Nome file
000304TU_VV1.pdf
data
04/03/2000
Contesto
SPP/TU
Relatore
AA VV
Liv. revisione
Trascrizione
Lemmi
STUDIUM SCUOLA PRATICA DI PSICOPATOLOGIA 1999-2000
CORSO SCUOLA TUTOR
IL TUTOR DELLA SALUTE
4 MARZO 2000
3° LEZIONE
PUNTI DELL’ORDINAMENTO GIURIDICO INTERPELLATI DALLA
PROFESSIONE DEL TUTOR
DIBATTITO
SANDRO ALEMANI
La parola accreditato così ha un senso sulla base nazionale fino adesso, mentre in Lombardia ha un
altro significato. In realtà si può benissimo affidare a una struttura in Lombardia non accreditata senza
nessuna denuncia penale.
DOTT. CARLO BALLERIO
Hai ragione: in Lombardia c’è la distinzione fra autorizzato e accreditato. Autorizzato vuol dire in
possesso dei requisiti minimi, accreditato vuol dire che gli oneri sono a carico della struttura pubblica. In
Lombardia l’accreditamento ha superato la vecchia forma del convenzionamento. Vuol dire che oltre ad
avere i requisiti, può essere accolto chi copre le spese. Con la notazione però che nelle strutture accreditate di
tipo socio-assistenziale, non paga la Regione, non paga il Servizio Sanitario Nazionale, ma paga il comune
che può rivalersi sulla famiglia in proporzione al reddito. Sempre perché gli interventi a pura valenza sociale
non possono essere posti a carico del servizio sanitario.
Il minore che viene allontanato dalla famiglia e inserito in una comunità alloggio, la comunità
alloggio deve essere autorizzata e accreditata: paga il comune che si può rivalere e si rivale sulla famiglia in
proporzione al reddito della famiglia. Questo è il meccanismo concreto.
Se invece il minore viene inserito in una unità di cura, comunque denominata, l’onere è coperto dal
servizio sanitario nazionale.
Quando si innescano questi meccanismi, qualche problema viene fuori, almeno su due versanti.
Primo: quanto chiede il comune non è fissato da nessuna parte ma sceglie comune per comune e caso
per caso, perché la richiesta è legata alle condizioni di bilancio del comune. A volte ci sono richieste molto
alte.
Secondo, quando il comune esercita la rivalsa, si apre un contenzioso con la famiglia: il contenzioso
diventa «me l’avete inserito voi, perché devo pagare io?». Ma è parte di una questione più grossa per cui
tutto deve essere gratis. In questo caso ad innescare il meccanismo del contenzioso è il fatto che un altro
decide normalmente l’inserimento.
Mi rendo conto che sto dando forse qualche riferimento e poche certezze, ma questa è la realtà in cui
si opera.
RAFFAELLA COLOMBO
Un Tutor trova indicato un inserimento parziale in un CSE per un giovane: 5 ore alla settimana.
Deve appurare presso la direzione del CSE che questo sia accreditato?
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DOTT. CARLO BALLERIO
No. L’inserimento in una struttura non è può essere fatto di norma direttamente dal Tutor, ma deve
essere fatta, su proposta del Tutor come delegato dalla famiglia, attraverso l’ASL di riferimento, perché
senza questo passaggio è sicuro che gli oneri sono integralmente a carico della famiglia. Non è che non sia
possibile, ma si pongono due problemi: 1°) a volte il centro di riferimento ha messo tutti i suoi posti a
disposizione dell’ASL per una convenienza economica, e quindi su una richiesta individuale può darsi che
dica che non c’è posto; 2°) se anche ci fosse posto, se la richiesta non transita attraverso l’ASL di riferimento
o attraverso il comune che poi passa attraverso l’ASL, è sicuro che gli oneri sono totalmente a carico della
famiglia. Non scatta neanche il meccanismo dell’intervento parziale da parte del comune o dell’intervento
comunque poi con rivalsa in percentuale variabile.
SANDRO ALEMANI
Il meccanismo di questo passaggio è il medico di famiglia…?
DOTT. CARLO BALLERIO
No, è proprio il servizio dell’ASL e quindi è il servizio sociale dell’ASL. In Lombardia è l’ASSI.
Il Tutor o invia la famiglia o accompagna la famiglia all’ASSI a chiedere l’inserimento in… Questo
non vuol dire che il Tutor non possa prendere contatti prima con la struttura, formulare un piano di lavoro.
Questo va tutto bene. Il passaggio formale è comunque attraverso l’ASL o attraverso il servizio sociale
comunale che attiva l’ASL.
