L ’impegno di Pace
all’inizio dell’anno nuovo
O
gni anno, l’1 gennaio, da
quarant’anni, si celebra la
giornata mondiale della pace istituita da papa Paolo VI. Anche se ci stiamo abituando alla
ricorrenza e non prestiamo molta
attenzione, la pace per il cristiano non è uno
degli aspetti da
ricercare nella
vita, ma è uno
degli impegni
più importanti:
pace annunciata dal cielo
fin dalla nascita del Salvatore, da realizzare come dono
per eccellenza
di Dio agli uomini “gloria a
Dio e pace agli
uomini che Lui
ama”.
Dio ha tanto
amato l’umanità da mandare suo Figlio non per
condannare gli uomini, ma per donare la sua pace, quella pace conquistata dalla croce di Gesù Cristo. La sera stessa della risurrezione, Gesù appare ai discepoli e
dice “pace a voi”: la pace è la
paternità di Dio riversata sugli uomini in seguito alla morte e risurrezione di Gesù, quindi ogni uomo può e deve chiamare Dio “padre”.
La pace non può essere solo sfor-
2
zo politico degli uomini che tendono a imporre la pace del più forte, del vincitore, la pace politica
e umana a volte può diventare perfino vendetta; la pace deve essere
prima di tutto consapevolezza della uguale dignità dell’uomo, amore incondizionato alla giustizia, e sforzo per
realizzarla da
parte di tutte le
persone coinvolte in divisioni, contrasti e
conflitti.
La possibilità di
condurre la vita nel segno
della pace dipende da quale
considerazione
abbiamo della
persona. Se la
persona è un
oggetto di cui ci
si serve per i
propri scopi, allora è ovvio che
quando non serve più la si butta
e se si ribella, la si schiaccia. Siamo nella logica del più forte, della prepotenza, che avrà come conseguenza la ribellione e la vendetta
in una spirale senza fine di violenza.
Papa Benedetto XVI il primo gennaio ha parlato agli uomini di buona volontà affermando: «Come non
volgere lo sguardo ancora una volta alla drammatica situazione che
caratterizza proprio quella Terra dove nacque Gesù? Come non implorare con insistente preghiera che
anche in quella regione giunga
quanto prima il giorno della pace, il giorno in cui si risolva definitivamente il conflitto in atto che
dura ormai da troppo tempo? Un
accordo di pace, per essere durevole, deve poggiare sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni persona»;
«L’auspicio che formulo dinanzi
ai rappresentanti delle Nazioni qui
presenti è che la Comunità internazionale congiunga i propri sforzi, perché in nome di Dio si costruisca un mondo in cui gli essenziali diritti dell’uomo siano da
tutti rispettati. Perché ciò avvenga
è però necessario che il fondamento
di tali diritti sia riconosciuto non
in semplici pattuizioni umane, ma
“nella natura stessa dell’uomo” e
nella sua inalienabile dignità di persona creata da Dio»;
«Se infatti gli elementi costitutivi
della dignità umana vengono affidati alle mutevoli opinioni umane,
anche i suoi diritti, pur solennemente proclamati, finiscono per diventare deboli e variamente interpretabili. È importante, pertanto,
che gli Organismi internazionali
non perdano di vista il fondamento
naturale dei diritti dell’uomo. Ciò
li sottrarrà al rischio, purtroppo sempre latente, di scivolare verso una
loro interpretazione solo positivistica».
«La pace è così veramente il dono e l’impegno del Natale: il dono, che va accolto con umile docilità e costantemente invocato con
orante fiducia; l’impegno, che fa
di ogni persona di buona volontà
un “canale di pace”».
p.fr.
3
Viaggio
a Nairobi
P
artito da Venezia alle ore 5.30 di
giovedì 30 novembre, con scalo ad
Amsterdam, sono giunto a Nairobi in
Kenia alle ore 20.45 dello stesso giorno.
