili del plotone di esecuzione siano caricati a salve, ma quando cerca di abbracciare Tosca, viene da lei ucciso con un coltello trovato sul tavolo.
La Trama
Terzo atto. L’alba sulla piattaforma di Castel S. Angelo è
salutata dallo scampanio delle chiese di Roma. Cavaradossi in
attesa di essere giustiziato decide di scrivere a Tosca un’ultima lettera per confermarle il suo amore.
Tosca entra nella prigione per avvisare l’amato che la fucilazione sarà una finzione, esortandolo comunque a fingersi colpito. Dopo l’esecuzione Tosca si accorge che Cavaradossi è
morto. La donna sfugge ai gendarmi che sono lì per arrestarla
Il secondo atto si apre con una tavola imbandita di fronte avendo scoperto il cadavere di Scarpia e, lacerata dal dolore,
ad una grande finestra sul cortile di Palazzo Farnese, dove si getta dai merli del Castello invocando la giustizia divina al
Scarpia consuma un pasto. Cavaradossi è arrestato e subito grido: “O Scarpia, avanti a Dio!”.
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Il
Tosca
Giornale dei Grandi Eventi
5
Thiago Arancam e Kamen Chanev
Csilla Boross e Nadia Vezzù
Cavaradossi,
sfortunato pittore
Tosca, donna fascinosa
e di carattere
A
I
vestire i panni della cantante Floria Tosca saranno i soprano
l ruolo del fiero ed innamorato Mario Cavaradossi è affidato ai tenori
Csilla Boross (21, 28/7, 5/8) e Nadia Vezzù (24/7, 3, 10/8). csilThiago arancam (21, 24, 28/7) e kamen chanev (3, 5, 10/8). Tenore
la boross nata in Ungheria, inizia i suoi studi musicali all’Accalirico-spinto italiano-brasiliano, Thiago arancam ha iniziato gli studi
alla Scuola Municipale di Musica di Sao Paulo, poi alla Musical Univer- demia Musicale Ferenc Liszt a Budapest. Nel 1998 ottiene una borsa di
sity Carlos Gomes, dove nel 2003 si è diplomato in “Erudite Chant” e studio a Székesfehérvár e partecipa a master class con la direzione di
Ileana Cotrubas e Renato Bruson. Dall’agosto 2008
prepara il suo repertorio con il Maestro Roccella. All’età di
è solista e membro del Teatro Nazionale (Janácek
soli 22 anni ha vinto il prestigioso Prêmio Revelação do V
Theater) a Brno e già dal settembre 2002 era solista
Concurso Internacional de Canto Erudito Bidu Sayão. E’
dell’Hungarian State Opera. Nella stagione
stato invitato all’Accademia di perfezionamento per can2008/2009 ha cantato come Aida, Tosca, Violetta,
tanti lirici della Scala di Milano, dove si è diplomato nel
Donna Anna, Tatiana, Venere e Lady Macbeth. Si
2007. Ha debuttato in concerto alla Scala il 27 febbraio 2005.
esibisce regolarmente in concerti ampliando coIn seguito ha continuato a cantare in molti concerti con arie
stantemente il suo repertorio. Nella stagione 2009di diverse opere ed in alcune produzioni operistiche. Nel
2010 al Teatro Janacek ha preso parte alle produ2006 ha partecipato a concerti con l’Orchestra Sinfonica del
zioni di Macbeth, Eugene Onegin, Madama Butterfly,
Friuli Venezia Giulia. Nel 2007 ha debuttato nella prima
Aida, Nabucco. Nel febbraio 2010 è stata Fiordiligi
opera di Puccini, Le Villi, (Roberto). Nel 2008 ha partecipato
in Così fan tutte al Nazionale di Praga ed al Maggio
ad una tournée negli Emirati Arabi Uniti con l’orchestra de
il suo debutto come Elettra nell’Idomeneo di MoLa Scala ed a due concerti con l’Orchestra Camerata Brasil.
zart. Nel giugno 2010 ha cantato in Tosca allo SmeNel 2009 ha debuttato come Cavaradossi (Tosca) a Frantana Litomysil Festival nella Repubblica ceca. Nelcoforte. Nel 2011 ha cantato in Carmen a Mosca (Bolshoi),
la stagione 2010-2011 molti i debutti italiani, tra
Madama Butterfly a Washington diretta da Placido Domin- Thiago Arancam e Csilla Boross
cui La traviata al Verdi di Trieste e Lady Macbeth
go. Suoi prossimi ingaggi 2011: Tosca a Philadelphia, Berlino (Deutsche Oper) e Rio de Janeiro, Carmen a Sanxay e San Francisco e nel Macbeth al Comunale di Modena, di Piacenza e Bolzano. Si è esibita
nel marzo scorso all’Opera di Roma nel ruolo di Abigaille nel Nabucodoun concerto a Dortmund.
kamen chanev nella stagione 2007/2008 ha interpretato Un ballo in ma- nosor, diretta da Riccardo Muti.
schera e Madama Butterfly alla Grazer Oper. Nella stagione 2008/2009 è Nadia Vezzù è nata a Padova dove si è diplomata in canto presso il Constato al Teatro del Giglio di Lucca, Manon Lescaut e Turandot al Nuovo servatorio C. Pollini. Ha seguito dei corsi di perfezionamento con il soTeatro Comunale di Bolzano e all’Opera Giocosa di Savona, Tosca alla prano Mietta Sighele e il tenore Veriano Luchetti a Riva del Garda. AtStaatsoper di Amburgo ed al Theater Dortmund-Opernhaus in Germa- tualmente si sta perfezionando con il soprano Mirella Freni presso il CUnia, Madama Butterfly alla Wiener Staatsoper. Nella stagione 2009/2010 BEC di Vignola (Modena). Dal 2001 ad oggi è vincitrice di numerosi conha cantato in Nabucco alla Wiener Staatsoper e Macbeth all’Opera Ire- corsi internazionali. Ha debuttato con l’AS.LI.CO il ruolo di Alice in Falland. Nel 2010 si è esibito in Don Carlo all’Oper Frankfurt; Turandot Bu- staff di Verdi nei teatri di Como, Brescia, Cremona, Bergamo, Venezia, cui
charest National Opera. Il 2011 lo ha visto in Carmen all’Auditorium Ri- è seguito il ruolo di Tosca a Verona, Giorgetta ne Il Tabarro di Puccini a
mini; Turandot Bucharest National Opera, Romania; Aida Bucharest Na- Fribourg (Svizzera) e il ruolo di Pauline in Polyeucte di Gounod al 30° Fetional Opera, Romania; Turandot Polish National Opera; Madama Butter- stival della Valle d’Itria di Martina Franca diretta da Manlio Benzi, opera
registrata in CD live. Il 3 febbraio 2005 ha preso parte al Giubileo di Mifly Deutsche Oper Berlin, Germania.
rella Freni nel 50° della sua carriera in un concerto al Comunale di Modena diretto da Aldo Sisillo. Svolge intensa attività concertistica. Nel reCarlo Guelfi e Claudio Otelli
pertorio brani quali il Requiem di Fauré, lo Stabat Mater di Pergolesi e il
Gloria di Vivaldi, la Cantata di Mendelsshon Hor mein bitten per soprano,
coro e organo. Nell’aprile 2010 ha cantato in Tosca all’Opera di Roma.
Scarpia, cinico e
spregiudicato uomo di potere
C
arlo Guelfi (21, 24,28/7, 5/8)
e Claudio Otelli (3, 10/7) saranno nei panni del barone
Scarpia, capo della polizia.
carlo Guelfi, nato a Roma ha studiato canto con lo zio paterno Renato Guelfi. Nel 1983 ha vinto il Concorso Internazionale “Aureliano Pertile”. Da allora ha iniziato un’intensa e brillante carriera che lo ha portato nei maggiori teatri del mondo,
fra i quali La Scala (La Gioconda, Tosca, Adriana Lecouvreur), l’Opera di
Roma (Il Principe Felice, Aida), il Comunale di Firenze, il Comunale di
Bologna, il Carlo Felice di Genova,
Carlo Guelfi
La Fenice di Venezia, l’Arena di Verona, Accademia Nazionale di Santa Cecilia (Carmina Burana), Metropolitan (Rigoletto), Carnegie Hall di New York, Staatsoper di
Vienna (Il trovatore, Macbeth), Opernhaus di Zurigo, Staatsoper di
Monaco, Festival di Salisburgo, Teatro Real di Madrid e New Natio-
nal Fondation di Tokyo. Fra gli impegni più recenti Simon Boccanegra alla Fenice di Venezia, Andrea Chénier al Carlo Felice di Genova (con Michel Plasson), La traviata e Il trovare al Maggio Musicale Fiorentino (con Zubin Mehta), Aida al Comunale di Bologna
(con Daniele Gatti), Aida e Rigoletto ad Orange, Attila all’Opéra Bastille di Parigi ed al Comunale di Firenze.
Il repertorio del baritono-basso austriaco claudio otelli comprende classico ed opere contemporanee. E’ interessato al dramma come al musical. La collaborazione con registi di primissimo nome e
con direttori quali Riccardo Muti, Claudio Abbado, Pinchas Steinberg, Stefan Soltesz, ha avuto influenza sulla sua formazione. Dopo gli studi di canto al Conservatorio di Musica Viennese, ha iniziato la sua carriere come membro dell’ensemble della Staatsoper
di Vienna. Dal 1994 è stato invitato come artista freelance in importanti palcoscenici in Europa, in USA e in Giappone. Ha fatto il suo
debutto giapponese come Ramiro in L’heure espagnol al New National Theatre di Tokyo, dove ha anche interpretato Dr. Schön e Sharpless. Alla Tokyo Santori Hall è stato cantante ospite.