SANDRO ALEMANI
Ma nel caso di una struttura psichiatrica vige la libertà di ogni cittadino di presentarsi alla struttura
stessa e fare domanda di ammissione.
DOTT. CARLO BALLERIO
Perché la psichiatria, come la tossicodipendenza, è considerata a priori prestazione sanitaria e quindi
nel momento in cui uno viene accettato in un servizio psichiatrico, in tutte le sue articolazioni, anche
comunità alloggio, è come se si presentasse in un ospedale. È prestazione sanitaria e prestazione a valenza
socio-assistenziale.
Sempre in relazione a quello che diceva già Giuseppe Micale prima, il riferimento è
obbligatoriamente l’ASL per tutto ciò che è compreso nell’area consultoriale. Ogni volta che prima si è
detto, per interruzione di gravidanza o altro, si passa attraverso il consultorio, il consultorio è struttura ASL e
anche là dove ci sono consultori privati accreditati il riferimento è comunque l’ASL.
Passiamo velocemente alla questione lavoro.
Quali sono le possibilità e le modalità per l’accesso al lavoro. Vale in generale, ma qui il taglio del
discorso è una persona affidata a un Tutor che deve lavorare.
Vi leggo velocemente tre norme.
L’art. 2060 del codice civile che attua l’art. 35 della costituzione:
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Il lavoro è tutelato in tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali, tecniche e manuali.
L’art. 2061:
L’ordinamento delle categorie professionali è stabilito dalle leggi, dai regolamenti, dai provvedimenti
dell’autorità governativa.
L’art. 2062:
L’esercizio professionale delle attività economiche è disciplinato dalle leggi e dai regolamenti.
Questo vuol dire che nell’ordinamento italiano non esiste forma di lavoro che non sia soggetto a
normativa; più o meno stringenti, più o meno elastiche, ma qualunque forma di lavoro è soggetta a norme.
Su questo bisogna assolutamente evitare situazioni di dilettantismo. Vedremo che le possibilità sono
molte, ma bisogna seguire determinati percorsi.
Abbiamo visto prima che il Tutor pur essendo una professione non prevista risponde comunque a
delle norme, per esempio instaura un rapporto di tipo professionale con tutto quello che ne discende.
Quali sono le forme di lavoro?
Quella classica, nota a tutti, è la forma del lavoro dipendente. Lavoro dipendente che in realtà ha una
serie di connotazioni ulteriori. È un lavoro dipendente a tempo indeterminato e di norma ogni rapporto
dipendente si intende a tempo indeterminato se non è precisato un termine. Oppure se il termine viene
precisato e viene superato senza che nessuno sollevi il problema; in questo caso un lavoro a tempo
determinato si trasforma il lavoro a tempo indeterminato.
Esiste un lavoro dipendente a tempo determinato, per un periodo di tempo prefissato.
Esiste un rapporto di lavoro a tempo parziale, che può essere sia a tempo indeterminato che a tempo
determinato.
La modalità ordinaria di accesso al lavoro dipendente per realtà superiori ai 15 dipendenti è
obbligatoriamente il passaggio attraverso l’ufficio del lavoro e della massima occupazione, le liste di
collocamento. Esistono ipotesi di chiamata nominativa, ossia che derogano al principio della lista, ma questo
è possibile solo per attività a contenuto professionale di un qualche rilievo, e sempre su persone comunque
iscritte nelle liste di collocamento.
Sapete bene il dibattito che c’è in corso sul superamento del collocamento obbligatorio, però allo
stato attuale là dove l’assunzione deve avvenire in un contesto superiore ai 15 dipendenti, il passaggio
obbligatorio è attraverso il collocamento.
Esiste un “privilegio” per gli invalidi, il collocamento obbligatorio, che però di fatto non ha prodotto
risultati di una qualche utilità. Ha avuto riscontri più positivi per gli invalidi fisici, ha avuto riscontri
totalmente negativi per condizioni di invalidità che abbiamo comunque una connotazione psichica, anche se
minima.
In particolare le invalidità fisiche sono state rivalutate, nel senso di avere maggiori sbocchi, con lo
sviluppo della tecnologia, dove è meno richiesto il movimento piuttosto che altre funzioni.
Oltre al lavoro dipendente classico esiste il lavoro temporaneo, o come si dice, il lavoro interinale. È
una soluzione nuova che scaturisce da una legge del 1997, la Legge 196.
Il lavoro interinale può essere fornito solo da società abilitate a farlo. Ce ne sono molte oramai. Uno
si iscrive presso una di queste società che sono rigorosamente disciplinate dalla legge, dando il suo
curriculum. Questa società fornisce lavoro temporaneo ad altre aziende che ne hanno bisogno. Nel periodo in
cui la persona lavora presso una terza azienda è a tutti gli effetti retribuito; ha i contributi sociali, i contributi
previdenziali esattamente come un lavoratore dipendente.