Sembra un viaggio di tante ore, in realtà,
se togliamo le oltre tre ore di sosta ad Amsterdam e le due ore di fuso orario, il viaggio dura poco più di nove ore.
Ero veramente curioso e impaziente di
rivedere l’Africa: dall’unica volta che avevo messo piede nel continente africano
sono trascorsi oltre vent’anni e nel cuore
mi è rimasto un filo di desiderio e una
tenue nostalgia per una terra che ha sempre creato in me un fascino tutto particolare.
Il fascino della terra africana non mi viene dalla sua quantità di animali, che conosco perché sono un appassionato di documentari sulla natura, piuttosto dalle persone, dal modo di vivere e di rapportarsi della gente; mi ricordo durante l’altro
viaggio le visite ai villaggi, mangiare nelle capanne, l’entrare nelle case della gente e condividere quello che avevano, in
cambio di qualche caramella per i bambini e di qualche vestito portato in dono.
Devo precisare che lo scopo del mio viag-
gio non era quello di andare a visitare luoghi e ad incontrare persone, ma solo essere presente all’inaugurazione della nuova casa per gli studenti dei Servi di Maria dell’Uganda e del Congo e, nel prossimo futuro, si spera anche del Camerun
e del Togo: assieme ai frati convenuti
dall’Uganda e dal Transvaal, l’8 dicembre,
festa della Madonna Immacolata, presieduta dal Vescovo di Nairobi, c’è stata
la benedizione della casa e della cappella
e la Messa solenne di inizio della casa
di formazione per studenti.
La casa è dedicata a “Santa Maria madre
della Speranza” e anche il titolo della
casa mi è sembrato indicativo: Madre della Speranza per un popolo che si vede
sempre in cammino.
Fin del mio arrivo, sono stato colpito dalla gente che cammina lungo le strade, tanto che accanto alla strada asfaltata, con
enormi buche provocate dalla pioggia, esiste un percorso pedonale tra l’erba, scavato come da un torrente dal cammino
della gente.
Più volte ho pensato al momento in cui
questa gente sempre in movimento si fermerà, o potrà spostarsi con un mezzo pro-
La casa “Santa Maria madre della Speranza” di Nairobi
4
prio, o avrà la possibilità di prendere i
mezzi pubblici, anche se alle mie ovvie
riflessioni, se ne sono aggiunte delle altre alle quali non so dare risposta.
Guardando la gente ho pensato che l’Africa fosse un popolo giovane perché non
si vedono anziani e le abitazioni dei poveri sono ai margini della città, nascoste,
come l’enorme aglomerato di baracche di
oltre ottocentomila abitanti che s’intravede andando all’aeroporto, e dove è
pericoloso fermarsi anche di giorno, con
il rischio di essere derubati di tutto, anche dell’auto, se non capita di peggio.
Nairobi, se non ci fosse il colore della gente, ha tutta l’apparenza di una città europea con i grattacieli, i supermercati, i
centri commerciali, le auto che ingolfano il traffico e riempiono i parcheggi e
con un tasso di inquinamento enorme;
con una enorme cattedrale cattolica, spoglia e fredda, e una infinità di chiese cristiane e di luoghi di culto di altre religioni.
Nei negozi, soprattutto di moda, è normale vedere una grande scritta “moda italiana”, accanto a vetrine traboccanti di
computer e di telefonini, e di ogni marchingegno che tanto attraggono anche i
nostri ragazzi e non solo i ragazzi. In
città non manca nulla di quanto oggi
può essere superfluo.
È tutto questo che rende evoluto un popolo? E la gente che cammina accanto
alle strade delle auto, sono gente “mo-
derna”, con il
computer e il telefonino? Mi viene un brivido al
pensiero
che,
quando i poveri, ai
quali suggeriamo
di avere pazienza,
perderanno la pazienza, la loro collera sarà tremenda, non tanto per
la mancanza di
quei beni con i
quali li rendiamo
dipendenti, o forse schiavi, ma per
le menzogne del
nostro vivere con
le quali noi occidentali li abbiamo imbrogliati, sottomessi
e illusi che siano l’essenza della vita.