Pagina a cura di Elena Basili – Foto di Corrado M. Falsini
Tosca
6
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Storia dell’opera
La tormentata genesi di un
vero pilastro del melodramma
S
esso, sadismo, religione ed
arte: Tosca, il dramma a tinte
forti di Victorien Sardou, entrò nella vita di Puccini nel 1889
(aveva appena messo in scena Edgar) quando vi assistette al Teatro
dei Filodrammatici di Milano con
la meravigliosa Sarah Bernhardt
nel ruolo della protagonista, due
anni dopo la prima rappresentazione teatrale, avvenuta a Parigi il
24 novembre 1887 al Théatre de la
Porte-Saint-Martin. Ma per vedere questo massiccio dramma sulle
scene di un teatro d’opera sarebbe
passato ancora parecchio tempo:
vuoi per il brutale realismo del
soggetto che così tanto si allontanava dall’opera romantica cara al
“lucchese”, vuoi per l’interesse
che nel frattempo altri soggetti gli
avevano stimolato, fatto sta che a
Tosca Puccini tornò soltanto nel
1896, quando era ormai in piena
voga l’opera verista, con Mascagni, Leoncavallo e, non da ultimo,
Giordano con il suo applauditissimo Andrea Chénier, proprio di
quell’anno. Ma in realtà non fu solo la necessità di stare al passo coi
tempi a convincerlo a riprendere
l’antico progetto su Tosca, né tantomeno il successo strabiliante che
il dramma di Sardou stava ottenendo nelle tourné europee grazie
alle mirabili interpretazioni della
Bernhardt: il vero responsabile fu,
pare, Giuseppe Verdi.
stratagemma dell’editore
Ma facciamo un passo indietro.
L’editore Giulio Ricordi nel 1893,
notando un raffreddamento di
Puccini nei confronti del lavoro di
Sardou e ripensando quanto era
avvenuto con Bohème tra Puccini e
Leoncavallo, si affrettò a suggerire
il soggetto al compositore Alberto
Franchetti (1860-1942), che grande
fama si era guadagnato con Asrael
(1883) e Cristoforo Colombo (1892)
proponendogli per l’adattamento
il librettista Luigi Illica. Fu durante una riunione a casa di Sardou
che lo stesso Illica lesse il lungo
congedo dall’arte e dalla vita che
aveva messo in bocca al personaggio di Cavaradossi – e che sarà comunque poi modificato da Puccini - impressionando profondamente Verdi, anche lui presente:
proprio l’anziano compositore si
profuse, infatti, in lodi sincere e
appassionate per il soggetto ed
addirittura confessò che, se non
avesse avuto i suoi ottant’anni,
certamente avrebbe composto
lui l’opera.
opera tolta a Franchetti
Questa reazione colpì a tal punto
Puccini da convincerlo a riprendersi Tosca, sottraendola all’ignaro Franchetti. Impresa non facile.
Ci volle tutta la scaltrezza di Ricordi – il quale da parte sua era si-
L'editore Giulio Ricordi
curo che Puccini avrebbe fatto lavoro migliore - per riuscire nell’intento: ricorse infatti ad una sorta
di “guerra psicologica”, accanendosi sul soggetto e definendolo
non adatto ad un’opera per la brutalità, la temerarietà sessuale e
l’eccessivo richiamo agli eventi
storici, incomprensibili per un
pubblico moderno. In questo modo l’editore ottenne il risultato ed
il giorno dopo l’inevitabile rinuncia di Franchetti, intimorito da un
probabile fiasco in platea, Puccini
aveva già firmato il contratto.
Trasformare in libretto il dramma
di Sardou fu fatica minore rispetto
all’adattamento del romanzo di
Murger che aveva appena dato vita a Bohème (1896): questo poiché
Illica aveva già imbastito il tutto
per Franchetti, e poi perché in
realtà la struttura drammatica era
già più che soddisfacente e bastava ridurre e semplificare dialoghi
e scene. La vera difficoltà stava nel
convincere Giuseppe Giacosa –
scelto per collaborare con Illica,
come già per Bohéme – che riteneva Tosca «tutta fatto e niente poesia,
con delle marionette in luogo dei personaggi» e che non si prestava, secondo lui, a diventare un’opera
musicale; opinione che lo fece
quasi recedere dall’impegno, visto
che era anche continuamente sollecitato e “minacciato” da editore
e compositore, insofferenti al suo
perfezionismo ed alla lentezza eccessiva con cui lavorava. Fatto sta
che alla fine dell’ottobre del 1896
Puccini aveva già per le mani la
maggior parte del libretto e il 4 novembre scriveva a Ricordi:
«Viva dunque il 2° atto riveduto
e riguardato, ripulito e congedato per gli sgorbi del Puccini!»
Ma il fervore si spense presto:
dopo aver buttato giù qualche schizzo, al compositore
passò la voglia di scrivere e
tutto rimase sospeso per almeno un anno.
La composizione del primo
atto cominciò, difatti, non prima del gennaio del 1898 e fu
interrotta nel mese di aprile,
quando Puccini si recò a Parigi per la prima francese di
Bohème, ormai rappresentata
nei maggiori teatri europei.
Fu quella anche l’occasione
per conoscere personalmente Sardou, per discutere con lui sul libretto e per fargli ascoltare la musica già composta. «Quell’uomo era
portentoso. Aveva più di settant’anni
e c’erano in lui l’energia e la spigliatezza d’un giovinotto». Ed in effetti
il carismatico drammaturgo non
si accontentava di assistere al lavoro del musicista, voleva partecipare attivamente alla stesura del
nuovo testo: nel gennaio del 1899
Puccini fu costretto a tornare nuovamente nella capitale francese
per discutere con lui sulla scena finale dell’opera, su cui erano sorte
pesanti divergenze, non solo su
come e se far morire la protagonista, ma addirittura su questioni di
natura “topografica”: Sardou voleva che Tosca da Castel Sant’Angelo si gettasse nel Tevere, ma
Puccini gli fece notare che il fiume
scorreva distante dai bastioni della fortezza.
Tornato in Italia dopo la prima visita - siamo nella primavera 1898 -
Puccini si mise nuovamente a lavoro nel suo rifugio montano di
Monsagrati, alternando momenti
di entusiasmo a depressioni, che
lo portarono più volte vicino alla
decisione di abbandonare tutto: a
metà di agosto, però, cominciò la
scena finale del 1° atto, cui si dedicò con estrema dedizione. Il Te
Deum doveva essere più realistico
possibile, tanto che venne scomodato anche l’amico Don Panichelli
per avere una dettagliata descrizione di cosa e come si cantasse
nelle chiese romane.
Il lavoro sul secondo atto iniziò nel
febbraio del 1899 e terminò a metà
luglio, tra tentennamenti e divergenze, ormai abituali, con i librettisti. Divergenze, discussioni ci furono anche per il terzo atto, prima
fra tutte proprio quella che portò
alla stesura di E lucevan le stelle, il
lamento di Cavaradossi prima della morte, che Puccini volle modificare radicalmente. Così l’ultimo
atto fu completato il 29 settembre
1899 e nonostante le negative (e in
parte giuste) osservazioni di Ricordi sul duetto Tosca-Cavaradossi,
l’opera fu considerata conclusa.
Poco più di tre anni erano occorsi
per la composizione.
Il debutto
La Prima andò in scena il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi di
Roma, lo stesso teatro dove, dieci
anni prima, il 17 maggio 1890, Cavalleria Rusticana aveva dato il ”la”
al verismo musicale. Nei tre ruoli
principali furono Hericlea Darclèe
(Tosca), Emilio De Marchi (Cavaradossi), Eugenio Giraldoni (Scarpia), sul podio Leopoldo Mugnone e le splendide scene, passate
poi alla storia, furono quelle di
Adolf Hohenstein. Responsabile
dell’allestimento fu il figlio maggiore di Giulio Ricordi, Tito, impulsivo e intransigente, che contribuì non poco ad esacerbare le tensioni che già aleggiavano intorno
al debutto, uno dei più tormentati
della storia lirica, con tanto di minaccia del lancio di una bomba in
sala. Il successo fu comunque
straordinario e solo al Costanzi si
ebbero più di venti repliche a teatro esaurito.
barbara catellani
Il
Tosca
Giornale dei Grandi Eventi
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Al Tetra Costanzi il 14 gennaio 1900
Un esordio tra polemiche e tensioni
G
e tutti i bravi esecutori faranno
ià nel 1889 Puccini
mirabilia e daranno tutto».
desiderava fortemente
L’azione di Tosca è ambientata
scrivere un’opera basaa Roma e nel 1900 Ricordi deta sul testo teatrale di Sardou
cise di rappresentarla in questa
Tosca, forte nei sentimenti e
città per lusingare il campanilconciso nella trama. Amore,
ismo dei romani. Mossa poco
sadismo, religione e arte,
astuta che non valutò l’antagomescolati dalla mano di un
nismo esistente tra Roma e l’Icuoco abile quale è Puccini,
vengono serviti su un piatto di un importante periodo e scenario storico. il
cast della “prima” era
composto da artisti di primo piano quali Hariclea
Darclèe, soprano proveniente da Bucarest, scelta
più per la sua eccezionale
bellezza e il suo grande
talento scenico che per le
sue doti vocali. Sembra
che sia da attribuire alla
Darlcée l’invenzione del
vestito e degli accessori
da allora divenuti caratteristici di Tosca: il frusciante vestito di seta, il
grande cappello piumato,
il lungo bastone ed il bouquet. Gli altri due protagonisti erano Emilio de
Marchi, tenore ed Euge- Il soprano Ericlea Darcée prima interprete Tosca
nio Giraldoni, baritono.
talia del Nord e la difficile situLa direzione d’orchestra era afazione politica di una nazione
fidata a Leopoldo Mugnone su
forzatamente unita da appena
cui Puccini riponeva un’insolitrent’anni. Infatti, dopo la sforta fiducia: «Mugnone ci metterà
tunata
guerra
contro
tutta la sua grande anima
l’Abissinia, il Paese era irrequid’artista nel concertare e dirigere;
eto e scontento e a
causa soprattutto della
condizione economica
era lacerato da violente
lotte politiche.
