LE DONAZIONI DIRETTE ED INDIRETTE
Avv. Stefano Faillace
Materiale dottrinale e giurisprudenziale
DONAZIONE RIMUNERATORIA Donazione rimuneratoria e liberalità d'uso
Giovanni Corradi
FONTE
Fam. Pers. Succ., 2012, 8-9, 623
Donazione
Sommario: 1. Nozione e disciplina - 2. La donazione per riconoscenza - 3. La donazione in
considerazione dei meriti del donatario - 4. La donazione per speciale rimunerazione - 5. Donazione
rimuneratoria e obbligazione naturale - 6. Le liberalità d'uso - 7. Liberalità d'uso e donazione
rimuneratoria - 8. Liberalità d'uso e obbligazione naturale - 9. La disciplina delle liberalità d'uso 10. I doni disposti a causa della promessa di matrimonio
1. Nozione e disciplina
L'art. 770 c.c. individua due distinte figure: la donazione rimuneratoria, al primo comma, e le
liberalità d'uso, al secondo comma.
Per quanto riguarda la prima figura, essa consiste nell'attribuzione gratuita compiuta
spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale o
sociale per compensare i servizi resi dal donatario(1).
La donazione rimuneratoria comprende tre diverse ipotesi, vale a dire le liberalità per riconoscenza,
in considerazione dei meriti del donatario e per speciale rimunerazione. Tale conclusione è
pressoché unanime in dottrina(2) e in giurisprudenza(3), anche se è stato sostenuto che l'art. 770 c.c.
si limita a dichiarare che è donazione la liberalità compiuta per riconoscenza, per meriti del
donatario e per speciale rimunerazione, ma non qualifica come donazione rimuneratoria ciascuna di
queste tre ipotesi. Quindi, visto che la rubrica dell'articolo non ha valore normativo, solo la
donazione per speciale rimunerazione, e non anche le altre due figure, previste dall'art. 770 c.c.,
può essere configurata come donazione rimuneratoria. A sostegno di ciò, è stato richiamato anche il
testo dell'art. 797, n. 3, c.c., il quale si riferisce alle «prestazioni ricevute dal donante» e non
potrebbe, pertanto, essere esteso alla donazione per riconoscenza o per meriti(4). In contrario, è
possibile rilevare che l'art. 797 c.c. non è probante ai fini della restrizione della nozione di
donazione rimuneratoria, in quanto si tratta di una norma che si riferisce solo a una singola ipotesi
di donazione rimuneratoria(5). Inoltre, l'inesattezza della rubrica, rispetto al contenuto, dell'art. 770
c.c., non è eliminata restringendo la sfera di estensione della donazione rimuneratoria alla sola
ipotesi di liberalità per speciale rimunerazione(6).
Si applica, perciò, a tutte e tre le ipotesi, l'intera disciplina della donazione rimuneratoria, che è
parzialmente diversa rispetto a quella ordinaria della donazione. In particolare, è prevista
l'esclusione dell'obbligo alimentare del donatario verso il donante (art. 437 c.c.), l'irrevocabilità per
ingratitudine e per sopravvenienza di figli (art. 805 c.c.), e una limitata responsabilità del donante
per il caso di evizione (art. 797, n. 3, c.c.).
La donazione rimuneratoria è una vera e propria donazione; pertanto, deve rivestire la forma
pubblica con la presenza dei testimoni, salvo l'ipotesi che si tratti di donazione di modico valore.
Essa, quindi, è soggetta alla disciplina della riduzione nel caso di lesione della legittima, all'obbligo
di collazione e a quello di imputazione(7). Va rilevato, però, che è stato prospettato il progressivo
superamento delle formalità, prescritte per le donazioni, quando vi sia congruità tra l'attribuzione e i
servizi effettivamente prestati dal donatario(8).
Nella figura in esame, il motivo rimuneratorio, a differenza di quanto accade di regola, diviene un
elemento essenziale, con la conseguenza che, se il motivo non sussista, la donazione non potrà
essere qualificata rimuneratoria; pertanto, non saranno applicabili a essa le particolari regole dettate
per tale figura(9). Il motivo rimuneratorio non deve necessariamente risultare dall'atto, ma può essere
desunto anche da elementi estranei allo stesso. L'onere della prova, in applicazione dell'art. 2697
c.c., compete al donatario che intenda sottrarsi alla revoca o all'obbligo alimentare o voglia ottenere
la garanzia per evizione. Si applicherà, inoltre, l'art. 787 c.c.; la donazione, quindi, potrà essere
impugnata per errore sul motivo rimuneratorio, ove il motivo risulti dall'atto e sia il solo che abbia
determinato il donante a compiere la liberalità. Sarà buona norma, pertanto, che il notaio specifichi,
nell'atto di donazione, il motivo dell'attribuzione, tutelando, in tal modo, sia il donante sia il
donatario(10).
In base all'art. 64 l. fall., la donazione rimuneratoria, a differenza dell'adempimento di
un'obbligazione naturale, è soggetta alla revocatoria ordinaria e a quella fallimentare, in quanto,
anche se diretta a compensare servizi resi in precedenza al donatario, integra una elargizione di
natura discrezionale, non essendovi tenuto il donante, né in base a vincolo giuridico, né per dovere
morale o consuetudine sociale(11).
2. La donazione per riconoscenza
La prima figura di donazione rimuneratoria è costituita dalla donazione per riconoscenza. Essa fa
riferimento a un particolare sentimento di gratitudine, che si può avere nei confronti di chi, in
qualunque modo, ci abbia aiutati o assistiti nel momento del bisogno. Tale sentimento di
riconoscenza può essere espresso sia verso il donatario, sia verso un qualche membro della sua
famiglia(12).
Il sentimento di gratitudine sarà normalmente originato da un beneficio ricevuto anteriormente alla
donazione; secondo parte della dottrina, però, la riconoscenza può derivare anche dalla promessa
del compimento di un'azione futura favorevole al donante(13).
Per alcuni interpreti, la riconoscenza deve avere un fondamento oggettivo, socialmente
apprezzabile; in caso contrario, si consentirebbe al donante di rendere l'attribuzione irrevocabile
semplicemente dichiarandola rimuneratoria per riconoscenza(14). Per altri, invece, non è necessario
richiedere che la riconoscenza debba essere moralmente e socialmente giustificata, in quanto i
moventi del donante sono insindacabili, in quanto individuali e diversi da un soggetto a un altro(15).
Rientra nella donazione rimuneratoria, anche la liberalità con la quale si intenda compensare un
servizio ricevuto da un familiare del donatario, quale, per esempio, il padre(16). In questo caso, la
liberalità potrà essere qualificata come donazione per riconoscenza(17).
Può essere inquadrata nell'àmbito della donazione per riconoscenza, anche la liberalità disposta nei
confronti di chi ci abbia precedentemente aiutato mediante una donazione; infatti, lo spirito di
gratitudine può fondarsi su una precedente donazione fatta dal donatario al donante(18). Discusso è,
invece, se possa essere qualificata come rimuneratoria la donazione reciproca. Secondo una tesi(19),
nello schema della donazione per riconoscenza rientra anche la fattispecie della donazione
reciproca, che si distingue soltanto per un elemento cronologico da quella della donazione per
precedente donazione. In quest'ultima, una donazione succede all'altra. Nella donazione reciproca,
invece, le due donazioni sono contemporanee. Secondo una diversa tesi(20), nel caso di donazioni
reciproche si realizza, normalmente, una liberalità che ricade nella figura delle liberalità d'uso (si
pensi allo scambio di doni in occasione di festività), ma potrà anche ricorrere una donazione,
quando manchi la modicità della prestazione. Si tratterà, però, di donazioni semplici e non
rimuneratorie, in quanto la contestualità esclude che possa sorgere un sentimento di riconoscenza.
La donazione per riconoscenza resta distinta da quella per speciale rimunerazione. Giova rilevare,
invero, che, nella donazione per rimunerazione il donante vuole compensare in modo speciale una
persona per determinati servizi ricevuti, senza che il compenso assurga a corrispettivo, la donazione
per riconoscenza è estranea a ogni idea di compenso, in quanto il donante intende soltanto
esprimere la sua gratitudine per il beneficio ricevuto(21).
3. La donazione in considerazione dei meriti del donatario
Questa ipotesi rappresenta la seconda figura di donazione rimuneratoria ed è ispirata da un
sentimento di ammirazione o gratitudine per le qualità personali del donatario o per la particolare
attività da lui svolta(22).
I meriti possono riferirsi sia a singoli individui: si pensi alla donazione del padre al figlio per essersi
particolarmente distinto negli studi; sia a un pubblico più vasto, come è a dirsi, a titolo di esempio,
riguardo a una donazione a favore di chi ha realizzato una scoperta scientifica o un lavoro
letterario(23).
Si deve trattare, però, di meriti che non abbiano arrecato un vantaggio diretto al donante, altrimenti
si ricadrebbe nell'ipotesi della donazione per riconoscenza o per speciale rimunerazione(24).
4. La donazione per speciale rimunerazione
La terza ipotesi di donazione rimuneratoria è quella per speciale rimunerazione, che ricorre nel caso
in cui l'attribuzione patrimoniale sia fatta per ricompensare colui, il quale abbia prestato al donante
uno specifico servizio(25).
Esempi tipici sono costituiti dalla donazione fatta al chirurgo che, con una difficile operazione,
abbia salvato la vita del paziente o all'avvocato che, con un'abile difesa, abbia evitato la condanna
dell'imputato.
Sotto la vigenza del Codice civile abrogato, era stato sostenuto che vi è donazione rimuneratoria,
solo quando il servizio reso dal donante sia patrimonialmente inestimabile (donazione fatta a chi
abbia salvato la vita del donante), perché, in questo caso, la prestazione data in compenso non può
essere effettuata che con animo liberale(26). In contrario, è stato però affermato che si può avere
donazione rimuneratoria, anche se vi sia proporzione tra servizio reso e liberalità. Infatti, l'art. 797,
n. 3, c.c., prevede, in tema di garanzia per evizione, che le prestazioni ricevute dal donatario
possano essere patrimonialmente stimabili. Ciò dimostra che può trattarsi tanto di un servizio
inestimabile, quanto di un servizio suscettibile di valutazione patrimoniale(27).
Si discute in merito all'interpretazione dell'espressione «speciale rimunerazione». Secondo
un'opinione, tale espressione deve essere intesa come sproporzione tra servizio ricevuto e
attribuzione patrimoniale(28). La maggioranza degli interpreti, però, individua la specialità della
rimunerazione nel carattere spontaneo dell'attribuzione, la quale non deve essere eseguita in
funzione di corrispettivo, né dovuta secondo la legge, né in adempimento di un dovere morale o
sociale, né in conformità agli usi. L'attribuzione, pertanto, non deve essere esigibile in giudizio, in
quanto, se sussistesse un vero e proprio dovere giuridico di effettuare l'attribuzione, si tratterebbe di
un corrispettivo dovuto e non già di una donazione rimuneratoria(29).
All'interno di questa impostazione, si registra una contrapposizione tra chi afferma che una
sproporzione eccessiva, tra rimunerazione e servizio, dimostrerebbe l'inesistenza dell'intento
rimuneratorio, avendosi, allora, una comune donazione(30), e coloro i quali, invece, ritengono del
tutto irrilevante l'aspetto quantitativo, non essendo, la proporzionalità della retribuzione, un criterio
sicuro per qualificare la donazione come rimuneratoria. A sostegno di quest'ultima conclusione, si
richiama anche l'art. 797, n. 3, c.c., in base al quale, la garanzia per evizione è dovuta solo fino a
concorrenza dell'ammontare degli oneri o delle prestazioni ricevute dal donante, con la conseguenza
che la donazione rimuneratoria può anche essere sproporzionata(31). La giurisprudenza ha aderito a
questa opinione, affermando che la sproporzione del donatum, rispetto ai servizi resi dal donatario,
o la sensibile incidenza del donatum sul patrimonio del donante, è compatibile con l'intento
rimuneratorio(32).
È anche discusso se la donazione rimuneratoria presupponga, necessariamente, un servizio prestato
anteriormente alla donazione o se possa riferirsi anche ad attività future semplicemente promesse.
Secondo alcuni interpreti dovrebbe trattarsi di servizio già svolto prima della donazione, perché,
ove si faccia una attribuzione per avere un servizio, si è in presenza di un atto a titolo oneroso; ove,
invece, la dazione sia fatta solo in vista di un possibile ed eventuale servizio, si avrà una donazione
pura e semplice(33). Al contrario, altri interpreti sostengono che non può escludersi che il servizio
possa riguardare anche attività future, perché l'essenziale è che, tra le due prestazioni, vi sia
completa indipendenza, vale a dire manchi il sinallagma, altrimenti non si avrebbe una donazione
rimuneratoria, bensì un negozio oneroso. Si pensi, per esempio, all'amico di un avvocato o di un
medico, che, avendo bisogno della sua opera, gli faccia un regalo prima di richiederla, perché, da un
lato, sa che l'amico non intende essere compensato e, dall'altro, vuole invogliare il professionista a
prestare diligentemente la sua opera(34).
Si ha donazione per speciale rimunerazione, sia quando il servizio sia compiuto gratuitamente, sia
quando il servizio sia normalmente compensato e, in aggiunta al normale compenso, è data una
speciale rimunerazione. Invece, nel caso in cui l'attribuzione del donante sia diretta, in parte, a
pagare le prestazioni ricevute (solvendi causa) e, in parte, alla loro speciale rimunerazione (donandi
animo), la giurisprudenza ha affermato che si tratta di un negozio misto di datio in solutum e
donazione rimuneratoria, al quale è applicabile il principio dell'assorbimento: ricorrerà, quindi, la
figura della donazione rimuneratoria, nel caso in cui vi sia la prevalenza dell'intento di speciale
rimunerazione; ove, invece, l'attribuzione risulti effettuata con il prevalente intento di prestare il
corrispettivo per il servizio reso, si avrà negozio a titolo oneroso(35). Parte della dottrina, però, non
condivide queste conclusioni, osservando che non si tratterebbe di un negozio misto, ma di due
negozî collegati (uno liberale e l'altro di adempimento dell'originaria prestazione), in quanto, nel
negozio misto, si riscontrerebbero due cause di opposta indole, onerosa l'una e gratuita l'altra, la cui
fusione è impossibile data l'inconciliabilità dei due scopi considerati(36). Si aggiunge, inoltre, che il
criterio della prevalenza risulta inadeguato e contrario all'intento delle parti, le quali hanno inteso
compiere due attribuzioni: una come adempimento di dovere, l'altra a titolo di speciale
rimunerazione(37).
5. Donazione rimuneratoria e obbligazione naturale
Nell'obbligazione naturale la prestazione è eseguita, spontaneamente, al fine di adempiere doveri
morali o sociali. Diversamente da quanto avviene in ipotesi di obbligazione civile, il debitore non è
giuridicamente obbligato a eseguire la prestazione, ma, ove la esegua, non può chiederne la
restituzione (art. 2034 c.c.). Non è ammessa, quindi, azione in giudizio per vedersi riconosciuta
l'attribuzione patrimoniale, né in caso di donazione rimuneratoria, né in quello di obbligazione
naturale.
La distinzione tra le due figure ha un forte rilievo pratico, tenuto conto della differente disciplina,
soprattutto relativamente alla forma. Infatti, la donazione rimuneratoria, essendo una vera e propria
donazione, richiede l'atto pubblico (a meno che non sia di modico valore), laddove l'obbligazione
naturale è a forma libera (a meno che non si ritenga che possa avere a oggetto beni immobili).
Secondo una tesi, la distinzione tra i due istituti andrebbe individuata nel diverso animus: chi
dispone una donazione rimuneratoria manifesta un animus donandi, non già un animus solvendi,
come accede, invece, nell'adempimento di un'obbligazione naturale. Chi adempie a un'obbligazione
naturale è ispirato dalla volontà di liberarsi da un obbligo morale e sociale, quindi da un peso; in
altri termini, l'agente vuole essere in regola con la propria coscienza e la pubblica estimazione. La
donazione rimuneratoria, viceversa, si fonda sullo spirito di liberalità, senza che vi sia l'intenzione
di dare esecuzione a un dovere morale o sociale(38).
Una diversa tesi, partendo dal presupposto che sarebbe di difficile accertamento il reale animus del
disponente, individua nel contenuto specifico del dovere la distinzione tra le due figure in esame. Il
legislatore ha escluso dai doveri morali e sociali, previsti dall'art. 2034 c.c., quello di riconoscenza,
per attribuirlo, espressamente, alla sfera della donazione rimuneratoria. Il fondamento di questa
scelta risiede nella minore intensità con cui la coscienza sociale avverte il dovere di riconoscenza
rispetto ad altri doveri morali e sociali maggiormente pressanti, in cui non rimane spazio per lo
spirito di liberalità. Secondo questa tesi, il dovere, richiesto dall'art. 2034 c.c., pone il debitore in
uno stato di coazione, anche se solo morale. Nella donazione rimuneratoria, invece, la minore forza
del vincolo lascerebbe inalterato l'animus donandi, restando impregiudicata la natura liberale
dell'attribuzione. Ne consegue, che la maggiore intensità dei doveri, che anima l'adempimento
dell'obbligazione naturale, sopprime l'animus donandi, che, invece, rimane presente nella donazione
rimuneratoria. Per quest'ultima figura, infatti, il legislatore ha tenuto fermo il requisito formale
dell'atto pubblico, in modo da indurre il donante a una più attenta e ponderata riflessione sull'atto
che sta per compiere(39).
In base a quest'ultima impostazione, il rapporto tra l'art. 2034 c.c. e l'art. 770 c.c. si qualifica come
rapporto di genere a specie. L'art. 770 c.c. si applica solamente alle tre ipotesi di donazione
rimuneratoria espressamente previste, a differenza dell'art. 2034 c.c., che si applica a tutti gli altri
doveri morali. Se l'art. 770 c.c. non esistesse, l'àmbito di applicazione dell'art. 2034 c.c. si
amplierebbe fino a includere le ipotesi di donazione rimuneratoria(40).
La giurisprudenza, premettendo che, per donazione rimuneratoria, deve intendersi l'attribuzione
gratuita compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo
giuridico, morale o sociale per compensare i servizi resi o promessi dal donatario, ritiene che la
donazione rimuneratoria sia caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume, in essa, il motivo
dell'attribuzione patrimoniale, correlata specificamente a un precedente comportamento del
donatario, nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o
speciale rimunerazione di un'attività svolta(41).
Sulla base di tali considerazioni, è stata qualificata quale donazione rimuneratoria, e non
obbligazione naturale, la consegna, da parte di una persona anziana, di un libretto di deposito al
portatore in favore del soggetto che si è occupato moralmente e materialmente della sua
assistenza(42). Inoltre, secondo la giurisprudenza, costituisce donazione rimuneratoria, e non
adempimento di obbligazione naturale, l'attribuzione patrimoniale compiuta da persona anziana in
favore della domestica inviatale dal Comune nel quadro dell'assistenza domiciliare(43).
Per quanto riguarda le attribuzioni tra conviventi more uxorio, la giurisprudenza meno recente ha
inquadrato tali elargizioni nell'àmbito delle donazioni rimuneratorie aventi lo scopo di dimostrare la
riconoscenza per l'affetto serbato durante la convivenza(44). Successivamente, la stessa
giurisprudenza ha mutato orientamento, qualificandole quali obbligazioni naturali poste in essere
per assicurare al convivente, una volta terminata la relazione, adeguati mezzi di sussistenza o per
riparare al pregiudizio economico derivato dalla convivenza. Tra i conviventi more uxorio
sussisterebbe un dovere (morale) di assistenza reciproca di contenuto corrispondente a quello
(giuridico) previsto, per i coniugi, dall'art. 143 c.c. Sarebbero, invece, illecite le donazioni
rimuneratorie compiute per continuare una relazione more uxorio, in quanto contrarie al buon
costume. Dalla diversa qualificazione giuridica dipende anche la forma del negozio: ove si tratti di
donazione rimuneratoria, è necessario l'atto pubblico; al contrario, ove si tratti di obbligazione
naturale, la forma è libera(45).
6. Le liberalità d'uso
L'art. 770 c.c. prevede, al secondo comma, le liberalità d'uso e dispone che «non costituisce
donazione la liberalità che si suol fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli
usi». La normativa, pertanto, contempla due casi distinti: al primo comma le donazioni
rimuneratorie, che sono vere e proprie donazioni; al secondo comma, invece, le liberalità d'uso, che
non costituiscono donazione.
Esempî classici di liberalità d'uso sono le mance ai camerieri nei ristoranti o i doni fatti in occasione
di un compleanno o di una festività.
La norma prevede due distinte ipotesi di liberalità d'uso: quelle «in conformità agli usi» e quelle
«che si suole fare in conformità ai servizi resi». In realtà, si ritiene che l'ipotesi sia una sola, vale a
dire la liberalità che si suole fare in conformità agli usi, mentre la liberalità in occasione di servizi
resi non è che un esempio espressamente indicato dal legislatore(46).
Gli elementi costitutivi della liberalità d'uso sono: la liberalità; l'uso; la conformità all'uso(47).
Per quanto riguarda la liberalità, è discusso se, a suo oggetto, possa essere una attribuzione sia reale
sia obbligatoria oppure se, nella pratica sociale, vi siano solo attribuzioni reali effettuate mediante la
consegna della cosa. La questione deve essere risolta facendo riferimento all'elemento della
conformità all'uso; infatti, è possibile che un uso possa consistere anche in liberalità obbligatorie,
come, è a dirsi, a titolo di esempio, nel caso del padre che promette al figlio un regalo in occasione
del conseguimento della laurea(48).
Il secondo elemento costitutivo è costituito dall'uso, che deve essere tenuto distinto dalla
consuetudine giuridica, prevista dagli artt. 8 e 9 delle disposizioni sulla legge in generale. La
consuetudine, infatti, si fonda su un duplice requisito: ripetizione di un certo comportamento in
modo costante nel tempo (diuturnitas) e convincimento che si tratti di un comportamento
giuridicamente vincolante (opinio iuris ac necessitatis). Nell'uso, previsto dall'art. 770 c.c., è
presente il primo requisito, ma manca il secondo, giacché l'attribuzione patrimoniale è spontanea e
non vi è la volontà di adempiere un obbligo giuridico. Si tratta di un uso non giuridico, bensì
sociale(49).
Di regola, l'oggetto della liberalità è rimesso alla scelta del disponente, che è libero di scegliere
quello maggiormente conforme ai proprî gusti e a quelli del beneficiario; eccezionalmente, però,
l'uso può spingersi sino a determinare la qualità dell'oggetto: si pensi all'uso dello scambio
dell'anello tra fidanzati o della fede coniugale(50).
Terzo requisito è quello della conformità all'uso, che determina l'occasione, le persone e la misura
della liberalità. La liberalità d'uso, al contrario della donazione, che può essere disposta in qualsiasi
momento, si attua in determinate occasioni, che possono essere, a titolo di esempio, feste,
ricorrenze, nozze. Allo stesso tempo, occorre una relazione fra le persone tra le quali avviene la
liberalità: lo sposo alla sposa, o viceversa; il fidanzato alla fidanzata, o viceversa; l'amico all'amico,
ma anche nel caso della mancia al cameriere, in cui è necessario che ricorra una obiettiva
situazione, nella quale un soggetto ha prestato un servizio a un altro(51).
Relativamente alla misura della liberalità, è discusso se sia necessaria una certa proporzionalità tra
valore del servizio ricevuto e valore dell'oggetto della liberalità stessa. Tale questione si è posta, in
modo particolare, riguardo ai beni immobili. Una prima tesi è nel senso che gli immobili non
potrebbero essere oggetto di liberalità d'uso, poiché verrebbe meno il carattere di modicità, che le
contraddistingue(52). Secondo una diversa tesi, invece, la liberalità d'uso potrebbe avere a oggetto
anche beni immobili, nel limite della modicità dell'attribuzione, in quanto è necessario tenere conto
del patrimonio di chi compie l'attribuzione. Ne discende che, nell'ipotesi in cui un soggetto abbia un
ingente patrimonio, lo stesso ben potrebbe “regalare” alla moglie un immobile in occasione
dell'anniversario delle nozze, non potendosi escludere, peraltro, che avrebbe potuto anche
“regalare” un gioiello di ben maggior valore(53). Trattandosi di liberalità d'uso, non sarà necessario
l'atto pubblico con la presenza dei testimoni, come occorre, invece, per la donazione; nel caso in
cui, però, oggetto della liberalità d'uso sia un bene immobile, dovrà essere rispettata la forma scritta,
richiesta, dall'art. 1350, n. 1, c.c., con riferimento agli atti di trasferimento immobiliare.
La Suprema Corte ha rilevato che l'ingente valore dell'oggetto donato non è ostativo alla
configurabilità di una liberalità d'uso quando l'elargizione si conformi agli usi e costumi di una
determinata occasione, tenendo conto dei rapporti esistenti tra le parti, delle loro condizioni
economiche e della loro posizione sociale(54).
7. Liberalità d'uso e donazione rimuneratoria
L'art. 770 c.c. esclude le liberalità d'uso dalla categoria della donazione. Il fondamento di questa
differenza con la donazione è stato giustificato in vario modo.
Per alcuni interpreti, chi compia una liberalità d'uso intende adempiere a un obbligo, e ciò è
incompatibile con l'animus donandi(55). Questa tesi, però, è stata criticata, poiché lo spirito di
liberalità non viene meno, dato che, nelle liberalità d'uso, siamo di fronte a un obbligo non
giuridico, quindi non vincolante(56).
Secondo altri interpreti, è necessario distinguere la causa della donazione da quella della liberalità
d'uso; quest'ultima figura, invero, è caratterizzata dall'osservanza dell'uso stesso: chi compie una
liberalità d'uso, non agisce già per spirito di liberalità, bensì per uniformarsi alle norme del costume
sociale(57).
Altri ancora, invece, ritengono che vi sia identità causale tra donazione e liberalità d'uso, giacché, in
entrambe le figure, vi è arricchimento e impoverimento. A sostegno, si riporta anche il dato testuale
dell'art. 770, 2° co. comma, c.c., che pone, come elemento costitutivo della fattispecie, la
conformità oggettiva della liberalità all'uso e non richiede anche il consapevole adeguamento al
costume sociale. Ne discende, che la differenza tra donazione e liberalità d'uso è costituita da un
dato oggettivo: la conformità all'uso. L'art. 770, 2° co., c.c., avrebbe solo la funzione di escludere le
liberalità d'uso dalla disciplina particolare dettata per la donazione(58).
In particolare, per quanto riguarda la distinzione tra donazione rimuneratoria e liberalità d'uso, essa
viene ravvisata nell'esistenza o meno dell'uso. La presenza di una pratica costante di ricompensare il
servizio ricevuto identifica la liberalità d'uso e la differenzia dalla donazione rimuneratoria, nella
quale, la speciale rimunerazione rappresenta un fatto eccezionale. Nella donazione rimuneratoria la
quantità e la qualità dell'attribuzione sono totalmente affidati alla coscienza del donante; nella
liberalità d'uso, invece, l'elargizione è collegata al momento del servizio o della ricorrenza e
condiziona la coscienza dell'autore dell'attribuzione(59).
La modicità dell'attribuzione può essere un ulteriore elemento di distinzione normale, epperò non
essenziale. Il rilevante valore dell'oggetto donato, infatti, non è ostativo alla configurabilità di una
liberalità d'uso, quando l'attribuzione sia conforme agli usi e costumi, che determineranno anche la
misura dell'elargizione in funzione delle condizioni economiche e della posizione sociale delle
parti(60).
8. Liberalità d'uso e obbligazione naturale
Una prima distinzione tra queste due figure può essere individuata nell'elemento soggettivo: nelle
liberalità d'uso sussiste un animo liberale, anche se sollecitato dalle esigenze del costume;
l'adempimento dell'obbligazione naturale, invece, è caratterizzato dall'animus solvendi, sia pure
collegato a un obbligo non giuridico(61).
Una seconda differenza va riscontrata nel presupposto: nell'obbligazione naturale vi è l'esistenza di
un dovere morale e sociale. Nella liberalità d'uso, invece, il soggetto si uniforma a una pratica
costantemente seguita, che rientra nell'ambito delle regole del costume, senza incidere sulla sfera
della morale. Al contrario, il dovere che viene adempiuto con l'esecuzione dell'obbligazione
naturale appartiene alla sfera dei precetti morali e sociali(62). Se anche nella liberalità d'uso si
riscontrasse un elemento morale, esso sarebbe soverchiato dalla rilevanza che assume l'uso. In
definitiva, ciò che predomina nella liberalità d'uso, non è già l'osservanza del dovere morale, bensì
l'adesione alla condotta uniformemente praticata(63).
9. La disciplina delle liberalità d'uso
L'art. 809 c.c. esclude le liberalità d'uso dall'applicazione delle norme relative alla revocazione delle
donazioni per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché di quelle relative alla
riduzione delle donazioni per integrare la quota di riserva dei legittimarî.
Le liberalità d'uso, inoltre, non sono soggette a collazione in base al disposto dell'art. 742, 3° co.,
c.c.; conseguentemente, non si applica neppure la disciplina relativa all'imputazione ex se, in quanto
l'art. 564 c.c. prevede che ogni cosa, che risulti esente da collazione, sia anche esente da
imputazione.
In materia fallimentare, invece, l'art. 64 l. fall. prevede l'inefficacia delle liberalità d'uso, qualora
esse non siano proporzionate al patrimonio del donante.
Al di fuori delle suddette norme, l'art. 770, 2° co., c.c. esclude le liberalità d'uso dall'àmbito della
donazione, sicché le previsioni, dettate in tema di donazione, non saranno direttamente applicabili
alle liberalità in esame, ma sarà necessario valutare che le norme sulla donazione non siano in
contrasto con la natura delle liberalità d'uso(64).
Si ritengono inapplicabili le disposizioni dettate contro la possibile prodigalità del donante che non
ricorre nelle liberalità d'uso, proprio per la presenza dell'obiettiva conformità all'uso stesso. Allora,
non sarà necessaria la forma pubblica (a meno che, come si è anticipato, si ammetta che la liberalità
d'uso possa avere a oggetto beni immobili, per il trasferimento dei quali è sempre necessaria la
forma scritta) e l'accettazione potrà anche essere tacita (art. 782 c.c.)(65). Non trovano applicazione
neppure le norme sulla capacità del donante (artt. 774 e 776 c.c.) e quelle sulla nullità della
donazione di beni futuri (art. 771 c.c.) e sulla nullità del mandato a donare (art. 778 c.c.)(66).
Nel caso in cui la liberalità d'uso abbia a oggetto beni mobili, troverà forza il generale principio
consensualistico, non trovando applicazione l'art. 783 c.c. che prevede la traditio per il
perfezionamento delle donazioni di modico valore(67).
Ugualmente inapplicabile è il divieto di donazione a favore del tutore o del protutore (art. 779 c.c.),
perché il beneficio viene attribuito al donatario in attuazione di una costante e comune regola di
condotta(68). Analogamente, la mancata applicazione, alla fattispecie in esame, dei limiti previsti per
le donazioni fatte da rappresentanti di persone incapaci (art. 777 c.c.), viene giustificata dall'assenza
di pregiudizio economico che può derivare al patrimonio dell'incapace(69). Va rilevato, inoltre, che
in considerazione della diversità tra l'istituto in esame e la donazione, il beneficiato è sottratto
all'obbligo alimentare, previsto dall'art. 437 c.c., in capo al donatario(70).
Si ritengono applicabili, invece, le norme sull'esenzione del donante dalla responsabilità per
evizione e per vizî della cosa donata (artt. 797 e 798 c.c.) e quelle sulla limitazione di responsabilità
per inadempimento (art. 789 c.c.), in quanto si tratta di disposizioni ispirate allo spirito di liberalità
che anima non solo l'autore della donazione, ma anche l'autore della liberalità d'uso(71). È stato
altresì rilevato, che queste norme esprimono un principio valido per tutti i contratti gratuiti, e che,
quindi, esse sono applicabili anche alle liberalità d'uso(72).
Qualora l'atto sia effettuato dall'incapace naturale, si deve ritenere inapplicabile l'art. 775 c.c.,
previsto in tema di donazione(73). Allora, si dovrebbe applicare la norma generale in tema di
contratti, vale a dire l'art. 428 c.c., ma è discusso se questa norma possa trovare applicazione nel
caso in esame. Secondo alcuni interpreti, invero, se la liberalità d'uso è realmente tale, non potrà
mai risultare la mala fede dell'accipiens, il quale si è limitato a ricevere ciò che normalmente
avviene(74). Per altri, applicandosi i principî generali, non potrebbe essere esclusa l'applicazione
dell'art. 428 c.c. che attiene a tutti i negozî giuridici; differentemente, bisognerebbe ritenere
ammissibile una liberalità d'uso compiuta da un incapace di intendere e di volere. Ai fini
dell'annullamento dell'atto, la mala fede potrebbe essere ricavata non solo dal contenuto del
contratto, ma anche aliunde(75).
Si è anche posta la questione, se l'atto di attribuzione rientri tra quelli di ordinaria o di straordinaria
amministrazione, e si è argomentato in favore della qualificazione dell'atto come di ordinaria
amministrazione, sulla base della modicità dell'attribuzione. Nel caso in cui si ritenga che la
liberalità d'uso possa essere anche di valore non modico, però, potrebbe aversi un atto di
disposizione che non ha alcuna funzione conservativa del patrimonio del disponente, comportando
una diminuzione del suo patrimonio; l'atto, quindi, potrebbe essere qualificato di straordinaria
amministrazione(76).
10. I doni disposti a causa della promessa di matrimonio
Si ritiene che rientrino tra le liberalità d'uso anche i doni disposti a causa della promessa di
matrimonio, come è a dirsi, a titolo di esempio, per l'anello di fidanzamento. Questi doni sono
disciplinati dall'art. 80 c.c., che prevede come il promittente possa domandare la restituzione, se il
matrimonio non sia stato contratto(77).
La giurisprudenza, in un primo momento, ha fatto propria questa opinione(78); successivamente,
però, ha mutato orientamento, affermando che i doni tra fidanzati non sono equiparabili né alle
donazioni rimuneratorie, né alle liberalità d'uso, costituendo vere e proprie donazioni(79).
Di conseguenza, ove si inquadrino i suddetti doni tra le liberalità d'uso, non si applica la disciplina
della donazione e, in particolare, sfuma la necessità dell'atto pubblico. Al contrario, ove si tratti di
vere e proprie donazioni, i doni, fatti a causa della promessa di matrimonio, dovranno essere
sottoposti ai requisiti di forma, e di capacità, previsti per le donazioni, sicché la mancata osservanza
di tali requisiti comporterà la restituzione del bene donato, a cagione della invalidità della
donazione, a prescindere dalla previsione dell'art. 80 c.c.
----------------------(1)
Cass., 3.3.2009, n. 5119, in Giust. civ., 2009, I, 1261; Cass., 24.10.2002, n. 14981, in Riv. not.,
2003, 964, con nota di S. Gisolfi, Distinzione di donazione rimuneratoria e adempimento di
obbligazione naturale.
(2)
G. Balbi, La donazione, in Tratt. dir. civ., dir. da G. Grosso e F. Santoro Passarelli, Milano, 1964,
65 ss.; L. Gardani Contursi Lisi, Delle donazioni, in Comm. cod. civ. Scialoja-Branca, BolognaRoma, 1976, 74 ss.; U. Carnevali, Le donazioni, in Tratt. dir. priv., dir. da P. Rescigno, VI, Torino,
1997, 564; M. Tripani, La donazione rimuneratoria, in Studium iuris, 2002, 514 s.; A. Torrente, Le
donazioni, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2006, 2ª ed. a cura di U. Carnevali e A. Mora, 298 ss.;
P. Gallo, La donazione rimuneratoria, in Tratt. dir. successioni e donazioni, dir. da G. Bonilini, VI,
Milano, 2009, 406; G. Capozzi, Successioni e donazioni, II, Milano, 2009, 3ª ed., 1602; M. Ermini,
Tipologie donative, in Le successioni e le donazioni, in Dir. civ., dir. da N. Lipari e P. Rescigno, II,
Milano, 2009, 427; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2010, 5ª
ed., 383.
(3)
Cass., 28.6.1976, n. 2452, in Foro it., 1977, I, 456, con nota di L. Di Lalla, in cui la Suprema
Corte ha affermato che «la donazione remuneratoria è contemplata nel 1° co. dell'art. 770 c.c., il
quale comprende tre ipotesi di atti qualificati esplicitamente come liberalità c.d. donative, cioè,
secondo il motivo determinante dell'animus donandi, quelli compiuti per riconoscenza, quelli
compiuti per considerazione dei meriti del donatario e quelli compiuti per speciale remunerazione»;
Cass., 14.2.1977, n. 1411, in Fall., 1998, 17 e in Mass. Giur. Civ., 1997, 250; Cass., 24.10.2002, n.
14981, cit., secondo la quale, «la figura della donazione rimuneratoria, prevista dall'art. 770, 1° co.,
c.c., è caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume il motivo dell'attribuzione patrimoniale,
correlata specificamente ad un precedente comportamento dei donatari, nei cui confronti la
liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o speciale rimunerazione di attività
svolta».
(4)
B. Biondi, Le donazioni, in Tratt. F. Vasalli, Torino, 1961, 736 ss.; A. D'angelo, La donazione
rimuneratoria, Milano, 1942, 64 ss., il quale ha un'opinione intermedia ed esclude che si tratti di
donazione rimuneratoria la sola liberalità in considerazione dei meriti del donatario.
(5)
L. Gardani Contursi Lisi, op. cit., 76.
(6)
A. Torrente, op. cit., 300.
(7)
Cass., 10.10.1970, n. 1933, in Giust. civ., 1970, I, 1788; Cass., 28.6.1976, n. 2452, cit.; Cass.,
24.10.2002, n. 14981, cit.; Cass., 24.7.2008, n. 20387, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 303, con
nota di G. La Marca, La riduzione della donazione rimuneratoria con riserva di usufrutto; U.
Carnevali, op. cit., 567; G. Capozzi, op. cit., 1606; G. Bonilini, op. cit., 384.
(8)
P. Gallo, op. cit., 407 ss.
(9)
A. Torrente, op. cit., 325 ss.; G. Capozzi, op. cit., 1603. Contra, B. Biondi, op. cit., 731 ss., il
quale non considera i motivi erigibili a elemento essenziale del negozio, ma afferma che i motivi
rimuneratorî penetrano nella struttura negoziale, attribuendo una particolare qualificazione o
colorazione della causa, con la conseguenza che, ove questi manchino, cadrebbe l'intera donazione
e non solo il carattere rimuneratorio della stessa.
(10)
U. Carnevali, op. cit., 568; A. Torrente, op. cit., 325 ss.; G. Capozzi, op. cit., 1603; G. Bonilini,
op. cit., 383. Vedi anche A. Palazzo, Le donazioni. Artt. 769-809, in Comm. Schlesinger, Milano,
1991, 60 s.
(11)
Cass., 13.5.1987, n. 4394, in Giust. civ., 1987, I, 2251; Cass., 14.2.1977, n. 1411, cit.
(12)
P. Gallo, op. cit., 417; G. Capozzi, op. cit., 1603; G. Bonilini, op. cit., 384.
(13)
U. Carnevali, op. cit., 565; A. Torrente, op. cit., 317 ss.; P. Gallo, op. cit., 418; M. Ermini, op.
cit., 429; G. Bonilini, op. cit., 384. Contra, A. D'angelo, op. cit., 67; B. Biondi, op. cit., 713; G.
Balbi, op. cit., 65.
(14)
P. Gallo, op. cit., 417 s., il quale precisa che ciò non significa che debba esistere un vero e
proprio dovere o un'aspettativa sociale a che l'attribuzione abbia luogo.
(15)
B. Biondi, op. cit., 713.
(16)
Cass., 18.2.1977, n. 737, in Giur. it., 1977, I, 818, con nota di M. Tamponi; secondo la Suprema
Corte, «la donazione rimuneratoria non cessa di essere tale, anche se posta in essere per compensare
un servizio gratuito ricevuto non da parte del donatario, bensì ad opera del di lui padre».
(17)
A. Torrente, op. cit., 302 s.; P. Gallo, op. cit., 418.
(18)
B. Biondi, op. cit., 740 ss.; A. Torrente, op. cit., 303 ss.; P. Gallo, op. cit., 418 s.
(19)
B. Biondi, op. cit., 740 ss.; G. Capozzi, op. cit., 1604.
(20)
A. Torrente, op. cit., 303 ss.; P. Gallo, op. cit., 419.
(21)
B. Biondi, op. cit., 713 ss., il quale precisa che distinguere l'una o l'altra ipotesi non è
indifferente dal punto di vista dell'errore sul motivo.
(22)
B. Biondi, op. cit., 715; U. Carnevali, op. cit., 565; P. Gallo, op. cit., 419; G. Capozzi, op. cit.,
1604; G. Bonilini, op. cit., 384.
(23)
A. Torrente, op. cit., 305; P. Gallo, op. cit., 419 s.; G. Capozzi, op. cit., 1604.
(24)
B. Biondi, op. cit., 715 s.; U. Carnevali, op. cit., 565; G. Capozzi, op. cit., 1604.
(25)
U. Carnevali, op. cit., 565; G. Capozzi, op. cit., 1604; G. Bonilini, op. cit., 384.
(26)
A. Ascoli, Trattato delle donazioni, Milano, 1935, 114 s.
(27)
G. Capozzi, op. cit., 1604; A. Torrente, op. cit., 307 s., il quale afferma che l'opposta opinione
parte dall'erroneo presupposto che sia indispensabile, alla nozione di onerosità, l'estimabilità del
servizio e che, quindi, solo in mancanza di quest'ultimo dato il negozio abbia carattere gratuito.
(28)
F. Maroi, Delle donazioni, Torino, 1936, 75 s.
(29)
A. Cicu, Donazione rimuneratoria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, 1246; B. Biondi, op. cit.,
725; A. Torrente, op. cit., 310 ss.; P. Gallo, op. cit., 411 ss.
In giurisprudenza, vedi: Cass., 11.11.1967, n. 2720, in Foro it., 1968, I, 709; Cass., 29.11.1983, n.
7170, in Giur. it., 1984, I, 1092, con nota di S. Monosi, La natura giuridica della donazione
rimuneratoria: giurisprudenza e dottrina a raffronto e in Giust. civ., 1984, I, 1835, con nota di M.
Costanza, Donazione rimuneratoria e modus; Cass., 1.2.1992, n. 1077, in Giur. it., 1993, I, 630,
con nota di G. M. Pellegrini, Gli atti di liberalità fra donazione rimuneratoria e liberalità d'uso;
Cass., 22.2.1995, n. 1989, in Arch. civ., 1996, 484, con nota di M. De Tilla, La donazione
rimuneratoria; Cass., 14.2.1997, n. 1411, cit.; Cass., 24.10.2002, n. 14981, cit.; Cass., 3.3.2009, n.
5119, cit.
(30)
A. D'angelo, op. cit., 132.
(31)
A. Torrente, op. cit., 310 ss.; P. Gallo, op. cit., 411.
(32)
Cass., 29.11.1983, n. 7170, cit.
(33)
B. Biondi, op. cit., 717 s.
(34)
U. Carnevali, op. cit., 565; A. Torrente, op. cit., 317 ss.; P. Gallo, op. cit., 416 s.; G. Capozzi,
op. cit., 1604; G. Bonilini, op. cit., 384.
(35)
Cass., 17.10.1961, n. 2179, in Giur. it., 1962, I, 1102, con nota di B. Biondi, Negotio mixtum
cum donatione, secondo la quale, «nella donazione rimuneratoria caratterizzata dalla combinazione
di una datio in solutum e di un atto di liberalità, incomberà al giudice di merito l'esame comparativo
tra le due figure negoziali al fine di ricercare la prevalenza dell'una sull'altra: si avrà donazione
rimuneratoria soggetta alla forma solenne e all'atto pubblico, se l'intero negozio sia dominato da uno
spirito di liberalità in modo che la prestazione onerosa assuma funzione del tutto secondaria e
subordinata; si avrà, invece, semplice negozio a titolo oneroso non abbisognevole della forma
solenne, nel caso in cui l'attribuzione patrimoniale sia determinata da un fine di corrispettività che si
rilevi assorbente rispetto all'animuns donandi»; Cass., 17.3.1981, n. 1545, in Riv. not., 1982, II, 89;
Cass., 20.8.1990, n. 8446, in Arch. civ., 1991, 163 e in Mass. Giur. it., 1990, 1006; Cass.,
13.2.1992, n. 1751, in Foro it., 1992, I, 1775; Cass., 13.7.1995, n. 7666, in Giur. it., 1996, I, 1120,
con nota di G. Sicchiero, Negotium mixtum cum donatione, contratto misto e principio di
prevalenza; Cass., 10.4.1999, n. 3499, in Giur. it., 1999, I, 2017; Cass., 29.5.1999, n. 5265, in
Mass. Giust. civ, 1999, 1219, la quale ha stabilito che «la disciplina del negotium mixtum cum
donatione obbedisce al criterio della prevalenza, nel senso che ricorre la donazione remuneratoria
(che esige la forma solenne richiesta per le donazioni tipiche) quando risulti la prevalenza
dell'animus donandi, laddove si avrà invece un negozio a titolo oneroso, che non abbisogna della
forma solenne, quando l'attribuzione patrimoniale venga effettuata in funzione di corrispettivo o di
adempimento di una obbligazione derivante dalla legge o in osservanza di un dovere nascente dalle
comuni norme morali e sociali che si rilevi assorbente rispetto all'animus donandi».
In dottrina, U. Carnevali, op. cit., 566 e P. Gallo, op. cit., 414.
(36)
A. Torrente, op. cit., 322.
(37)
B. Biondi, op. cit., 726.
(38)
B. Biondi, op. cit., 744 ss., il quale, relativamente alla differenza tra donazione rimuneratoria e
obbligazione naturale, afferma che, nell'adempimento di obbligazione naturale, è assente il carattere
della specialità della rimunerazione, ma preesiste un rapporto di obbligazione che si vuole eseguire.
Al contrario, nella donazione rimuneratoria manca totalmente un rapporto di obbligazione, ma
sussiste il carattere della specialità della rimunerazione.
(39)
G. Oppo, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, 262 ss.; L. Gardani Contursi Lisi, op. cit., 83
ss.; U. Carnevali, op. cit., 491; A. Fontana, Adempimento di obbligazione naturale o donazione
rimuneratoria?, in Vita not., 1988, 128 ss., nota ad App. Genova, 18.1.1988; M. Tripani, op. cit.,
517 s.
(40)
A. Fontana, op. cit., 131 s.
Sulla distinzione tra donazione rimuneratoria e obbligazione naturale, vedi anche: F. Tizi, Questioni
sulla donazione remuneratoria: problemi d'individuazione, in Vita not., 1999, III, LXVI ss.; L.
Balestra, Obbligazioni naturali e donazione, in Famiglia, 2002, 591 ss.; F. Badolato, La donazione
rimuneratoria e l'adempimento di obbligazione naturale: una distinzione necessaria?, in Giur.
merito, 2008, 654 ss., nota a Trib. Monza 13.3.2007.
(41)
Cass., 24.10.2002, n. 14981, cit.
(42)
Cass., 24.10.2002, n. 14981, cit. Su un caso analogo, si veda Cass., 10.3.1994, n. 2351, in Foro
it., 1995, 2548.
(43)
App. Genova, 18.1.1988, cit.
(44)
Cass., 17.7.1948, n. 1147, in Foro it., 1949, 951; Cass., 7.10.1954, n. 3389, in Giur. it., 1955, I,
872, con nota di G. Oppo, Sulla definizione della donazione rimuneratoria; Cass., 12.10.1955, n.
3045, in Mass. Giur. it., 1955, 737.
(45)
Cass., 17.1.1958, n. 84, in Foro it., 1959, I, 470; Cass., 25.1.1960, n. 68, in Giust. civ., 1960, I,
478; Cass., 15.1.1969, n. 60, in Foro it., 1969, I, 1512 e in Riv. dir. comm., 1969, II, 403, con nota
di G. B. Ferri, Qualificazione giuridica e validità delle attribuzioni patrimoniali alla concubina;
Cass., 3.2.1975, n. 389, in Foro it., 1975, I, 2301; Cass., 26.1.1980, n. 651, in Mass. Giust. civ.,
1980, 277; Cass., 20.1.1989, n. 285, in Arch. civ., 1989, 489.
In dottrina, vedi: U. Carnevali, op. cit., 567; A. Fontana, op. cit., 134; G. Bonilini, op. cit., 383.
(46)
B. Biondi, op. cit., 752; A. Mora, Le liberalità d'uso, in Tratt. dir. successioni e donazioni, dir.
da G. Bonilini, VI, Milano, 2009, 237 s.; Capozzi, op. cit., 1687.
(47)
U. Carnevali, op. cit., 504; A. Torrente, op. cit., 122.
(48)
U. Carnevali, op. cit., 504 s.; A. Mora, op. cit., 244 s.; B. Biondi, op. cit., 761 s., il quale
aggiunge che la legge richiede la liberalità ed è indifferente il modo o l'atto con cui venga attuata.
Contra, A. Torrente, op. cit., 122 ss., il quale limita le liberalità d'uso alle attribuzioni con effetti
reali.
(49)
B. Biondi, op. cit., 756 ss.; U. Carnevali, op. cit., 505; G. M. Pellegrini, op. cit., 635; G.
Bonilini, op. cit., 382.
(50)
A. Torrente, op. cit., 126.
(51)
B. Biondi, op. cit., 759 s.; U. Carnevali, op. cit., 505.
(52)
U. Carnevali, op. cit., 505, nota 102; A. Torrente, op. cit., 128; G. Capozzi, op. cit., 1692.
(53)
B. Biondi, op. cit., 763; G. Balbi, op. cit., 113; A. Mora, op. cit., 243 s.
(54)
Cass., 10.12.1988, n. 6720, in Nuova giur. civ. comm., 1989, I, 609, con nota di F. Ansalone e in
Giust. civ., 1989, I, 596. La Suprema Corte ha ravvisato una liberalità d'uso nel caso di anelli del
valore di oltre cento milioni di lire, dati in occasione di un fidanzamento ufficiale, considerando che
le parti appartenevano a famiglie benestanti, abituate a regali di particolare entità in detta cerimonia.
In particolare, la Cassazione ha affermato che «il rilevante valore dell'oggetto donato, anche in
relazione alle condizioni economiche del donante, mentre esclude la ricorrenza di una donazione di
modico valore, ai sensi e agli effetti dell'art. 783 c.c., non è ostativa della configurazione di una
liberalità d'uso, secondo la previsione dell'art. 770, 2° co., c.c. (liberalità che non costituisce
donazione in senso stretto e si sottrae alla forma scritta), sussistendo tale ipotesi quando
l'elargizione si uniformi, pure sotto il profilo della proporzionalità con dette condizioni economiche,
agli usi e ai costumi propri di una determinata occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti
tra le parti e della loro posizione sociale». Si veda anche Cass., 24.11.1998, n. 11894, in Vita not.,
1999, 1216, con nota di G. Memmo, L'elargizione di gioielli alla convivente more uxorio può
qualificarsi quale liberalità d'uso?, in cui la Suprema Corte ha affermato che «un'elargizione di
gioielli fatta allo scopo di consentire la prosecuzione di una convivenza, non è assimilabile alla
liberalità d'uso, caratterizzata dal fatto che colui che la compie intende osservare un uso, cioè
adeguarsi ad un costume vigente nell'ambiente sociale di appartenenza, costume che determina
anche la misura dell'elargizione in funzione della diversa posizione sociale delle parti, delle diverse
occasioni ed in proporzione delle loro condizioni economiche, nel senso che comunque la
donazione non debba comportare un depauperamento apprezzabile nel patrimonio di chi la
compie».
(55)
F. Maroi, op. cit., 286; G. Balbi, op. cit., 89 ss.
(56)
U. Carnevali, op. cit., 506.
(57)
A. D'angelo, op. cit., 22.
In giurisprudenza Cass., 5.4.1975, n. 1218, in Foro it., 1975, I, 1984, secondo la quale le liberalità
d'uso si caratterizzano per il fatto «che l'attribuzione non sia del tutto libera e spontanea e che la sua
causa non sia quella di arricchire il donatario, bensì quella di agire secondo il costume vigente».
(58)
G. Oppo, op. cit., 80 ss.; B. Biondi, op. cit., 763 ss.; U. Carnevali, op. cit., 506; G. Capozzi, op.
cit., 1688.
In giurisprudenza, Cass., 3.6.1980, n. 3621, in Giust. civ., 1980, I, 2138, con nota di M. Costanza,
Brevi note sulle liberalità d'uso e in Foro it., 1980, I, 1583, con nota di A. Lener; secondo la
Suprema Corte: «gli usi richiamati dalla norma in esame non reagiscono sulla causa del negozio
tipizzato nella norma stessa. La quale causa, perciò, resta, senza aggiunte o modifiche, quella
propria dei negozi di liberalità: attribuzione patrimoniale gratuita fatta da un soggetto in favore di
un altro soggetto, comportante arricchimento di quest'ultimo, con la consapevolezza nel disponente,
di non esservi tenuto né per un dovere giuridico né per un dovere extragiuridico rilevante per la
legge. Gli usi richiamati hanno si un valore nella normativa delle liberalità d'uso, ma quali moventi
che hanno determinato il soggetto ad effettuare l'attribuzione patrimoniale, cioè nell'aspetto di
motivo».
(59)
B. Biondi, op. cit., 760 ss.; U. Carnevali, op. cit., 507; G. Capozzi, op. cit., 1689.
In giurisprudenza, Cass., 14.1.1992, n. 324, in Giur. it., 1993, I, 630, secondo la quale: la differenza
tra donazione rimuneratoria e liberalità d'uso si fonda «sul movente dell'attribuzione patrimoniale,
che nella donazione rimuneratoria trova nei servizi resi la semplice molla che determina il desiderio
di gratificazione, mentre nelle liberalità d'uso vi trova un parametro di riferimento, che permea
l'attribuzione di un connotato di corrispettività o di adeguamento ad un costume sociale» e Cass.,
1.2.1992, n. 1077, cit., la quale afferma che «si ha donazione rimuneratoria quando l'attribuzione
patrimoniale gratuita è effettuata spontaneamente, nella consapevolezza di non dover adempiere
alcun obbligo giuridico, morale o sociale, per compensare servizi resi e/o promessi dal donatario,
mentre si ha liberalità d'uso quando l'attribuzione sia effettuata per speciale apprezzamento di
servizi in precedenza ricevuti dal donante, o per rispettare l'uso che consiglia di compierla in
determinate occasioni».
(60)
Cass., 10.12.1988, n. 6720, cit.; Cass., 1.2.1992, n. 1077, cit.; Cass., 9.12.1993, n. 12142, in
Mass. Giust. civ., 1993, 1731; Cass., 24.11.1998, n. 11894, cit.; Cass., 18.6.2008, n. 16550, in
Giust. civ., 2009, I, 163, per la quale «la qualificazione giuridica di un'elargizione come liberalità
effettuata in conformità agli usi ex art. 770, 2° co., c.c., deve risultare non solo dal rapporto con la
potenzialità economica del donante, ma anche in relazione alle condizioni in cui si svolge la sua vita
di relazione, oltre che dal concreto accertamento dell'animus solvendi consistente nell'equivalenza
economica tra servizi resi e liberalità e, infine, dall'effettiva corrispondenza agli usi, intesi come
costumi sociali e familiari». Contra, Cass., 14.1.1992, n. 324, cit., secondo la quale: «la differenza
fra donazione rimuneratoria e liberalità d'uso non si fonda sull'elemento oggettivo della proporzione
tra il donato e i servizi resi».
(61)
G. Capozzi, op. cit., 1690.
(62)
U. Carnevali, op. cit., 507; A. Torrente, op. cit., 133; G. Capozzi, op. cit., 1690.
In giurisprudenza, vedi Cass., 3.6.1980, n. 3621, cit., per la quale: «gli usi richiamati non si
traducono in doveri sociali. Si tratta, cioè, non di norme sociali, e quindi vincolanti, ma di semplici
regole di costume non comportanti alcun vincolo».
(63)
G. Oppo, op. cit., 268 ss.; A. Torrente, op. cit., 133; G. Capozzi, op. cit., 1690.
(64)
A. Mora, op. cit., 247.
(65)
B. Biondi, op. cit., 770 s.
(66)
G. Capozzi, op. cit., 1692 s.
(67)
A. Mora, op. cit., 251.
(68)
A. Mora, op. cit., 249; G. Capozzi, op. cit., 1693.
(69)
B. Biondi, op. cit., 773 s.; A. Mora, op. cit., 249. Contra, G. Capozzi, op. cit., 1693.
(70)
A. Mora, op. cit., 252; G. Capozzi, op. cit., 1693.
(71)
G. Capozzi, op. cit., 1693.
(72)
A. Torrente, op. cit., 149.
(73)
B. Biondi, op. cit., 771 s.; A. Torrente, op. cit., 136 s.; A. Mora, op. cit., 249; G. Capozzi, op.
cit., 1693.
(74)
A. Torrente, op. cit., 136 s.; G. Capozzi, op. cit., 1693.
(75)
B. Biondi, op. cit., 771 s.; A. Mora, op. cit., 249.
(76)
A. Mora, op. cit., 247 s.
(77)
B. Biondi, op. cit., 775 ss.; A. Torrente, op. cit., 150 s.; G. Capozzi, op. cit., 1694.
(78)
Cass., 9.5.1983, n. 3147, in Giust. civ., 1983, I, 2641 e in Dir. Fam., 1983, 916, la quale ha
affermato che «l'art. 80, in tema di restituzione dei doni tra fidanzati, si riferisce a quei doni che
siano stati fatti, e sia uso fare, per il solo fatto di considerarsi fidanzati, e che non potrebbero trovare
altra plausibile giustificazione all'infuori della promessa: tali doni trovano fonte nella consuetudine,
non nascono da contratto, né in particolare da un contratto di donazione, non richiedono alcuna
forma o requisito di capacità».
(79)
Cass., 8.2.1994, n. 1260, in Fam. dir., 1994, 274, con nota di R. Pacia Depinguente, Doni
prenuziali, liberalità d'uso e azioni restitutorie; in Giur. it., 1995, I, 684, con nota di A. Budelli,
Mutamento sociale e donazioni prematrimoniali; in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 294, con nota
di A. Riganò; e in Riv dir. civ., 1995, II, 383, con nota di L. Gatt, I doni fatti a causa della promessa
di matrimonio: natura giuridica e limiti al diritto di restituzione.
DOPPIA DONAZIONE IMMOBILIARE La doppia donazione immobiliare: profili risarcitori e restitutori
Alberto Venturelli
FONTE
Obbl. e Contr., 2005, 4, 339
Donazione
Sommario: 1. Il caso - 2. La nullità della donazione di cosa altrui - 3. Donazione dispositiva ed
obbligatoria di cosa altrui - 4. La responsabilità del comune donante e del secondo donatario - 5.
Ingiustificato arricchimento e doppia donazione immobiliare
1. Il caso
Tizio dona a Caio la nuda proprietà di un immobile già goduto, a titolo di usufrutto, da Sempronio.
Quest'ultimo riesce ad indurre Tizio a stipulare una nuova donazione, a suo favore, dello stesso
immobile e a trascriverla prima di quella di Caio, il quale si rivolge al proprio legale per conoscere
quali tutele può concretamente esperire sia verso Tizio che verso Sempronio.
2. La nullità della donazione di cosa altrui
Il conflitto di diritti determinato dalla doppia donazione dello stesso bene immobile trova soluzione
nell'art. 2644, 2° co., c.c., che individua il relativo criterio risolutivo nella tempestiva trascrizione
del contratto ed attribuisce, quindi, la piena proprietà del bene al secondo donatario.
Il carattere oggettivo del sistema di pubblicità immobiliare(1), che trova la sua giustificazione
nell'esigenza di garantire la certezza del traffico giuridico(2), non consente di attribuire alcuna
rilevanza, ai fini della soluzione del problema, all'atteggiamento psicologico del trascrivente, il
quale, approfittando della mancata trascrizione della prima donazione, ha indotto il comune donante
a concludere il secondo contratto: la sua mala fede non gli impedisce di prevalere, nella titolarità del
diritto, anche su chi, pur non avendo trascritto, è tuttavia già diventato, in virtù del principio del
consenso traslativo, legittimo proprietario del bene.
Proprio il contrasto tra questo stesso principio e gli effetti connessi all'attivazione del meccanismo
pubblicitario sembrerebbe consentire una generalizzata estensione, anche alla fattispecie in esame,
delle soluzioni ricostruttive già ampiamente sviluppate(3) per la c.d. doppia alienazione
immobiliare(4).
Tale conclusione, però, presuppone risolto il problema, al quale conviene dedicare maggiore
attenzione, della validità della seconda donazione, che, stante la generale vigenza del principio del
consenso traslativo, concerne un bene altrui.
Nell'ambito degli acquisti a titolo oneroso, l'art. 1478 c.c. legittima l'atto dispositivo di un diritto
non proprio, sicché, nella doppia alienazione immobiliare, la mancanza della titolarità del diritto da
parte del comune autore non incide sulla validità della seconda alienazione(5), né sulla soluzione del
conflitto di diritti garantita dalla tempestiva attivazione del meccanismo pubblicitario(6).
Al contrario, per gli atti a titolo gratuito, la dottrina maggioritaria(7) e la giurisprudenza meno
recente(8) hanno sempre affermato la nullità della donazione di cosa altrui.
Sotto il vigore del c.c. del 1865, tale soluzione trovava un sicuro conforto normativo nell'art. 1050,
il quale definiva la donazione come «un atto di spontanea liberalità, col quale il donante si spoglia
attualmente ed irrevocabilmente della cosa donata in favore del donatario che l'accetta».
Il riferimento all'attualità dello spoglio presupponeva necessariamente l'impossibilità di una
donazione costitutiva di obbligazione e quindi imponeva al donante di essere già titolare del diritto
di cui intendeva disporre(9).
Alla medesima conclusione induceva anche l'espresso richiamo del carattere irrevocabile dell'atto
dispositivo, che impediva di rinviare ad un successivo momento cronologico l'esecuzione della
prestazione traslativa.
La stessa argomentazione è stata riproposta con riferimento all'art. 769 c.c. del 1942, dal quale si
evince che il donante può disporre solo di un bene già «suo»(10).
Dall'art. 771 c.c., che esclude la donazione di beni futuri, sarebbe, inoltre, deducibile un generale
divieto degli atti di liberalità relativi a beni non esistenti, al momento della conclusione del
contratto, nel patrimonio del donante.
Il carattere futuro del bene, in altri termini, concernerebbe sia la sua materiale esistenza (futurità
oggettiva), sia la titolarità del diritto (futurità soggettiva)(11).
In ogni caso, la donazione di bene altrui configurerebbe un atto di liberalità “anticipata”, vietato
dall'ordinamento in virtù di una generale istanza di politica legislativa che impedisce atti di
prodigalità eccessiva non ispirati da una valutazione consapevole dell'impoverimento ad essi
connesso(12).
3. Donazione dispositiva ed obbligatoria di cosa altrui
Le argomentazioni appena riferite non appaiono pienamente condivisibili.
Il richiamo dell'art. 769 c.c. si rivela, anzitutto, parziale perché, limitandosi alla donazione
traslativa, non considera che una delle più importanti innovazioni introdotte dalla codificazione del
1942 concerne il riconoscimento della donazione costitutiva di obbligazione, alla quale può essere
senza dubbio ricondotto il caso in cui il donante si assuma l'obbligo di trasferire, successivamente
alla conclusione del contratto, la proprietà di un bene non ancora suo(13).
Tale obiezione non è confutabile attraverso il richiamo dell'orientamento dottrinale(14), comunque
non pacifico(15), contrario alla riconducibilità di una prestazione di facere nell'ambito della
donazione obbligatoria: nella fattispecie in esame, l'oggetto della prestazione del donante concerne
la consegna del bene e il trasferimento della proprietà sullo stesso, sicché essa assume i contorni di
una prestazione di dare, destinata, però, a trovare attuazione solo in un momento cronologicamente
successivo rispetto alla conclusione del contratto(16).
In realtà, la codificazione della donazione costitutiva di obbligazione ha determinato il definitivo
superamento del presupposto giustificativo dal quale muovevano le posizioni favorevoli alla nullità
della donazione di cosa altrui, incentrato sull'inammissibilità di una vera e propria fase esecutiva.
Secondo tali prospettazioni, infatti, il contratto dovrebbe trovare attuazione nello stesso momento
della stipulazione, in virtù della disposizione attuale ed irrevocabile di un diritto che, proprio per
questo, non potrebbe non esistere già in quel momento nel patrimonio del donante.
La nuova nozione del contratto di donazione, in altri termini, impone un decisivo mutamento
metodologico dell'indagine: ferma restando la piena validità della donazione con la quale il donante
assume l'obbligo di trasferire la proprietà del bene in un momento successivo alla conclusione del
contratto, gli unici dubbi ricostruttivi possono riguardare il caso in cui l'atto assuma la forma
traslativa, sia cioè apparentemente rivolto a garantire l'immediato trasferimento del diritto, ma non
si accompagni all'effettiva e contestuale titolarità dello stesso da parte del donante.
L'adozione di tale metodologia consente una riconsiderazione critica anche dei rapporti tra
donazione di bene altrui e di bene futuro.