Un momento di gioia spirituale, che mi
ha fatto sentire la vitalità africana come
dono di Dio, l’ho vissuto durante la celebrazione della Messa: i canti del gruppo di giovani e adulti, il grido acutissimo delle donne, il battere delle mani e
il movimento del corpo, sono stati un’esaltazione della danza della vita davanti
al Signore e alla Vergine Maria: la partecipazione di tutti, vescovo compreso, al
canto in lingua “swahili”, è stato il momento veramente africano del mio viaggio.
p. Francesco
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UGANDA
Speranza
di pace
C
on il miglioramento delle condizioni di sicurezza in nord
Uganda, almeno 230.000 sfollati interni hanno fatto ritorno nel
2006 ai propri villaggi, dopo anni
trascorsi nei giganteschi campi-profughi per sfuggire alle violenze dei
ribelli dell’Esercito di resistenza
del Signore (Lord’s resistance
army, Lra). Lo sostiene il Programma alimentare mondiale (Pam/Wfp) in un comunicato diffuso oggi
dalla capitale Kampala.
Malgrado le accuse reciproche di continue
violazioni della tregua
da parte di ribelli ed
esercito governativo, le
condizioni di sicurezza
“hanno spinto centinaia di migliaia di persone - si legge nella
nota del Pam - ad abbandonare volontariamente i campi di accoglienza”, dove le condizioni igieniche e sanitarie sono sempre state
pessime.
Per vent’anni nei distretti settentrionali del paese - in particolare
quelli di Gulu, Lira e Pader - sono
stati attivi i ribelli dello Lra, che da
mesi partecipano al negoziato con
il governo nella città di Juba in Sud
Sudan; per fuggire alle loro violenze, l’Onu calcola che oltre 1,4 milioni di persone abbiano abbandonato case e villaggi.
“Molte famiglie di sfollati - ha commentato il vicedirettore del Pam
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per l’Uganda, Alix Loriston - sono
rimaste nei campi profughi per anni e alcuni
bambini non
hanno mai sperimentato una vita
normale.
È un vedere che
questa gente si sente
sicura abbastanza da
poter tornare a casa”.
Dopo la tregua sottoscritta alla fine di agosto scorso, nei prossimi giorni ribelli e governo dovrebbero proseguire il negoziato con
l’obiettivo di raggiungere
una soluzione definitiva al
lungo conflitto.
MISNA
LIBIA
Musulmani e
cristiani hanno
pregato insieme
L
a Radio Vaticana ha reso noto
ieri che il 29 dicembre scorso,
a Tripoli, più di 500 persone
hanno preso parte alla serata organizzata dal colonnello Muhamar
Gheddafi per la vigilia della festa
musulmana del sacrificio, (o del “legamento” di Ismaele) conosciuta come Eid ul-Adha.
La festa commemora le prove superate da Abramo e dalla sua famiglia nel luogo in cui sarebbe sorta poi la Mecca e anche per questo
i musulmani,
almeno una
volta nella vita,
vi si recano in
pellegrinaggio.
Un pellegrinaggio
durante il quale vengono compiuti alcuni
riti che simbolizzano i
concetti essenziali della fede islamica. Alla serata sono state invitate anche le
comunità cristiane con i loro pastori e il
vescovo cattolico, monsignor Giovanni
Martinelli, che
ha ringraziato il
colonnello Gheddafi per aver concesso ai cristiani che vivono in Libia di poter liberamente praticare il
loro credo. Il colonnello Gheddafi
ha detto che il messaggio della fede musulmana e della fede cristiana deve impegnare le due comunità a un vero dialogo che aiuti la
società di oggi a ritrovare il senso
di Dio ed un orientamento per il
rispetto dei diritti dell’uomo. “Ci è
sembrato che il colonnello Gheddafi abbia voluto offrire alle comunità cristisiana e musulmana di
Tripoli la possibilità di vivere un’esperienza di amicizia e convivialità
nel contesto delle celebrazioni del
Sacrificio e del Natale - ha detto
monsignor Martinelli - mettendo
in evidenza la ricchezza del messaggio delle due fedi e la necessità del rispetto vicendevole”.
