Conferenza del 4 gennaio 2014
Ines de Castro dalla storia all’opera
di Giuseppe Persiani interpretata da Maria Dragoni
Innanzitutto vorrei ricordare che fra tre giorni, esattamente il 7 gennaio, ricorrono
659 anni dalla tragica morte di Ines de Castro. Ma chi era Ines de Castro? Mi si
chiede ogni volta che ne parlo. Ines era figlia illegittima di don Pietro de Castro, gran
signore di Galizia. Di lei non si sa né il luogo né la data della sua nascita, anche se a
tale proposito si avanzano diverse ipotesi.
È apparsa sulla scena della storia nel 1340, al seguito della principessa Costanza
Peñafiel di Castiglia, che andava in sposa a Pietro, principe ereditario del Portogallo.
Ma arrivata la sposa, pare che il principe abbia subito rivolto le sue attenzioni più che
alla principessa alla damigella, Ines, giovane di straordinaria bellezza, tanto da essere
chiamata “collo di cigno” e “collo d’alabastro”.
Il re, Alfonso IV di Portogallo, per impedire questo nascente amore, esiliò Ines dal
suo regno, poiché a nulla era valso il fatto di farle battezzare uno dei principini
appena nati, creando così una «cognatio spiritualis», che avrebbe reso incestuoso
questo rapporto amoroso, secondo la tradizione iberica del tempo.
Morta Costanza nel 1345, Pietro richiamò Ines dall’esilio, e i due vissero insieme
lontani dalla corte. Dalla coppia nacquero quattro figli. Ma il re, che avrebbe voluto
per il principe un altro matrimonio con una figlia di re, o almeno di famiglia regale
come Costanza, notando l’ostinazione dell’erede, decise della morte di Ines.
Pietro, diventato re, alla morte del padre, riuscì a far catturare due dei tre consiglieri
del re, i quali forse erano stati anche personalmente gli esecutori della sentenza
contro la donna, e a Santarém fece loro strappare il cuore, a carne viva, poi fece
bruciare i corpi e disperdere le ceneri nel Tago. Uno degli storici, di oltre un secolo
dopo l’avvenimento, poiché una delle vittime si chiamava Coelho (coniglio), scrisse
che Pietro, dopo aver detto: “Preparate l’olio e l’aceto perché il coniglio è pronto per
l’arrosto”, si sia seduto a tavola a mangiare mentre i carnefici trucidavano le vittime.
Questo fatto potrebbe essere un topos classico, conosciuto in Portogallo durante
l’Umanesimo, poiché dice Svetonio che anche Caligola sedeva a tavola mentre i suoi
nemici venivano trucidati.
Successivamente, il giovane re, Pietro I, dichiarò di aver sposato Ines segretamente,
la proclamò regina del Portogallo e legittimò i figli, quali probabili successori al
trono. Inoltre, fece costruire due magnifici sarcofagi, forse i più bei monumenti
funebri di tutta la Penisola Iberica, e fece traslare le spoglie mortali dell’amata vestita
con abiti regali un carro, ove sedeva anche lui, dal monastero di santa Clara di
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Coimbra all’abbazia di Alcobaça, già mausoleo degli altri membri della famiglia
regnante.
Per circa un secolo e mezzo, anche per gli avvenimenti storici avvenuti, Ines venne
considerata donna intrigante ed ambiziosa, nata per la rovina della nazione. Ma, come
accennato, con l’arrivo delle dottrine umanistiche in Portogallo e la conoscenza della
poetica di Dante e di Petrarca, è avvenuta la “metamorfosi che dal patibolo porta alla
gloria”, ed Ines divenne il simbolo dell’amore puro, sacrificato alla ragion di Stato. Il
re Alfonso, impedendo che Ines diventasse regina del Portogallo, ne fece invece una
regina di un regno universale e atemporale, che è quello della gloria letteraria, ossia
della poesia.