C’erano stati due tentativi di attentato alla vita
del Re Umberto I (che
sarebbe stato poi ucciso
a Monza il 29 luglio di
quello stesso anno
dall’anarchico Gaetano
Bresci), ma la Regina
Margherita aveva comunicato che sarebbe
stata presente alla prima di Tosca. Tutti fattori che contribuirono a
creare un clima di
grande tensione la sera
della Prima.
A complicare la situazione, già di per sé
tesa, si aggiunse Tito
Ricordi, responsabile
Leopoldo Mugnone (1858-1941) direttore della "Prima" di Tosca dell’allestimento. Ri-
cordi portò con sé lo
scenografo della Scala e cartellonista, Adolf Hohenstein, fatto che suscitò il risentimento
dei romani. Hohenstein firmò
scene, costumi ed anche il
manifesto.
Si diceva che i rivali di Puccini
avrebbero fischiato alla Prima,
indipendentemente dall’esito della rappresentazione. Sembrava di essere seduti su un barile di
polvere. Ad amplificare la
tensione la dichiarazione
di un funzionario di pubblica sicurezza il quale
pochi minuti prima di andare in scena informò
Mugnone che durante la
rappresentazione
ci
sarebbe potuto essere il
rischio di un attentato
Secondo gli accordi, se ciò
fosse accaduto, il direttore avrebbe dovuto far
suonare la Marcia Reale.
Una serata davvero eccezionale e resa solenne
dall’arrivo solo all’inizio
del II atto della Regina
Margherita, trattenuta a
corte da un pranzo, con
“una leggiadra toilette bianca a
trine”.
Al suo seguito il presidente del
Consiglio, Pelloux; il Ministro
della Pubblica Istruzione Baccelli
ed il sottosegretario alle Poste e
Telegrafi, Edmondo De Amicis.
C’era anche il sindaco di Roma,
principe Colonna e molti tra i più
importanti compositori dell’epoca tra i quali Mascagni, Sgambati, Cilea, Marchetti e Spinelli.
Tutte personalità che avrebbero
giustificato l’ipo-tesi di un attentato. E forse l’attentato ci fu, ma
fu solo un attentato al buon esito
della rappresentazione. Un brusio proveniente da un folto gruppo di persone che non riusciva a
trovare posto si diffuse per la sala
con lo spettacolo già iniziato. Dal
loggione qualcuno gridò: «Basta,
giù il sipario».
I tecnici lo presero come un ordine ed il sipario calò. Si dovettero aspettare alcuni minuti
per riprendere da capo l’esecuzione.
Sul momento il successo non fu
così evidente e gli applausi non
abbondarono e neanche i bis:
“Recondita armonia”, “Vissi
Manifesto di Adolf Hohenstein per il
debutto dell’opera
d’arte” e “l’Introduzione”.
Il vero successo si potè capire
solo attraverso le sedici
repliche successive.
L’iniziale giudizio complessivo
della stampa fu negativo anche
se le recensioni romane, paragonate a quelle torinesi della Bohème non furono poi così cattive. In realtà molte critiche erano rivolte più al libretto che a
Puccini, tanto che il Corriere d’Italia nella prima pagina si congratulava con l’autore «pur
lamentando che egli si sia cimentato in un tentativo la cui inanità
non gli doveva sfuggire».
Puccini pensava di aver fallito!
Aveva fallito nell’opera che
aveva tanto desiderato scrivere: «poiché in questa Tosca vedo l’opera che ci vuole per me, né
di proporzioni eccessive, né come
spettacolo decorativo, né tale da
dar luogo alla solita sovrabbondanza musicale».
Ma in realtà non fu un fallimento e gli applausi arrivarono: durante il Te Deum il
pubblicò si alzò in piedi acclamando a gran voce Giacomo
Puccini che si presentò al
proscenio e poi soprattutto nel
finale, interamente ripetuto.
M. V. M.
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I retroscena storici di Tos
Il Marengo d’oro creato dopo la bat
L’
Opera Tosca è ambientata in un contesto storico ed architettonico definito molto chiaramente. Si
tratta della Roma nel periodo a
cavallo tra rivoluzione, restaurazione ed impero, nel giugno
dell’anno 1800, ambientato tra
la chiesa di Sant’Andrea della
Valle, Palazzo Farnese e Castel
S. Angelo. Tuttavia questo quadro lascia in ombra alcuni
aspetti non musicali raramente
esplorati. Possiamo raccontarli
seguendo le vicende di tre rare
monete provenienti dalla prestigiosa collezione di Vittorio
Emanuele III, il Re numismatico, collezione conservata ora al
Museo Nazionale Romano di
Palazzo Massimo, a pochi metri
dal teatro dell’Opera di Roma,
dopo che il Sovrano di casa Savoia la donò all’Italia nel 1946
prima di abdicare in favore del
figlio Umberto.
Il console e lo scudo
repubblicano del 1798-99
Il protagonista in ombra dell’opera, il console della caduta Repubblica Romana Angelotti,
fuggito da Castel S. Angelo, si
ispira probabilmente al personaggio realmente vissuto di Liborio Angelucci, medico giacobino e console della Repubblica
nel 1798. Angelucci, accusato di
cospirare con i francesi, fu effettivamente detenuto a Castel S.
Angelo per le sue opinioni poli-
Puccini abbia concesso al suo
quasi omonimo. Fu costretto alle dimissioni da console per
aver abusato del sua posizione,
acquistando sottocosto beni nazionali in corso di privatizzazione, tra cui il palazzo dell’Ordine
di Malta a Via Condotti, e per
aver piazzato parenti nel governo repubblicano.
La moneta d’argento da uno
scudo emessa dalla Repubblica
Romana raffigurava i simboli
comuni a tutte le repubbliche
giacobine italiane, il fascio repubblicano e il berretto frigio
degli schiavi liberati e simbolo
della libertà ritrovata, sostenuti
in questo caso però da una goffa
figura allegorica femminile.
Il governo napoletano a Roma
nel 1799-1800
Un riferimento storico c’è anche
nel perché il pittore Cavaradossi, arrestato nell’opera in quanto
sospettato dalla polizia di aiutare il repubblicano Angelotti, fu
condotto a Palazzo Farnese per
essere interrogato e non piuttosto a Palazzo della Cancelleria,
sede del Governo Pontificio o a
Palazzo Madama, sede della
Corte Criminale, entrambi distanti appena pochi metri da
Sant’Andrea della Valle. La ragione è che la seconda coalizione antifrancese aveva unito austriaci, russi, turchi e napoletani
nell’invasione dell’Italia per
cacciare la Francia rivoluziona-
Scudo della Repubblica Romana 1798-99
tiche, ma ciò avvenne nel 1794 e
nel 1797, prima della nascita
della Repubblica a Roma. Angelucci poi sopravvisse indenne a
vari cambi di governo, tra francesi, papalini e napoletani, con
vicende assai meno eroiche di
quanto la fantasia operistica di
ria e restaurare gli antichi sovrani italiani ed il Papa. I coalizzati
antirepubblicani avevano colto
notevoli successi tra il 1799 e l’inizio del 1800, riconquistando
tutta l’Italia. Le vittorie dei coalizzati nel settentrione d’Italia
avevano obbligato i francesi a
James Gillray: Satira della seconda coalizione (l’orso russo, il granatiere austriaco, il turco con la sci
formaggio, l’inglese che immobilizza da dietro il francese) che cerca di togliere l’Italia alla Francia. L
concentrarsi al nord ed evacuare sia Napoli che Roma. Così, a
fine 1799, Re Ferdinando IV di
Napoli e III di Sicilia (anche conosciuto come “Re nasone”),
era finalmente riuscito ad occupare Roma.
Era la rivincita dopo il tentativo
fallimentare di cacciare francesi
e giacobini dell’anno precedente,
tentativo che era terminato con
la rotta delle truppe borboniche.
A corto di generali esperti, Ferdinando aveva affidato il comando
ad un generale austriaco, Karl
Mack von Lieberich, che aveva
diviso il consistente esercito borbonico in numerose colonne,
sconfitte l’una dopo l’altra dal
più esiguo e determinato esercito francese di Roma, comandato
dal Generale Championnet. Le
truppe borboniche erano così
fuggite ed i francesi avevano
continuato l’inseguimento fino a
Napoli, entrandovi a gennaio del
1799 e favorendo la nascita della
Repubblica partenopea. Questa
era durata pochi mesi, abbattuta
dalla riscossa sanfedista del cardinale Ruffo che aveva sollevato
il Mezzogiorno contadino contro
i giacobini in nome del Re, il
quale nel frattempo si era rifugiato a Palermo sotto la protezione della flotta di Nelson. L’ennesimo rovesciamento di fronte
aveva riportato le truppe borboniche fino a Roma a fine 1799.
l’ambientazione
a Palazzo Farnese
Ed a Palazzo Farnese - costruito
nel cinquecento da cardinale
Alessandro Farnese, poi diventato Papa Paolo IV - il Regno di
Napoli aveva la propria ambasciata, poiché l’immobile era di
proprietà della Casa di Borbone
da quando l’ultima dei Farnese,
Elisabetta, aveva sposato nel
1714 Filippo V di Spagna, nonno di Ferdinando IV. In seguito
all’estinzione dei Farnese, il ducato di Parma e Piacenza andò
nel 1732 al figlio di Elisabetta,
Carlo, che due anni più tardi vi
unì Napoli trasferendo lì i beni
dei Farnese. Dunque, a cavallo
tra il 30 settembre 1799 e il 3 luglio 1800 le autorità napoletane
di occupazione a Roma facevano riferimento al reale centro di
potere della città, l’ambasciata
napoletana, mentre l’ambascia-
Il
Tosca
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sca attraverso tre monete
ttaglia citata nell’opera pucciniana
d’argento da uno scudo che lo celebrava come difensore della fede
(Religione defensa, Ferdinadus IV,
Neap. Et Sic. Rex, 1800). La moneta
recava una figura allegorica della
Chiesa, in piedi, formando un
perfetto contrappunto rispetto allo scudo repubblicano, ma con i
capelli e le spalle coperti da un velo, lo sguardo rivolto nella direzione opposta rispetto a quello
della libertà repubblicana, fascio e
berretto frigio sostituiti dalle chiavi di San Pietro e da una miniatura di chiesa.