Il lavoro temporaneo, o lavoro interinale, che a differenza del collocamento obbligatorio, sta avendo
un grosso successo, non può essere usato in maniera indiscriminata. Si può ricorrere al lavoro temporaneo
solo quando in una realtà aziendale serve una figura professionale non prevista: mi serve un’impiegata che
conosca l’inglese. Oppure si può ricorrere al lavoro interinale per coprire punte di lavoro. Oppure si può
ricorrere al lavoro interinale per sostituire personale assente, purché non per sciopero. Non si può utilizzare
il lavoro interinale per lavori a contenuto professionale quasi nullo. Non si può utilizzare il lavoro interinale
per attività di facchinaggio.
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Per queste attività a contenuto professionale molto basso, lo strumento ancora più utile dal punto di
vista del risultato, cioè del lavoro, normalmente rimane quello delle cooperative di lavoro, delle cooperative
di servizi.
Insisto molto sul lavoro temporaneo, perché intanto è strutturato come lavoro a termine e quindi può
essere estremamente utile per una persona affidata a un Tutor provare a lavorare per un periodo limitato.
Costituisce referenza, perché di solito le aziende che ricorrono al lavoro interinale sono aziende di una certa
consistenza. Quindi a poco a poco uno si costituisce un curriculum che non è più solo di studi ma è anche un
curriculum di attività documentata. È chiaro che il ricorso al lavoro interinale è più facile a capodanno che
non a ottobre, o è più facile ad agosto quando gli altri vanno in ferie. Questo però è anche uno strumento di
misura della effettiva necessità di lavoro che uno ha.
Per evitare che si riproponessero fenomeni di intermediazione di manodopera fuori da ogni regola e
da ogni legge, cioè l’evoluzione moderna del vecchio caporalato, la normativa sul lavoro temporaneo è
molto rigida, nel senso che una società per diventare fornitrice di lavoro temporaneo deve dare una serie di
garanzie, deve avere una certa dimensione, è soggetta a controlli, etc. È responsabilità di questa società fare
in modo che il lavoratore, mandato presso un terzo in un certo periodo di tempo, sia regolarmente retribuito,
sia in ambiente a norma con la 626 per la sicurezza del lavoro, etc.
Non può fornire lavoro a cooperative: fornisce lavoro ad aziende. Le cooperative hanno un giro
totalmente diverso, nelle due connotazioni di lavoro e di servizio e consentono di utilizzare anche personale
a qualificazione pressoché nulla, mentre con il lavoro temporaneo non è possibile.
PIETRO R. CAVALLERI
L’iscrizioni alle società di lavoro interinale sono iscrizioni onerose per il soggetto?
DOTT. CARLO BALLERIO
No, sono a titolo gratuito, perché queste società sono società di capitali, ci guadagnano. Su che cosa
guadagnano? Sul fatto che il lavoratore temporaneo prende il suo trattamento contrattuale e quant’altro, ma
l’azienda paga un ricarico per il servizio e quindi la società fornitrice guadagna e ha tutto l’interesse primo a
trovare posti di lavoro e a far sì che uno ci rimanga il più a lungo possibile. Perché il suo guadagno deriva da
questi elementi. Mentre l’ufficio provinciale del lavoro non ha la minima motivazione a collocare chiunque,
il meccanismo delle SpA fornitrici di lavoro temporaneo è molto più stringente da questo punto di vista. La
legge stabilisce qual è il ricarico massimo, normalmente non va oltre il 30% per figure qualificate, ossia
difficili da trovare.
MARIA DELIA CONTRI
Questo è una cosa di cui sono venuta a conoscenza casualmente attraverso un mio paziente. Lui mi
parlava di cooperative che facevano questo servizio. Dapprima gli hanno dato lavoro una settimana, poi
quindici giorni, poi un mese, poi quattro mesi. E prima aveva dovuto fare un colloquio per essere preso.
Mi aveva dato l’idea che questa società operasse lei stessa una selezione e valutasse le capacità e le
conoscenze.
DOTT. CARLO BALLERIO
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Ma sono due fattispecie completamente diverse. La società fornitrice di lavoro temporaneo fornisce
un prestatore d’opera. È chiaro che lo verifica prima, perché ci guadagna sul fatto che questo venga accettato
e mantenuto al lavoro.