Gheddafi ha detto che “l’uomo di
oggi non sa vedere Dio, non sa fare posto a Lui nella sua vita perché è ripieno di materialismo ed
egoismo che non consentono di contemplare il volto di Dio”, invitando poi l’imam e monsignor Martinelli a formulare una preghiera comune. Il presule, che ha recitato il
“Padre Nostro” in arabo, ha affermato che la preghiera ha sigillato
una esperienza di fraternità e di amicizia in una terra in cui cristiani e
musulmani lavorano insieme per il
progresso del paese con la forza della fede che si misura quotidianamente nella sfida dell’amore vicendevole.
MISNA
7
Omaggio al vescovo
P. Aldo Lazzarin
I
l 13 dicembre scorso, il vescovo p. Aldo Lazzarin ha
compiuto 80 anni. Ci uniamo anche noi della rivista missionaria “La Missione della
Madonna” a quanti lo hanno festeggiato con gioia e portano nel cuore la sua mite parola e il suo dolce sorriso.
Il p. Aldo è vescovo emerito
di Aysén in Cile (ora ritirato
nella nostra Comunità delle
Grazie in Udine), e la Chiesa di Aysén, la gente e i sacerdoti, i religiosi e le religiose, non lo hanno dimenticato e non vogliono dimenticare le sue parole.
In occasione degli 80 anni è
stato pubblicato un suo piccolo testo sulla Santa Messa.
Sono appunti molto semplici e didattici, frutto della sua
profonda spiritualità, destinati, come dice il sottotitolo del
libretto, “alla formazione liturgica dei sacerdoti e dei laici”. Mons. Aldo usò gli appunti in occasione degli esercizi spirituali predicati ai sacerdoti e in molte altre occasioni.
La pubblicazione del libro,
edito in Cile e pubblicato in
lingua spagnola, vuole essere un piccolo omaggio a Mons. Aldo Lazzarin, e
nello stesso tempo offrire un prezioso materiale a quanti operano nella pastorale, agli insegnanti di religione, ai catechisti, ai gruppi liturgici, agli
alunni e alunne delle scuole e a tutti i laici che desiderano approfondire e
vivere il grande e prezioso mistero della Messa.
p. Bernardino
8
Suore Serve di S. Giuseppe
50 anni di vita in Aysén
L
e suore Serve di san Giuseppe compiranno i cinquant’anni di lavoro
missionario nella Regione dell’Aysén il prossimo anno.
La Congregazione delle religiose fu fondata in Salamanca il 10 gennaio 1874
da Madre Bonifacia Rodriguez e da
p. Francisco Xavier Butiña. Lo scopo
principale della Congregazione è l’evangelizzazione del mondo operaio povero. Sono donne chiamate a vivere nel
quotidiano il Dio incarnato nelle piccole cose di ogni giorno nelle scelte
a favore della dignità umana, nell’impegno di promozione sociale, di giustizia e speranza.
In Aysén le Serve di san Giuseppe sono presenti fin dal 1947, come si potrà vedere dall’articolo di p. Mario Zanella, impegnate nella pastorale parrocchiale, nella scuola, nella prevenzione dell’alcolismo e della droga, in
appoggio alle ragazze madri e in mis-
sioni itineranti nella zona australe.
In questo momento la Congregazione
sta sviluppando un importante lavoro
pastorale e sociale nella località “Colina”, dove sono impegnate con un centro diurno per bambini a rischio sociale; nella zona “La Regina” hanno
sviluppato delle officine e un centro
d’accoglienza per giovani operai; in
Peñalolen hanno un centro scolastico.