La distinzione tra futurità in senso oggettivo e soggettivo, sulla quale essi sono stati finora
impostati, si presenta ambigua ed inidonea a garantire l'applicazione della medesima disciplina a
due fattispecie che risultano essere profondamente diverse(17).
Solo l'esatta individuazione della ratio del divieto di donazione di beni futuri consente di valutare se
esso sia suscettibile di applicazione estensiva anche quando il donante intenda disporre di un bene
non suo.
A tale proposito, si è già osservato che il divieto di cui all'art. 771 c.c. esprime, su un piano di
politica legislativa e di ordine pubblico, l'intenzione di evitare liberalità “anticipate”, assunte senza
la necessaria consapevolezza dell'impoverimento determinato dall'atto donativo.
La medesima esigenza, che giustifica la sanzione di nullità, può essere trasferita fuori dai confini
della donazione di beni futuri solo quando il donante consideri dispositivo l'atto di liberalità, cioè
creda erroneamente di essere proprietario del bene donato: in questo caso, infatti, egli pretende di
trasferire la titolarità di un diritto senza avere la necessaria consapevolezza degli effetti dell'atto che
intende realizzare.
Il suo atteggiamento psicologico non consente di sostenere se non a costo di contrastare
irrimediabilmente con la stessa volontà del donante che egli abbia comunque manifestato
l'intenzione di vincolarsi ad un trasferimento futuro del diritto(18).
Sotto questo profilo, la previsione della nullità trova giustificazione non tanto nel carattere
imperativo dell'art. 771 c.c., quanto piuttosto nella stessa inidoneità funzionale di un atto che, nelle
intenzioni del donante vorrebbe essere dispositivo, ma, in realtà, si caratterizza proprio per l'assenza
di efficacia immediatamente traslativa(19).
La mancanza di titolarità del bene rende, in altri termini, evidente l'impossibilità di uno spoglio
attuale dello stesso e giustifica la relativa previsione di invalidità.
D'altra parte, occorre tener conto che già sulla base dello stesso art. 769 c.c. la disponibilità del
diritto è conformata normativamente nel senso che essa risulta ammissibile solo in relazione ad un
bene proprio del donante, sicché esclusivamente una volontà manifestata inequivocamente al fine di
«donare» un bene altrui potrebbe valere a ricondurre tale «intento dispositivo» all'interno della
diversa nozione di donazione obbligatoria(20).
La conclusione non trova smentita neppure a seguito del più recente intervento della Cassazione in
materia(21), che ha considerato la donazione dispositiva di cosa altrui inefficace e non invalida, in
quanto il divieto di cui all'art. 771 c.c. sarebbe insuscettibile di interpretazione estensiva, perché
contrastante con tutte le altre previsioni normative dedicate agli atti dispositivi di beni futuri.
La posizione, più affermata che motivata(22), si risolve, in realtà, in un'indebita confusione di piani
concettuali.
È evidente che la differenza sostanziale tra le due fattispecie impedisce un'applicazione diretta
dell'art. 771 c.c. al caso della donazione di bene altrui.
Tuttavia, la ratio ispiratrice del divieto esprime un'esigenza di ordine politico-legislativo che
sussiste, inalterata, anche nel caso in cui il donante non sia consapevole dell'altruità del bene. In
quest'ipotesi, il mancato richiamo dell'art. 771 c.c. non consente di evitare la riproposizione del
problema della rilevanza contrattuale dell'atteggiamento psicologico del donante, che sembra
destinato a trovare soluzione solo attraverso il riconoscimento dell'invalidità in presenza di
un'ignoranza circa l'altruità del bene.
Probabilmente, la soluzione ricostruttiva cui perviene la Cassazione trova un'agevole spiegazione
nella fattispecie concreta oggetto della decisione e relativa alla possibilità che la donazione
dispositiva di un bene ritenuto dal donante di sua proprietà costituisca titolo astrattamente idoneo a
consentire il decorrere del termine per l'usucapione immobiliare abbreviata di cui all'art. 1159 c.c.
Allo scopo di tutelare le parti del contratto, entrambe in buona fede, il giudice di legittimità elabora
la soluzione in termini di inefficacia della donazione dispositiva di bene altrui, perché ritiene che
solo in questo modo sia possibile consentire al titolo di assumere rilevanza ex art. 1159 c.c.
Ma tale risultato sarebbe stato più facilmente ottenibile aderendo all'autorevole posizione
dottrinale(23) che, proprio interpretando la disposizione da ultimo citata e muovendo dalla soluzione
in termini di nullità della donazione di cosa altrui, sottolinea la necessità di valutare il «titolo» con
riferimento alla giustificazione del possesso di buona fede, non già all'idoneità traslativa, la quale,
vertendo in un'ipotesi di acquisto a non domino, è per definizione esclusa.
Ne deriva che anche la donazione traslativa di bene altrui, ancorché invalida, può costituire titolo
idoneo ai fini dell'usucapione, laddove si accompagni ad una buona fede in senso soggettivo del
donatario.
È però evidente la sovrapposizione di piani concettuali operata dalla Cassazione, la quale confonde
il problema dei rapporti tra donazione di bene altrui e atteggiamento psicologico del donante, con
quello del tutto diverso della rilevanza del titolo donativo, ancorché invalido, ai fini
dell'accertamento della buona fede del donatario circa l'acquisto del diritto e la conseguente
usucapione dello stesso(24).
La soluzione è del tutto diversa quando risulti evidente che la consapevolezza dell'altruità del bene
sussiste, nel donante, già al momento della conclusione del contratto.
In questo caso, un'evidente ragione di conservazione dell'atto donativo indurrà a ritenerlo valido,
ancorché meramente obbligatorio ed avente ad oggetto la prestazione di procurare l'acquisto del
bene in un momento successivo(25).
Tale liberalità, infatti, non si connota di alcuna “anticipazione” indebita, dal momento che si
accompagna alla consapevole intenzione del donante di trasferire quello che potrà essere trasferito
solo in un secondo momento e quindi di assumere l'obbligo di curare il futuro passaggio della
proprietà.
4. La responsabilità del comune donante e del secondo donatario
Le considerazioni appena svolte consentono di evidenziare una prima, significativa, differenza tra la
fattispecie in esame e la c.d. doppia alienazione immobiliare: quando la seconda donazione è
conclusa da un comune donante in buona fede, la nullità della stessa consentirà al primo donatario
di mantenere la proprietà del bene senza esserne spogliato dalla tempestiva trascrizione della
seconda donazione.
Questa, infatti, è pacificamente(26) inidonea a sanare eventuali vizi di invalidità dell'atto trascritto e
non potrebbe impedire la dichiarazione di nullità della seconda donazione e la conseguente
restituzione materiale del bene al primo donatario(27).
Al contrario, laddove il comune donante risulti consapevole, all'atto della seconda donazione,
dell'altruità del bene già donato, l'estensione delle soluzioni ricostruttive già raggiunte in tema di
doppia alienazione potrà ritenersi ammissibile, sia pure con alcune precisazioni.
Con riferimento alla responsabilità del comune dante causa, occorrerà anzitutto valutare se il
fondamento giustificativo della sua qualificazione in termini contrattuali possa essere individuato
nell'art. 797, n. 2, c.c., che impone l'obbligo di garantire l'evizione derivata dal «dolo o fatto
personale» del donante(28).
In realtà, non sembra che la portata della disposizione sia diversa da quella dell'art. 1487 c.c., che è
pure richiamato, nell'ambito della doppia alienazione, da parte considerevole della dottrina(29), per
giustificare la possibilità che la causa di evizione sia successiva alla conclusione del contratto e
dipenda dal fatto proprio dell'alienante.
In entrambi i casi, il riferimento normativo al fatto «proprio» o «personale» del dante causa mira ad
indicare che, oltre alla violazione della garanzia, occorre individuare una condotta attiva dello
stesso che, già di per sé qualificata, costituisca inadempimento dell'impegno traslativo: il richiamo
della garanzia evizionale, in altri termini, si limita a spostare l'attenzione dall'inadempimento al
fatto ulteriore necessario per aversi la violazione della garanzia e non risolve il reale profilo
problematico della vicenda, rappresentato dal fatto che il trasferimento del diritto al primo avente
causa ha già comportato l'esatto adempimento della prestazione caratterizzante il contratto
dispositivo(30).
Proprio per questo, la violazione lamentata dal primo donatario riguarderà il contenuto del rapporto
contrattuale, il regolamento contrattuale voluto dalle parti al momento della stipulazione e destinato
ad essere rispettato e conservato dal dante causa anche dopo il trasferimento del diritto(31).
In questo modo, potrebbe trovare una coerente sistemazione anche il riferimento al principio di
buona fede operato, in materia di doppia alienazione immobiliare dalla dottrina(32) e dalla
giurisprudenza(33) maggioritarie.
La c.d. lex contractus, infatti, è destinata ad identificarsi con il concreto conseguimento dell'effetto
reale e il suo richiamo consente di collegare l'inadempimento al rapporto contrattuale nel suo
complesso, alla forza di legge del contratto.
La particolare tipologia dei contratti ad effetti reali, in altri termini, impone al comune dante causa
non già un vero e proprio obbligo determinato, ma, piuttosto, il rispetto del programma contrattuale,
dello stesso rapporto già eseguito.
In questo senso, il principio di buona fede disciplinerebbe l'esecuzione del regolamento
contrattuale(34), impedendo al donante, attraverso il divieto di venire contra factum proprium, di
compiere atti contraddittori con la sua precedente dichiarazione di volontà.
Quanto invece alla responsabilità del secondo donatario, le particolari caratteristiche della
fattispecie esaminata consentono di richiamare agevolmente l'orientamento giurisprudenziale che, a
partire dal celebre intervento del 1982(35), ha affermato la responsabilità aquiliana del secondo
acquirente-primo trascrivente in mala fede.
Peraltro, la piena consapevolezza della mancata trascrizione della prima donazione e la volontà di
alterare l'effetto dispositivo voluto con il primo contratto sembrano rappresentare indici pienamente
idonei a configurare una dolosa preordinazione della condotta illecita e quindi ad ammettere la
responsabilità del trascrivente anche secondo la posizione giurisprudenziale(36) più risalente che, sia
pure attraverso meri obiter dicta, aveva riconosciuto l'esperibilità dell'art. 2043 c.c. solo quando si
riuscisse a dimostrare uno specifico intento frodatorio del secondo acquirente.
5. Ingiustificato arricchimento e doppia donazione immobiliare
La doppia donazione immobiliare rappresenta, infine, un campo di osservazione privilegiato per
verificare l'esperibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento in presenza di una circolazione
giuridica lesiva(37).
Il carattere gratuito dell'acquisto derivante dalla tempestiva attivazione del meccanismo
pubblicitario garantisce al secondo donatario un evidente arricchimento, che si identifica
nell'ottenimento materiale del bene.
Tale arricchimento è ingiustificato in quanto frutto di un atto di disposizione su un diritto altrui(38)
che, per quanto valido, si risolve necessariamente in un illecito(39).
L'art. 2038, 2° co., c.c. per il caso in cui il bene indebitamente ricevuto sia alienato, a titolo gratuito,
da un accipiens in mala fede prevede che anche l'acquirente, «qualora l'alienante sia stato
inutilmente escusso», sia obbligato «nei limiti dell'arricchimento verso colui che ha pagato
l'indebito».
La disposizione, se opportunamente coordinata con il capoverso dell'art. 2041 c.c., potrebbe
giustificare la possibilità di agire, nei confronti del secondo donatario, per la restituzione materiale
del bene, obiettivo che, invece, nell'ambito della doppia alienazione immobiliare, è senza dubbio
precluso dall'impossibilità di ottenere un risarcimento in forma specifica nei confronti del secondo
acquirente.
Si tratta però di una soluzione che, al momento, non è confortata da alcun precedente giudiziale e
che solo recentemente è stata prospettata in dottrina(40), sulla base di un'interpretazione estensiva
dell'art. 2038 c.c. che ha consentito di evidenziare la sussistenza nell'ordinamento di un principio
generale in forza del quale il legislatore ha inteso ricondurre alla disciplina dell'ingiustificato
arricchimento tutti i casi in cui la lesione del potere di disposizione ha determinato un
impoverimento (perdita del bene) nel patrimonio del legittimo proprietario attraverso l'attivazione di
meccanismi acquisitivi normativamente predefiniti.
Tale conclusione, inoltre, sembra scontrarsi con il carattere illecito dell'atto dispositivo compiuto
dal comune donante.
Se infatti questi è pacificamente responsabile, in via contrattuale, nei confronti del primo donatario,
la concreta esperibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento nei confronti del trascrivente
potrebbe essere negata in virtù del requisito di sussidiarietà di cui all'art. 2042 c.c., che impedisce il
ricorso allo strumento restitutorio quando sia già concretamente riconosciuta dall'ordinamento altra
forma di tutela anche nei confronti di un soggetto diverso dall'arricchito(41).
L'obiezione non sembra, invero, insuperabile, anche se, ad oggi, è sostenuta da un orientamento
giurisprudenziale pressoché pacifico.
Il concetto di “sussidiarietà”, infatti, evoca per definizione un concorso di rimedi e mira a limitare il
ricorso alla clausola generale dell'art. 2041 c.c. ai soli casi in cui gli altri mezzi di tutela non siano
concretamente esperibili(42).
Il suo ambito di operatività, quindi, non deve essere determinato con riferimento alla “esistenza”
dell'azione alternativa, perché, se così fosse, a ben vedere, non si porrebbe neppure una questione di
sussidiarietà, dal momento che, se non esiste ab origine un'altra azione possibile, idonea a garantire
il medesimo risultato pratico dell'azione di arricchimento, neanche sorgerebbe un problema di
coordinamento tra rimedi.
La soluzione muove piuttosto da una valutazione di convenienza: il legislatore ha dettato una norma
generale che sanziona gli spostamenti di ricchezza ingiustificati; essa, però, proprio perché
generale, deve trovare applicazione quando la sua funzione non può essere garantita da altre
disposizioni e ciò accade se le altre azioni, per qualunque causa, sono venute meno.
Ne deriva che il requisito della sussidiarietà fissa un criterio interpretativo generale, che impone
all'impoverito di scegliere i rimedi diversi da quello restitutorio, nella misura in cui essi siano in
grado di garantirgli la medesima tutela dell'art. 2041 c.c.
Tale requisito non può quindi essere invocato per negare l'esercizio dell'azione restitutoria in una
fattispecie, come quella qui esaminata, nella quale solo attraverso essa potrebbe essere garantito il
ritorno dell'immobile nel patrimonio del primo donatario.
Ciò non toglie che la lettera dell'art. 2038 c.c. limita l'operatività del rimedio verso il secondo
avente causa al solo caso in cui il comune dante causa sia stato «inutilmente escusso».
La migliore dottrina(43), inoltre, osservando che l'azione potrebbe essere evitata da un pagamento
volontario dell'alienante anche quando il solvens intenda ottenere esclusivamente la restituzione
materiale, consente all'acquirente di liberarsi dall'obbligo pagando il valore del bene, ancorché
questo sia ancora nel suo patrimonio al momento della domanda.
Le possibilità concrete di agire direttamente verso il secondo donatario ex art. 2041 c.c. risultano
quindi, nel complesso, oltremodo basse e solo un'articolata combinazione di circostanze potrebbe
garantire la materiale restituzione del bene.
----------------------(1)
Sul tema cfr., per tutti, Trabucchi, La pubblicità immobiliare: un sistema in evoluzione, in Riv.
dir. ipotecario, 1982, 117; Ferri e Zanelli, Della trascrizione immobiliare, 3a ed., in Comm. Scialoja
e Branca, Bologna-Roma, 1995, 53; F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, 2a ed., I, in Comm.
Schlesinger, Milano, 1998, 33 ss.
(2)
Così si esprime la Relazione al libro della Tutela dei diritti (n. I): «in una materia così delicata e
in un'epoca come la presente in cui si torna a rivalutare la proprietà fondiaria come sorgente
fondamentale della ricchezza della nazione, è più che mai opportuno sacrificare al bisogno di
certezza dei rapporti l'eventuale esigenza, del resto estranea in questa materia al costume del nostro
popolo, di una maggiore snellezza e rapidità». La necessità di garantire una soluzione del conflitto
di diritti indifferente all'atteggiamento psicologico del trascrivente era, peraltro, già ampiamente
avvertita sotto il vigore del c.c. del 1865. Cfr., per tutti, Mirabelli, Dei principii fondamentali
dell'istituto della trascrizione e delle conseguenze che ne derivano, in Id., Dei diritti dei terzi
secondo il codice civile italiano, I, Torino, 1889, 142: «si è detto che, quando un'alienazione è già
nota, sia un proteggere la mala fede se si preferisce il secondo al primo acquirente, che conosca la
prima alienazione e ciò non pertanto ha acquistato. ... Ma chi vieta al primo acquirente di trascrivere
il suo contratto, di renderlo così perfetto erga omnes? Aprire la porta alla teorica degli equivalenti è
introdurre l'incertezza, dove ad agevolare il commercio di fondi e la circolazione del credito si è
voluto dare la maggiore garentìa colla pubblicità degli atti con una duplice forma, l'iscrizione e la
trascrizione». Similmente, Stolfi, La trascrizione nell'ordinamento italiano e francese, in Riv. dir.
comm., 1978, I, 295: «mancherebbe la certezza dei diritti, ed in conseguenza, verrebbe scossa la
sicurezza del credito specialmente fondiario qualora i dati risultanti dai registri immobiliari si
potessero eliminare in tutto o in parte dall'esito di prove mal sicure o magari fallaci, necessarie per
determinare se, in quel tale giorno, il terzo fosse a conoscenza della esistenza di un titolo anteriore
al suo e derivante dal medesimo autore». Più recentemente, cfr. Ferri e Zanelli, op. cit., 54, secondo
i quali la sicurezza dei traffici perseguita dal sistema della trascrizione «può venire raggiunta solo
attraverso la posizione di principi perentori, i quali determinano, con taglio netto, il confine fra gli
interessi da salvare e quelli da sacrificare ... Per raggiungere questo fine, bisogna porre dei dati di
facile e sicuro rilevamento, come è la pubblicità nel suo aspetto positivo (pubblicità attuata) e nel
suo aspetto negativo (pubblicità mancata) e su tali dati basare ogni decisione, trascurando gli
elementi di ordine psicologico e per ciò stesso di incerto o difficile accertamento. Chi ha trascritto
per il suo acquisto, lo fa salvo, solo perché ha trascritto ed in quanto ha trascritto: chi non ha
trascritto, rischia di dover perdere in giudizio, solo perché non ha trascritto ed in quanto non ha
trascritto».
(3)
Cfr. Costanza, Doppia vendita immobiliare e responsabilità del secondo acquirente di mala fede,
in Riv. dir. civ., 1983, I, 520 ss.; Poletti, Doppia alienazione immobiliare e «responsabilità
extracontrattuale da contratto», in Contratto e impresa, 1991, 733 ss.; Casella, La doppia
alienazione immobiliare: un dibattito sempre aperto, in Riv. dir. civ., 1993, II, 517 ss.; E. Gabrielli,
Doppia alienazione e trascrizione nella teoria dei fatti illeciti (problemi e prospettive), in
Quadrimestre, 1993, 22 ss.; e in Id., Studi sui contratti, Torino, 2000, 275 ss.; Id., La doppia
vendita immobiliare, in Dir. priv., 1995, 303 ss.; e in Id., Studi sui contratti, cit., 389 ss.; Muccioli,
Doppia alienazione immobiliare e tutela del primo acquirente, in Riv. dir. comm., 1994, I, 681 ss.;
Doria, Doppia alienazione immobiliare e teoria dell'effetto reale. Il problema della responsabilità
dell'alienante e del secondo acquirente, Milano, 1994, passim; F. Gazzoni, op. cit., 533 ss.;
Ferrante, La tutela risarcitoria contro la doppia alienazione immobiliare, in Contratto e impresa,
1999, 1115 ss.; Busani, La doppia alienazione immobiliare. Rassegna di giurisprudenza, in Nuova
giur. comm., 2003, II, 73 ss. Per una sintesi giurisprudenziale in materia di doppia alienazione
immobiliare, sia consentito, infine, il rinvio a Venturelli, La doppia alienazione immobiliare tra
risarcimento e restituzioni: la posizione della giurisprudenza, in Obbl. e contr., 2005, 232 ss.
(4)
Tale è la conclusione cui perviene in giurisprudenza Cass., 1.10.2004, n. 20721, in Nuova giur.
comm., 2005, I, 631 ss., con nota di C. Camilleri, Vecchi e nuovi interrogativi in tema di doppio
trasferimento immobiliare: la ricerca dei criteri di responsabilità e il caso della doppia donazione
immobiliare.
(5)
Non a caso, l'unica pronuncia giurisprudenziale favorevole alla nullità della seconda alienazione
ha richiamato l'art. 1345 c.c., fondando la soluzione sull'illiceità della dolosa preordinazione volta a
danneggiare l'acquisto del primo acquirente. Cfr. Trib. Foggia, 11.6.1948, in Riv. trim. dir. e proc.
civ., 1949, 481 ss., con nota di Tateo, Trascrizione e buona fede contrattuale, cui aderisce, in
dottrina, Novara, La responsabilità del terzo complice nell'inadempimento del contratto, in Temi,
1952, 92. La nullità della seconda alienazione è stata, però, espressamente esclusa da Trib. Messina,
27.7.1961, in Giur. siciliana, 1961, 729 s.; Cass., 11.4.1991, n. 3815, in Giur. it., 1991, I, 1, 1155
ss., con nota di Chianale, Le sabbie mobili dei precedenti in Italia. Il caso della doppia vendita
immobiliare.
(6)
Ciò non esclude che la riconduzione della seconda alienazione alla categoria della vendita di cosa
altrui possa incidere sulla spiegazione del meccanismo acquisitivo di cui all'art. 2644 c.c. Proprio
per questa ragione, ampia parte della dottrina è favorevole alla riconduzione della doppia
alienazione immobiliare alla categoria degli acquisti a non domino: cfr. U. Natoli, Doppia
alienazione immobiliare e azione revocatoria, in Giur. compl. Cass. civ., 1948, III, 1187 ss. (da cui
la successiva citazione); e in Id., Diritti fondamentali e categorie generali. Scritti di Ugo Natoli,
Milano, 1993, 783 ss.; Id., Il conflitto dei diritti e l'art. 1380 del codice civile, Milano, 1950, 181
ss.; Id., Della trascrizione, in Comm. cod. civ., VI, 1, Torino, 1970, 90 ss.; Id., Conflitto di diritti, in
Digesto civ., III, Torino, 1988, 449 s., testo e nt. 4; Bosetti, Note in tema di duplice alienazione
successiva di uno stesso immobile: trascrizione e stati soggettivi, in Il principio di buona fede.
(Giornata di studio. Pisa, 14.6.1985), Milano, 1987, 134; Poletti, op. cit., 738; Navarretta, La causa
e le prestazioni isolate, Milano, 2000, 150. Contra, però, Nicolò, La trascrizione. Appunti dal corso
di diritto civile, I, Milano, 1973, 22; Mengoni, Gli acquisti «a non domino», 3a ed., Milano, 1975,
10; Vettori, Consenso traslativo e circolazione dei beni. Analisi di un principio, Milano, 1995, 91;
Nicolussi, Lesione del potere di disposizione e arricchimento. Un'indagine sul danno non
aquiliano, Milano, 1998, 691 s., testo e note 152 e 153; R. Messinetti, Acquisti a non domino, in
Enc. dir., Agg., III, Milano, 1999, 41 ss.
(7)
Cfr. Scuto, Le donazioni, Catania, 1928, 584 ss.; Id., Le donazioni, Napoli, 1952, 151; SantoroPassarelli, Irreversibilità in favore di terzi dei beni donati, in Foro it., 1933, I, 218; e in Id., Saggi di
diritto civile, II, Napoli, 1961, 844; Ascoli, Trattato delle donazioni, 2a ed., Milano, 1935, 207;
Cariota Ferrara, I negozi sul patrimonio altrui, con particolare riguardo alla vendita di cosa altrui,
Padova, 1936, 378 ss.; Maroi, Delle donazioni, Torino, 1936, 103 e 303; Rubino, La fattispecie e gli
effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 407 e 436; Butera, Codice civile italiano commentato
secondo l'ordine degli articoli: libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni, Torino,
1940, 503; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, II, 1, 8a ed., Milano, 1950, 328;
Barassi, Diritti reali e possesso, II, Milano, 1952, 452; Funaioli, La donazione, Pisa, 1950, 78;
Torrente, La donazione, in Tratt. Cicu e Messineo, XXII, Milano, 1956, 411 ss.; Montel, La
donazione di cosa mobile altrui ed il principio «possesso vale titolo», in Dir. e giur., 1957, 189; Id.,
Il possesso, 2a ed., in Tratt. Vassalli, V, 4, Torino, 1962, 206; Barbero, Sistema del diritto privato
italiano, 2a ed., Torino, 1962, 302, testo e nt. 3; Balbi, La donazione, in Tratt. Grosso e SantoroPassarelli, II, 4, Milano, 1964, 43; Scalisi, Inefficacia, in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 358;
Mengoni, op. cit., 27 ss.; De Martino, Possesso, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1978,
52; Carnevali, Le donazioni, 2a ed., in Tratt. Rescigno, VI, 2, Torino, 1997, 527; Capozzi,
Successioni e donazioni, II, 2a ed., Milano, 2002, 799.
(8)
Cfr. App. Bari, 4.10.1950, in Rep. Foro it., 1950, Donazione, n. 6; Cass., 20.12.1985, n. 6544,
ivi, 1985, Usucapione, n. 8; Trib. Vallo della Lucania, 13.4.1992, in Dir. e giur., 1992, 525 ss., con
nota di Ruggiero, Donazione di cosa altrui e di cosa eventualmente altrui; e in Arch. civ., 1992, 708
ss.; Cass., 18.12.1996, n. 11311, in Contr., 1997, 460 ss., con nota di Bonilini, Preliminare di
donazione da parte di enti pubblici.
(9)
Cfr. Scuto, op. cit., 584 ss.; Rubino, op. cit., 407 s., testo e nt. 5; Mirabelli, Spunti in tema di
donazione, in Vita notarile, 1971, 337. Non a caso, secondo Cottino, Le donazioni nel diritto civile
italiano, Torino, 1913, 19, la donazione è simile alla compravendita, perché entrambe implicano
«alienazione di una cosa», a titolo, rispettivamente, gratuito ed oneroso. Similmente, Vitali, Delle
donazioni, in Il diritto civile italiano secondo la dottrina e la giurisprudenza, a cura di Brugi,
Napoli-Torino, 1925, 46.
(10)
Cfr. Argiroffi, Del possesso di buona fede di beni mobili, in Comm. Schlesinger, Milano, 1988,
119; F.M. Gazzoni, Donazione di cosa altrui e usucapione abbreviata, in Riv. notariato, 2001, 872.
(11)
Cfr. Torrente, op. cit., 412: «questa soluzione coincide, a nostro avviso, con il fine, che il
legislatore persegue, di infrenare la prodigalità, limitando l'autonomia del donante
all'impoverimento attuale, e cioè relativo ai beni esistenti nel suo patrimonio. La ratio del divieto di
donare cose future conduce ad attrarre nella proibizione anche i beni altrui. Del resto, il concetto di
bene futuro è inteso non solo in senso oggettivo (bene non esistente in rerum natura) ma anche
soggettivo (bene che non fa parte del patrimonio del disponente)». La distinzione tra futurità in
senso oggettivo e soggettivo è introdotta da Biondi, I beni, 2a ed., in Tratt. Vassalli, IV, 1, Torino,
1956, 172; Id., Le donazioni, ivi, XII, 4, Torino, 1961, 340, il quale, però, precisa che alle due
categorie corrisponde una diversa regolamentazione giuridica.
(12)
Cfr. Giannattasio, Delle successioni. Divisione. Donazione, in Comm. cod. civ., Torino, 1980,
217; Spano, L'invalidità della donazione, in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, II, Padova,
1994, 239.
(13)
Cfr. Balbi, op. cit., 43; Biondi, Le donazioni, cit., 346 ss.; Gardani Contursi Lisi, Delle
donazioni, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1976, 109 s.; Gentile, Il possesso, 2a ed., in
Giur. sist. Bigiavi, Torino, 1977, 258 e 347 ss.; Lenzi, La donazione obbligatoria, in Riv. notariato,
1990, I, 937 s. (da cui la successiva citazione); e in Successioni e donazioni, II, cit., 220 ss.;
Palazzo, Le donazioni, 2a ed., in Comm. Schlesinger, Milano, 2000, 102; Id., I singoli contratti, 2,
Atti gratuiti e donazioni, in Tratt. Sacco, Torino, 2000, 344; Pellegrini, La donazione costitutiva di
obbligazione, Milano, 2004, 40. Sull'evoluzione storica della materia cfr. Piccinini, Profili della
donazione dal codice 1865 ad oggi, in Riv. dir. civ., 1992, II, 173 ss.
(14)
Cfr., ex plurimis, Balbi, Saggio sulla donazione, Torino, 1942, 118; Giannattasio, op. cit., 199;
Chianale, Donazione in diritto comparato, in Digesto civ., VII, Torino, 1991, 183; Galgano, Il
negozio giuridico, 2a ed., in Tratt. Cicu e Messineo, Milano, 2002, 90.
(15)
Sostengono l'ammissibilità di una donazione obbligatoria avente ad oggetto una prestazione di
facere Biondi, op. ult. cit., 390; Cataudella, La donazione mista, Milano, 1970, 166 ss.; Id.,
Donazione e liberalità, in Studi in onore di Pietro Rescigno, I, Milano, 1998, 173; Flamini, Il
trasporto amichevole, Napoli, 1977, 133; Lenzi, op. cit., 932; Angeloni, Liberalità e solidarietà.
Contributo allo studio del volontariato, Padova, 1994, 196 ss.; D'Ettore, Intento di liberalità e
attribuzione patrimoniale. Profili di rilevanza donativa delle obbligazioni di fare gratuite, Padova,
1996, 10 ss.; Id., Liberalità, principio di gratuità ed esecuzione della promessa gratuita ed
informale di fare, in Le liberalità alle soglie del terzo millennio, a cura di Biscontini e Marucci,
Napoli, 2003, 35 ss.; D'Angelo, Le promesse unilaterali, in Comm. Schlesinger, Milano, 1996, 326
ss.; Bonilini, Donazione obbligatoria di non fare, in Contr., 1998, 195; Id., La donazione costituiva
di obbligazione, in La donazione, a cura di Bonilini, I, Torino, 2001, 662 ss.; Gianola, La donazione
di fare, in Riv. dir. civ., 2001, I, 385 ss.; Id., Atto gratuito, atto liberale. Ai limiti della donazione,
Milano, 2002, 137 ss.; Pellegrini, op. cit., 51 ss.
(16)
Cfr. Palazzo, Le donazioni, cit., 102; F.M. Gazzoni, op. cit., 869. Sui generis la posizione di
Pellegrini, op. cit., 24 ss., il quale ritiene che anche la prestazione di trasferire la proprietà rientri in
una prestazione di facere, che, però, sarebbe genericamente ammissibile anche nella donazione.
(17)
Fondamentale l'insegnamento di Perlingieri, I negozi sui beni futuri, I, La compravendita di cosa
futura, Napoli, 1962, 17. Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, cfr. Ferrante,
Donazione di cosa altrui: una sentenza eccentrica della Cassazione, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
2002, 285 s.: «il concetto di futurità soggettiva, così abilmente elaborato, non può oscurare la
profonda lontananza che separa, in fatto e in diritto, ciò che non esiste in natura da ciò che rimane
semplicemente estraneo ad un determinato patrimonio. Infatti per cosa futura s'intende abitualmente
ogni res che all'atto di una data stipulazione difetta di esistenza materiale o quantomeno d'autonoma
esistenza giuridica, mentre rispetto a tale paradigma la cosa altrui può risultare tanto presente
quanto futura. ... Pare pertanto che il concetto di futurità soggettiva, una sorta di travisamento
sapiente dell'altruità, non sottenda alcuna identificabilità ontologica, ma sia invece il frutto di
un'operazione puramente logica, funzionale ad estendere appunto per ragioni logiche e non
ontologiche l'ambito dell'art. 771, primo comma, c.c. Se è così, l'eventuale estensione del divieto
potrebbe al più argomentarsi in base all'eadem ratio, ma non in base all'immedesimazione dei
termini altruità e futurità, immedesimazione che pare il presupposto, ma non l'esito del processo
interpretativo».
(18)
Cfr. Gardani Contursi Lisi, op. cit., 110; F.M. Gazzoni, op. cit., 868. Più articolata la posizione
di D'Auria, La donazione di beni altrui. Sul concetto di titolo astrattamente idoneo e di liberalità, in
Giur. it., 2001, 1599, secondo il quale «se il donante non è consapevole dell'altruità della cosa ...
l'atto donativo sarebbe privo di fatto del depauperamento del donante».
(19)
Contra Palazzo, Le donazioni, cit., 102; Id., I singoli contratti, 2, Atti gratuiti e donazioni, cit.,
344, secondo il quale se il donante «ritiene propria la cosa, la donazione è impugnabile per errore».
(20)
Secondo Mengoni, op. cit., 27, «per la qualificazione dell'atto come donazione obbligatoria non
è sufficiente la conoscenza dell'alienità della cosa; occorre una manifestazione di volontà del
donante precisamente diretta all'assunzione di quell'obbligazione».
(21)
Cfr. Cass., 5.2.2001, n. 1596, in Giur. it., 2001, 1595 ss., con nota di D'Auria, op. cit.; in
Corriere giur., 2001, 756 ss., con nota di V. Mariconda, Donazione di cosa altrui ed usucapione
abbreviata di immobili; in Nuova giur. comm., 2001, I, 679 ss., con nota di Rinaldi, La donazione di
beni altrui tra nullità ed inefficacia; in Riv. notariato, 2001, 862 ss., con nota di F.M. Gazzoni, op.
cit.; in Notariato, 2001, 454 ss., con nota di Lomonaco, La donazione di beni altrui tra nullità ed
inefficacia; e in Contr., 2001, 763 ss., con nota di Ferrario, Usucapione immobiliare abbreviata e
donazione di bene altrui. La sentenza risulta altresì ampiamente commentata da Morelato,
Donazione di bene altrui ed usucapione immobiliare abbreviata, in Contratto e impresa, 2002, 981
ss.; e da Ferrante, op. ult. cit., 281 ss.
(22)
In merito al profilo problematico del rapporto tra donazione di beni futuri e donazione di beni
altrui, Cass., 5.2.2001, n. 1596, cit., si limita a precisare: «la nullità ... di tale donazione ex art. 771
c.c. potrebbe essere affermata solo ove l'interpretazione (letterale e logica) di tale ultima norma
consentisse di considerare beni futuri i beni non ancora del donante, ma esistenti in rerum natura ed
appartenenti ad altri, ma non per via di interpretazione analogica, in considerazione della natura
eccezionale della norma in questione. ... A prescindere dall'argomento logico costituito dal fatto
che, ad altri fini, il legislatore ha considerato separatamente gli effetti dell'atto di disposizione di
beni futuri e di beni altrui (artt. 1472 e 1478 ss. c.c.), occorre considerare che l'art. 771, 1° co., c.c.
espressamente stabilisce che se la donazione “comprende beni futuri è nulla rispetto a questi, salvo
che si tratti di frutti non ancora separati”. Appare evidente, dalla formulazione di tale norma, il
riferimento del divieto ai soli beni non ancora esistenti in rerum natura». V. Mariconda, op. cit.,
758, sottolinea che la motivazione della Cassazione è «più apparente che reale».
(23)
Cfr. Mengoni, op. cit., 223 s., espressamente richiamato da V. Mariconda, op. cit., 760; Ferrante,
op. ult. cit., 295; e Morelato, op. cit., 984. In giurisprudenza cfr. App. Milano, 7.12.1954, in Riv.
dir. comm., 1955, II, 109 ss. Secondo Carnevali, op. cit., 528; Lisella, I presupposti della regola
«possesso vale titolo», in Rass. dir. civ., 1999, 542; Palazzo, Le donazioni, cit., 102 s.; Id., I singoli
contratti, 2, Atti gratuiti e donazioni, cit., 344, la nullità della donazione di cosa altrui avrebbe
rilevanza solo interna e non impedirebbe al donatario di concludere altri atti astrattamente idonei al
trasferimento della proprietà (ad esempio ai fini dell'art. 1153 c.c.). Contra, però, F.M. Gazzoni, op.
cit., 874; Carusi, Le obbligazioni nascenti dalla legge, in Trattato di diritto civile del Consiglio
Nazionale del Notariato, diretto da Perlingieri, III, 15, Napoli, 2004, 204 s., testo e nt. 500.
(24)
Similmente, già prima dell'intervento della Cassazione, Lisella, op. cit., 541: «la fattispecie
acquisitiva, infatti, è in funzione della tutela dell'affidamento del terzo acquirente possessore di
buona fede; perciò in essa non viene in evidenza la ratio dell'art. 771, primo comma, c.c., che tende
a proteggere gli interessi del donante». Cfr. anche Sacco e Caterina, Il possesso, 2a ed., in Tratt.
Cicu e Messineo, VII, Milano, 2000, 484, nt. 20.
(25)
Cfr. Ascoli, op. cit., 302; Biondi, Le donazioni, cit., 550; Oppo, Recensione a Biondi, Le
donazioni, in Riv. dir. civ., 1963, I, 489; Rinaldi, op. cit., 685; Pellegrini, op. cit., 42. Contra, però,
Mengoni, op. cit., 27; secondo D'Auria, op. cit., 1598, invece, «se il donante è in mala fede, ovvero
sa dell'altruità del bene e non la comunica al donatario, il titolo sarebbe invalido dal punto di vista
causale, posto che verrebbe meno l'animus donandi nella sua generalmente ammessa accezione
psicologica».
(26)
Cfr., per tutti, Maiorca, Della trascrizione degli atti relativi a beni immobili, in Comm.
D'Amelio, VI, Firenze, 1943, 5; Nicolò, op. cit., 84; Gentile, Trascrizione, in Noviss. Dig. It., XIX,
Torino, 1973, 530; Marsano, La pubblicità immobiliare: la trascrizione, in Riv. notariato, 1991,
958; De Lise, Trascrizione, I, In generale, in Enc. giur., XXXIX, Roma, 1994, 3. Sulla c.d.
«funzione sanante» della trascrizione, v. ora Pilia, Circolazione giuridica e nullità, Milano, 2002.
(27)
Cfr. F. Gazzoni, op. cit., 474. Nell'ambito della doppia alienazione immobiliare, invece, la già
ricordata validità della vendita di cosa altrui non consente di alterare l'acquisizione della proprietà
sull'immobile connessa alla tempestiva attivazione del meccanismo pubblicitario. Le pur rare
ipotesi di buona fede del comune autore (ne ipotizza alcuni esempi Ferrante, La tutela risarcitoria
contro la doppia alienazione immobiliare, cit., 1124 ss.) potrebbero, quindi, incidere soltanto sulla
sua responsabilità contrattuale e sull'ammissibilità di un'azione di ingiustificato arricchimento nei
confronti del secondo acquirente in buona fede.
(28)
Sostengono la necessità di applicare tale disposizione quando il donante alieni il bene già
donato, Ascoli, op. cit., 302; Torrente, op. cit., 509 s.; Giannattasio, op. cit., 309; Palazzo, Le
donazioni, cit., 453. Contra, però, Pellegrini, op. cit., 41 s., testo e nt. 53, secondo il quale la
disposizione in esame troverebbe applicazione solo quando la causa dell'evizione sia antecedente
alla conclusione del contratto e quindi giustificherebbe la validità della stessa donazione di beni
altrui.
(29)
Cfr. Luzzatto, La compravendita, ed. postuma a cura di Persico, Torino, 1961, 229; Russo, La
responsabilità per inattuazione dell'effetto reale, Milano, 1965, 256; C.M. Bianca, La vendita e la
permuta, in Tratt. Vassalli, VII, 2, Torino, 1972, 751; De Cupis, Trascrizione immobiliare e tutela
del primo acquirente, in Giur. it., 1986, IV, 10; Franzoni, La tutela aquiliana del contratto nella
casistica giurisprudenziale, in Rass. dir. civ., 1989, 30; Id., Dei fatti illeciti, in Comm. Scialoja e
Branca, Bologna-Roma, 1993, 232; Id., Degli effetti del contratto, I, in Comm. Schlesinger, Milano,
1998, 279 s.; Doria, op. cit., 141 ss.; Ferri e Zanelli, op. cit., 58; Moscati, Il contratto e la
responsabilità dei terzi, in Gli effetti del contratto nei confronti dei terzi nella prospettiva storicocomparatistica, IV Congresso internazionale Aristec. Roma, 13-16.9.1999, a cura di Vacca, Torino,
2001, 264.
(30)
Cfr. Triola, Trascrizione, in Enc. dir., XLIV, Milano, 1992, 948; Muccioli, op. cit., 694; F.
Gazzoni, op. cit., 575.
(31)
Cfr. Osti, Contratto, in Noviss. Dig. It., IV, Torino, 1959, 532; Castronovo, Le frontiere nobili
della responsabilità civile, in Riv. critica dir. priv., 1989, 567 s.; Sicchiero, La trascrizione e
l'intavolazione, in Giur. sist. Bigiavi, Torino, 1993, 147.
(32)
Cfr. Gorla, La compravendita e la permuta, in Tratt. Vassalli, VII, 1, Torino, 1937, 103 s.;
Branca, Buona fede e doppia alienazione immobiliare, in Foro it., 1965, I, 1745; Muccioli, op. cit.,
702 ss.; Id., La responsabilità del venditore nell'ipotesi di conflitto tra alienazione ed iscrizione
ipotecaria sul medesimo bene, in Riv. dir. comm., 1998, I, 526 ss.; Id., Efficacia del contratto e
circolazione della ricchezza, Padova, 2004, 129 s., nt. 62; Gambaro, Il diritto di proprietà, in Tratt.
Cicu e Messineo, VIII, 2, Milano, 1995, 731; Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, 2a
ed., Padova, 1999, 205; Ferrante, La tutela risarcitoria contro la doppia alienazione immobiliare,
cit., 1139 s.
(33)
Cfr. Cass., 27.3.1965, n. 518, in Foro it., 1965, I, 1743 ss., con nota di Branca, op. cit.; Cass.,
6.4.1978, n. 1579, in Giust. civ., 1978, I, 1007; Cass., 15.6.1988, n. 4090, in Arch. resp. civ., 1988,
1047 ss.; in Resp. civ. prev., 1988, 984 ss., con nota di Benacchio, Doppia vendita immobiliare:
tutela o responsabilità del secondo acquirente in mala fede?; in Foro it., 1989, I, 1568 ss., con nota
di Casadonte; in Nuova giur. comm., 1989, I, 307 ss., con nota di Verzoni; e in Riv. notariato, 1989,
1259 ss.; Cass., 21.3.1989, n. 1403, in Foro it., 1990, I, 222 ss., con nota di Cosentino,
L'inadempimento efficiente nuovamente al vaglio della Cassazione; e in Riv. notariato, 1990, 550;
Trib. Cagliari, 17.10.1997, in Riv. giur. sarda, 1999, 447 ss., con nota di Atzori, Note in tema di
doppia alienazione immobiliare; Cass., 2.2.2000, n. 1131, in Giust. civ., 2000, I, 1687 ss., con nota
di Triola, Doppia alienazione e azione revocatoria; in Vita notarile, 2000, 330 ss.; e in Nuova giur.
comm., 2001, I, 245 ss., con nota di Varano, L'azione revocatoria ordinaria e la doppia alienazione
immobiliare.
(34)
Similmente, Breccia, Le obbligazioni, in Tratt. Iudica e Zatti, Milano, 1991, 375: «per risolvere
il problema occorre affermare, non senza qualche acrobazia concettuale, che il riferimento alla
buona fede oggettiva al piano dell'esecuzione del contratto non presupponga la necessaria
mediazione di una specifica obbligazione: l'atto avrebbe una sua sfera di vincolatività che
direttamente promanerebbe dalla fase della sua formazione e dalla funzione che ne
contraddistinguerebbe lo schema tipico; alla buona fede spetterebbe di precisare l'ambito dei
contegni esigibili con riguardo, in senso lato, a un vincolo contrattuale di per sé destinato a
riverberare i suoi effetti su quelle vicende che, quand'anche cronologicamente successive, siano
strettamente connesse allo scambio».
(35)
Cfr. Cass., 8.1.1982, n. 76, in Foro it., 1982, I, 397 ss., con nota di R. Pardolesi; in Giur. it.,
1982, I, 1, 1547 ss., con nota di Cirillo, Duplice alienazione immobiliare e responsabilità
dell'acquirente; in Resp. civ. prev., 1982, 174 ss., con nota di Benacchio, Alienazione successiva di
uno stesso immobile e responsabilità del secondo acquirente; in Riv. dir. civ., 1983, II, 678 ss., con
nota di Danusso, Responsabilità del secondo acquirente nella doppia vendita immobiliare; in Riv.
notariato, 1982, 145 ss.; e in Giust. civ., 1982, I, 607 ss. Successivamente al 1982 la responsabilità
del secondo acquirente in mala fede è stata riaffermata, anche attraverso obiter dicta, da Cass.,
22.11.1984, n. 6006, in Rep. Foro it., 1984, Trascrizione, n. 24; Cass., 15.6.1988, n. 4090, cit.;
Cass., 18.8.1990, n. 8403, in Foro it., 1991, I, 2473 ss., con nota di Caso; Trib. Catania, 31.10.1990,
ivi, 1249 ss. con nota di Caso, La parabola del buon notaio e del primo trascrivente men che
malizioso; Trib. Verona, 4.3.1991, in Giur. di Merito, 1992, I, 569 ss.; e in Giur. it., 1993, I, 2, 286
ss., con nota di Chiné, Doppia alienazione immobiliare di beni in comunione ereditaria: un caso
particolare di responsabilità; Trib. Potenza, 20.6.1991, in Giur. di Merito, 1993, I, 364 ss.; Cass.,
17.12.1991, n. 13573, in Rep. Foro it., 1991, Trascrizione, n. 27; Cass., 13.1.1995, n. 383, in Riv.
notariato, 1995, 1564 ss., con nota di Spagnuolo; e in Corriere giur., 1995, 601 ss., con nota di
Maienza, Responsabilità dell'acquirente di mala fede di immobile oggetto di domanda giudiziale
non trascritta; Cass., 9.1.1997, n. 99, in Nuova giur. comm., 1998, I, 343 ss., con nota di Avolio,
Inadempimento al patto di prelazione e responsabilità del terzo acquirente; Trib. Ivrea, 16.5.2003,
in Giur. di Merito, 2003, I, 2177 s.; in Arch. civ., 2003, 1313 ss., con nota di Natali, Risarcimento
del danno e azione revocatoria per il primo acquirente nella doppia vendita immobiliare; e in Giur.
it., 2004, 778 ss., con nota di Ferrante, La responsabilità per doppia alienazione, ovvero «del
precedente che non c'è»; Cass., 1.10.2004, n. 20721, cit.
(36)
() Cfr. Cass., 16.7.1956, n. 2720, in Monitore tribunali, 1957, 243 ss.; Cass., 17.2.1976, n. 526,
in Resp. civ. prev., 1976, 701; Cass., 1.6.1976, n. 1983, in Giust. civ., 1976, I, 1647 ss.; e in Foro it.,
1977, I, 484 ss.; App. Napoli, 30.6.1978, in Dir. e giur., 1978, 123 ss., con nota di De Sanctis,
Doppio preliminare di vendita e stipulazione del contratto definitivo con il secondo promissario:
azione revocatoria o per lesione del credito?; Cass., 9.2.1982, n. 759, in Riv. notariato, 1982, 315
ss.; in Arch. civ., 1982, 608; e in Riv. dir. ipotecario, 1983, 1823 ss. (probabilmente decisa prima
della pubblicazione della sentenza n. 76, che viene completamente ignorata nella motivazione).
(37)
Sull'esperibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento nella doppia alienazione immobiliare
cfr. le posizioni, pure per molti versi opposte, di U. Natoli, Doppia alienazione immobiliare e
azione revocatoria, cit., 1195, nt. 38; Id., Della trascrizione, cit., 102 s.; Barbiera, L'ingiustificato
arricchimento, Napoli, 1964, 261 s.; Doria, op. cit., 180, testo e nt. 103; Nicolussi, op. cit., 706;
Navarretta, op. cit., 150 s.; Carusi, op. cit., 388 s. Sia, infine, consentito il rinvio a Venturelli,
Circolazione giuridica e ingiustizia del danno. La doppia alienazione immobiliare tra tutela
risarcitoria e restituzioni, Brescia, 2005, 136 ss.
(38)
Sostengono il carattere ingiustificato di tale arricchimento Mori-Checcucci, L'arricchimento
senza causa, Firenze, 1943, 214; P. Trimarchi, L'arricchimento senza causa, Milano, 1962, 39;
Barbiera, op. cit., 255 ss.; Moscati, Concezione «reale» e concezione «patrimoniale»
dell'arricchimento nel sistema degli artt. 2037-2038 del codice civile, in Studi in memoria di
Domenico Pettiti, II, Milano, 1973, 991 ss.; e in Id., Fonti legali e fonti «private» delle
obbligazioni, Padova 1999, 149 ss. (da cui la successiva citazione); Gallo, Arricchimento senza
causa e quasi-contratti (I rimedi restitutori), in Tratt. Sacco, Torino, 1996, 44 ss.; Id.,
Arricchimento senza causa, in Comm. Schlesinger, Milano, 2003, 70 ss.; Astone, L'arricchimento
senza causa, Milano, 1999, 104 s.; Albanese, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa,
Padova, 2005, 240 ss.
(39)
Sull'arricchimento derivante da fatto illecito cfr. Sacco, L'arricchimento ottenuto mediante fatto
ingiusto. Contributo alla teoria della responsabilità estracontrattuale, Torino, 1959, passim; P.
Trimarchi, op. cit., 53 ss.; Id., L'arricchimento derivante da atto illecito, in La comparazione
giuridica alle soglie del III millennio. Scritti in onore di Rodolfo Sacco, III, Milano, 1994, 1149 ss.
Ripercorre i passaggi argomentativi essenziali della teoria la sintesi di Lo Surdo, Arricchimento e
lesione del potere di disposizione: in merito ad una recente indagine, in Danno e resp., 2000, 700
ss.; in un'ottica comparatistica cfr. le ampie indagini di P. Pardolesi, Rimedi all'inadempimento
contrattuale: un ruolo per il disgorgement?, in Riv. dir. civ., 2003, I, 717 ss.; Id., Profitto illecito e
risarcimento del danno, Trento, 2005, passim, in particolare 51 ss.
(40)
Cfr. Nicolussi, op. cit., passim, in particolare 85 ss., ampiamente criticato da R. Messinetti, La
tutela della proprietà «sacrificata». Contributo allo studio delle circolazioni acquisitive legali,
Padova, 1999, XXI ss. e 123 ss.
(41)
Cfr., ex plurimis, Cass., 6.6.1960, n. 1473, in Riv. dir. comm., 1962, II, 121 ss., con nota di
Fenghi, Sulla sussidiarietà dell'azione generale di arricchimento senza causa; Cass., 4.5.1978, n.
2087, in Foro it., 1979, I, 180 s.; Cass., 19.3.1980, n. 1849, in Rep. Giust. civ., 1980, Arricchimento
senza causa, n. 5; Cass., 10.2.1993, n. 1686, in Giust. civ., 1993, I, 1836 ss.; e in Giur. it., 1994, I,
1, 1860 ss., con nota di Spitali, L'arricchimento mediante intermediario e l'art. 2038 cod. civ.;
Cass., 27.6.1998, n. 6355, in Fallimento, 1999, 525 ss., con nota di Stesuri, Credito condizionale
del fideiussore ed azione di arricchimento senza causa; Cass., 9.5.2002, n. 6647, in Rep. Foro it.,
2002, Arricchimento senza causa, n. 27; Cass., 24.5.2002, n. 7627, in Vita notarile, 2002, 834 ss.;
Cass., 20.11.2002, n. 16340, in Danno e resp., 2003, 863 ss., con nota di Venturelli, Sulla
specificità e residualità dell'azione di ingiustificato arricchimento: inutilità di un rimedio?; Cass.,
26.7.2002, n. 11051, in Giur. it., 2003, 290 ss.; Cass., 5.8.2003, n. 11835, in Contr., 2004, 113 ss.,
con nota di Barbiera, Arricchimento mediato e sussidiarietà dell'azione; Cass., 12.11.2003, n.
17028, in Foro it., 2004, I, 770 ss. Ripercorre il dibattito giurisprudenziale sul punto Albanese, Gli
arricchimenti mediati o indiretti e l'assenza di “nesso causale”, in Resp. civ., 2004, 236 ss.
(42)
Cfr. Barbiera, L'ingiustificato arricchimento, cit., 191; Moscati, Arricchimento (azione di) nel
diritto civile, in Digesto civ., I, Torino, 1987, 461; e in Id., Fonti legali e fonti «private» delle
obbligazioni, cit., 250; Breccia, L'arricchimento senza causa, 2a ed., in Tratt. Rescigno, IX, 1,
Torino, 1999, 1012; Albanese, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, cit., 340.
(43)
Cfr. Sacco, op. cit., 226; P. Trimarchi, L'arricchimento senza causa, cit., 97; Moscati,
Concezione «reale» e concezione «patrimoniale» dell'arricchimento nel sistema degli artt. 20372038 cod. civ., cit., 168; Nicolussi, op. cit., 576; Breccia, Il pagamento dell'indebito, 2a ed., in Tratt.
Rescigno, IX, 1, Torino, 1999, 961.
DONAZIONI OBNUZIALI La «donazione in riguardo di matrimonio»
Giovanni Francesco Basini
FONTE
Fam. Pers. Succ., 2008, 1, 53
Donazioni
Sommario: 1. La normativa e la nozione - 2. La funzione. Lo scopo di favorire un matrimonio
determinato e futuro - 3. La regola di perfezionamento, e la natura - 4. La struttura - 5. I soggetti e
l'oggetto. La forma della donazione obnuziale - 6. La caducazione del matrimonio, e le conseguenze
sulla donazione obnuziale
1. La normativa e la nozione
All' art. 785 c.c., rubricato « donazione in riguardo di matrimonio», viene disciplinata la così
detta donazione obnuziale(1), o propter nuptias(2); al 1° co., è stabilito che la donazione
fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi fra loro, sia da altri a favore di
uno o di entrambi gli sposi, o dei figli nascituri di questi, si perfeziona senza bisogno che sia
accettata, ma non produce effetto finché non segua il matrimonio; al 2° co., è previsto che
l'annullamento del matrimonio importa la «nullità» della donazione , ma restano salvi i diritti
acquistati dai terzi di buona fede tra il giorno del matrimonio e il passaggio in giudicato della
sentenza che dichiara la nullità del matrimonio stesso, ed, inoltre, che il coniuge di buona fede non è
tenuto a restituire i frutti percepiti anteriormente alla domanda di annullamento del matrimonio.
L'ultimo capoverso, infine, prevede che la donazione in favore dei figli nascituri permane
efficace per i figli rispetto ai quali si verificano gli effetti del matrimonio putativo. Insieme a queste
disposizioni, possono rammentarsi, ad esempio, quelle contenute nell' art. 437 c.c., in cui si esclude
che sia obbligato a prestare gli alimenti il donatario «in riguardo di matrimonio»(3), e nell'art. 805
c.c., ove si sancisce la non revocabilità, per ingratitudine o per sopravvenienza di figli, delle
donazioni fatte in riguardo di un determinato matrimonio(4).
Giova sottolineare, fin d'ora, come da codeste disposizioni emerga nitidamente che: la donazione
obnuziale è determinata da uno scopo - un matrimonio determinato e futuro - che assume
peculiare rilievo, e dà luogo ad una figura disciplinata, in più di un punto, in maniera differente
rispetto alla donazione in generale; codeste particolarità di disciplina sono evidentissime in
relazione alla struttura - e, in particolare, al modo di perfezionamento - della donazione
obnuziale, giacché essa, unica tra le donazioni, si perfeziona senza bisogno dell'accettazione del
donatario(5); il determinato futuro matrimonio, oltre che scopo giuridicamente rilevante, rappresenta
anche l'evento che condiziona(6), sospensivamente, l'efficacia della donazione in
considerazione.
Anche nel nostro ordinamento(7), dunque, la donazione in riguardo di matrimonio è stata
prevista e disciplinata così da costituire una figura di donazione particolare(8), che si differenzia,
per più di un profilo, dalla donazione in generale.
2. La funzione. Lo scopo di favorire un matrimonio determinato e futuro
La ragione di codesta peculiare disciplina, la quale, nel suo complesso, testimonia del favore
legislativo nei confronti di questa particolare donazione , viene, tradizionalmente, rintracciata
nel favor matrimonii, che, in questa occasione, si concretizza nel favor verso una liberalità che si
assume destinata a facilitare la nascita di una nuova famiglia(9).
Per ciò che attiene, poi, alla qualificazione giuridica dello scopo del donante di favorire un
determinato futuro matrimonio, le proposte avanzate sono molteplici, e tale scopo è stato
variamente inteso, nelle diverse teoriche ed in giurisprudenza: così, vi è chi vi ha individuato un
mero motivo, chi un motivo fondamentale(10), chi, infine, un componente della causa stessa della
donazione obnuziale(11). Non mi pare, peraltro, che alle questioni in ordine alla qualificabilità del
peculiare scopo della donazione obnuziale come motivo, o come parte della causa di essa, si
debba attribuire un ruolo fondamentale.
In primo luogo, infatti, nella donazione in generale anche ai motivi è, testualmente,
riconosciuto un rilievo giuridico tale da non consentire, comunque, di porre la contrapposizione
causa/motivo negli stessi termini in cui essa viene, almeno tradizionalmente, proposta con
riferimento ai contratti non liberali. In secondo luogo, è noto come anche nei contratti non liberali,
la mentovata contrapposizione tenda a perdere di importanza pratica, poiché: da un lato,
l'evoluzione della nozione di causa negoziale ha portato a spostare notevolmente il confine tra causa
e motivo, così da notevolmente ampliare l'àmbito della causa, e da limitare in uguale misura quello
dei motivi(12); dall'altro, attraverso la ben nota teoria della «presupposizione», si è affermata la
tendenza a riconoscere rilievo giuridico anche ai motivi, e, dunque, ad arricchire il novero degli
scopi giuridicamente rilevanti, a prescindere da una riconducibilità di essi alla causa del negozio
con cui vengano perseguiti. In terzo luogo, tornando su di un piano particolare e specifico, che nella
donazione obnuziale lo scopo del disponente di donare in vista di un determinato matrimonio
sia giuridicamente rilevante, ed in quale misura lo sia, viene esplicitamente e puntualmente stabilito
dalla legge(13).
Conviene sottolineare, piuttosto, quali caratteri debba presentare questo «scopo», affinché una
donazione compiuta in riguardo di matrimonio possa essere qualificata come obnuziale. A tale
riguardo, è lo stesso art. 785 c.c. ad indicare i requisiti del matrimonio, affinché la donazione
sia obnuziale: esso deve essere determinato, e deve essere futuro(14).
Il secondo dei requisiti mentovati - per incominciare da quello tra i due che ha sollevato minori
problemi -, vale a dire la «futurità», implica che il matrimonio non debba ancora essere stato
celebrato nel momento di perfezionamento della donazione (15).
Maggiore attenzione, invece, mi pare sia necessaria in relazione alla determinatezza del
matrimonio. Conviene anche ricordare, preliminarmente, come si reputi che, nel caso in cui questo
requisito non possa reputarsi integrato, potrà ricorrere una normale donazione (non obnuziale),
sospensivamente condizionata alle generiche, future nozze del donatario(16).
Le questioni più rilevanti, peraltro, concernono il significato da riconoscere alla «determinatezza»
del matrimonio. In generale, sovente si afferma che, affinché il requisito della determinatezza sia
integrato(17), debba ricorrere l'individuazione di entrambi i nubendi(18). Vi è, tuttavia, chi aggiunge
che tale individuazione non necessariamente presuppone anche l'indicazione del nome di entrambi i
futuri sposi nell'atto di liberalità(19), o che, comunque, in mancanza di una specifica previsione
legislativa, non sia richiesto l'utilizzo di espressioni particolari(20). Né si è sempre ritenuto che ogni
indicazione necessaria al fine di ravvisare la determinatezza del futuro matrimonio dovesse essere
contenuta nell'atto(21).
3. La regola di perfezionamento, e la natura
Unica tra le varie figure di donazione , quella obnuziale si perfeziona senza bisogno
dell'accettazione del donatario. Codesta particolare regola di perfezionamento, espressamente
stabilita dall'art. 785 c.c., ha dato luogo a numerose, e differenti, posizioni in ordine alla natura,
contrattuale o meno, della donazione in esame.
Possono, così, essere richiamati, in primo luogo, quegli orientamenti che riconoscono ad essa una
natura contrattuale, ma che, per non allontanarsi dalla tradizione, vi vedono un contratto pur sempre
a formazione bilaterale, nel quale l'accettazione del donatario non è assente, ma, semplicemente, è
implicita, o tacita(22). In critica a codesta posizione, sovente, si osserva che ricavare l'accettazione
della donazione dal consenso matrimoniale è un'inammissibile forzatura, dato che il secondo ha
un contenuto del tutto diverso dalla prima, e si sottolinea come la donazione obnuziale si
perfezioni anche se il donatario, al momento del matrimonio, non sia a conoscenza di essa, il che,
naturalmente, non è compatibile con una manifestazione di volontà, sia pure implicita, da parte di
tale soggetto(23).
Altro orientamento tradizionale, che vanta largo seguito, è quello che nega la natura contrattuale
della donazione obnuziale: la donazione in riguardo di matrimonio si perfeziona senza
l'accettazione del donatario, e, dunque, non sarebbe un contratto, ma un negozio unilaterale, perfetto
nel momento in cui la volontà del donante venga a conoscenza del donatario(24). Per molti, tra gli
assertori della natura di negozio unilaterale della donazione in riguardo di matrimonio, poi, la
conseguenza logica di tale impostazione sarebbe che l'acquisto abbia luogo perfino contro la
volontà del donatario(25), e che non sia possibile un rifiuto della donazione obnuziale stessa(26);
vi è anche, peraltro, chi - pur sostenendone la natura di negozio unilaterale - afferma la possibilità di
rifiutare anche la donazione propter nuptias(27).
Secondo un orientamento più innovativo, infine, la donazione obnuziale sarebbe pur sempre un
contratto, ma un contratto non a formazione bilaterale. Ove si ammetta, difatti, che il contratto
possa perfezionarsi anche attraverso una proposta ed un mancato rifiuto dell'oblato - senza la
necessità, del resto, di leggere in tale mancato rifiuto un'accettazione tacita o implicita -, come in
generale sembra indicare, per il contratto con obbligazioni per il solo proponente, l'art. 1333 c.c.,
almeno secondo le interpretazioni più moderne che di tale articolo sono state proposte(28), non vi
sono difficoltà: da un lato, a definire contratto, e non negozio unilaterale, anche la donazione
che si perfeziona senza bisogno che sia accettata; dall'altro, a proporre tale definizione prescindendo
da ogni ricerca di una qualsiasi accettazione implicita o tacita(29). Anche questa ricostruzione non è
andata esente da critica. Non deve sfuggire, tuttavia, come tali critiche paiano, essenzialmente(30),
rivolte a negare la testuale riconducibilità della regola di formazione della donazione obnuziale,
disposta con l'art. 785 c.c., all'art. 1333 c.c.(31), mentre codesta riconducibilità non par proprio
essere l'intendimento della maggior parte degli Autori che sostengono la natura di "contratto a
formazione unilaterale" della donazione in esame; il richiamo all'art. 1333 c.c. pare rilevante,
piuttosto, perché è in quell'articolo che emerge con maggiore generalità come il perfezionamento
del contratto non richieda in ogni caso anche l'accettazione dell'oblato. Negare la coincidenza tra
l'art. 1333 c.c. e l'art. 785 c.c., insomma, non serve per confutare che, grazie alla ricordata
interpretazione dell'art. 1333 c.c., nel nostro ordinamento il contratto possa perfezionarsi anche
secondo schemi differenti da quello più consueto «proposta/accettazione», e che uno dei momenti in
cui tale consueto schema viene abbandonato, sia costituito dalla donazione obnuziale(32).
4. La struttura
Il matrimonio non esprime, in alcun modo, una «accettazione» della donazione obnuziale, che
si perfeziona a prescindere da esso; detto matrimonio, peraltro, ai sensi dell'art. 785 c.c. è requisito
di efficacia della donazione stessa(33). In particolare, è opinione largamente prevalente che il
matrimonio sia l'evento che condiziona, sospensivamente(34), l'efficacia della donazione (35).
È discusso, viceversa, se si tratti di condicio iuris o di condicio facti.
Per sostenere la seconda qualificazione, si afferma che, essendo il donante libero di porre in essere
una donazione pura e semplice, l'eventuale subordinazione degli effetti della donazione al
matrimonio deriverebbe, comunque, dalla volontà del donante, e non dalla «volontà» della legge(36).