Il “marengo” della
battaglia di Marengo
(1800-1801)
imitarra, l’olandese che cerca di recuperare il suo
Londra, 1799. (Coll. L. Einaudi)
ta francese dell’epoca si trovava
a Palazzo Corsini E proprio davanti a quell’edificio, nel 1797,
una folla ostile aveva assassinato il generale francese
Duphot, fornendo al generale
Bonaparte la scusa per far occupare Roma dalle sue truppe e
creare la Repubblica Romana a
febbraio del 1798.
Nel libretto, Tosca era stata invitata a cantare davanti Palazzo Farnese per celebrare la vittoria degli austriaci sui francesi a Marengo,
presso Alessandria, il 14 giugno
1800. Napoleone Bonaparte, da poco Primo Console grazie a un colpo
di stato, era alla ricerca di un successo militare per consolidare il
suo potere e aveva portato in Italia
un nuovo esercito. A Marengo inizialmente la battaglia si era praticamente conclusa con la sconfitta
dei francesi. Gli austriaci sicuri ormai della vittoria, si attardarono a
ricompattare i ranghi ed il generale
Melas, convinto di aver già battuto
l’avversario, aveva inviato i dispacci con l’annuncio della vittoria
Ma l’arrivo a tarda sera di 10 mila
uomini di rinforzo guidati dal ge-
Scudo d'argento dell'occupazione napoletana di Roma
Ferdinando IV, Re di Napoli e Sicilia, 1800.
Papa Pio VII, eletto a marzo 1800,
dopo la morte del suo predecessore detenuto ostaggio in Francia, entrò a Roma solo a luglio, dopo l’evacuazione delle truppe napoletane. Per celebrare la presa di Roma,
Ferdinando aveva fatto coniare in
pochissimi esemplari una moneta
nerale francese Louis-Charles-Antoine Desaix, ribaltò l’esito dello
scontro. Gli austro-russi peraltro
avevano già vinto un’altra battaglia a Marengo un anno prima, il
16 maggio 1799, quando una sortita francese dalla cittadella di Alessandria, guidata dal Generale Mo-
20 Franchi oro (Marengo) della Repubblica Subalpina "Anno 9".
Torino, anno 1800 - 1801. Nel recto della moneta si può leggere la parola "Marenco".
reau, era stata sconfitta dagli alleati
comandati dal marchese spagnolo
Lusignan.
A giugno del 1800 la vittoria dei
transalpini aveva aperto tutto il
nord Italia ai francesi, che con Moreau erano arrivati pochi mesi dopo alle porte di Vienna, obbligando l’Austria alla capitolazione ed
aprendo un quindicennio di dominio napoleonico sull’Italia. E’ ben
comprensibile, quindi, che all’arrivo della notizia a Palazzo Farnese
la Regina di Napoli (sorella di Maria Antonietta) fosse colta da malore, che gli sbirri di Scarpia fossero
afflitti e che un repubblicano quale
Cavaradossi esultasse.
La vittoria francese a Marengo è
stata celebrata anche con la coniazione di una moneta d’oro da 20
franchi della Repubblica Subalpina (Piemonte) negli anni 9° e 10°
repubblicani (1800-1802). La moneta raffigura un elegante profilo
di Minerva, con l’elmo cinto da
una corona di alloro, simbolo di
vittoria. Essa porta il motto in francese «L’Italia liberata a Marenco».
Quest’aureo, realizzato a Torino
con conii dell’incisore Amedeo
Lavy, ha conquistato fama, visto
che è la prima moneta europea da
20 franchi in oro e da lei le successive di pari valore e peso hanno acquisito il sopranome di “Marengo”, utilizzato per tutte le monete
da 20 franchi o lire in oro, coniate
in Francia, Italia, Belgio, Svizzera,
Spagna, Grecia e numerosi altri
Paesi dal 1800. Si trattava, infatti,
dell’attuazione del pezzo chiave
della riforma monetaria francese
dell’era napoleonica, che mirava
alla decimalizzazione, alla semplificazione ed all’unificazione monetaria basata sul cosiddetto “franco
germinale”. Veniva stabilito in
quell’occasione che le monete d’argento a 900/1000 da un franco do-
vessero pesare 5 grammi e che le
monete d’oro da venti franchi pesassero 6,45 grammi a 900/1000,
creando così anche un rapporto
fisso legale tra oro e argento di 1 a
15,5, chiave del sistema bimetallico
ottocentesco. Il franco germinale
con tutte le sue caratteristiche si
tramutò nel perno dei tentativi di
unificazione monetaria europea di
Napoleone I e di Napoleone III. Il
primo lo introdusse nel suo Regno
d’Italia, nel Regno delle Due Sicilie
del cognato Murat, nel Principato
di Lucca e Piombino della sorella
Elisa e nei dipartimenti dell’impero francese, incluse alcune città italiane come Torino, Genova, Firenze e Roma. Il Marengo e il “franco
germinale” sopravvissero alla restaurazione, sia in Francia che nel
Regno di Sardegna, trasformandosi poi nella moneta, del Belgio diventato indipendente nel 1831,
della Svizzera dal legame federale
rafforzato dopo il 1848, dell’Italia
unita nel 1861. Napoleone III rilanciò il ruolo internazionale del franco/lira con la creazione dell’Unione Monetaria Latina del 1865-1927,
cui parteciparono Francia, Italia,
Belgio, Svizzera e Grecia. La stessa
moneta circolava ovunque uguale
nel peso, nel contenuto metallico e
nel diametro, pur con nomi e immagini diverse a seconda del paese (lira, franco, dracma, peseta...).
Il “Marengo” diventò così il fulcro
aureo di un sistema monetario
adottato in larga parte del mondo,
dall’Europa all’America Latina, divenendo la moneta aurea coniata
in maggior quantità nella storia
europea e continuando tuttora ad
essere il pezzo di riferimento per il
piccolo risparmiatore che desidera
investire in oro.
luca Einaudi
Storico della moneta
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Echi storici nella Tosca
La battaglia di Marengo del 14 giugno 1800
L
a vicenda di Tosca si svolge tra il 17 e il 18
giugno 1800. Nel secondo atto dell’opera
pucciniana, infatti, voci della folla con gli
echi della vittoria napoleonoica nella battaglia
di Marengo tra austriaci e francesi di tre giorni
prima, giungono dalle finestre nelle sale di Palazzo Farnese, e Scarpia se ne dispera.
la vicenda storica
Intorno alla metà di maggio 1800, il nord Italia
era diviso tra austriaci e francesi. Il generale
Mélas aveva dislocato la maggior parte delle
proprie truppe tra la Liguria e il basso Piemonte, mentre Napoleone si era installato in Lombardia, per favorire gli approvvigionamenti dalle armate del Reno attraverso il passo del San
Gottardo e soprattutto per rendere più difficoltose le comunicazione tra Mélas e l'Austria, ma
anche con la speranza di un attacco da parte degli austriaci. Con la caduta di Genova il 4 giugno, Napoleone Bonaparte decise di andare lui
incontro a Mélas e l'8 giugno si scontrò a Montebello (presso Stradella) con l'armata del generale Ott di ritorno da Genova. Reputando che
Mélas lo volesse attaccare aggirandolo dagli
Appennini, Napoleone occupò il territorio dello
Scrivia e del Bormida ed il 13 giugno si stabilì a
Torre Garofoli con poco più di 30.000 uomini,
poiché la maggior parte dell'esercito era distaccata in Lombardia e nel Piacentino. Temendo
che Mélas gli sfuggisse, Bonaparte inviò in ricognizione altre due divisioni, una verso nord oltre il Po e una verso sud in direzione di Novi.
Inaspettatamente il 14 giugno Mélas attaccò con
tre colonne da Alessandria, oltrepassando il
Bormida ed approfittando della dispersione delle truppe francesi su un'area di circa 20 km, arrivò indisturbato da ovest nei pressi Marengo
dove si scontrò con la divisione Gardanne, la
quale fu costretta ad indietreggiare fin oltre il
Fosso del Fontanone (quindi verso est).
Con le altre due colonne, il Mélas attaccò da sud
e da nord altrettante divisioni francesi che ven-
nero respinte anch'esse verso Marengo. La superiorità numerica degli austriaci mise in crisi
le truppe francesi, che iniziavano un ripiegamento disordinato a nord verso Villanova ed
a sud verso Cascina Grossa. In questo modo
l'armata francese si trovò schierata in uno
sbarramento obliquo con asse nordovest/sud-est. Napoleone mandò delle staffette a richiamare le divisioni in ricognizione
verso Novi e verso il Po, perché si portassero
verso Villanova per riequilibrare la situazione. Intanto Mélas volle spedire l'annuncio
della vittoria a Vienna, inviando il generale
Zach sulla direttrice Tortona-Piacenza. Ma
lungo strada questo si scontrò con la divisione
francese di Desaix che rientrava da Novi. Nello scontro Desaix venne ucciso ed il comando
fu assunto da Boudet. Da questo momento i
francesi presero il sopravvento.
Gli austriaci, in preda al panico, si ritirano confusamente verso il Bormida. Le truppe austriache rimaste vicino a Marengo resistettero bene,
ma non abbastanza per cambiare le sorti della
battaglia che si concluse a favore di Bonaparte.
Il 15 giugno Mélas ottenne un armistizio a buone condizioni.
Fra. Picc.