Attualmente la Congregazione è impegnata in Coyhaique con laboratori
per donne e nell’ambito scolastico con
la scuola “Sacra Famiglia” a Puerto Aysén e nel recentemente inaugurato Collegio “Francisco Xavier Butiña”.
Le Serve di San Giuseppe in Cile sono circa una ventina, e nel mondo
circa 6oo e sono presenti in 13 paesi
dell’America, inoltre in Europa, Asia
e Africa.
(Puentes de Aysén)
9
Giubileo delle Suore Serve
di San Giuseppe
nella Missione dell’Aysén
I
l 2 Febbraio prossimo si compiranno i 50 anni dall’arrivo delle suore
Serve di San Giuseppe nella missione dell’Aysén. L’inizio delle celebrazioni del 50°, che si protrarrà per
un anno intero, ebbero gia inizio il 9
novembre scorso, facendolo coincidere con la data della beatificazione della
madre fondatrice, beata Bonifacia Rodriguez.
Il sottoscritto ebbe da occuparsi dell’evento in
prima persona,
in qualità di parroco; ed é appunto per questo che mi accingo a farne
memoria.
Quattordici anni prima, cioè
nel 1943, in piena guerra mondiale,
il vescovo Antonio Michelato, allora
Prefetto Apostolico della missione, era
riuscito a costruire un collegio lungo
oltre 100 metri per una scuola elementare con internato per bambine
della zona. L’edificio era in legno,
come ogni altra costruzione di quei
tempi, ma corredato con banchi di
scuola, dormitori con i rispettivi letti
e armadi, cucina, refettorio e locali per
10 suore.
In un primo tempo il collegio fu affidato alle suore Serve di Maria Addolorata di Firenze e quindi alle Figlie
di Maria Ausiliatrice, le quali, gia al
principio del ‘56, avevano espresso
10
la volontà di ritirarsi alla fine dell’anno scolastico. La notizia fu per il vescovo Michelato un tormento per tutto l’anno. Se conversava con qualcuno ne parlava; se predicava lo ricordava e faceva pregare.
Con l’annuario pontificio in mano, che
riporta l’elenco di tutti gli Istituti Religiosi, ogni giorno spediva lettere richiedendo la presenza di suore. Non
poteva rassegnarsi a chiudere le porte a centinaia di bambine che all’inizio dell’anno avrebbero chiesto asilo, assistenza scolastica e religiosa.
Fu così che, trovandosi in pieno inverno dell’anno 1956 a Santiago, invitato a pranzo, seduto accanto alla
moglie dell’ambasciatore spagnolo,
si sentì interpellare dalla signora: “Mi
scusi, monsignore, ma io la noto un
po’ distratto; anzi preoccupato. O mi
sbaglio? Forse mi starò intromettendo
troppo, ma le assicuro che, se potessi darle una mano, ne sarei felice.”
Il neo Vescovo di Aysén (era stato consacrato l’anno precedente) le confidò
le sue preoccupazioni e la signora
ne comprese tutta l’amarezza. Quindi gli disse: “Senta, monsignore, io
sono originaria di Salamanca e vivo
vicino ad un convento di suore con
le quali ho sempre coltivato una grande amicizia. Mi rivolgerò a loro e
sono sicura che non mi deluderanno”.
Non se ne parlò più e il vescovo pensò che forse quelle parole erano solo
di circostanza, come tutte quelle che
arrivavano in risposta alle sue richieste.
Invece un mese dopo il colloquio, arriva dalla Spagna un plico postale con
vari depliant che illustravano la spiritualità e la vocazione missionaria delle Suore Serve di San Giuseppe di Salamanca. Il vescovo si sente euforico,
va alla macchina da scrivere e il resto
fu tutto in discesa: le buone “Serve”
di san Giuseppe si unirono ai poveri
“Servi” di Maria in un’avventura di opere sociali e missionarie, la cui storia
suggestiva meriterebbe di essere maggiormente conosciuta.