La prima delle qualificazioni appena richiamate, tuttavia, oltre ad essere prevalente(37), mi pare
anche essere quella più convincente, poiché, per la qualificazione di una donazione come
obnuziale, e per l'operare della relativa disciplina legislativa, non sembra necessario che il
matrimonio sia dal disponente previsto(38), o anche, più semplicemente, implicitamente inteso quale
evento condizionante la donazione stessa: con l'art. 785 c.c. si richiede soltanto, con formula
generica, che la donazione sia fatta «in riguardo» di un determinato, futuro matrimonio(39),
dopo di che il meccanismo condizionale discende dalla legge, e non dalla volontà del disponente.
Se il matrimonio opera quale condicio iuris, poi, non si applicherà la disciplina della condizione
volontaria: se tra il momento della perfezione della donazione ed il momento del matrimonio il
donante ha disposto del bene donato a favore di un terzo, l'acquisto del terzo resta salvo, ed il
donante può solo agire, nei confronti del donatario, per evizione, ai sensi dell'art. 797, n. 2, c.c.(40).
Con riferimento al matrimonio quale evento che condiziona l'efficacia della donazione , ancora,
vi è chi sottolinea come la legge non preveda un termine massimo entro il quale il matrimonio
contemplato debba seguire, e come si rimetta, su tale punto, al prudente giudizio dell'autorità
giudiziaria(41). Il rilievo pratico della questione, inoltre, starebbe nella determinazione del momento
da cui fare decorrere il termine di prescrizione per l'azione di restituzione delle cose donate(42).
Giova sottolineare, poi, come figure che vanno mantenute ben distinte dalle donazioni obnuziali,
anche perché non sono donazioni sospensivamente condizionate alla celebrazione di un
(determinato e futuro) matrimonio, siano i doni d'uso tra fidanzati, o doni prenuziali, disciplinati
all'art. 80 c.c.(43). Oltre che per la struttura, le due ipotesi differiscono anche per la funzione, dato
che soltanto alla donazione obnuziale viene riconosciuta la funzione di favorire il nascere di
una nuova famiglia(44). La concreta riconduzione di un dono intercorso tra gli sposi all'una o all'atra
disposizione, pur potendo essere talvolta inagevole, non è irrilevante: basti pensare al breve termine
entro il quale può essere domandata la restituzione dei doni tra fidanzati, ai sensi dell'art. 80, 2° co.,
c.c.(45).
5. I soggetti e l'oggetto. La forma della donazione obnuziale
Ai sensi dell'art. 785 c.c., la donazione in riguardo di matrimonio può essere disposta sia dagli
sposi tra loro, sia da altri in favore di uno o di entrambi gli sposi, o dei figli nascituri da questi(46),
sicché, se nessuna limitazione è stata prevista in merito al possibile donante, non altrettanto può
affermarsi per i possibili donatarii(47).
Alcune particolarità rispetto alla
donante.
donazione
in generale, inoltre, attengono alla capacità del
In primo luogo, difatti, l'inabilitato - assistito dal curatore, se già nominato, o, se non, da un curatore
speciale - può validamente compiere donazioni nel proprio contratto di matrimonio, come risulta dal
disposto combinato degli artt. 785 e 166 c.c.(48). In secondo luogo, altrettanto parrebbe potersi
affermare in riferimento al minore di età, ai sensi degli artt. 785 e 165 c.c.; a questo riguardo,
tuttavia, non vi è unanimità di opinioni(49), poiché, a fronte del riferimento testuale, contenuto nell'
art. 774 c.c., alla donazione fatta dal minore nel proprio contratto di matrimonio, il testo dell'
art. 165 c.c., come modificato dalla Novella del 1975, non contiene più alcun esplicito richiamo alle
donazioni, limitandosi a prevedere, per il minore ammesso a contrarre matrimonio, la capacità di
prestare consenso per tutte le relative convenzioni matrimoniali(50).
In terzo luogo, ai sensi dell' art. 777, 2° co., c.c., il rappresentante legale può, con le forme
abilitative richieste, compiere donazioni in nome e per conto dell'interdetto giudiziale, ed a favore
dei discendenti di questi, se la liberalità è fatta in occasione delle nozze di tali soggetti(51). Sempre ai
sensi dell'art. 777, 2° co., c.c., anche l'inabilitato può compiere donazioni in favore dei propri
discendenti, in occasione delle nozze di questi(52).
Occorre chiedersi, infine, quale capacità di donare “in riguardo di matrimonio” vada riconosciuta al
beneficiario di un'amministrazione di sostegno. In verità, il dubbio riguarda, anzitutto, la generale
capacità di donare del beneficiario di amministrazione di sostegno, posta la mancanza di un
espresso richiamo dell'art. 774 c.c. ad opera dell'art. 411 c.c. L'opinione che sembra da preferire, è
nel senso che «il beneficiario di amministrazione di sostegno può donare», ma anche che
«l'incapacità di donare, nondimeno, potrà discendere dall'estensione della norma racchiusa nell'art.
774 c.c., decisa, nei riguardi del beneficiario di amministrazione di sostegno, dal giudice
tutelare»(53), ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 411 c.c. Per quanto ora particolarmente interessa,
poi, mi pare che detta estensione potrà essere modulata dal giudice anche così da riguardare,
accanto alla generale incapacità di donare, pure le speciali capacità di cui all'art. 774, 1° co.,
seconda parte, c.c., nonché all'art. 777, 2° co., c.c.
Per quanto attiene all'oggetto della donazione obnuziale, si afferma che esso possa essere lo
stesso di altra qualunque donazione (54). Ciò significa, tra l'altro, che oggetto della donazione
obnuziale dovrebbero potere essere - e, usualmente, saranno - dei diritti reali(55). Sotto questo
profilo - almeno dove si pensi a diritti reali quali la proprietà, o l'usufrutto, aventi ad oggetto beni
immobili -, peraltro, la coesistenza con il perfezionamento che prescinde dalla volontà del donatario
potrebbe dar luogo a più di un problema. Come è noto, infatti, l'acquisto di alcuni tra i diritti reali,
in particolare se oggetto di essi siano immobili, può comportare dei pregiudizi, anche rilevanti, per
l'acquirente. Di qui, la nota difficoltà ad ammettere che i diritti reali mentovati possano essere
oggetto di contratti a favore di terzo, o di contratti conclusi secondo lo schema dell'art. 1333 c.c.(56).
Analoghe difficoltà, allora, potrebbero profilarsi anche con riferimento alla donazione
obnuziale(57).
Giova rammentare, infine, come si ritenga che, pur in mancanza dell'accettazione, anche la
donazione obnuziale debba rivestire la forma prevista per la donazione in generale. Questo
significa, naturalmente, che - ove non si tratti di donazione manuale, o di donazione
indiretta(58) - la dichiarazione del donante dovrà essere compiuta per atto pubblico(59).
6. La caducazione del matrimonio, e le conseguenze sulla donazione obnuziale
Nel disciplinare la donazione in riguardo di matrimonio, l'art. 785, 2° co., c.c. dispone che
l'annullamento del matrimonio importa la nullità della donazione . Questa disposizione ha dato
luogo a più di un'interpretazione.
In dottrina, è ricorrente, in primo luogo, l'affermazione che, nonostante la lettera della norma,
conseguenza dell'annullamento del matrimonio sia l'inefficacia, non già la nullità della donazione
(60)
. Non manca, tuttavia, chi sostiene che la disposizione ricordata possa venire intesa unicamente
secondo la propria lettera(61).
Un secondo aspetto di interesse concerne l'applicabilità della mentovata "nullità" della donazione
, anche in conseguenza del divorzio. A questo riguardo, la giurisprudenza è costante nel negare
che anche lo scioglimento del matrimonio conseguente al divorzio possa comportare la nullità della
donazione , poiché il divorzio non concerne vizi inerenti al momento genetico del matrimonio,
ma, anzi, presuppone la validità del matrimonio stesso(62). La dottrina, invece, seppure
prevalentemente orientata per la validità (o efficacia) della donazione anche dopo il divorzio
dei donatarii, non è unanime al riguardo(63). Unanime, viceversa, è l'opinione che sulla donazione
obnuziale non incida la separazione personale tra i coniugi(64).
In conseguenza della caducazione della donazione , il donatario è obbligato alla restituzione dei
beni al donante, e, a tal fine, quest'ultimo potrà limitarsi a provare l'esistenza della donazione ,
nonché la propria qualità di donante(65). Alcune tutele dalla perdita di effetti della donazione ,
poi, sono previste per i terzi di buona fede, per il coniuge di buna fede, ed, infine, pel caso che
donatarii fossero i figli nascituri degli sposi.
Con riguardo ai terzi di buona fede, sempre l'art. 785, 2° co., c.c. prevede che restino salvi i diritti
acquistati da tali soggetti nel tempo che va dal giorno del matrimonio al passaggio in giudicato della
sentenza che dichiara la nullità del matrimonio stesso(66). Ancora il secondo comma dell'art. 785
c.c. stabilisce la possibilità, per il coniuge di buona fede, di trattenere i frutti percepiti
antecedentemente alla domanda di annullamento del matrimonio: in questo caso, si sottolinea come
egli non possa trattenere i frutti percepiti fino alla domanda di restituzione, che potrebbe essere
successiva a quella di annullamento del matrimonio(67), né fino alla data del passaggio in giudicato
della sentenza di annullamento, data fino alla quale, di norma, si protraggono gli effetti del
matrimonio putativo in favore dei coniugi(68). Se donatarii sono i figli nascituri, infine, l'art. 785, 3°
co., c.c. prevede che la donazione rimanga efficace per i figli rispetto ai quali si verificano gli
effetti del matrimonio putativo(69), discriminando, in tal modo, i figli che non conseguano lo stato di
legittimi(70).
----------------------(1)
Sulla donazione obnuziale in generale, vigente l'attuale codice civile, si leggano: Maroi,
Delle donazioni, in Codice civile, Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni.
Commentario, diretto da D'Amelio, Firenze, 1941, 757 ss.; Biondi, Le donazioni, in Tratt. Vassalli,
Torino, 1961, 785 ss.; Balbi, La donazione , in Tratt. Grosso e Santoro Passarelli, Milano, s. d.,
ma 1964, 11 s. e 94; V. R. Casulli, Donazione . III Diritto civile, in Enc. dir., XIII, Milano, s. d.,
ma 1964, 986; Gardani Contursi - Lisi, Delle donazioni, in Comm. Scialoja e Branca, Bologna Roma, 1976, 288 ss.; Lanzillo, Il matrimonio putativo, Milano, 1978, 236 ss.; Giannattasio, Delle
successioni. Divisione - Donazione , in Comm. cod. civ., redatto a cura di magistrati e docenti,
Torino, s. d., ma 1980, 2ª ed., 266 ss.; Carnevali, Donazione . I) Diritto civile, in Enc. giur., XII,
Roma, s. d., ma 1989, 6 s.;. Palazzo, Le donazioni, in Comm. Schlesinger, Milano, 1991, 269 ss.;
Palazzo, Donazione , in Dig. civ., VII, Torino, s. d., ma 1991, 141 s.; Perchinunno, Il contratto
di donazione , in Successioni e donazioni, a cura di Rescigno, II, Padova, 1994, 174 ss.; Oberto,
Doni prenuziali e donazioni obnuziali, in Famiglia e dir., 1996, 371 ss.; Carnevali, Le donazioni, in
Tratt. Rescigno, VI, Successioni, t. II, Torino, s. d., ma 1997, 2ª ed., 568 ss.; Palazzo, Atti gratuiti e
donazioni, in Tratt. Sacco, Torino, s. d., ma 2000, 233 ss.; Capozzi, Successioni e donazioni, t. II,
Milano, s. d., ma 2002, 2ª ed., 830 ss.; Torrente, La donazione , in Tratt. Cicu e Messineo,
continuato da Schlesinger, Milano, 2006, 2ª ed., aggiornata a cura di Carnevali e Mora, 197 ss., e
557 ss.; Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, s. d., ma 2006, 4ª ed., 376
s. Sulla donazione obnuziale nel vigore del codice civile abrogato, per tutti, si legga Ascoli,
Trattato delle donazioni secondo il diritto civile italiano con riguardo al diritto romano e alla
giurisprudenza moderna, Firenze, 1898, 309 ss.
(2)
Cfr., ad esempio, Bonilini, op. cit., 376.
(3)
Si vedano, tra gli altri: Casulli, op. cit., 986; Carnevali, Le donazioni, cit., 569; Bonilini, op. cit.,
377; Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 235.
(4)
Cfr.: Torrente, op. cit., 703 s.; Biondi, op. cit., 1042; Balbi, op. cit., 93 s.; Carnevali, Le
donazioni, cit., 569; Bonilini, op. cit., 377; Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, 235. In
giurisprudenza, per l'irrevocabilità anche di una donazione obnuziale indiretta, si veda Trib.
L'Aquila, 12.8.1988, in Giur. di Merito, 1990, 314 ss., con nota di Bafile, Acquisto in riguardo di
matrimonio con denaro fornito dal padre.
(5)
Differente era la disposizione contenuta nell'art. 1062 c.c. previgente: «le donazioni fatte in
riguardo di un determinato futuro matrimonio...non possono essere impugnate per mancanza di
accettazione» (il corsivo è aggiunto). In merito cfr., ad esempio, Palazzo, Le donazioni, cit., 269.
(6)
L'opinione che il matrimonio, futuro e determinato, rappresenti anche l'evento condizionante la
donazione , è pressoché pacifica in dottrina. Pareva dissentire da questa costante affermazione
Palazzo, Le donazioni, cit., 272, il quale, per altro, a questo riguardo sembra aver mutato,
successivamente, avviso: Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 127 s. e 236.
(7)
Ciò nel solco di tradizioni sicuramente antiche. Per una sintesi sull'evoluzione storica della
donazione propter nuptias, e sulla progressiva distinzione di essa dalla donazione ante
nuptias, attraverso il diritto romano, il diritto intermedio, e, successivamente, la codificazione
napoleonica, e, via via, le altre moderne codificazioni, si vedano, ad esempio, Biondi, op. cit., 785
ss., nonché, più di recente, Oberto, op. cit., 371 ss.
(8)
Include la donazione obnuziale tra le figure particolari di
Carnevali, Donazione . I) Diritto civile, cit., 6.
donazione , ad esempio,
(9)
«L'apporto economico ad una famiglia nascente è sempre utile ai fini di cementare l'unità, la
coesione nel gruppo, aiutando a superare le prime difficoltà che, sul piano economico, specie le
unioni tra giovani incontrano»: Torrente, op. cit., 200. In precedenza, di questo avviso, si veda, ad
es., Ascoli, op. cit., 310. Espressi richiami al favor matrimonii, altresì, si leggano, tra gli altri, in:
Lanzillo, op. cit., 238; Capozzi, op. cit., 830; Palazzo, Le donazioni, cit., 269; Palazzo, Atti gratuiti
e donazioni, cit., 233. In giurisprudenza, per l'esplicito riferimento allo scopo di favorire il formarsi
di una nuova famiglia, contribuendo ad apprestarle il sostentamento, si legga, ad esempio, Cass.,
22.12.1988, n. 5731, in Vita notarile, 1988, 735 ss.; potrebbe forse essere interpretata in maniera
difforme, tuttavia, Cass., 4.4.1973, n. 945, in Mass. Foro it., 1973, c. 274.
(10)
Seppure con differente intensità, indicano la donazione obnuziale come determinata da un
particolare motivo, ad esempio: Oppo, Adempimento e liberalità, Milano, 1947, 113 ss.; Torrente,
op. cit., 558; Capozzi, op. cit., 831; G. Bonilini, op. cit., 376. In giurisprudenza, si evidenzia il
matrimonio come motivo determinante, o essenziale, della donazione obnuziale, ad esempio,
in: Cass., 23.6.1971, n. 1987, in Foro it., 1972, I, c. 114 ss.; Cass., 13.3.1976, n. 904, in Foro it., I,
1976, c. 946 ss.; Cass., 22.10.1988, n. 5731 cit.
(11)
Questa opinione (che, per la verità, potrebbe trovare un fondamento anche nel testo della
Relazione della Commissione Reale, laddove si indica il matrimonio come «causa finale della
donazione »: cfr. Pandolfelli, Scarpello, Stella Richter, Dallari, Codice civile - Libro delle
successioni per causa di morte e delle donazioni illustrato con i lavori preparatori e con note di
commento, Milano, 1939, 384) è affermata, a chiare lettere, da Palazzo, Le donazioni, cit., 272 ss.,
per il quale il matrimonio permea di sé la stessa causa del negozio, e non può costituirne soltanto un
motivo. Negano espressamente che il matrimonio inerisca alla causa della donazione ,
viceversa: Torrente, op. cit., 558; Capozzi, op. cit., 831. In merito a molte delle argomentazioni con
cui Andrea Torrente nega la inerenza del matrimonio alla causa della donazione in riguardo di
matrimonio, peraltro, non può non osservarsi come esse siano, in verità, argomenti per negare che la
donazione obnuziale rappresenti un autonomo tipo contrattuale, e, dunque, come esse, per
confutare anche l'autonomia causale della donazione in esame, implichino una coincidenza tra
causa e tipo che, oramai, in dottrina appare superata. Tale coincidenza, del resto, non era ancora
stata messa in crisi al tempo in cui scriveva Andrea Torrente. Per il superamento della coincidenza
tra causa e tipo negoziali si legga, per tutti, De Nova, Il tipo contrattuale, Padova, 1974, passim,
spec. 59 ss.
(12)
Per una nozione di causa che non è più soltanto quella di funzione economico-sociale del
negozio, si legga, per tutti, Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966,
passim, spec. 355 ss. Anche questo, del resto, è divenuto argomento per sostenere l'inerenza del
matrimonio alla causa della donazione obnuziale: «questo della donazione obnuziale è un
modello di negozio offerto dall'ordinamento in cui è possibile verificare l'esattezza dell'idea più
moderna di causa, quale “espressione oggettivata di specifiche finalità soggettive”»: Palazzo, Atti
gratuiti e donazioni, cit., 236, che richiama Ferri.
(13)
Indicazioni nel senso dell'opportunità di non dare eccessivo rilievo alla qualificazione del
matrimonio come «causa», o come «particolare motivo», o, ancora, come «funzione», della
donazione obnuziale, paiono ricavabili, tra gli altri, da Gardani Contursi - Lisi, op. cit., 288 ss.,
spec. 290.
(14)
Una donazione compiuta in riguardo di un matrimonio che non sia futuro, o non sia
determinato, quindi, non dovrebbe potersi qualificare come obnuziale. Un'altra questione, poi,
potrebbe essere la seguente: se la donazione sospensivamente condizionata ad un matrimonio
che sia futuro, e sia anche determinato - nel senso che si vedrà di qui a poco - possa, comunque,
qualificarsi come semplice donazione condizionata, e non come donazione obnuziale (e,
pertanto, dalla disciplina della donazione obnuziale essere sottratta), ove in questo senso sia
l'intenzione delle parti. A questo riguardo, chiare indicazioni in favore della configurabilità di una
donazione non obnuziale, ma ugualmente condizionata ad un determinato, futuro matrimonio,
mi pare vengano da Cass., 6.9.1968, n. 2874, in Giust. civ., 1969, I, 938 ss.: «la contemplazione di
un “determinato futuro matrimonio” può dare luogo o ad una donazione obnuziale, o ad una
donazione sottoposta alla condizione sospensiva di contrarre un determinato futuro matrimonio».
In dottrina, afferma la possibilità che anche la contemplazione di un determinato matrimonio possa
essere considerata come mera condizione di efficacia, R. Perchinunno, op. cit., 176 s.
(15)
Cfr., ad esempio: Torrente, op. cit., 204; Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 236. Al riguardo
ci si potrebbe chiedere, per altro, quale sorte incontrerebbe una donazione obnuziale fatta in
riguardo di un matrimonio già celebrato, ma la celebrazione del quale fosse ancora ignota al
donante nel momento di perfezionamento del negozio. Probabilmente, si potrebbe ritenere che la
oggettiva futurità del matrimonio non sia un requisito indispensabile, qualificando la previsione del
matrimonio nella donazione obnuziale quale condicio facti: come si ritiene che la condizione,
prevista agli artt. 1353 ss. c.c. possa rimanere tale pur presentando il solo requisito dell'incertezza, e
non anche quello della futurità, così potrebbe reputarsi anche per il matrimonio che viene previsto
come condizione della donazione . Diversa, mi pare, potrebbe forse essere la risposta qualora si
ravvisasse nel matrimonio una condicio iuris (questa seconda opinione, tra l'altro, mi sembra
maggiormente convincente; ma su questo tornerò in seguito), poiché, in tal caso, la figura in esame
si allontanerebbe a tal punto dalla condizione ex artt. 1353 ss. c.c., da fare sorgere più di una
perplessità sulla opportunità di ricavare dalle elaborazioni relative alla seconda, regole applicabili
anche alla prima.
Sulla «futurità» del matrimonio, cfr., inoltre, Carusi, Donazione in contemplazione di
matrimonio, in Riv. notariato, 1948, 175.
(16)
O, ancora, una donazione pura e semplice, pel caso in cui le generiche future nozze, seppure
movente dell'attribuzione, non siano state previste in una clausola condizionale. In dottrina, nel
senso che la previsione di generiche ed indeterminate nozze dia luogo solo ad una normale
donazione sotto condizione sospensiva di contrarre un futuro matrimonio, si legga, Carnevali, Le
donazioni, cit., 568.
(17)
Per la necessità della determinatezza, e per l'esclusione che possa ritenersi obnuziale la
donazione fatta in riguardo di generiche ed imprecisate nozze, è costantemente orientata anche la
giurisprudenza. Cfr., ad esempio: Cass., 21.6.1954, n. 2130, in Mass. Foro it., 1954, c. 419; App.
Napoli, 27.5.1957, in Rep. Giur. it., 1957, Donazione , n. 27 bis; Cass.,6.9.1968, n. 2874, cit.;
App. Catania, 16.4.1981, in Dir. famiglia, 1981, 1056 ss.; Cass., 22.10.1988, n. 5731, cit.; Cass.,
7.12.1989, n. 5410, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 1590 ss., con osservazioni di Perfetti.
(18)
In dottrina, cfr.: Biondi, op. cit., 802; Bonilini, op. cit., 376. Nel senso che il requisito della
determinatezza, pur richiedendo «che la volontà del donante sia diretta verso quella determinata
unione tra i soggetti indicati dal donante», non «implica la designazione di entrambi gli sposi»,
tuttavia, si veda Torrente, op. cit., 204 (ma vedi anche p. 557, dove pare rinvenibile un'indicazione
per la necessità di indicare entrambi i nubendi. Forse questo orientamento si deve più ai curatori
della seconda edizione). Analogamente orientato, pare Giannattasio, op. cit., 267. In giurisprudenza,
per la non necessità di designare entrambi gli sposi, cfr. Cass., 21.6.1954, n. 2130, cit.; in senso
specificamente contrario su questo punto, vale a dire per la necessità, in ogni caso, di designare
nell'atto entrambi gli sposi, si legga Cass., 6.9.1968, n. 2874, cit., spec. 940 s., in cui si precisa come
non esista altro mezzo, all'infuori dell'individuazione di entrambi gli sposi, che consenta di rendere
veramente determinato un futuro matrimonio. Nel senso che la mancata individuazione di anche una
solo degli sposi escluda la possibilità di qualificare il negozio come donazione obnuziale, cfr.
App. Catania, 16.4.1981, cit.
(19)
Cfr. Carnevali, Le donazioni, cit., 568. In giurisprudenza, si leggano: Cass., 21.6.1954, n. 2130,
cit.; Cass., 6.9.1968, n. 2874, cit.
(20)
Cfr. Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 236.
(21)
Si ammette la prova per testi, diretta a chiarire l'ambiguità dell'espressione «prossime nozze», in
App. Napoli, 27.5.1957, cit. Cfr., inoltre, Carnevali, op. cit., 568.
(22)
Esclude esplicitamente che, in questo caso, la legge abbia derogato alla necessità
dell'accettazione, e che si abbia un caso di donazione che cessa di essere un contratto, poiché
l'unica eccezione rilevabile sarebbe al principio dell'accettazione espressa, ad esempio, Maroi, op.
cit., 758, che sembra attribuire valore di implicita accettazione della donazione alla
celebrazione del matrimonio. In qualche misura, mi pare che ad una sorta di manifestazione, non
esplicita, di volontà da parte del donatario, faccia riferimento anche Azzariti, Le successioni e le
donazioni - Libro secondo del Codice Civile, Napoli, 1990, 906 s., laddove afferma come il
legislatore ritenga che il donatario «ove non respinga il dono ... vi presti piena adesione».
(23)
Per queste critiche, si vedano, tra gli altri: Torrente, op. cit., 199; Balbi, op. cit., 12; G. Capozzi,
op. cit., 831; Palazzo, Le donazioni, cit., 270; Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 236.
(24)
Tra i numerosi sostenitori di detta tesi, seppure con varietà di sfumature, si vedano, ad esempio:
Torrente, op. cit., 197 ss.; Biondi, op. cit., 790 ss.; Balbi, op. cit., 11 s.; Giannattasio, op. cit., 267;
Capozzi, op. cit., 831; Palazzo, Le donazioni, cit., 269 ss.; Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit.,
235 ss.
(25)
Cfr. Balbi, op. cit., 12, che indica la ragione dell'irrilevanza della volontà del donatario
nell'intento legislativo di tutelare l'interesse del nuovo nucleo familiare.
(26)
Cfr. Torrente, op. cit., 202 ss., il quale pure sottolinea la prevalenza dell'interesse della nuova
famiglia su quello (eventuale) del donatario al rifiuto.
(27)
Cfr.: Giannattasio, op. cit., 267 s., il quale afferma che nulla vieta ai donatarii di rifiutare la
donazione obnuziale; Capozzi, op. cit., 831 s., che, richiamando una nota dottrina, sottolinea
come la possibilità di rifiuto del beneficio dovrebbe riconoscersi in generale, con riferimento ad
ogni negozio giuridico unilaterale produttivo di effetti favorevoli, nonché, analogamente, Palazzo,
Le donazioni, cit., 271, Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 235. In generale, per la
configurabilità del rifiuto, in riferimento ad ogni negozio giuridico unilaterale, si veda Donisi, Il
problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, passim, spec. 147 ss.
(28)
Interpretazioni che, come è noto, si avviano dagli studii di Gorla e di Sacco. Cfr., ad esempio,
Gorla, Il dogma del «consenso» o «accordo» e la formazione del contratto di mandato gratuito nel
diritto continentale, in Riv. dir. civ., 1956, 923 ss., nonché Sacco, Contratto, e negozio a formazione
bilaterale, in Studi in onore di Paolo Greco, II, Padova, 1965, 953 ss. In generale, per una sintesi in
ordine alle diverse correnti interpretative formatesi in ordine all'art. 1333 c.c., mi permetto di
rinviare a Basini, Le promesse premiali, Milano, 2000, 181 ss.
(29)
Cfr.: Sacco, I costituenti del contratto, in Sacco, De Nova, Il contratto, t. I, in Tratt. Sacco,
Torino, s. d., ma 1993, 73 ss.; Perchinunno, op. cit., 175; Carnevali, Le donazioni, cit., 569.
(30)
Si è anche affermato, peraltro, che l'art. 1333 c.c. «a differenza dell'art. 785, non esclude in
radice l'accettazione, ma la ravvisa nel comportamento omissivo concludente del destinatario della
proposta»: Capozzi, op. cit., 831. Pare affermare che gli assertori dell'applicabilità dell'art. 1333 c.c.
attribuiscano alla mancanza di rifiuto il significato di una dichiarazione tacita, poi, Palazzo, Le
donazioni, cit., 270, nonché Atti gratuiti e donazioni, cit., 234. Ma proprio i più importanti assertori
della natura di contratto a formazione unilaterale della donazione obnuziale, viceversa, negano
che al mancato rifiuto previsto all'art. 1333 c.c. vada riconosciuto un qualsivoglia significato di
accettazione. Cfr., tra gli altri: Sacco, I costituenti del contratto, cit., 73 ss.; Carnevali, Le
donazioni, cit., 569.
(31)
Si leggano, ad esempio: A. Torrente, op. cit., 199 ss.; Palazzo, Le donazioni, cit., 270; Palazzo,
Atti gratuiti e donazioni, cit., 234.
(32)
Mi pare che il richiamo all'art. 1333 c.c. come espressione di una regola di perfezionamento del
contratto, piuttosto che una testuale riconducibilità della disposizione ex art. 785 c.c. a quella ex art.
1333 c.c., sia ben chiaro nelle parole, ad esempio, di: Sacco, I costituenti del contratto, cit., 73 ss.;
Carnevali, Le donazioni, cit., 569.
(33)
Cfr., ad esempio, Bonilini, op. cit., 376.
(34)
Per tutti, cfr.: Torrente, op. cit., 376 ss.; Bonilini, op. cit., 354. Tra le pronunzie di legittimità, ad
esempio, cfr. Cass., 13.3.1976, n. 904, cit. In questo senso, del resto, mi pare sia,
inequivocabilmente, la formula legislativa. Ciò nonostante, sembrerebbe che la definitiva mancanza
del matrimonio sia intesa come evento che risolve una donazione già efficace, in: App. Torino,
17.10.1955, in Rep. Giur. it, 1955, Donazione , n. 10, c. 855; Cass., 23.4.1980, n. 2677, in Foro
it., 1981, I, c. 1395; Cass., 15.1.1986, n. 171, in Giur. it., 1987, I, 1, c. 730 ss., spec. cc. 740, 741,
con nota di Ferraro, Donazione obnuziale indiretta, simulazione e negozio fiduciario.
(35)
Dell'avviso che il matrimonio, permeando la causa del negozio, non potesse reputarsi elemento
accidentale, peraltro, era Palazzo, Le donazioni, cit., 272 e 274. L'Autore, tuttavia, pare avere
mutato avviso, principalmente sulla base di una differente idea di causa negoziale, la realizzazione
della quale non pare inconciliabile anche con l'utilizzo del meccanismo condizionale: Palazzo, Atti
gratuiti e donazioni, cit., 127 s. e 236.
(36)
In tal senso, si leggano: Torrente, op. cit., 557 ss., che sottolinea come anche la disciplina della
condizione volontaria dovrebbe trovare applicazione, peraltro con l'esclusione della retroattività di
cui all'art. 1360 c.c.; Capozzi, op. cit., 831.
(37)
In questo senso, per limitarsi alla dottrina meno risalente, si leggano, ad esempio: Lanzillo, op.
cit., 237; Carnevali, Le donazioni, cit., 569; Bonilini, op. cit., 377.
(38)
A questo riguardo, è interessante anche sottolineare come la giurisprudenza, con una certa
frequenza - principalmente in ipotesi di donazione obnuziale indiretta - individui delle
donazioni in riguardo di matrimonio, seppure in assenza di una esplicita deduzione in condizione
del matrimonio medesimo. Cfr., ad esempio: Cass., 23.4.1980, n. 2677, cit.; Cass.,15.1.1986, n.
171, cit.; Trib. L'Aquila, 12.8.1988, cit. Cfr., inoltre, Cass.,22.10.1988, n. 5731, cit., in cui si
sottolinea come sia la disciplina normativa (e non la volontà delle parti) a subordinare l'efficacia
della donazione alla celebrazione del matrimonio.
(39)
Un'indicazione nel senso che la locuzione «in riguardo» significhi che il matrimonio debba
risultare dall'atto, e non possa essere desunto aliunde, potrebbe forse venire interpretando a
contrario Cass., 19.12.1980, n. 6565, in Giust. civ., 1981, I, 133 ss. Anche a non tenere conto di
come quella decisione vertesse su di una questione particolare e specifica (si intendeva individuare
un àmbito di applicazione più ampio per l'art. 7, l. 23.5.1950, n. 253, rispetto a quello dell'art. 785
c.c.), di come essa sia stata fondata su di un argomento strettamente ed unicamente esegetico (la
diversa formulazione delle due disposizioni: donazione «a causa di matrimonio» nella prima, e
«in riguardo di matrimonio» nella seconda), e di come, su di un piano generale, nell'intendere il
significato di «in riguardo» di matrimonio, la giurisprudenza largamente prevalente sia quella, ben
diversamente orientata, che si è richiamata poco sopra (con specifico riguardo all'art. 61, 3° co., l. n.
392 del 27.7.1978 - disposizione oggi abrogata dalla l. 9.12.1998, n. 431 -, che si riferiva alle
donazioni «a causa di matrimonio», altresì, aveva ritenuto che quella espressione equivalesse
all'altra «in riguardo di matrimonio», Pret. Marano di Napoli, 23.2.1983, in Arch. locazioni, 1983,
133 ss.), peraltro, anche asserire che il matrimonio debba risultare dall'atto, ancora non significa che
esso nell'atto debba essere previsto come evento condizionante.
(40)
In dottrina, si leggano: Carnevali, Le donazioni, cit., 569; Bonilini, op. cit., 377. In
giurisprudenza, si veda, ad esempio, Cass., 6.9.1968, n. 2874, cit., spec. 941.
(41)
Allora, l'A.G. dovrà considerare in che giorno sia emerso, per chiari segni, che il matrimonio
non sarebbe più stato celebrato. Si vedano: Giannattasio, op. cit., 267; Palazzo, Atti gratuiti e
donazioni, cit., 236.
(42)
Il che, peraltro, porta a pensare ad una donazione obnuziale nella quale il donatario sia stato
immesso nella detenzione dei beni donati prima dell'efficacia di essa, vale a dire ad una sorta di
donazione obnuziale «ad effetti anticipati». Non è un caso, a questo riguardo, che i casi in cui è
stato rilevante determinare il momento iniziale del ricordato termine prescrizionale, siano alcuni di
quei casi precedentemente ricordati, quali esempi di come la giurisprudenza sembri, talvolta, vedere
nella mancata celebrazione del matrimonio la condizione risolutiva della donazione , piuttosto
che vedere nel matrimonio la condizione sospensiva. Cfr.: App. Torino, 18.2.1955, in Monitore
tribunali, 1955, 315 s.; App. Torino, 17.10.1955, cit.
(43)
Specificamente su questa distinzione, cfr., per tutti, Oberto, op. cit., 371 ss. I doni di cui all'art.
80 c.c. , come è noto, vengono usualmente ricondotti nel novero delle liberalità d'uso, e, nella
maggior parte dei casi - ma non necessariamente, come emerge da App. Roma, 3.2.1982, in Temi
romana, 1983, 351 ss. - , sono anche doni manuali e di modico
valore ; cfr.: Oppo, op. cit.,
113 ss.; Gardani Contursi - Lisi, op. cit., 301 ss.; Bonilini, op. cit., 376.
(44)
Si sottolinea questo dato, ad esempio, in App. Roma, 3.2.1982, cit.; in quella decisione, ci si è
chiesti se il notevole valore del dono possa essere un elemento sufficiente a fare qualificare
anche il più classico dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, vale a dire l'anello di
fidanzamento, come donazione obnuziale, e ciò poiché proprio tale notevole valore
potrebbe rendere palese l'intento del disponente di destinare il dono anche ad aiutare la coppia pel
caso di eventuali difficoltà finanziarie.
(45)
In questi termini, si veda, nuovamente, App. Roma, 3.2.1982, cit. Di ciò non pare si tenga conto,
viceversa, in App. Torino, 18.2.1955, cit., che, anzi, sembra non distinguere affatto doni prenuziali
e donazioni obnuziali.
(46)
Cfr., fra i tanti, Carnevali, Le donazioni, cit., 568; Bonilini, op. cit., 376.
(47)
Come sottolinea Torrente, op. cit., 204. Cfr., altresì, Biondi, op. cit., 800 s., che, per il profilo
soggettivo, distingue tre differenti ipotesi: la donazione obnuziale da uno sposo all'altro; la
donazione obnuziale da un qualsiasi terzo ad uno od entrambi gli sposi; quella, infine, da un terzo
in favore dei figli nascituri da un determinato matrimonio. In particolare, poi, l'Autore sottolineava:
con riferimento alla prima ipotesi, come la figura potesse configurare un sistema per eludere il
divieto - come è noto ancora in vigore, ex art. 781 c.c., ai tempi in cui Biondo Biondi scriveva - di
donazione tra i coniugi; con riferimento alla terza ipotesi, come potesse considerarsi obnuziale
unicamente la donazione fatta da un terzo ai figli nascituri dal matrimonio, e non anche quella
fatta da uno dei futuri sposi.
(48)
Cfr.: Carnevali, Le donazioni, cit., 569
(49)
Per l'affermativa, ad esempio, si legga Carnevali, Le donazioni, cit., 569.
(50)
Opina che, alla mancata menzione delle donazioni nel testo novellato dell'art. 165 c.c., segua
unicamente la riconducibilità della donazione obnuziale alle convenzioni matrimoniali, alle
quali l'articolo mentovato ancora fa riferimento, e non una tacita abrogazione del disposto dell'art.
774, 1° co., c.c., Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 238 s. Di tale avviso, pare anche Sacco, Art.
165, in Comm. Cian, Oppo e Trabucchi, III, Padova, 1992, 40. Per l'equiparabilità della
donazione obnuziale effettuata con il «contratto di matrimonio» e le convenzioni matrimoniali,
precedentemente, si legga, ad esempio, Trabucchi, Convenzioni matrimoniali e donazione
obnuziale, nota ad App. Catania, 9.1.1953, in Giur. it., 1953, I, 2, c. 615 ss. Escludono la
riconducibilità delle donazioni obnuziali alle convenzioni matrimoniali, e giustificano il diverso
trattamento dei minori rispetto agli inabilitati, sia sottolineando che il minore, fino alla celebrazione
del matrimonio, è completamente incapace, sia ricordando che - caduto il divieto di donazioni tra
coniugi - i soggetti minori al tempo delle nozze, potranno, in breve tempo e con maggiore
ponderazione, farsi reciprocamente le donazioni che riterranno, viceversa: Capozzi, op. cit., 833,
che propende per la tacita abrogazione, relativamente ai minori, dell'art. 774 c.c.; De Rubertis, Le
convenzioni matrimoniali in generale, in Vita notarile, 1975, 943 ss. Nella giurisprudenza - per la
verità precedente alla riforma del diritto di famiglia - si afferma la natura di convenzione
matrimoniale anche della donazione obnuziale, in App. Catania, 9.1.1953, in Giur. it., 1953, I,
2, c. 616 ss., con nota, solo parzialmente contraria, di Trabucchi, Convenzioni matrimoniali e
donazione obnuziale, cit., mentre la si nega in Cass., 4.4.1973, n. 945, cit.
(51)
Si vedano: Carnevali, Le donazioni, cit., 569; Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 238, che
ricorda come la donazione debba essere, in questo caso, compiuta dal tutore, previa
autorizzazione del tribunale, ex art. 375 c.c.
(52)
Cfr., nuovamente, Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 238, che evidenzia come, in tal caso,
siano necessarii il consenso del curatore, e, alternativamente, l'autorizzazione del giudice tutelare o
del tribunale, a seconda che il curatore dell'inabilitato sia, o meno, un genitore, ex art. 394 c.c.
(53)
Entrambe le citazioni sono tratte da Bonilini, Le norme applicabili all'amministrazione di
sostegno, in Bonilini, Chizzini, L'amministrazione di sostegno, Padova, 2007, 2ª ed., 316.
(54)
Cfr., per tutti, Biondi, op. cit., 801.
(55)
Si veda Torrente, op. cit., 203.
(56)
In merito all'acceso dibattito sulla possibilità di acquistare anche diritti reali, prescindendo da
una dichiarazione di volontà del titolare della sfera giuridica nella quale l'acquisto è destinato a
realizzarsi, rinvio ai richiami contenuti in Basini, op. cit., 228 ss.
(57)
Un argomento per la soluzione affermativa viene indicato, pare anche per la donazione
obnuziale, nella sussistenza di «un interesse precostituito e tipico dell'oblato all'appropriazione»:
Sacco, I costituenti del contratto, cit., 81. In giurisprudenza, poi, cfr. Cass., 30.1.2007, n. 1967, in
Mass. Giur. It., 2007, ove si precisa che «per quanto riguarda i negozi unilaterali…la possibilità di
costituire l'usufrutto deve ritenersi limitata alle sole figure della promessa al pubblico…e della
donazione obnuziale di cui all'art. 785 c.c. ».
(58)
In giurisprudenza, i casi di liberalità qualificati come donazioni obnuziali indirette non sono rari.
Al riguardo, tra le pronunzie di legittimità, si vedano: Cass., 23.4.1980, n. 2677, cit.; Cass. civ.,
15.1.1986, n. 171, cit.; Cass., 7.12.1989, n. 5410, cit.; Cass., 23.12.1992, n. 13630, in Dir. famiglia,
1994, 112 ss. Tra le decisioni di merito, cfr.: Trib. L'Aquila, 12.8.1988, cit.; Trib. Napoli,
29.3.2001, in Dir. e giur., 2001, 294 ss., con nota di Rinaldi, Sulla liberalità obnuziale. Di recente,
peraltro, si afferma la incompatibilità della donazione obnuziale con la donazione indiretta
in Cass., 12.7.2006, n. 15873, in Riv. notariato, 2007, 661 ss., con commento di Musolino,
Donazione obnuziale, forma negoziale ad substantiam e donazione indiretta, il quale pure, a
p. 665, sottolinea come, in precedenza, la giurisprudenza non sembrasse intravedere incompatibilità
fra donazione obnuziale e donazione indiretta.
(59)
Cfr.: Sacco, I costituenti del contratto, cit., 73; Carnevali, Le donazioni, cit., 569. In
giurisprudenza, si legga Cass., 12.10.2006, n. 15873, cit.
(60)
Ciò poiché l'efficacia della donazione sarebbe subordinata non solo all'avvenimento
«matrimonio», ma anche alla validità di esso, sicché il suo annullamento opererebbe in guisa di
mancanza della condizione; il linguaggio legislativo, poi, in questo caso sarebbe, senza dubbio,
improprio: Torrente, op. cit., 560. Analogamente, cfr., ad esempio: Lanzillo, op. cit., 238, che
accosta esplicitamente l'annullamento del matrimonio, richiamato all'art. 785, 2ª co., c.c., ad una
condizione risolutiva; Capozzi, op. cit., 832; Bonilini, La pronunzia di divorzio e le donazioni tra
coniugi, in Contratti, 1997, 213.
(61)
La propensione per la nullità della donazione è più accentuata nella giurisprudenza. Anche
in dottrina, peraltro, vi è chi afferma che all'annullamento del matrimonio consegue la nullità, vera e
propria, della donazione . Cfr.: Maroi, op. cit., 758, il quale, inoltre, afferma che la nullità segue
anche alla certezza che il matrimonio non sarà più celebrato; Perchinunno, op. cit., 178; Carnevali,
Le donazioni, cit., 570; Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 237, che da ciò trae anche un
argomento per sostenere il ruolo causale del matrimonio nella donazione obnuziale; Musolino,
nota cit., 666. In giurisprudenza, per la nullità della donazione in conseguenza
dell'annullamento del matrimonio, si vedano, ad esempio: Cass., 13.10.1960, n. 2708, in Foro it.,
1961, I, c. 1929 ss.; Cass., 23.6.1971, n. 1987, cit., nella quale si esclude esplicitamente che la
conseguenza dell'annullamento del matrimonio possa essere l'inefficacia della donazione , e non
la sua nullità; Cass., 4.4.1973, n. 945, cit. In senso difforme, peraltro, potrebbe forse intendersi
Cass., 25.10.1991, n. 11370, in Mass. Giur. it., 1991, c. 1012, nella cui massima la conseguenza
dell'annullamento del matrimonio viene, genericamente, indicata come «caducazione» della
donazione obnuziale. Per l'inefficacia, in precedenza, si legga Cass., 15.1.1937, n. 104, in Mass.
Foro it., 1937, c. 26; è noto, del resto, come l'art. 1068 del codice civile del 1865, quale
conseguenza dell'annullamento del matrimonio, non disponesse la nullità della donazione , bensì
che essa fosse «senza effetto».
(62)
Il divorzio, dunque, viene, anche sotto questo profilo, accostato all'altra ipotesi di scioglimento
del matrimonio, vale a dire alla morte di uno dei coniugi, piuttosto che all'annullamento del
matrimonio medesimo: come la morte di un coniuge non incide sulla donazione , così è anche
per il divorzio. In senso difforme, però, si legga Cass., 15.1.1937, n. 104, cit. L'orientamento della
giurisprudenza muta, e diviene quello attualmente costante, già con Trib. Roma, 11.7.1946, in Rep.
Foro it., 1946, Matrimonio, n. 75, e, poi, con Cass., 18.2.1967, n. 403, in Giust. civ., 1967, I, 917
ss., entrambe in materia di scioglimento conseguente alla dispensa dal matrimonio rato e non
consumato. Specificamente, per la validità della donazione obnuziale anche dopo il divorzio dei
donatarii, poi, cfr.: Cass., 13.3.1976, n. 904, cit.; Cass., 6.7.1977, n. 2963, in Foro it., 1978, I, c. 466
ss., con osservazioni di Lener; Cass., 25.10.1991, n. 11370, cit.
(63)
Benché sempre con riferimento allo scioglimento conseguente alla dispensa dal matrimonio rato
e non consumato, per la nullità della donazione obnuziale, cfr. Maroi, op. cit., 758, il quale,
peraltro, afferma che «la dispensa produce l'annullamento del vincolo», e, seppure in termini
dubitativi, per l'inefficacia della donazione stessa, cfr. Torrente, op. cit., 560 s. Trae, come
logica conseguenza del considerare la dispensa dal matrimonio rato e non consumato quale ipotesi
di scioglimento, e non di annullamento, del matrimonio, la non caducazione della donazione ,
invece, Biondi, op. cit., 815 s. Con specifico riferimento al divorzio, peraltro, per la non incidenza
di esso sulla donazione obnuziale, cfr.: Punzi, Il divorzio e i rapporti fra i coniugi, in Riv. dir.
civ., 1972, II, 78 s.; Giannattasio, op. cit., 269; Capozzi, op. cit., 832; Perchinunno, op. cit., 179;
Musolino, nota cit., 667. Di contrario avviso pareva Palazzo, Donazione , cit., 142, ma le
critiche all'orientamento dominante non sono riprese in Palazzo, Atti gratuiti e donazioni, cit., 237,
laddove si può leggere che «non comportano caducazione della donazione la separazione dei
coniugi o il divorzio» (il corsivo è aggiunto). In merito, altresì, cfr. Bonilini, La pronunzia di
divorzio e le donazioni tra coniugi, cit., 212 ss., il quale sottolinea come non si possa sostenere in
ogni caso che il donante abbia avuto riguardo unicamente all'atto di matrimonio, e non anche alla
stabilità del rapporto che ne sarebbe dovuta discendere, tanto da escludere la possibilità di dare
rilevanza anche alla durata del matrimonio. A tal fine, il donante potrà, del resto, prevedere lo
scioglimento del matrimonio conseguente al divorzio come condizione risolutiva della donazione
; cfr. anche: Carnevali, Le donazioni, cit., 571; Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle
donazioni, cit., 377.
(64)
Né potrebbe essere diversamente, poiché in questo caso il matrimonio rimane in essere. In tema
di donazione obnuziale e separazione personale, oltre agli Autori ricordati in precedenza, si
veda Pellegatta, Doni obnuziali in regime di separazione personale, in Giur. it., 1961, IV, c. 21 ss.
In giurisprudenza, cfr. App. Firenze, 30.4.1956, in Rep. Foro it., 1956, Coniugi (rapporti
patrimoniali tra), n. 33.
(65)
Ciò in quanto l'azione che il donante può esperire ha natura personale, sicché il donante/attore
non è tenuto a dare prova anche della proprietà del bene. In dottrina, si veda Giannattasio, op. cit.,
268. Cfr., inoltre: Carnevali, Le donazioni, cit., 570; Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle
donazioni, cit., 775. In giurisprudenza, cfr. Cass., 13.10.1960, n. 2708, cit.; Cass., 4.4.1973, n. 945,
cit. Ove l'azione personale si sia prescritta rimane possibile la rivendica del bene donato: cfr. Cass.,
23.6.1971, n. 1987, cit.; Cass., 4.4.1973, n. 945, cit., che ricorda come sia pure possibile l'azione,
anch'essa imprescrittibile, di mero accertamento della proprietà del donante. Su questi ultimi profili,
in dottrina, cfr. Biondi, op. cit., 811.
(66)
Vi è chi sottolinea come i diritti del terzo acquirente di buona fede restino, così, salvi
indipendentemente dalla trascrizione. Cfr.: Biondi, op. cit., 813 s.; Giannattasio, op. cit., 269 s.
(67)
Cfr. Carnevali, Le donazioni, cit., 570.
(68)
Come sottolinea Lanzillo, op. cit., 239 s. L'Autrice evidenzia, inoltre, come queste regole,
quindi, invece di favorire il coniuge di buona fede, lo porrebbero in una condizione deteriore
rispetto a quella che gli verrebbe dalle regole generali in tema di acquisto dei frutti da parte del
possessore di buona fede, proponendo, perciò, di applicare l'art. 785 c.c. solo nel caso in cui il
coniuge di buona fede non possa invocare l'art. 1148 c.c.
(69)
Non si è mancato di evidenziare come sia destinata a cadere, invece, la donazione che,
seppure sostanzialmente diretta all'allevamento della prole, abbia un coniuge (od entrambi) come
beneficiarii: V. Amendola, Le donazioni obnuziali e l'annullamento del matrimonio, in Foro it.,
1956, IV, c. 153.
(70)
Questa discriminazione «difficilmente giustificabile» è stata messa in luce da Lanzillo, op. cit.,
240.
Cassazione civile , 12/07/2006, n. 15873, sez. II
Donazione obnuziale, forma negoziale ad substantiam e donazione indiretta .
Riv. notariato 2007, 3, 663
Giuseppe Musolino
1. Aspetti generali: natura del peculiare negozio donativo. - 2. L'elemento del matrimonio e la
donazione. - 3. La questione della donazione obnuziale indiretta . - 4. L'immobile donato a causa di
matrimonio nella legislazione sulle locazioni. - 5. Donazione obnuziale e promessa di matrimonio. 6. Donazione obnuziale, nullità del matrimonio e divorzio.
1. Aspetti generali: natura del peculiare negozio donativo.
Secondo l'art. 785, comma 1, c.c., la donazione fatta in riguardo di un determinato futuro
matrimonio, sia dagli sposi (rectius nubendi) fra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli
sposi o dei figli nascituri da questi, si perfeziona senza bisogno che sia accettata, ma non produce
effetto finché non segua il matrimonio, così che sino alle nozze nessun diritto è attribuito al
donatario e correlativamente nessun diritto perde il donante dal cui patrimonio non è uscito il bene
oggetto della donazione (PALAZZO, Le donazioni, in Il Codice civile. Commentario, diretto da
Schlesinger, Milano, 2000, p. 281; GARDANI CONTURSI-LISI, Delle donazioni, in Comm. cod. civ. a
cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1976, p. 299, secondo cui il momento iniziale degli
effetti non può che coincidere con il momento dell'acquisto, da parte del soggetto, della qualità di
parte nel matrimonio attraverso il verificarsi delle nozze, poiché solo in quanto tale egli è stato
scelto come destinatario di questa donazione; Trib. Lecce, 3 aprile 1962, in Rep. Giust. civ., 1963,
voce Donazione, n. 38).
Caratteristica della donazione obnuziale è, dunque, di perfezionarsi senza necessità di accettazione
del donatario, avendo, secondo un orientamento, natura di negozio unilaterale (BIONDI, Le
donazioni, in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, vol. XII, t. 4, Torino, 1961, p. 793; Torrente, La
donazione, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 1956, p. 159).
Per una diversa opinione, il differenziarsi dello spirito di liberalità-scelta, in questa donazione,
conduce non già ad una struttura unilaterale, ma solo ad un esonero da obbligazioni a carico del
donatario, come l'accettazione (GARDANI CONTURSI-LISI, Delle donazioni, cit., p. 299; contra la
natura di negozio unilaterale anche CATAUDELLA, Tipi e sottotipi nella donazione, in Studi in onore
di Cesare Massimo Bianca, t. II, p. 571), e non manca chi ritiene ricorrere nella fattispecie in esame
la previsione ex art. 1333 c.c., il cui secondo comma stabilisce che nei contratti con obbligazioni del
solo proponente il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare
o dagli usi e, in mancanza di tale rifiuto, il contratto è concluso (così, SACCO, Il contratto, in Tratt.
dir. civ., diretto da Vassalli, Torino, 1974, p. 44).
Si è anche evidenziato che, nella donazione obnuziale, il donante sceglie il donatario poiché
quest'ultimo è parte nel matrimonio, per cui si tratta di una donazione nascente «da uno spirito di
liberalità differenziato dallo spirito di liberalità (ex art. 769) puro, cioè non accompagnato da alcuna
indicazione o segnalazione di soggetto». Siccome «il soggetto viene scelto in quanto indicato
dall'evento-matrimonio di cui è necessariamente parte (...) vi si correla chiaramente una posizione
privilegiata del donatario (in raffronto agli altri donatari) come eliminazione del contenuto «a
carico» (ex lege) del donatario stesso: non solo come accettazione-obbligazione di fare, ma altresì
come obbligo alimentare in favore del donante (art. 437); mentre, in effetti, anche il divieto di
revocazione (art. 805) pone in un maggior favore il destinatario del rapporto creato dalla scelta del
donante, rendendo ferma l'attribuzione» (GARDANI CONTURSI-LISI, Delle donazioni, cit., p. 295 s.).
2. L'elemento del matrimonio e la donazione.
Per aversi donazione in riguardo di matrimonio (obnuziale) è necessario che l'atto faccia riferimento
ad un matrimonio bene individuato, cosicchè è da escludere che rientri nello schema di cui all'art.
785 c.c. l'attribuzione patrimoniale effettuata nella prospettiva soltanto generica ed accidentale del
matrimonio (Cass., 22 ottobre 1988, n. 5731, in Vita not., 1988, p. 735; Cass., 7 dicembre 1989, n.
5410, in Giur. it., 1990, I, 1, c. 1590, che ha ritenuto corretta l'esclusione degli estremi della
donazione con riguardo al matrimonio in riferimento a più atti di liberalità fra due persone che a
lungo avevano convissuto more uxorio, avendo rilevato che la convivenza, anteriore al matrimonio,
protrattasi per circa un ventennio e la reiterazione degli atti di liberalità sono inconciliabili, sotto il
profilo logico, con la determinatezza del matrimonio richiesta dal citato art. 785 c.c.).
Vi è, poi, differenza fra donazione obnuziale e donazione sottoposta alla condizione sospensiva di
contrarre un matrimonio determinato, essendo quest'ultima una donazione condizionale disciplinata
in tutto e per tutto dalle norme sulla condizione, per cui riceve applicazione integrale il principio
della retroattività della condizione, e, a differenza della donazione obnuziale, l'annullamento del
matrimonio non incide sulla sorte del negozio donativo (cfr. Cass., 6 settembre 1968, n. 2874, in
Giust. civ., 1969, I, p. 1938, che esclude la presenza di una donazione obnuziale, se la donazione
viene fatta in contemplazione di nozze generiche ed imprecisate).
Circa la configurazione giuridica del matrimonio nella fattispecie in esame, si ritiene da una parte
della dottrina che dia luogo ad una condicio iuris della donazione (FUNAIOLI, La donazione, Pisa,
1950, p. 142).
Secondo altri, le nozze costituiscono una condicio facti sospensiva e non ineriscono alla causa del
negozio (TORRENTE, La donazione, cit., p. 460).
Per una terza opinione, premesso che vi è equivalenza fra condicio iuris e requisito legale e che la
condicio iuris medesima non costituisce una vera condizione, anche se dedotta in maniera esplicita
nel negozio per volontà delle parti, si considera la celebrazione del matrimonio come una peculiare
causa negoziale, costituente una specificazione della comune causa donandi (BIONDI, Le donazioni,
cit., p. 807; GARDANI CONTURSI-LISI, Delle donazioni, cit., p. 292 ss., che cita la Relazione al
progetto definitivo del codice civile, secondo cui «il matrimonio è la causa finale della donazione»).
In proposito, per la giurisprudenza, come la S.C. conferma con la pronunzia sopra riportata, il
matrimonio appare essere un elemento intrinseco, che incide sul piano causale ed effettuale del
negozio, poiché motivo essenziale e determinante di esso: l'attribuzione patrimoniale viene
effettuata a causa delle nozze e non solo in vista ed in considerazione di esse (Cass., 23 giugno
1971, n. 1987, in Foro it., 1972, I, c. 114).
3. La questione della donazione obnuziale indiretta .
Precedentemente alla pronunzia in epigrafe, la giurisprudenza non sembra intravedere
incompatibilità fra la figura della donazione obnuziale e quella della donazione indiretta .
Si è, ad esempio, ritenuta una donazione obnuziale indiretta del terreno, inefficace per non essere
seguito il matrimonio, l'elargizione, al promesso sposo della figlia del donante, del denaro
necessario per acquistare un terreno, sul quale costruire la futura casa coniugale.
Dall'inefficacia della donazione obnuziale indiretta si è fatto discendere il dovere di restituzione del
terreno al donante, considerandosi a lui acquisita per accessione la casa costruitavi dal mancato
genero a spese comuni (Cass., 23 aprile 1980, n. 2677, in Foro it., 1981, I, c. 1395).
Parimenti, si è giudicato che l'intestazione, a nome della figlia e del prossimo marito, nel contratto
di acquisto di un immobile acquisito con denaro paterno, integri gli estremi di una donazione
indiretta obnuziale di denaro, con conseguente irrevocabilità della disposizione (Trib. L'Aquila, 12
agosto 1988, in Giur. merito, 1990, con nota adesiva di BAFILE, Acquisto in riguardo di matrimonio
con denaro fornito dal padre, il quale ritiene l'art. 785 c.c. applicabile sia alla donazione diretta che
a quella indiretta).
Anche le spese sostenute dal genitore del futuro sposo per lavori di ristrutturazione dell'immobile di
proprietà della fidanzata del figlio e per l'acquisto di arredamento, in vista del prossimo matrimonio,
sono state ritenute integrare, sia pure in assenza di una formalizzazione del negozio donativo, una
donazione obnuziale di cui all'art. 785 c.c. (Trib. Napoli, 29 marzo 2001, in Dir. e giur., 2001, p.
294, con nota di RINALDI, Sulla liberalità obnuziale).
Si è, poi, ritenuto che, qualora un preliminare di vendita immobiliare (nel quale la qualità di
promissario acquirente e di possessore in via anticipata del bene da trasferire venga assunta da
persona diversa da quella che provvede al versamento del corrispettivo) sia ricollegabile ad un
accordo trilaterale, volto a conseguire, con la partecipazione del promettente venditore, una
donazione indiretta in favore di detto promissario da parte di chi esegue il pagamento, il
sopravvenuto venir meno della causa donandi (nella specie, si trattava di donazione in previsione di
un futuro matrimonio poi non celebrato) determina la caducazione della suddetta attribuzione
patrimoniale. Da ciò discende anche il venir meno del diritto di godere del bene in vista della
stipulanda compravendita definitiva, ma non la perdita di efficacia del rapporto fra il promittente
venditore e il donante, il quale viene a porsi nella qualità di effettivo promissario (Cass., 15 gennaio
1986, n. 171, in Giur. it., 1987, I, 1, c. 730, con nota di FERRARO, Donazione obnuziale indiretta ,
simulazione e negozio fiduciario, il quale si esprime a favore della possibilità della donazione
obnuziale indiretta ).
4. L'immobile donato a causa di matrimonio nella legislazione sulle locazioni.
Quanto alla donazione «a causa di matrimonio» dell'immobile locato, prima prevista dall'art. 7, l. 23
maggio 1950, n. 253, e, poi, dall'art. 61, comma 3, l. n. 392 del 1978, ai fini di una diversa
decorrenza del triennio richiesto per l'esercizio dell'azione di rilascio per urgente ed improrogabile
necessità (dal giorno in cui il donante ha acquistato il diritto sull'immobile, e non dalla data della
donazione), la giurisprudenza di legittimità ha giudicato che essa non equivale alla donazione «in
riguardo di matrimonio» ex art. 785 c.c.
Essa postulerebbe semplicemente un rapporto di connessione o di occasionalità con il matrimonio,
che, quindi, non deve necessariamente risultare dall'atto, ma può essere desunto aliunde (Cass., 19
dicembre 1980, n. 6565, in Giust. civ., 1981, I, p. 1071).
Si deve, comunque, menzionare un diverso indirizzo apparso nella giurisprudenza di merito, la
quale ha ritenuto che, con l'espressione «donato a causa di matrimonio», riferita all'immobile, l'art.
61, comma 3, l. n. 392 del 1978 (riproducente per tale ipotesi il disposto dell'art. 7, comma 3, l. n.
253 del 1950) non può che riferirsi a quella che l'art. 785 c.c., più esattamente, definisce donazione
in riguardo di matrimonio (Pret. Marano di Napoli, 23 febbraio 1983, in Arch. locazioni e cond.,
1983, p. 133, con nota di ACCORDINO).
5. Donazione obnuziale e promessa di matrimonio.
Una prima differenza fra il dono prenuziale di cui all'art. 80 c.c., in tema di promessa di
matrimonio, e la donazione obnuziale consiste nel fatto che il primo può essere fatto solo da un
promesso sposo all'altro, mentre la donazione può avere chiunque per donante.
Può, poi, dirsi che i doni fra fidanzati rientrano nella categoria delle liberalità d'uso e non fra le
donazioni (TORRENTE, La donazione, cit., p. 120; GARDANI CONTURSI-LISI, Delle donazioni, cit., p.
301 ss.; OBERTO, Doni prenuziali e donazioni obnuziali, in Famiglia e dir., 1996, p. 371).
Ad esempio, non può essere inquadrato nella fattispecie ex art. 785 c.c. il dono di un anello di
grande oppure di modico valore, tipico regalo di fidanzamento, fatto dal fidanzato alla fidanzata.
L'elemento del notevole valore del dono non è, comunque, idoneo ad escludere nella dazione di un
anello la natura di donativo fatto a causa del fidanzamento. Tale fattispecie, pertanto, integra
l'ipotesi di cui all'art. 80 c.c. (restituzione dei doni) e l'azione per la restituzione è improponibile
qualora sia trascorso più di un anno dalla morte di uno dei promittenti (App. Roma, 3 febbraio
1982, in Temi romana, 1983, p. 351).
6. Donazione obnuziale, nullità del matrimonio e divorzio.
Poiché nella donazione obnuziale l'attribuzione patrimoniale appare collegata geneticamente e
funzionalmente con il matrimonio del quale segue le sorti, se il matrimonio medesimo non viene
celebrato oppure viene dichiarato nullo anche l'attribuzione è nulla (Cass., 4 aprile 1973, n. 945, in
Rep. Foro it., 1973, voce Donazione, n. 22, 23, 24; AMENDOLA, Le donazioni obnuziali e
l'annullamento di matrimonio, in Foro it., 1956, IV, c. 153. Per il caso di dispensa papale
nell'ipotesi di non consumazione, si veda Cass., 18 febbraio 1967, n. 403, in Dir. eccl., 1968, I, p.
62, con nota di MOLTENI, Sulla validità della donazione propter nuptias in caso di scioglimento di
matrimonio per dispensa super rato et non consumato).
Se l'art. 785, comma 2, c.c. prevede la nullità della donazione obnuziale a seguito dell'annullamento
del matrimonio, sono, comunque, fatti salvi i diritti acquisiti da terzi di buona fede fra il giorno del
matrimonio ed il passaggio in giudicato della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio stesso.
Il coniuge di buona fede, poi, non è tenuto alla restituzione dei frutti percepiti anteriormente alla
domanda di annullamento (art. 785, comma 3, c.c.) e la donazione effettuata a favore di figli
nascituri resta efficace per la prole rispetto alla quale si verificano gli effetti del matrimonio
putativo (art. 785, comma 4, c.c.).
Tale disciplina non trova applicazione né nell'ipotesi di separazione dei coniugi, nella quale il
vincolo matrimoniale permane, né per il caso del divorzio, poiché quest'ultimo non elide il vincolo
coniugale per i vizi inerenti al suo momento genetico, ma ne presuppone la validità, limitandosi a
rimuoverne gli effetti per vicende sopravvenute ed a partire dalla relativa pronunzia.
Per questo, può concludersi che tale fattispecie di scioglimento del matrimonio lascia integra la
situazione che ha costituito motivo e condizioni delle donazioni obnuziali (Cass., 25 ottobre 1991,
n. 11370, in Rep. Foro it., 1991, voce Matrimonio, n. 253; Cass., 6 luglio 1977, n. 2963, in Foro it.,
1978, I, c. 466; Cass., 13 marzo 1976, n. 904, in Rep. Foro it., 1976, voce Donazione, n. 12).
REVOCAZIONE DELLA DONAZIONE ADOZIONE DI PERSONA MAGGIORE DI ETA' E REVOCAZIONE DELLA
DONAZIONE
Iaccarino Giancarlo
Cass. civ. Sez. II, 04 maggio 2012, n. 6761
FONTE
Corriere Giur., 2012, 11, 1335
Successioni e donazioni - Revoca della donazione
Sommario: Il caso - La sentenza della Cassazione - Revocazione per sopravvenienza di figli Osservazioni conclusive
Il caso
Il 2 giugno 1992 Tizia, priva di figli e discendenti legittimi, effettuò una donazione in favore di
Caia.
Successivamente, Tizia adottò un maggiore di età di nome Filano.
Come è noto, l'adozione civile (o adozione di persone maggiori di età ex art. 291 c.c. e ss.)
comporta che lo stato di figlio adottivo si aggiunge al precedente stato familiare senza modificarlo
ed è consentita ad una persona sola o ad una coppia di coniugi. Inoltre l'adottante, sino alla Sentenza
della Corte costituzionale del 1988 (1), a norma dell'art. 291 non doveva avere discendenti legittimi
o legittimati.