Memorie sulle prime rappresentazioni
Il debutto di Tosca nei giornali dell’epoca
G
rande era l’attesa a Roma e non solo per la
nuova opera a cui puccini aveva lavorato
meticolosamente per gli ultimi tre anni, ovvero fin dall’estate del 1896. La “Prima” era fissata
al Teatro Costanzi per la sera di sabato 13 gennaio
di quel nuovo secolo 1900, ma a causa di una «lieve
indisposizione del tenore de Marchi è stata rinviata a dimani, domenica», annunciava con una breve notizia
“telegrafata” da Roma il Corriere della Sera nella attenta e quotidiana rubrica “Corriere Teatrale” con
collocazione fissa nella terza delle quattro pagine
del giornale.
la “Prima”
Il 15 il quotidiano milanese, allora giornale del
pomeriggio, dedicava ben due colonne piene a
tutta pagina alla cronaca della serata della prima
esecuzione di Tosca. Descritto l’incidente curioso
del sipario che si richiude a seguito dei rumori
della platea, la penna del redattore musicale segnala la presenza di «molti musicisti quali il Mascagni, il Cilea ed il Marchetti; noto anche il ministro
Baccelli e parecchi deputati ed un nuvolo di giornalisti
qui convenuti da ogni parte d’Italia». Sugli esecutori
dice: «In compenso la scelta del Maestro Puccini non
poteva essere più felice… La Darclée superò la propria
fama … de Marchi con il suo organo vocale potentissimo si rivelò veramente adatto per questa parte che richiede polmoni e talento in misura rilevante… Il Maestro Mugnone diresse con il suo consueto slancio e colla abituale vigoria». Il critico affronta le romanze:«“Vissi d’arte e d’amor” melodia ispirata e fluente
che conclude con squisita soavità, poi la musica incal-
za… “E non ho amato mai tanto la vita”, questo brano
mi è parso il più ispirato dell’opera». Le prime impressioni del giornalista sono in relazione a Bohème: «…L’abilità del Maestro lucchese non s’è scoraggiata per questo. Il commento musicale di che esso ha
ornato il dramma di Sardou non potrebbe essere più
proprio ed efficace. Ma è meno vario, meno appariscente, meno leggero». E conclude: «In sostanza – con
tutte le deferenze per il grande drammaturgo francese
– io vorrei affermare che il suo lavoro fu migliorato prima dall’Illica e dal Giacosa che ne affinarono i principali elementi e poi dal Puccini che con una tavolozza
delicata ed aristocratica ne nobilitò la rappresentazione… Lo Spettacolo è senza dubbio interessante e felicemente congegnato per piacere».
la “Seconda”
A distanza di due giorni, il 16 gennaio 1900, si
tenne la “Seconda” sempre al Costanzi. «Pubblico
affollato ed elettissimo», commenta Il Messaggero. E
prosegue: «Desiderio unanime sentire e giudicare serenamente questa nuovissima opera di Puccini…. Il successo di ieri sera è di gran lunga superiore a quello della
prima audizione… Alla fine del primo atto il Puccini
venne chiamato alla ribalta sette volte con grandissime
acclamazioni, successo andato poi accentuato nel 2°, che
la prima sera era passato quasi inosservato…».
la “Terza”
Puccini e la Tosca continua nei giorni successivi a
suscitare l’attenzione delle rubriche teatrali. Sempre il Corriere della Sera il 18 racconta di «Un pranzo in onore di Puccini». «Ci telegrafano da Roma, 17
gennaio sera. Stasera al Circolo Artistico ha luogo il
gran pranzo in onore di Puccini per festeggiare il successo della sua Tosca». Il giorno successivo – 19 –
ancora il Corriere racconta della “Terza” di Tosca.
«Da Roma 18 gennaio notte. La terza di Tosca diede
un incasso superiore a quello della seconda sera ed ha
aumentato il successo. Oltre ai sei pezzi che nella seconda sera si vollero ripetuti, si volle il bis anche del
preludio del terz’atto e del dettaglio orchestrale dei violoncelli ricordanti la frase d’amore. In complesso otto
furono i pezzi bissati ed il Puccini ebbe oltre venti chiamate. Alla Darclée vennero offerti molti fiori. Puccini
parte sabato per la Maremma».
Una diffida per Tosca
Sfogliando i giornali dei giorni successivi, il 23 gennaio il Corriere della Sera riferisce una curiosa notizia
circolata a Roma nei giorni seguenti le prime rappresentazioni. «Si è annunziato sui giornali che fu intimato
dal giudice Roberti di Roma all’editore Ricordi, di cambiare il cognome ad un personaggio della “Tosca”. Si tratta,
invece, di un giovane avvocato Roberti di Roma che ha intimato di cambiare il nome dell’esecutore di giustizia indicato tra i personaggi della “Tosca” come Roberti. Siccome la diffida non ha avuto effetto ed ogni sera Scarpia
continua a gridare«Ancora Roberti; Basta Roberti», l’avvocato Roberti minaccia una causa. Si è verificato un copiane della “Tosca” di Sardou e nell’elenco dei personaggi non è indicato l’esecutore di giustizia – che non compare in scena – ma Scarpia gli da gli ordini della tortura
chiamandolo una volta “Roberti”, una seconda volta “Alberti”. La differenza viene da difetto di copiatura».
l. di d.
Il
Tosca
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Analisi dell’opera
Con Tosca Puccini apre al Novecento
A
ccade spesso nel teatro
musicale di imbattersi in
opere “statiche”, nelle
quali l’azione è “immaginata” e
la musica cadenza, magari con
slanci lirici straordinari, elementi
di riflessione più che reali accadimenti. A orientare diversamente i musicisti fra fine Ottocento e primo Novecento è arrivato il cinema con la sua diversa
impostazione narrativa; e Puccini è stato fra i primi operisti a cogliere il senso della novità che
proveniva dal nuovo mezzo di
comunicazione. Pensiamo, naturalmente, alla Fanciulla del West
(il primo western della storia),
ma anche Tosca è opera di per sé
innovativa che non a caso, presentata il 14 gennaio 1900, aprì
davvero il nuovo secolo.
Tosca e scarpia
grandi protagonisti
Opera d’azione, dunque, nella
quale Puccini, partendo da Sardou, con l’aiuto dei fidati Illica e
Giacosa, costruisce una tela
drammaturgica e musicale di assoluta spettacolarità. Le azioni e
le riflessioni (o espressioni di
sentimenti) si alternano secondo
una regia perfetta. Tre atti, altrettante ambientazioni con un intelligente utilizzo di Roma come
set “cinematografico”; apparentemente la vicenda rientra nella
categoria del triangolo cara al
melodramma italiano ottocentesco che l’umorista George Bernard Shaw ha ironicamente racchiuso nella seguente definizione: «L’opera è quello strano spettacolo in cui il tenore cerca di portare
a letto il soprano e il baritono glielo
impedisce». Qui, però, c’è qualcosa di più profondo e complesso.
Se è vero che al tenore, Cavaradossi, Puccini affida forse le due
arie più belle (e in generale due
fra le sue pagine liriche più popolari), “Recondita armonia” e “E
lucevan le stelle”, sul piano drammaturgico, Cavaradossi è una
semplice pedina mossa dagli altri due personaggi, assoluti protagonisti della scena: il barone
Scarpia e l’artista Flora Tosca.
Sono loro a condurre il gioco in
un’opera che rappresenta l’esasperazione della brutalità e l’assunzione dell’inganno a sistema
nei rapporti impersonali: Scarpia
Puccini alle prove di Tosca all’Opéra Comique di Parigi - Caricatura di Leonetto Cappiello
mente a Tosca ed a Cavaradossi;
Tosca a sua volta raggira Scarpia
e lo uccide; Cavaradossi crede in
una finta fucilazione e cade morto; Tosca si getta da Castel
Sant’Angelo.
Inganno protagonista
L’utilizzo dell’inganno come
meccanismo drammaturgico non
costituisce certo una novità. Tuttavia non si tratta qui solo di
qualche bugia: si avverte in
ognuno il piacere della vendetta.
Si pensi all’uccisione di Scarpia.
Da grande attrice Tosca dopo il
fatto – per pietà ma anche per
una visione estetica - cura i particolari, la messinscena, dispone
le candele, allestisce una sorta di
camera mortuaria. Quest’opera
offre possibilità espressive
straordinarie per un musicista di
teatro come il Lucchese, abile a
creare melodie fluenti e commoventi, autentici cavalli di battaglia per intere generazioni di te-
Puccini nel 1900
nori e soprani (accanto a quelle
citate, anche “Vissi d’arte”); ma
geniale anche nello strutturare
quadri di forte impatto emotivo:
basta ricordare la scena della fucilazione, autentico capolavoro
di teatro. Così, come da grande
attrice Tosca cura la messinscena
della morte di Scarpia, così vorrebbe rendere spettacolare anche
la finta morte dell’amante e non
gli risparmia consigli su come
porsi davanti al plotone, come
cadere, come “fingere”; tanto che
allorché il plotone spara e Cavaradossi piomba a terra, lei in uno
stato di sovreccitazione grida
compiaciuta: «Ecco un artista».
Ma in fatto di teatralità, rimanda
ancora a Verdi e in particolare al
“Miserere” del Trovatore alla conclusione del primo atto. Tosca si
è appena congedata da Scarpia
che la fa pedinare e lui si abbandona al suo desiderio erotico:
«Va’ Tosca nel tuo sen si annida
Scarpia», canta il barone, non accorgendosi che alle sue spalle si è
avviata la processione del Te
Deum. Sacro e profano si mescolano con un effetto assolutamente geniale, fino a che Scarpia non
si ravvede («Tosca mi fai dimenticare Iddio!») e si unisce all’inno
religioso.
E’ stato detto che è tale la personalità di Scarpia che l’opera
avrebbe potuto intitolarsi con il
suo nome. In effetti il temibile
capo della polizia non è uno dei
tanti cattivi che affollano la librettistica ottocentesca. E’ “il”
cattivo, colui che tira abilmente
le fila di tutta la vicenda, che agisce con crudo realismo, assetato
da un desiderio erotico e mosso
da un atteggiamento sadico.