Le vie del Signore sono semplici, più
di quanto si potrebbe pensare, ma le
sue opere spesso sono segnate dal marchio inconfondibile della sofferenza.
Solo qualche cenno delle prove a cui
furono sottoposte le Suore, che volevano piantare radici e operare in un
mondo nuovo, ma tra i più impervi
di questo pianeta, senza tuttavia scalfire il coraggio di queste generose pioniere.
Dopo qualche mese, appena avviata
l’opera, la sera del 24 giugno, un vorace incendio ridusse in cenere l’intero edificio, e Dio volle senza nessuna disgrazia umana, ma le suore
rimasero con ciò che avevano addosso. Qualche anno dopo, il 16 Giugno 1963, moriva nell’incidente aereo
del Cerro Pérez, insieme con il vescovo di Aysén, mons. Vielmo e altre
25 persone, anche la direttrice del
collegio ricostruito dopo l’incendio.
“Chi semina nelle lacrime mieterà con
giubilo”, dice il salmista, e questa è
la dimostrazione della solidità della
missione dell’ Aysén maturata dalla
sofferenza e con il martirio fisico di
mons. Vielmo e quello morale di mons.
Michelato.
P. Mario Zanella
11
da 60 anni
presenti ad Oruro
O
Bolivia
rigine del santuario. L’origine del
santuario risale alla metà del secolo XVI. Con l’arrivo degli spagnoli è giunta pure la evangelizzazione.
Nell’altopiano boliviano si adorava (e si
adora) il sole. Nelle miniere esisteva (ed
esiste tutt’ora) il culto al “tio” (“zio”: così è chiamato il padrone del sottosuolo).
Un missionario fece dipingere su una parete di
“adobe” (= parete di mattoni di fango e paglia) l’immagine della Madonna
Candelora, a 50 metri dall’imboccatura di una miniera. I minatori hanno cominciato ben presto a renderle culto, pur mantenendo il culto al “tio”. Invece del “sole” c’è ora Gesù, “sole di giustizia luce
delle nazioni”, in braccio
a Maria Santissima. Naturalmente l’immagine la
chiamarono “Virgen del Socavon” e il socavon (= tunel della miniera) lo chiamarono “Socavon de la Virgen”.
È cominciata così una relazione tra il socavon e la Madonna. Fu subito costruito
un piccolo capitello, per difendere l’immagine dalle intemperie, ed è cominciato il culto in forma, direi, familiare, come succede con i capitelli delle nostre
borgate italiane.
Il santuario. - Verso la fine del secolo
XIX, dovuto certamente alla devozione dei
minatori, quando già quella miniera aveva lasciato di funzionare, il piccolo capitello ha lasciato posto a una chiesetta
più grande a forma di croce romana, con
grosse pareti di “adobe”. La devozione
della Madonna del Socavon aveva preso
piede. Molte famiglie avevano nelle loro
case piccole immagini della Madonna, dipinte in tela, in lamine, in legno.
È in questo periodo che il carnevale comincia a crescere: un vero pellegrinaggio da fuori città fino al santuario, bal-
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lando in onore alla Madonna.
L’arrivo dei Servi di Maria. - I Servi di Maria giunsero a Oruro il 31 ottobre 1946.
Erano cinque: p. Agostino Gobbo, p. Domenico Polo, p. Costantino Zarantonello, p. Filippo Mondin e fra Sostengo Parise. Dopo essersi fatti carico della parrocchia della Cattedrale per 4 anni, nel
1950 si sono ritirati nel piccolo santuario del Socavon,
che apparteneva alla medesima parrocchia. Il piccolo
santuario, che fino a quel
momento aveva svolto una
attività religiosa minima, ora
svolge attività quotidiana,
che sta aumentando sempre
più. È aperto tutti i giorni, e
si inizia con la celebrazione della santa Messa, si svolge attività pastorale, si ascoltano le confessioni, e si fa
formazione di gruppi vari. Si
è creato l’Ordine secolare
dei Servi di Maria, con il quale si inizia pure la scuola.