A seguito di tale adozione la donante riconsiderò la propria sistemazione patrimoniale. La stessa,
invero, volendo privilegiare i diritti del figlio adottivo Filano rispetto a quelli della donataria Caia,
intendeva attribuire il suo patrimonio interamente al figlio sopravvenuto mediante l'adozione.
Tizia ritenne che, in virtù di tale adozione, si fossero verificati i presupposti per attivare la
procedura di revocazione della suddetta donazione ai sensi dell'art. 803 c.c.
Tale articolo, infatti, disciplina la revoca delle donazioni per sopravvenienza di figli.
Pertanto, la donante, intenzionata ad annientare la liberalità fatta in favore di Caia percorrendo tale
strada, propose domanda al Tribunale di Roma per sentire revocata la donazione ai sensi dell'art.
803 c.c. o comunque per ingratitudine ai sensi dell'art. 801 c.c.
I giudici di prime cure, sul presupposto che l'adozione del maggiore di età, a differenza di quella
legittimante dei minori abbandonati che conferisce lo stato giuridico di figlio legittimo, non può
attivare la revocazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 803 c.c., respinsero la domanda con sentenza
del 30 dicembre 2002.
La donante propose appello.
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 20 aprile 2012, rigettò il gravame per i seguenti
motivi:
a) Il fondamento della revocazione risiede nell'esigenza di consentire al donante una rivalutazione
della perdurante opportunità della donazione a fronte del fatto, sopravvenuto, della nascita o della
conoscenza dell'esistenza di figli o discendenti legittimi;
b) Il dato di partenza della revocazione è sempre rappresentato da una condizione, fisica o mentale,
del donante che al momento della donazione non ha avuto ancora figli o ne ignora l'esistenza.
Quindi, di un soggetto che non deve trovarsi nella condizione di poter operare un tardivo
ripensamento in presenza di una diversa condizione, come quella della sopravvenuta adozione di un
maggiore di età ex art. 291 c.c.;
La Corte di appello ha poi ritenuto, rispetto all'adozione, manifestamente infondata l'eccezione di
incostituzionalità dell'art. 803 c.c. per disparità di trattamento tra figli naturali (i quali una volta
riconosciuti acquisiscono la qualità di figli legittimi) e figli adottivi maggiorenni, stante la diversità
dei presupposti di fatto e di diritto su cui si fondano tali categorie soggettive.
Le differenze, come ha precisato la Corte, sono nette. L'adozione del maggiorenne, invero, è una
figura connotata, essenzialmente, da finalità di conservazione patrimoniale e dinastica, essendo la
stessa destinata ad assolvere la funzione prevalente di assicurare la trasmissione del nome e del
patrimonio dell'adottante, ed essendogli estranee finalità di allevamento e di educazione dei minori,
salvo casi eccezionali che, comunque, non fanno mutare la sostanza dell'istituto.
La Corte, infine, non ha mancato di evidenziare la differenza tra l'adozione del maggiore di età, che
avviene per le finalità innanzi precisate, e l'adozione speciale, che, invece, risponde all'esigenza di
tutelare l'interesse essenziale del minore ad inserirsi e crescere in una famiglia idonea allorché la
famiglia naturale sia certamente e irreversibilmente inidonea a svolgere i propri compiti.
Il ricorso in Cassazione si è articolato su alcuni motivi che meritano di essere sinteticamente
evidenziati.
In primo luogo, il ricorrente ha osservato che l'esclusione dei figli adottivi dell'àmbito di operatività
dell'art. 803 c.c. deriva da una lettura miope della norma in quanto non coordinata con gli artt. 536
e 537 c.c. Nel diritto successorio, infatti, i figli adottivi sono equiparati ai figli legittimi e
concorrono, in qualità di legittimari, alla successione nel patrimonio dell'adottante. Tali norme sono
applicabili, ai sensi dell'art. 304 c.c., anche nell'adozione di persone maggiori di età.
Non vi sarebbe, dunque, alcuna differenza tra procreazione naturale, adozione di minori e adozione
di maggiori di età. Non si comprenderebbe, del resto, sempre secondo il ricorrente, per quale
ragione il legislatore riconosca ai figli adottivi la possibilità di esperire l'azione di riduzione degli
atti di liberalità compiuti in vita dall'adottante e neghi invece a quest'ultimo il potere di revocare
quegli stessi atti ai sensi dell'art. 803 c.c.
Inoltre, il ricorrente non ha mancato di evidenziare l'importanza dell'art. 687 primo comma, c.c., il
quale, disciplinando la revoca del testamento per sopravvenienza di figli, ribadisce la piena
equiparazione tra i figli legittimi e figli adottivi, maggiori o minori di età che siano.
In secondo luogo, la Corte d'appello, a parere del ricorrente, da un lato, ha escluso che la
revocazione sia prevista a tutela degli interessi dei figli sopravvenuti o della famiglia; dall'altro, ha
ritenuto che la protezione dei figli sia comunque da considerare come scopo perseguito dall'art. 803
c.c.
In terzo ed ultimo luogo, il ricorrente ha dedotto la illegittimità costituzionale dell'art. 803 c.c., per
violazione del principio di eguaglianza, nella parte in cui non prevede la revoca degli atti di
liberalità per sopravvenienza di figli adottivi maggiori di età.
La sentenza della Cassazione
La Cassazione, pur riconoscendo la complessità della controversia e la novità della questione, ha, a
mio parere, giustamente rigettato il ricorso (2).
Le pretese del ricorrente, invero, poggiavano soprattutto su una distorta e ampliata funzione
dell'adozione del maggiore di età che non si limiterebbe soltanto alla trasmissione del nome e del
patrimonio bensì anche a consentire il consolidamento dell'unità familiare e, in tal senso, sarebbe
sovrapponibile all'adozione dei minori.
Di contro, la Suprema Corte ha esattamente evidenziato che solo l'adozione dei minori di età
persegue il fine di garantire al minore il diritto a vivere, crescere ed essere educato in una famiglia e
ad essere allevato da una coppia di genitori in caso di inesistenza o di inidoneità di quelli biologici.
In realtà quest'ultima finalità è assente nel caso dell'adozione del maggiore di età che, oltre ad essere
consentita anche al singolo, non fa sorgere alcun rapporto tra l'adottante e la famiglia dell'adottato,
né tra questo e i parenti dell'adottante, e non fa venir meno i diritti e doveri dell'adottato verso la sua
famiglia di origine.
La chiave di lettura della decisione risiede, dunque, nella netta diversità tra l'adozione ordinaria e
l'adozione legittimante.
La prima, infatti, non implica necessariamente l'instaurarsi o il permanere della convivenza
familiare e non determina la soggezione alla potestà del genitore adottivo, che non assume l'obbligo
di mantenere, istruire ed educare l'adottato. La seconda, di contro, ha come essenziale obiettivo
l'interesse del minore volto ad ottenere un ambiente familiare stabile ed armonioso, nel quale si
possa sviluppare la sua personalità, in un equilibrato contesto affettivo ed educativo che ha come
riferimento idonei genitori adottivi. Da ciò conseguono il pieno inserimento del minore nella
comunità familiare adottiva e l'obbligo dell'adottante di mantenere, istruire ed educare l'adottato
così come è previsto per i figli dall'art. 147 c.c.
Determinante in questa comparazione tra le due fattispecie è, infine, secondo la Suprema Corte la
revocabilità dell'adozione del maggiore di età (ancorché limitata ex art. 305 c.c.) a differenza di
quella speciale, nonché, a mio parere, la circostanza che tale tipologia di adozione è consentita
anche ad una persona sola oltre che alla coppia.
Revocazione per sopravvenienza di figli
L'art. 800 c.c. dispone che la donazione può essere revocata per ingratitudine o sopravvenienza di
figli. Tale norma, che costituisce una evidente eccezione ai princípi che regolano la stabilità dei
contratti (3), è giustificata dalla necessità di tutelare interessi superiori di ordine morale
(ingratitudine) o familiare (sopravvenienza di figli).
Gli artt. 801 e 802 c.c. disciplinano la revocazione per ingratitudine mentre gli artt. 803 e 804 c.c.
regolano la revocazione per sopravvenienza di figli.
Ai sensi dell'art. 803 c.c. le donazioni, fatte da chi non aveva o ignorava di avere figli o discendenti
legittimi al tempo della donazione, possono essere revocate per la sopravvenienza o l'esistenza di un
figlio o discendente legittimo del donante.
Questa seconda ipotesi di revocazione trova la sua giustificazione nella tutela dell'interesse
superiore della famiglia e più in particolare dell'interesse dei figli tutelati dagli istituti della
riduzione e della collazione posti a presidio dei loro diritti.
La norma, come precisato dalla dottrina (4), si basa su due presupposti: uno negativo ed uno
positivo.
Il primo, quello negativo, consiste nella inesistenza o ignoranza circa l'esistenza di figli o
discendenti legittimi viventi al tempo della donazione.
Al fatto obbiettivo della mancanza di figli o discendenti legittimi è equiparata la situazione
soggettiva dell'ignoranza, nel donante, di avere tali figli o discendenti. Basta l'esistenza di un solo
figlio ad escludere questo presupposto.
Il secondo, quello di ordine positivo, è la sopravvenienza o la conoscenza dell'esistenza di un figlio
o discendente del donante.
Ai fini di delimitare il perimetro di operatività della norma al vaglio, è noto che non genera, sia in
dottrina sia in giurisprudenza, particolari problemi l'equiparazione totale tra figli legittimi e naturali
così come operata dall'art. 30, 3° comma della costituzione, che impone al legislatore di assicurare
ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri
della famiglia legittima (5).
Più complessa, invece, è la questione esaminata dalla sentenza relativa ai figli adottivi.
Come in precedenza evidenziato, bisogna distinguere l'adozione legittimante (6) dei minori di età
dall'adozione delle persone maggiorenni (7).
Come è noto, l'adozione civile (o adozione di persona maggiore di età) è l'istituto che conferisce lo
stato di figlio adottivo all'adottato maggiorenne (art. 291 c.c. e ss.) (8) mentre l'adozione piena (detta
anche legittimante) conferisce al minore abbandonato lo stato di figlio legittimo degli adottanti, i
quali ne divengono genitori a tutti gli effetti (art. 27 L. 184/83).
Nessun dubbio, salvo una isolata opinione che verrà in seguito analizzata, che per l'adozione
legittimante operi l'art. 803 c.c. come riconosciuto dalla dottrina dominante (9).
Viceversa per l'adozione civile, nonostante la dottrina abbia raramente affrontato a fondo il quesito,
il dibattito è vivace. A tal proposito, si sono formate tre correnti di pensiero che qui di seguito
brevemente si esaminano.
Tesi estensiva
Parte della dottrina (10), partendo dal presupposto che la famiglia è oggi una comunità di eguali,
ritiene che anche l'adozione del maggiore di età possa legittimare il donante a revocare la
donazione.
In particolare, tale autorevole dottrina, le cui conclusioni coincidono con le motivazioni addotte
dalla ricorrente avverso la Corte di appello, fa leva sul fatto che sia i figli legittimi sia gli adottati
maggiori di età hanno la qualità di legittimario giusta la piena equiparazione dettata dall'art. 536
cpv. c.c. In quanto legittimario, anche l'adottato è legittimato ad esperire l'azione di riduzione.
Mal si comprenderebbe, dunque, come sia possibile riconoscere ai figli adottivi il diritto di agire in
riduzione delle donazioni disposte dall'adottante e, al contempo, negare a quest'ultimo il potere di
agire in revocazione delle medesime donazioni, ex art. 803 c.c.
Tale corrente di pensiero, inoltre, fa riferimento anche ad altre norme che rendono manifesta la
piena corrispondenza di diritti ed obblighi dei figli maggiori di età e dei legittimi (11).
L'equiparazione degli adottivi ai legittimi è disposta anche in tema di successione legittima ai sensi
dell'art. 567 c.c.
Ai sensi dell'art. 299 c.c., infine, l'adottato assume il cognome dell'adottante e l'antepone al proprio.
In estrema sintesi, secondo tale orientamento, alla luce delle motivazioni addotte, "stupisce che
possa ancora sostenersi che la revoca della donazione non possa essere pronunziata, allorché sia
sopravvenuto al donante un figlio adottivo maggiore d'età".
Tesi intermedia
Pur riconoscendo la validità di tali osservazioni, sembra preferibile, in linea sia con la dottrina
prevalente (12) sia con la Cassazione che si commenta, sostenere che l'equiparazione tra adozione
legittimante e adozione di maggiori di età non possa spingersi sino al punto di consentire la
revocazione per quest'ultima fattispecie.
Invero, condividendo le motivazioni della Suprema Corte, non può sfuggire che il fondamento della
adozione dei maggiori di età si discosta notevolmente da quello contemplato dall'art. 27 della Legge
184/83.
In linea con tale orientamento la dottrina più recente (13), commentando due sentenze del Tribunale
di Prato del 20 dicembre 2011 e dell'11 gennaio 2012 volte a negare la possibilità di adottare un
maggiorenne al solo fine di fargli conseguire la cittadinanza Italiana, non ha mancato di evidenziare
la peculiarità di tale tipo di adozione.
L'autore, senza mezze misure, ha evidenziato che con la riforma del 1983 il legislatore ha
qualificato in senso decisamente patrimoniale la funzione dell'adozione dei maggiori di età la quale
è volta a realizzare tanto l'interesse economico e morale dell'adottando, quanto e soprattutto quello
dell'adottante alla perpetuazione della discendenza in assenza di una filiazione biologica.
Pertanto, con la su richiamata riforma sono state escluse per l'adozione del maggiorenne le finalità
assistenziali, filantropiche e di beneficienza.
In estrema sintesi, il linea sempre con la dottrina (14), l'adozione del maggiore di età, nonostante
possa occasionalmente realizzare finalità di tipo solidaristico (15), è antitetica rispetto a quella dei
minori.
Tesi restrittiva
Secondo un altro orientamento (16), per individuare la rilevanza dell'adozione rispetto alla fattispecie
in esame, è opportuno distinguere tra il presupposto di ordine negativo e quello di ordine positivo.
Relativamente al primo, ovvero al fatto che il donante non aveva figli o discendenti legittimi viventi
al tempo della donazione, poiché la norma (art. 803 c.c.) parla di figli o discendenti legittimi, se ne
deduce che la presenza di un figlio adottivo (adottato con l'adozione ordinaria di cui all'art. 291 e ss.
c.c.) non esclude la revocabilità della donazione (17).
La ragione è ovvia: il sentimento e i doveri che si hanno verso i propri figli sono ben più profondi di
quelli che si hanno verso i figli adottivi, in quanto solo rispetto ai primi vi è un legame di sangue
che manca rispetto ai secondi.
La revocabilità delle donazioni non è esclusa neppure dalla esistenza di figli adottati con l'adozione
non legittimante ai sensi dell'art. 44 della l. 184/83.
Viceversa, in formula però dubitativa, la preesistenza di un figlio adottato con l'adozione
legittimante ai sensi dell'art. 6 e ss. L. 184/83 varrebbe ad escludere la possibilità di revocare la
donazione ai sensi dell'art. 803 c.c. Infatti, tale adozione attribuisce al minore adottato lo stato di
figlio legittimo degli adottanti (art. 27 L. 184/83), sicché agli effetti dell'art. 803 c.c. vi dovrebbe
essere piena equiparazione al figlio legittimo.
Relativamente al presupposto di carattere positivo, ovvero quello della sopravvenienza o della
conoscenza di un figlio o di un discendente legittimo da parte del donante, l'adozione, in qualunque
forma, non avrebbe alcun rilievo.
Infatti, l'adozione, in ogni caso, dipende dalla volontà del donante che se ne potrebbe servire in
qualsiasi momento come escamotage per revocare la donazione.
L'autore precisa come l'adozione possa funzionare solo come causa della revocazione del
testamento (atto essenzialmente revocabile ai sensi dell'art. 687 c.c.) e non della donazione.
Osservazioni conclusive
Le numerose differenze tra i due tipi di adozione brevemente analizzati sembrano essere sufficienti
a disinnescare per l'adozione dei maggiori di età l'applicazione dell'art. 803 c.c.
Come è noto, la donazione è un contratto che come tale è legge tra le parti e, in base ai princípi
generali, può essere sciolto ai sensi dell'art. 1372 c.c. solo per volontà delle parti o per cause
previste dalla legge.
Il connotato della gratuità, invero, giustifica alcune deroghe a tale principio quali la sopravvenienza
di figli o l'ingratitudine ai sensi dell'art. 800 c.c.
Una interpretazione estensiva e poco rigorosa dell'art. 803 c.c., che, come si evince dall'art. 1372
c.c., ha carattere eccezionale, sarebbe contraria al sistema e quindi nulla.
Essa, invero, se fosse accolta, pregiudicherebbe maggiormente la stabilità della donazione rendendo
ancora più precari gli acquisti a titolo donativo rispetto a quelli a titolo oneroso (18).
In particolare, la successiva adozione di una persona non può sempre funzionare come causa di
revocazione della donazione in quanto la sopravvenienza di un figlio adottivo dipende dalla volontà
del donante il quale se ne potrebbe servire per revocare a suo arbitrio la donazione.
Inoltre, se si aderisse alla tesi suggestiva che tende giustamente a considerare la famiglia una
comunità di eguali, si potrebbe giungere al paradosso che l'adozione di un maggiore di età potrebbe
essere utilizzata dal donante quale grimaldello per far venire meno la stabilità del contratto o per
minacciare il donatario dichiarando di volere attivare il procedimento di revocazione (19).
Purtroppo è necessario essere realisti e quindi ammettere che tra la famiglia naturale e quella creata
in virtù di alcuni tipi di adozione sussiste e sussisterà sempre qualche differenza che non può essere
tralasciata.
----------------------(1)
Corte cost., 19 maggio 1988, n. 557, in Foro it., 1988, I, 2801; in Giust. civ., 1988, I, 1650; in
Giur. it., 1988, I, 1, 1441, con nota di A. De Cupis, Il consenso dei discendenti legittimi
all'adozione. La Corte Costituzionale con tale sentenza ha ammesso l'adozione anche da parte di
persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti.
(2)
La sentenza in esame è pubblicata anche in Notariato, 2012, 634 con nota di G. Liotti, La
Cassazione esclude la revocabilità delle donazioni per sopravvenienza di figli adottivi
maggiorenni.
(3)
Ai sensi dell'art. 1372 c.c., infatti, "Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere
sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge".
(4)
A. Palazzo, Le donazioni, Milano, 2000, 524 e ss.
(5)
In tale ottica la Corte costituzionale con sentenza del 3 luglio 2000, n. 250, ha dichiarato
costituzionalmente illegittimo il comma dell'art. 803 "nella parte in cui prevede che - in caso di
sopravvenienza di un figlio naturale - la donazione possa essere revocata solo se il riconoscimento
del figlio sia intervenuto entro due anni dalla donazione".
(6)
Tale adozione è disciplinata dall'art. 27 della legge 4 maggio 1983, n. 184: "Art. 27. Per effetto
dell'adozione l'adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e
trasmette il cognome. Se l'adozione è disposta nei confronti della moglie separata, ai sensi
dell'articolo 25, comma 5, l'adottato assume il cognome della famiglia di lei. Con l'adozione
cessano i rapporti dell'adottato verso la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali".
(7)
Tale adozione è disciplinata dagli artt. 291 - 314 c.c. così come rinnovati rispetto al testo
originario con la riforma del 1983 in virtù della legge 4 maggio 1983, n. 184.
(8)
L'adozione civile attribuisce all'adottato uno status assimilabile (anche se non identico) a quello
di figlio legittimo e crea un rapporto di stretta parentela che non esiste in natura. Essa, come ha
precisato la giurisprudenza (Tribunale di Genova, 26 marzo 1985, in Giust. civ., 1986, I, 3214, con
nota di S. Boccaccio, Ancora sulla natura giuridica dell'adozione ordinaria; M. Dogliotti,
L'adozione di maggiorenni, in Trattato Bessone, IV, Il diritto di famiglia, Torino, 1999, 439),
deriva da un atto giurisdizionale e non amministrativo in quanto attribuisce diritti e doveri alle parti.
(9)
U. Carnevali, Le donazioni, in Trattato Rescigno, VI, 2, Torino, s.d., ma 1997, II ed., 593 ss.; A.
Palazzo, Le donazioni, in Commentario diretto da P. Schlesinger, Milano, 1991, 518.
(10)
G. Bonilini, La revocazione della donazione per sopravvenienza al donante d'un figlio adottivo
maggiore di età, in Famiglia, Persone e Successioni, 2007, 12, 971 e ss.
(11)
L'autore precisa che "quanto ai diritti ereditari, la piena assimilazione del figlio adottivo a quello
legittimo, comporta che gli spettino i medesimi diritti riconosciuti a quest'ultimo (art. 304, cpv.,
c.c.). Il primo, quindi, non solo è legittimario (art. 567, comma 1, e 565 ss. c.c.), ma ha anche luogo,
in favore dei suoi discendenti, la rappresentazione (art. 468 c.c.)".
(12)
G. Capozzi, Successioni e donazioni, III edizione interamente rivista e aggiornata a cura di A.
Ferrucci e C. Ferrentino, Milano, 2009, 1944, che in maniera lapidaria relativamente all'adozione
delle persone maggiorenni afferma: "nulla prevedendo il citato art. 803, non trova applicazione
l'istituto della revocazione", nonché, in epoca più risalente, A. Ascoli, Trattato delle donazioni,
Firenze, 1898, 430. A tale tesi ha aderito anche la dottrina che, di recente, ha commentato la
sentenza al vaglio. Mi riferisco a G. Musolino, La revoca della donazione per sopravvenienza di
figli, in Riv. notariato, 4, 2012, 922.
(13)
F. Menotti, L'adozione di un maggiorenne non può essere utilizzata come strumento per
attribuire la cittadinanza italiana, in Famiglia, Persone e Successioni, 2012, 7, 501.
(14)
A. Procida Mirabelli Di Lauro, Dell'adozione di persone maggiori d'età, in Commentario
Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1995, 374.
(15)
M. C. Ebene Cobelli, voce Adozione di maggiorenni, in Enc. giuridica, I, Roma, 1991, 1 e ss.
(16)
A Torrente, La donazione, II edizione aggiornata a cura di U. Carnevali e A. Mora, in Trattato
di diritto civile e commerciale già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni, continuata da P.
Schlesinger, Milano, 2006, 696.
(17)
Maroi, Delle donazioni, in Cod. civ., Libro II, Delle successioni, Commentario D'Amelio,
Firenze, 1941, 706.
(18)
F. Galgano, Diritto civile e commerciale, IV, Padova, 2004, 281.
(19)
A. Ascoli, cit., 430.
La donazione modale
Roberto de Michel
c.c. art. 793
FONTE
Nuova Giur. Civ., 2000, 2, 142
Sommario: 1. La disciplina normativa - 2. Il modus donativo - 3. Il contenuto del modus donativo 4. Donazione modale e donazione condizionata - 5. Natura giuridica della donazione modale: la tesi
del contratto a titolo oneroso e la tesi del contratto a prestazioni corrispettive - 6. Segue:
considerazioni - 7. Segue: la tesi del contratto a titolo di liberalità - 8. La disciplina della donazione
modale - 9. Il rapporto obbligatorio modale - 10. La responsabilità del donatario nell'adempimento
del modus - 11. La risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere - 12. Segue:
presupposti - 13. Segue: risarcibilità del danno conseguente all'inadempimento del modus - 14.
L'impossibilità del modus donativo
1. La disciplina normativa
Come ogni altro contratto a titolo gratuito, anche "la donazione può essere gravata da un onere": nel
dettare la disposizione di cui all'art. 793 cod. civ., il legislatore ha inteso (non già riaffermare, in
relazione al contratto di donazione, un principio pacifico, bensì) fugare ogni eventuale dubbio in
ordine alla circostanza che lo "spirito di liberalità" - elemento che (ex art. 769 cod. civ.) deve
ritenersi qualificante il tipo contrattuale "donazione" - è "perfettamente compatibile con
l'imposizione di un peso al beneficiato" (Cass., 9.6.1973, n. 1668, in Rep. Foro it., 1973, voce
"Donazione", n. 27).
Pertanto, nel realizzare, per "spirito di liberalità", l'arricchimento patrimoniale del donatario - in
virtù della disposizione di un proprio diritto ovvero dell'assunzione, nei confronti dello stesso
donatario, di un'obbligazione - il donante può avvalersi della facoltà (riconosciutagli dal citato art.
793 cod. civ.) di imporre al beneficiario l'onere di eseguire una specifica prestazione.
Occorre peraltro ricordare che il modus - oltre che al contratto di donazione di cui all'art. 769 cod.
civ. - può legittimamente essere apposto anche alla donazione c.d. remuneratoria, ossia alla
"liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale
rimunerazione" (art. 770, comma 1°, cod. civ.): anche nell'ipotesi in discorso, infatti, "si è (...) in
presenza di una donazione, come è espressamente stabilito dal comma 1° dell'art. 770, che
considera i servizi resi come prius psicologico della donazione" (Cass., 29.11.1983, n. 7170, in
Giust. civ., 1984, I, 1835), non incidendo "il fine remuneratorio (...) sulla natura dell'atto di
liberalità, che costituisce donazione in quanto compiuto nullo iure cogente" (Cass., 29.11.1983, n.
7170, cit. In senso conforme, da ultimo, Cass., 14.2.1997, n. 1411, in Fallimento, 1998, 17).
A seconda del contenuto della prestazione imposta all'onerato, quest'ultimo - nell'esecuzione di tale
prestazione - può essere costretto ad impiegare il medesimo bene concessogli a titolo di liberalità (è
il caso, ad esempio, dell'attribuzione animo donandi di un immobile con imposizione, in capo al
beneficiario, dell'onere di destinare detto immobile al conseguimento di una determinata finalità),
ovvero ad effettuare un esborso patrimoniale destinato ad incidere - riducendolo proporzionalmente
- sul valore economico del donatum (si pensi, a titolo esemplificativo, alla donazione di una somma
di danaro da destinare, in tutto o in parte, al soddisfacimento di un determinato scopo). In ogni caso,
"il valore dell'onere grava sulle cose attribuite al beneficiario come aes alienum da detrarre a favore
del disponente o di un terzo, di modo che, sia nell'ipotesi in cui la parte del compendio donato
debbasi corrispondere ai soggetti attivi dell'onere, sia in quella in cui debbasi eseguire una qualsiasi
prestazione, anche diversa ed indipendente da ciò che ha formato oggetto della liberalità, l'importo
della prestazione deve essere detratto dal valore dei beni trasferiti" (Cass., 18.2.1977, n. 739, in
Giur. it., 1977, I, 1, 2164).
La prestazione al cui adempimento è tenuto l'onerato trova la propria giustificazione causale
nell'arricchimento patrimoniale dallo stesso beneficiario conseguito per effetto del contratto di
donazione (discorre di "dipendenza dell'obbligo modale da un atto di liberalità": Trib. Bologna,
17.4.1975, in Giur. it., 1976, I, 2, 360): per tale ragione, il legislatore - allo scopo di evitare che
l'esecuzione della prestazione contemplata dalla disposizione modale possa risolversi in occasione
di pregiudizio per l'onerato - ha espressamente stabilito che il sacrificio che, nell'adempimento del
modus, può essere preteso dal donatario debba essere contenuto "entro i limiti del valore della cosa
donata" (art. 793, comma 2°, cod. civ.).
Qualora il donatario non dovesse eseguire spontaneamente la prestazione oggetto della clausola
modale apposta al contratto di donazione, potranno agire per pretendere l'adempimento del modus
tanto il donante, quanto "qualsiasi altro interessato, anche durante la vita del donante stesso" (art.
793, comma 3°, cod. civ.); peraltro, la legittimazione a chiedere all'autorità giudiziaria la
risoluzione del contratto di donazione per inadempimento, da parte dell'onerato, della disposizione
modale, è invece attribuita - purché detta risoluzione sia stata "preveduta nell'atto di donazione" - al
donante ed ai soli eredi di quest'ultimo (art. 793, comma 4°, cod. civ.).
L'art. 794 cod. civ. esaurisce la disciplina normativa dettata con riguardo alla donazione gravata da
un modo: ai sensi della disposizione citata, l'onere illecito o impossibile eventualmente previsto
dalle parti in sede di contrattazione deve - di regola - considerarsi come non apposto (con la
conseguenza che l'attribuzione patrimoniale è destinata a consolidarsi definitivamente in capo al
donatario, essendo quest'ultimo esonerato dall'eseguire la prestazione indicata nella disposizione
modale illecita o impossibile), tuttavia - qualora l'onere illecito o impossibile avesse costituito "il
solo motivo determinante" della stipulazione - il contratto di donazione non potrà sottrarsi alla
sanzione della nullità, con la conseguenza che il bene donato dovrà ritenersi come mai acquisito al
patrimonio del beneficiario.
2. Il modus donativo
La scarna disciplina normativa - innanzi brevemente tratteggiata - dedicata alla donazione modale
appare palesemente inadeguata a fugare le perplessità (di natura non solo teorica) che l'istituto
oggetto delle presenti riflessioni ha suscitato e continua tuttora a suscitare; perplessità che - occorre
sottolineare - in larga misura si incentrano sull'individuazione della natura giuridica della donazione
cum onere.
Peraltro - nel rinviare a quanto, in ordine a tale problematica, si dirà più diffusamente nel prosieguo
- non appare inopportuno soffermarsi fin d'ora ad analizzare brevemente la natura ed il contenuto
della clausola modale eventualmente apposta al contratto di donazione: è evidente, infatti, che la
problematica relativa all'individuazione della natura giuridica della donazione gravata da un onere è
intimamente connessa all'ulteriore questione afferente alla (discussa) conciliabilità della clausola
modale con quegli elementi che - argomentando dal preciso dettato normativo dell'art. 769 cod. civ.
- devono ritenersi dotati di capacità individuativa del tipo contrattuale "donazione".
L'orientamento giurisprudenziale assolutamente consolidato ravvisa nell'onere in generale - e
nell'onere donativo in particolare - le caratteristiche dell'accidentalità e dell'accessorietà.
È unanime, infatti, l'opinione secondo cui nel modus deve ravvisarsi - da un lato - "un elemento
accidentale tutto proprio degli atti di liberalità mortis causa o tra vivi, mercé il quale viene imposto
all'onerato di impiegare parte di ciò che riceve per uno scopo determinato o di fare alcunché a
favore del disponente" (Cass., 18.2.1977, n. 739, cit. In senso conforme: Cass., sez. un., 18.12.1975,
n. 4153, in Giur. it., 1976, I, 1, 1913) e - da altro lato - una disposizione accessoria al contratto cui è
apposto dalle parti.
Introducendo nello schema contrattuale di cui all'art. 769 cod. civ. una specifica disposizione
modale - si è soliti affermare - il donante intende perseguire non solo lo scopo (tipico della
donazione) di realizzare un arricchimento del patrimonio del donatario, ma altresì di conseguire - a
seguito dell'adempimento, da parte del destinatario della liberalità, della prestazione indicata nella
clausola modale - la soddisfazione di un proprio fine secondario ed accessorio rispetto a quello
(principale) di liberalità (sul carattere accessorio della clausola modale: Cass., 17.4.1993, n. 4560,
in Corr. giur., 1993, 955; Cass., 18.12.1986, n. 7679, in Rep. Foro it., 1986, voce "Rendita
vitalizia", n. 1; Cass., 21.6.1985, n. 3735, ivi, 1985, voce "Donazione", n. 9; Cass., 6.12.1984, n.
6414, ivi, 1984, voce cit., n. 7; Cass., 18.2.1977, n. 737, in Giur. it., 1977, I, 1, 818; Cass., sez. un.,
18.12.1975, n. 4153, cit.; Cass., 2.10.1974, n. 2561, in Rep. Foro it., 1974, voce "Donazione", n. 24;
Cass., 29.5.1973, n. 1602, ivi, 1973, voce cit., n. 29; App. Lecce, 18.5.1972, in Giur. it., 1975, I, 2,
340; App. Napoli, 29.7.1966, in Dir. e giur., 1967, 688; Cass., 4.12.1962, n. 3261, in Foro it., 1963,
I, 38; Cass., 10.2.1960, n. 191, in Giust. civ., 1960, I, 972).
In ogni caso, la giurisprudenza - sul presupposto che il fine ulteriore perseguito con la previsione di
una disposizione modale "si ricollega ai motivi psicologici del disponente, e non alla causa giuridica
dell'attribuzione patrimoniale, che (...) è e rimane a titolo gratuito" (Cass., sez. un., 18.12.1975, n.
4153, cit.) - concorda nel ritenere che siffatto fine ulteriore sia assolutamente inidoneo a far sì che
lo scopo tipico della donazione "resti eliminato, snaturato o condizionato all'esecuzione del modo
stesso" (Cass., 18.2.1977, n. 739, cit. In senso conforme: Cass., 21.6.1985, n. 3735, cit.; Cass.,
29.5.1973, n. 1602, cit.; Cass., 4.12.1962, n. 3261, cit.; Cass., 10.2.1960, n. 191, cit.).
Dalle considerazioni innanzi svolte deve quindi trarsi la conclusione che la rilevanza del modus
donativo è da apprezzare (non già sul piano causale del tipico negozio di liberalità, bensì) su di un
piano squisitamente economico: l'onere apposto al contratto di donazione, infatti, si risolve in una
mera limitazione (che, a seconda dei casi, potrà risultare più o meno consistente) dell'utilità
economica conseguita dal beneficiario-onerato per effetto del perfezionamento dell'accordo
contrattuale di cui all'art. 769 cod. civ. Sul punto, la giurisprudenza è esplicita nell'affermare che il
modus apposto al contratto di donazione "non rende incerta la liberalità, che viene fatta
spontaneamente e semplicemente, ma accede alla medesima senza influire sul suo contenuto
giuridico, pur incidendo l'adempimento dell'onere sull'effetto obiettivo ed economico
dell'attribuzione patrimoniale. Esso deve quindi essere ritenuto una limitazione della liberalità
stessa" (Cass., 18.2.1977, n. 739, cit. In senso conforme: Cass., 27.11.1985, n. 5888, in Rep. Foro
it., 1985, voce "Divisione", n. 18; Cass., 21.6.1985, n. 3735, cit.; Cass., 6.12.1984, n. 6414, cit.;
Cass., 29.11.1983, n. 7170, cit., Cass., 18.2.1977, n. 737, cit.; Cass., sez. un., 18.12.1975, n. 4153,
cit.; App. Napoli, 29.7.1966, cit.; Cass., 10.2.1960, n. 191, cit.).
3. Il contenuto del modus donativo
Il nucleo minimo ed essenziale della clausola modale deve essere individuato nell'imposizione, in
capo al donatario, dell'obbligo di eseguire - a vantaggio dello stesso onerato e/o del disponente e/o
di terzi (determinati o anche solo determinabili: Cass., 18.12.1986, n. 7679, cit.) - una specifica
prestazione (consistente, a seconda dei casi, in un dare, in un facere ovvero in un non facere) che di regola - ha "carattere patrimoniale (...), è suscettibile di valutazione economica (...) e corrisponde
ad un interesse morale del disponente" (Cass., sez. un., 18.12.1975, n. 4153, cit.).
Peraltro, alle parti non può essere disconosciuta la facoltà di variamente articolare lo stesso
contenuto della clausola in discorso, affiancando all'indicato nucleo minimo altri elementi idonei a
completare ed a specificare l'obbligazione assunta dall'onerato ovvero a puntualizzare le modalità di
esecuzione della prestazione modale: è così possibile, ad es., che i contraenti prevedano
esplicitamente un termine entro il quale il beneficiario dell'attribuzione liberale debbe eseguire
(ovvero terminare l'esecuzione) della prestazione modale.
In giurisprudenza, pertanto, si evidenzia correttamente che - ai fini dell'individuazione della
prestazione che il donatario è tenuto ad eseguire - è necessario valutare globalmente il contenuto
della disposizione modale: "infatti, poiché l'onere è costituito da tutti gli elementi che, secondo la
volontà del donante, concorrono a formare l'obbligazione dell'onerato, non si può circoscrivere il
suo oggetto al dare o al facere imposto, ma si devono ricomprendere in esso gli elementi accidentali
che connotano e completano l'obbligazione" (Cass., 22.6.1994, n. 5983, in Giur. it, 1995, I, 1,
1294).
4. Donazione modale e donazione condizionata
Una volta individuati i tratti caratterizzanti la clausola modale e riconosciuta l'inidoneità di
quest'ultima ad incidere - modificandolo - sul profilo funzionale del negozio a titolo gratuito, in
generale, e di quello liberale, in particolare, la giurisprudenza perviene agevolmente alla distinzione
della donazione cum onere dalla donazione (sospensivamente o risolutivamente) condizionata.
Si è detto, al riguardo, che mentre "l'efficacia della donazione modale ha sempre luogo, a
prescindere dall'adempimento o meno del modus" (Cass., 29.5.1973, n. 1602, cit. In senso
conforme: App. Napoli, 29.7.1966, cit.), nella donazione sub condicione - in cui "l'avvenimento
futuro ed incerto, al cui verificarsi è subordinata l'efficacia o la risoluzione del contratto, non forma
oggetto di obbligazione per l'obiettiva incertezza della realizzazione dell'evento previsto come
condizione" (Cass., 30.3.1985, n. 2237, in Rep. Foro it., 1985, voce "Donazione", n. 10) - "gli
effetti della donazione sottoposta a condizione sospensiva non si verificano se non quando l'evento
dedotto si sia avverato" (Cass., 29.5.1973, n. 1602, cit.); nel caso di donazione sottoposta a
condizione risolutiva, invece, la fattispecie contrattuale continua a produrre tutti i suoi effetti sino al
momento in cui dovesse verificarsi l'evento futuro ed incerto dedotto in condizione.
Si è altresì puntualizzato che - "mentre nella donazione sottoposta a condizione risolutiva il
mancato verificarsi dell'avvenimento previsto funziona oggettivamente come causa di eliminazione
degli effetti negoziali" (Cass., 2.10.1974, n. 2561, cit.) - nella donazione alla quale sia stato apposto
un onere, "in cui si ha riguardo al comportamento del donatario (...), quel che ha rilevanza non è il
fatto oggettivo dell'inesecuzione, ma il carattere accessorio del modo, in quanto la risoluzione
intanto può essere pronunciata in quanto sia stata preveduta nell'atto di donazione" (Cass.,
2.10.1974, n. 2561, cit.).
Sulla base delle predette considerazioni, la più recente giurisprudenza è pervenuta alla conclusione
che "costituisce modus, e non condizione risolutiva, un obbligo morale apposto ad una donazione
che non diviene inefficace in caso di inadempimento, ma obbliga il donatario al trasferimento del
bene ad altri per realizzare le finalità stabilite dal donante" (Cass., 26.5.1999, n. 5122, in Rep. Foro
it., 1999, voce "Donazione", n. 3).
Peraltro - affinché la donazione possa essere qualificata (non già come modale, bensì) come
condizionata - si ritiene che non sia possibile limitarsi ad apprezzare "il motivo che abbia indotto il
donante alla disposizione" e "quale fosse nella sfera soggettiva del donante stesso l'importanza
attribuita all'adempimento dell'obbligo", essendo invero necessario "che l'adempimento dell'obbligo
e l'inizio o la permanenza degli effetti della disposizione siano posti in una precisa correlazione
dalla quale l'effetto sospensivo ovvero la sanzione di risoluzione emergano, anche solo
implicitamente, ma in modo obiettivo" (Trib. Bologna, 17.4.1975, cit.).
Infine, occorre ricordare che - secondo giurisprudenza costante - l'indagine volta ad accertare se, nel
caso concreto, i contraenti abbiano inteso perfezionare una donazione modale ovvero una donazione
condizionata "si risolve in una quaestio facti, nella quale non hanno valore le espressioni adoperate"
dai contraenti stessi, dal momento che "ciò che assume rilevanza è l'intenzione delle parti (Cass.,
2.10.1974, n. 2561, cit. In senso conforme: Cass., 29.5.1973, n. 1602, cit.; Cass., 21.10.1971, n.
2966, in Rep. Foro it., 1971, voce "Donazione" n. 29; App. Napoli, 29.7.1966, cit.).
5. Natura giuridica della donazione modale: la tesi del contratto a titolo oneroso e la tesi del
contratto a prestazioni corrispettive
Già in precedenza si è avuto modo di accennare alla circostanza che una parte - minoritaria - della
dottrina ha talora manifestato più di una perplessità in merito all'individuazione della natura
giuridica della donazione modale.
Si è dubitato, in particolare, dell'attendibilità dell'opinione - condivisa, come si dirà, dalla dottrina
prevalente e, nelle rare occasioni in cui si è pronunciata sul punto, dalla giurisprudenza unanime incline a ricondurre al tipico contratto di liberalità di cui all'art. 769 cod. civ. anche la fattispecie
prevista dall'art. 793 cod. civ., nonostante la circostanza che quest'ultima, rispetto al primo, si
caratterizzi per l'imposizione, a carico del donatario, dell'onere di eseguire una determinata
prestazione.
Alcuni autori hanno infatti ipotizzato che alla disposizione modale - lungi dal potersi riconoscere
natura di mero elemento accessorio ed accidentale del contratto di donazione - dovrebbe attribuirsi
una rilevanza molto più incisiva di quella che, a detta clausola, si è visto essere tradizionalmente
assegnata dalla giurisprudenza: l'apposizione di un modus al tipico negozio di liberalità
comporterebbe - secondo l'opinione in discorso - la necessità di qualificare tipologicamente la
donazione cum onere in termini ben diversi dalla fattispecie contrattuale di cui all'art. 769 cod. civ.
Si è al riguardo sostenuto che - una volta introdotta, nel contratto di donazione, una clausola modale
- la fattispecie (benché espressamente definita dall'art. 793 cod. civ. quale "donazione", ancorché
"modale") non potrebbe, in realtà, essere tipologicamente qualificata come contratto gratuito
donativo, bensì - a seconda che tra l'obbligazione del disponente e quella del beneficiario si dovesse
o meno ritenere sussistente un nesso di sinallagmaticità - in termini di contratto a titolo oneroso
ovvero a prestazioni corrispettive.
Si è così affermato che, "accanto alla causa gratuita che dà l'impronta tipica a tutto il negozio [di
donazione], il modo costituisce una concorrente causa onerosa, in quanto che una parte del dono
viene controbilanciata dalla prestazione che il donatario deve fare" (così - testualmente - Mosco,
357, cit. infra, Nota bibl.); peraltro - in tempi più recenti - non si è mancato di puntualizzare che "la
donazione può essere considerata a titolo gratuito nei soli limiti in cui realizza un arricchimento,
mentre è evidente che fino alla concorrenza dell'onere il contratto in questione non può essere
considerato gratuito, perché evidentemente in questa ipotesi si impone il problema di tener conto
delle ragioni del donatario, che ha subito un sacrificio e sarebbe evidentemente ingiusto garantirgli
una tutela inferiore a quella che viene assicurata al contraente nell'ipotesi di donazione condizionale
o, in genere, di contratto a titolo oneroso" (così - testualmente - Scozzafava, La funzione del modo
nel contratto di donazione, in Temi, 1978, 142). In definitiva - secondo la tesi incline a ravvisare
nella donazione modale una fattispecie contrattuale a titolo oneroso - "quale limitazione
dell'attribuzione gratuita, il modo importa una parziale onerosità del contratto (...). Quando il modo
assorbe per intero il valore dell'attribuzione, il contratto deve reputarsi a titolo oneroso" (così testualmente - Bianca, 494, cit. infra, Nota bibl.).
Quanti propendono per una qualificazione della donazione cum onere in termini di contratto a
prestazioni corrispettive preferiscono soffermarsi sulla circostanza che - almeno "nell'ipotesi in cui
la prestazione del donante trovi la sua (esclusiva) giustificazione nell'adempimento del modus da
parte del donatario" - "se il modus non avesse la funzione di corrispettivo, difficilmente si potrebbe
spiegare esaurientemente il comma 4 dell'art. 793 cod. civ. in cui si prevede un rimedio, la
risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere, che trova una sua giustificazione
solamente quando l'una prestazione sia corrispettiva dell'altra" (così - testualmente - Biscontini, 86,
cit. infra, Nota bibl.).
6. Segue: considerazioni
È fin troppo agevole rilevare che le argomentazioni addotte per contestare la tesi della natura
gratuita e liberale della donazione contenente la previsione di un modus a carico del beneficiario
sarebbero meritevoli di una maggiore e ben più approfondita riflessione: non è chi non veda, infatti,
che dalla soluzione della problematica in discorso sono inevitabilmente destinate a derivare
conseguenze pratiche di notevole spessore.
Qualora, infatti, si dovesse giungere alla conclusione che la donazione modale - ad onta della
terminologia impiegata dal legislatore all'art. 793 cod. civ. - costituisce, in realtà, una tipica ipotesi
di contratto a prestazioni corrispettive, si dovrebbe conseguentemente sostenere l'applicabilità alla
stessa di tutta la disciplina propria (non già del negozio di donazione, bensì) dei contratti
sinallagmatici; nel caso in cui, invece, si dovesse escludere che la donazione gravata da un modus
rappresenti uno schema contrattuale tipologicamente diverso da quello previsto dall'art. 769 cod.
civ., si dovrebbe coerentemente concludere nel senso della soggezione della stessa donazione
modale a tutta la normativa dettata in materia di donazione (si pensi, a titolo esemplificativo, alle
norme in materia di forma, di revocazione, di obbligo alimentare del donatario, di collazione, etc.).
Non è questa, ovviamente, la sede più opportuna per approfondire la delicata questione della natura
giuridica della donazione modale; nondimeno, non ci si può esimere dall'evidenziare che la
previsione di un modus a carico del donatario appare circostanza idonea a provocare la mancanza nel caso concreto - di taluno degli elementi costitutivi del tipo contrattuale codificato dall'art. 769
cod. civ. È appena il caso di ricordare, a tal proposito, che la giurisprudenza è fin troppo esplicita
nell'affermare che "per la sussistenza (della donazione tipica di cui all'art. 769 cod. civ.) sono
necessari, oltre all'incremento del patrimonio altrui, la concorrenza di un elemento soggettivo (lo
spirito di liberalità), consistente nella consapevolezza di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale
senza esservi in alcun modo costretti, e di un elemento di carattere obiettivo, dato dal
depauperamento di chi ha disposto del diritto o ha assunto l'obbligazione" (così, da ultimo, Cass.,
5.12.1998, n. 12325, in Rep. Foro it., 1998, voce "Donazione", n. 12. In senso conforme: Cass.,
7.7.1988, n. 4469, in Giur. it., 1989, I, 1, 258; Cass., 20.1.1964, n. 111, in Rep. Foro it., 1964, voce
"Donazione", n. 4).
Non può infatti non lasciare perplessi l'affermazione secondo cui dovrebbe qualificarsi in termini di
"donazione" - ossia in termini di "contratto col quale (...) una parte arricchisce l'altra" - anche
l'accordo in forza del quale, essendo il donatario tenuto ad eseguire una determinata prestazione,
l'arricchimento patrimoniale dallo stesso beneficiario conseguito a titolo di liberalità potrebbe
addirittura venire meno del tutto, come nel caso in cui l'esecuzione della prestazione modale
dovesse determinare la completa erosione del valore del donatum: al riguardo, non si può certo
ignorare che - secondo giurisprudenza pacifica - "la circostanza che l'onere imposto assorba tutta
l'utilità della disposizione non può essere ritenuta di ostacolo alla validità di questa, come si evince
anche dal disposto del comma 2° dell'art. 793 cod. civ., relativo ai limiti della obbligazione
dell'onerato, tenuto ad adempiere al modo" (Cass., 18.2.1977, n. 739, cit. In senso conforme: Cass.,
4.12.1962, n. 3261, cit. Nel senso della liceità del modus assorbente l'intero valore del donatum:
Cass., 18.2.1977, n. 739, cit.).
Allo stesso modo, se per "donazione" deve intendersi (sempre attenendosi alla lettera dell'art. 769
cod. civ.) il contratto in forza del quale l'arricchimento del beneficiario deve essere dal disponente
realizzato "per spirito di liberalità" - elemento, quest'ultimo, legislativamente rilevante ai fini
qualificatori del tipo contrattuale in discorso (Cass., 19.3.1998, n. 2912, in Giur. it., 1998, 2019;
Cass., 7.7.1988, n. 4469, cit.; App. Torino, 9.5.1981, in Giur. merito, 1983, I, 402; Cass.; 3.6.1980,
n. 3621, in Foro it., 1980, I, 1583; Cass., 13.5.1980, n. 3147, in Giust. civ., 1980, I, 2515; Cass.,
9.4.1980, n. 2273, in Rep. Foro it., 1980, voce "Donazione", n. 3; Cass., 19.11.1971, n. 3322, ivi,
1971, voce cit., n. 4; Cass., 22.10.1969, n. 3455, ivi, 1969, voce cit., n. 7; Cass., 27.4.1968, n. 1320,
ivi, 1968, voce cit., n. 5; Cass., 20.1.1964, n. 111, cit.); sicuramente necessario per la sussistenza
anche di una donazione modale (Cass., 25.6.1971, n. 2008, in Rep. Foro it., 1971, voce cit., n. 30:
"deve escludersi l'ipotesi della donazione modale quando l'erogazione di una somma non sia
determinata da spirito di liberalità e costituisca, invece, il corrispettivo di una specifica
prestazione"), nonché elemento tradizionalmente assunto quale discrimen tra la liberalità e la
gratuità (Cass., 7.7.1988, n. 4469, cit.: "l'atto di trasferimento gratuito di immobili, se privo del
requisito dello spirito di liberalità, non va ascritto alla categoria delle donazioni". In senso
conforme: Cass., 3.6.1980, n. 3621, cit.; Cass., 19.11.1971, n. 3322, cit.) - è indiscutibile che il
predetto intento soggettivo del donante sia insussistente (salvo a voler ricorrere a palesi finzioni) in
tutti i casi in cui l'autore della liberalità addivenga alla stipulazione del contratto di donazione per il
"solo motivo determinante" di imporre (con la disposizione modale) l'obbligo, a carico dell'onerato,
di eseguire una determinata prestazione.
Peraltro, occorre osservare che - ai sensi dell'art. 794 cod. civ. - il motivo in discorso può costituire
causa di nullità della donazione qualora siffatto motivo dovesse essersi tradotto in un "onere illecito
o impossibile"; ad eccezione di tale ipotesi, il contratto di donazione dovrà considerarsi
perfettamente valido ed efficace, quand'anche il modus avesse costituito il "solo motivo
determinante" della volontà negoziale del disponente.
Sembra altresì porsi in contraddizione con l'assunto secondo cui la donazione - benché gravata da
un modo - non perde la propria natura di contratto a titolo gratuito e di liberalità, la possibilità
(espressamente contemplata dall'art. 793, comma 4°, cod. civ.) che il donante, a fronte
dell'inadempimento, da parte del donatario, della disposizione modale, possa avvalersi di un
rimedio - quale la risoluzione del contratto per inadempimento - tipicamente previsto per i soli
contratti a prestazioni corrispettive.
Neppure può contestarsi che - almeno nell'ipotesi in cui la donazione modale dovesse imporre
all'onerato l'obbligo di effettuare una determinata prestazione a vantaggio esclusivo del donante ben difficilmente potrebbe sostenersi che siffatto accordo contrattuale sia in grado di determinare
(così come, peraltro, pretende la giurisprudenza: Cass., 5.12.1998, n. 12325, cit.) un reale ed
effettivo depauperamento del patrimonio del disponente: è lampante, infatti, che - una volta che il
donatario abbia eseguito la prestazione modale - il patrimonio del donante (impoveritosi per effetto
della stipulazione) si accresce in misura corrispondente all'adempimento del modus. Non è chi non
veda, allora, che - quand'anche il patrimonio dell'autore della liberalità dovesse subire un qualche
depauperamento nel caso di eccedenza del valore del donatum rispetto al valore della prestazione
modale - alcun impoverimento di siffatto patrimonio sarà invero apprezzabile qualora il valore della
prestazione eseguita dal beneficiario dovesse risultare esattamente corrispondente al valore
economico del bene oggetto di donazione.
7. Segue: la tesi del contratto a titolo di liberalità
Nonostante la circostanza che, come detto, più di un argomento potrebbe essere addotto per
revocare in dubbio la validità della riconduzione della donazione modale allo schema contrattuale
codificato dall'art. 769 cod. civ., la giurisprudenza non ha mai mostrato di nutrire alcuna perplessità
in ordine alla natura liberale della donazione gravata da un onere.
Infatti - sulla premessa che "il modus, quale elemento accidentale e non causale del negozio, a non
altro tende che a realizzare in via mediata un fine ulteriore; e questo fine si ricollega ai motivi
psicologici del disponente, e non alla causa giuridica dell'attribuzione patrimoniale, che, se pur
limitata nella sua consistenza economica, è e rimane a titolo gratuito" (Cass., sez. un., 18.12.1975,
n. 4153, cit.) - si afferma che "la prestazione del donatario è estranea alla causa dell'attribuzione
patrimoniale caratterizzata pur sempre dallo spirito di liberalità" (Cass., 18.2.1977, n. 739, cit.).
La convinzione che la donazione - a seguito dell'introduzione, nel relativo contenuto contrattuale, di
una clausola modale - non sia destinata a mutare la propria natura di tipico negozio di liberalità, può
dirsi assolutamente consolidata in giurisprudenza: sin dai primi anni '60, infatti, non si è mai
dubitato della circostanza che "l'apposizione dell'onere non implica alcuna modificazione strutturale
della donazione, giacché anche in tal caso il negozio è in primo luogo diretto a realizzare
l'arricchimento e, solo in via accessoria e secondaria, persegue l'ulteriore finalità che le parti si
propongono di attuare con la clausola modale" (Cass. 4.12.1962, n. 3261, cit. In senso conforme:
Cass., 27.11.1985, n. 5888, cit.; Cass., 21.6.1985, n. 3735, cit.; Cass., 6.12.1984, n. 6414, cit.; Cass.,
29.11.1983, n. 7170, cit.; Trib. Bologna, 17.4.1975, cit.; Cass., 18.12.1975, n. 4153, cit.; Cass.,
9.6.1973, n. 1668, cit.; Cass., 10.2.1960, n. 1919, cit.).
Decisamente da respingere - sempre secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente - è la
possibilità di ipotizzare, nella donazione caratterizzata dalla previsione di un onere, la ricorrenza di
una fattispecie contrattuale a titolo (parzialmente o totalmente) oneroso: se, infatti, in quest'ultima
"si possono individuare e distinguere due momenti: l'uno si riferisce alla volontà stessa di obbligarsi
o di eseguire la prestazione; l'altro si ricollega ad un elemento che ne sta completamente al di fuori,
e che è l'obbligazione dell'altro contraente", "nella donazione quest'ultimo elemento strutturalmente
ed obiettivamente manca. È questo il motivo per il quale l'onere modale non può in nessun caso,
anche quando sia stato il motivo determinante della disposizione, acquistare la natura ed il valore di
una controprestazione" (Trib. Bologna, 17.4.1975, cit. In senso conforme: Cass., 27.11.1985, n.
5888, cit.; Cass., 6.12.1984, n. 6414, cit.; Cass., 18.2.1977, n. 739, cit.).
A maggior ragione, la giurisprudenza è unanime nell'escludere che la donazione modale possa
essere suscettibile di una qualificazione in termini di contratto a prestazioni corrispettive.
Se, infatti, nei contratti caratterizzati dalla sinallagmaticità delle prestazioni "assume rilevanza, sia
nel suo aspetto genetico che in quello funzionale, il sinallagma (...), nella donazione, invece, non
può mai parlarsi di sinallagma, né genetico né funzionale" (Trib. Bologna, 17.4.1975, cit.):
"l'obbligo del donatario di eseguire l'onere non è in corrispettivo con l'attribuzione fattagli e, quindi,
manca l'elemento caratteristico dei contratti sinallagmatici, consistente nella connessione
inscindibile tra prestazioni corrispettive o in situazioni antitetiche" (Cass., 18.2.1977, n. 739, cit.).
Pertanto - secondo giurisprudenza pacifica - il modus, per quanto gravoso, non può mai assumere il
carattere di vero e proprio corrispettivo dell'attribuzione liberale e, conseguentemente, la fattispecie
contrattuale di cui all'art. 793 cod. civ. non può essere ricondotta alla categoria dei contratti a
prestazioni corrispettive (Cass., 17.4.1993, n. 4560, cit.; Cass., 8.4.1986, n. 2432, in Rep. Giur. it.,
1986, voce "Donazione", n. 4; Cass., 27.11.1985, n. 5888, cit.; Cass., 6.12.1984, n. 6414, cit.; Cass.,
29.11.1983, n. 7170, cit.; Cass., sez. un., 18.12.1975, n. 4153, cit.).
La conclusione secondo cui alcun nesso di sinallagmaticità può individuarsi tra la prestazione del
donante e quella dell'onerato non è destinata a subire modificazione alcuna neppure nel caso in cui
il disponente fosse addivenuto alla stipulazione all'unico ed esclusivo fine di conseguire dal
beneficiario l'adempimento della disposizione modale: al riguardo, la giurisprudenza è dell'opinione
che "non è (...) per l'importanza che il disponente annette alla prestazione del beneficiario che
questa assume il carattere di corrispettivo, ma per il nesso di effettiva interdipendenza
sinallagmatica che esiste - se esiste - fra ciò che si dà e ciò che si impone; così come non è dai
motivi che spingono il contraente ad agire o dalla clausola accessoria inserita nell'atto che ne
dipende la qualificazione giuridica, ma dalla causa, che è elemento essenziale e caratterizzante del
contratto (art. 1325, n. 2, cod. civ.). Ciò che conta non è lo scopo subbiettivo o ulteriore del singolo
contraente, bensì la funzione oggettiva del contratto e, in rapporto ad essa, il risultato immediato
perseguito dalle parti" (Cass., sez. un., 18.2.1975, n. 4153, cit.). Inoltre - al fine di ascrivere la
donazione modale al novero dei contratti a prestazioni corrispettive - nessun argomento utile la
giurisprudenza ritiene possa desumersi dalla circostanza che l'art. 793, comma 4°, cod. civ.
attribuisce all'autore della liberalità la facoltà di avvalersi di un rimedio, quale la risoluzione per
inadempimento, che proprio nel rapporto di sinallagmaticità tra le contrapposte prestazioni
contrattuali trova il proprio presupposto: infatti, "nella donazione (...) non può mai parlarsi (...) di
naturale risolubilità del contratto per inadempimento", in quanto, "indipendentemente dalla
considerazione che il momento funzionale del sinallagma non può essere avulso dal momento
genetico, che ne è il presupposto, nella donazione il peculiare atteggiarsi della sua causa giuridica
costituisce un invalicabile ostacolo a che la rilevanza soggettiva data all'interdipendenza tra la
disposizione e l'adempimento dell'onere, interdipendenza che solo empiricamente può essere
definita come sinallagma funzionale, acquisti giuridica consistenza" (Trib. Bologna, 17.4.1975,
cit.).
Peraltro, non si è mancato di porre in evidenza che - mentre nei contratti a prestazioni corrispettive
la risoluzione costituisce, qualora ne ricorrano i presupposti, un rimedio di carattere generale di cui
la parte può avvalersi per reagire all'inadempimento dell'altra - la donazione gravata da un onere
può essere suscettibile di risoluzione (non già in tutti i casi di mancata esecuzione, imputabile
all'onerato, della prestazione modale, bensì) unicamente nel caso in cui il donante dovesse essersi
riservato, in sede di contrattazione, la relativa facoltà: l'art. 793, comma 4°, cod. civ. - ponendo
espressamente tale ultima condizione - intende "nega[re] implicitamente che il contratto di
donazione possa essere risolto per inadempimento dell'onere modale" (Trib. Bologna, 17.4.1975,
cit.).
Per concludere, appare opportuno evidenziare che l'orientamento giurisprudenziale incline a ritenere
assolutamente inidonea l'apposizione di un modus a modificare la causa del contratto a titolo
gratuito al quale l'onere stesso è apposto, trova puntuale conferma nelle decisioni in tema di
comodato modale. Tuttavia - essendo tale ultima fattispecie contrattuale prevista dal legislatore
(non già come tipicamente ed esclusivamente gratuita, alla pari della donazione, ancorché modale,
bensì solo) come "essenzialmente" gratuita (art. 1803, comma 2°, cod. civ.) - è ben possibile che,
qualora la prestazione imposta al comodatario dovesse essere tanto gravosa da svolgere, in pratica,
una funzione equivalente a quella di corrispettivo del godimento della res comodata, il relativo
contratto possa acquistare i connotati dell'onerosità e/o della corrispettività. Sul punto, la
giurisprudenza è unanime nell'affermare che "il carattere di essenziale gratuità del comodato non
viene meno se vi sia inserisce un modus posto a carico del comodatario, di consistenza tale da non
costituire corrispettivo del godimento della cosa, come nel caso in cui, in relazione al godimento di
un immobile, sia previsto il periodico versamento di una certa somma da parte del beneficiario a
titolo di rimborso spese" (Cass., 4.6.1997, n. 4976, in Giur. it., 1998, I, 2, 1128. In senso conforme:
App. Napoli, 20.12.1996, ibidem; Cass., 25.9.1990, n. 9718, in Rep. Foro it., 1990, voce
"Comodato", n. 7; App. Palermo, 29.7.1988, in Temi sic., 1989, 52; Cass., 5.2.1987, n. 1132, in
Rep. Foro it., 1987, voce "Comodato", n. 5; Cass., 2.4.1984, n 2151, in Giur. agr. it., 1985, 157;
Cass., 20.1.1984, n. 491, ivi, 1984, 89; Cass., 17.6.1980, n. 3834, in Giur. it., 1981, I, 1, 1510).
8. La disciplina della donazione modale
Dall'asserita qualificazione della donazione cum onere in termini di contratto a titolo di liberalità
consegue che alla stessa dovrà applicarsi integralmente la disciplina dettata con riguardo alla
donazione, sia pure con quegli adattamenti che dovessero risultare necessari in considerazione della
presenza - nello schema contrattuale di cui all'art. 769 cod. civ. - di una clausola modale.
Così - in perfetta armonia con l'affermazione secondo cui il modus è destinato ad incidere
esclusivamente sul valore economico del donatum - la giurisprudenza ritiene che anche la
donazione modale, qualora dovessero ricorrere i presupposti di cui all'art. 737 cod. civ., deve
necessariamente costituire oggetto di collazione: il relativo obbligo, tuttavia, non riguarderà l'intero
valore del donatum, ma "la differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell'onere" (Cass.,
27.11.1985, n. 5888, cit.).
Inoltre - quale elemento accidentale ed accessorio del contratto di donazione e, come tale,
ininfluente sul profilo funzionale di siffatto contratto - "il modo non è parte integrante della
manifestazione di volontà di donare" (Cass., 18.12.1986,n. 7679, cit.) ed è quindi "valido anche se
la relativa disposizione risulta da scrittura privata" (Cass., 18.12.1986, n. 7679, cit.) distinta dal
contratto di donazione (per il quale è comunque necessario l'atto pubblico), cui detta scrittura deve
tuttavia essere collegata (Cass., 18.2.1977, n. 739, cit.: "la forma solenne è richiesta per gli atti di
donazione in considerazione della natura di tali atti; ma il modus apposto all'onerato non viene ad
aumentare ed accrescere o completare la donazione e costituendo anzi un peso, un limite di questa,
ne circoscrive il vantaggio per il donatario, pur senza mutarne il carattere giuridico di negozio a
titolo gratuito, onde al modus stesso non può applicarsi il disposto dell'art. 782, 1° comma, cod.
civ.").
Infine - non potendo la donazione cum onere essere ricondotta alla categoria del contratto a titolo
oneroso e/o del contratto a prestazioni corrispettive - deve ritenersi che, ai fini dell'annullamento di
una donazione modale, per incapacità di intendere e di volere del disponente, "non siano richiesti, ai
sensi dello specifico disposto dell'art. 775 cod. civ., né il pregiudizio del donante, né la malafede
del donatario, trovando riferimento tali condizioni, previste dagli artt. 428 e 1425 cod. civ., in
rapporti di corrispettività tra le prestazioni che sono pertinenti ai soli contratti a titolo oneroso"
(Cass., 6.12.1984, n. 6414, cit.).
Peraltro, è proprio la natura liberale della donazione modale a far sì che "distinta dal vitalizio
oneroso, contratto dal quale derivano obbligazioni reciproche contrapposte tra i contraenti e nel
quale sussiste un nesso di interdipendenza tra le due prestazioni, è, per diversità della causa, della
natura giuridica e degli effetti, la donazione cui acceda un onere che comporti l'obbligo (...) del
donatario di effettuare prestazioni periodiche in favore del donante o di un terzo per tutta la vita
contemplata" (Cass., 18.12.1986, n. 7679, cit.): deve quindi negarsi che, "anche quando la
disposizione modale preveda a carico del donatario la prestazione di una rendita vitalizia a favore
del disponente, resti modificata la natura e la causa della donazione" (Cass., 18.12.1986, n. 7679,
cit.).