Non a caso l’opera si apre con
una sorta di “tema di Scarpia”: i
tre accordi che poi tornano a
scandire, con qualche variante,
la conclusione del primo e del secondo atto. La scrittura che lo
contraddistingue (nessun’aria di
elegante lirismo) è sinuosa, urtante, irta di cromatismi che danno il senso della doppiezza del
personaggio, ma anche della sua
ansia erotica. La passione per
Tosca non emerge solo dalla citata scena del Te Deum: si pensi ad
esempio all’apertura del secondo atto. Scarpia attende Tosca
pranzando nel suo palazzo.
Mangia, beve, e pensa alla donna
desiderata: «Ella verrà...per amor
del suo Mario/ Per amor del suo
Mario al piacer mio/ s’arrenderà.
[…]Io di sospiri/ e di lattiginose albe
lunari/ poco m’appago. Non so trarre accordi/ di chitarre, né oroscopo
di fior/ né far l’occhio di pesce/ o tubar come tortora!/ Bramo. La cosa
bramata/ perseguo, me ne sazio e via
la getto/ volto a nuova esca. Dio creò
diverse/ beltà, vini diversi. Io vo’ gustar/ quanto più posso dell’opra divina!». Si noti l’arco melodico disegnato da Puccini che raggiunge la maggiore intensità e passionalità sulla parola «Bramo», gridata con forte violenza da Scarpia, eccitato dalla sete di conquista. E da notare ancora che librettisti (Illica e Giacosa) e musicista
contrappuntano il canto di Scarpia con didascalie indicanti precisi gesti verso la tavola: beve, si
alza, ma non abbandona la cena;
beve ancora. Il piacere del cibo e
del vino si mescola nella mente
del personaggio con il piacere
erotico.
Tosca, abile mescolanza fra lirismo e scene di incalzante teatralità nelle quali balza in primo
piano la parola, amplificata e
sottolineata da un discorso musicale di forte impatto emotivo,
mostra inoltre una sapiente organizzazione armonica e una
mirabile orchestrazione. E, come
avrebbe fatto in seguito anche in
Madama Butterfly e in Turandot, il
musicista non trascura il più veritiero colore locale: si pensi a
questo proposito al canto dello
stornello, all’alba, che conferisce
un sapore romanesco di particolare effetto.
Roberto Iovino
Tosca
12
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Piccola guida per capire il monumento
La maestosa perfezione delle Terme di Caracalla
L
o spettatore che alza gli occhi dal palco verso la straordinaria quinta antica, è immediatamente colpito da due
enormi pilastri dalle pareti curve,
che sono le vestigia del caldarium,
il cuore delle Terme di Caracalla.
Ciò che si vede da questa prospettiva è il retro delle Terme, mentre
la facciata principale guarda verso
Viale delle Terme di Caracalla.
Il caldarium, la parte più calda delle terme, era una grande sala circolare del diametro di 36 metri, coperta da una cupola sostenuta da
otto pilastri (due di essi sono quelli visibili) era riscaldato da una serie di enormi fornaci che esistono
ancora nel sottosuolo ed illuminato da ampie finestre. Essendo rivolto a Sud-Ovest, riceveva luce e
calore dall’esterno per tutto il giorno. Al centro della sala c’era una
grande vasca circolare con acqua
calda. Sei vasche più piccole erano
inserite tra i piloni. Da questa sala
si accedeva al tepidarium, l’ambien-
te retrostante, più piccolo, con due
vasche ed un’atmosfera temperata. Quindi, ci si trasferiva nel cosiddetto frigidarium, una enorme
sala a pianta basilicale, coperta da
tre volte a crociera e pavimentata
con lastroni di marmo colorato
(opus sectile), che costituiva il cuore
di tutto l’edificio. Infine, parallela
al lungo ed alto muro della facciata che guarda alla strada, era disposta la natatio, la grande piscina
scoperta (m. 50x22) caratterizzata
da un magnifico prospetto archi-
tettonico, ricco di marmi policromi
con nicchie disposte su due piani
occupate da statue. A sinistra ed a
destra di questi ambienti, erano
disposti altri locali, tutti comunicanti tra loro, fra cui le due grandi
palestre ubicate lungo i lati corti
del complesso, circondate da portici e pavimentate a mosaico; i laconica, ossia i bagni turchi, disposti a sinistra ed a destra del caldarium e distinguibili dai vani d’ingresso obliqui per limitare la dispersione di calore, e gli apodyteria,
ovvero gli spogliatoi.
In realtà, era a quest’ultimi ambienti che i clienti dello stabilimento accedevano tramite i vestibula,
prima di recarsi nel caldarium. Una
alternativa era quella di recarsi
nella grande piscina scoperta, senza passare dai bagni. Tutto il complesso era circondato da un recinto, la cui parete è ancora ben visibile sulla destra nel percorso dalla
biglietteria verso l’attuale spazio
teatrale. Sul lato posteriore, alle
spalle di questa platea estiva, si
apre una struttura munita di gradinate, forse uno stadio od una cascata d’acqua, fiancheggiata dalle
due biblioteche (fino ad oggi si è
conservata solo quella di destra,
vicino alla scalinata che saliva
all’Aventino.
Vasti giardini occupavano lo spazio tra lo stabilimento termale ed il
recinto. Proprio in questi giardini
sono ora collocati palcoscenico e
platea.
E. c. a.
Divenute nel XV e XVI secolo una miniera inesauribile
I mille capolavori ritrovati in queste Terme
G
to interesse per le Terme
fu quello degli scavi di
Paolo III Farnese per la
costruzione del suo nuovo palazzo. Nel 15451547 grandi statue e
gruppi colossali furono
rinvenuti all’”Antoniana”: e grande sensazione
provocò il ritrovamento,
nella palestra orientale,
del Toro Farnese, il famoso gruppo colossale ricavato da un unico blocco
di marmo, nel quale è
rappresentato il supplizio
di Dirce legata al toro da
Anfione e Zeto
per vendicare i
torti da lei arrecati alla madre Antiope, che assiste
alla scena. Date le
proporzioni colossali, il gruppo
venne collocato
nel cortile di Palazzo Farnese che
affacciava su via
Giulia e non è
chiaro se subì interventi di adattamento e di traSopra: Il Toro Farnese. A destra: L’Ercole Farnese.
ià nel XII secolo le
Terme furono cava di materiali
per la decorazione di
chiese e palazzi: tre capitelli con le aquile e i fulmini, simboli di Zeus,
provenienti dalla palestra
orientale, furono riadattati nel Duomo di Pisa. La
stessa sorte subirono otto
capitelli con Iside, Serapide e Arpocrate provenienti dalle biblioteche e
riutilizzati nella Chiesa di
S. Maria in Trastevere.
Un momento di rinnova-
sformazione, forse in fontana. Era talmente famoso che persino il re di
Francia Luigi XIV tentò di
acquistarlo e trasportarlo
a Parigi; comunque il suo
destino non era quello di
rimanere a Roma, perché
nel 1786 fu trasportato a
Napoli, insieme a gran
parte della collezione Farnese, dote dell’ultima erede della famiglia, Elisabetta, andata in sposa al
re di Spagna. Prima esposto nella Villa Reale di
Chiaia, il Toro fu poi trasferito nel 1826 nel Museo
Archeologico Nazionale
di Napoli, dove è tuttora
conservato insieme agli
altri capolavori provenienti dalle stesse Terme.
Fra questi, da ricordare il
celebre e colossale Ercole
in riposo, proveniente dal
frigidarium, firmato sul
basamento da Glykon,
uno scultore ateniese attivo all’inizio del III secolo
d.C., la cui fama è dimostrata dalla diffusione di
copie di ogni dimensione,
da quella di circa tre
metri ritrovata alle
Terme, fino a terrecotte di poche centimetri. Un
altro Ercole di grandi dimensioni fu trovato
nel frigidarium
delle
Terme di Caracalla , il cosidetto “Ercole
Latino”, dato
per scomparso e
poi riconosciuto
nella
grande
statua conservata nella Reggia di Caserta.
Ercole era molto amato
dalla famiglia dei Severi e
spesso presente nelle raffigurazioni delle Terme:
in uno dei più famosi capitelli figurati dell’antichità, sempre proveniente dal frigidarium, infatti,
il semidio è rappresentato in posizione di riposo
appoggiato sulla clava. In
tempi diversi furono recuperati altri gruppi famosi, come quello di
Atreo con Tieste,
statue di Minerva, Venere, busti di personaggi della famiglia imperiale e
numerosi frammenti architettonici, fra cui le vasche ora nel cortile del Belvedere in Vaticano e le due
splendide di
granito grigio, provenienti
anch’esse dal
frigidarium e
riutilizzate dal Rainaldi
come fontane in Piazza
Farnese. Sempre di granito era la colonna proveniente dalla natatio portata a Firenze nel 1563, dove da Cosimo I de’ Medici fu eretta in Piazza S.
Trinità, piazza che ancora
la ospita.
Ma. Pir.
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Tosca
13
L’opera pucciniana ed i suoi disastri
L’indimenticabile “suicidio”
del plotone di esecuzione
P
oliteama Genovese,
ottobre 1901. A grande richiesta viene ripresentata Tosca che, pochi
mesi prima, al suo debutto
cittadino, aveva letteralmente entusiasmato il
pubblico. Al momento della fucilazione, i soldati sbagliano i tempi e sparano in
anticipo sicchè Cavaradossi deve stramazzare a terra
per conto proprio. Il povero tenore non aveva avuto,
nell’occasione, la presenza
di spirito di un collega attore che, trovandosi nella
medesima, imbarazzante
situazione, se l’era cavata
egregiamente gridando
mentre cadeva: “Muoio
avvelenato”.
La “falsa” fucilazione di
Cavaradossi è uno dei tanti incidenti che contrassegnano la storia dell’opera
pucciniana.