Dal santuario i religiosi partono per le attività missionarie in zone
rurali, dove il sacerdote non arriva quasi
mai.
Ampliamento del santuario ed opere sociali annesse. - Con l’arrivo del padre Alfonso Massignani (1982) è cominciato un
incremento favoloso. L’ampliamento del
santuario era infatti necessario per l’afflusso di fedeli sempre più in aumento.
Il santuario fu ingrandito dai quattro punti cardinali.
La miniera, che con il tempo era sepolta
dalle frane, fu trasformata (una parte) in
museo.
Unito al santuario si è costruito il “centro mariano”, o casa di incontri, di ritiri
spirituali, con possibilità di alloggio. Nello stesso centro mariano esiste una biblioteca religiosa-folcloristica-culturale;
e così pure un museo “sacro-folcloristico-archeologico”.
La scuola fu ampliata ancora una volta,
offrendo la capacità di accogliere quasi
mille alunni, dalle elementari alle scuole superiori. Di fianco, non poteva mancare un “ambulatorio” con medicina generale e odontologia. E così tutti i bambini e i ragazzi della scuola ricevono periodicamente un controllo medico.
Però non è tutto. Molte sono le famiglie
estremamente povere, e quindi abbiamo pensato di dare vita alla “mensa dei
poveri”, dove tutti i giorni circa 500 bambini ricevono la “colazione scolastica”,
e circa 200 adulti alle ore 12 hanno un
buon pranzo sostanzioso.
Inoltre, tutti i sabato pomeriggio una commissione di solidarietà (4 buone signore) accoglie una lunga fila di poveri che
vengono per ricevere viveri: latte in polvere, riso, pasta, zucchero...
Ma i poveri sono molti. Ecco perciò un’altra iniziativa: le adozioni a distanza. At-
tualmente sono quasi 200 i bambini che
hanno padrini in Italia che li aiutano con
molta generosità.
Ma c’è anche dell’altro. In Oruro è forte la violenza familiare. In un santuario
della Madonna (che è “donna”) ci voleva pure una iniziativa per dare sostegno
alla donna che soffre violenza da parte
del marito o convivente. Ecco quindi
l’iniziativa: “Kusisqa warmi” = “Donna
felice”. Quattro persone professioniste
portano avanti questa preziosa istituzione.
La vita del santuario cresce sempre più,
e quindi, con la presenza e la collaborazione di laici, abbiamo formato diverse aree pastorali: liturgica, sociale o della misericordia, educativa, culturale ed
artistica, spiritualità dei Servi di Maria,
mezzi di comunicazione sociale.
Insomma, la presenza dei Servi di Maria è una bella realtà. Attualmente in
comunità siamo in tre: p. Sebastian Sandoval, p. Marcelo Henriquez e il sottoscritto, p. Nico. Con noi ci sono pure
un paio di aspiranti alla vita religiosa
ed altri che seguiamo da vicino con incontri settimanali.
Ringraziamo vivamente tutti i cari amici, che ci accompagnano con la preghiera
e con qualche aiuto materiale. Che la
Madonna vi benedica!
p. Nico Sartori
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ADOZIONI A DISTANZA
D
a qualche tempo riceviamo richieste per avviare l’adozione a
distanza, informazioni su come
sono usati i soldi che si mandano al missionario e come funziona la distribuzione. Si cerca da parte di diverse per-
sone di comprendere bene non solo l’uso del loro denaro, ma anche se quanto offerto viene totalmente spedito o se
rimane qualche cosa “tra le dita”. Di solito viene mandata la ricevuta della spedizione, proprio per trasparenza, e poi
i missionari stessi,
quando ricevono i soldi, compatibilmente
con le loro occupazioni, mandano un biglietto di ringraziamento. Un cuore libero, senza malizia dona con gioia, sapendo
che della carità si rende conto a Dio, e non
agli uomini, riportiamo
la lettera che il p. Nico Sartori dalla Bolivia ha inviato a tutti i
padrini in Italia in occasione delle feste natalizie.