La prima lirica su Ines, che ci sia rimasta, è quella di Garcia de Resende del 1516. A
metà dello stesso secolo si ebbe la prima tragedia, su schema classico, di Antonio
Ferreira. Nel 1572, con la pubblicazione de I Lusiadi di Luis de Camões, si hanno nel
poema epico 18 strofe, che sono considerati tra i versi più belli sinora scritti sulla
‘linda Ines’; tanto che due scoli dopo commossero anche Voltaire. Da quel momento,
la produzione letteraria su Ines, in tutta la Penisola Iberica, è stata numerosissima.
Nel secolo di Voltaire, l’8 aprile 1723, a Parigi venne rappresentata la tragedia Ines
de Castro di Antonin Houdard de La Motte. Varcati così i Pirenei, il mito di Ines
conquistò presto tutta l’Europa.
Dieci anni dopo l’opera francese, il nostro Metastasio, alla corte di Vienna, il 4
novembre 1733, per l’onomastico dell’imperatore Carlo VI, fece rappresentare il suo
Demofoonte, musicato da Antonio Caldara, in cui nella prima parte ci sono molte
somiglianze con la Ines di Houdard de La Motte. Numerosissime sono state le
polemiche sul problema del plagio! Comunque sia stato, da quel momento il soggetto
della triste vicenda degli amanti portoghesi passò all’opera in musica.
Nella seconda metà del Settecento e nella prima metà dell’Ottocento, numerose
furono le opere ispirate all’argomento. Il primo balletto, di cui si hanno notizie, col
titolo ‘Don Pedro’, è della stagione 1749/50 al Teatro di Novara, e il primo balletto
col titolo “Ines de Castro”, con il Canziani, si ebbe nel 1775 alla Fenice di Venezia.
Mentre il primo melodramma si ebbe, sempre alla Fenice di Venezia, libretto di
Cosimo Giotti e musica di Giuseppe Giordani. In tutto si hanno una decina i libretti e
circa una cinquantina di musicisti che hanno di compositori che hanno musicato le
opere. Prima di parlare in maniera più dettagliata del melodramma di Persiani,
ricordo che tra i grandi soprani interpreti nell’opera di Nicola Zingarelli, su libretto di
Antonio Gasperini, a Parma vi fu Luigia Calderini. La stessa opera di Persiani, con
libretto di Salvatore Cammarano, proposta già al teatro lirico S. Carlos di Lisbona,
riproposta il 26 dicembre 1841 da Pietro Coppola, forse per problemi di antagonismo,
segnò un grande fiasco e la fine della carriera del Coppola a Lisbona; e ancora, sullo
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stesso libretto di Salvatore Cammarano, ma messo in musica da Giovanni Pacini nel
1851per il San Carlo di Napoli, intervenne il Governo portoghese, per cui il titolo
dell’opera fu cambiato con quello di Malvina di Scozia.
Per quanto riguarda, brevemente, il teatro di recitazione, tra i tragediografi italiani,
tutti minori, si sono distinti Giovanni Greppi e Davide Bertolotti, la cui Ines de
Castro nel 1825, a Milano, riportò più successo de Il Conte di Carmagnola del
Manzoni. Tra le grandi attrici famose di quel secolo, ricordo che Adelaide Ristori
interpretò più volte il ruolo di Ines de Castro, tra l’altro nelle le opere di Laura
Beatrice Oliva Mancini e di Gioacchino Napoleone Pepoli.
Prima di passare ad esaminare in maniera particolareggiata l’opera di Giuseppe
Persiani, ricordo che essa è stata interpretata magnificamente da Maria Dragoni,
motivo per cui questo incontro è stato abbinato al concerto, ove viene proposta
un’aria tra le più difficili del melodramma.
Giuseppe Persiani, nacque a Recanati l’11 settembre 1799, un anno dopo Leopardi, e
si può considerare l’ultimo epigono della scuola belcantistica, prima
dell’affermazione della musica romantica.