Uno dei titoli in assoluto
più popolari se si considera che fra il 1967 e il 1992 è
risultato al terzo posto nella graduatoria delle opere
maggiormente rappresentate negli Enti lirici italiani,
dopo Aida e Madama Butterfly.
Titolo, tuttavia, tra i più
“sfortunati” per la serie infinita di incidenti, solitamente comici, che hanno
accompagnato numerosi
allestimenti in ogni parte
del globo.
“Colpi di scena” spesso
determinati da qualche
burlone. Così se un corpulento soprano tedesco difficilmente potrà dimenticare il tiro giocatole da un
tecnico che nella scena
conclusiva di Salomè sostituì la testa mozza di Giovanni Battista con una pila
di sandwich al prosciutto,
non avrà certamente dormito per intere notti, il giovane soprano americano
che nel 1960 vestì i panni
di Tosca al City Center di
New York. Era l’epilogo
dell’opera: Cavaradossi
esanime, lei sui bastioni
pronta a gettarsi nel vuoto
invano inseguita da Spoletta. Un salto, come da copione, per sparire alla vista
degli spettatori. Il tappeto
posto per attutire la caduta
era stato, però, sostituito
da un telone elastico. Risultato: la povera cantante
rimbalzò una decina di
volte, prima di essere definitivamente “placata” dai
tecnici.
Non allo scherzo di un
macchinista ma alla fretta
si devono, invece, le disavventure di Shilery Verrett
chiamata a Genova nel
maggio 1988 a sostituire
all’ultimo momento Raina
Kabaiwanska costretta ad
un temporaneo forfait per
gravi problemi familiari.
La grande artista di colore
arrivò direttamente dagli
Stati Uniti poche ore prima
del debutto. Provò al pianoforte con il direttore
Oren, passò rapidamente
in sartoria e andò in scena.
Forse il vestito non era del-
rere alle cure del medico.
Di cure ben più serie ebbe
bisogno nel luglio del 1995
il tenore Fabio Armiliato,
Cavaradossi allo Sferisterio di Macerata. I fucili del
plotone di esecuzione funzionarono sin troppo bene
tanto che davanti ad una
sorpresa Tosca-Kabaiwanska, il cantante genovese
fu effettivamente colpito
(per fortuna in maniera lieve) ad un piede da uno
stoppaccio (il batuffolo di
stoppa con cui si fermano
gli elementi di carica nei
fucili a bacchetta). Armiliato finì in ospedale, la
moglie, in platea si sentì
male e anche l’addetto ai
fucili pare abbia avuto un
comprensibile malore. Per
Armiliato, tuttavia, non
era finita. Ripresentatosi
in scena alla seconda recita, l’artista, forse ancora
provato dalla precedente
disavventura, cadde in
scena infortunandosi a
una gamba.
Castel Sant’Angelo in un quadro di Alfonso Avanessian
la misura adatta, forse gli
scalini in scena avevano
qualche asperità di troppo:
fatto sta che per ben due
volte l’abito si impigliò ad
un gradino tanto da costringere la cantante a
strapparlo con un gesto
imperioso per liberarsi.
Inoltre alla fine del secondo atto, rentrando dietro le
quinte, la Verrett cadde,
fortunatamente senza conseguenze, e dovette ricor-
Di una caduta fu vittima al
Colon di Buenos Aires, intorno agli anni Cinquanta
anche Maria Jeritza. Inciampò proprio davanti a
Scarpia al momento di intonare «Vissi d’arte». Non
c’era il tempo di rialzarsi e,
da grande artista, cantò la
celebre pagina riversa sul
pavimento. Purtroppo si
trovava in una sezione del
palcoscenico non illuminata e i tecnici vagarono in-
vano con i riflettori per
tutto il brano
prima di riuscire a inquadrare la cantante.
Oggi, in epoca di computer, le luci
non sono più
puntate
a
mano, ma in
molti teatri
Copertina del primo libretto di Tosca
tutto è scruplotone solo cinque minuti
polosamente affidato alla
prima dell’inizio dello
memoria di un cervellone.
spettacolo. Le istruzioni
Se qualche dato viene imfurono precise: “Quando il
messo in maniera errata,
direttore di scena vi fa sepuò accadere il finimondo.
gno entrate marciando
A San Diego alla fine degli
lentamente, aspettate che
anni Cinquanta un coml’ufficiale abbassi la spada
puter regolava persino lo
e poi sparate”. “E come ce
spegnimento delle candele
ne andiamo? ” chiesero gli
intorno a Scarpia. Ma Tostudenti. “Uscite con i prosca non andava d’accordo
tagonisti” gli fu risposto.
con l’elettronica. E così
Il primo choc gli imquando lei soffiava sulla
provvisati soldati lo provacandela di destra, si sperono quando, entrando sul
gneva quella di sinistra fra
palcoscenico si trovarono
le risate del pubblico.
di fronte due persone e
Il computer, del resto, ha
non una. Chi fucilare, duncreato qualche problema
que, la donna o l’uomo?
anche recentemente al
Optarono per la donna riCarlo Felice di Genova.
cordando il titolo dell’opeNell’ultima Tosca del ‘99,
ra. E rimasero alquanto
all’apertura del terzo atto,
stupiti quando si accorsero
la struttura scenica che doche la donna rimaneva in
veva fare da cornice e da
piedi e l’uomo, pur risparfondale a Castel Sant’Anmiato dal loro tiro incrociagelo è rimasta bloccata e
to, cadeva esanime. Possial’imponente costruzione
mo anche immaginare lo
romana è parsa alquanto
stupore del direttore d’orspaesata fra quinte assoluchestra sul podio e del retamente neutre e ben poco
gista, impotente, dietro le
paesaggistiche.
quinte. Ma non era finita.
A generare incidenti, tuttaOccorreva uscire. Stava acvia, è quasi sempre l’elecadendo il finimondo.
mento umano. Nel suo liL’orchestra si gonfiava,
bro “Disastri all’opera”,
Spoletta entrava in scena
Vickers ha ambientato
seguito dai suoi, Tosca corquest’ultimo episodio a
reva rapida su per i bastioSan Francisco nel 1961. Il
ni. Non c’era tempo per riplotone di esecuzione era
flettere. E così, mentre il sicomposto da studenti unipario calava, il pubblico viversitari arruolati in tutta
de un intero plotone d’esefretta, pieni d’entusiasmo,
cuzione gettarsi giù dalle
ma assolutamente ignari
mura in uno spettacolare e
della trama dell’opera.
indimenticabile suicidio di
Preso dal turbinio delle
massa...
prove con i protagonisti, il
Roberto Iovino
regista potè dedicare al
Tosca
14
Il
Giornale dei Grandi Eventi
Curiosità a margine della composizione di Tosca
Per le campane di Roma, Puccini rischiò l’arresto
Q
uanti equivoci e
quante tensioni
il povero Puccini ha dovuto subire per
riuscire a completare
Tosca! Le minacce di
bombe ed attentati alla
Regina, fischi e giudizi
negativi della stampa alla prima rappresentazione. Ma addirittura
l’arresto, rischiare di essere portato in prigione
con
Mugnone
fa
davvero sorridere e
forse contribuisce a
creare quell’alone di
mistero, un romanzo
sulla storia e forse quel
fascino che contraddistingue Tosca a distanza
di un secolo.
Siamo nella primavera
del 1889 ed alla polizia,
giunge la voce che al
Pincio, in piena notte, si
aggira un individuo
pericoloso e sospetto,
senza alcun dubbio un
attentatore o un terrorista. Il sospetto non è solo, ma per tramare i suoi
atti vandalici e terroristici passeggia con il suo
Giacomo Puccini
complice facendo degli
strani segni, sicuramente
legati al complotto.
In questura il panico e la
preoccupazione
dilagano e considerando il
delicato periodo politico
che l’Italia sta attraver-
sando si pensa bene di
intervenire e di bloccare
la
sommossa
sul
nascere. Ad aggravare
la situazione, “il suddito
fedele e timoroso” che
ha rivelato la notizia alle
autorità, aggiunge che il
Pincio normalmente è
chiuso da ampi cancelli
e che solo dei malintenzionati avrebbero potuto eludere il sistema di
sicurezza. L’ordine fu
perentorio. Il questore
Felsani dispone di raggiungere ed arrestare i
due sospetti.
E’ l’alba, il buio ha ormai lasciato il posto alle
prime luci del giorno
che è salutato dal suono
delle campane di Roma
e Puccini insieme a
Mugnone passeggia al
Pincio cercando di riportare sul pentagramma il suono esatto delle
campane delle chiese di
Roma. Ma ecco che all’
improvviso
vengono
fermati da tre agenti armati, decisi a portare a
termine la loro missione. «Fermi, sono un
delegato di pubblica sicurezza. Chi siete? Che
fate qui a quest’ora? Come
siete entrati?». Puccini e
Mugnone, inizialmente
stupiti e spaventati,
scoppiano a ridere
capendo l’equivoco sorto e cominciano a spiegare la loro identità e la
loro estraneità da qualsiasi atto sovversivo.
Spiegano, inoltre, di
aver ricevuto le chiavi
del cancello qualche
giorno prima e di essere
in possesso anche di un
regolare permesso del
Municipio per sostare di
notte al Pincio.
Il mistero è svelato, l’equivoco è chiarito e Puccini viene ricoperto e
travolto dalle scuse
degli agenti che si sono
nel frattempo resi conto
di aver offeso un personaggio ormai famoso
dopo il successo di Bohéme. Alla prima di
Tosca sono presenti anche i tre agenti di
polizia, i quali all’inizio
del III atto possono sentire il suono delle campane riprodotto da Puccini identico a quello
che
avevano
udito
qualche mattina prima
al Pincio.
Fr. Pi.