9. Il rapporto obbligatorio modale
Secondo l'orientamento giurisprudenziale assolutamente prevalente, la previsione, nel contratto di
donazione, di una specifica clausola in forza della quale il donatario sia tenuto ad eseguire una
determinata prestazione si traduce nella costituzione di "un rapporto obbligatorio in senso tecnico,
come tale giuridicamente coercibile" (Cass., 20.3.1976, n. 1024, in Arch. civ., 1976, 1193. In senso
conforme: Cass., 26.5.1999, n. 5122, cit.; Cass., 18.12.1986, n. 7679, cit.; Cass., 30.3.1985, n.
2237, cit.; Trib. Asti, 14.1.1985, in Foro it., 1985, I, 2422; Cass., 6.12.1984, n. 6414, cit.; Cass.,
2.10.1974, n. 2561, cit.; App. Lecce, 18.5.1972, cit.; Cass., 8.6.1962, n. 1402, in Rep. Foro it., 1962,
voce "Donazione", n. 32), che vede quale sicuro protagonista - dal lato passivo - il donatarioonerato.
Sull'individuazione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio scaturente dal modus non è invece
possibile registrare unanimità di consensi: infatti, se talora la titolarità di siffatto rapporto è stata
riconosciuta al donante (Cass., 20.3.1976, n. 1024, cit.), talaltra si è preferito ravvisare nei
beneficiari della prestazione modale i soggetti nei cui confronti il donatario è obbligato ad eseguire
detta prestazione (Trib. Asti, 14.1.1985, cit., che riconosce a tali soggetti la titolarità "di un diritto
soggettivo azionabile in giudizio per ottenere l'adempimento del modus").
È sicuramente da preferire la prima delle esposte opinioni: se, infatti, con la previsione di un modus,
il disponente tende al conseguimento di un proprio fine accessorio rispetto a quello principale di
liberalità, non si può in alcun modo disconoscere allo stesso donante il diritto di pretendere dal
donatario-debitore l'esecuzione della prestazione contemplata nella clausola modale, il cui
adempimento è idoneo a consentire la realizzazione dello scopo ulteriore perseguito dall'autore
della liberalità.
Inoltre, occorre rilevare che l'opinione secondo cui il modus donativo sarebbe idoneo a determinare
la costituzione di un vero e proprio rapporto obbligatorio tra il donatario-onerato ed i destinatari
dell'utilità derivante dall'esecuzione della prestazione modale non solleva perplessità di sorta nel
caso in cui il beneficiario di siffatta prestazione dovesse identificarsi con l'autore della liberalità
ovvero con un terzo (Cass., 18.12.1986, n. 7679, cit.; Trib. Asti, 14.1.1985, cit.); maggiori dubbi,
invece, suscita siffatto orientamento qualora il beneficiario della prestazione modale dovesse essere
lo stesso onerato (Cass., 22.6.1994, n. 5983, cit.): in tal caso, infatti, il donatario finirebbe con il
ricoprire il duplice ruolo di lato attivo e di lato passivo del medesimo rapporto obbligatorio.
In ogni caso, è da avvertire che la disputa in merito all'individuazione del soggetto attivo del
rapporto obbligatorio modale riveste un'importanza pratica del tutto marginale, dal momento che per conseguire dal donatario l'adempimento del modo - possono agire tanto il donante, quanto i terzi
beneficiari della disposizione modale: ai sensi dell'art. 793, comma 3°, cod. civ. infatti, tale
legittimazione è attribuita (oltre che, testualmente, al disponente anche) a "qualsiasi interessato", tra
cui non si possono non annoverare i beneficiari della prestazione modale.
Dovendo essere ricondotto alla "categoria generale delle obbligazioni", il modus apposto al
contratto di donazione, "per tutto quanto non diversamente disposto, resta soggetto alla relativa
disciplina prevista dal libro IV del codice civile" (Cass., 4.12.1962, n. 3261, cit. In senso conforme:
App. Lecce, 18.5.1972, cit. Cass., 8.6.1962, n. 1402, cit.), "tranne per quelle norme che
presuppongono l'esistenza di un negozio a prestazioni corrispettive" (Cass., 20.3.1976, n. 1024, cit.
In senso conforme: Cass., 8.6.1962, n. 1402, cit.).
Pertanto, "per quanto concerne le modalità di adempimento e la conseguente responsabilità del
debitore, deve aversi riguardo agli artt. 1176 e 1218 ss." (Cass., 4.12.1962, n. 3261, cit.); "circa il
luogo dell'adempimento, si applicherà l'art. 1182, comma 3°, cod. civ. (domicilio del creditore) e,
circa il tempo, l'art. 1183 cod. civ. (esecuzione immediata)" (App. Lecce, 18.5.1972, cit.).
10. La responsabilità del donatario nell'adempimento del modus
Come detto in precedenza, il limite entro il quale può esigersi dal donatario l'adempimento della
disposizione modale è da individuare (ex art. 793, comma 2°, cod. civ.) nel "valore della cosa
donata"; si è altresì chiarito che l'adempimento dell'onere donativo oltre il limite indicato
risulterebbe funzionalmente privo di ogni giustificazione, in quanto non più collegato alla
precedente attribuzione liberale.
Il disposto dell'art. 793, comma 2°, cod. civ., solleva tuttavia un interrogativo: occorre infatti
chiedersi se - al fine di determinare la misura massima del sacrificio economico che può essere
preteso dall'onerato - si debba far riferimento al "valore" del donatum al momento del
perfezionamento del contratto di donazione ovvero al "valore della cosa donata" al momento della
concreta esecuzione, da parte del donatario, della prestazione contemplata dalla disposizione
modale. Interrogativo - occorre aggiungere - che scaturisce dalla circostanza che l'adempimento del
modus può non essere coevo (anzi, normalmente non lo è) alla conclusione del contratto di
donazione: nulla esclude, come si è visto, che per l'esecuzione della prestazione modale le parti
abbiano stabilito una scadenza cronologicamente lontana dal perfezionamento del contratto di cui
all'art. 769 cod. civ.
Sulla questione si è recentemente soffermata la giurisprudenza, la quale - chiamata a pronunciarsi in
merito ad una donazione in favore di un Ente ospedaliero, con imposizione a quest'ultimo dell'onere
di edificare, entro un congruo termine, un complesso ospedaliero sull'appezzamento di terreno
donato - ha avuto modo di chiarire che, al fine di accertare se l'adempimento dell'onere si risolva o
meno in un pregiudizio economico per il donatario, "quando sia egli stesso il destinatario dell'opera
da compiere, occorre avere riguardo al risultato finale ottenibile (ottenuto) con lo sfruttamento di
tutte le potenziali caratteristiche del bene donato, piuttosto che al valore di questo al momento della
donazione" (Cass., 22.6.1994, n. 5983, cit.).
Una siffatta conclusione merita accoglimento. Non si può tuttavia tacere che - ai fini dell'art. 793,
comma 2°, cod. civ. - dovranno ritenersi rilevanti sia l'eventuale aumento di valore del donatum
rispetto al tempo della conclusione del contratto di donazione (si pensi, ad esempio, alla diversa e
più redditizia destinazione urbanistica del fondo attribuito animo donandi al beneficiario), sia
l'eventuale diminuzione del valore originariamente attribuito al cespite oggetto dell'atto di liberalità
(si pensi, ad esempio, alle spese dal donatario legittimamente sostenute per la conservazione del
bene stesso).
Peraltro, l'indicato orientamento giurisprudenziale non si sottrae a critiche nella parte in cui riferisce
la necessità di comparare - al momento del concreto adempimento del modus - il valore del
donatum ed il sacrificio patrimoniale esigibile dal beneficiario unicamente nel caso in cui "sia egli
stesso il destinatario dell'opera da compiere" (Cass., 22.6.1994, n. 5983, cit.), o più in generale,
qualora lo stesso onerato dovesse essere il destinatario dell'utilità derivante dall'adempimento della
disposizione modale.
Invero, è preferibile estendere la conclusione raggiunta dalla giurisprudenza ad ogni ipotesi di
adempimento di un modo donativo (indipendentemente, cioè, dal soggetto che dovesse, in concreto,
trarre profitto dall'esecuzione della prestazione): solo in tal modo, infatti, potranno trovare piena
soddisfazione - da un lato - l'interesse del disponente a vedere sempre adempiuto il modus nei limiti
dell'arricchimento effettivamente conseguito dal donatario (soprattutto qualora siffatto
adempimento dovesse verificarsi a notevole distanza di tempo dalla conclusione del contratto di
donazione) e - da altro lato - l'interesse del donatario a non essere costretto ad eseguire la
prestazione modale con il proprio patrimonio personale, come nel caso in cui ciò si rivelasse
necessario, ad esempio, per compensare - al tempo dell'esecuzione di siffatta prestazione - un
notevole decremento del valore economico che il donatum aveva all'epoca della stipula del negozio
liberale.
11. La risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere
L'ultimo comma dell'art. 793 cod. civ. riconosce al donante ed agli eredi di quest'ultimo la
legittimazione a domandare la risoluzione del contratto di donazione nel caso in cui il donatario
dovesse rendersi inadempiente all'obbligazione modale: dal raffronto con il precedente comma 3°
dello stesso art. 793 cod. civ., emerge inequivocabilmente "la diversa e più limitata legittimazione
per la risoluzione per inadempimento dell'onere dall'altra per la richiesta di adempimento, per la
quale ultima può agire qualunque interessato" (App. Lecce, 18.5.1972, cit.).
La legittimazione degli eredi del donante a domandare la risoluzione della donazione per
inadempimento del modus non è esclusa, peraltro, dalla circostanza che alla prestazione imposta al
beneficiario doveva attribuirsi natura personalissima (si pensi, ad esempio, all'obbligo del donatario
di prestare adeguata assistenza al disponente, fornendogli il vitto, il vestiario, i medicinali, le cure
mediche, etc.). Nell'ipotesi in discorso, infatti, non potrebbe contestarsi la possibilità di esperire,
successivamente alla morte del donante, il rimedio risolutorio adducendo - in considerazione della
natura personalissima della prestazione (inadempiuta in vita del disponente) contemplata dalla
clausola modale - che "solo il donante avrebbe potuto valutare l'opportunità di gradire, di richiedere
o di pretendere le prestazioni costituenti il modus": invero, "è la norma positiva che, nonostante il
carattere personale, attribuisce il diritto di richiedere la risoluzione per inadempimento del modo
agli eredi del donante, in quanto successori universali" (App. Lecce, 18.5.1972, cit.).
Si è inoltre rilevato che "nella controversia promossa, a norma dell'art. 793 ult. comma cod. civ., per
conseguire una pronuncia di risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere da parte del
donatario, deve escludersi che il giudice, qualificando il contratto come a prestazioni corrispettive,
possa rilevarne lo scioglimento, ai sensi dell'art. 1456 cod. civ., in conseguenza di clausola
risolutiva espressa, atteso che tale ultima pronuncia, di carattere dichiarativo e non costitutivo, è
riconducibile ad un'azione diversa, per presupposti, caratteri ed effetti" (Cass., 8.4.1986, n. 2432,
cit.).
La domanda di risoluzione della donazione per inadempimento del modus deve necessariamente
essere proposta nei confronti di tutti i successori dell'onerato premorto (Cass., 9.6.1986, n. 3819, in
Giust. civ., 1987, I, 1221: qualora il donatario avesse lasciato a sé superstiti figli minori, questi
ultimi dovranno partecipare al giudizio ex art. 793 cod. civ. e - nel caso in cui non avessero
accettato l'eredità con beneficio d'inventario, a causa dell'inerzia del genitore superstite nel
compimento degli atti inderogabilmente previsti dalla legge per siffatta accettazione - sarà
necessaria, ai sensi dell'art. 321 cod. civ., la preventiva nomina di un curatore speciale).
12. Segue: presupposti
Al fine di esperire l'azione di risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere è in ogni
caso necessario "un inadempimento in senso tecnico, e cioè non determinato da impossibilità della
prestazione derivante da causa imputabile" al donatario (Cass., 4.12.1962, n. 3261, cit. In senso
conforme: Cass., 30.3.1985, n. 2237, cit.; Cass., 2.10.1974, n. 2561, cit.): secondo la
giurisprudenza, la previsione di un termine essenziale - entro il quale l'onerato avrebbe dovuto
eseguire la prestazione modale - "se rileva ai fini di equiparare l'impossibilità temporanea a quella
definitiva e di escludere qualsiasi valutazione circa l'importanza e gravità della violazione, richiede
pur sempre l'estremo della colpa nel ritardo ad adempiere agli effetti della pronuncia di risoluzione"
(Cass., 4.12.1962, n. 3261, cit.).
La facoltà del donante (ovvero degli eredi di quest'ultimo) di avvalersi del rimedio risolutorio è
espressamente subordinata dall'art. 793, ultimo comma, cod. civ., alla condizione che la risoluzione
per inadempimento dell'onere sia stata "preveduta nell'atto di donazione": sul punto, la
giurisprudenza è assolutamente unanime nel ritenere che il mancato adempimento dell'obbligazione
modale "può essere causa di risoluzione della donazione" solo ed esclusivamente qualora "in tale
atto la risoluzione stessa sia preveduta" (Cass., 30.3.1985, n. 2237, cit. In senso conforme: Trib.
Catania, 25.3.1993, in Foro it., 1995, I, 696; Cass., 23.12.1992, n. 13630, in Giust. civ., 1993, II,
2464; Cass., 29.5.1982, n. 3329, in Foro it., 1983, I, 756; Cass., 2.10.1974, n. 2561, cit.).
Non sarà così possibile, ad esempio, domandare la risoluzione per inadempimento del modus
eventualmente apposto ad "una donazione indiretta, realizzata attraverso un atto di compravendita
che non contenga nessuna previsione in tal senso" (Cass., 23.12.1992, n. 13630, cit.).
Peraltro, il confronto tra la disposizione dell'art. 793, ult. comma, cod. civ. e l'art. 648 cod. civ. - il
quale ultimo consente la risoluzione della disposizione testamentaria modale tanto nel caso in cui
detto rimedio sia espressamente previsto dal testatore, quanto nell'ipotesi in cui l'adempimento
dell'onere abbia costituito "il solo motivo determinante della disposizione" testamentaria - indica
che, in tema di risoluzione del contratto di donazione per inadempimento del modo, "non basta che
l'apposizione del modus costituisca (...) il motivo unico e determinante dell'attribuzione gratuita, ma
occorre che il donante abbia espressamente previsto la condizione risolutiva costituita
dall'inadempimento dell'onere" (Cass., 29.5.1982, n. 3329, cit.).
Occorre in ogni caso ricordare che "la norma dell'art. 793, comma 3°, cod. civ., secondo cui la
risoluzione delle donazioni modali per inadempimento dell'onere può essere chiesta solo se la stessa
sia stata preveduta nell'atto di donazione, non è applicabile alle donazioni concluse prima
dell'entrata in vigore dell'attuale cod. civ., in quanto nei confronti di esse continua ad essere
operante l'art. 1080 cod. civ. del 1865, il quale, nel consentire la revocazione della donazione per
inadempimento dei pesi imposti al donatario, prescinde da siffatto limite, consentendo, quindi, la
revoca della donazione anche in mancanza di clausola risolutiva espressa" (Cass., 3.10.1979, n.
5066, in Rep. Foro it., 1979, voce "Donazione", n. 11).
13. Segue: risarcibilità del danno conseguente all'inadempimento del modus
È opportuno domandarsi se la mancata esecuzione, da parte del donatario, della prestazione indicata
nella clausola modale possa o meno legittimare la richiesta del donante volta ad ottenere
dall'onerato inadempiente il risarcimento dei danni sofferti in conseguenza del predetto
inadempimento.
Sulla questione la giurisprudenza è oscillante.
Talora si è ritenuto che "il giudice che rigetta la domanda di risoluzione di una donazione modale
per inadempimento dell'onere, sul presupposto che tale risoluzione non è prevista nell'atto di
donazione, non è esonerato dall'accertare, ove esista domanda specifica del donante di risarcimento
dei danni dipendenti dalla mancata esecuzione dell'onere, se ricorrano le condizioni oggettive e
soggettive per il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni dipendenti dalla mancata
esecuzione dell'onere, indipendentemente dalla risoluzione del contratto" (Cass., 21.10.1971, n.
2966, cit.).
Peraltro, un'isolata pronuncia di merito ha riconosciuto non solo al donante, ma anche ai terzi
beneficiari, il diritto al risarcimento dei danni conseguenti all'inadempimento del modus (Trib. Asti,
14.1.1985, cit.).
In altre occasioni, la giurisprudenza ha invece assunto una posizione improntata ad una maggiore
prudenza: "il problema nasce dal fatto che il risarcimento non costituisce una mera penale che si
applica per il solo fatto dell'inadempimento, ma ha invece la funzione di riparare il danno
dall'inadempimento effettivamente prodotto. Ora, è possibile che, anche rispetto ad obbligazioni
diverse da quelle modali, ma precipuamente per esse, a causa della dipendenza dell'obbligo modale
da un atto di liberalità, si profilino situazioni nelle quali l'inadempimento non ha determinato né una
perdita del patrimonio del creditore, né un mancato guadagno. Nel campo delle obbligazioni
modali, il fenomeno si verificherà più di frequente perché di rado, per la suaccennata ragione della
dipendenza dell'obbligo modale da un atto di liberalità, si configura un interesse patrimoniale del
donante all'adempimento del modo: più spesso, si tratterà di un interesse di altra natura,
prevalentemente o esclusivamente morale. Ma allora alla risarcibilità si opporrà il principio che
limita a casi determinati la rilevanza dei danni non patrimoniali (art. 2059 cod. civ.)" (Trib.
Bologna, 17.4.1975, cit.).
14. L'impossibilità del modus donativo
L'art. 794 cod. civ. - nel disciplinare le conseguenze, sul contratto di donazione, dell'onere illecito o
impossibile eventualmente apposto a quest'ultimo - prevede una diversa sorte di detto contratto a
seconda che il modus abbia costituito o meno motivo determinante della volontà negoziale del
disponente, stabilendo, nel primo caso, la nullità dell'intera donazione e, nel secondo, la
sopravvivenza di quest'ultima per il venir meno della sola disposizione modale.
Il dato normativo in esame si caratterizza per la sua evidente lacunosità: l'art. 794 cod. civ., infatti,
si riferisce - in modo assolutamente generico - all'impossibilità dell'onere, astenendosi, tuttavia, dal
prevedere una qualche differenziazione tra impossibilità originaria ed impossibilità sopravvenuta
della disposizione modale.
Proprio l'incerta formulazione dell'art. 794 cod. civ. ha talora indotto la dottrina - sotto la spinta
della preoccupazione di adeguatamente tutelare l'interesse perseguito dal donante con la previsione
dell'onere anche nel caso in cui la prestazione dell'onerato dovesse diventare impossibile in epoca
successiva al perfezionamento del contratto di donazione - a concludere che anche la sopravvenuta
impossibilità di adempimento della disposizione modale debba reagire, inficiandola, sulla validità
del contratto di donazione.
Ad una simile conclusione, tuttavia, si è pervenuti attraverso iter argomentativi differenti.
Un primo orientamento - sul presupposto che, con l'art. 794 cod. civ., il legislatore avrebbe inteso
disciplinare l'impossibilità tanto originaria che sopravvenuta della prestazione contemplata dalla
disposizione modale - ritiene che, anche nel caso in cui il modus dovesse divenire successivamente
impossibile, la disposizione in discorso dovrebbe considerarsi come non apposta ovvero, qualora
l'onere dovesse aver "costituito il solo motivo determinante" della volontà negoziale del disponente,
dovrebbe dirsi inficiato da nullità l'intero contratto di donazione.
Simile opinione, tuttavia, è inevitabilmente destinata a fare i conti con la tradizionale avversione
della giurisprudenza ad ammettere la configurabilità della c.d. nullità sopravvenuta: "nel nostro
ordinamento positivo il concetto di "nullità", che è quello testualmente adoperato nell'art. 794 cod.
civ., attiene esclusivamente al momento genetico, e mai a quello funzionale, del negozio, sicché non
è concepibile che un accordo negoziale diventi nullo in forza di un evento successivo al suo
perfezionamento" (Cass., 17.4.1993, n. 4560, cit.).
Secondo un diverso orientamento, la sopravvenuta impossibilità del modus donativo - almeno
nell'ipotesi in cui quest'ultimo dovesse costituire "il solo motivo determinante" dell'intento
negoziale del disponente - legittimerebbe lo stesso donante ad esperire l'azione di risoluzione del
contratto di donazione per impossibilità sopravvenuta della prestazione modale.
All'opinione in discorso, tuttavia, è agevole replicare - da un lato - che, in tema di donazione cum
onere, il rimedio risolutorio è ammissibile soltanto qualora lo stesso fosse stato espressamente
previsto nel relativo contratto (art. 793, comma 3°, cod. civ.) e - da altro lato - che lo scopo
dell'istituto della risoluzione per impossibilità sopravvenuta (consistente nell'impedire che la parte
di un contratto sinallagmatico possa essere costretta ad adempiere la propria prestazione anche
qualora la controparte dovesse essere esonerata dall'adempiere la propria, divenuta impossibile) non
trova riscontro in tema di donazione modale, dovendosi escludere - per quanto detto in precedenza che quest'ultima fattispecie contrattuale possa essere qualificata in termini di contratto a prestazioni
corrispettive.
La soluzione della problematica in discorso non può prescindere dalla considerazione che il
rapporto obbligatorio scaturente dalla disposizione modale, come si è avuto modo di rilevare in
precedenza, è soggetto alla disciplina generale delle obbligazioni; di conseguenza, nel caso in cui la
prestazione contemplata dalla clausola modale apposta al contratto di donazione dovesse divenire
impossibile - successivamente al perfezionamento di detto contratto - per causa non imputabile
all'onerato, non potrà non trovare applicazione la disciplina di cui all'art. 1256 cod. civ.: la
donazione resterà quindi valida ed efficace; l'obbligazione modale si estinguerà ed il donatario
onerato sarà conseguentemente liberato dall'obbligo sul medesimo gravante.
Diversamente dalle opinioni innanzi illustrate, la soluzione da ultimo esposta offre adeguata tutela
agli interessi del donatario, non potendo vanificarsi l'acquisto patrimoniale da quest'ultimo
conseguito - sia pure a titolo di liberalità - qualora allo stesso onerato non fosse addebitabile alcuna
responsabilità per la mancata esecuzione della prestazione modale divenuta impossibile.
La conclusione alla quale si è pervenuti è peraltro condivisa dalla giurisprudenza, per la quale
"l'impossibilità dell'onere che, ai sensi dell'art. 794 cod. civ., rende nulla la donazione modale ove
l'onere stesso ne abbia costituito "il solo motivo determinante", è soltanto l'impossibilità originaria,
ossia già esistente all'atto della stipulazione, mentre quella sopravvenuta non può produrre altro
effetto che l'estinzione del modus, facendo sì che la donazione ne resti liberata, salva l'ipotesi,
disciplinata dall'art. 793, comma 4°, cod. civ., che le parti abbiano "espressamente" previsto la
risoluzione per inadempimento dell'onere e quest'ultimo sia divenuto impossibile per fatto e colpa
del donatario" (Cass., 17.4.1993, n. 4560, cit. In senso conforme: Cass., 22.6.1994, n. 5983, cit.).
In ogni caso, la giurisprudenza ritiene che per "impossibilità" del modus debba intendersi "soltanto
quella di carattere assoluto per il frapporsi di un ostacolo insormontabile, materiale o giuridico, alla
realizzazione dell'evento che forma oggetto dell'onere" (Cass., 17.4.1993, n. 4560, cit.).
Occorre infine ricordare che - allo scopo di accertare se la prestazione dovuta dall'onerato era
impossibile ab origine ovvero lo sia divenuta posteriormente al perfezionamento del contratto di
donazione - occorre analizzare globalmente la disposizione modale, considerando cioè non solo la
prestazione imposta al donatario, ma anche tutti quegli elementi che dovessero in vario modo
caratterizzare detta prestazione (Cass., 22.6.1994, n. 5983, cit.: "la valutazione globale della
disposizione modale è necessaria anche se si debba stabilire, per gli effetti previsti dall'art. 794 cod.
civ., se la prestazione era impossibile ab origine o lo è diventata posteriormente alla donazione,
nella quale ultima ipotesi, perché l'onere possa essere ritenuto non apposto, occorre che la causa
dell'impossibilità della prestazione non sia imputabile al donatario obbligato"): pertanto - qualora
l'onerato fosse tenuto ad eseguire la prestazione modale entro un determinato termine - sarà
necessario, per giudicare della sopravvenuta impossibilità della prestazione de quo, prendere in
considerazione anche "il termine (...) insieme al dare o al facere, quale componente della
prestazione, data la dipendenza dell'adempimento dal tempo assegnato per provvedervi" (Cass.,
22.6.1994, n. 5983, cit.).
Nota bibliografica
1. Premessa. L'istituto della donazione modale - se ha costituito oggetto di un numero tutto
sommato esiguo di pronunce giurisprudenziali - ha da sempre suscitato l'interesse della dottrina,
soprattutto perché detto istituto (lungi dall'esaurire la propria rilevanza sul piano del fenomeno
liberale, nel quale trova comunque la propria collocazione codicistica) coinvolge le più delicate e
complesse problematiche relative sia al tipico contratto di liberalità che alla sfera negoziale, in
generale, ed a quella contrattuale, in particolare.
È quindi comprensibile la ragione per la quale la trattazione della donazione modale - cui peraltro
sono dedicate ben poche opere monografiche (Carnevali, La donazione modale, Giuffrè, 1969;
Grassetti, Donazione modale e fiduciaria, Giuffré, 1941) - trova di solito ospitalità in pubblicazioni
vertenti o in tema di liberalità (P. Morozzo Della Rocca, Gratuità, liberalità e solidarietà, Giuffrè,
1998; Iacovino-Tavassi-Cassandro, La donazione, Giuffré, 1996; Palazzo, Le donazioni, nel
Commentario Schlesinger, Giuffrè, 1991, sub artt. 769-809; Azzariti, Le successioni e le donazioni,
Jovene, 1990; Capozzi, Successioni e donazioni, II, Giuffrè, 1982; Carnevali, Le donazioni, nel
Trattato Rescigno, 6, Utet, 1982, 431 ss.; Giannattasio, Delle successioni. Divisione. Donazione, nel
Commentario Utet, II, 3, Utet, 1980; Gardani Contursi Lisi, Delle donazioni, nel Commentario
Scialoja-Branca, Zanichelli-Foro it., 1976; Casulli, voce "Donazione", in Enc. del dir., XIII,
Giuffrè, 1964, 966 ss.; Balbi, La donazione, nel Trattato Grosso-Santoro Passarelli, Vallardi, 1964;
F.S. Azzariti-Martinez-G. Azzariti, Successioni per causa di morte e donazioni, Cedam, 1963;
Biondi, Le donazioni, nel Trattato Vassalli, XII, Utet, 1961; Torrente, La donazione, nel Trattato
Cicu-Messineo, XXII, Giuffrè, 1956; Oppo, Adempimento e liberalità, Giuffrè, 1947; Ascoli,
Trattato delle donazioni, Giuffrè, 1935), o in materia negoziale e/o contrattuale (Bianca, Diritto
civile, III, Il contratto, 2a ed., Giuffrè, 2000; Costanza, La donazione, in I contratti in generale, II,
nel Trattato dei contratti diretto da Rescigno, Utet, 1999; Cataudella, I contratti. Parte generale,
Giappichelli, 1994; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Jovene, rist. 1994; Galgano, Il
negozio giuridico, nel Trattato Cicu-Messineo, III, 1, Giuffrè, 1988; Biscontini, Onerosità,
corrispettività e qualificazione dei contratti, ESI, 1984; Scozzafava, La qualificazione di onerosità o
gratuità del titolo, in Riv. dir. civ., 1980, II, 82; Roppo, Il contratto, Il Mulino, 1977; Scognamiglio,
Contratti in generale, nel Trattato Grosso-Santoro Passarelli, Vallardi, 1975; Sandulli, Le nozioni
giuridiche di onerosità e gratuità, in Banca, borsa, tit. cred., 1973, 390; Santoro-Passarelli, Dottrine
generali del diritto civile, Jovene, 1964; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, IV,
Giuffrè, 1954; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Morano, 1948;
Mosco, Onerosità e gratuità degli atti giuridici con particolare riferimento ai contratti, Giuffrè,
1942), o di clausola modale in generale (Marini, Il modus come elemento accidentale del negozio
gratuito, Giuffrè, 1976).
2. Il modus donativo. È tradizionale in dottrina (Morozzo Della Rocca, op. cit., 27, nt. 62; IacovinoTavassi-Cassandro, op. cit., 76; Cataudella, op. cit., 70; G. Azzariti, op. cit., 925; Galgano, op. cit.,
530; Carnevali, Le donazioni, cit., 493; Giannattasio, op. cit., 289; Scognamiglio, op. cit., 149;
Casulli, op. cit., 977; Balbi, op. cit., 72; F.S. Azzariti-Martinez-G. Azzariti, op. cit., 780; Biondi, op.
cit., 650; Torrente, op. cit., 277; Messineo, op. cit., 34; Cariota Ferrara, op. cit., 684) l'opinione che si è detto essere condivisa dalla giurisprudenza unanime - incline a riconoscere all'onere natura
di elemento accidentale ed accessorio del negozio (inter vivos o mortis causa), a titolo gratuito o
liberale, al quale la clausola in discorso dovesse essere apposta dalle parti.
Secondo un diverso orientamento, tuttavia, al modus dovrebbe attribuirsi natura (non già di
elemento accidentale ed accessorio del contratto in cui viene inserito, bensì) di elemento dotato di
una propria autonomia: pertanto, per i sostenitori della tesi in esame, il contratto di donazione e la
clausola modale non possono non rappresentare due "negozi diversi, distinti ed autonomi l'uno
dall'altro, e tuttavia collegati al fine del raggiungimento dello scopo perseguito dal donante"
(Palazzo, op. cit., 390. In senso conforme: Capozzi, op. cit., 826; Gardani Contursi-Lisi, op. cit.,
351 ss.; Grassi, op. cit., 133. La tesi dell'autonomia del modus è stata altresì prospettata anche con
riferimento all'onere testamentario: Criscuoli, Le obbligazioni testamentarie, Giuffrè, 1980, 201;
Bigliazzi Geri, Il testamento, I, Profilo negoziale dell'atto, Giuffrè, 1976, 271; Perego, Favor legis e
testamento, Giuffrè, 1970, 181; Bin, La diseredazione. Contributo allo studio del contenuto del
testamento, Utet, 1966, 245; Cariota Ferrara, La successione per causa di morte. Parte generale,
Napoli, s.d., 658).
Benché scarso seguito abbia ricevuto l'opinione da ultimo esposta, è innegabile che solo
ricostruendo il modus quale autonoma disposizione negoziale sarà possibile - a differenza di quanto
avviene qualora si volesse prestare adesione all'orientamento tradizionale innanzi segnalato spiegare "compiutamente [il] fenomeno dell'ambulatorietà dell'onere. Il secondo comma dell'art.
773, infatti, nello stabilire (...) l'ammissibilità dell'accrescimento nel caso in cui uno dei donatari
non vuole o non può accettare la proposta di donazione, comporta l'applicabilità alla donazione, per
via analogica, del disposto dell'art. 676, comma 2°, sicché il soggetto a favore del quale si verifica
l'accrescimento dovrà adempiere anche la parte di onere gravante sulla porzione di donazione che
costituisce oggetto dell'accrescimento. Da ciò risulta evidente che se il modus può trasmigrare da un
soggetto ad un altro non può costituire un elemento accessorio, poiché se fosse tale dovrebbe cadere
nel nulla insieme alla proposta di donazione non accettata; il fatto che esso, nonostante il venir
meno della proposta di donazione in conseguenza della sua mancata accettazione, continua a vivere
e possa trasferirsi a carico del donatario accettante, dimostra invece che esso si presenta quale entità
autonoma rispetto al negozio donativo" (Palazzo, op. cit., 391).
In ogni caso, sulla premessa del carattere accessorio della disposizione modale, la dottrina
prevalente - in ciò uniformandosi alla giurisprudenza consolidata - perviene alla conclusione che,
con la previsione, nel contratto di donazione, di un modus, il donante si prefigge unicamente il
perseguimento di un proprio fine secondario ed accessorio rispetto a quello principale di liberalità
(Iacovino-Tavassi-Cassandro, op. cit., 76; G. Azzariti, op. cit., 925; Giannattasio, op. cit., 289;
Scognamiglio, op. cit. 149; Santoro Passarelli, op. cit., 205; F.S. Azzariti-Martinez-G. Azzariti, op.
cit., 780): si esclude, di conseguenza, che l'onere possa concorrere ad integrare l'elemento causale
del tipico negozio di liberalità, ovvero anche solo a determinare una mera modifica del profilo
funzionale del tipo contrattuale di cui all'art. 793 cod. civ. (P. Morozzo Della Rocca, op. cit., 29;
Iacovino-Tavassi-Cassandro, op. cit., 76; Betti, op. cit., 537; Palazzo, op. cit., 391; G. Azzariti, op.
cit., 926; Galgano, op. cit., 531; Giannattasio, op. cit., 289; Roppo, op. cit., 137; Casulli, op. cit.,
978, nt. 40; Santoro-Passarelli, op. cit., 206; F.S. Azzariti-Martinez-G. Azzariti, op. cit., 780;
Torrente, op. cit., 278; Messineo, op. cit., 34; Cariota-Ferrara, op. cit., 684; Oppo, op. cit., 66, nt.
1).Al riguardo, si è efficacemente chiarito che "l'onere non è né integra la causa della donazione, dal
momento che esso lascia intatto il carattere di liberalità all'intera attribuzione (...) Né esso è
concausa o causa secondaria, rimanendo nell'ambito dei motivi del volere" (Balbi, op. cit., 71).
La clausola modale eventualmente prevista dalle parti in sede di stipulazione del contratto di
donazione, pertanto, potrà comportare esclusivamente una limitazione (ovvero, nel caso di modus
c.d. assorbente, la totale esclusione) del vantaggio economico che il beneficiario avrebbe potuto
trarre dall'attribuzione patrimoniale dal disponente compiuta animo donandi (Bianca, op. cit., 494;
Costanza, op. cit., 887; P. Morozzo Della Rocca, op. cit., 26; Cataudella, op. cit., 70; Palazzo, op.
cit., 391; G. Azzariti, op. cit., 925; Galgano, op. cit., 531; Giannattasio, op. cit., 289; Roppo, op.
cit., 137; Casulli, op. cit., 987; Balbi, op. cit., 69; Santoro-Passarelli, op. cit., 205; F.S. AzzaritiMartinez-G. Azzariti, op. cit., 780; Biondi, op. cit., 651; Torrente, op. cit., 278).
3. Il contenuto del modus donativo. a) Il vantaggio conseguente all'adempimento, da parte del
donatario, dell'obbligazione modale, potrà ridondare a beneficio tanto dello stesso onerato, quanto
del donante, quanto, infine, di terzi determinati o indeterminati (Iacovino-Tavassi-Cassandro, op.
cit., 80; Cataudella, op. cit., 70; Palazzo, op. cit., 343; Capozzi, op. cit., 828; Carnevali, Le
donazioni, cit., 491; Casulli, op. cit., 977; Balbi, op. cit., 69; Santoro-Passarelli, op. cit., 206;
Biondi, op. cit., 674).
Non poche perplessità sono sorte in dottrina - sotto il profilo sistematico - in ordine alla
ricostruzione della fattispecie nel caso in cui il donatario fosse tenuto ad eseguire la prestazione
modale a beneficio di un terzo.
Infatti, il vantaggio che - mediante l'adempimento del modus - il disponente intende recare al terzo
può trovare giustificazione in una causa solvendi ovvero in una causa donandi. In tale ultima
evenienza - come si è correttamente rilevato (Capozzi, op. cit., 828; Carnevali, Le donazioni, cit.,
495) - ci si trova, in realtà, in presenza di una fattispecie complessa, costituita da due distinte
donazioni: l'una - diretta - dal disponente attuata in favore del donatario-onerato; l'altra - indiretta dal donante posta in essere in favore del terzo beneficiario; a quest'ultima liberalità, di conseguenza,
dovrà applicarsi "la disciplina sostanziale delle donazioni prevista dall'art. 809 (liberalità non
donative) e, in particolare, quella sulla revocazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli e
quella sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota riservata ai legittimari" (Capozzi, op.
cit., 828).
Secondo un orientamento, lo strumento negoziale che potrebbe consentire al donante di far
pervenire (in tutto o in parte) l'attribuzione liberale al terzo destinatario della prestazione modale
dovrebbe ravvisarsi nel contratto a favore del terzo (il donante ed il donatario, cioè, stipulerebbero il
contratto di donazione di cui verrebbe tuttavia a trarre vantaggio il beneficiario dell'adempimento
del modus); al caso di specie, pertanto, non si potrebbe non applicare l'intera disciplina di cui agli
artt. 1411 ss. cod. civ., sicché "il beneficiario del modo acquista il diritto di credito verso l'onerato
per effetto (e, normalmente, anche al momento) della stipulazione a suo favore, ma deve dichiarare
di voler profittare se vuole rendere irrevocabile questo suo diritto" (Carnevali, Le donazioni, cit.
494).
A siffatto modo di argomentare, tuttavia, si è obiettato che l'istituto del contratto a favore del terzo
non può essere utilmente invocato per ricostruire la fattispecie in discorso, in quanto - dal momento
che "l'onere attribuisce in ogni caso un diritto perfetto ed irrevocabile a favore di colui nel cui
interesse è stabilito" (Biondi, op. cit., 675. In senso conforme: Palazzo, op. cit., 373; Balbi, op. cit.,
75) - la donazione con previsione di un modus a favore del terzo in ogni caso "non richiede (...) la
dichiarazione del terzo di volerne profittare e si perfeziona come ogni altra donazione diretta"
(Palazzo, op. cit., 373).
È necessario, infine, ricordare che - dovendosi escludere "la causa della donazione (...) quando la
finalità dell'atto non è compatibile col significato sociale della liberalità" - si è autorevolmente
sostenuto (Bianca, op. cit., 495) che "quando il fine dell'operazione sia unicamente quello di far
pervenire il bene ad un terzo mediante l'imposizione di un "modo" al "donatario" (...), non sussiste
la causa della donazione, bensì quella del mandato ad alienare".
b) La prestazione imposta all'onerato può avere ad oggetto un dare, un facere ovvero un non facere
(per tutti: Santoro-Passarelli, op. cit., 206): in ogni caso, potrebbero costituire oggetto di
obbligazione modale solo prestazioni suscettibili di valutazione economica, non anche condotte "come l'assunzione del nome del donante, il dedicarsi a dati studi od occupazioni, e così via"
(Carnevali, Le donazioni, cit., 491) - che dovessero invece risultare prive di siffatta caratteristica.
Secondo un diverso orientamento, peraltro, all'onerato ben potrebbe essere imposto l'obbligo di
osservare anche comportamenti non passibili di valutazione economica (Palazzo, op. cit., 375;
Balbi, op. cit., 72). Quanti opinano in tal senso, tuttavia, non nascondono che, in tale ipotesi, si
porrebbe comunque il delicato problema "di individuare i mezzi di tutela a disposizione del donante
per il caso di mancata esecuzione di quel comportamento: qualora risulti che il donante non ha
inteso dare un semplice consiglio o raccomandazione, non si vede ostacolo a concepire la donazione
come sottoposta a condizione risolutiva per il caso di mancata esecuzione di quel comportamento"
(Carnevali, Le donazioni, cit., 492); altro mezzo di tutela del disponente potrebbe ravvisarsi nella
previsione, nel contratto di donazione, della risoluzione di quest'ultimo ex art. 793, comma 4°, cod.
civ. (Palazzo, op. cit., 375).
Infine, è indubbio che - in caso di imposizione al donatario dell'obbligo di eseguire una prestazione
non passibile di valutazione economica - "ove il donante non si sia cautelato (...), l'onere
economicamente non estimabile si risolve in un impegno morale o di coscienza, giuridicamente
incoercibile, il cui inadempimento rimane senza sanzione" (Balbi, op. cit., 71).
c) Il sopradescritto contenuto minimo ed essenziale della disposizione modale può essere dalle parti
arricchito con l'apposizione (non già all'intero contratto di donazione cum onere, bensì) alla sola
clausola in discorso di una condizione (sia essa sospensiva o risolutiva) ovvero di un termine
(iniziale o finale) (Palazzo, op. cit., 392 s.; Biondi, op. cit., 678): di conseguenza - ferma restando la
validità e l'efficacia del contratto di donazione (e, quindi, l'immediato acquisto del donatum da parte
del beneficiario) - l'obbligazione modale sorgerà in capo a quest'ultimo (in caso di onere
sospensivamente condizionato ovvero soggetto a termine iniziale) o si estinguerà (in caso di onere
risolutivamente condizionato ovvero soggetto a termine finale) una volta verificatosi l'evento
dedotto in condizione ovvero scaduto il termine.
Il donante ed il donatario possono altresì arricchire il nucleo minimo della disposizione modale con
la previsione di una penale a carico dell'onerato - il cui adempimento ridonderà a vantaggio del
beneficiario (sia esso il donante ovvero un terzo) - per il caso di inadempimento (ovvero di ritardo
nell'adempimento) della prestazione prevista dal modus (Palazzo, op. cit., 393; Biondi, Le
donazioni, cit., 681).
4. Donazione modale e donazione condizionata. La dottrina unanime condivide le considerazioni sulle quali ci si è soffermati in precedenza - dalla giurisprudenza svolte in ordine alle differenze
intercorrenti tra la donazione modale, da un lato, e la donazione sub condicione, da altro lato.
Sul rilievo che, di regola, l'onerato - pur essendo obbligato ad eseguire la prestazione contemplata
nella clausola modale - acquista il donatum sin dal momento del perfezionamento del contratto di
donazione, si è così tratta la conclusione che, in relazione alla fattispecie prevista dagli artt. 793 ss.
cod. civ., "non trovano applicazione gli artt. 1356, 1358, 1361 che contemplano gli atti di
amministrazione compiuti dall'acquirente sotto condizione in pendenza di questa: il donatario, posto
che acquista puramente e semplicemente, non amministra i beni donati ma esercita su di essi il suo
diritto di proprietà, e quindi sono applicabili soltanto quei principi che valgono per qualunque
debitore" (Biondi, op. cit., 679).
Alle parti è sicuramente consentito di subordinare l'efficacia del tipico negozio di liberalità ad un
termine iniziale ovvero ad una condizione sospensiva e - al contempo - di prevedere l'assunzione,
da parte del donatario, di un modus puro e semplice (Balbi, op. cit., 73).
Diversa, tuttavia, sarà la qualificazione giuridica che la fattispecie è destinata ad assumere nelle
ipotesi sopramenzionate: infatti, nel caso in cui la donazione dovesse essere sottoposta ad un
termine iniziale, l'accordo contrattuale sarà sempre qualificabile in termini di donazione cum onere
(gli effetti propri di quest'ultima, invero, sono solo procrastinati alla data di scadenza del termine),
ancorché la prestazione modale debba essere eseguita dal donatario in anticipo rispetto al momento
di produzione degli effetti dell'atto liberale; diversamente - qualora il contratto di donazione
dovesse risultare sospensivamente condizionato - la fattispecie negoziale dovrà qualificarsi (non già
come donazione modale, bensì) quale contratto aleatorio - con conseguente applicazione della
disciplina propria di tali ultimi contratti - dal momento che, in definitiva, il donatario si è assunto
"un obbligo attuale indipendentemente dal verificarsi della condizione che potrà determinare
l'acquisto, e quindi deve eseguire l'impegno ancorché l'attribuzione non abbia effetto" (Biondi, op.
cit., 676).
È inoltre necessario distinguere nettamente la donazione cum onere (nella quale l'adempimento
della prestazione modale non condiziona l'efficacia dell'atto di liberalità) dal contratto di donazione
la cui efficacia sia stata dalle parti sospensivamente condizionata all'esecuzione, ad opera del
donatario, di una determinata prestazione. In siffatta ultima evenienza, infatti, il beneficiario non è
obbligato - come invece nella donazione modale - ad eseguire la prestazione dedotta in condizione;
tuttavia, sarà interesse dello stesso donatario provvedere a detta esecuzione, potendo solo in tal
modo la fattispecie contrattuale produrre tutti i propri effetti e, quindi, consentire al beneficiario di
acquistare definitivamente il donatum al proprio patrimonio (Biondi, op. cit., 657).
5. Natura giuridica della donazione modale: la tesi del contratto a titolo oneroso e la tesi del
contratto a prestazioni corrispettive. Oltre a quelli precedentemente indicati, anche altri autori hanno
ritenuto possibile individuare nella donazione modale una fattispecie negoziale a titolo oneroso e/o
a prestazioni corrispettive.
Si è infatti sostenuto che - almeno nei casi in cui vi dovesse essere "corrispondenza di valori" tra il
donatum e la prestazione imposta all'onerato - alla donazione cum onere, in quanto riconducibile
alla categoria dei contratti a titolo oneroso, dovrebbero applicarsi "tutte le norme proprie
dell'onerosità" (Sandulli, op. cit., 390); qualora, invece, detta "corrispondenza di valori" non
dovesse, nel caso concreto, essere individuabile, "si dovrà ritenere di essere alla presenza di una
forma di onerosità parziale o incompleta, per la quale dovranno riconoscersi delle particolarità nella
disciplina" (Sandulli, ibidem). Si è altresì evidenziato che - una volta adempiuta l'obbligazione
modale - il donatario-onerato "ha pur sempre subito un sacrificio, anche se non considerato dalle
parti e dall'ordinamento cause suffisante dell'attribuzione effettuata dal donante. Per cui (...) fino
alla concorrenza del valore del modo l'atto [è] da considerare a titolo oneroso, e, dunque,
disciplinato dalle regole per questi dettate" (Scozzafava, La qualificazione di onerosità o gratuità
del titolo, cit., 82).
Altra parte della dottrina mostra invece di preferire "la tesi che riporta alla sinallagmaticità delle
prestazioni (...) il contratto di donazione nel quale l'adempimento del modus abbia costituito l'unico
motivo determinante dell'attribuzione del donante e invece caratterizza più propriamente la
donazione modale (...) come atto di liberalità nel quale permane la funzione oggettiva
dell'arricchimento del ricevente, nel quale il modus costituisce un motivo oggettivato ma secondario
che può assumere rilevanza specifica solo nell'eventualità che sia espressamente prevista la c.d.
clausola di risoluzione per l'inadempimento" (Palazzo, op. cit., 367).
Infine, è opportuno ricordare che secondo un'opinione - che peraltro ha riscosso ben pochi consensi
- alla donazione cum onere dovrebbe riconoscersi dignità di autonomo tipo contrattuale a
prestazioni corrispettive, caratterizzato dalla peculiarità che l'arricchimento patrimoniale dal
donatario conseguito per effetto della liberalità verrebbe a trovarsi in connessione funzionale anziché genetica - con la prestazione modale che lo stesso donatario è tenuto ad eseguire nei
confronti del donante o di un terzo (Grassetti, op. cit., 40).
6. Segue: considerazioni. La perplessità che si sono in precedenza manifestate in ordine alla
possibilità che - specie nel caso in cui il valore della prestazione imposta all'onerato dovesse
eguagliare il valore del donatum - la donazione modale possa, in concreto, non presentare tutti gli
elementi costitutivi del tipo contrattuale qualificato come "donazione" dall'art. 769 cod. civ., sono
state talora condivise da parte della dottrina.
Con riferimento all'elemento dell'arricchimento patrimoniale del beneficiario - elemento
espressamente contemplato dalla norma definitoria (art. 769 cod. civ.) del contratto di donazione si è posta in rilievo la circostanza che l'apposizione, al tipico negozio di liberalità, di un onere
assorbente l'intero valore dell'attribuzione comporta la mancanza, nel caso di specie, di ogni
arricchimento del beneficiario, sicché "vien meno l'essenza stessa della donazione" (Casulli, op. cit.,
987): non è chi non veda, infatti, che - nell'ipotesi in considerazione - "riesce difficile pensare al
modus come semplice elemento accessorio, ed ancor più difficile riesce pensare che la donazione
(...) mantenga il suo carattere di attribuzione gratuita" (Palazzo, op. cit., 389).
È tuttavia opportuno chiarire che simili perplessità non sono condivise da quanti (Giannattasio, op.
cit., 291) sostengono che, in caso di donazione gravata da un modus c.d. assorbente l'intero valore
economico del donatum, "non potrebbe neppure dirsi che manchi l'incremento del patrimonio del
donatario": si è sottolineato, infatti, che quest'ultimo "è il beneficiario attuale della donazione e,
sebbene sia tenuto ad adempiere l'onere, tale adempimento può seguire in un momento successivo e
può anche non essere richiesto o solo parzialmente richiesto dagli interessati".
Inoltre, chi tende a svilire la rilevanza che, nel contratto di donazione, è destinato ad assumere
l'elemento dell'arricchimento patrimoniale del beneficiario - al contempo esaltando il c.d. animus
donandi del disponente quale elemento caratterizzante il tipico negozio di liberalità - non esita ad
affermare che, "in conseguenza dello spirito di liberalità che è connaturale alla donazione, questa
resta valida anche quando in definitiva non produca alcun arricchimento pel donatario" (G. Azzariti,
op. cit., 926).
Non sembra poi contestabile - come si è già avuto occasione di ricordare - che, qualora
l'adempimento della prestazione modale dovesse aver costituito il motivo unico e determinante
della volontà negoziale dell'autore della liberalità, ben difficilmente potrebbe ipotizzarsi la
sussistenza, nella fattispecie negoziale di cui all'art. 793 cod. civ., del c.d. animus donandi del
disponente: in tal caso, infatti, è destinato a venir "meno quel requisito essenziale della donazione
che è lo spirito di liberalità, perché l'intento esclusivo di veder adempiuto l'onere è incompatibile
con un animus donandi verso il donatario" (Grassetti, op. cit., 38. In senso conforme: Palazzo, op.
cit., 389, secondo cui "dal disposto dell'art. 794 si evince che l'onere può anche costituire l'unico
motivo determinante della donazione e tale affermazione (...) sembra in stridente contrasto con
l'affermazione (...) secondo cui nella donazione modale l'interesse all'altrui arricchimento assume
carattere di netta prevalenza rispetto all'interesse all'adempimento della obbligazione oggetto del
modus").
Infine, si è giustamente rimarcato che "la possibilità, espressamente prevista dalla legge (art. 793
cod. civ.), di risolvere la donazione a causa dell'inadempimento dell'onere (...), evidenzia come
l'interesse all'adempimento del modus stia in posizione tutt'altro che subordinata rispetto
all'interesse del donante ad arricchire il donatario" (Palazzo, op. cit., 390).
7. Segue: la tesi del contratto a titolo di liberalità. Decisamente prevalente è in dottrina - come in
giurisprudenza - l'orientamento incline a riconoscere alla donazione gravata da un onere una
qualificazione tipologica analoga a quella del contratto di donazione di cui all'art. 769 cod. civ.
Infatti - condividendo l'opinione di un insigne giurista che, negli anni '50, negava decisamente che
potessero esservi dubbi in ordine alla circostanza "che nel sistema legislativo la donazione cum
onere costituisce soltanto una variazione del genus donazione e non un negozio diverso, fornito di
una causa propria, differente da quella della donazione" (Torrente, op. cit., 282) - si ritiene di dover
escludere, in primo luogo, che la donazione modale possa costituire una fattispecie contrattuale a
titolo oneroso (Casulli, op. cit., 987; Balbi, op. cit., 69; Biondi, op. cit., 655; Torrente, op. cit., 279),
dal momento che, nell'istituto in discorso, "difetta proprio quella interdipendenza tra le due
prestazioni che è caratteristica dell'onerosità. La funzione del negozio rimane gratuita, il modo
costituisce una variazione del tema, non un'alterazione" (Torrente, op. cit., 279).
Allo stesso modo - sulla premessa che alla prestazione imposta al donatario non si può attribuire
dignità di corrispettivo dell'attribuzione liberale dal disponente effettuata in favore dello stesso
donatario - è tradizionalmente condivisa la conclusione secondo cui la donazione cum onere non
integra neppure gli estremi della fattispecie contrattuale caratterizzata da un nesso di corrispettività
tra la prestazione del donante, da un lato, e quella imposta - con la clausola modale - al beneficiario,
da altro lato (Iacovino-Tavassi-Cassandro, op. cit., 78; Cataudella, op. cit., 70; Galgano, op. cit.,
534; Roppo, op. cit, 137; Scognamiglio, op. cit., 149; Casulli, op. cit., 987; Balbi, op. cit., 69;
Santoro-Passarelli, op. cit., 206; Biondi, op. cit., 653; Torrente, op. cit., 278). Nella donazione cum
onere - si è infatti sostenuto - "manca quell'elemento caratteristico del sinallagma, che è costituito
dallo scambio: nella donazione modale non si ha infatti scambio tra attribuzione al donatario e
obbligazione da lui assunta (...). Si ha connessione, ma non corrispettività, tanto vero che può
cadere l'onere impossibile o illecito, restando in piedi l'attribuzione" (Biondi, op. cit., 653).
Corrispettività che - occorre aggiungere - non può ravvisarsi, sempre secondo l'orientamento
prevalente, neppure nel caso in cui il vantaggio conseguente all'adempimento della prestazione
modale dovesse ridondare a beneficio esclusivo del disponente: infatti, "tra attribuzione gratuita al
donatario ed acquisto di un diritto del donante verso di questi non esiste quella caratteristica
interdipendenza, che si riscontra negli atti con effetti corrispettivi" (Biondi, op. cit., 656).
Sicuramente meritevole di attenzione appare il rilievo addotto da quanti - al fine di escludere che la
donazione modale possa essere suscettibile di qualificazione in termini di contratto a titolo oneroso
ovvero a prestazioni corrispettive - sottolineano che il donatario è ex lege (art. 437 cod. civ.)
obbligato a somministrare gli alimenti al donante, così giungendo alla conclusione che, "se per
legge qualunque donatario, salvo le eccezioni, è obbligato a prestare gli alimenti al donante, senza
che questa obbligazione legale trasformi od alteri la natura della donazione, non si capisce per quale
ragione dovrebbe alterare la natura della donazione il fatto che il donatario si è assunto
volontariamente l'obbligo di eseguire taluni pesi. Che nel primo caso l'obbligazione deriva dalla
legge ed è soltanto eventuale, mentre nella donazione modale l'obbligo di eseguire il peso è attuale e
deriva dalla concorde volontà delle parti, non è elemento tale che autorizzi la contraddittoria
conclusione che la donazione sia sempre tale nonostante che il donatario sia obbligato a fornire gli
alimenti al donante, mentre qualche elemento di onerosità presenta la donazione con oneri" (Biondi,
ibidem).
Dal momento che nella donazione modale non possono rintracciarsi i connotati dell'onerosità e/o
della corrispettività, la dottrina prevalente esclude che la fattispecie contrattuale di cui all'art. 793
cod. civ. possa presentare una qualche analogia con il c.d. negotium mixtum cum donatione: se,
infatti, nella prima - in quanto contratto a titolo di liberalità - deve ritenersi essenziale il c.d. animus
donandi del disponente, il secondo - costituendo "uno schema misto, una fusione di gratuità e di
onerosità" (Torrente, op. cit., 279) - "riguarda il caso di un negozio tipicamente oneroso, in cui si
innesta un elemento di liberalità, mentre nel caso della donazione modale abbiamo sempre
donazione, economicamente limitata dall'onere" (Biondi, ibidem); nel c.d. negotium mixtum cum
donatione, inoltre, "la sproporzione tra i due corrispettivi e la stessa prevalenza dell'intento di
donare su quello dello scambio non tolgono che sussista pur sempre uno scambio di cosa contro
prezzo e che questo sia effettivamente voluto dalle parti" (Giannattasio, op. cit., 291).
Ad escludere ogni possibile commistione tra la donazione modale ed il negotium mixtum cum
donatione, si è altresì addotto (Balbi, op. cit., 70) - da un lato - che quest'ultimo "sdoppia gli effetti
della fattispecie in due parti distinte, una delle quali è disciplinata con le regole dell'onerosità e
l'altra con quelle della liberalità (mentre sembra chiaro che la norma vuole disciplinare tutti gli
effetti della donazione modale secondo le norme proprie della donazione)" e - da altro lato - che se
le due fattispecie in discorso fossero coincidenti, "all'invalidità o alla inadempienza dell'onere
dovrebbe fare seguito l'invalidità o la risoluzione della donazione, mentre ciò avviene solo
eccezionalmente".
8. La disciplina della donazione modale. È pacifica, in dottrina, la soggezione della donazione cum
onere alla disciplina propria del tipico contratto di liberalità, sia pure con gli adattamenti imposti
dalla presenza, nel relativo schema contrattuale, di un modus (per tutti: Balbi, op. cit., 70): così, ad
es., non si dubita che - al pari della donazione tipica ex art. 769 cod. civ. - anche quella modale
debba costituire oggetto di collazione; dovrà tuttavia essere conferita alla massa ereditaria la
differenza tra il valore del donatum ed il valore della prestazione eseguita dall'onerato, vale a dire
ciò di cui quest'ultimo si sia effettivamente arricchito (Palazzo, op. cit., 391; Capozzi, op. cit., 738;
Biondi, op. cit., 677).
Più di una perplessità, invece, mostra la dottrina per quel che concerne la possibilità - ammessa,
come detto in precedenza, dalla giurisprudenza - che la clausola modale sia contenuta in una
scrittura privata dalle parti perfezionata successivamente alla conclusione del contratto di
donazione. Infatti - salvo qualche eccezione (Palazzo, op. cit., 386; Giannattasio, op. cit., 290) - è
diffusa la convinzione che il modus successivamente pattuito dai contraenti debba rivestire la stessa
forma del tipico negozio di liberalità, in quanto "l'onere che venga in un secondo momento accettato
dal donatario (...) diventa (...) un depauperamento del donatario, che cede al donante o a chi per lui
o da lui indicato, una parte dei beni già conseguiti con la donazione, o anche l'intera entità del dono,
lì ove l'onere che si voglia imporre e che egli accetta sia pari al valore dei beni avuti; e quindi
giuridicamente si è senza dubbio di fronte ad una donazione che, a sua volta, dal donatario viene
fatta al donante o a chi per lui, non potendo tutto quanto innanzi valutarsi quale un venir meno della
donazione già a lui fatta e che è irrevocabile. E di qui la necessità (...) che quella imposizione non
contestuale abbia luogo con la stessa forma dell'atto pubblico richiesto dall'art. 782 cod. civ. a pena
di nullità" (G. Azzariti, op. cit., 925, nt. 147. In senso conforme: Costanza, op. cit., 889; Balbi, op.
cit., 71; Biondi, op. cit., 652, per il quale, nell'ipotesi in discorso, ci si troverà in presenza di una
"donazione pura e semplice da una parte, ed assunzione autonoma di un'obbligazione dall'altra, la
quale pertanto non può derivare da volontà unilaterale del donante").
Dalla premessa della irriconducibilità della donazione modale al novero dei contratti a prestazioni
corrispettive deve poi trarsi la conclusione che alla prima non possono applicarsi istituti tipicamente
previsti per i secondi: deve così escludersi che la donazione cum onere possa andare incontro alla
rescissione per lesione (art. 1448 cod. civ.) o per eccessiva onerosità (art. 1467 cod. civ.), nonché
alla risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 ss. cod. civ. (Balbi, op. cit., 73; Biondi, op.
cit., 658). Di conseguenza, "qualora il donante non esegua la donazione, sia che non consegni la
cosa la cui titolarità è passata al donatario nel caso di donazione con effetti traslativi, sia che non
esegua la prestazione nel caso di donazione con effetto obbligatorio, il donatario non può chiedere
la risoluzione, ma solo rifiutarsi di eseguire l'onere, se prima non venga eseguita la donazione"
(Biondi, op. cit., 658).
9. Il rapporto obbligatorio modale. Anche in dottrina - come in giurisprudenza - è ricorrente
l'affermazione secondo cui dalla disposizione modale dalle parti introdotta nel contratto di
donazione scaturisce, in capo al donatario-onerato, un'obbligazione in senso tecnico, in quanto tale
soggetta alle disposizioni sulle obbligazioni in generale (Costanza, op. cit., 887; P. Morozzo Della
Rocca, op. cit., 26; Palazzo, op. cit., 413; Galgano, op. cit., 534; Carnevali, Le donazioni, cit. 495;
Giannattasio, op. cit., 292; Scognamiglio, op. cit., 149; Balbi, op. cit., 69; Santoro-Passarelli, op.
cit., 206; Biondi, op. cit., 681; Torrente, op. cit., 293).
Pertanto, anche l'obbligazione modale - analogamente ad ogni altra obbligazione che dovesse
gravare sul donatario - dovrà essere da quest'ultimo adempiuta (sia pure nei limiti di cui all'art. 793,
comma 2°, cod. civ.) con il proprio patrimonio personale presente e futuro e non già,
esclusivamente, con il solo bene oggetto dell'attribuzione liberale (Biondi, op. cit., 682: "il
donatario assume personalmente un'obbligazione, e del debito contratto, sia pure entro i limiti del
valore della cosa ricevuta, risponde con tutti i beni presenti e futuri, come qualunque debitore". In
senso conforme: Costanza, op. cit., 888; Grassi, op. cit., 26).
Per quel che concerne l'individuazione dei soggetti tra i quali intercorre il rapporto obbligatorio che
nella disposizione modale trova la propria fonte, si è correttamente evidenziato (Palazzo, op. cit.,
372) che siffatto rapporto vede quali propri protagonisti - al momento della sua costituzione soltanto il donante, da un lato, ed il donatario, da altro lato; "in fase effettuale", invece, "il modus
donativo determina una obbligazione che soggettivamente ha come debitore solo il donatario, ma
come creditore può avere lo stesso donante, un terzo o (...) anche il donante e un terzo (salvo a
stabilire, in quest'ultima ipotesi e in via di puro fatto, se l'obbligazione modale sia, dalla parte attiva,
solidale o parziaria)".
Ai sensi del terzo comma dell'art. 793 cod. civ., per conseguire dal donatario-onerato l'esecuzione
della prestazione indicata nella clausola modale può agire, "oltre il donante, qualsiasi interessato,
anche durante la vita del donante stesso".
L'autore della liberalità è quindi sempre legittimato all'esperimento dell'azione in discorso: il che è
agevolmente giustificabile ove si consideri che il disponente "è sempre, proprio in quanto tale,
interessato all'adempimento del modo" (Palazzo, op. cit., 413). Peraltro, siffatto "interesse del
donante non si trasmette ai suoi eredi che, quindi, non hanno azione per l'esecuzione dell'onere: solo
se l'erede è, a sua volta, interessato a tale esecuzione, avrà azione nei confronti del donatario non
però iure hereditatis, ma iure proprio" (Giannattasio, op. cit., 291. In senso conforme: Palazzo, op.
cit., 413).
Più problematica, invece, appare l'individuazione degli "interessati" cui l'art. 793, comma 3°, cod.
civ. si riferisce - in modo del tutto generico - quali possibili legittimati a pretendere dal donatarioonerato l'adempimento del modus.
Escluso che per "interessato" - ai fini della disposizione in discorso - possa intendersi qualunque
soggetto che dovesse ricevere un vantaggio, sia pure solo riflesso ed indiretto, dall'esecuzione della
prestazione imposta all'onerato, pare preferibile l'opinione di chi ritiene necessario, a tal fine,
individuare il beneficiario del modus. Si è così sostenuto che - qualora l'onere fosse posto a
vantaggio del donante ovvero di un terzo determinato o determinabile in base a criteri automatici solo detti soggetti potrebbero pretendere l'esecuzione della prestazione modale; nel caso in cui
beneficiario del modus dovesse essere un soggetto appartenente ad un gruppo di individui
indeterminati e indeterminabili in via automatica, ma tuttavia individuabili a cura dell'onerato o di
un terzo incaricato, gli interessati potrebbero agire per costringere il donatario ad effettuare la scelta
(Carnevali, Le donazioni, cit., 496).
10. La responsabilità del donatario nell'adempimento del modus. L'art. 793, comma 2°, cod. civ.
circoscrive nel "valore della cosa donata" - ovvero, come si è giustamente chiarito (Palazzo, op. cit.,
377), nel valore dell'obbligazione assunta dal donante, nell'ipotesi in cui il modus dovesse accedere
ad una donazione c.d. obbligatoria - il limite massimo entro il quale può pretendersi dall'onerato
l'adempimento della prestazione modale.
La ratio della previsione normativa in discorso è da individuare nella circostanza che l'onere trova la
propria giustificazione causale nella precedente attribuzione patrimoniale dal disponente effettuata
animo donandi in favore del donatario (Balbi, op. cit., 69: "l'onere senza l'attribuzione gratuita non
ha significato"): di conseguenza, "la donazione modale è sempre donazione, cioè atto di liberalità, e
quindi non può risolversi in un danno per il donatario" (Biondi, op. cit., 681. In senso conforme:
Palazzo, op. cit., 412; Giannattasio, op. cit., 290).
Peraltro , nulla esclude che il donatario-onerato possa spontaneamente adempiere - anche oltre il
valore della cosa donata - l'obbligo impostogli con il modus (Costanza, op. cit., 888).
La puntuale applicazione della regola codificata dall'art. 793, comma 2°, cod. civ. può tuttavia
rivelarsi difficoltosa nelle ipotesi in cui la prestazione cui è obbligato il donatario dovesse avere ad
oggetto un facere ovvero un non facere di quest'ultimo: è agevole rilevare, infatti, che trattasi di
"obblighi il cui indice di patrimonialità non ha sempre un sicuro riferimento di valore" (Palazzo, op.
cit., 377).