La cooperativa fa questo per suo interesse interno, ma ha un campo d’azione diverso. Per esempio le
cooperative di servizi non possono operare con mezzi di terzi. Se io ho un’azienda che ha bisogno di far
caricare dati, il classico lavoro di imput dati a computer che è uno dei lavori più terziarizzati che ci siano sul
mercato, posso prendere personale con il lavoro temporaneo e questo può lavorare nella mia sede sui miei
computer. Se mi rivolgo a una cooperativa devo dargli i dati da caricare e la cooperativa se li deve caricare
nella sua sede e sui suoi computer. Questa è la differenza. Perché una è una cooperativa di lavoro o di
servizio, l’altro esercita in forma legale una intermediazione di manodopera. A nessuno è consentito di
esercitare intermediazione di manodopera se non nei casi previsti.
E deve essere una società di capitali, perché deve avere un capitale con cui rispondere.
Molte cooperative hanno aperto società di intermediazione, ma costituendo società di capitali, anche
perché c’è l’obbligo, per esempio, di essere aperti in un numero minimo di regioni, bisogna proprio
documentare una capacità economica e tecnica. Altrimenti uno sul mercato non è nessuno e non colloca
nessuno. È interessante comunque il meccanismo che si è creato: ho interesse a collocare perché io campo di
quello.
MARIA DELIA CONTRI
I Tutor farebbero bene nel costituire la propria agenda a reperire questi indirizzi.
DOTT. CARLO BALLERIO
Si possono dare e ormai in ogni città ce ne sono parecchi. Quando meno in ogni capoluogo di
provincia qualcuna di queste società è presente e hanno tutte un alto livello di affidabilità.
Se non hanno un minimo di contenuto professionale è meglio non rivolgersi a queste aziende. È
meglio percorrere altre strade. Una è quella delle cooperative di lavoro e di servizio; un altro, dove è
possibile, con forme di lavoro autonomo.
Prima Giuseppe Micale ha parlato della prestazione d’opera intellettuale, ma esiste anche un
contratto d’opera: ti pago per fare qualcosa di concreto. La definizione del contratto d’opera è quando una
persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente
proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Questa attività d’opera può essere
sperimentata anche con formule che non siano immediatamente onerose. Non è necessario che per eseguire
un’opera o un servizio uno si iscriva immediatamente all’albo delle imprese artigiane piuttosto che ad altro.
Si può anche partire in forma di ditta individuale o ancora prima si può provare con singole prestazioni come
prestazioni occasionali non soggette a IVA. Vuol dire provare gradualmente se c’è spazio, se la persona
riesce a fare, e poi se continua, il passo successivo può essere quello della ditta individuale e poi
eventualmente ancora l’iscrizione all’elenco delle imprese artigiane o commerciali.
L’altra possibilità, nota a tutti anche se regolata da disciplina, è il lavoro domestico. È una possibilità
di lavoro.
Un’ulteriore possibilità è quella del lavoro a domicilio, che non è il lavoro domestico, ma è quello
per cui un lavoratore, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio domicilio o in locali di cui abbia
comunque disponibilità, anche con l’aiuto di familiari, un lavoro retribuito per conto di uno o più
imprenditori. Sono i cosiddetti terzisti, che però ricevono normalmente sia la materia prima che le
attrezzatture dal committente, fanno quello e non possono fare altro; possono farsi aiutare legittimamente da
familiari e non da dipendenti, e lo fanno in locali propri o di cui hanno la disponibilità.
Nella difficoltà generale di trovare lavoro, esistono però pluralità di forme che a volte non sono tutte
sperimentate o verificate, perché normalmente si punta sempre e solo al lavoro dipendente e si pensa alla
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cooperativa sociale o alla cooperativa di lavoro solo se uno è un poverino, senza capire che invece sono
possibilità di lavoro vere.
Per ciascuna di queste forme di lavoro troverete riferimenti normativi. Altre forme di lavoro non
esistono di fatto. Non inventatevi strane forme di lavoro; a parte che pongono sempre la persona in una
posizione estremamente disagevole, perché chiunque lavori al di fuori di una delle forme codificate, è
soggetto a qualunque angheria e non ha il minimo di tutela. Secondo perché può portare a una serie di
sanzioni e di penalizzazioni.
Non sono accessibili da parte del singolo Tutor forme di lavoro connesse strettamente a percorsi
terapeutici. Esistono istituti tipo Borse Lavoro, tirocini tecnico-pratici, etc; hanno molte denominazioni che
spesso cambiano a seconda delle regioni o delle ASL o delle situazioni. Sono forme di lavoro che non sono
mirate direttamente a una produzione e quindi a creare un reddito per la persona, ma sono parte di un
percorso terapeutico che qualcuno ha deciso.