Maria Carolina tra Sardou e Puccini
Quella Regina solo nominata
P
iù volte nella Tosca si parla o si accenna ad una “Regina”, ma questo
accade solo nel dramma di Sardou
e non nell’Opera pucciniana, che si limita ad un semplice riferimento storico. Il
testo del dramma di Sardou e del libretto
Giacosa-Illica non sempre coincidono
nei loro dettagli. Nella I scena del primo
atto, dalla lettura di un giornale che Eusebio, il sagrestano, fa Gennarino (servitore di Cavaradossi), Sardou spiega il
motivo della presenza a Roma “della
Regina”. E’ Maria Carolina, Regina di
Napoli, figlia di Maria Teresa d’Austria
e sorella di Maria Antonietta. Moglie del
Re di Napoli Ferdinando IV e «appositamente giunta da Livorno per dare, questa
sera, 17 giugno, una grande festa a Palazzo
Farnese, per celebrare la vittoria…Vi sarà
un concerto seguito da un ballo con illuminazione a giorno su Palazzo Farnese, e musica…».
Per chi oggi assiste ad una rappresentazione di Tosca è difficile capire cosa
stia accadendo, quando Tosca, nel primo
atto, corre verso la porta per andare dalla Regina, dal momento che nello spartito fino ad ora non si è mai accennato a
alcuna sovrana. Nella Tosca di Puccini,
una delle poche allusioni, sulla presenza
di Reali è un «Viva il Re!» del coro nel I
atto, all’annuncio della vittoria degli
Austriaci a Marengo. Personaggi di rango reale compaiono ancora in una didascalia del II atto, nel momento in cui
Scarpia ordina a Sciarrone di aprire la
finestra perché «dal piano inferiore, ove la
Regina di Napoli, Maria Carolina, dà una
gran festa in onore di Melassi si ode il
suonare di un’orchestra». Al contrario di
Puccini, Sardou non dimentica di parlare
della Regina Maria Carolina e non si dimentica di sottolineare che Tosca era da
lei molto stimata: «Oh, sì, è molto buona
verso di me» e che più volte pensò di
chiederle la grazia per il suo amato. Ma
Scarpia in un momento distrugge tutti i
sogni di Tosca rivelandole che un ordine
Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, Regina di Napoli
formale prevede che Cavaradossi sia fucilato prima dell’alba e che: «La Regina
farebbe grazia ad un cadavere».
G.G.
Il
Dal mondo della musica
Giornale dei Grandi Eventi
15
Il Festival 2011 dal 27 luglio al 30 agosto
A Salisburgo fra tradizione e modernità
L
a più spiccata peculiarità del
Festival di Salisburgo risiede
forse nell’inesausta dialettica
fra tradizione e modernità, nella
capacità di far percepire «quel che è
di ieri come qualcosa di vivo», per
usare le parole di Hofmannsthal,
ponendo nel contempo le basi per
la costruzione del futuro. L’arte come elemento imprescindibile della
vita sociale, dunque, in grado di
assumere un preciso intento morale. Nel 1920, anno della sua fondazione ufficiale, il Festival aspira a
porsi come guida per un’umanità
vittima delle tragedie della storia;
la piccola cittadina austriaca, patria di Mozart, con i suoi panorami
idilliaci e la sua collocazione distante dalle caotiche realtà urbane,
appare il luogo ideale dove dar vita ad un sogno utopico immune
dalle pressioni della contemporaneità. Anche oggi che la realtà si
presenta profondamente mutata, il
Festival mantiene il suo carattere
ambizioso ed il suo ruolo protagonista nell’ambito della cultura
europea. Particolarmente accattivante la programmazione prevista per l’edizione di questa estate
(info su www.salzburgerfestspiele.at), in svolgimento dal 27
luglio al 30 agosto.
Il Festival 2011
Riguardo ai titoli lirici in cartellone, di grande rilievo Die Frau ohne
Schatten (La donna senz’ombra),
forse il massimo risultato raggiunto da Richard Strauss nell’ambito
del teatro musicale, affidata alla
formidabile bacchetta di Christian
Thielemann ed alla regia di Christof Loy (la “Prima” il 29 luglio).
Riccardo Muti sarà impegnato nel
Macbeth verdiano (dal 3 agosto),
medesimo titolo con il quale aprirà
la prossima stagione del Teatro
dell’Opera di Roma, mentre ad
Esa-Pekka Salonen, un grande direttore raramente ascoltato nel nostro Paese, viene affidato L’affare
Makropulos di Janàcek, un compositore che vorremmo più presente
sui palcoscenici italiani. Iolanta di
Tchaikovsky viene accoppiata a Le
Rossignol di Stravinsky, sul podio
Ivor Bolton, mentre riguardo a
Mozart, nume tutelare del Festival,
il pubblico avrà l’occasione di assi-
La città di Salisburgo
stere all’intera trilogia dapontiana,
come è accaduto solo altre due volte nella lunga storia della manifestazione. Si comincia con Le Nozze
di Figaro il 27 luglio, giornata inaugurale, dirette dal giovane ma già
affermato Robin Ticciati, si prosegue con Così fan tutte con l’orchestra Les Musiciens du Louvre guidata da Mark Minkowski, e si conclude con il Don Giovanni affidato
ai Wiener Philharmoniker, sul podio Yannick Nézet-Séguin. Ampio
spazio viene poi riservato alla musica contemporanea, con opere di
Sciarrino, Nono, Birtwistle, Schnittke, e molti altri ancora. Nutrito
il numero dei concerti in cartellone, con i Wiener impegnati in ben
cinque differenti programmi e poi
con numerose orchestre ospiti, fra
le quali spicca quella dell’Accademia di S. Cecilia. Non bisogna inoltre dimenticare che, all’epoca della
sua fondazione, il Festival poneva
sul medesimo piano prosa e musica, salvo poi constatare una progressiva prevalenza di quest’ultima. Il teatro parlato mantiene, comunque, un posto di grande importanza, con la rappresentazione
del classico Jedermann di Hofmannsthal nella versione ripresa
da Christian Stückl, con la maratona dedicata al Faust goethiano curata dal regista Nicolas Stemann,
con il dramma Immer noch Sturm
di Peter Handke presentato in prima assoluta, solo per citare alcuni
appuntamenti.
Per chi volesse immergersi nelle accattivanti atmosfere del Festival e
vivere la realtà locale, segnaliamo il
sito www.salzburg.info, punto di
riferimento ufficiale per chiunque
voglia gustare a fondo l’offerta culturale della piccola città austriaca.
Riccardo cenci
In Libreria
Il fascino del manoscritto di Tosca tra le mani
S
educe già da quella semplice
copertina blu dei quadernoni
d’altri tempi con le pagine a righe, l’anastatica della copia di lavoro del libretto di Tosca. Così questi
due volumi editi per i tipi sempre
qualitativi della Leo Olschki di Firenze, tendono a farsi aprire con
quel rispetto che si ha verso le pagine che grondano di storia, nelle
quali la “lettura” delle grafie permette di comprendere, di intuire i
sentimenti degli autori più d’ogni
scritto, più d’ogni parola. L’edizione presenta il testo completo del libretto di Tosca, corredato da aggiunte, correzioni, chiose, frammenti di bozze di stampa applicati
sulle pagine, schizzi musicali e di
piante sceniche. Vi si possono riconoscere, oltre alla scrittura calligrafica del copista, le mani di Giacomo
Puccini, Luigi Illica, Giuseppe Giacosa e Giulio Ricordi.
Nella lunga genesi dei capolavori
pucciniani, la prima laboriosa fase
era, infatti, quella della stesura del
libretto: qualcuno di casa Ricordi spesso lo stesso Giulio Ricordi -
preparava copie del libretto,
scrivendo il testo solo sulle pagine dispari, per lasciare spazio,
nelle pagine a fronte, ad annotazioni e correzioni. Le copie andavano
poi ai librettisti ed al compositore,
che se le scambiavano con l’intento
di giungere alla redazione definitiva. Attraverso gli interventi di Illica, Giacosa, Ricordi, e soprattutto di
Puccini, è possibile ricostruire l’appassionante dialogo che intercorse
tra gli autori e l’editore, entrare, insomma nel vivo nel processo creativo ed individuare le fasi cruciali
della genesi di Tosca. L’originale da
cui è tratta l’anastatica e che appar
tiene alla Cassa di
Risparmio di Lucca, non è la sola copia di lavoro esistente del libretto di
Tosca, ma essa ha un rilievo particolare perché è quella rimasta più a
lungo sulla scrivania di Puccini, ed
è, quindi, quella più ricca di annotazioni, correzioni, prescrizioni. Un
manoscritto, insomma, che ci restituisce il suo pensiero. Si segnala in
particolare la ricchezza inconsueta
di abbozzi musicali, tra cui quello
di E lucevan le stelle.
Incanta così vedere – qui al pari dell’originale – tanti foglietti di carta
vergati da Puccini o dai suoi libret-
tisti, attaccati con la colla sulle varie
pagine come aggiunte o note a quel
determinato passo dell’opera. Puccini, nella sua precisione, talvolta
annotava anche a margine del testo
la posizione dei cantanti sulla scena, un accordo da riprendere poi
nella partitura. Insomma, queste
pagine curate dalla brava ed instancabile prof. Gabriella Biagi Ravenni,
co-fondatrice e presidente del Centro Studi Puccini di Lucca (istituzione degna di rilievo in un panorama
culturale italiano non sempre brillante) affascinano l’occhio e trascinano la mente, fornendo qualcosa
di più di un importante strumento
di studio.
and. Mar.
“Tosca” di Victorien sardou, Giuseppe
Giacosa e luigi Illica; Musica di Giacomo Puccini - Facsimile della copia di
lavoro del libretto. Edizione e commento a cura di Gabriella biagi Ravenni. centro studi Giacomo Puccini - Testi e documenti, vol. 2 - 2009, cm 23 x 33.
Tomo I: 140 pp. di cui 134 di facsimile;
Tomo II: XIII-140 pp. con 1 fig, 1 pieghevole ed es. mus. n.t. - € 120,00
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