Dobbiamo rendere uguali gli
uomini? Pericolosa scorciatoia per
un management pigro e
irresponsabile
di Gabriele Gabrielli[ [email protected] ]
"Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo che non è mai
esistito, qualcosa di primo e unico". Lo scrive Martin Buber in un
libretto tratto da una conferenza del 1947 (Il cammino dell'uomo,
Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, 1990); un pensiero che,
insieme a un racconto chassidico di cui l'autore è uno dei narratori
più
autorevoli,
ci
aiuterà
in
questa
riflessione
sullavalorizzazione della persona nei luoghi di lavoro. Soprattutto
per discuterne la premessa più evidente, la differenziazione. Cosa
significa valorizzare? Pensate a quante volte utilizziamo questo
termine o l'ascoltiamo in occasioni diverse. Proviamo a fare mente
locale su quante slide ci passano sotto gli occhi con un punto elenco
con evidenziatala finalità di "valorizzare". Usiamo questo termine,
infatti, per riferirci a un perimetro molto vasto di oggetti. Per
esempio, per sottolineare l'obiettivo di valorizzare gli investimenti
realizzati o il potenziale dei nostri clienti; il brand di un'impresa, la
sua forza commerciale o la sua posizione sul mercato; lo usiamo
quando vogliamo valorizzare il suo patrimonio immobiliare, la sua
tecnologia, ma anche la sua storia e cultura, il patrimonio delle
relazioni. Si possono valorizzare risorse hard e tangibili ma anche
risorse soft e intangibili. Si possono valorizzare le persone, ma
anche no, come oggi si usa dire. Proseguendo nel nostro esercizio
di consapevolezza ci domandiamo ora più nel concreto cosa
significhi valorizzare le persone. Questo verbo transitivo evoca
un'azione che accresce il valore di una cosa o di un bene, perché ne
aumenta il pregio o la sua posizione. Richiama anche il significato di
un'azione che riesce a estrarre tutto il valore che lo stesso bene ha
"intrinsecamente". Potremmo dire che il valorizzare si esprime
attraverso un progetto che costruisce le condizioni utili per
realizzare tutto il potenziale di quel bene, per raccoglierne i frutti e
poterne godere i risultati. Per questo quando valorizziamo qualche
cosa o qualcuno ne esaltiamo tutte le qualità (si pensi a un
sommelier mentre racconta, con un calice in mano, i colori, la
storia, le componenti, il sapore, le tradizioni da cui proviene quel
vino), perché vogliamo attribuirgli un valore esclusivo e unico,
tipico di ciò che non esiste altrove, irripetibile. L'idea che facilmente
associamo al valorizzare, insomma, è quella di un valore unico e
distintivo. Per valorizzare occorre dunque differenziare e questo è
un aspetto decisivo; non c'è dubbio infatti la valorizzazione delle
persone debba passare per questa via attraverso leader, manager e
capi capaci. La pratica ci dice però che questa via non è sempre
frequentata, perché ad essa si preferiscono altre strade meno
faticose, senza curve, piatte. Quali motivazioni suggeriscono un
posizionamento del management così pericoloso che rinuncia a
valorizzare non differenziando le persone? Sono molte, in verità.
Per esempio il disinteresse verso l'altro, perché si è concentrati sul
presente a sviluppare atteggiamenti poco generosi, un po' come
quelli dell'amministratore pigro e svogliato della parabola dei talenti
che sciupa il patrimonio affidato andandolo a nascondere. Un'altra
ragione può risiedere nella poca convinzione che si ha riguardo ai
benefici che il valorizzare comporterebbe, come la crescita
di motivazione, un profilo di engagement delle persone migliore,
un clima più
partecipativo
e
la
disponibilità
di comportamenti di cittadinanza
organizzativa più
intensi.
Purtroppo sono ancora numerosi i luoghi organizzativi in cui alle
leve della valorizzazione e differenziazione delle persone si
preferiscono logiche di gestione indifferenziata e omologanti. Per
usare una metafora a tutti famigliare, è un po' come ostinarsi a non
voler comprendere quanto siano eticamente fondati, utili e
produttivi quegli stili di vita e quei comportamenti dei cittadini che
adottano i principi e le metodologie della raccolta differenziata dei
rifiuti. Sono del tutto consapevoli che è più faticosa, perché richiede
maggiore concentrazione e la conoscenza dei materiali e dei loro
componenti; sentono però che è un'azione rispettosa di un bene
comune e sono anche convinti che da questa differenziazione
nascerà ricchezza nuova, un valore che se si fosse percorsa la via
facile, piatta e senza curve del fare di ogni erba un fascio, non
sarebbe stato possibile scoprire ed estrarre. Non c'è management
sostenibile delle persone che non passi per la valorizzazione e
differenziazione. Ricordate il pensiero sull'unicità dell'uomo da cui
siamo partiti? Ascoltiamo ora il racconto di Rabbi Sussja che
s'interroga così: "Nel mondo futuro non mi si chiederà: ‘Perché non
sei stato Mosè?'; mi si chiederà invece: ‘Perché non sei stato
Sussja?'. Chiudiamo questa riflessione con il commento che ne fa
Martin Bauber: "Siamo qui in presenza di un insegnamento che si
basa sul fatto che gli uomini sono ineguali per natura e che
pertanto non bisogna cercare di renderli uguali. Tutti gli uomini
hanno accesso a Dio, ma ciascuno ha un accesso diverso. E' infatti
la diversità degli uomini, la differenziazione delle loro qualità e delle
loro tendenze che costituisce la grande risorsa del genere umano".
Gabriele Gabrielli, docente Università Luiss Guido Carli
twitter@gabgab58
Presidente Fondazione Lavoroperlapersona
(www.lavoroperlapersona.it)
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