Queste forme di lavoro sono accessibili solo attraverso canali istituzionali, non attraverso canali
individuali. Cioè l’ASSI nelle sue diverse articolazioni o il servizio di psichiatria o il servizio per le
tossicodipendenze. Ma sempre e solo attraverso canali istituzionali, che per esempio provvedono anche alle
forme assicurative di tutela etc.
Notate che la normativa sul lavoro, che conosce poi tutta una serie di specificità — per fare alcuni
lavori occorre il libretto sanitario; per fare alcune attività occorre un accertamento medico di idoneità
specifica, etc. — che si applica indipendentemente dall’entità, dalle dimensioni del datore di lavoro. Non
potete imboscare uno nel negozio amico. Questo in realtà è possibile per esempio a Centri Socio-educativi
perché codificano con l’assenso dell’ASL una serie di percorsi. Non sono strumenti utilizzabili dal singolo.
PIETRO R. CAVALLERI
È possibile avere un riferimento bibliografico per quanto riguarda le normative?
DOTT. CARLO BALLERIO
Le daremo poi tutte per iscritto, con l’avvertenza che le leggi regionali sono tutte diverse una
dall’altra.
Esistono le scuole di formazione professionali, in genere gestite da soggetti privati convenzionati o
dalle regioni. La Regione Lombardia ha scuole proprie e sono per la formazione professionale pratica.
Esistono altre organizzazioni dipo l’ENAIP che organizzano corsi di questo tipo.
VANTAGGI.
Formano direttamente al lavoro e quindi vanno su mercati che sono abbandonati normalmente dai
giovani che tendono a proseguire gli studi con scuole medie superiori o università.
SVANTAGGI.
È un problema soprattutto delle scuole regionali: stanno diventando troppo un concentramento di
persone con problemi. Questo non vuol dire che non si debbano utilizzare questi strumenti, ma vuol dire che
in determinate situazioni dire alla famiglia che si manda il figlio in una scuola del genere è come dire alla
famiglia «Tuo figlio è scemo», tanto per essere chiari. Quindi, va giocato molto situazione per situazione.
Il vantaggio è che danno una professionalità pratica in tempi brevi.
SANDRO ALEMANI
Volevo proporti un brevissimo inserimento sul tema dell’incompatibilità professionale, le norme
previste circa le incompatibilità.
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DOTT. CARLO BALLERIO
Salvo riprendere questo discorso se sarà il caso quando si parlerà del Tutor come professionista, c’è
una prima notazione: chiunque sia dipendente pubblico se svolge lavoro retribuito e non ha chiesto parttime, può perdere il posto pubblico. Poi ognuno è maggiorenne e vaccinato e fa quello che crede, ma la
regola generale per tutto il pubblico impiego in Italia, indipendentemente dal tipo di pubblico impiego, che
sia la scuola, che sia la sanità, che sia l’ente locale, è normativa generale che il pubblico dipendente può
esercitare un’altra attività retribuita solo se ha chiesto il passaggio a part-time e solo se l’attività retribuita
non è in diretta concorrenza con l’attività dell’ente per cui lavora.
La sanzione è la destituzione.
MARIA DELIA CONTRI
O la perdita della pensione o di parte della pensione se è pensionato.
DOTT. CARLO BALLERIO
Per il pensionato è un problema previdenziale e fiscale. Finché uno mantiene il rapporto di lavoro c’è
invece proprio la questione del mantenere o meno il rapporto di lavoro se non fa determinati passaggi.
Per chi ha un rapporto di tipo privatistico, dipende dal contratto di lavoro che uno ha, che può
prevedere un rapporto di esclusiva e quindi occorre l’assenso dell’altra parte che ha sottoscritto il contratto
per svolgere un’attività retribuita qualunque essa sia, e in ogni caso c’è il divieto di attività concorrenziale, o
può non avere una clausola di questo tipo e allora al di fuori dell’orario di lavoro uno fa quello che crede,
salvo poi regolare i suoi problemi fiscali.
Altre cose che rimangono da trattare sono: uno è quello che ho solo accennato come raccordo a
quello che diceva Micale per quanto riguarda il contratto e la normativa sulla privacy e gli aspetti
assicurativi.
La struttura sistematica delle ASL, non solo per gli aspetti che immediatamente riguardano il Tutor.
Tutta la parte relativa al lavoro, declinata in maniera organica, con in più qualche nota molto
semplice sul passaggio all’impresa artigiana o alla piccola attività commerciale come ulteriore possibilità.
E quello che chiedeva ora Sandro Alemani.
© Studium Cartello – 2007
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04/03/2000 - TU3 - trascrizione