Figlio di un violinista, prese anche lezioni dal sopranista Domenico Caporalini, che,
nella ricerca dei melodrammi su Ines, ritroviamo anche a Lisbona. Nel 1819 lasciò il
“selvaggio borgo natio” e si trasferì a Roma, dove lavorò al Teatro Valle, per recarsi
successivamente a Napoli, dove trovò lavoro al Teatro San Carlo e dove compì gli
studi insieme a Bellini.
Nel 1826, su proposta dell’impresario Alessandro Lanari, per il teatro La Pergola di
Firenze, compose l’opera lirica: Piglia il mondo come viene. Ma tre anni dopo, il 20
aprile del ’29, con l’opera Il solitario, alla Scala di Milano, s’impose a livello
nazionale. Lo stesso anno sposò il soprano Fanny, figlia del tenore Nicola
Tacchinardi, che aveva già cantato nella Ines dello Zingarelli.
Ma l’opera che coronò il Persiani fu la Ines de Castro, su libretto di Cammarano,
librettista del S. Carlo di Napoli, soggetto suggerito da Emanuele Bidera, un siciliano
di lingua albanese di Palazzolo Adriano (PA). L’opera andò in scena il 27 gennaio
1835, e fu subito un immenso successo, tanto che dovette intervenire il re per
impedire le varie chiamate dei cantanti sulla ribalta per gli applausi, imponendo una
sola chiamata. Il musicista, temendo qualche boicottaggio per la gelosia di altri
compositori, si dice che abbia impegnato tutti i suoi proventi, pensando dalla claque
alla cura dei vestiti degli attori. Furono scelti i cantanti più bravi del momento, dal
basso Carlo Ottolini Porto, a Louis Duprez, famoso tenore per il do di petto, e a
Maria Malibran, soprano drammatico di agilità, che per la straordinaria flessibilità
della sua voce e l’estensione di tre ottavi, poteva spaziare dai ruoli di contralto a
quelli sopranili (soprano e mezzosoprano), nonché addirittura di tenore.
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Di questa prodigiosa voce, pare che sinora siano state dotate: Giuditta Pasta,
Henriette Méric Lalande, Maria Callas e, ai nostri giorni, Maria Dragoni che abbiamo
stasera con noi. Poiché pare che Persiani abbia composto alcune parti espressamente
per la Malibran, è alquanto difficile interpretare il ruolo di Ines nell’opera del
Persiani.
Dopo il grande successo di Napoli, in pochi anni la Ines de Castro ebbe circa 50
rappresentazioni in Italia e all’estero (Portogallo, Spagna, Francia, Svizzera, Austria,
Inghilterra e Grecia). Per ben tre volte è stata rappresentata al Teatro S. Carlos di
Lisbona (9 dicembre 1838, 8 luglio 1839 e 26 dicembre 1841, come già accennato).
Lo stesso anno del trionfo napoletano, con Carolina Unger nel ruolo di Ines, l’opera è
stata rappresentata al Teatro Carolino di Palermo. Nella stagione lirica 1836/37, al
Teatro La Munizione di Messina, e cinque anni dopo, nella stagione 1841/42, al
Teatro Comunale di Catania. Dalle notizie riportate dal Danzuso, sappiamo che il
ruolo di Ines è stato interpretato dalla Mannelli Duvall, il direttore musicale era
Salvatore Pappalardo, il primo violino Martino Pappalardo, l’impresario Andreani e il
tipografo: Francesco Pastore. Per smentire una volta tanto il “nemo propheta in
patria”, l’opera è stata portata anche nella città natale di Persiani, il 7 gennaio 1840, e
già, due anni prima, nel 1838, al teatro di Jesi, dove il 24 e il 26 settembre 1999, per
ricordare il bicentenario della nascita del Persiani, è stato riproposto a cura di Paola
Ciarlantini con l’interpretazione di Maria Dragoni.