Dal momento che, per espressa previsione normativa, il donatario è tenuto ad eseguire la
prestazione modale esclusivamente nei limiti di quanto conseguito a titolo di liberalità, deve
ritenersi che - qualora la prestazione contemplata nella clausola modale dovesse eccedere il valore
del donatum - il modus debba essere ridotto nei limiti del valore dell'attribuzione liberale (G.
Azzariti, op. cit., 928). Siffatta conclusione, peraltro, solleva notevoli perplessità nel caso in cui la
prestazione modale non dovesse, in concreto, risultare suscettibile di frazionamento: secondo
l'orientamento prevalente (Palazzo, op. cit., 412; G. Azzariti, op. cit., 931; F.S. Azzariti-MartinezG. Azzariti, op. cit., 786; Biondi, op. cit., 683), nell'ipotesi in considerazione, il modus dovrebbe
considerarsi come non apposto (ex art. 794 cod. civ.) per sopravvenuta impossibilità dell'esecuzione
della prestazione dallo stesso prevista; qualora la prestazione modale indivisibile dovesse aver
costituito motivo determinante della volizione negoziale del disponente, il contratto di donazione
sarà (sempre ai sensi del citato art. 794 cod. civ.) affetto da nullità.
La dottrina prevalente concorda con la giurisprudenza nell'affermare che - allo scopo di determinare
il limite di responsabilità dell'onerato cui fa riferimento l'art. 793, comma 2° cod. civ. - occorre
raffrontare il valore del donatum ed il valore della prestazione modale al momento in cui
quest'ultima viene eseguita dal donatario (Iacovino-Tavassi-Cassandro, op. cit., 81; Palazzo, op. cit.,
412; Carnevali, Le donazioni, cit., 496); pertanto - qualora al tempo dell'esecuzione della
prestazione modale i beni oggetto di liberalità dovessero essere periti per causa non imputabile
all'onerato - quest'ultimo dovrà ritenersi liberato dall'obbligo di eseguire la prestazione contemplata
dal modus (Iacovino-Tavassi-Cassandro, op. cit., 81; Carnevali, Le donazioni, cit., 496).
11. La risoluzione della donazione per inadempimento dell'onere. L'art. 793, comma 4°, cod. civ.
consente la risoluzione del contratto di donazione per inadempimento, da parte del donatario,
dell'obbligazione modale.
La disposizione in commento - nell'estendere ad una fattispecie negoziale, che si è detto non essere
caratterizzata dalla corrispettività delle prestazioni, un rimedio espressamente previsto dal
legislatore per i soli contratti sinallagmatici - non comporta, come si è già avuto modo di notare, che
alla donazione modale debba integralmente applicarsi la disciplina dettata dagli artt. 1453 ss. cod.
civ. in materia di risoluzione per inadempimento di contratti a prestazioni corrispettive (Balbi, op.
cit., 73; Biondi, op. cit., 658). Deve escludersi (Palazzo, op. cit., 414; Carnevali, Le donazioni, cit.,
497), in particolare, che - in relazione alla domanda di risoluzione della donazione cum onere possa valutarsi (ex art. 1455 cod. civ.) se l'inadempimento del modus abbia o meno "scarsa
importanza avuto riguardo all'interesse" del donante: se, infatti, il modus è lo strumento negoziale
concesso al disponente per perseguire - mediante l'esecuzione della prestazione modale - uno scopo
ulteriore rispetto a quello principale di liberalità, tale fine accessorio potrà dirsi compiutamente
realizzato soltanto in caso di esatto adempimento, da parte dell'onerato, della prestazione posta a
carico di quest'ultimo, sicché - con riferimento all'interesse del donante - l'inadempimento del
donatario non può mai essere considerato di "scarsa importanza".
12. Segue: presupposti. Ai sensi del disposto del quarto comma dell'art. 793 cod. civ., la possibilità
di domandare la risoluzione della donazione modale per inadempimento del modus presuppone che
l'esperibilità di siffatto rimedio sia stata "preveduta nell'atto di donazione": di conseguenza, qualora
le parti - in forza di pattuizione contenuta in un atto separato dal contratto di donazione - avessero
attribuito al donante (ovvero agli eredi di quest'ultimo) la legittimazione alla proposizione della
domanda di cui all'art. 793, comma 4°, cod. civ., la relativa clausola, da un lato, "non produ[rrà] gli
effetti contemplati dalla legge" e, da altro lato, dovrà essere interpretata quale "successiva
assunzione di obbligazione di restituire sotto condizione sospensiva dell'inadempimento" (Biondi,
op. cit., 696. In senso conforme: Palazzo, op. cit.., 414).
13. Segue: risarcibilità del danno conseguente all'inadempimento del modus. La dottrina (Palazzo,
op. cit., 403; Carnevali, Le donazioni, cit., 497; Balbi, op. cit., 76) si mostra concorde nel ritenere
che l'inadempimento, da parte del beneficiario, dell'obbligazione da quest'ultimo assunta in forza
del perfezionamento del contratto di donazione cum onere possa costituire fonte di danni per il
donante, al risarcimento dei quali l'onerato inadempiente potrebbe essere chiamato dallo stesso
disponente.
Si è efficacemente puntualizzato, a tal proposito, che "la conseguenza dell'inadempimento
dell'onere è soltanto quella del risarcimento del danno (quando si provi che il danno vi è stato),
salvo che si possa ottenere l'adempimento in via coattiva, anche in forma specifica (artt. 2930 ss.).
Invece, di regola non si ha la risoluzione della donazione, a meno che non sia stata prevista (art.
793, ult. comma)" (Balbi, ibidem, 76).
In ogni caso - una volta chiesta ed ottenuta la risoluzione della donazione per inadempimento del
modus da parte del donatario - il donante non potrebbe avanzare alcuna pretesa risarcitoria nei
confronti dello stesso onerato (Carnevali, Le donazioni, cit., 497).
14. L'impossibilità del modus donativo. L'onere illecito e l'onere impossibile sono dal legislatore
accomunati nella medesima disciplina dettata dall'art. 794 cod. civ.
Si è ritenuto, al riguardo, che non possa qualificarsi come illecita l'imposizione al donatario
dell'obbligo di pagare i debiti che - in futuro - il donante dovesse eventualmente assumere (G.
Azzariti, op. cit., 928; Biondi, op. cit., 699); diversamente, si è affermata l'illiceità della clausola
modale che dovesse imporre all'onerato di conservare i beni ricevuti a titolo di liberalità per
restituirli, successivamente, ad un determinato soggetto: tale clausola, infatti, integrerebbe gli
estremi della sostituzione, ammessa - in relazione al contratto di donazione - solo ed esclusivamente
"nei casi e nei limiti previsti per gli atti di ultima volontà" (art. 795 cod. civ.) (G. Azzariti, op. cit.,
934; F.S. Azzariti-Martinez-G. Azzariti, op. cit., 788). Per quel che concerne le conseguenze che,
sul contratto di donazione, possono derivare dall'illiceità ovvero dall'impossibilità della clausola
modale in epoca successiva al perfezionamento dello stesso accordo contrattuale, la dottrina
prevalente concorda con la giurisprudenza nel ritenere che - facendo l'art. 794 cod. civ. riferimento
esclusivo all'illiceità ed all'impossibilità originaria del modo - l'onere divenuto successivamente
illecito o impossibile per causa non imputabile al donatario determini l'estinzione dell'obbligazione
modale, senza minimamente pregiudicare la validità e l'efficacia del contratto di donazione
(Costanza, op. cit., 888; Palazzo, op. cit., 381; Carnevali, Le donazioni, cit., 498; Balbi, op. cit., 73,
nt. 14; Biondi, op. cit., 702).
Documento
Le donazioni indirette tra tutela dei legittimari e certezza dei traffici giuridici
Giovanni Mansi
FONTE
Contratto e Impr., 2012, 1, 168
Sommario: 1. Premessa. - 2. Le donazioni indirette e l’oggetto della liberalità: analisi della
fattispecie dell’intestazione di beni in nome altrui. - 3. L’azione di riduzione nei confronti delle
donazioni indirette. - 4. (segue) Il tradursi del diritto del legittimario leso in diritto di credito ed i
suoi effetti sulla circolazione dei beni di provenienza donativa.
1. Premessa.
1. – L’estensione della sfera di tutela del legittimario agli atti di liberalità indiretta, che sul piano
normativo si risolve nei termini di un mero rinvio alle norme in materia di riduzione delle
donazioni contrattuali (1), presenta non pochi aspetti problematici sul versante attuativo.
Alla risoluzione degli stessi ha contribuito una recente sentenza di legittimità (2), ove è stata
affrontata la questione controversa relativa alla ricostruzione degli effetti dell’azione di riduzione
esperita nei confronti di una donazione indiretta, che, nel caso di specie, era stata posta in essere
mediante l’acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente e l’intestazione dello stesso
ad un terzo. A tal riguardo, la Suprema Corte ha espressamente stabilito che “alla riduzione delle
liberalità indirette non si può applicare il principio della quota di legittima in natura, connaturale
invece all’azione nell’ipotesi di donazione ordinaria d’immobile (art. 560 c.c.); con la conseguenza
che l’acquisizione riguarda il controvalore, mediante il calcolo dell’imputazione, come nella
collazione (art. 724 c.c.)”.
Il principio, appena richiamato, affermato dai giudici di legittimità rappresenta, senza dubbio, un
quid novi di assoluto rilievo nel vasto scenario giurisprudenziale dedicato al genus delle donazioni
indirette, la cui portata può essere apprezzata solo attraverso l’analisi delle annose e dibattute
questioni concernenti l’individuazione dell’oggetto della liberalità attuata per il tramite di un atto
diverso dalla donazione contrattuale e la ricostruzione della natura e degli effetti dell’azione di
riduzione esperita nei confronti di uno dei suddetti atti.
2. Le donazioni indirette e l’oggetto della liberalità: analisi della fattispecie dell’intestazione di beni
in nome altrui.
2. – Il fenomeno della liberalità, pur trovando la sua espressione tipica nel contratto di donazione di
cui all’art. 769 c.c., non si esaurisce in esso, ma si attua attraverso una più ampia serie di strumenti,
tutti riconducibili, seppur nella loro eterogeneità, alla categoria degli atti di liberalità.
Vari, infatti, sono i mezzi alternativi alla donazione – riuniti dalla dottrina, a fini di unità
concettuale e sistematica, sotto la nomenclatura di “donazioni indirette” (3) – con i quali può
realizzarsi, in concreto, il medesimo scopo economico di quest’ultima, ossia l’arricchimento altrui
privo di corrispettivo. Ad essi l’ordinamento riconosce espressa rilevanza per il tramite della norma
cardine di cui all’art. 809 c.c., dettata allo scopo di assicurare una piena ed efficace applicazione,
anche nei confronti degli atti di liberalità indiretta, di quegli istituti che nel codice trovano una
disciplina organica con riferimento alla figura tipica della donazione contrattuale. Tra questi,
particolare rilievo assume, alla luce di quanto si è detto poc’anzi, l’azione di riduzione, come è dato
desumersi dal richiamo espresso, contenuto nell’art. 809 c.c., alle norme “sulla riduzione delle
donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari”. Il rimando a tale apparato normativo
risponde alla necessità di garantire pari tutela al legittimario che veda lesa la propria quota di
riserva tanto da una donazione diretta, quanto da quella indiretta posta in essere dal de cuius.
In relazione al rinvio così operato dalla norma de qua va tuttavia evidenziato un aspetto di notevole
criticità, consistente nel dato fattuale per cui l’operazione volta ad estendere l’applicazione delle
disposizioni in materia di riduzione agli atti di cui all’art. 809 c.c. in nessun caso si risolve in un
mero automatismo. I connotati peculiari delle singole fattispecie rientranti nell’alveo delle liberalità
indirette e la mancata corrispondenza tra il depauperamento del beneficiante e l’incremento della
sfera giuridica del beneficiario, comune alla gran parte delle ipotesi riferibili alla categoria in
esame, non sempre consentono, infatti, di procedere ad una uguale applicazione della normativa
sull’azione di riduzione tanto alle donazioni dirette quanto a quelle indirette, avendo ciò non poche
ricadute sulla esatta definizione della natura e degli effetti dell’azione stessa.
Da ciò discende il problema di ricostruire il peculiare modus operandi dell’azione di riduzione con
riguardo alle donazioni indirette, cui si ricollega la dibattuta questione relativa all’individuazione
dell’oggetto di queste ultime, che origina dalla già richiamata asimmetria sussistente tra i due eventi
correlati dell’impoverimento di chi compie la liberalità e dell’incremento della sfera giuridica di chi
la riceve. Proprio da tale asimmetria, infatti, deriva l’esigenza pratica di stabilire a quale dei
suddetti elementi debba ricondursi il fatto attuativo della liberalità, divergendo non poco, come si
vedrà, soprattutto sul piano economico, la scelta tra l’una o l’altra delle fasi costitutive della
liberalità medesima. Su questo versante particolarmente controverso è intervenuta più volte nel
corso degli anni la giurisprudenza (4), attraverso l’analisi di una delle ipotesi più comuni di liberalità
indiretta, presa in esame dai giudici di legittimità anche nella recente sentenza sopra richiamata,
ossia quella della intestazione di beni in nome altrui.
La fattispecie negoziale di cui trattasi, quale atto di liberalità alternativo alla donazione contrattuale,
trova attuazione, nella generalità dei casi, allorché un soggetto, dopo aver versato una propria
somma di denaro per l’acquisto di un bene, lo intesti, a scopo di liberalità, a nome di un terzo che
egli vuole destinatario della sua azione liberale. Va precisato, a tal proposito, che la funzione
liberale attuata per mezzo della figura in esame si configura come il risultato dell’operazione
negoziale considerata nel suo complesso e non dei singoli rapporti che la compongono, i quali si
sostanziano, invece, in precise fattispecie negoziali, tra loro distinte, ciascuna delle quali dotata di
una propria causa e regolata da una specifica disciplina (5). Non è configurabile, infatti, un’ipotesi di
liberalità, ancorché diretta, tra il beneficiario-acquirente e l’alienante, né tra quest’ultimo e il
beneficiante, considerato che, nell’un caso, le parti concludono tra loro un comune contratto a titolo
oneroso, e, nell’altro, il beneficiante generalmente si limita a versare all’alienante il corrispettivo
per l’acquisto del bene da parte di un soggetto terzo.
Con riguardo, poi, all’oggetto dell’azione liberale realizzata secondo le modalità appena descritte, è
opportuno rilevare che per lungo tempo la giurisprudenza ha ritenuto che attraverso il ricorso allo
strumento dell’intestazione di beni in nome altrui venisse posta in essere una donazione indiretta
della somma di denaro versata dal beneficiante (6); e ciò sul presupposto per cui l’arricchimento del
beneficiario andasse individuato nel mancato pagamento del corrispettivo per l’acquisto del bene, e
non già nel bene medesimo.
Tale orientamento, tuttavia, sul finire degli anni Ottanta è stato definitivamente abbandonato dai
giudici di legittimità, i quali da allora hanno costantemente individuato nel bene acquistato dal
beneficiario l’oggetto della liberalità attuata per il tramite della fattispecie in esame (7). Alla base
della mutata posizione della Corte, fondata sull’idea per cui intento del beneficiante è quello di
incrementare il patrimonio del beneficiario attraverso l’acquisto del bene per il quale egli ha versato
il corrispettivo, vi è l’esigenza di evitare che quanti vantino una pretesa sulla liberalità, attuata nella
forma che qui si sta analizzando, possano subire gli effetti pregiudizievoli dell’eventuale
svalutazione monetaria che, al momento di apertura della successione, abbia sminuito il valore della
somma di denaro versata dal defunto al venditore (8). Qualora si ritenesse infatti, in aderenza
all’orientamento precedentemente seguito dalla giurisprudenza, che oggetto della donazione
indiretta sia, in tale ipotesi, il denaro, il legittimario leso che agisse in riduzione potrebbe soffrire un
forte pregiudizio dal manifestarsi del fenomeno inflattivo, il quale, stante il principio nominalistico,
è in grado di determinare una notevole diminuzione del valore economico di quanto dovrà essere
corrisposto dal donatario al legittimario al fine di reintegrare la sua quota di riserva.
Pertanto, stando alla ricostruzione operata, nei termini sopra esposti, dalla Suprema Corte
nell’ultimo ventennio, sia che il beneficiante acquisti il bene, con denaro proprio, in nome e per
conto del terzo beneficiato, o che lo stesso si limiti a versare di tasca propria la somma equivalente
al prezzo del bene, che viene però acquistato direttamente da colui che egli intende beneficiare, o,
ancora, che l’autore della liberalità si adoperi a stipulare, per sé o per persona da nominare, un
preliminare d’acquisto, lasciando poi che sia il destinatario della liberalità, col denaro fornito dal
primo, a concludere il contratto definitivo, la donazione posta in essere secondo queste modalità ha
ad oggetto il bene acquistato dal beneficiario, ed è su questo che ricadranno gli effetti delle azioni
collegate all’attuazione di una liberalità indiretta.
A tal proposito va tuttavia precisato che se la Cassazione, in alcune delle decisioni cui si è fatto
riferimento poc’anzi (9), ha chiaramente affermato che ai fini della collazione oggetto della
donazione indiretta è l’immobile e non il denaro impiegato per il suo acquisto, nulla invece ha
statuito in modo espresso, in tali pronunce, con riguardo agli effetti dell’azione di riduzione.
3. L’azione di riduzione nei confronti delle donazioni indirette.
3. – Muovendo dall’orientamento giurisprudenziale sopra analizzato, la dottrina ha dunque tentato,
con non poche difficoltà, di ricostruire il modus operandi dell’azione di riduzione esperita nei
confronti di una donazione indiretta; esso, infatti, come si è già avuto modo di anticipare, presenta
caratteristiche distinte da quelle del meccanismo con cui il rimedio in esame opera in relazione alle
donazioni dirette.
Secondo un primo indirizzo (10), la sentenza di riduzione, emanata allo scopo di reintegrare la quota
di riserva del legittimario attore che sia stata lesa da un atto di liberalità indiretta, non può attaccare
in alcun modo il titolo di acquisto del beneficiario al fine di renderlo inefficace, con effetto
retroattivo, nei confronti del legittimario medesimo, al pari di quanto accade con riguardo al
contratto di donazione. Tale valutazione trova la propria ratio nel fatto che l’eventuale inefficacia
relativa del titolo non consentirebbe l’applicazione del medesimo meccanismo integrativo della
quota di riserva che opera, invece, allorché l’azione di riduzione venga esperita nei confronti di una
donazione diretta. In relazione a quest’ultima, infatti, l’inefficacia del titolo di acquisto del
donatario, prodottasi per effetto della sentenza di riduzione, fa sì che il bene trasferito si consideri
come mai uscito dal patrimonio del defunto nei riguardi del legittimario, il quale, in quanto avente
causa a titolo universale del de cuius, può ottenere dal donatario possessore la restituzione del bene
donato.
Lo stesso non accadrebbe, invece, nell’ipotesi di una donazione indiretta: dal momento che il titolo
di acquisto del beneficiario è generalmente frutto di un rapporto giuridico di quest’ultimo con un
soggetto diverso dal beneficiante, una sua eventuale inefficacia ex tunc determinerebbe il ritorno
del bene oggetto della liberalità nella sfera patrimoniale del terzo, senza che ciò risponda in alcun
modo alle esigenze di tutela del legittimario, al cui soddisfacimento è invece preordinato lo
strumento giudiziale dell’azione di riduzione (11). A fondamento di tale considerazione vi è
l’assunto per cui nelle donazioni indirette non può riscontrarsi la presenza di un rapporto diretto,
giuridicamente rilevante, tra beneficiante e beneficiario; questo perché, nella generalità delle ipotesi
ascrivibili a tale categoria, l’effetto incrementativo della sfera giuridica del beneficiario dipende,
come si è detto poc’anzi, da un negozio intercorrente tra quest’ultimo ed un soggetto terzo, distinto
dall’autore della liberalità, o in alcuni casi, come accade nelle forme di liberalità non negoziali,
esso trova attuazione senza che sia necessario l’instaurarsi di un rapporto negoziale, essendo
l’arricchimento del beneficiario il risultato di un acquisto a titolo originario avvenuto per effetto di
una specifica disposizione di legge (12).
Alla luce di quanto appena esposto, si ritiene, pertanto, che l’esito riparatore della lesione di
legittima, proprio dell’azione di riduzione, non trovi in relazione agli atti di liberalità di cui all’art.
809 c.c. la medesima giustificazione che può rinvenirsi con riferimento al contratto di donazione
(13)
. Così, nell’ipotesi, già esaminata, dell’intestazione di beni in nome altrui, non potendo fondarsi
l’esperibilità dell’azione restitutoria sull’inefficacia del titolo di acquisto del beneficiario, rispetto al
quale, come si è detto, nulla può l’azione di in esame, è la stessa sentenza di riduzione a produrre il
trasferimento, totale o parziale, della proprietà del bene nella sfera giuridica del legittimario (14).
Quest’ultimo, pertanto, esperendo vittoriosamente l’azione di riduzione, non più qualificabile nei
termini di una impugnativa negoziale, ottiene il diritto alla restituzione del bene da parte del
beneficiario non in qualità di avente causa a titolo universale del de cuius, ma per effetto diretto ed
immediato della sentenza di riduzione.
Un secondo indirizzo (15), invece, pur prendendo le mosse dall’assunto, in comune con
l’orientamento di cui sopra, per cui la sentenza di riduzione non può rendere inefficace ex tunc il
titolo di acquisto del beneficiario nei confronti del legittimario leso, attribuisce anche all’azione di
riduzione che sia diretta contro atti diversi dalla donazione contrattuale la natura di impugnativa
negoziale.
In particolare, viene messa in discussione la ricostruzione, proposta dall’orientamento
precedentemente esaminato, che attribuisce alla sentenza di riduzione l’effetto di trasferire il bene
oggetto della liberalità indiretta dal beneficiario al legittimario leso, ritenendosi che tale soluzione,
per quanto apparentemente risolutiva del difetto fisiologico del rimedio in esame di privare della
sua efficacia l’atto di disposizione nei confronti del legittimario, muti l’azione medesima nei suoi
connotati essenziali, trasformandola in qualcosa di diverso, non più identificabile con essa.
L’azione di riduzione è e rimane, secondo il pensiero della dottrina che si sta analizzando,
un’impugnativa negoziale (16), che con riguardo alle donazioni indirette presenta un proprio modo
peculiare di operare e produrre i suoi effetti, i quali, nello specifico, si riversano sul rapporto
interno, rilevante ai fini della definizione dello scopo liberale che si intende perseguire, tra
beneficiante e beneficiario, rispetto al quale l’operazione negoziale conclusa spiega una sorta di
efficacia riflessa (17).
Così, nell’ipotesi ormai nota dell’intestazione di un bene in nome altrui, l’azione di riduzione
esercitata dal legittimario leso non mina direttamente l’efficacia dell’atto di acquisto del
beneficiario, ma agisce indirettamente sul rapporto intercorrente tra autore della liberalità e suo
destinatario, in virtù della succitata efficacia riflessa che su di esso è prodotta dallo stesso contratto
con cui il bene è stato trasferito, combinato con l’azione spontanea e liberale di pagamento del
beneficiante.
Ad un primo esame, questa ricostruzione parrebbe compromettere, con riferimento all’ipotesi qui
considerata, il diritto del legittimario leso, precludendo – data la persistente efficacia del titolo di
acquisto del donatario indiretto e la negazione del prodursi di un effetto traslativo del bene donato
ad opera della sentenza di riduzione – ogni pretesa reale sul bene oggetto della liberalità indiretta.
Una valutazione in tal senso poggia le proprie basi sul presupposto per cui oggetto dell’azione di
riduzione è il bene in natura ed esso soltanto può essere corrisposto al legittimario attivatosi con
successo per la reintegrazione della propria quota di riserva; presupposto da considerarsi tuttavia
erroneo, secondo l’orientamento di cui si sta trattando, se si tiene conto, in particolar modo, della
giustificazione che ha spinto, negli ultimi vent’anni, la giurisprudenza maggioritaria ad individuare
nella res acquistata dal beneficiario l’oggetto della liberalità attuata per il tramite dell’intestazione
di beni in nome altrui (18). Essa, come già si è detto, poggia sulla necessità, in assenza di un
meccanismo di adeguamento dettato dalla legge per la fattispecie presa in considerazione, di
sottrarre il legittimario leso al pregiudizio derivante dall’eventuale svalutazione monetaria che, al
momento di apertura della successione, potrebbe gravare sull’ammontare dell’arricchimento del
beneficiario, qualora esso fosse ragguagliato al valore nominale della somma di denaro versata dal
beneficiante.
L’obiettivo, appena illustrato, di tutelare gli interessi del legittimario leso, sotteso all’orientamento
giurisprudenziale cui si è fatto riferimento, non renderebbe pertanto necessario il trasferimento, a
seguito di una sentenza di riduzione, del bene in natura, potendo trovare uguale realizzazione
attraverso il riconoscimento al legittimario medesimo dell’equivalente in denaro dello stesso, il
quale rappresenta il valore, corrente al tempo di apertura della successione, dell’investimento
realizzato dal beneficiante in favore del beneficiario, espressione, al contempo, dell’arricchimento
di quest’ultimo e del depauperamento del primo (19).
4. (segue) Il tradursi del diritto del legittimario leso in diritto di credito ed i suoi effetti sulla
circolazione dei beni di provenienza donativa.
4. – Sempre allo scopo di delineare il modus operandi e gli effetti dell’azione di riduzione diretta
contro un atto di liberalità diverso dalla donazione contrattuale, la dottrina più recente (20) ha fornito
una ricostruzione dell’azione stessa che ha in buona parte anticipato le conclusioni cui è ora
approdata la Suprema Corte.
In particolare, tale orientamento, ripercorrendo le argomentazioni sviluppate dall’indirizzo da
ultimo analizzato, con esso concorda nel ritenere che, in relazione alle donazioni indirette, “oggetto
della pretesa del legittimario non è il bene in natura, ma il suo equivalente in danaro” (21), così
escludendo l’applicabilità con riguardo ai suddetti atti del principio della legittima in natura (22). A
tal proposito, tuttavia, la dottrina in esame, valutata la necessità di adeguare i meccanismi di tutela
degli interessi del legittimario alla particolare natura degli atti di cui all’art. 809 c.c., nega
l’esigenza di ricostruire l’azione di riduzione nei termini di una impugnativa negoziale, destinata ad
incidere sul “rapporto interno” tra beneficiante e beneficiario (23), ritenendo piuttosto che alla
sentenza di riduzione vada attribuito l’effetto costitutivo di un credito in favore del soggetto leso, in
virtù del quale quest’ultimo avrà diritto a pretendere dal beneficiario il recupero del valore
corrispondente alla lesione subita (24).
La soluzione, così brevemente illustrata, volta ad affermare l’idea di una legittima “per
equivalente”, è stata accolta dalla Suprema Corte, la quale, nella sua più recente pronuncia (25),
espressamente afferma: “la riduzione delle donazioni indirette non mette [...] in discussione la
titolarità dei beni donati, né incide sul piano della circolazione dei beni. Viene quindi a mancare il
meccanismo di recupero reale della titolarità del bene; ed il valore dell’investimento finanziato con
la donazione indiretta, dev’essere ottenuto dal legittimario sacrificato con le modalità tipiche del
diritto di credito”. In questo modo i giudici di legittimità giungono ad un risultato di assoluto
rilievo, rappresentato dalla negazione, con riguardo alle donazioni indirette, dell’efficacia reale
dell’azione di riduzione, la quale non è dunque volta alla restituzione del bene in natura a favore del
legittimario leso, ma al riconoscimento del suo diritto, di natura creditizia, all’equivalente in
denaro.
Alla ridefinizione, nei termini appena enunciati, del contenuto della pretesa azionabile dal
legittimario può ricollegarsi, inoltre, un ulteriore aspetto su cui si è concentrata la recente dottrina
(26)
, rappresentato dall’inopponibilità degli effetti della riduzione nei confronti degli aventi causa
dal donatario indiretto, rispetto ai quali la necessità di garantire la stabilità dell’acquisto di beni di
provenienza donativa trova una particolare ragion d’essere, oltre che nell’interesse generale alla
circolazione della ricchezza, nel fatto che l’impiego di un atto formalmente oneroso allo scopo
(“occulto”) di attuare una funzione liberale, secondo lo schema tipico delle liberalità indirette di
natura negoziale, rende la suddetta funzione difficilmente percepibile dal terzo, il quale, non
figurandosi la reale natura donativa del titolo di provenienza, incorrerebbe del tutto
inconsapevolmente nel rischio di un’eventuale riduzione.
Anche l’orientamento dottrinale, precedentemente esaminato, secondo cui alla riduzione degli atti
di cui all’art. 809 c.c. va attribuito l’effetto di trasferire il bene oggetto della donazione ridotta
direttamente nella sfera del legittimario leso, esclude ogni tipo di rischio in capo al terzo avente
causa dal donatario indiretto, sulla base della considerazione che, rimanendo il titolo di acquisto
totalmente insensibile agli effetti prodotti dall’azione di riduzione, risulti difficilmente giustificabile
l’opponibilità degli stessi nei confronti del terzo, il quale “ha acquistato da un soggetto che era e
resta dominus nonostante la sentenza di riduzione” (27).
Purtuttavia, in forza della diversa ricostruzione fornita dalla Suprema Corte, l’azione esperita dal
legittimario contro l’avente causa dal donatario indiretto risulta priva non solo di una
giustificazione logica, ma anche di un fondamento normativo, non potendo questo certo rinvenirsi
nell’art. 563 c.c. – che consente al soggetto leso, a seguito dell’infruttuosa escussione del donatario,
di ottenere dai terzi aventi causa la restituzione del bene oggetto della donazione ridotta – neppure
laddove, al terzo comma, esso prevede la possibilità per i terzi nei confronti dei quali sia stata
esperita l’azione restitutoria di corrispondere al legittimario l’equivalente in denaro del bene
donato. Tale ultima disposizione, infatti, non sancisce l’opponibilità ai terzi acquirenti di un credito
vantato dal legittimario nei confronti del donatario, ma riconosce, piuttosto, agli stessi la facoltà di
liberarsi dall’obbligo di restituire il bene in natura versando il suo corrispondente in denaro. È
evidente, dunque, che nell’ipotesi tipica considerata dalla norma de qua la pretesa del legittimario,
in quanto posta a fondamento di un’azione di natura reale, è volta al conseguimento del bene
acquisito dal donatario, e solo in un secondo momento si trasforma in un diritto ad ottenerne il
controvalore (28); diversamente, invece, nel caso, oggetto della presente trattazione, in cui la
riduzione operi nei confronti di una donazione indiretta, il diritto spettante al legittimario si
configura sin dall’inizio, secondo quanto affermato dai giudici di legittimità, come diritto al valore
del bene donato.
In definitiva, dall’analisi della ricostruzione elaborata dalla Suprema Corte e dalla valutazione degli
effetti che da essa discendono emerge l’attenzione dei giudici di legittimità per le ricadute di
carattere economico conseguenti all’attuazione di una liberalità indiretta e all’esercizio delle azioni
ad essa collegate. In particolare, intento della Corte, pienamente condivisibile a parere di chi scrive,
è quello di bilanciare l’esigenza di tutela del legittimario con quella, più generale, di garantire la
certezza dei traffici giuridici, attraverso una ricostruzione dell’azione di riduzione che, pur parendo
minare l’unitarietà di tale rimedio, ne adatta le modalità operative e gli effetti ai connotati peculiari
dell’atto di liberalità posto in essere.
A ben vedere, infatti, il tradursi del diritto del legittimario in un diritto di credito e la conseguente
esclusione del rischio in capo al terzo avente causa dal donatario indiretto attuano il
contemperamento del soddisfacimento delle ragioni del legittimario leso con l’interesse generale ad
una più sicura circolazione dei beni oggetto di liberalità indiretta. Ciò trova senz’altro conferma
nella constatazione che, sul distinto versante delle donazioni dirette, proprio l’efficacia reale
dell’azione di riduzione e la conseguente opponibilità degli effetti dell’azione stessa nei confronti
dei terzi acquirenti costituiscono un forte freno al trasferimento dei beni donati.
Del resto, anche con riguardo alle donazioni contrattuali è manifesta l’esigenza di una ridefinizione
degli effetti dell’azione di riduzione e del diritto del legittimario leso, la cui attuazione, tuttavia,
risulta difficilmente praticabile considerati i confini angusti dell’apparato normativo vigente in
materia, la cui unica apertura verso una legittima “in valore” può rinvenirsi nell’art. 560, secondo
comma, c.c., secondo cui, nell’ipotesi di riduzione delle donazioni di immobili, se il donatario ha
nell’immobile un’eccedenza non superiore al quarto della porzione disponibile, costui può ritenere
tutto l’immobile, compensando in denaro i legittimari. Va in tal senso anche la modifica apportata
all’art. 561, primo comma, c.c. dalla l. n. 80/2005 (in virtù della quale, con riguardo alla
restituzione degli immobili, si stabilisce che “i pesi e le ipoteche restano efficaci se la riduzione è
domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione, salvo in questo caso l’obbligo del
donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor valore dei beni,
purché la domanda sia stata proposta entro dieci anni dall’apertura della successione”), nonché la
disposizione di cui al terzo comma dell’art. 563 c.c., la quale, tuttavia, come si è già rilevato in
precedenza, si limita a riconoscere ai terzi aventi causa dal donatario la facoltà di “liberarsi
dall’obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l’equivalente in denaro”.
Al fine di garantire maggiore stabilità alla donazione ed agevolare la successiva circolazione del
bene che ne sia oggetto, vari sono i tentativi della prassi di porre un argine all’operatività
dell’azione di riduzione; buona parte dei quali però destinata a scontrarsi con i divieti sanciti dal
legislatore del ’42 in materia successoria, tra i quali il divieto dei patti successori (art. 458 c.c.) e
quello di apporre pesi e condizioni sulla legittima (art. 549 c.c.) (29).
Sempre a sostegno di una più sicura circolazione dei beni di provenienza donativa si pone, poi, il
contributo di quella parte della dottrina (30) che dalla rinunzia al diritto di opporsi alla donazione,
espressamente prevista dall’art. 563, quarto comma, c.c., così come modificato dalla già richiamata
l. n. 80/2005, fa discendere una rinunzia implicita all’azione di restituzione dei beni donati, con
l’effetto di stabilizzare la donazione prima dello scadere del termine ventennale previsto dal primo
comma della norma de qua. A tale ricostruzione si contrappone, tuttavia, l’interpretazione più
restrittiva fornita da quanti escludono che la rinunzia di cui si sta trattando possa precludere
l’azione di restituzione contro i terzi e con essa, dunque, ogni pretesa reale sui beni oggetto di
disposizioni a titolo gratuito prima dei venti anni dalla trascrizione della donazione, essendo solo
alla scadenza di tale termine che la legge collega il conseguimento della stabilità dell’acquisto
compiuto dal terzo avente causa dal donatario (31).
Alla luce delle considerazioni sinora svolte, pare dunque a chi scrive che, anche con riferimento
alla riduzione delle donazioni dirette, la soluzione più auspicabile nel segno di un equo
contemperamento della tutela del legittimario con la certezza dei traffici giuridici sia da
individuarsi, in una prospettiva de iure condendo, nella soppressione dell’efficacia reale dell’azione
di riduzione e nel riconoscimento in capo al legittimario di un diritto di natura creditizia al
conseguimento del valore del bene donato, allo scopo di dar vita ad un sistema normativo che, pur
salvaguardando gli interessi dei più stretti familiari del de cuius, tenda a riconoscere un rilievo
sempre maggiore all’interesse generale alla circolazione della ricchezza.
----------------------(1)
Si fa riferimento alla disposizione contenuta nell’art. 809 c.c., secondo cui “le liberalità, anche se
risultano da atti diversi da quelli previsti dall’art. 769, sono soggette alle stesse norme che regolano
la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a
quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari”.
(2)
Cass., 12 maggio 2010, n. 11496, in Riv. not., 2011, p. 191, con nota di Scuderi; in Nuova giur.
civ. comm., 2010, p. 1240, con nota di Todeschini Premuda; in Vita not., 2010, p. 1295, con nota di
Pomponio; in Fam. e dir., 2011, p. 348, con nota di Mari-Ridella.
(3)
Torrente, Appunti sulle donazioni indirette, in Scritti giuridici in memoria di Calamandrei,
Padova, 1958, p. 331 ss.; Cataudella, La donazione, in Tratt. dir. priv., diretto da Bessone, vol. V,
Successioni e donazioni, Torino, 2005, p. 58; Palazzo, Le donazioni indirette, in Tratt. dir.
successioni e donazioni, diretto da Bonilini, vol. VI, La donazione, Milano, 2009, p. 77 ss.
Tale formula, non espressamente utilizzata dal legislatore del 1942, è stata da taluni ritenuta
impropria, considerando, da un lato, l’eterogeneità dei suddetti atti, che ne impedirebbe la
riconducibilità ad un unico concetto e la regolamentazione ad opera di una disciplina normativa
uniforme, e, dall’altro, il richiamo alla figura, tuttora controversa, del negozio indiretto. V., a tal
proposito, Biondi, Le donazioni, in Tratt. dir. civ. it., diretto da Vassalli, Torino, 1961, p. 911 ss. Lo
stesso a., alla voce Donazione (diritto civile), in Noviss. dig. it., p. 250, considera la qualifica di
donazioni o liberalità atipiche più appropriata a definire tale categoria di atti, intesi come “atti
tipicamente riconosciuti dalla legge, aventi ciascuno propria disciplina e propri effetti giuridici, ma
idonei a determinare un arricchimento gratuito per spirito di liberalità. [...] Intanto l’atto è
considerato come donazione e soggetto al relativo regime, sia pure in parte, in quanto è compiuto
per spirito di liberalità ed è idoneo a determinare un arricchimento. Mentre lo spirito di liberalità è
elemento superfluo nel negozio tipico di liberalità perché insito nella struttura tipica del negozio e
si identifica con la volontà di donare, l’elemento che permette di qualificare l’atto come donazione
atipica è precisamente lo spirito di liberalità, posto che questo non fa parte della struttura tipica
dell’atto né si identifica con la volontà di compiere l’atto”.
(4)
Cfr. infra note 6 e 7.
(5)
Biondi, Le donazioni, cit., p. 985.
(6)
Cfr. Cass., 12 ottobre 1955, n. 3046, in Mass. Giur. it., 1955, p. 737; Cass., 7 dicembre 1962, n.
3299, in Giust. civ., 1963, p. 277; Cass., 20 luglio 1963, n. 1987, in Foro it., 1964, c. 127; Cass., 28
giugno 1969, n. 2342, in Giust. civ., 1969, p. 2020; Cass. 11 maggio 1973, n. 1255, in Mass. Giur.
it, 1973, p. 446; Cass., 19 marzo 1980, n. 1851, in Riv. not., 1980, p. 932; Cass., 15 dicembre 1984,
n. 6581, in Riv. not., 1985, p. 724.
In dottrina, v. Carnelutti, Donazione di immobile o donazione di denaro?, in Foro it., 1956, c. 185;
Carusi, Donazione di denaro a titolo di liberalità per acquisto di un immobile, in Riv. not., 1948, p.
346; Distaso, Donazione indiretta, negozio indiretto e acquisto di immobile fatto dal figlio con
denaro fornito dal padre, in Giur. compl. Cass. civ., 1949, p. 205; Torrente, In tema di acquisto a
nome altrui con denaro proprio, in Foro it., 1946, c. 23.
(7)
Cfr. Cass., Sez. Un., 5 agosto 1992, n. 9282, in Nuova giur. civ. comm., 1993, p. 373, con nota di
Regine; in Foro it., 1993, c. 1544, con nota di De Lorenzo; in Resp. civ. prev., 1993, p. 283, con
nota di Basini; in Rass, dir. civ., 1994, p. 613, con nota di Cesaro; Cass., 8 febbraio 1994, n. 1257,
in Foro it., 1995, c. 614, con nota di De Lorenzo; Cass., 29 maggio 1998, n. 5310, in Mass. Giust.
civ., 1998, p. 1164; Cass., 22 settembre 2000, n. 12563, in Mass. Giust. civ., 2000, p. 1982; Cass.,
14 dicembre 2000, n. 15778, in Fam. e dir., 2001, p. 136, con nota di Cianci; in Nuova giur. civ.
comm., 2001, p. 270, con nota di Finelli; in Dir. fam., 2001, p. 944, con nota di Curti; ivi, 2002, p.
33, con nota di Calabrese; in Vita not., 2001, p. 1235, con nota di Busani; in Riv. not., 2002, p.
1469, con nota di Scotti; in Contratti, 2001, p. 113, con nota di Carnevali; in Corr. giur., 2001, p.
645, con nota di Rimini.
(8)
Mengoni, Successione necessaria. Successioni per causa di morte. Parte speciale, in Tratt. dir.
civ. comm., diretto da Cicu e Messineo, Milano, 2000, p. 256.
(9)
Cfr. supra nota 7.
(10)
Carnevali, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di
legittima, in Studi in onore di L. Mengoni, I, Milano, 1995, p. 131 ss.
(11)
Carnevali, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di
legittima, cit., p. 137 ss.
(12)
Carnevali, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di
legittima, cit., p. 137. Con riferimento al primo gruppo di ipotesi indicato, ossia quelle in cui il
destinatario della liberalità acquista per effetto di un negozio concluso con un soggetto diverso
dall’autore della stessa, l’a. offre due esemplificazioni. La prima è quella dei contratti a favore di
terzo, in cui, secondo l’a., il terzo avente causa dal promittente non ha alcun rapporto giuridico con
lo stipulante (ad es. nel caso dell’assicurazione sulla vita a favore di terzi non intercorre alcun
rapporto tra colui che stipula la polizza e il terzo beneficiario, ricevendo quest’ultimo l’indennità
direttamente dall’assicuratore). La seconda, invece, è quella, qui presa in esame, dell’intestazione di
beni in nome altrui, in cui il terzo acquista direttamente dal proprietario e non ha nessun rapporto
giuridico con il beneficiante che paga il prezzo del bene acquistato.
(13)
Carnevali, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di
legittima, cit., p. 139 ss.
(14)
Carnevali, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di
legittima, cit., p. 142.
(15)
Mengoni, Successione necessaria, cit., p. 251 ss.
(16)
Mengoni, Successione necessaria, cit., p. 256; conformemente Delle Monache, Successione
necessaria e sistema di tutele del legittimario, Milano, 2008, p. 112.
(17)
Mengoni, Successione necessaria, cit., p. 257.
(18)
Mengoni, Successione necessaria, cit., p. 256.
(19)
Mengoni, Successione necessaria, cit., p. 25. A nulla valgono, inoltre, per l’a. i tentativi di
individuare il fondamento della pretesa del bene in natura da parte del legittimario leso nel
principio della legittima in natura o nella previsione normativa di cui all’art. 2041, comma 2°, c.c.
A questo proposito l’a. afferma espressamente che tale pretesa “non trova appoggio nel principio
della legittima in natura, trattandosi di beni di cui il de cuius non ha mai avuto la proprietà,
nemmeno potenzialmente in base a un contratto traslativo stipulato a favore di un terzo (uno dei
meriti di Carnevali è proprio quello di aver messo in evidenza che il principio della legittima in
natura non è coestensivo con l’azione di riduzione); né potrebbe fondarsi sull’art. 2041, comma 2°,
la posizione del beneficiario di una liberalità lesiva della legittima essendo lontana da quella di chi
si è arricchito ingiustamente con danno altrui, senza dire che questa norma presuppone che la cosa
oggetto dell’arricchimento senza giusta causa appartenesse al danneggiato”.
(20)
Amadio, Azione di riduzione e liberalità non donative (sulla legittima “per equivalente”), in
Riv. dir. civ., 2009, p. 683 ss.
(21)
Mengoni, Successione necessaria, cit., p. 257.
(22)
Amadio, Azione di riduzione e liberalità non donative (sulla legittima “per equivalente”), cit., p.
698.
(23)
Mengoni, Successione necessaria, cit., p. 257.
(24)
Amadio, Azione di riduzione e liberalità non donative (sulla legittima “per equivalente”), cit., p.
701 ss.
(25)
Cass., 12 maggio 2010, n. 11496, cit.
(26)
Amadio, Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donative, in Riv. not., 2009, 4, p. 834; Id.,
Azione di riduzione e liberalità non donative (sulla legittima “per equivalente”), cit., p. 709 ss.
(27)
Carnevali, Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di
legittima, cit., p. 145.
(28)
Amadio, Gli acquisti dal beneficiario di liberalità non donative, cit., pp. 834-835.
(29)
Cfr. Caccavale, Riducibilità del titolo di provenienza e distribuzione del rischio contrattuale
nella compravendita immobiliare, in Giust. civ., 2001, II, p. 457 ss.
(30)
Tagliaferri, La riforma dell’azione di restituzione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a
riduzione, in Not., 2006, p. 167 ss.
(31)
Caprioli, Le modificazioni apportate agli artt. 561 e 563 c.c. Conseguenze sulla circolazione dei
beni immobili donati, in Riv. not., 2005, p. 1019 ss.; Mariconda, L’inutile riforma degli artt. 561 e
563 c.c., in Corr. giur., 2005, p. 1174 ss.
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DONAZIONE INDIRETTA: IL CASO DELLA COINTESTAZIONE DI CONTO
CORRENTE BANCARIO
Cordiano Alessandra
Trib. Mondovì, 15 febbraio 2010
FONTE
Famiglia e Diritto, 2010, 7, 709
Sommario: Il caso - Cenni sulla fattispecie di cui all'art. 809 c.c. - La cointestazione di conto
corrente e il prelievo di somme: l'accertamento dell'intento liberale - I motivi della decisione Rilievi
Il caso
Con atto di citazione, X e Y, in qualità di legittimi coeredi del defunto W, convenivano in giudizio
Z, sul fondamento che questa avesse prelevato una determinata somma da un conto corrente
bancario, di cui era cointestataria col defunto W. Osservavano gli attori, che detta cointestazione a
favore di Z, moglie di un altro nipote del de cuius, era stata attuata dall'anziano zio defunto al solo
scopo di aiutarlo nella gestione del conto corrente e nelle operazioni bancarie. Le somme depositate
sul conto corrente, d'altro canto, provenivano unicamente dai risparmi dello stesso defunto. Per
queste ragioni, essi chiedevano la condanna della convenuta alla restituzione dell'intera somma
prelevata dal compendio ereditario o, in subordine, della metà della stessa, oltre al pagamento di
interessi e spese.
La convenuta eccepiva, altresì, di poter a buon diritto trattenere la somma prelevata, perché
validamente donatale dal defunto.
La tesi di quest'ultima, tuttavia, non viene accolta dal giudice di merito, dal momento che la
convenuta non avrebbe esposto con precisione le ragioni a fondamento della propria pretesa, non
esplicitando chiaramente quando si sarebbe sostanziata la pretesa donazione. Da una parte, infatti,
ella sostiene che ciò sarebbe avvenuto nella forma di una donazione indiretta, attraverso la
cointestazione del conto corrente; dall'altra, che la donazione si sarebbe compiuta quando il defunto
la avrebbe espressamente autorizzata a prelevare la somma dal conto corrente, dichiarando la
volontà di non esigerne la restituzione.
Si obietta, inoltre, che, anche qualora venissero correttamente allegati gli elementi integranti il
contratto in parola e, segnatamente, l'intento liberale, la cointestazione del conto corrente
produrrebbe l'effetto donativo sulla somma già depositata e, in particolare, sulla sola metà della
stessa somma. Alla configurazione di una donazione indiretta riferita anche alle somme che
sarebbero state in futuro accreditate sul conto, osterebbe la specifica previsione dell'art. 771 c.c.,
tacendo poi della presunzione di cui al secondo comma dell'art. 1298 c.c., che presuppone la
contitolarità in parti eguali e richiede un'esplicita evidenza in senso opposto.
In altro senso, la sola cointestazione di un conto corrente non varrebbe ad integrare una donazione
indiretta remuneratoria, giacché l'arricchimento disinteressato, di cui all'art. 769 c.c., potrebbe
validamente configurarsi laddove, ad esempio, il cointestatario-beneficante non richiedesse
l'adempimento dell'obbligo di rendicontazione delle operazioni e, contestualmente, rinunciasse ad
esigere la restituzione delle somme prelevate.
In entrambe le ipotesi, il giudice lamenta la mancata allegazione probatoria: il fondamento della
donazione remuneratoria, diretta o indiretta che sia, non sarebbe sufficientemente integrato dalla
sola dimostrazione delle cure continuativamente e amorevolmente prestate dalla convenuta.
Anche rispetto alla seconda fattispecie prospettata, secondo cui la donazione si sarebbe perfezionata
con l'espressa autorizzazione al prelievo della specifica somma e la contestuale rinuncia alle pretese
di restituzione, il giudice di merito osserva l'ambiguità degli elementi probatori addotti dalla
convenuta, che talvolta riferisce di "un suggerimento sul presupposto di una già validamente e
precedentemente intervenuta donazione indiretta"; in altra occasione, invece, mostra di aver
riguardo ad una donazione diretta del defunto di tutto quanto depositato, come sembra risultare da
prova testimoniale. In questa seconda ipotesi, tuttavia, si dovrebbe rilevare la nullità del contratto
per la mancanza della forma richiesta ad substantiam. Le prove per testimoni, infine, risultano
troppo generiche o inattendibili per l'evidente interesse all'esito della causa.
Il Tribunale, pertanto, respinge la tesi della convenuta e accoglie la domanda attorea di condanna
alla restituzione al compendio ereditario dell'intera somma depositata, compresa degli interessi
legali, nonché al rimborso delle spese di lite.
Cenni sulla fattispecie di cui all'art. 809 c.c.
La fattispecie di cui all'art. 809 c.c. è oggetto di ampio dibattito (1), originato anche dal fatto che
essa solo apparentemente esprime una norma residuale; in realtà consente un catalogo pressoché
illimitato di ipotesi, che rispondano alla funzione donativa tipica (2). Detta funzione, per l'appunto, si
reputa integrata, prescindendo dallo strumento negoziale utilizzato, laddove all'arricchimento
economicamente apprezzabile di una sola parte (3), unito all'intento liberale, si contrapponga
l'impoverimento disinteressato del beneficante.
Discostandosi dalla donazione mista, o negotium mixtum cum donatione (4), dal negozio simulato (5)
e, naturalmente, dalla donazione "pura", la fattispecie in parola ha subìto ricostruzioni teoriche
diverse e composite (6), le quali, tutte, ne hanno evidenziato la complessità e l'ampiezza concettuale,
rispetto alla fattispecie tradizionale di cui all'art. 789 c.c. (7) Detta complessità è ascrivibile, in
primo luogo, alla scarna formulazione della norma di riferimento, la quale sembra aver riguardo,
piuttosto che ad una ricostruzione teorica, alla delimitazione della disciplina applicabile (8). Questo
elemento e l'impossibilità di fornire una definizione unitaria del contratto in esame rendono
particolarmente difficoltoso un apporto definitorio, che valichi il dato letterale (9). La molteplice
casistica, riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 809 c.c. (10), si accosta alla attitudine di questa
ad assorbire al suo interno atti e negozi affatto eterogenei fra loro, talvolta persino caratterizzati da
una struttura corrispettiva, accomunati dall'intento liberale, indirettamente perseguito (11).
Ciò induce a riflettere su due profili, essenzialmente: quello della ricerca della funzione donativa e
quello, correlato, relativo alla tutela e alle cautele tradizionalmente rivolte al donante, che nella
fattispecie di cui all'art. 789 c.c. sono realizzate da una serie di strumenti, primo fra tutti, quello
della forma solenne (12).
Il concetto di intento liberale, o animus donandi, rappresenta un tema delicato anche nel contratto
tipico: di là dall'oggettivo arricchimento di una delle parti, unito naturalmente al decremento
economico dell'altra, che non è peculiare del solo contratto in parola (13), l'intento liberale è
l'elemento che vale a connotare specificamente la fattispecie, a ben ragione allorquando essa si
esprima con le forme della donazione indiretta (14). La definizione dell'intento liberale si riferisce
tradizionalmente alla volontà di avvantaggiare il beneficiario, nei termini della spontaneità e della
non costrizione, anche morale (15), del donante (16).
Nelle donazioni pure l'intento liberale, sia esso qualificato come elemento specifico del contratto (17)
o riconducibile alla funzione che il contratto intende perseguire, quindi alla sua causa (18), o, ancora,
quale elemento soggettivo (19), si reputa debba essere necessariamente condiviso dalle parti. Non
pare improprio affermare, che ciò debba essere a fortiori nell'ipotesi di donazione indiretta, per la
quale non soccorrono le cautele formali previste nella donazione tipica (20). L'estraneità strutturale
dell'accordo, che sottintende l'intento liberale (21) - e che distinguerebbe l'ipotesi della donazione
indiretta dal negozio misto a donazione (22) e dalla donazione tipica (23) -, non dovrebbe, tuttavia, far
concludere che lo spirito di liberalità sia degradato a semplice motivo, a mero scopo personale (24).
Non almeno, senza qualche opportuna riflessione (25).
Può esser vero che, nella fattispecie in esame, l'accordo che contiene l'animus donativo, non sia
formalmente esplicitato e risulti, pertanto, tacito; ma difficilmente esso potrà risolversi in un
elemento del tutto interno al soggetto: l'intento donativo dovrà essere il frutto di una volizione del
donante, condivisa e compresa dal beneficiario, rispetto ad un risultato necessariamente perseguito,
quello di arricchire l'altra parte con il connesso impoverimento disinteressato (26). Il negozio mezzo,
in tal senso, deve costituire lo strumento per realizzare essenzialmente quel risultato donativo, a
prescindere, quindi, delle soggettive e più diverse motivazioni che hanno indotto alla disposizione
liberale (27).
In questa prospettiva, lo spirito di liberalità, elemento o motivo che sia, incide sulla funzione del
negozio e conforma a tal scopo il concreto regolamento di interessi, accedendo al titolo
giustificativo nella sua definizione di causa concreta (28). Così intesa, la causa acquisisce gli
elementi della funzione economica individuale e di sintesi degli effetti realmente perseguiti (29), che
anche nei contratti tipici consente una puntuale ricostruzione dello "scopo" di un contratto, quale
concretamente sotteso (30).
Se questo è vero nei contratti nominati e, segnatamente, nel contratto tipico di donazione, ancor di
più nelle fattispecie atipiche di cui all'art. 809 c.c., nelle quali, giova ribadirlo, non vigono le
cautele anche formali, previste presuntivamente anche a tutela del donante. Una "oggettiva
espressione" di detto scopo nel concreto regolamento di interessi permette di ricostruire, se la
volizione comune e condivisa vertesse effettivamente sullo scopo liberale, quale risultato necessario
del regolamento stesso, e verificare così la presenza di una causa donativa in negozi e atti, neutri o a
natura tipicamente corrispettiva.
La cointestazione di conto corrente e il prelievo di somme: l'accertamento dell'intento liberale
Il caso in esame costituisce ipotesi affatto peculiare nel catalogo ampio delle donazioni indirette,
che anche in altra sede evidenzia la propria peculiarità (31).
Detta peculiarità è dovuta, in prima battuta, al fatto che la cointestazione di un conto corrente, che
contenga somme già originariamente depositate e nella titolarità di uno dei cointestatari, non
dovrebbe presumere una funzione donativa (32). Pur denotando un'ampia fiducia intercorrente fra i
soggetti, infatti, l'ipotesi in esame potrebbe agevolmente sottintendere un diversa causa onerosa e
costituire, ad esempio, un mandato a svolgere atti giuridici - la gestione del conto corrente e lo
svolgimento delle operazioni bancarie - per conto e nel solo interesse dell'originario cointestatario,
su beni a questo appartenenti, con gli annessi e correlati obblighi di rendicontazione e di
restituzione delle somme prelevate.
Viceversa, qualora la cointestazione fosse da intendersi sostanzialmente "solidale" (33), la
comproprietà dei beni in parti uguali, salve le risultanze contrarie alla presunzione di cui al secondo
comma dell'art. 1298 c.c. che evidenzino una volontà in tal senso (34), implicherebbe la
contribuzione presuntivamente a pari quote (35) e la cogestione a firme disgiunte di beni in
comproprietà, permanendo in ogni caso gli obblighi di rendicontazione reciproci.
Pertanto, perché possa reputarsi che detta cointestazione integri una fattispecie donativa, attraverso
la cessione della metà della somma depositata (o dell'intera somma) e la cogestione disgiunta del
conto corrente, dovrebbe emergere, accanto alla cointestazione, una oggettiva e contestuale rinuncia
ai diritti (36), sorretta da uno scopo liberale.
La questione si mostra particolarmente complessa, insistendo su una fattispecie di donazione
indiretta, quella attuata mediante una rinuncia, che risulta non agevole dal punto di vista probatorio.
La dismissione di una situazione soggettiva viene qualificata come rinuncia con riferimento ai diritti
reali (37) e alla posizione ereditaria (38) ed è tradizionalmente ricondotta alla fattispecie positivamente
prevista dall'art. 1236 c.c. con riguardo alle situazioni soggettive di credito (39). Tuttavia, rispetto al
profilo che qui interessa, la stessa remissione, così come la rinuncia ad altre situazioni patrimoniali,
non risulta necessariamente sostenuta da un intento liberale, potendo esservi sottesa un'altra causa,
onerosa come pure transattiva (40): allo scopo, pertanto, è opportuno distinguere la rinuncia ad un
diritto, sia pure intransitivo, correlato al mancato interesse al conseguimento dell'interesse sotteso,
dalla dismissione, cui sia sotteso l'intento liberale (41). A titolo esemplificativo, il mancato esercizio
delle pretese di rendicontazione o di restituzione potrebbe essere dovuto ad un atto fraudolento o,
per altro verso, ad una consapevolezza che presuppone una semplice tolleranza (42), non sorretta da
uno scopo di liberalità. Se l'atto tollerante configuri un comportamento concludente, finalizzato alla
dismissione di una situazione soggettiva, ciò avrebbe l'effetto di generare nel terzo un affidamento
in tal senso (43), senza necessariamente implicare la forza espansiva, propria dell'atto di liberalità.
La difficoltà insita nella fattispecie concreta si dimostra quella di evincere dalla cointestazione di un
conto corrente e dalla supposta rinuncia ad esigere somme di spettanza e alla rendicontazione comportamenti apparentemente neutri e non essenzialmente donativi - un intento liberale, che
persegua un arricchimento disinteressato. Un comportamento dismissivo, in tal senso, non
comprende in sé la vis espansiva di arricchire l'altra parte (44), salva una prova in tal senso, che
dimostri, anche con presunzioni gravi, precise e concordanti (45) e attraverso la presenza di rapporti
pregressi e di situazioni soggettive preesistenti, l'assenza di altri intenti se non quello della
liberalità.
I motivi della decisione
La pronuncia in esame è di particolare rilievo, accostandosi ad un orientamento, per la verità per
nulla unanime, che nega l'attribuzione all'atto della cointestazione una presunta attitudine liberale
(46)
.
La rilevanza delle circostanze preesistenti o coesistenti (47), pur adeguatamente allegate, non sarebbe
di per sé idonea ad imprimere all'atto dismissivo una consistente finalizzazione donativa. Invero, la
fiducia, che certamente sorregge l'atto della cointestazione, non è in grado di conferire alla
fattispecie una funzione in re ipsa donativa; tuttavia, accorda alla stessa una astratta attitudine
liberale, che necessita, pertanto, delle opportune allegazioni probatorie.
Così, la prova delle cure amorevolmente e continuativamente prestate dal presunto donatario
fornisce unicamente circostanze di fatto, che non risultano da sole sufficienti a dimostrare una
volontà donativa: nel caso di donazione indiretta remuneratoria, poiché il fondamento liberale non
risulta in maniera inequivocabile dall'atto, è onere del donatario dare prova della riconoscenza e
della gratitudine preesistenti e, soprattutto, del nesso essenziale con l'impulso che ha indotto a
disporre (48).
Secondo opposto indirizzo, diversamente, la cointestazione di un conto corrente a firme disgiunte
costituirebbe uno "strumento pratico" per realizzare lo scopo di cui all'art. 769 c.c., prescindendo
dalle circostanze di fatto e dai rapporti previgenti fra i soggetti, ma sul fondamento della fiducia che
sorregge l'attività e che, particolarmente nei rapporti fra coniugi, varrebbe a sostanziare la volontà
di attuare una disposizione patrimoniale, che metta in comune le somme depositate, a prescindere
dalla originaria titolarità delle stesse, dai successivi depositi e dalle modalità di gestione (49).
Il Tribunale, aderendo al primo degli orientamenti esposti, reputa che l'onere probatorio non sia
stato correttamente assolto, giacché la convenuta avrebbe allegato la sola circostanza di fatto che il
defunto non avrebbe "sollevato obiezione alcuna" in merito all'avvenuto prelievo. Né, invero, dalle
risultanze processuali è possibile desumere in senso contrario. Anche nel caso in cui ciò fosse
avvenuto, tuttavia, il giudice tiene ad evidenziare il vigore della presunzione di cui al secondo
comma dell'art. 1298 c.c., in assenza di risultanze, anche di fatto, circa una diversa volizione del
cointestatario-beneficante: qualora correttamente dimostrata, la cointestazione avrebbe avuto effetto
sulla metà della somma in deposito e non, invece, sull'intera somma.
Lasciando da parte gli oneri di prova non assolti, il giudice di prime cure, infine, precisa un rilievo
attinente alla forma della rinuncia, sul quale è bene soffermarsi. Qualora, infatti, la donazione
indiretta fosse dimostrata dal fondamento liberale della rinuncia di un cointestatario a esigere
dall'altro la restituzione delle somme di sua spettanza, secondo il Tribunale, resterebbe ancora da
verificare quale forma dovrebbe rivestire detta rinuncia.
Non è qui in discussione che, per la validità delle donazioni indirette, realizzate mediante un
negozio tipico diverso da quello previsto dall'art. 782 c.c., non sia richiesta la forma dell'atto
pubblico, "essendo sufficiente l'osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per
realizzare lo scopo di liberalità, dal momento che l'art. 809 c.c., prevedendo le norme sulle
donazioni applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti
dall'art. 769 c.c., non richiama l'art. 782 c.c., che prescrive l'atto pubblico per la donazione" (50). In
virtù di questo assunto, non si comprende la ragione per cui il giudice di merito lasci supporre la
necessità di una qualche forma particolare, per l'ipotesi in cui la rinuncia in esame venga acclarata
quale donazione indiretta, salve naturalmente le necessarie cautele probatorie che garantiscano il
reale perseguimento dell'intento donativo. Una volta assolto l'onere relativo a quell'accordo, anche
tacitamente configurato, ma condiviso, comune ed essenziale, finalizzato alla realizzazione dello
scopo liberale, non pare necessario il ricorso ad una forma precisa (id est, pubblica), che l'atto di
rinuncia alle pretese di rendicontazione o alla restituzione delle somme eventualmente prelevate,
dovrebbe presuntivamente rivestire (51).
Quanto alla seconda fattispecie prospettata e respinta dal giudice di merito, quella di una donazione
perfezionatasi con l'espressa autorizzazione al prelievo della specifica somma e con la contestuale
rinuncia alle pretese di restituzione, il giudice di merito non accoglie le istanze della convenuta, in
ragione dell'ambiguità degli elementi probatori addotti. La convenuta, infatti, talvolta riferisce di
"un suggerimento sul presupposto di una già validamente e precedentemente intervenuta donazione
indiretta"; in altra occasione, invece, mostra di aver riguardo ad una donazione diretta del defunto di
tutto quanto depositato.
Quanto al primo profilo, vengono evidenziate e riproposte le medesime lacune probatorie circa
l'animus donandi del defunto, giacché l'espressa autorizzazione, così come il suggerimento al
prelievo, non esprimono nulla in merito al titolo posto a fondamento del prelievo stesso, offrendo
unicamente elementi su circostanze di fatto, peraltro reputate non decisive.
Con riferimento al secondo, invece, la prova testimoniale che riferisce di una "ricompensa" e
l'allusione che sembra emergere ad una supposta donazione diretta del defunto "di tutto quello che
aveva", non giovano alle ragioni della convenuta, dal momento che agevolmente il giudice di
merito evidenzia la nullità del contratto per la mancanza della forma richiesta ad substantiam. Con
riguardo a questo aspetto, tuttavia, deve osservarsi come, se pure dal testo della pronuncia non
emerga una ricostruzione precisa del fatto, sia presumibile che la testimonianza fornita non avesse
in animo di affermare l'ipotesi di una donazione pura, ma solo di rinforzare le ragioni della
convenuta circa una disposizione con fondamento liberale.
Rilievi
La fattispecie esaminata consente di operare alcuni rilievi significativi. Nel respingere le istanze
della parte resistente, il giudice di merito rileva, infatti, come, alla configurazione di una donazione
indiretta riferita anche alle somme che sarebbero state in futuro accreditate, sarebbe di ostacolo il
principio generale della determinatezza dell'oggetto dei negozi inter vivos, ma soprattutto la
specifica previsione dell'art. 771 c.c. Quanto, particolarmente, al precetto indicato di cui all'art. 771
c.c., unanimemente reputato applicabile alle fattispecie di donazione indiretta (52), il Tribunale
sostiene che il divieto anzi detto avrebbe in ogni modo escluso che la forza espansiva della
cointestazione si estendesse anche alle somme future.