Carissimi padrini,
si sono trasferiti lontani da Oruro; tre li
ho sospesi per mal comportamento dei
genitori (ubriacature). Alcuni padrini già
desistono dopo aver aiutato per vari anni. Bene, Grazie! Due madrine sono decedute. Dio le premia! Mi domando: fino a che età si potrà aiutare un figlioccio(a)? Un anno, tre anni, per tutta la vita? Attualmente no ho in lista quasi 200.
Altre mamme domandano questo aiuto.
Con novembre in Bolivia termina l’anno
scolastico. Lo ricominceranno a metà febbraio, dopo carnevale. Il luglio scorso
ho battezzato un centinaio di figliocci e
fratellini. Insisto poi, affinchè ricevano
la Prima Comunione e Cresima nelle rispettive Parrocchie. Matrimonio dei genitori? Neanche a parlarne. Un disastro!
Meno male che Dio è molto più grande
dei nostri schemi umani. Ciò che vale per
voi e per me è “evagelizzare facendo questo servizio di carità”.
Pace e Bene nel Signore Gesù e la sua
Santissima Madre! Eccomi a voi per mandarvi, almeno una volta all’anno, gli auguri di Buon Natale e Buon Anno, una
letterina e una foto del vostro(a) figlioccio(a), e così vedete come è cresciuto(a).
Alcuni padrini vorrebbero ricevere letterine più spesso. Non ho niente in contrario. Il fatto è che molti bambini e mamme non sanno scrivere... Perciò penso sufficiente una volta all’anno con un bigliettino di Natale. Però mi piace se qualcuno scrive più spesso con letterine di andata e ritorno. Per la traduzione dovrete
arrangiarvi. Io traduco qui.
Durante quest’anno 2006 ho consegnato 4 quote: in marzo e settembre (in forma invididuale, incontrandomi con ciascun bambino e rispettiva mamma), in luglio ed ora per Natale (tutti insieme). Ci
sono stati alcuni cambi: alcuni bambini
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p. Nico - Oruro
UGANDA
richiesta d’aiuto
A
Kamuli in Uganda, vicino alla zona
nella quale operano i Servi di Maria
con p. Giuseppe Xotta, c’è l’ostello per
ragazze “Mother Kevin Girls”, gestito da
Suore locali, le quali hanno dei problemi
perché ospitano 18 ragazze a rischio, e sono impegnate in un’opera di educazione
contro l’AIDS e la violenza sessuale.
C’è bisogno di alcuni locali per ospitare
la cucina ed il refettorio per le ragazze,
ma mancano i fondi. Io lancio da queste
pagine un appello per un aiuto. Riporto sotto il progetto redatto ad un tecnico locale
con relativo tabulato di spesa. Il totale
della spesa viene riportato in scellini ugandesi: costo totale dell’opera schell. 1.800.000
(un milione ottocento mila) equivalente a
Euro 786,50 (settecentoottantasei/50).
ESTIMATE
FOR DINNING & KITCHEN
Description
Qty
Cement
Timber
Poles
Aggregate
Iron Sheets
Sand
Door
Labour
Total
25 bags
33
4
2 trips
15
3 trips
2
Amount
450,000
300,000
240,000
220,000
150,000
150,000
90,000
200,000
1,800,000
15
Mensile di informazione
e animazione missionaria
dei frati Servi di Maria di
Monte Berico.
www.missionimonteberico.it
N. 1 - Gennaio 2007 - Anno LXXXIII - Aut. Trib. Vicenza n° 150 del 18-12-1979
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