Ma prima di spendere le dovute parole su Maria Dragoni e Roberto Cresca, vorrei
ritornare un po’ indietro e accennare che a partire dal 1723 la tragedia di Ines ha
subito molte modifiche, allontanandosi talvolta dalla realtà storica. Per primo,
Houdard de La Motte introdusse un finale diverso da quello sino ad allora proposto
dagli autori iberici, facendo morire la protagonista col veleno. Essendo egli anche un
librettista di melodrammi, questo espediente ha permesso che la protagonista morisse
sulla scena “coram populo”, parlando o cantando sino alla fine. Finale, questo,
sfruttato soprattutto nel melodramma, così Ines poteva cantare sino all’ultimo respiro,
come sentiremo nel brano proposto stasera: “quelle lagrime scorrenti”. Nel 1795, alla
Fenice di Venezia, Luigi de Santis conclude l’opera col perdono del re “per non
rattristare il cuore degli spettatori”. Così anche il Metastasio aveva concluso il
Demofoonte, in omaggio alla magnanimità dell’imperatore, in onore del quale era
stata preparata e rappresentato il melodramma.
Numerosi sono stati anche i pasticci soprattutto musicali.
Se in Italia, distratti da altre cose, nel ‘900 non c’è stata alcuna opera che si sia
ispirata alla vicenda di Ines, in Francia per esempio, nel 1942 è stato rappresentato il
dramma La Reine Morte di Henry de Montherland, ispirato ad Ines, e nel 1996, al
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festival di Edimburgo ha trionfato la Ines de Castro del librettista John Clifford con
la musica di James Mac Millian e l’interpretazione di Helen Field.
Ma che dire adesso di Maria Dragoni? C’è una vasta letteratura su di lei e non
basterebbe tutta la serata per ricordarla. Lei è una dei pochi soprani drammatici di
agilità, cui abbiamo fatto cenno parlando della Malibran, degna emula di Maria
Callas, ed ha uno stile misurato ed aulico. Ha iniziato giovanissima al conservatorio
di Frosinone sottola la guida di Maria Alòs, seguì il perfezionamento con Melina
Pignatelli, Raffaele Passero, Rachele Mori Maragliano, Rodolfo Coletti e Gina Cigna.
Nel 1977 entrò a far parte del coro della RAI e nel 1981, a Caltanissetta è vincitrice
del Premio Speciale ‘Maria Callas’, e successivamente l’11/11/1983, in eurovisione
vince il concorso ‘Maria Callas’, avendo presentato brani del Pirata e della Norma di
Bellini. A questo punto il successo è aperto e il nostro soprano viene invitato dei
maggiori teatri lirici del mondo, dall’America al Giappone. Tra le opere interpretate
si ricordano: Il Pirata, la Norma e La Sonnambula di Bellini; Nabucco, Aida,
Turandot, Il Trovatore, Guglielmo Tell, Don Giovanni, Don Carlos, La Bohème,
Tosca, Il Corsaro, Ernani, La Gioconda, La Cavalleria Rusticana di Pietro
Mascagni, La Trabaccara di Antonio Pappalardo, Che fine ha fatto la piccola Irene?,
opera tratta da un romanzo di Andrea Camilleri, e soprattutto la difficile Ines de
Castro del Persiani.
Ha lavorato con i direttori d’orchestra: Maazel, Zubin Metha, Giuliani e soprattutto
con Muti. E con i registi: Liliana Cavani, Pizzi, Pascucci, Fabbri, Bolognini, Ferretti,
Reggiani e Stinchelli.
Il giovanissimo tenore, Roberto Cresca, ha studiato con Angelo Degl’Innocenti,
Elizabeth Norberg-Schulz, Giuseppe Sabbatini e Maria Dragoni. Ha iniziato i suoi
studi al Conservatorio Santa Cecilia di Roma e al Teatro Marrucini di Chieti. È stato
vincitore della borsa di studio, E. de Curtis, e del Premio Concorso Comunità
Europea di Spoleto. Ha interpretato opere di Paisiello, Puccini, Rossini, Donizetti,
Verdi, ed altri.
Riposto 4 gennaio 2014
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