Deve, tuttavia, essere osservato come, in altra sede, la fattispecie sia stata diversamente valutata,
attribuendo alla cointestazione l'effetto tipico e legale della titolarità della (presunta) metà delle
somme depositate e della cogestione solidale: a prescindere dallo scopo liberale, invero, la
cointestazione di conto corrente a firme e gestione disgiunte, avrebbe come effetto legale
l'attribuzione della qualità di correntista, ossia di concreditore e condebitore solidale del conto. In
questo senso, evidentemente, la proprietà non solo della metà delle somme presenti, ma anche di
quanto successivamente dovesse essere depositato o, eventualmente, di quanto residuasse dei
prelievi effettuati, non sarebbe in discussione.
Questa ricostruzione, di conseguenza, induce gli eredi del cointestatario-beneficante a dimostrare
l'animus del congiunto con riguardo alla ulteriore metà del deposito, allo scopo di invocare i rimedi
della collazione o dell'azione di riduzione sul saldo esistente all'estinzione del rapporto (53) o, in
alternativa, sulle somme astrattamente disponibili sul conto prima della determinazione del saldo
(54)
. Qualora l'animus del cointestatario-donante non venisse dimostrato, gli eventuali obblighi di
restituzione si dovrebbero vantare con riferimento alla sola metà di spettanza degli eredi, magari
fraudolentemente sottratta, e non, invece, sulla metà indiscussa del cointestatario rimasto (55).
Di tutt'altro tenore la ricostruzione dell'odierna fattispecie, nella quale il giudicante, ma anche le
parti, hanno individuato una donazione indiretta nella stessa cointestazione, determinando l'effetto
espansivo della donazione nella cessione della metà della somme depositate e non nella cogestione
"solidale" del conto corrente, correlata alla attribuzione, in capo al beneficiario, della qualità di
concreditore e condebitore solidale del saldo del conto.
Nel caso esaminato, pertanto, l'incapacità di assolvere l'onere probatorio circa l'intento liberale della
cointestazione, neppure attraverso presunzioni "gravi precise e concordanti" (56), ha avuto la
conseguenza di svilire le istanze della parte convenuta con riguardo alla metà di sua spettanza, con
l'inevitabile condanna alla restituzione di tutto quanto prelevato.
Questa opzione, per alcuni versi discutibile, ha tuttavia il merito di privilegiare quell'orientamento
volto ad individuare concretamente lo scopo realmente perseguito dal singolo regolamento di
interessi, non fermandosi alla mera "accettazione" del tipo legale e alla soglia dell'effetto tipico di
un negozio, ma ricercandone la funzione concreta, che consente di individuare anche la
"giustificazione normativa" (57). A ciò consegue, indirettamente, anche una tutela più incisiva del
defunto, presunto donante, in virtù dell'assenza, che qui si ribadisce, delle cautele positivamente
previste per il contratto tipico, svolte dalla forma pubblica e solenne e dalla presenza del notaio ad
attestare l'essenza donativa della disposizione (58).
----------------------(1)
In letteratura, ex multis, A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo,
XXII, Milano, 1956, passim; V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), in Enc. dir., XIII, Milano,
1964, 966 ss., 986 ss.; A. Palazzo, voce Donazione, in Dig. disc. priv., sez. civ., IV, Torino, 1998,
153 ss.; Id., Gratuità strumentale e donazioni indirette, in Le donazioni, VI, in Trattato dir.
successioni e donazioni Bonilini, 2009, 77 ss.; U. Carnevali, Le donazioni, in Trattato Rescigno,
VI, Torino, 1997, 498 ss.; Biscontini, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti,
Camerino, 1984, 66 ss.; recentemente, V. Alcaro, Le donazioni indirette, in Vita not., 2001, 1059 ss.
(2)
Così L. Carraro, Il mandato ad alienare, Padova, 1947, 134 ss.; A. Palazzo, Le donazioni
indirette, in Le donazioni, VI, in Trattato dir. successioni e donazioni, cit., 126 ss.
(3)
Sulla relazione fra arricchimento e spirito di liberalità, V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.),
cit., 988; U. Carnevali, voce Donazione, in Enc. giur., XII, Roma, 1989, 2.
(4)
Nel negozio misto con donazione, riferisce V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 988, il
corrispettivo è stato determinato da uno dei contraenti "in misura tale da costituire volutamente un
generico ma indeterminato vantaggio per l'altra parte". In tema, si veda già T. Ascarelli, Il negozio
indiretto, in Studi in tema di contratti, Milano, 1952, 3 ss.; G. Deiana, La natura giuridica del
negotium mixtum cum donatione, in Riv. dir. comm., 1938, I, 102 ss.; A. Cicu, Donazione
remuneratoria, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, 246 ss.; G. Stolfi, Teoria del negozio giuridico,
Padova, 1961, 57 ss.; A. Pino, Il contratto con prestazioni corrispettive. Bilateralità, onerosità e
corrispettività nella teoria del contratto, Padova, 1963, 90 ss.; B. Biondi, Negotium mixtum cum
donatione, in Giur. it., 1962, I, 1, 1101 ss.; A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ. comm.
Cicu e Messineo, cit., 43; A. Cataudella, La donazione mista, Milano, 1970, 29 ss.; G. Biscontini,
Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti, cit., 82 ss.
(5)
In dottrina, A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo, cit., 18; e G.
Capozzi, Successioni e donazioni, II, Milano, 2009, p. 1673. Su detta distinzione anche Cass., 28
gennaio 1943, in Giur. it., 1943, I, 1, 196.
(6)
Si ripercorrono sinteticamente i momenti salienti della ricostruzione dottrinale della donazione
indiretta: F. Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1964, 178 ss., parla di
negozio di attuazione; alla tesi è contrario V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 988.
Inquadra la fattispecie nel negozio indiretto, A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ. comm.
Cicu e Messineo, cit., 22 ss.; in tema, già T. Ascarelli, Il negozio indiretto, cit., 3 ss.; contrario B.
Biondi, Le donazioni, in Trattato dir. civ. Vassalli, XII, Torino, 1961, 901 ss., che aderisce
all'ipotesi del contratto atipico; critico anche C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano,
2000, 486. Si deve, invece, a S. Pugliatti, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia, in
Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, p. 299 e part. 337 ss., l'accostamento alla fattispecie del negozio
collegato; analogamente, A. Cataudella, La donazione mista, cit., 29 ss.; e G. Capozzi, Successioni
e donazioni, cit., 1670 s.
(7)
La difficoltà ricostruttiva è, tuttavia, evidenziata anche con riferimento al contratto tipico da B.
Biondi, Le donazioni, in Trattato dir. civ. Vassalli, cit., 68 ss. Recentemente, S. Delle Monache,
Liberalità atipiche e liberalità occulte, in Successione necessaria e sistema di tutele del
legittimario, Milano, 2008, 104 ss.; V. Alcaro, Le donazioni indirette, cit., 1059 ss.
(8)
Sul punto, V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 974; G. Capozzi, Successioni e
donazioni, cit., 1669 ss. e part. 1671 ss., per il quale, in particolare, sarebbero applicabili alle
donazioni indirette anche norme non espressamente richiamate; U. Carnevali, Le donazioni, in
Trattato Rescigno, cit., 601 ss. Diversamente, B. Biondi, Le donazioni, in Trattato dir. civ. Vassalli,
cit., 933, per il quale, salve le norme espressamente richiamate, nessuno dei princìpi propri del
contratto di donazione è applicabile alle liberalità atipiche.
(9)
Lo rileva già L. Carraro, Il mandato ad alienare, cit., 136 ss. Sull'impossibilità di riduzione ad
una categoria concettuale unitaria, B. Biondi, Le donazioni, in Trattato dir. civ. Vassalli, cit., 914
ss. Sostiene, invece, la piena legittimità della categoria giuridica della donazione indiretta, che
nasce, non in contrapposizione, bensì in precedenza e accanto alla donazione tipica, V.R. Casulli,
voce Donazione (dir. civ.), cit., 989 ss. L'A., in tal senso, ne evidenzia i tratti comuni, primo fra tutti
quello dell'intento liberale e dell'uniformità della disciplina applicabile.
(10)
Nella numerosa casistica si contemplano: le modificazioni soggettive del debito, la rendita
vitalizia, il contratto a favore del terzo, il mandato in rem propriam, il mandato post mortem, il
mantenimento del coniuge, l'intestazione di beni in nome altrui (sulla quale, si veda particolarmente
U. Carnevali, voce Intestazione di beni sotto nome altrui, in Enc. giur., XVI, Roma, 1996), i negozi
di fondazione e di dotazione, il fondo patrimoniale e il trust; l'assicurazione sulla vita, la
cointestazione di conto corrente, di libretto bancario o di titoli. Sulla casistica in parola, A. Palazzo,
Le donazioni indirette, in Le donazioni, VI, in Trattato dir. successioni e donazioni Bonilini, cit.,
126 ss.; G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., 1680 ss.
(11)
V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 970, osserva che l'identità della causa importa che
le donazioni atipiche o indirette costituiscano, con la donazione pura, un'unica categoria, a
prescindere delle diverse strutture con cui si presentano.
(12)
Sul legame fra causa liberale e forma solenne, nella vastissima letteratura, M. Giorgianni, voce
Forma degli atti a) dir. priv., in Enc. dir., XVII, Milano, 1968, part. 988 ss.; P. Perlingieri, Forma
dell'atto e formalismo degli interpreti, Napoli-Roma, 1987, part. 132 ss.; R. Sacco, in R. Sacco e G.
De Nova, Il contratto, I, in Trattato dir. civ. Sacco, Torino, 2004, 708, in particolare sulla forma in
luogo dell'elemento causale; V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., p. 974; A. Venditti, La
forma del contratto, in Le donazioni, VI, in Trattato dir. successioni e donazioni Bonilini, cit., 695
ss. e part. 703 ss.; A. Palazzo, Forma e causa dell'attribuzione nelle donazioni, in Riv. dir. civ.,
1987, 735 ss.
(13)
(14)
Lo rileva A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo, cit., 8 ss.
Così V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 972, per il quale gli atti gratuiti non liberali
non incidono sul patrimonio di chi li pone in essere, diminuendone la consistenza.
(15)
Così A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo, cit., 173; Cass., 15
dicembre 1998, n. 12325, in Foro it., 2000, I, c. 2936 nota di G. La Rocca; in senso difforme, Cass.,
4 febbraio 1941, in Foro it., 1941, I, c. 561, sulla prestazione di alimenti; in una posizione
intermedia, per la quale l'adempimento di una obbligazione naturale, se non costituisce donazione,
può rilevare come liberalità, B. Biondi, Le donazioni, in Trattato dir. civ. Vassalli, cit., 83;
criticamente V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 969, in nota n. 10.
(16)
Ancora V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., p. 968 ss. Più precisamente, l'A. sostiene
che l'animus donandi costituisce l'impulso dell'atto di liberalità, ossia un elemento costitutivo, che,
assieme all'attribuzione gratuita, concorre a formare la causa donativa. Questo impulso liberale, con
l'attribuzione gratuita, caratterizzano spiccatamente il contratto di donazione, differenziandolo così
da altri atti a titolo gratuito, che non incidono sul patrimonio del disponente. Sottolinea A.
Checchini, L'interesse a donare, in Riv. dir. civ., 1976, I, 254, la spiccata peculiarità non
patrimoniale dell'interesse del disponente.
(17)
Così P. Gallo, La causa della donazione, in Trattato dir. successioni e donazioni Bonilini, cit.,
349 ss., il quale propende per l'identificazione dello spirito liberale con un elemento specifico del
contratto (382 ss.), giacché la donazione è sorretta da una molteplicità di motivi personali, di
circostanze, di situazioni concrete, le quali debbono giustificare l'attribuzione patrimoniale (380 s.).
Di negozio acausale parla R. Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli,
1950, 245 ss.; contrario, A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo,
cit., 172 ss.
(18)
Critico sulla identificazione dello spirito di liberalità come motivo, in ragione dell'attitudine di
questo ad incidere sulla funzione e sul contenuto del contratto, A. Cataudella, La donazione mista,
cit., 121 ss.: lo spirito di liberalità, conosciuto e condiviso dal donante, serve ad eliminare altri scopi
dall'attribuzione. Per la teoria oggettiva, anche A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ.
comm. Cicu e Messineo, cit., 211 ss.
(19)
Sull'elemento soggettivo-causale, L. Gatt, Ricostruzione dell'asse ereditario e liberalità, in nota
a Trib. Napoli, 9 maggio 2005, in Dir. giur., 2007, p. 133 ss. e part. 154. Sulla relazione fra causa e
motivi nella donazione, si veda ancora Ead., Onerosità e liberalità, in Riv. dir. civ., 2003, I, 55 ss.;
P. Morozzo Della Rocca, Gratuità, liberalità e solidarietà, Milano, 1998, 37 ss.
(20)
Sulla ratio di tutela del donante ascrivibile alla forma solenne, V.R. Casulli, voce Donazione
(dir. civ.), cit., 974; A. Venditti, La forma del contratto, in Le donazioni, VI, in Trattato dir.
successioni e donazioni Bonilini, cit., 704.
(21)
In particolare, per A. Checchini, L'interesse a donare, cit., 292 ss., la funzione dell'atto pubblico
sarebbe proprio quella di garantire l'intento liberale, ossia la volontà negoziale difficilmente
riscontrabile dal contenuto contrattuale.
(22)
Così A. Cataudella, La donazione mista, cit., 17; le distingue anche U. Carnevali, Le donazioni,
in Trattato Rescigno, cit., 597.
(23)
(24)
Così V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 990.
Nuovamente V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 969, riferisce che i motivi che
inducono a donare rimangono interni al soggetto e possono essere dettati dalle ragioni più diverse,
anche, malevoli; l'animus donandi, al contrario, costituisce, insieme con l'attribuzione gratuita,
l'elemento causale.
(25)
Lo rileva anche S. Piccinini, Gli atti di liberalità, in Tratt. breve succ. e don. Rescigno, II,
Milano, 2010, 356 ss.; e V. Alcaro, Le donazioni indirette, cit., 106. In questa direzione, già V.R.
Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 972, per il quale l'animus donandi è, solo apparentemente,
del tutto soggettivo. Sulla rivalutazione dei motivi, già V. Roppo, Causa tipica, motivo rilevante,
contratto illecito, in Foro it., 1971, I, c. 2381; e A.C. Jemolo, Lo "spirito di liberalità" (Riflessioni
di una nozione istituzionale), in Studi giuridici in onore di Filippo Vassalli, II, Torino, 1960, 973
ss., part. 975; C. Donisi, Verso la "depatrimonializzazione" del diritto privato, in Rass. dir. civ.,
1980, 644 ss.
(26)
Così A. Cataudella, La donazione mista, cit., 123 ss. Sostiene la necessità di una
esteriorizzazione dell'intento liberale nei riguardi di chi riceve, che, se pure non formalizzata in un
documento, deve comunque emergere dal negozio, A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ.
comm. Cicu e Messineo, cit., 180 ss. Si veda anche Cass., 14 febbraio 2000, n. 15778, Vita not.,
2001, 1235.
(27)
V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 971, che parla di "motivo ultimo", "scopo ultimo"
del contratto, che afferisce alla funzione economico-sociale del negozio, caratterizzando anche i
contratti nominati, che viene reputata uniforme per tipo legale.
(28)
Così Cass., 7 ottobre 2009, n. 24769, in Giur. it., 2009, 1655 con nota di A. Galati, Brevi
osservazioni in tema di c.d. "causa concreta" del contratto; Cass., 25 maggio 2007, n. 12235, in
Giur. it., 2008, 326; Cass., 24 luglio 2007, n. 16315, in Dir. turismo, 2008, 375, con nota di G.
Benelli; Cass., 8 maggio 206, n. 10490, in Contr. impr., 2007, 416, commentata da R. Rolfi, Il
rilancio della causa del contratto: la causa concreta; in Rass. dir. civ., 2008, 569, con nota di F.
Rossi, La teoria della causa concreta e il suo esplicito riconoscimento da parte della Suprema
Corte. Nella giurisprudenza difforme, si veda l'esempio, isolato, di Cass., 18 febbraio 2000, n.
1898, in Giur. it., 2001, 2481.
(29)
Parlava di "minima unità effettuale", R. Cicala, L'adempimento indiretto del debito altrui,
Napoli, 1968, 93; sulla definizione ritorna P. Perlingieri, Profili istituzionali del diritto civile,
Napoli, 1975, 209 ss. Sulla causa come "sintesi degli effetti essenziali", S. Pugliatti, Precisazioni in
tema di causa del negozio giuridico, in Diritto civile. Metodo, teoria, pratica, Milano, 1951, 119.
Sulla funzione economico-sociale, già R. Nicolò, Aspetti pratici del concetto di causa, in Riv. dir.
comm., 1939, II, 10 ss.
(30)
Si vedano i rilievi critici di G. Biscontini, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei
contratti, cit., 29 ss., sulla distinzione fra onerosità e corrispettività; 130 ss., sulla tendenziale
"irrilevanza" della qualificazione di onerosità e di gratuità, salva l'ipotesi peculiare del comodato; si
veda già A. Cataudella, La donazione mista, cit., 104 ss.; nonché, di recente, L. Gatt, Ricostruzione
dell'asse ereditario e liberalità, cit., 154; e V. Alcaro, Le donazioni indirette, cit., 1064.
(31)
Il riferimento è alla comunione legale fra coniugi: in Cass., 20 gennaio 2006, n. 1197, in Giur.
it., 2007, 601, con nota di F. Pugliese, Comunione legale e depositi in conto corrente, si è ritenuto
che le somme depositate cadessero in comunione de residuo; diversamente, si è espresso per la
presunzione della caduta in comunione attuale, App. Genova 22 aprile 2000, in Dir. fam. pers.,
2002, 338, con nota di F. Piccaluga; mentre Trib. Siracusa, 20 luglio 2000, in Gius, 2001, 2657, ha
sostenuto si tratti di una presunzione assoluta.
(32)
Lo rileva anche V. Alcaro, Le donazioni indirette, cit., 1067.
(33)
L. Gatt, Ricostruzione dell'asse ereditario e liberalità, cit., 162.
(34)
Per tutte, Cass., 1° febbraio 2000, n. 1087, in Rep. Foro it., 2000, voce Presunzione, n. 3: una
presunzione legale assoluta può esser vinta da una serie di presunzioni semplici "gravi, precise e
concordanti".
(35)
Ancora L. Gatt, Ricostruzione dell'asse ereditario e liberalità, cit., 166.
(36)
Riferisce di un profilo interessante, quello dell'animus donativo sopraggiunto, G.F. Nicodemo,
Donazione indiretta e cointestazione del libretto bancario al portatore. La difficile prova
dell'animus donandi, in Riv. not., 2009, 1213, in nota a Cass., 12 novembre 2008, n. 26983. In
commento alla stessa pronuncia, si veda A. Ambanelli, Cointestazione di libretto di deposito a
risparmio, accertamento dell'intento liberale e donazione indiretta, in Fam. pers. succ., 2009, 968
ss.
(37)
È diffusamente respinta la configurazione della rinuncia ai diritti reali quale forma di donazione
indiretta: così E. Tilocca, Recensione a Casulli, Donazioni indirette e rinunzie ad eredita o legati,
in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, 208, part. 211, sulla considerazione che, essendo la rinuncia un
atto unilaterale non recettizio, l'intento liberale rimarrebbe nelle sfera interna del donante, come un
motivo, e il donatario non avrebbe alcun mezzo per evitare il vantaggio conseguente. In senso
contrario, V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 990 ss., nonché, in tema di donazione di
usufrutto, 977.
(38)
Anche con riguardo alla rinuncia alla posizione ereditaria come donazione atipica, è contrario E.
Tilocca, Recensione a Casulli, Donazioni indirette e rinunzie ad eredita o legati, cit., 211.
(39)
Sulla remissione, nella vasta letteratura, P. Perlingieri, Remissione del debito e rinuncia al
credito, Milano, 1968, diffusamente e part. 20 ss. e 52 ss., il quale, in posizione minoritaria nella
dottrina, distingue fra remissione e rinuncia. Sul tema, E. Tilocca, La remissione del debito, Padova,
1955, diffusamente; A. Luminoso, voce Remissione del debito, in Enc. giur., XXVI, Roma, 1991, 2.
(40)
Così A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo, cit., 211 ss.; B.
Biondi, Le donazioni, in Trattato dir. civ. Vassalli, cit., 405 ss.; G. Capozzi, Successioni e
donazioni, cit., 1601.
(41)
In questo senso A.C. Jemolo, Lo "spirito di liberalità" (Riflessioni di una nozione istituzionale),
in Studi giuridici in onore di Filippo Vassalli, cit., 973 ss. Così anche V.R. Casulli, voce Donazione
(dir. civ.), cit., 991; Perlingieri, Remissione del debito e rinuncia al credito, cit., 52 ss.; E. Tilocca,
La remissione del debito, cit., 6 ss.; 40 ss., 51 ss., il quale sottolinea l'eventuale (non essenziale)
funzione donativa della remissione.
(42)
Sul tema, scarsamente studiato, si rinvia a S. Patti, voce Tolleranza (atti di), in Enc. dir., XLIV,
Milano, 1992, 701 ss.; e per le analogie, Id., voce Acquiescenza, in Enc. giur., I, 1988.
(43)
Lo osserva S. Patti, Profili della tolleranza nel diritto privato, Napoli, 1978, part. 51 ss.
(44)
In altra sede, si è espressa in tal senso Cass., 29 maggio 2007, n. 12496, in Fam. pers. succ.,
2008, 701, con nota critica di M. Monteverde, Usucapione: donazione indiretta e rilevanza della
contumacia nel processo civile.
(45)
Sulle difficoltà probatorie e sulla prova per presunzioni, L. Gatt, Ricostruzione dell'asse
ereditario e liberalità, cit., 162 ss., part. alla nota n. 85. In particolare, sull'ammissibilità della prova
testimoniale e sulla prova per presunzioni, già A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ.
comm. Cicu e Messineo, cit., 77 s.
(46)
È contraria L. Gatt, Ricostruzione dell'asse ereditario e liberalità, cit., 159.
(47)
Nuovamente L. Gatt, Ricostruzione dell'asse ereditario e liberalità, cit., 162.
(48)
Così V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 985 s.
(49)
In questa direzione, G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 1680; Cass. 10 aprile 1999, n.
3499, in Giur. it., 1999, p. 2017; e Trib. Catania, 25 marzo 1993, in Foro it., 1995, I, c. 696; in
senso analogo, Trib. Monza, 25 gennaio 2001, in Nuova giur. civ. comm., I, 2002, 46, con nota di
commento di L. Morlotti, Prelevamento da conto corrente per delega paterna: un caso di
donazione indiretta.
(50)
Così quasi testualmente Cass., 29 marzo 2001, n. 4623, in Giust. civ. Mass., 2001, 622; in senso
analogo, Cass., 21 gennaio 2000, n. 642, in Giust. civ. Mass., 2000, 104; e Cass., 10 aprile 1999, n.
3499, cit. Si veda anche Cass., 10 febbraio 1997, n. 1214, in Vita not., 1997, 266, laddove "L'art.
782 c.c., che prescrive la forma dell'atto pubblico per la donazione diretta onde tutelare il donante,
non può essere esteso, a differenza delle norme che tutelano i terzi, alla donazione indiretta perché
l'arricchimento non è l'effetto tipico del negozio che le parti adottano per realizzarlo". In dottrina,
per tutti, V.R. Casulli, voce Donazione (dir. civ.), cit., 974; G. Capozzi, Successioni e donazioni,
cit., 1671 ss., per il quale, in particolare, sarebbero applicabili alle donazioni indirette anche norme
non espressamente richiamate; U. Carnevali, Le donazioni, in Trattato Rescigno, cit., 601 ss.
Diversamente, B. Biondi, Le donazioni, in Trattato dir. civ. Vassalli, cit., 933, per il quale, salve le
norme espressamente richiamate, nessuno dei princìpi propri del contratto di donazione è
applicabile alle liberalità atipiche; in senso analogo a quest'ultimo M. Tamponi, La nullità del
contratto di donazione, in Le donazioni, VI, in Trattato dir. successioni e donazioni Bonilini, cit.,
1092.
(51)
Così M. Tamponi, La nullità del contratto di donazione, in Le donazioni, VI, in Trattato dir.
successioni e donazioni Bonilini, cit., 1092; analogamente, Cass., 10 aprile 1999, n. 3499, cit.;
Cass., 10 febbraio 1997, n. 1214, cit.; Cass., 23 dicembre 1992, n. 13630, in Giust. civ., 1993, I,
2464.
(52)
Espressamente M. Tamponi, La nullità del contratto di donazione, in Le donazioni, VI, in
Trattato dir. successioni e donazioni Bonilini, cit., 1091 s.; G. Capozzi, Successioni e donazioni,
cit., 1546 e 1672.
(53)
Di questa opinione L. Gatt, Ricostruzione dell'asse ereditario e liberalità, cit., 167. In tal senso
anche Cass., 5 dicembre 2008, n. 2883, in Mass. Giust. civ., 2008, 1744; Trib. Roma, 15 giugno
2004, in Rep. Foro it., 2005, voce Contratti bancari, n. 63; Trib. Salerno, 29 gennaio 2001, in Giur.
mer., 2002, 409; Trib. Roma, 9 novembre 1999, in Giur. it., 2000, 787; Cass., 18 agosto 1993, n.
8758, in Mass. giur. it., 1993, 1301; Trib. Milano, 5 dicembre 1985, in Banca, borsa, tit. cred.,
1987, II, 232; Cass. 26 ottobre 1981, n. 5584 in Banca, borsa, tit. cred., 1982, II, 29; App. Palermo,
2 maggio 1956, in Rep. Giust. civ., 1956, voce Contratti bancari, n. 52. In Cass., 29 ottobre 2002,
n. 15231, in Giust. civ., 1991, I, 2970, si legge in particolare: "Il conto corrente bancario assolve, a
differenza di quello ordinario, ad una semplice funzione di servizio di cassa per conto del
correntista con la conseguenza che, nel caso di cointestazione del conto, non rileva chi dei titolari
sia beneficiario dell'accredito o chi abbia utilizzato la somma accreditata. Invero la provenienza ed
il destinatario del bonifico riguardano soltanto i rapporti tra terzi e correntista, ma non assumono
alcuna rilevanza per la banca, sicché, una volta che la relativa somma sia affluita nel conto, essa
rientra nella disponibilità di entrambi i correntisti. I quali, per converso, e stante il disposto dell'art.
1854 c.c., diventano condebitori della somma stessa quando venga a risultare l'erroneità del suo
accreditamento. Né in contrario rileva che taluno dei cointestatari non abbia in concreto compiuto
operazioni sul conto, essendo sufficiente, ai fini della norma considerata, che avesse titolo per
compierle: il che nella specie non è controverso". In tema di liberalità atipiche e rimedi a tutela dei
legittimari, U. Carnevali, Sull'azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota
di legittima, in Studi in onore di L. Mengoni, I, Milano, 1995, 131 ss.; S. Delle Monache, Liberalità
atipiche e liberalità occulte, cit., 103 ss.
(54)
Di questo avviso, Trib. Napoli, 9 maggio 2005, cit., sulla cui posizione è critica L. Gatt,
Ricostruzione dell'asse ereditario e liberalità, cit., 167.
(55)
Sulla ripartizione dell'onore probatorio e sulle ragioni a fondamento, A. Torrente, La donazione,
in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo, cit., 77 s.
(56)
Il rinvio è ancora a A. Torrente, La donazione, in Trattato dir. civ. comm. Cicu e Messineo, cit.,
77; e a Cass., 1° febbraio 2000, n. 1087, cit.: una presunzione legale assoluta può esser vinta da una
serie di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti; si veda ancora, Cass., 24 febbraio 2004,
n. 3642, in Riv. not., 2004, 584; Cass., 15 novembre 1997, in Contratti, 1998, 242, con nota di F.
Basini; App. Milano, 17 ottobre 2004, in Nuova giur. civ. comm., 2004, 688.
(57)
Sono parole di G. Biscontini, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti, cit., 41, il
quale rinvia a P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1° ed., 1984, 524
ss.
(58)
Nuovamente sulla tutela del donante, per tutti, A. Venditti, La forma del contratto, in Le
donazioni, VI, in Trattato dir. successioni e donazioni Bonilini, cit., 704. Quanto alla tutela dei
terzi, M. Giorgianni, voce Forma degli atti a) dir. priv., cit., 1006.
Atto di opposizione alla donazione e sua rinunzia
Niccolò Massella Ducci Teri
FONTE
Fam. Pers. Succ., 2008, 8-9, 728
Successione necessaria
Sommario: 1. La situazione antecedente la riforma - 2. Il fine della riforma degli artt. 561 e 563 c.c.
- 3. Atto di opposizione alla donazione: natura giuridica e ratio - 4. L'ambito di applicazione della
riforma: problemi riguardanti le donazioni simulate e quelle indirette - 5. I soggetti legittimati a
proporre l'atto di opposizione - 6. Segue: la problematica inerente la minore età di uno dei soggetti
legittimati a proporre opposizione ad una donazione - 7. La forma dell'atto di opposizione, la sua
notifica e trascrizione - 8. Il termine previsto dall'art. 561 e dall'ultimo comma dell'art. 563 c.c. ed il
suo rapporto con l'art. 2652, n. 8), c.c. - 9. I caratteri dell'atto di opposizione - 10. La rinuncia
all'atto di opposizione - 11. Segue: gli effetti della rinuncia - 12. Segue: rinuncia all'opposizione e
patti successori
1. La situazione antecedente la riforma
Con le modifiche apportate dal legislatore con l'art. 2, co. 4 nonies, d.l. 14.3.2005, n. 35(1) e con
l'art. 3, l. 28.12.2005, n. 263(2) agli artt. 561 e 563 c.c., il precedente assetto normativo in materia di
azione di riduzione(3) e, più nello specifico, in materia di azione di restituzione, è stato parzialmente
modificato. Con il fine dichiarato di rendere più agevole la circolazione dei beni immobili di
provenienza donativa, si è introdotto nell'ordinamento un termine ventennale a partire dalla data di
trascrizione della donazione, trascorso il quale i legittimari, avendo agito con l'azione di riduzione
nei confronti del donatario ed avendo trovato insufficiente il patrimonio di tale soggetto per
soddisfare le proprie pretese ereditarie, si vedono preclusa la possibilità di rivolgersi agli aventi
causa del donatario stesso per ripetere il bene oggetto della donazione.
Per poter capire appieno le innovazioni introdotte dal legislatore con le leggi di cui sopra, appare
opportuno, preliminarmente, richiamare quella che era la situazione antecedente la riforma.
Risultava evidente come la posizione in capo agli aventi causa dal donatario fosse quasi sempre
destinata a cedere davanti alla pretesa restitutoria degli eredi legittimari. Apertasi la successione di
un donante, infatti, il legittimario, premesso il vittorioso esperimento dell'azione di riduzione,
poteva pretendere sia la restituzione di un bene immobile, privo di quei pesi e di quelle ipoteche
che, eventualmente, il donatario vi avesse sopra costituito, con un evidente pregiudizio per quei
terzi a favore dei quali erano stati concessi (art. 561 c.c. vecchia formulazione), sia la restituzione di
un bene immobile nei confronti di quei terzi, aventi causa dal donatario, che fossero nel possesso
del bene, per averlo acquistato precedentemente dal donatario stesso, legittimo proprietario (art.
563 c.c. vecchia formulazione). In questo secondo caso la legge prevedeva espressamente la facoltà
per il terzo acquirente di liberarsi dall'obbligo di restituire il bene in natura, pagando al legittimario
l'equivalente (art. 563, 3° co., c.c.)(4), salvo poi la possibilità di rivalersi nei confronti del
donatario(5).
I limiti che il codice poneva, poi, alla possibilità da parte del legittimario di poter esperire l'azione
di restituzione avevano sì la funzione di render certi i pesi, le ipoteche a favore dei terzi o l'atto di
acquisto di questo sugli immobili del donatario, ma tale certezza era talmente posticipata nel tempo
da rendere troppo esigua la tutela in confronto all'ampio spettro di facoltà riconosciute ai legittimari.
La sicurezza assoluta poteva essere raggiunta, infatti, solo trascorsi dieci anni (relativamente ad i
beni immobili, in base a quanto disposto dall'art. 2652, n. 8, c.c.) o tre anni (per i mobili registrati,
stante la lettera dell'art. 2690, n. 4, c.c.) dall'apertura della successione del donante, evento, questo
ultimo del tutto indeterminato ed incerto, senza che alcun legittimario avesse precedentemente
trascritto la relativa domanda di riduzione, e, a condizione che il terzo avesse a sua volta trascritto o
iscritto prima di questa il proprio diritto(6).
2. Il fine della riforma degli artt. 561 e 563 c.c.
Da queste brevi considerazioni, appare abbastanza chiaro come l'attenzione del legislatore sia stata
costituita principalmente dallo sciogliere quello che appare, a prima vista, il nodo cruciale di tutta la
problematica. Il tentativo di trovare una soluzione adeguata al conflitto tra due interessi, parimenti
degni di tutela: la tutela dei legittimari e la tutela dei terzi aventi causa dal donatario(7).
L'esigenza di un intervento da parte del legislatore si è fatta sempre più urgente soprattutto a seguito
della riforma, che era intanto intervenuta in materia fiscale nel 2001(8), che aveva abrogato l'imposta
sulle successioni e sulle donazioni.
È chiaro, dunque, come il problema sia aumentato esponenzialmente, obbligando il legislatore a
prendere una posizione al riguardo. Il fine della l. 14.5.2005, n. 80, allora, sembra proprio questo:
rendere più agevole e certa la circolazione dei beni immobili di provenienza donativa(9), prendendo
in attenta considerazione, soprattutto, la tutela della posizione dei terzi aventi causa dal donatario.
Nel perseguire questo scopo si è creato un meccanismo per cui la certezza dell'acquisto immobiliare
in capo al terzo può essere raggiunta in un periodo di tempo determinato, ma, soprattutto, a
decorrere da un momento normativamente stabilito e certo: quello della data della trascrizione
dell'atto di donazione(10).
La novità di maggiore incidenza, introdotta dalla riforma e sulla quale si incentrano queste note, ma
anche foriera di numerosi dubbi interpretativi, è rappresentata dall'introduzione, all'ult. co. dell'art.
563 c.c., della figura dell'opposizione alla donazione, atto stragiudiziale attraverso il quale alcuni
soggetti – il coniuge ed i parenti in linea retta del donante – possono ottenere la sospensione dei
termini ventennali previsti sia dal 1° co. dell'art. 561 sia dal 1° co. dell'art. 563 c.c.
La funzione precipua di tale nuovo istituto viene ravvisata nella facoltà concessa dal legislatore ai
futuri legittimari di conservare, in via cautelativa, la possibilità di avvalersi dell'azione di riduzione
in tutti i suoi aspetti, compresa la sua piena efficacia retroattiva reale, in tutte quelle ipotesi in cui la
successione del donante si apra trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione(11). L'articolo
non elimina, in ogni caso, il limite di dieci anni dall'apertura della successione previsto dall'art.
2652, n. 8), c.c., che già prima della novella lasciava impregiudicate le ragioni dei terzi acquirenti
dal donatario che avessero acquistato a titolo oneroso diritti in base ad un atto trascritto od iscritto
anteriormente alla trascrizione da parte del legittimario della domanda di riduzione.
Dal testo dell'ult. co. dell'art. 563 c.c. si ricavano numerose indicazioni circa la natura giuridica, i
caratteri e la forma dell'atto di opposizione: risulta, infatti, come ci si trovi in presenza di un atto
qualificato espressamente come personale, notificabile, trascrivibile (dal che si desume la necessità
che rivesta la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata), stragiudiziale e
rinunziabile.
Una ulteriore caratteristica, ricavabile anche in questo caso dalla lettera dell'ultimo comma
dell'articolo in esame, deve essere riscontrata nella rinnovabilità dell'atto stesso. Trascorsi venti anni
dalla trascrizione dell'opposizione, questa, se non rinnovata, perderà il suo carattere sospensivo, ed
il termine ventennale, esaurito il quale i legittimari non potranno più agire in restituzione nei
confronti dei terzi acquirenti dal donatario, ricomincerà a decorrere.
3. Atto di opposizione alla donazione: natura giuridica e ratio
Una delle novità più importanti introdotte con la riforma è rappresentata, a nostro avviso, dalla
previsione, della nuova figura dell'atto di opposizione alla donazione(12). Tramite tale atto si è
voluto evitare che la durata della vita del donante potesse pregiudicare le aspettative ereditarie del
legittimario che, in mancanza, sarebbero state disattese trascorsi venti anni dalla trascrizione della
donazione.
Infatti, proprio nell'ottica di un contemperamento tra due interessi confliggenti – quale quello del
legittimario a mantenere integre le proprie aspettative ereditarie e quello dei terzi aventi causa dal
donatario a conservare il proprio acquisto senza il pericolo di vedersi costretti a restituire il bene a
quel legittimario che avesse agito con l'azione di restituzione – il legislatore ha introdotto l'istituto
dell'opposizione alla donazione. Il terzo consoliderà sì il proprio acquisto trascorsi venti anni dalla
data della donazione intercorsa tra il donante ed il donatario proprio dante causa ma con l'eccezione
in tutti quei casi in cui i soggetti(13) previsti dalla nuova normativa non abbiano trascritto un atto di
opposizione.
Dal canto loro, i futuri legittimari potranno tutelare, in via cautelativa, il loro futuro ed eventuale
diritto ad ottenere sia la restituzione del bene donato privo di quei pesi e di quelle ipoteche che
eventualmente il donatario possa avervi costituito sopra, sia la restituzione della proprietà anche
dopo che siano trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, a condizione che esercitino il
loro diritto di opporsi, entro venti anni dalla trascrizione della donazione stessa, con la conseguenza
di sospendere il decorso del termine(14).
Prima di passare a trattare alcuni aspetti pratici della questione, quali quelli inerenti i soggetti
legittimati a proporre opposizione ed i modi in cui proporla, prima di analizzare altresì i caratteri
che tale nuova figura presenta, appare opportuno soffermarsi brevemente sulla natura giuridica
dell'atto di opposizione alla donazione.
A tale riguardo è appena il caso di ricordare che, prima della morte del donante, il soggetto che
rivestirà la qualifica di legittimario al momento dell'apertura della successione, non vanta alcun
diritto sulla propria quota di riserva. Sembra che si possa parlare, in tale caso, di mera aspettativa di
fatto, aspettativa che, dopo l'apertura della successione, attraverso la vocazione e delazione
ereditaria, diventerà di diritto(15).
Discende da ciò che, prima dell'apertura della successione, il futuro legittimario non ha alcuna
possibilità di sindacare l'operato del futuro de cuius, con riferimento alle donazioni da questo
compiute, in considerazione del fatto, soprattutto, che il carattere ipoteticamente lesivo di una
qualsivoglia donazione è valutabile esclusivamente, in sede di riunione fittizia, al momento
dell'apertura della successione(16).
Sembra, allora, potersi qualificare l'atto di opposizione alla donazione come un atto avente la
funzione di riservare al futuro legittimario la possibilità di agire in restituzione nei confronti dei
terzi aventi causa dal donatario, anche quando siano trascorsi venti anni dalla data della trascrizione
della donazione. In tale maniera il diritto del futuro legittimario si attualizza in un momento in cui
ancora un problema di lesione della quota di legittima non può porsi, in quanto, come precisato in
precedenza, ci si trova davanti ad una successione non ancora aperta(17).
È lo stesso legislatore che, all'ult. co. dell'art. 563 c.c. qualifica l'atto di opposizione alla donazione
come un diritto spettante al coniuge ed ai parenti in linea retta del donante: andando più nello
specifico, sembra si possa affermare che si tratti di un diritto soggettivo potestativo di natura
cautelativa, il cui esercizio rappresenta un onere, cui sono soggetti i futuri legittimari in relazione al
loro status personale nei confronti del donante. Soggetti passivi dell'intera vicenda devono essere
considerati, allo stesso tempo, sia il donatario che i suoi aventi causa(18).
Si discute in dottrina sulla qualificazione dell'opposizione alla donazione come atto di ordinaria o di
straordinaria amministrazione: sembra preferibile considerarla come un atto eccedente l'ordinaria
amministrazione poiché in ogni caso risulta idonea ad incidere potenzialmente sull'entità
patrimoniale del soggetto, comportando, in caso di mancata proposizione, un depauperamento del
futuro asse ereditario su cui rivalersi(19).
4. L'ambito di applicazione della riforma: problemi riguardanti le donazioni simulate e quelle
indirette
Un primo aspetto problematico che emerge dall'introduzione nell'ordinamento della nuova figura
dell'atto di opposizione alla donazione appare quello inerente l'effettivo ambito oggettivo di
applicazione dell'istituto. Parlando, infatti, genericamente, di «atto stragiudiziale di opposizione alla
donazione»(20), il legislatore non qualifica ulteriormente il termine «donazione».
Appare, infatti, evidente come sia lasciato all'interprete il compito di stabilire se l'atto di
opposizione debba essere esercitato esclusivamente nei confronti di una donazione diretta, così
come configurata dagli artt. 769 ss. c.c. o se, invece, possano rientrare nel campo di applicazione
della disposizione anche le donazioni simulate(21) e le liberalità indirette, disciplinate dall'art. 809
c.c.
La questione appare molto delicata e le soluzioni prospettate in dottrina mutano notevolmente a
seconda dell'interesse che si ritiene che il legislatore abbia voluto tutelare in via principale: se si
ritiene che debba prevalere la tutela del legittimario ne discenderebbe un'interpretazione
comprensiva sia delle liberalità indirette che delle donazioni simulate; nel caso in cui non ci si
distaccasse eccessivamente dallo spirito che ha accompagnato l'emanazione delle due leggi di
modifica, tendenti – come detto – ad assicurare una maggiore certezza ai diritti immobiliari e quindi
alla circolazione dei beni immobili, si dovrebbe ritenere che la disciplina dell'atto di opposizione sia
applicabile esclusivamente alle donazioni dirette. Per maggiore chiarezza appare preferibile trattare
separatamente le due ipotesi, quella riguardante le donazioni simulate e quella inerente le liberalità
indirette.
Per quanto riguarda le donazioni simulate sembra opportuno distinguere il caso in cui tra le parti sia
stata posta in essere una simulazione assoluta dal caso in cui, invece, sia stata compiuta una
simulazione relativa. Nella prima ipotesi(22), infatti, non sembrerebbe applicabile la fattispecie
dell'atto di opposizione alla donazione perché verrebbe meno un presupposto essenziale: per la
dottrina, infatti, in caso di simulazione assoluta, le posizioni giuridiche che appaiono modificate dal
contratto simulato, rimangono, in realtà, immutate. Così, nel caso in cui il futuro legittimario
proponga azione di simulazione, otterrà come risultato una pronuncia che accerterà la circostanza
che il bene oggetto dell'accordo non è mai uscito dal patrimonio del futuro de cuius e che,
conseguentemente, questo farà ancora parte dell'asse ereditario(23).
Pertanto, in tale ipotesi, non riscontrandosi una potenziale lesione della quota di legittima, in quanto
il bene è rimasto sempre nel patrimonio del futuro de cuius, il legittimario non avrà alcun interesse
ad opporsi ad un atto in ogni caso privo di efficacia.
Nel caso in cui, invece, le parti abbiano posto in essere un negozio relativamente simulato, il
discorso si fa più articolato ed appare in tutta la sua evidenza il nodo cruciale della questione:
riuscire a far convivere l'interesse del terzo acquirente in buona fede e l'interesse del legittimario.
Sembra necessario muovere l'indagine da quanto previsto dall'art. 1415 c.c., in cui si prevede la
salvezza dei diritti dei terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente a
condizione che abbiano trascritto il loro acquisto prima della trascrizione della domanda di
simulazione (art. 2652, n. 4, c.c.). Ad una tale premessa occorre poi aggiungerne una ulteriore,
discendente direttamente dalle modifiche introdotte con la riforma.
Precedentemente, infatti, il futuro legittimario, durante la vita del donante, non aveva alcuna
possibilità di esperire un'azione che accertasse l'avvenuta simulazione intervenuta tra il donante ed
il donatario prima della morte del donante stesso, ma doveva, in ogni caso, attendere tale momento,
dato che, solo a partire da questo evento, si poteva porre un eventuale problema di lesione della
quota di legittima(24).
Con l'entrata in vigore della riforma, nel caso in cui la si ritenesse applicabile anche alle donazioni
relativamente simulate, va, a nostro avviso rilevato che, con riguardo alla possibilità da parte del
futuro legittimario di proporre un'azione volta ad ottenere una declaratoria di simulazione,
sembrerebbe essersi registrata un'importante novità: l'interesse del legittimario, infatti, si
attualizzerebbe nel momento stesso in cui viene posto in essere il negozio simulato tra donante e
donatario. Non si tratterebbe più, però, come accadeva in precedenza, di una azione di simulazione
finalizzata all'esperimento dell'azione di riduzione, bensì di una azione accertativa della simulazione
con il particolare scopo di permettere al futuro legittimario di poter trascrivere il proprio atto di
opposizione(25).
Infatti, una volta eliminato il velo dell'accordo simulatorio e, smascherata, quindi, la provenienza
donativa del bene, il futuro legittimario non dovrebbe incontrare ostacoli nel trascrivere la propria
opposizione per poter mantenere integre le proprie ragioni sul bene effettivamente uscito dal
patrimonio del futuro de cuius.
Non possono essere taciuti gli inconvenienti che un simile contemperamento può comportare,
soprattutto per quanto riguarda l'interesse del terzo: tale soggetto, infatti, al momento di consultare i
registri immobiliari, al fine di accertarsi che il bene oggetto del suo acquisto sia di proprietà
dell'alienante donatario, non riscontrerà alcunché di anomalo. Il bene infatti non risulterà di
provenienza donativa, conseguentemente instabile, bensì, come spesso accade nella pratica
quotidiana, si troverà davanti ad un bene trasferito, per esempio, tramite una compravendita
mascherante una donazione(26). Apparirebbe fortemente iniquo, di conseguenza, non tutelare in
alcun modo l'acquisto del terzo che, in buona fede, consultando i registri immobiliari e trovandoli
«puliti», si sia deciso ad acquistare il bene dal donatario. Il legittimario, infatti, potrebbe in ogni
tempo far dichiarare l'inefficacia del negozio intercorso tra donante e donatario, con la conseguenza
che l'acquisto del terzo verrebbe investito da tale declaratoria(27).
Analizzando ora la posizione del futuro legittimario, sembrerebbe potersi affermare che,
nell'eventualità in cui non venisse concessa a tale soggetto la possibilità di opporsi ad un negozio
simulante una donazione, sorgerebbero gravi dubbi di incostituzionalità della disciplina. Si
verrebbe, infatti, a creare una situazione in cui tale soggetto, trascorsi venti anni dalla data in cui è
stato posto in essere il negozio simulato, ed avendo, successivamente, il donatario trasferito il bene
ad un terzo, non potrebbe in alcun modo ottenere la restituzione del bene stesso dal terzo, con ciò
creandosi una situazione divergente e peggiore rispetto a quella del futuro legittimario che ben può
opporsi ad una donazione diretta, mantenendo in tale maniera integre le proprie ragioni sulla
legittima. Anche in questo caso, concedendo cioè al futuro legittimario di anticipare la possibilità di
esperire l'azione di simulazione, al fine di poter trascrivere il proprio atto di opposizione, dal
momento in cui il negozio simulato viene posto in essere, senza aspettare la morte del donatario,
sorgono gravi inconvenienti. Il rischio maggiore sembra essere proprio quello di veder disattese le
ragioni che hanno ispirato la riforma, ragioni volte, come detto in precedenza, a rendere più sicura
la circolazione dei beni immobili(28). Bisogna considerare, infatti, che molto spesso, le questioni
successorie si creano a seguito della percezione individuale di squilibrio ed ingiustizia che i singoli
soggetti possono avere con riferimento anche a solo presunte disparità economiche che possono
essere connesse ad attribuzioni non propriamente donative. Ammettendo la possibilità per il futuro
legittimario di poter esperire immediatamente l'azione volta ad accertare l'intervenuta simulazione si
rischia, infatti, di creare maggiori intralci alla circolazione dei beni, per la semplice ragione che
qualunque atto a titolo oneroso potrebbe divenire impugnabile per simulazione nel momento stesso
in cui viene posto in essere, al fine di poter poi fare opposizione prima della scadenza del ventennio
e, di conseguenza, mantenere intatte le possibilità di poter agire in restituzione.
Esaminate, dunque, le posizioni rispettivamente del terzo avente causa e del futuro legittimario,
indicati i problemi che una maggiore tutela di uno solamente dei due soggetti può comportare,
sembrerebbe quanto mai opportuno operare un bilanciamento tra i due interessi contrapposti, anche
e soprattutto alla luce del disposto dell'art. 1415 c.c.(29).
Discende da questa disposizione, che riteniamo debba trovare applicazione in questo caso(30), che il
potenziale conflitto tra il terzo avente causa che, in buona fede, abbia acquistato un bene entrato nel
patrimonio del donatario in base ad un atto simulato ed il futuro legittimario andrà risolto secondo
le regole proprie della trascrizione e della buona fede. Conseguentemente il futuro legittimario che,
considerando l'atto intervenuto tra il donante ed il donatario come simulato e potenzialmente lesivo
della propria legittima, voglia proporre atto di opposizione, dovrà in ogni caso esperire subito
un'azione volta ad accertare il negozio simulato e trascriverla.
Gli scenari prospettabili sono molteplici: se il donante è ancora in vita, il legittimato a proporre
l'atto di opposizione potrà trascriverlo solo nel caso in cui abbia preventivamente trascritto la
domanda giudiziale di accertamento dell'avvenuta simulazione. Se il terzo avente causa, da parte
sua, non trascrive il proprio acquisto in data anteriore alla trascrizione della domanda di
simulazione da parte del futuro legittimario, resterà in ogni caso soggetto al possibile esperimento
da parte di questo dell'azione di restituzione; nel caso in cui, invece, il terzo avente causa trascriva il
proprio acquisto prima della trascrizione curata dal futuro legittimario, non sarà soggetto all'azione
di restituzione, a meno che il legittimario stesso non provi lo stato di mala fede dello stesso terzo.
Nell'ipotesi in cui, durante la vita del donante, trascorra il ventennio senza che venga trascritta
alcuna domanda di simulazione, e, conseguentemente, nessun atto di opposizione, il terzo avente
causa dal beneficiario non potrà più, alla morte del donante, essere convenuto dal legittimario con
l'azione di restituzione. Successivamente alla morte del donante, invece, il legittimario potrà agire
in restituzione sia nel caso in cui, non ancora trascorso il ventennio, abbia trascritto la domanda di
simulazione precedentemente alla trascrizione dell'acquisto del terzo avente causa, sia nel caso in
cui, sempre non trascorso il ventennio, dimostri la mala fede del terzo, che abbia trascritto
precedentemente alla propria domanda di simulazione. Se invece sarà spirato il ventennio, il
legittimario manterrà sempre la possibilità di esperire sia l'azione di simulazione che l'azione di
riduzione, ma non potrà più agire in restituzione nei confronti del terzo avente causa del
beneficiario.
Appare opportuno precisare che, esclusivamente ai fini dell'ordine in cui le due trascrizioni vadano
effettuate, sembra preferibile ritenere che, ammettendo la possibilità di esperire l'azione di
simulazione e l'opposizione contestualmente, per poter trascrivere l'atto di opposizione, questa
trascrizione debba essere cronologicamente successiva o subordinata alla trascrizione della
domanda di simulazione(31).
Una volta ammessa la possibilità di estendere la disciplina dell'opposizione alla donazione anche
agli atti simulati che in verità celano un contratto donativo, non sembra possano nutrirsi dubbi
riguardo l'applicabilità di tale disciplina anche alle liberalità indirette di cui all'art. 809 c.c.(32),
soprattutto anche considerando il fatto che, opinando diversamente, si verrebbe a creare una
disparità di trattamento tra potenziali legittimari che possono proporre opposizione ad una
donazione diretta e potenziali legittimari che, invece, si vedono preclusa una tale possibilità a causa
del diverso schema negoziale posto in essere tra il donante ed il donatario. Disparità, questa, che
ben potrebbe creare forti dubbi di legittimità costituzionale, dubbi che, come visto in precedenza(33),
sorgono anche in caso di donazioni simulate.
5. I soggetti legittimati a proporre l'atto di opposizione
L'ult. co. dell'art. 563 c.c. prescrive espressamente che «il decorso del termine … è sospeso nei
confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante».
Il Legislatore, dunque, ha individuato nel coniuge e nei parenti in linea retta del donante i soggetti
legittimati a proporre un valido atto di opposizione(34). A tal riguardo, pare opportuno,
preliminarmente, porre in evidenza come, giustamente, il legislatore della Novella non si sia riferito
a tali soggetti definendoli come «legittimari». Infatti, dal momento che l'opposizione è un atto che
può essere posto in essere durante la vita del donante, è evidente come, durante tale periodo, questi
soggetti non avranno ancora acquistato la qualifica di «legittimari», qualifica questa che, per la
dottrina dominante(35), si acquista con la morte del de cuius.
Sembra solo il caso di aggiungere che, tali soggetti, se, durante la vita del donante non hanno ancora
acquistato la qualifica di legittimari, potenzialmente e presumibilmente la acquisteranno al
momento della morte di tale soggetto(36).
Analizzando più attentamente l'elenco dei soggetti legittimati ad opporsi ad una donazione
contenuto nell'art. 563, ult. co., c.c. e confrontandolo con gli artt. 536 ss. c.c.(37) ci si accorge che la
categoria dei soggetti di cui all'art. 563 c.c. è più ampia rispetto a quella dei legittimari: difatti, fra i
«parenti in linea retta» del donante devono essere considerati sia i discendenti in linea retta ulteriori,
come i nipoti ex filio, sia gli ascendenti, entrambe le categorie pur in presenza dei figli. In base,
invece, a quanto stabilito dall'art. 536, ult. co., c.c., i discendenti dei figli vengono alla successione
per rappresentazione nei diritti di riserva solo nel caso in cui manchino gli ascendenti (nel caso di
specie i figli del donante); a ciò si aggiunga che l'art. 538 c.c. riconosce agli ascendenti legittimi
una quota del patrimonio ereditario solo nel caso in cui chi muore non lascia figli (legittimi, naturali
ed adottivi)(38).
Passando ora a trattare dei singoli soggetti che hanno diritto ad opporsi alla donazione, si analizzerà
in via preliminare la posizione del coniuge. Tale soggetto, a seguito della riforma del diritto di
famiglia(39), è stato incluso nella categoria dei legittimari. È lo stesso legislatore, però, che all'art.
548, 2° co., c.c. esclude da tale categoria il coniuge cui sia stata addebitata la separazione; per quel
che concerne il coniuge c.d. divorziato, invece, questo perde il diritto a succedere, dal momento
che, essendo venuto meno il vincolo matrimoniale, è venuto meno anche il rapporto giustificativo
della successione legittima(40).
Conseguentemente a tali precisazioni, sembrerebbe doversi accogliere quella dottrina(41) che non
concede al coniuge separato con addebito ed al coniuge c.d. divorziato il diritto di opporsi alla
donazione. Tale conclusione si giustificherebbe muovendo dalla considerazione che per coniuge
dovrebbe essere inteso quel soggetto che potrebbe vantare un diritto attuale, nella sua qualità di
riservatario, sul patrimonio del donante, nell'eventualità che la successione di questo si aprisse nello
stesso momento in cui dovesse proporre la propria opposizione. Il coniuge separato con addebito ed
il coniuge c.d. divorziato non rientrerebbero in tale categoria in quanto solo beneficiari, ove ne
ricorrano i presupposti, di un assegno in denaro(42).
Non sussistono, invece, problemi per quanto concerne la categoria dei figli del donante: rientrano
infatti in tale nozione sia i figli legittimi, sia quelli legittimati ed adottivi (art. 536, 2° co., c.c.), sia i
figli naturali (art. 537 c.c.).
Dopo aver esaminato i soggetti legittimati ad opporsi validamente ad una donazione, occorre
soffermarsi ad analizzare i problemi che potrebbero discendere al riguardo, dal momento che il
legislatore non sembra aver tenuto in debito conto il fatto che gli scenari familiari non sono statici,
bensì sono soggetti a possibili mutamenti nel corso degli anni(43).
Da una sommaria lettura del testo dell'art. 563, ult. co., c.c. sembrerebbe delinearsi, infatti, una
visione statica delle vicende familiari, come se il legislatore della novella avesse voluto focalizzare
tutta la propria attenzione esclusivamente sulla situazione coniugale e parentale in atto al momento
in cui il donante pone in essere la donazione. È di tutta evidenza, invece, come la qualifica di
legittimario possa essere acquistata anche in un momento successivo a tale evento: basti pensare sia
al caso in cui un soggetto effettui una donazione da non coniugato e solo successivamente
contragga matrimonio, sia al caso in cui nasca un figlio, venga riconosciuto o dichiarato
giudizialmente un figlio naturale o venga adottato un figlio in un momento successivo alla
donazione. Non sembra possibile negare che in tali eventualità, interpretando in senso
rigorosamente letterale la disposizione degli artt. 561 e 563 c.c., il rischio che la nuova normativa
sia dichiarata incostituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. è molto elevato.
Per chiarire meglio i termini della questione sembra opportuno fare un esempio: si pensi al caso in
cui un soggetto, Tizio, di giovane età, compia una donazione a favore di Caio; a tale riguardo
potranno profilarsi le seguenti ipotesi:
a) trascorso un determinato arco di tempo dalla trascrizione della donazione, comunque inferiore ai
venti anni, Tizio contrarrà matrimonio con Quinta, la quale, di conseguenza, acquisterà il diritto ad
opporsi alla donazione pregressa. Applicando in maniera rigorosa la disposizione dell'art. 563 c.c.,
però, la signora Quinta avrà un lasso di tempo inferiore ai venti anni per poter esperire la propria
opposizione;
b) trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, Tizio contrarrà matrimonio con Quinta, la
quale, pur avendo teoricamente acquistato il diritto ad opporsi, non potrà però esercitarlo, in quanto
già scaduti i termini dell'art. 563 c.c.;
c) trascorso un determinato arco di tempo dalla trascrizione della donazione, comunque inferiore ai
venti anni, Tizio avrà un figlio, riconoscerà un figlio naturale o ne adotterà uno; anche in tale caso
questi soggetti acquisteranno il diritto ad opporsi in un momento successivo alla donazione, e,
conseguentemente, si vedranno ridotti i termini per opporsi;
d) trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, Tizio avrà un figlio, riconoscerà un figlio
naturale o ne adotterà uno: dal momento che, stante il tenore letterale della norma, trascorsi venti
anni dalla trascrizione della donazione non è più possibile opporsi, questi soggetti non avranno la
possibilità di tutelare le proprie ragioni(44).
Dagli esempi prospettati emerge chiaramente il problema che sembra profilarsi all'orizzonte: i
termini previsti dagli artt. 561 e 563 c.c., infatti, introducono una disparità di trattamento tra i
soggetti con diritto ad opporsi già presenti al momento della donazione, i soggetti che acquisteranno
la titolarità di tale diritto solo in un momento successivo (ipotesi sub a) e c)) ed i soggetti cui
l'ordinamento, come innovato, ha negato il diritto ad opporsi, in quanto venuti ad esistenza trascorsi
venti anni dalla trascrizione della donazione (ipotesi sub b) e d). Conseguentemente, alla morte del
donante, si verrà a creare una situazione per cui all'interno della categoria dei legittimari, ve ne
saranno alcuni forniti di tutela maggiore rispetto ad altri, con una probabile violazione dell'art. 3
Cost.(45).
Sembra potersi ritenere che tale disuguaglianza sia irragionevole: la speditezza e la certezza dei
traffici dei diritti immobiliari, se da un lato possono comprimere parzialmente i diritti spettanti ai
legittimari, dall'altro non potranno, sicuramente, accostare a tale categoria di soggetti
«sottocategorie dotate di tutele differenti»(46).
Per ovviare ad una tale disparità una soluzione praticabile, ma che rischierebbe di depotenziare
eccessivamente la Novella, sembrerebbe quella di estendere la possibilità di proporre l'atto di
opposizione alla donazione anche a coloro che acquisteranno tale diritto in un momento successivo
alla trascrizione della donazione e far decorrere il termine ventennale, per tali soggetti, dal momento
dell'acquisto del diritto. Propendere per una soluzione differente, se da un lato non disattenderebbe
le ragioni che hanno ispirato la riforma, dall'altro comporterebbe, una possibile censura di
illegittimità costituzionale degli artt. 561 e 563 c.c.(47).
6. Segue: la problematica inerente la minore età di uno dei soggetti legittimati a proporre
opposizione ad una donazione
Un aspetto della questione, inerente i soggetti legittimati a proporre un atto di opposizione alla
donazione, che potrebbe generare alcuni problemi, può essere ravvisato in tutti quei casi in cui
titolare del diritto di opporsi alla donazione sia un soggetto che non abbia ancora raggiunto la
maggiore età e, quindi, incapace di agire ed i cui interessi siano curati dai genitori. La domanda che
occorre porsi è come individuare il soggetto che debba opporsi in nome e per conto del minore in
caso in cui la donazione venga posta in essere da uno dei genitori del minore stesso(48).
Le situazioni che potranno verificarsi nella pratica saranno essenzialmente tre: una prima si potrà
avere in tutti quei casi in cui il minore si trovi in una situazione di conflitto di interessi con entrambi
i genitori (si pensi al caso in cui un genitore doni un bene al coniuge); una seconda situazione è
rappresentata da quelle ipotesi in cui il donante sia l'unico genitore del minore (anche in questo caso
sorgerà un conflitto di interessi tra i due soggetti); ed infine può accadere che il minore si trovi ad
avere un interesse concordante con uno solo dei genitori (è l'ipotesi, questa, in cui, per esempio uno
dei due coniugi doni ad un terzo estraneo).
Per provare a dare una soluzione ai tre esempi riportati, un sicuro punto di partenza sembra essere
offerto dalle disposizioni contenute nell'art. 320 c.c., dove vengono dettate le norme cui i genitori
devono attenersi nella rappresentanza e nella amministrazione dei beni del figlio minore.
Sembra opportuno analizzare per prima l‘ultima delle situazioni prospettate, per la sola ragione che,
astrattamente, sembrerebbe essere quella di più semplice soluzione. Nel caso, infatti, in cui, per
esempio, il padre del minore doni un bene immobile ad un soggetto «estraneo», il diritto di opporsi
a tale donazione sorgerà in capo tanto all'altro coniuge quanto al minore. I due interessi saranno tra
di loro concordanti, quindi sembrerebbe potersi immaginare una situazione in cui la potestà
genitoriale si concentra in capo al genitore non donante, in base a quanto contenuto nell'ult. co.
dell'art. 320 c.c. Tale genitore, non trovandosi in conflitto di interessi con il minore, acquisirà,
infatti, la legittimazione a proporre in via esclusiva ricorso al giudice tutelare per essere autorizzato
ad effettuare l'opposizione alla donazione in nome e per conto del minore, oltre che in proprio nome
e conto(49).
Nel caso in cui, invece, il minore si trovi in conflitto con entrambi i genitori (è questa l'ipotesi che
può ricorrere in caso di donazione tra moglie e marito), si ritiene che la soluzione possa essere
rinvenuta, anche in tale eventualità, nell'art. 320 c.c. Il donante dovrà, infatti, proporre istanza al
giudice tutelare affinché questi nomini un curatore speciale al minore; ritenendo poi, come
sottolineato in precedenza(50), che l'atto di opposizione alla donazione ecceda l'ordinaria
amministrazione, poiché in ogni caso risulta idoneo ad incidere potenzialmente sull'entità
patrimoniale del soggetto, sembrerebbe necessaria una ulteriore autorizzazione del giudice tutelare
al curatore del minore, affinché tale soggetto compia in nome e per conto del minore l'atto di
opposizione(51).
Analoga soluzione sembrerebbe doversi seguire anche nell'ultimo caso, quello in cui il donante sia
anche l'unico genitore del minore: sussistendo un conflitto di interessi tra i due soggetti, il donante
dovrebbe richiedere al giudice tutelare la nomina di un curatore speciale per il proprio figlio,
curatore che dovrà essere poi autorizzato, sempre dal giudice tutelare, ad opporsi alla donazione in
nome e per conto del minore(52).
Occorre ora analizzare brevemente cosa accade nel caso in cui i genitori omettano di compiere
diligentemente tutte queste attività di tutela del patrimonio del figlio. Una soluzione potrebbe essere
rintracciata ricorrendo ai principi generali contenuti nel codice stesso: in base a quanto disposto
dall'art. 321 c.c., infatti, in caso di inerzia dei genitori, sono autorizzati a richiedere la nomina di un
curatore speciale per il minore, il minore stesso, il pubblico ministero o uno dei parenti che vi abbia
interesse. A carico dei genitori, inoltre, sembrerebbe potersi ipotizzare una responsabilità dovuta al
mancato adempimento dell'obbligo di amministrare con diligenza i beni del figlio, con conseguente
e possibile rimozione degli stessi dall'amministrazione ex art. 334 c.c.(53).
7. La forma dell'atto di opposizione, la sua notifica e trascrizione
Il nuovo art. 563, ult. co., c.c., nel disciplinare l'istituto dell'atto di opposizione alla donazione, tace
riguardo la forma che tale atto deve rivestire, limitandosi a dire che questo debba essere notificato e
trascritto.
Proprio l'eventualità che l'atto di opposizione alla donazione vada trascritto, però, sembrerebbe
risolvere sul nascere la questione inerente la forma che questo debba rivestire. Per la dottrina
maggioritaria, che fino ad ora si è interessata dello studio di questo nuovo istituto, infatti, non ci
dovrebbero essere dubbi per ritenere che tale atto debba essere fatto per iscritto. Ed anzi, per
maggiore precisione, argomentando da quanto disposto dall'art. 2657 c.c.(54), l'atto di opposizione
dovrebbe necessariamente rivestire la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o
accertata giudizialmente, unici titoli idonei ai fini della trascrizione(55).
Assodato il fatto che l'atto di opposizione debba rivestire la forma scritta, un problema che merita di
essere analizzato sembra essere quello inerente il rapporto intercorrente tra la forma dell'atto e gli
adempimenti necessari richiesti dalla nuova normativa: la notifica e la trascrizione.
Non sembra potersi ritenere convincente quella teoria che limita la necessità della forma scritta
esclusivamente ai fini della trascrizione(56): tale tesi, muovendo dal dato letterale che l'art. 563 c.c.
nulla dice riguardo la forma dell'atto di opposizione, giunge alla conclusione che in tale materia
valga «evidentemente il principio della libertà della forma», e che, conseguentemente, l'atto di
opposizione si perfezioni nel momento in cui il soggetto legittimato manifesti la propria volontà,
anche oralmente, di voler beneficiare della sospensione dei termini prevista dall'articolo. Per tale
tesi, dunque, la forma avrebbe l'unico scopo di permettere a tale atto «di produrre i propri effetti,
che la legge condiziona alla effettuazione di formalità che non possono prescindere dalla forma
scritta»(57).
Appare preferibile, invece, ritenere che il sistema voluto dal legislatore con la Novella rappresenti
una fattispecie a formazione progressiva: solo al compimento di tutte le formalità richieste dalla
norma – opposizione scritta, notifica e trascrizione – si produrrà l'effetto sospensivo del termine
ventennale(58). Consegue da ciò che un atto di opposizione alla donazione che non rivesta le forme
previste dall'art. 2657 c.c. non produrrà alcun effetto.
Un ulteriore aspetto da analizzare riguarda l'ordine in cui le due formalità della notifica e della
trascrizione debbano essere compiute: il problema che si è posto la dottrina, infatti, è quello di
stabilire se la sequenza voluta dal legislatore – prima notifica e successivamente trascrizione –
debba essere interpretata in senso tassativo o se, invece, non sia necessario rispettare tale ordine.
Sembra preferibile, però, stante l'asserito carattere formalistico della disposizione contenuta nell'art.
563 c.c., che tale ordine sia tassativo. Conseguentemente l'atto di opposizione alla donazione dovrà
essere notificato al donatario o ai successivi aventi causa a mezzo di ufficiale giudiziario ex artt.
137 c.p.c. e ss.(59), entro i venti anni dalla trascrizione della donazione(60).
Successivamente, il soggetto legittimato a proporre l'atto di opposizione, richiederà di poter
trascrivere tale atto presentando alla Conservatoria dei registri immobiliari sia l'atto stesso di
opposizione alla donazione sia la relazione di notifica. Per quanto concerne la trascrizione, questa
dovrà essere curata contro il donatario e contro i terzi aventi causa ed a favore dell'opponente, ed
avendo come riferimento oggettivo il bene donato.
Concludendo, anche in considerazione del fatto che la norma prevede la possibilità che l'atto di
opposizione sia rinnovato prima della scadenza dei venti anni, al fine proprio di beneficiare di una
ulteriore sospensione sempre ventennale, sembra potersi affermare che anche la rinnovazione di un
atto di opposizione vada trascritta. È opportuno precisare che, nel caso in cui il donatario abbia
alienato il bene oggetto della donazione, la trascrizione della rinnovazione vada effettuata contro
l'intestatario del bene medesimo, e non contro il donatario, proprio al fine di garantire al meglio i
terzi eventuali acquirenti del bene(61). Solo in tale maniera, infatti, potrà essere raggiunta quella
certezza della stabilità dell'acquisto.
8. Il termine previsto dall'art. 561 e dall'ultimo comma dell'art. 563 c.c. ed il suo rapporto con
l'art. 2652, n. 8), c.c.
La novella legislativa pone un'ulteriore questione riguardante la natura da attribuire al nuovo
termine ventennale previsto dagli artt. 561 e 563 c.c.
Le teorie prospettate dalla dottrina che si è occupata sino ad ora della questione sono
essenzialmente tre: per una prima si tratterebbe di uno speciale termine prescrizionale del diritto(62),
per una seconda, invece, sarebbe esclusivamente un termine di durata del diritto(63), per una terza,
infine, che si ritiene preferibile, ci si troverebbe in presenza di un termine decadenziale(64).
Secondo la prima tesi il termine ventennale previsto dalla novella sarebbe prescrizionale(65),
sebbene sui generis, avendo come caratteristiche fondamentali la decorrenza dalla data della
trascrizione della donazione, la possibilità di essere sospeso attraverso un atto di opposizione e la
perdita di effetto in caso di mancato rinnovo nel ventennio successivo. La particolarità di questo
speciale termine prescrizionale andrebbe ravvisato nella circostanza che ci si troverebbe davanti ad
un fenomeno «ibrido»(66), in quanto l'opposizione non comporterebbe una vera e propria
sospensione del termine. Per tale teoria, infatti, argomentando dal fatto che l'opposizione
perderebbe effetto se non rinnovata entro il ventennio successivo dalla prima trascrizione, l'effetto
sospensivo verrebbe cancellato ab initio, evidenziando, dunque, «la compenetrazione o
commistione della disciplina dell'interruzione e della sospensione, che potrebbe definirsi, appunto,
con un nome composito di interruzione-sospensione»(67).
A tale tesi si è obiettato che nel caso in esame mancherebbe uno dei presupposti essenziali
dell'istituto della prescrizione: quando, infatti, si parla di prescrizione, si immagina una situazione
in cui alla perdita di un diritto da parte di un soggetto corrisponde un immediato vantaggio,
discendente dall'intervenuta estinzione, facente capo ad un altro soggetto controinteressato. Nel
caso, invece, dell'atto di opposizione si assiste ad una situazione per cui il mancato esercizio di un
diritto non comporta sempre un vantaggio in capo ad un altro soggetto(68). A tale obiezione se ne
aggiunge una ulteriore, di carattere pratico: se si considerasse tale termine come prescrizionale,
infatti, si dovrebbero applicare sia le cause di interruzione che di sospensione della prescrizione,
prolungando, conseguentemente, la durata del termine stesso, con un evidente pregiudizio per i
terzi(69).
Per la seconda teoria, invece, il termine degli artt. 561 e 563 c.c. non rientrerebbe né nell'istituto
della prescrizione né nell'istituto della decadenza, bensì sarebbe esclusivamente un termine di
durata per agire in riduzione: termine finale per i legittimari, poiché scaduto non potranno più
pretendere la restituzione del bene; termine iniziale per terzi, poiché da tale momento
consolideranno il loro acquisto(70). Nel caso in cui venga proposta opposizione, il decorso del
termine verrà sospeso per riprendere a decorrere al momento della cessazione dei venti anni e dal
punto in cui venne interrotto in virtù dell'opposizione stessa.
Appare preferibile la terza soluzione prospettata dalla dottrina, secondo cui ci si troverebbe in
presenza di termini di decadenza(71).
Il futuro legittimario, infatti, risulta essere titolare di un diritto, quello a poter pretendere la
restituzione del bene, della durata di venti anni dalla data della trascrizione della donazione. Lo
stesso art. 563, ult. co., c.c. prescrive che tale termine possa essere sospeso nel caso in cui il futuro
legittimario ponga in essere una attività (l'atto di opposizione alla donazione) che manifesti
l'interesse di tale soggetto a mantenere integro il proprio diritto. Come già visto in precedenza(72),
l'atto di opposizione alla donazione, quale fatto sospensivo del termine decadenziale ventennale, si
configura, nei confronti del futuro legittimario, come un onere. Da tutto quanto appena detto
sembrerebbe, dunque, confermata l'impostazione che considera il termine ventennale come un
termine di decadenza, in coerenza con lo stesso art. 2964 c.c., che non esclude la possibilità che la
legge preveda una sospensione di un termine decadenziale(73).
Il nuovo testo dell'art. 563, ult. co., c.c., dopo aver riconosciuto la possibilità che il termine di venti
anni possa essere sospeso attraverso l'atto di opposizione alla donazione, mantiene, in ogni caso,
fermo il limite di cui all'art. 2652, n. 8, c.c. In base a tale disposizione, posta dal legislatore a tutela
dei terzi, nel caso in cui la domanda di riduzione sia stata trascritta trascorsi dieci anni dall'apertura
della successione, la sentenza che accoglie tale domanda non pregiudicherà quei terzi che abbiano
acquistato diritti a titolo oneroso e ne abbiano curato la trascrizione o l'iscrizione prima della
trascrizione della domanda stessa. Da una lettura delle due norme sembrerebbe ricavarsi il
principio, dunque, per cui nel conflitto tra un terzo acquirente ed il legittimario opponente, che
abbia trascritto la propria opposizione successivamente alla morte del donante, trascorsi dieci anni
dalla morte del donante, prevarrà sempre colui che potrà vantare una iscrizione o trascrizione
anteriore, anche nell'ipotesi in cui il termine di venti anni dalla trascrizione della donazione non
fosse ancora decorso(74).
9. I caratteri dell'atto di opposizione
L'art. 563 c.c. qualifica l'atto di opposizione alla donazione come un atto stragiudiziale, personale,
rinunciabile e rinnovabile; a queste caratteristiche espressamente previste dalla legge sembrerebbe
potersi aggiungere che ci si trova in presenza di un atto giuridico in senso stretto effettuabile
solamente durante la vita del donante.
A) Non sembra ci possano essere dubbi nel ritenere che il diritto dei legittimati ad opporsi alla
donazione cessi con la morte del donante: a sostegno di una tale conclusione possono, infatti,
addursi due argomenti, l'uno di carattere letterale, desumibile dallo stesso art. 563 c.c., l'altro di
carattere sostanziale(75).
Preliminarmente non può essere taciuta la circostanza, già evidenziata in precedenza(76), di come il
legislatore della riforma si sia riferito ai soggetti legittimati ad opporsi non come legittimari, bensì
parli di coniuge, discendenti e ascendenti. Tali soggetti, infatti, acquisteranno la qualifica di
legittimari solo in un momento logicamente posteriore alla donazione, quello della morte del
donante; la terminologia usata dal legislatore, dunque, sembrerebbe confermare il fatto che il diritto
ad opporsi nasca nel momento in cui un donante ponga in essere una donazione e cessi nel
momento in cui quello stesso soggetto muoia.
A tale argomento di carattere prettamente letterale, può esserne addotto uno ulteriore di carattere
sostanziale. Durante la vita del donante, infatti, il futuro legittimario rischiava di veder trascorrere il
nuovo termine ventennale introdotto con la riforma senza avere la possibilità di agire; con
l'introduzione dell'istituto dell'opposizione alla donazione viene, invece, riconosciuta la possibilità,
opponendosi, di sospendere il decorso di tale termine. Con la morte del donante, al contrario, il
legittimario non avrà più alcun interesse a sospendere il termine poiché ben potrà agire direttamente
con l'azione di riduzione e con l'azione di restituzione, con l'unico limite di dieci anni previsto
dall'art. 2652, n. 8), c.c.
B) Il diritto di opposizione è qualificato dalla legge come un diritto personale. Una prima, rilevante,
conseguenza di tale previsione va ravvisata nella circostanza che, non essendo un atto
personalissimo, l'opposizione può essere effettuata anche da un rappresentante del soggetto
legittimato ad opporsi debitamente autorizzato. Opinando in maniera differente si verrebbe, infatti,
a creare una situazione di forte disuguaglianza ed ingiustizia. Si pensi al caso di un individuo
incapace(77) che, pur essendo titolare del diritto, non potrebbe in pratica esercitarlo. Negare che tale
soggetto possa essere rappresentato nel compiere l'atto di opposizione, equivarrebbe a
ridimensionare in maniera preoccupante ed ingiustificata la tutela offerta ai futuri legittimari(78).
La personalità di tale diritto deve essere ricercata sotto altri aspetti: in primo luogo, parlando di
diritto personale, il legislatore sembrerebbe aver voluto che dell'atto di opposizione si avvantaggi
esclusivamente il soggetto che lo ponga in essere: di una opposizione notificata e trascritta, per
esempio, dal solo coniuge del donante, non potrebbero avvalersi gli ascendenti od i discendenti del
donante stesso che, al contrario, non abbiano compiuto alcuna attività in tal senso(79).
In secondo luogo dalla personalità del diritto di opposizione sembrerebbe derivare l'incedibilità del
diritto stesso da parte del suo titolare(80).
Infine, si deve ritenere che i creditori del titolare del diritto di opposizione non possano agire in via
surrogatoria per far valere il diritto del loro debitore(81).
C) Dal dato letterale del novellato art. 563 c.c. si ricava che l'opposizione alla donazione è un atto
stragiudiziale. Con tale affermazione, da una parte della dottrina ritenuta “sovrabbondante”(82),
sembrerebbe volersi indicare la circostanza per cui tale atto non è volto in alcuna maniera a
censurare in sede giurisdizionale la validità della donazione, bensì che è posto in essere al solo fine
di produrre l'effetto sospensivo dei termini di cui agli artt. 561 e 563 c.c.(83).
D) L'atto di opposizione sembrerebbe doversi considerare come un atto giuridico in senso stretto.
Infatti, anche in considerazione della natura personale del diritto e, soprattutto, della forte incidenza
rivestita in ambito familiare, non sembra sia possibile che i soggetti legittimati ad opporsi possano
modulare gli effetti di tale atto inserendo, per esempio, termini o condizioni(84).
E) In base all'espressa formulazione dell'art. 563, ult. co., c.c., l'atto di opposizione è un atto
rinnovabile.
La norma stabilisce, infatti, che l'atto di opposizione perde il suo effetto sospensivo se non è
rinnovato prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione. Discende da ciò che al futuro
legittimario è riconosciuta la possibilità di prorogare per successivi periodi ventennali l'effetto
sospensivo del termine realizzato con l'opposizione. Sostanzialmente, dunque, così facendo, il
legislatore ha reso uguale a quella precedente la tutela dei diritti successori del coniuge e dei parenti
in linea retta del donate, con la sola condizione che tali soggetti abbiano avuto la accortezza di
ispezionare con una certa regolarità e diligenza i registri immobiliari(85).
Appare evidente, allora, come l'effetto principale da ricondursi all'atto di rinnovazione
dell'opposizione sia quello di prorogare per un ulteriore periodo ventennale i termini di sospensione
previsti dagli artt. 561 e 563 c.c.; in mancanza di tale atto, viceversa, l'originaria opposizione
perderà i suoi effetti, e, conseguentemente, cesserà anche l'effetto sospensivo.
Sembra corretto ritenere che anche per l'atto di rinnovo dell'opposizione debbano essere compiute
nuovamente tutte le attività e le formalità previste per l'originario atto di opposizione.
Conseguentemente, ritenendosi che anche l'atto di rinnovazione vada notificato e trascritto, proprio
al fine di garantire meglio i terzi potenziali aventi causa dal donatario, dovrebbe necessariamente
rivestire la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente,
unici titoli idonei ai fini della trascrizione(86).
10. La rinuncia all'atto di opposizione
Il nuovo 4° co., dell'art. 563 c.c. prescrive espressamente che il diritto dell'opponente è rinunciabile.
Si delinea così, nel nostro ordinamento, un nuovo istituto, quello della rinuncia al diritto di opporsi
ad una donazione. Tale ulteriore figura, introdotta dalle leggi n. 80/2005 e n. 263/2005, ha suscitato
notevoli difficoltà interpretative nella dottrina, difficoltà dovute, principalmente, all'assai scarna
formulazione legislativa. Il legislatore, infatti, si è limitato ad affermare la rinunciabilità del diritto
di opposizione, nulla dicendo riguardo i requisiti di forma e di sostanza di tale atto.
Uno dei primi problemi che devono essere analizzati riguarda, essenzialmente, il momento in cui
possa essere effettuato l'atto di rinuncia all'opposizione. Difatti, nel silenzio della norma, potrebbe
sorgere la questione se tale atto possa essere posto in essere solo preventivamente all'opposizione
oppure se sia possibile rinunciare ad un atto di opposizione già esistente(87).
Una parte della dottrina(88), muovendo dalla eccezionalità della nuova normativa rispetto alla
disciplina generale della successione necessaria, è orientata a ritenere che sia ammissibile
esclusivamente una “rinuncia preventiva”. In base a tale concezione, infatti, concedere la possibilità
di rinunciare – o meglio revocare – una opposizione già posta in essere contrasterebbe sia con le
intenzioni del legislatore sia con la disciplina stessa dell'opposizione alla donazione. Contrasterebbe
con le stesse intenzioni del legislatore poiché verrebbe disatteso lo scopo che sembra essere alla
base della riforma, ovvero quello di favorire la circolazione dei beni di provenienza donativa:
l'eventualità, infatti, che possa rinunciarsi ad una opposizione già posta in essere non assicurerebbe
quella certezza tanto ricercata. Contrasterebbe, altresì, con la disciplina prevista, più in generale, per
l'opposizione: se infatti questa ha una disciplina rigida, «non si vede perché tale rigidità non
coinvolga anche la rinuncia nel senso che è possibile solo la rinuncia preventiva, come risulta dalla
lettera della legge»(89).
Tuttavia sembra preferibile, accostandosi alla dottrina dominante, ammettere sia la possibilità di una
rinuncia preventiva sia di una rinuncia/revoca ad un atto di opposizione(90). A tale riguardo, infatti,
non sembra sia possibile trarre argomenti a favore della tesi contraria dal tenore letterario dell'art.
563 c.c., il quale, tacendo sul punto, sembra lasciare aperta la possibilità di rinunciare anche agli
effetti di una opposizione già proposta. Un ulteriore argomento a favore di una simile impostazione
può essere ricavato se sol si pensa alle ben note finalità che hanno spinto il legislatore ad intervenire
in tale settore. Infatti, tenendo bene a mente che con la riforma si è cercato di favorire la
circolazione dei beni di provenienza donativa, sembrerebbe possibile sia affermare, con un certo
grado di sicurezza, la irreversibilità di tutte quelle attività da cui far scaturire la rinuncia ad
avvalersi della sospensione del termine ventennale, sia, al contrario, la possibilità di revocare ogni
attività volta ad impedirne il decorso(91).
Un ulteriore problema su cui occorre soffermare l'attenzione, riguarda, essenzialmente, la forma che
la rinuncia all'atto di opposizione debba rivestire. Anche in questo caso, infatti, il legislatore non si
è pronunciato, lasciando aperta la questione.
Preliminarmente, sembrerebbe lecito poter affermare che la rinuncia all'opposizione possa essere
contenuta nello stesso atto di donazione intercorso tra il donante ed il donatario. In una simile
eventualità ben potrebbe, infatti, prospettarsi l'ipotesi in base alla quale, al momento del rogito
notarile siano presenti, oltre alle parti della atto di donazione, anche i soggetti legittimati ad opporsi.
La dichiarazione di rinuncia potrà, dunque, essere contenuta nel corpo della donazione stessa ed
allora rivestirà la forma dell'atto pubblico, così come prescritto dall'art. 782 c.c.(92).
Il discorso si complica nel momento in cui si ipotizza la possibilità che la rinuncia non sia
contestuale alla donazione, ma che tale dichiarazione sia inserita in un atto separato. In una logica di
simmetria e di raccordo con la disciplina dettata dal legislatore riguardo l'atto di opposizione,
sembrerebbe potersi affermare che anche per la rinuncia, quantomeno quando abbia ad oggetto un
bene immobile, sia necessaria la forma scritta(93). A ciò si aggiunga che, in maniera analoga a
quanto detto in precedenza con riguardo alla forma dell'atto di opposizione ed alla sua
trascrizione(94), un problema simile si pone infatti anche per la rinuncia.
Non può negarsi, infatti, che anche riguardo tale atto la necessità che sia assicurata la conoscibilità
ai terzi attraverso idonee forme di pubblicità diventa un'esigenza quanto mai essenziale.
Conseguentemente, sembrerebbe non potersi negare che anche la rinuncia debba rivestire una delle
forme richieste dall'art. 2657 c.c. per la trascrizione e, quindi, l'atto pubblico od una scrittura
privata autenticata.
Un simile ragionamento non esclude l'eventualità, in verità più che altro astratta, che, stante il
silenzio della legge, la rinuncia possa essere compiuta anche tacitamente, sempreché una volontà in
tal senso sia inequivocabile. Appare in ogni caso evidente come in una simile evenienza, pur
praticabile in via teorica, rischierebbe di disattendere le esigenze pubblicitarie strettamente connesse
alla riforma degli artt. 561 e 563 c.c.
Una volta chiarito il problema relativo alla forma dell'atto di rinuncia e, soprattutto, sottolineata
l'importanza centrale che riveste la conoscibilità di una tale dichiarazione, rimane da analizzare
come una siffatta volontà possa essere esteriorizzata. A tale riguardo sembra opportuno effettuare
una distinzione, a seconda che ci si trovi in presenza di una rinuncia preventiva o di una
rinuncia/revoca successiva ad un atto di opposizione.
Nella prima ipotesi, quella di rinuncia preventiva, la dottrina che si è occupata della questione è
divisa. Una prima corrente ritiene che in tale eventualità non sia in alcuna maniera possibile rendere
noto ai terzi l'avvenuta dichiarazione di rinuncia da parte di uno dei soggetti di cui all'ult. co.
dell'art. 563 c.c.(95). Sembrerebbe, tuttavia, più conforme alle intenzioni del legislatore l'opinione
accolta dalla dottrina maggioritaria, secondo cui anche la rinuncia preventiva possa essere trascritta
autonomamente con l'importante funzione di rendere noto ai terzi l'esistenza di tale atto(96). Da una
angolazione esclusivamente formalistica una simile trascrizione andrebbe presa «contro» il
potenziale legittimario ed «a favore» del donatario.
Nell'ipotesi in cui, invece, ci si trovi in presenza di una rinuncia/revoca successiva ad una
opposizione già trascritta, la dottrina è concorde nel ritenere che in tale caso l'atto debba essere
pubblicizzato. Problemi e divergenze sorgono, tuttavia, nel momento in cui ci si fermi ad analizzare
la formalità da curare: una parte della dottrina ipotizza che l'atto di rinuncia possa costituire un
valido titolo ex art. 2668 c.c. per richiedere la cancellazione della trascrizione della precedente
opposizione(97). Altra parte della dottrina ritiene, invece, che anche in caso di rinuncia/revoca
successiva sia necessario curare un'autonoma trascrizione, sempre contro il potenziale legittimario
ed a favore del donatario(98). Appare preferibile, tuttavia, la soluzione accolta da quella parte della
dottrina secondo cui sarebbe sufficiente, argomentando dall'art. 2655 c.c., che la rinuncia venga
annotata a margine della trascrizione dell'originaria opposizione(99). Un soggetto che andasse a
consultare i registri immobiliari si troverebbe, così, in presenza di un unico documento da cui poter
evincere in tutta sicurezza l'avvenuta rinuncia ad una opposizione comunque effettuata in
precedenza.
Per quanto concerne i caratteri dell'atto di rinuncia, si rimanda a quanto detto in precedenza con
riguardo all'opposizione(100). Si ritiene, infatti, che anche la rinuncia possa essere qualificata come
un atto giuridico in senso stretto, di carattere personale.
Ulteriore caratteristica, peculiare alla rinuncia, va ravvisata nella sua irrevocabilità(101). Difatti,
argomentando in maniera differente, quella certezza che si è cercata di raggiungere con la riforma
verrebbe meno. Se scopo della legge è quello di rendere sicura e stabile la circolazione dei beni di
provenienza donativa, sembra logico affermare che la scelta del potenziale legittimario di rinunciare
all'opposizione debba essere intesa come definitiva ed irretrattabile. Opinando in maniera differente
si verrebbe a creare una situazione paradossale, in base alla quale, per esempio, un soggetto, dopo
aver rinunciato ad opporsi contestualmente alla donazione, decida, in un secondo momento, magari
poco prima dello scadere del ventennio, di revocare la propria rinuncia e di opporsi alla donazione.
Le conseguenze di tale ipotesi sarebbero in palese contrasto con la ratio dell'intervento riformatore,
in quanto la certezza e la stabilità tanto ricercate non sarebbero raggiunte.
Anche l'atto di rinuncia, come l'atto di opposizione, può essere qualificato come un atto di
straordinaria amministrazione, per la semplice ragione che, determinando l'impossibilità di agire
con l'azione di restituzione nei confronti dei terzi aventi causa dal donatario, inciderebbe
potenzialmente, in negativo, sul patrimonio del soggetto rinunciante(102).
Soggetti legittimati ad effettuare l'atto di rinuncia sono gli stessi che, in base all'ult. co. dell'art. 563
c.c., possono opporsi alla donazione e, conseguentemente, il coniuge ed i parenti in linea retta del
donante(103).
11. Segue: gli effetti della rinuncia
Un ulteriore aspetto della questione che merita di essere approfondito riguarda gli effetti da
riconnettersi alla rinuncia all'opposizione. In particolare, l'analisi della problematica in esame deve
orientarsi verso due direzioni ben precise: in primo luogo occorre individuare il momento a partire
dal quale, a seguito della intervenuta rinuncia, il bene di provenienza donativa possa considerarsi
definitivamente inattaccabile da parte dei futuri legittimari; successivamente, risulta necessario
prendere in attenta considerazione gli eventuali rapporti che possono intercorrere tra la rinuncia
all'opposizione e la rinuncia all'azione di riduzione.
Passando a considerare più nello specifico la prima questione, quella inerente gli effetti da
riconnettersi alla rinuncia all'opposizione, un primo dato da cui far partire la nostra indagine sembra
potersi ricavare dalla lettera dell'ult. co. dell'art. 563 c.c. Da tale disposizione discende, come visto
in precedenza(104), che i termini ivi previsti rimangono sospesi nell'eventualità in cui uno dei
soggetti legittimati si opponga alla donazione. Conseguentemente, non sembra ci possano essere
perplessità nel ritenere che il principale effetto scaturente dalla rinuncia sia quello di impedire il
verificarsi di tale effetto sospensivo. Il soggetto legittimato, infatti, rinunciando ad opporsi,
rinuncerebbe ad avvalersi dell'effetto sospensivo che la legge riconnette all'opposizione(105). Nel
caso in cui, dunque, ci si trovi in presenza di una rinuncia preventiva, il termine di venti anni
trascorso il quale il legittimario, leso nella propria quota di legittima ed escusso infruttuosamente il
patrimonio del donatario, non potrà più agire con l'azione di restituzione, non subirà alcuna
alterazione nel suo decorso. Nella ipotesi in cui, invece, venga posta in essere una rinuncia/revoca
successiva, il termine ventennale sospeso ricomincerà il suo decorso(106).
Dopo aver esposto brevemente gli effetti che sembrano potersi far discendere dalla rinuncia
all'opposizione, appare evidente come una delle prime domande cui, necessariamente, occorre dare
una risposta riguarda il dies a quo in cui i pesi e le ipoteche eventualmente costituite su di un bene
di provenienza donativa si consolidino od in cui l'acquisto da parte di un terzo avente causa dal
donatario possa considerarsi inattaccabile dai legittimari lesi nella loro quota di legittima.
La dottrina che si è occupata di tale questione ha offerto due soluzioni fra di loro diametralmente
opposte.
Per una prima tesi, basandosi sul dato letterale dell'art. 563 c.c., la rinuncia all'opposizione avrebbe
l'esclusivo effetto di non sospendere il decorso del termine di venti anni con la conseguenza che, per
poter considerare l'acquisto in capo al terzo «stabile», risulta, in ogni caso, necessario attendere che
sia decorso il termine nella sua interezza(107). Anche perché, per i fautori di tale tesi, attribuire alla
rinuncia l'ulteriore effetto di rendere immediatamente stabile l'acquisto, nell'eventualità in cui il
donatario riesca ad ottenere le rinunce di tutti i soggetti legittimati all'opposizione, «sarebbe
un'ipotesi suggestiva ed in sintonia con lo spirito della nuova legge: il problema è che essa va più in
là di ciò che appare dalla lettura del testo della legge»(108).
La tesi opposta, invece, aderendo principalmente allo spirito che ha animato la riforma, ritiene che,
una volta intervenuta la rinuncia, affinché il bene possa considerarsi definitivamente stabile e,
conseguentemente, commerciabile, non sia necessario attendere il trascorrere del termine di
ventennale(109).
Delle due opinioni espresse dalla dottrina appare preferibile la seconda, poiché, indubbiamente,
maggiormente aderente alla ratio dell'intervenuta novella legislativa. Non sembra, infatti, che si
possano trarre argomenti contrari ad una simile soluzione dalla circostanza che il legislatore non
abbia preso posizione al riguardo.
Sostanzialmente, tramite la rinuncia al diritto di opporsi, il potenziale legittimario esprimerebbe la
propria volontà di stabilizzare gli effetti della donazione intercorsa tra il donante ed il legittimario e,
dunque, di stabilizzare gli effetti delle potenziali contrattazioni poste in essere dal donatario stesso.
In virtù di tali considerazioni sembrerebbe potersi affermare, sempre avendo ben presente che la
principale finalità della riforma risulta essere quella di rendere stabile la circolazione dei beni di
provenienza donativa, che alla rinuncia all'opposizione possa riconoscersi non solo l'effetto di
impedire la sospensione dei termini di cui all'art. 563 c.c., ma anche l'ulteriore effetto di rinunciare
all'azione di restituzione(110).
Il legislatore, in altri termini, concedendo ai potenziali legittimari la facoltà di rinunciare
all'opposizione, attribuirebbe a tali soggetti la possibilità di disporre di tale azione: i soggetti
indicati dall'art. 563 c.c., infatti, rinunciando ad opporsi alla donazione, rinuncerebbero alla tutela
reale concessa dalla legge in sede di azione di riduzione.
Tuttavia, anche in virtù delle considerazioni svolte in precedenza(111), forti dubbi riguardo l'idoneità
pratica dell'istituto della rinuncia all'opposizione di conseguire lo scopo voluto dal legislatore
permangono. Difatti, non bisogna dimenticare la circostanza che la novella non sembra aver tenuto
in debito conto il fatto che gli scenari familiari non sono statici bensì sono soggetti a mutamenti nel
corso degli anni. La stabilità tanto ricercata non potrebbe essere raggiunta neanche nel caso in cui il
donatario riesca ad ottenere le rinunce di tutti i potenziali legittimari per l'evidente ragione che il
donante ben potrebbe, in un momento successivo alla donazione, contrarre matrimonio od avere un
figlio. In tutte queste ipotesi, infatti, verrebbe ad esistenza un nuovo titolare del diritto ad opporsi
che, esercitandolo, vanificherebbe, limitatamente alla sua quota, l'effetto di stabilità riconnesso alle
rinunce degli altri soggetti.
Il riconoscimento dell'ulteriore effetto da riconnettersi alla rinuncia, ovvero quello per cui il
soggetto rinuncerebbe, altresì, all'azione di restituzione, non deve indurre a ritenere che dalla
rinuncia stessa discenda anche la rinuncia all'azione di riduzione.
La dottrina, infatti, è pressoché unanime nel negare tale eventualità in un'ottica, soprattutto, di
coerenza dell'intera normativa in materia successoria(112). Difatti la riforma non ha modificato in
alcuna maniera il divieto contenuto nell'art. 557, 2° co., c.c.: la rinuncia all'azione di riduzione,
dunque, rimane indisponibile per i futuri legittimari, durante la vita del donante. Ci si trova in
presenza di due azioni ben distinte, l'una esercitabile esclusivamente durante la vita del donante,
l'altra solamente nel momento in cui tale soggetto deceda. In sostanza, rinunciando all'opposizione,
un soggetto rinuncerebbe esclusivamente alla tutela reale offerta dall'azione di riduzione con
l'azione di restituzione, non, invece, all'azione di riduzione in sé, la quale rimarrebbe pur sempre
indisponibile durante la vita del donante futuro de cuius. L'effetto che si verificherebbe,
conseguentemente, parrebbe essere quello, rinunciando alla tutela reale offerta dall'azione di
riduzione, di degradare tale azione a meramente obbligatoria nei confronti del donatario(113).
12. Segue: rinuncia all'opposizione e patti successori
Problema particolarmente delicato riguardante l'istituto della rinuncia all'opposizione afferisce
all'ipotetica lesione, da parte di questa figura, del divieto dei patti successori sancito dall'art. 458
c.c., ed, in particolar modo, di quelli rinunziativi previsti dal capoverso dell'articolo in esame(114).
In via preliminare non sembra potersi accogliere quella tesi che identifica nel 4° co. dell'art. 563
c.c. una deroga implicita al divieto codicistico dei patti successori(115). La tesi appare senza dubbio
suggestiva e sembrerebbe trovare conferma dalla recente tendenza manifestata dal legislatore volta
ad intaccare il divieto in parola, tendenza espressa principalmente con il nuovo istituto del patto di
famiglia(116). Non sembra, tuttavia, che il richiamo a tale figura possa avvalorare la tesi secondo cui
anche la rinuncia all'opposizione alla donazione derogherebbe al divieto dei patti successori. Difatti,
apparirebbe quantomeno singolare la scelta del legislatore di derogare espressamente l'art. 458 c.c.
per un istituto speciale, quale il patto di famiglia, ed, invece, di avvalersi di una deroga implicita
quando si è trattato di intervenire in una materia più ampia come quella rappresentata dalla tutela
dei legittimari offerta con l'azione di riduzione(117).
Al contrario, la dottrina maggioritaria ritiene che la fattispecie in esame non rappresenti una deroga
al divieto dei patti successori per la semplice ragione che non rientrerebbe nello schema di tale
figura(118). Non potrebbe parlarsi di patto successorio, infatti, poiché il soggetto che rinuncia ad
opporsi eserciterebbe un proprio diritto attuale, il quale avrebbe la propria causa in una donazione
già perfezionata e non, invece, come avviene nella figura disciplinata dall'art. 458 c.c., in una
successione non ancora aperta.
I dubbi sembrano permanere sia che si segua la teoria della deroga implicita sia che si preferisca
quella per cui la fattispecie non configurerebbe un patto successorio. Pare potersi affermare che
l'istituto della rinuncia all'opposizione si situi in una posizione tale da poter facilmente eludere il
divieto posto dall'art. 458 c.c.
Nel caso in cui, infatti, un soggetto rinunci ad opporsi, rinunciando così alla tutela reale offerta
dall'azione di riduzione, accetterebbe il rischio potenziale, magari dietro un simbolico corrispettivo,
che, al momento dell'apertura della successione, le sue ragioni sulla quota di legittima vengano
disattese in quanto impossibilitato a rivalersi sia sull'asse ereditario che sul patrimonio del
donatario.
Per meglio comprendere la situazione si consideri il seguente esempio: Tizio, proprietario di un
fondo, unico cespite del suo patrimonio, decide di donarlo al figlio Caio. Al momento del rogito
interviene, oltre a Tizio e Caio, Sempronio, altro figlio del donante, il quale, dietro il pagamento di
una somma simbolica di denaro da parte del proprio padre, manifesta la propria volontà di
rinunciare ad opporsi. Trascorsi dieci anni dalla trascrizione della donazione, Caio decide di
vendere il fondo a Mevio e, nel tempo intercorrente tra tale evento e l'apertura della successione di
Tizio, deceduto pochi anni dopo, sperpera il ricavato della vendita. Apertasi la successione,
Sempronio, il quale al momento della donazione aveva ricevuto una somma di denaro simbolica a
fronte della propria rinuncia ad opporsi, non potrà soddisfare i propri diritti di legittima in quanto
non troverà alcun bene sia nel patrimonio di Tizio sia in quello di Caio.
Dall'esempio prospettato appare come la fattispecie, in maniera indiretta, possa integrare un
esempio di patto successorio: non ci sono dubbi, infatti, che il potenziale legittimario, rinunciando
ad opporsi, eserciti un proprio diritto attuale scaturente dall'avvenuta donazione, ma è pur vero che
tale esercizio potrebbe avere rilevanti ripercussioni negative sui propri diritti inerenti alla legittima.
Il legittimario accetterebbe tale rischio ma l'eventuale dazione di una somma di denaro ben potrebbe
integrare un patto successorio intercorrente tra il futuro legittimario ed il donante.
Sembra, quindi, sulla base della sia pur breve analisi compiuta, poter affermare che le finalità
ricercate dal legislatore non siano state totalmente raggiunte.
L'istituto in esame, come visto, presenta, infatti, alcuni aspetti problematici che potrebbero rischiare
di disattendere la reale operatività nel settore dei traffici immobiliari.
Il rischio di una declaratoria di incostituzionalità, che potrebbe essere risolta estendendo l'ambito di
applicazione soggettivo dell'istituto anche a quei soggetti che acquisterebbero il diritto di opporsi in
un momento successivo alla trascrizione della donazione, avrebbe l'effetto di paralizzare
completamente la nuova figura dell'opposizione alla donazione, al punto da non riscontrare
differenza alcuna tra il vecchio ed il nuovo impianto codicistico in materia.
A ciò si aggiunga che, forse, sarebbe stata preferibile un'espressa menzione di una deroga all'istituto
dei patti successori, previsto dall'art. 458 c.c.; omettendo tale previsione, invece, la figura della
rinuncia all'opposizione parrebbe porsi in aperto contrasto con la detta disposizione del codice.
Sarebbe stata questa, forse, un'occasione per cominciare ad aprire una breccia all'interno della
categoria dei patti successori ed a riconoscere maggior valore alla libera estrinsecazione della
volontà di un soggetto.
----------------------(1)
Il c.d. Decreto competività convertito dalla l. 14.5.2005, n. 80 pubblicata nella G.U. 14.3.2005, n.
111 entrata in vigore il 15.5.2005.
(2)
La legge è stata pubblicata nella G.U. del 28.12.2005, n. 301 ed è entrata in vigore il 29 dicembre
2005.
(3)
Con l'azione di riduzione, disciplinata dagli artt. 553 ss. c.c., il legislatore ha voluto assicurare
all'erede legittimario, leso nella propria quota di legittima, un rimedio per far dichiarare nei suoi
confronti l'inefficacia delle disposizioni testamentarie e delle donazioni lesive. Differisce da questa
l'azione di restituzione, (artt. 561 ss. c.c.), che può essere rivolta o contro i destinatari delle
disposizioni ridotte ed in questo caso avrà carattere personale, poiché esperibile solo nei confronti
degli onorati delle disposizioni testamentarie, o contro i terzi aventi causa dal donatario, avendo in
questo caso natura reale, per la ragione che non sarà proponibile contro soggetti predeterminati, ma,
al contrario, perseguirà il bene nei confronti di ogni subacquirente. Cfr. Capozzi, Successioni e
donazioni, I, Milano, 2002, 2ª ed., 304 ss. e Palazzo, Le successioni, I, Milano, 2000, 2ª ed., 565 ss.
(4)
Possibilità, questa, in ogni caso, lasciata impregiudicata anche dalla vigente normativa (art. 563,
3° co., c.c.).
(5)
Non è difficile accorgersi del grande squilibrio che un siffatto meccanismo produceva: dal
momento che l'art. 563 prevedeva tra i presupposti per poter esperire l'azione di restituzione da
parte dei legittimari nei confronti degli aventi causa dal donatario, l'infruttuosa escussione del
patrimonio di tale soggetto, difficilmente il terzo avrebbe potuto successivamente soddisfare la
propria pretesa nei confronti di un patrimonio già in partenza deficitario.
(6)
Appare evidente come, prima del maturare di tali termini, il terzo acquirente subiva una vistosa
limitazione al suo potere dispositivo in ordine a quel determinato bene, limitazioni derivanti,
appunto, dalla forte instabilità che caratterizzava tutti i beni di provenienza donativa. Le incertezze
che una simile situazione comportava erano notevoli e, nella maggior parte dei casi, andavano tutti
a discapito della sicurezza della circolazione dei diritti immobiliari e della concreta possibilità di
ottenere erogazioni di credito, a fronte di garanzie reali concesse sugli immobili stessi. La
provenienza donativa di un bene immobile era, infatti, disincentivo sufficiente a far sì che gli istituti
di credito non concedessero mutui a fronte di ipoteche iscritte su detti beni: conseguenza di ciò era
la concreta difficoltà per il donatario di poter vendere od adoperare come garanzia il bene che gli
fosse pervenuto a seguito di una donazione.
Sul fatto che il momento da cui cominciano a decorrere i termini per la trascrizione dell'azione di
riduzione sia quello dell'apertura della successione del donante si veda, in giurisprudenza, Cass.,
S.U., sent. n. 20644/2004, in Notariato, 2005, 12 ss., dove è dato leggere: «nel caso in cui la lesione
derivi da donazioni, è indubbio che il termine per esperire l'azione di riduzione decorra dalla data di
apertura della successione, non essendo sufficiente il relictum a garantire al legittimario il
soddisfacimento della quota di riserva».
(7)
Antecedentemente alla riforma era evidente la netta predilezione del legislatore nei riguardi dei
legittimari, riflesso soprattutto del favor legislativo nei confronti della famiglia: la tutela accordata
ai legittimari era pressoché assoluta frustrando, conseguentemente, ogni aspettativa che facesse
capo ad un terzo estraneo al nucleo familiare che poteva quasi sempre essere soggetto all'azione di
restituzione senza poter fare nulla a riguardo.
(8)
L. 18 ottobre 2001, n. 383, capo VI, artt. 13 ss.
Infatti, antecedentemente al 2001, il ricorso allo strumento della donazione non era particolarmente
frequente, anche a causa della tassazione prevista e il problema dei beni di provenienza donativa era
sostanzialmente limitato. Con l'abrogazione delle imposte sulle successioni e donazioni, invece,
l'istituto della donazione ha conosciuto una seconda giovinezza: la mutata realtà sociale ha infatti
incentivato il ricorso a questo strumento, anche in vista di una anticipata distribuzione dei propri
beni, a fini anticipatori della propria volontà successoria, da parte di un determinato soggetto.
A tale proposito appare opportuno dare conto del fatto che, specie negli ultimi anni, soprattutto a
seguito dell'introduzione nel nostro ordinamento della figura del patto di famiglia (art. 2, l.
14.2.2006, n. 55), si è registrata un'apertura nel rigido sistema successorio previsto dal nostro
Codice Civile, che limita fortemente, attraverso la tutela riconosciuta ai legittimari, la volontà del de
cuius. In campo successorio, infatti, sono sempre stati presenti due filoni di pensiero, un primo, di
tradizione romanistica, che vede nella volontà del de cuius il perno di tutto il sistema successorio: in
base ad una tale concezione viene, infatti, esaltata l'autonomia dell'individuo, che rimane libero di
disporre come meglio creda dei suoi beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere. Di esercitare
cioè quella facultas testandi così ampia in diritto romano, ai tempi dell'Impero, che ha fatto
affermare ad un famoso storico del diritto che (Lee, The elements of Roman Law, London, 1956,
213 ss.) «nessun cittadino romano rispettabile sarebbe morto intestato»; un secondo, di tradizione
germanica, che, al contrario, basandosi sul concetto di proprietà familiare o tribale del
patrimonio,vede nella successione un trasferimento dei poteri di amministrazione sui beni piuttosto
che una vera e propria dismissione di proprietà. Di qui la necessità di garantire legislativamente la
trasmissione del patrimonio di generazione in generazione in maniera ordinata. L'ordinamento
italiano rappresenta una sintesi di queste due concezioni, in quanto l'autonomia individuale risulta
limitata da disposizioni che tutelano determinati soggetti, i legittimari, facenti parte dello stretto
nucleo familiare del de cuius. Cfr. Capozzi, op. cit., 5 ss.; Bianca, Diritto civile, II, La famiglia, le
successioni, 4ª ed., Milano, 2005, 532 ss.; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto Civile,
IV, Le successioni a causa di morte, Torino, 1997, 1 ss. L'introduzione dell'istituto del patto di
famiglia sembrerebbe, invece, aprire una breccia in questo sistema, scalfendo in primo luogo il
divieto dei patti successori, emblema di quella concezione germanica che tende a limitare
l'autonomia del singolo a favore del superiore interesse familiare. Con l'abrogazione della
legislazione fiscale in materia di successioni e donazioni si è data una ulteriore spinta verso una
maggiore esaltazione della volontà del de cuius, volontà che sembra rivestire un ruolo, oggi,
maggiore rispetto agli anni precedenti.
(9)
Si veda in proposito l'incipit dell'art. 2, co. 4 nonies, l. 14.5.2005, n. 80 «Al fine di agevolare la
circolazione dei beni immobili già oggetto di atti di disposizione a titolo gratuito».
Cfr. Busani, L'atto di opposizione alla donazione, Studio n. 5809/C approvato dalla Commissione
studi civilistici del Consiglio Nazionale del Notariato il 21 luglio 2005, 3.
(10)
È opportuno precisare che in origine il legislatore aveva stabilito un termine di decorrenza
differente: il testo dell'art. 563, così come previsto dalla l. 14.5.2005, n. 80, prevedeva, infatti, che il
termine cominciasse a decorrere dalla data della donazione. L'attuale formulazione è dovuta alla
correzione apportata con la successiva l. 28.12.2005, n. 263. Il fatto che i due artt., il 561 ed il 563
come previsto dalla l. n. 80, prevedessero due termini di decorrenza differenti aveva generato alcuni
dubbi nella dottrina. Secondo un primo orientamento la differenza sarebbe dovuta ad un refuso
verificatosi nel corso dei lavoratori parlamentari: il testo originario approvato dalla Commissione
Bilancio del Senato il 21.4.2005, dove si faceva riferimento alla data di trascrizione della
donazione, non venne infatti recepito correttamente al momento della stesura del testo definitivo
della l. n. 80, omettendo di inserire le parole «trascrizione della»; cfr. De Francisco, La nuova
disciplina in materia di circolazione dei beni immobili provenienti da donazione: le regole
introdotte dalla l. 14.5.2005, n. 80, in Riv. notariato, 2005, 1249 ss. e Carlini – Ungari Trasatti, La
tutela degli aventi causa a titolo particolare dai donatari: considerazioni sulla l. n. 80 del 2005, in
Riv. notariato, 2005, 773 ss. Per una seconda impostazione, invece, non ci si dovrebbe discostare
dal significato letterale delle espressioni adoperate dal legislatore. In tal senso si veda Tassinari, La
provenienza donativa tra ragioni dei legittimari e ragioni della sicurezza degli acquisti, Studio n.
5859/C, approvato dal C.N.N. il 9 settembre 2005, 6 e Palazzo, La circolazione di beni oggetto di
donazioni ad opera del donatario e dei suoi aventi causa durante la vita del donante: rimedi
tradizionali e la loro attualità dopo le novità introdotte dalla l. n. 80 del 2005, in Atti del Convegno
Paradigma sul tema «Tutela della legittima e circolazione dei beni anche alla luce della legge sulla
competitività», Milano, 5-6 luglio 2005, 6 del dattiloscritto.
La principale innovazione introdotta dal legislatore con la novella dell'art. 561 c.c. appare senza
dubbio la previsione di un nuovo termine ventennale, trascorso il quale la domanda di riduzione non
avrà più quell'efficacia purgativa che precedentemente rivestiva. Discende da ciò che i creditori
ipotecari ed i beneficiari dei pesi costituiti dal donatario sul bene oggetto di donazione vedranno
consolidarsi il loro diritto trascorso il ventennio dalla data di trascrizione della donazione, e
potranno considerarsi al riparo da ogni pretesa ereditaria vantata dai legittimari. Parlano di efficacia
purgativa dell'azione di riduzione a tale proposito Campisi, Azione di riduzione e tutela del terzo
acquirente alla luce delle ll. 14.5.2005,n. 80 e 28 dicembre 2005, n. 263, in Riv. notariato, 2006,
1269 ss. e Tagliaferri, La riforma dell'azione di restituzione contro gli aventi causa dai donatari
soggetti a riduzione, in Notariato, 2006, 167 ss. Il legittimario, in ogni caso, manterrà il diritto ad
ottenere dal donatario una adeguata compensazione in denaro per il conseguente minor valore dei
beni stessi, con il limite che la relativa domanda venga proposta entro dieci anni dall'apertura della
successione. Tale precisazione dovrebbe portare all'ulteriore conseguenza che il nuovo limite
introdotto dal legislatore si riferisce esclusivamente all'efficacia retroattiva reale dell'azione di
riduzione. Cfr. Capozzi, op. cit., 304 ss. e Palazzo, Le successioni, cit., 584 ss.
Anche con riferimento all'art. 563 c.c., il legislatore ha introdotto un nuovo limite di venti anni
dalla data di trascrizione della donazione, trascorso il quale il legittimario non può più proporre
azione di restituzione nei confronti degli aventi causa del donatario per recuperare i beni di
provenienza donativa che questi hanno acquistato dal donatario stesso. Spirato inutilmente detto
termine, i terzi acquirenti dal donatario consolidano definitivamente il proprio acquisto,
originariamente precario. In tale maniera il legislatore ha fornito una soluzione al problema della
instabilità degli acquisti aventi ad oggetto beni di provenienza donativa, fissando un termine certo,
decorso il quale tali acquisti diventeranno inattaccabili. Conseguentemente, rimanendo inerte, il
legittimario perderà la possibilità di avvalersi dell'efficacia retroattiva reale dell'azione di riduzione,
potendo solo vantare nei confronti del donatario le proprie ragioni di credito, ma senza poter
riottenere il bene, essendosi definitivamente consolidato l'acquisto in capo al terzo.
(11)
Vedi anche Campisi, op. cit., 1269 ss.; Tagliaferri, op. cit., 167 ss.; De Francisco, op. cit., 1249
ss.; Caprioli, Le modificazioni apportate agli articoli 561 e 563 c.c., conseguenze sulla circolazione
dei beni immobili donati, in Riv. notariato, 2005, 1019 ss.; Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 773
ss.; Tassinari, op. cit., 6.
(12)
Tramite la previsione di questo nuovo istituto, il legislatore ha cercato di non distaccarsi
eccessivamente dal solco tradizionale della nostra esperienza giuridica, che tutelava in maniera
quasi assoluta i diritti dei legittimari. Infatti, attraverso l'atto di opposizione alla donazione, si è
cercato di mantenere in vita, a livelli ancora alti, la tutela di coloro che, in futuro, potrebbero
divenire legittimari del donante, a condizione che tali soggetti, durante la vita del donante,
adoperando un minimo di diligenza, si attivino al fine di mantenere integre le loro pretese
restitutorie nei confronti dei terzi aventi causa dal donatario. Cfr. De Francisco, op. cit., 1249 ss.
Non possono essere taciute le perplessità di quella parte della dottrina la quale ritiene che,
concedendo ai futuri legittimari tale diritto, si possano frustare le ragioni che hanno mosso il
legislatore ad intervenire sulla materia in esame. Se, come detto in precedenza, il fine dichiarato
della Riforma è quello di agevolare la circolazione dei beni immobili già oggetto di atti di
disposizione a titolo gratuito, non si può non concordare sul fatto che l'atto di opposizione,
sospendendo il decorso del ventennio, mantenga quella situazione di incertezza che si era cercato di
eliminare. Cfr. Rossano, Rinunzia all'opposizione alla donazione e suoi effetti, in Notariato, 2006,
573 ss.
(13)
In base a quanto disposto dall'articolo 563 ultimo comma, il coniuge ed i parenti in linea retta
del donante.
(14)
Cfr. Pene Vidari – Marcoz, La mini riforma delle donazioni immobiliari: per una tutela
obbligatoria della legittima, in Riv. notariato, 2006, 699 ss.; Campisi, op. cit., 1269 ss.; Carlini –
Ungari Trasatti, op. cit., 773 ss.; Tagliaferri, op. cit., 167 ss.; Caprioli, op. cit., 1019 ss e Delle
Monache, Tutela dei legittimari e limiti nuovi all'opponibilità della riduzione nei confronti degli
aventi causa dal donatario, in Riv. notariato, 2006, 305 ss.
(15)
Così Campisi, op. cit., 1269 ss.
L'apertura della successione indica solo un momento temporale e spaziale, indicando l'inizio ed il
luogo in cui dovrà considerarsi aperta una determinata successione. Tale momento sarà determinato
dalla morte del de cuius. Vocazione e delazione, invece, sono due fenomeni collegati alla necessità
che un nuovo soggetto subentri nel complesso dei rapporti giuridici che facevano capo al soggetto
deceduto. Per vocazione (aspetto soggettivo) deve intendersi la designazione, per legge o
testamentaria, di coloro i quali dovranno succedere. Per delazione (aspetto oggettivo) invece, si
indica il complesso dei diritti, doveri e di tutte le altre situazione giuridiche che facevano capo al de
cuius, che vengono offerte al successore. Cfr. Capozzi, op. cit., 304 ss. e Palazzo, Le successioni,
cit., 13 ss.
(16)
Resta salva, comunque, a seguito della riforma, la possibilità di proporre opposizione alla
donazione e, come meglio si vedrà nel paragrafo successivo, di agire con l'azione di simulazione
con riferimento ad atti a titolo oneroso presunti simulati.
(17)
Cfr. Campisi, op. cit., 1269 ss.; Tagliaferri, op. cit., 167 ss.; Caprioli, op. cit., 1031, il quale si
esprime in tale maniera: «l'opposizione alla donazione è stata configurata dalla legge come
strumento di tutela attuale di una situazione giuridica futura ed eventuale, avente efficacia
prenotativa del diritto di agire nei confronti dei terzi, ove esso dovesse venire ad esistenza, anche
dopo venti anni dalla trascrizione della donazione»; Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 784, per i
quali «sembra si possa affermare che il diritto di opposizione non postuli una anticipazione della
qualità di legittimario in capo ai soggetti cui spetta. Si tratta quindi di un diritto isolatamente
considerato, che al tempo stesso si qualifica come un onere gravante sul coniuge o sul parente in
linea retta al fine di conservare intatto l'eventuale futuro diritto».
(18)
Campisi, op. cit., 1279 e Ieva, La novella degli articoli 561 e 563 c.c.: brevissime note sugli
scenari teorico – applicativi, in Riv. notariato, 2005, 943.
(19)
Cfr. Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 791. Contra, Campisi, op. cit., 1280 per il quale «esso è
un atto di ordinaria amministrazione poiché, senza alterare l'integrità del patrimonio, è volto a
conservare, in via cautelativa, la possibilità per il legittimario – quando si aprirà la successione del
donante – di agire in restituzione contro i terzi aventi causa dal donatario, qualora la vita del
donante medesimo si protragga oltre venti anni dalla trascrizione della donazione». Cfr. anche
Busani, op. cit.
(20)
Art. 563, ult. co., c.c.
(21)
Cfr. anche Campisi, op. cit., 1269 ss.; Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 699 ss.; Baralis, Riflessioni
sull'atto di opposizione alla donazione a seguito della modifica dell'art. 563 c.c., in Riv. notariato,
2006, 277 ss.; Ieva, op. cit., 943 ss.; Busani, op. cit. e Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 773 ss.
(22)
Nella simulazione assoluta le parti fingono di stipulare un contratto mentre in realtà non
intendono costituire alcun rapporto contrattuale. Cfr. Bianca, Diritto Civile, III, Il contratto, Milano,
2006, 695 ss.; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto Civile, I, II, Fatti e atti giuridici,
Torino, 1997, 731 ss.; Gazzoni, Manuale di Diritto privato, 12ª ed., Napoli, 2006, 971 ss. e
Torrente, Manuale di diritto privato, 16ª ed., Milano, 1999, 170 ss.
(23)
Per la dottrina maggioritaria all'azione di simulazione deve essere riconosciuta natura di azione
di accertamento negativo degli effetti di un negozio: conseguentemente, nell'ipotesi di simulazione
assoluta, l'azione, in quanto volta all'accertamento della inefficacia assoluta del negozio simulato, è
imprescrittibile. Bianca, Il contratto, cit., 695 ss.; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Fatti e
atti giuridici, cit., 731 ss. Discende da ciò che il legittimario non avrà alcun limite temporale per
poter esperire l'azione di simulazione e, soprattutto, in tale eventualità, i termini di venti anni
introdotti con la novella, non opereranno nei suoi confronti.
(24)
Si esprime in tal senso Busani, op. cit.
Per la possibilità del legittimario di poter esperire un'azione di accertamento della simulazione dalla
morte del donante cfr. Capozzi, op. cit., 304 ss. e Palazzo, Le successioni, op. cit., 584 ss.
(25)
Che l'interesse del futuro legittimario ad esperire una azione volta ad accertare l'avvenuta
simulazione intercorsa tra il donante ed il donatario si attualizzi immediatamente nel momento
stesso in cui viene posto in essere il negozio giuridico appare in tutta la sua evidenza. L'atto
dispositivo, infatti, ben può essere considerato potenzialmente lesivo della quota di legittima che, al
momento della morte del donante, spetterà al futuro legittimario.
(26)
Cfr. Busani, op. cit., 10.
(27)
Per la dottrina maggioritaria, all'azione di simulazione deve essere riconosciuta natura di azione
di accertamento negativo degli effetti di un negozio. È opportuno distinguere tra simulazione
assoluta e relativa per quanto concerne il profilo della prescrizione: difatti, in caso di simulazione
assoluta l'azione, in quanto volta all'accertamento dell'inefficacia assoluta del negozio simulato, è
imprescrittibile. In caso, invece, di simulazione relativa si rende necessaria un'ulteriore distinzione:
nei casi di interposizione fittizia di persona, dal momento che lo scopo del soggetto che agisce in
simulazione risulta essere quello di accertare il vero contraente, l'azione sarà allora imprescrittibile;
lo stesso è a dirsi in tutti quei casi in cui, comunque, l'azione è volta ad accertare l'eventuale nullità
del negozio dissimulato. Nelle ipotesi in cui, invece, scopo dell'agente è proprio quello di far valere
l'accordo dissimulato, qualora esso debba essere considerato valido ed efficace, si ritiene che
l'azione di simulazione sia soggetta ai normali termini di prescrizione di volta in volta stabiliti per il
negozio stesso che si mira ad accertare. Cfr. Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Fatti e atti
giuridici, op. cit., 731 ss.; Gazzoni, op. cit., 971 ss. e Torrente, op. cit., 170 ss. Contra, Bianca, Il
contratto, cit., 710 per il quale «l'azione di simulazione è imprescrittibile avendo natura di
accertamento; ciò che cade in prescrizione è piuttosto l'azione diretta ad accertare il rapporto
contrattuale dissimulato, trattandosi di una normale azione contrattuale».
(28)
Ieva, op. cit., 943 ss.
(29)
«La simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai
creditore del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare
apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione (art. 2652, n. 4)».
(30)
Cfr. Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 699 ss e Campisi, op. cit., 1269 ss.
(31)
In proposito non sembra sia necessario dover attendere il passaggio in giudicato della sentenza
che accerti la simulazione per poter trascrivere l'atto di opposizione. Cfr. Busani, op. cit., e Campisi,
op. cit., 1269 ss.
(32)
Per donazione indiretta (anche atipica o non contrattuale) deve intendersi – come noto –
qualunque liberalità che, pur potendo derivare da un contratto di altro genere intercorso fra le stesse
parti o da un atto unilaterale, non abbia formato (o per le sue caratteristiche particolari non poteva
formare), oggetto di uno specifico contratto di donazione tra beneficante e beneficato. La donazione
indiretta comporta un vantaggio patrimoniale, pecuniariamente apprezzabile, non causato da un
contratto di donazione, ma prodotto dall'attuazione di un atto materiale o di un negozio giuridico
unilaterale o bilaterale, che, pur avendo un proprio scopo tipico diverso dalla donazione diretta,
raggiunga identico risultato per lo spirito di liberalità che ebbe a determinarlo e per le conseguenze
cui dà luogo; l'arricchimento ha sempre come fonte l'intento di liberalità del donante. Cfr. Casulli,
La donazione, in Enc. dir., XIII, Milano, 1964; Torrente, op. cit., 977 ss.; Carnevali, La donazione,
in Enc. giur., Roma, 1989, XII. Cfr., altresì, Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 699 ss; Busani, op. cit.;
Ieva, op. cit., 943 ss. e Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 773 ss.
Contra, Campisi, op. cit., 1278, secondo cui «in relazione alle donazioni indirette, gli aventi causa
dai beneficiari di tali liberalità non hanno interesse ad avvalersi delle nuove norme in commento.
Nel caso di intestazione di bene in nome altrui con denaro fornito dal donante a tale scopo,
quest'ultimo resta estraneo al rapporto costitutivo del titolo di acquisto del donatario: pertanto il
bene acquistato dal donatario non è mai transitato nel patrimonio del donante e non potrà essere
oggetto di azione di restituzione contro i terzi aventi causa dal donatario».
(33)
Vedi supra, nel testo.
(34)
Le considerazioni svolte in tale paragrafo valgono anche per quel che concerne la legittimazione
a proporre la rinuncia all'atto di opposizione. V. infra, par. 10.
(35)
Cfr. Capozzi, op. cit., 261 ss.; Palazzo, Le successioni, cit., 501 ss. V. anche Busani, op. cit.
(36)
Ovviamente, può ben capitare che tali soggetti non diventeranno mai dei legittimari, come può
accadere nel caso in cui non sopravvivano al donante stesso.
(37)
Norme, queste, che individuano in concreto i soggetti legittimari e stabiliscono le quote loro
spettanti sul patrimonio del de cuius.
(38)
Cfr. Capozzi, op. cit., 261 ss.; Palazzo, Le successioni, op. cit., 501 ss.; Carlini – Ungari Trasatti,
op. cit., 773 ss. e Busani, op. cit., per il quale, limitando il discorso ai soli ascendenti, «l'atto di
opposizione debba essere senz'altro effettuato (se ne desiderano gli effetti) anche dagli ascendenti
del donante, e ciò pur se sussistano discendenti del donante e pur se costoro abbiano proposto
opposizione anche essi: benché, infatti gli ascendenti acquistino la qualità di legittimari in
mancanza dei discendenti, all'atto di opposizione non ci sono ancora legittimari in campo».
(39)
L. 19.5.1975, n. 151.
(40)
Cfr. Capozzi, op. cit., 261 ss.; Palazzo, Le successioni, cit., 501 ss. Tuttavia la l. 1.12.1970, n.
898, così come modificata dalla l. 1.8.1978, n. 436 e dalla l. 6.3.1987, n. 74, ha riconosciuto al
coniuge divorziato, in presenza di determinati presupposti, un'attribuzione patrimoniale in
considerazione del precedente vincolo matrimoniale.
(41)
Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 783.
(42)
Assegno che non comporta il diritto di ottenere beni della legittima in natura. Cfr. Capozzi, op.
cit., 261 ss.; Palazzo, Le successioni, op. cit., 501 ss. e, a tale proposito, v. anche Busani, op. cit.
(43)
Cfr. Busani, op. cit., e Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 709, per i quali risulta di estrema
importanza «sottolineare come risulti quanto meno precaria l'individuazione completa dei soggetti
potenziali legittimari che possano fare opposizione; per fortuna uomini e donne pur avendo
concluso una donazione conservano il diritto di sposarsi, di separarsi, di divorziare e di avere dei
figli. Gli scenari di famiglia possono cambiare: un'incertezza in tale area è sempre presente».
(44)
Limitatamente ai casi sub c) e d), quelli cioè in cui sopravvengano alla donazione dei figli,
sembrerebbe, in linea ipotetica, possibile applicare la disciplina contenuta nell'art. 803 c.c., norma
che, espressamente, sancisce la possibilità di revocare le donazioni in caso di sopravvenienza di un
figlio. Concretamente, però, come giustamente sottolineato da Campisi, op. cit., 1293, «l'azione di
revocazione della donazione per sopravvenienza di figli non pare un idoneo mezzo di tutela per i
discendenti del donante, sopraggiunti post-ventennio. Difatti tale domanda può essere proposta, a
determinate condizioni ed entro certi termini, solo dal donante. Inoltre la revocazione non è
opponibile ai terzi aventi causa che abbiano trascritto il loro acquisto prima della trascrizione della
domanda di revocazione (artt. 808 e 2652, n. 1, c.c.)».
(45)
Busani, op. cit.; Campisi, op. cit., 1269 ss.; Ieva, op. cit., 943 ss.
(46)
Cfr. Campisi, op. cit., 1293.
(47)
Cfr. Busani, op. cit.; Campisi, op. cit., 1267. Contra, Tagliaferri, op. cit., 177 secondo cui «non
pare infondato sostenere che i legittimati all'opposizione sono i legittimari esistenti al momento
dell'atto e non i sopravvenuti»; cfr. anche De Francisco, op. cit., 1263 e Delle Monache, op. cit.,
315.
(48)
Si occupano della questione anche Busani, op. cit., 14 e Carlini – Ungari Tranatti, op. cit., 791.
(49)
Cfr. Busani, op. cit., 14 e Carlini – Ungari Tranatti, op. cit., 791.
(50)
Vedi supra, par. 3.
(51)
Vedi anche Carlini – Ungari Tranatti, op. cit., 791.
(52)
Cfr. Busani, op. cit., 14 e Carlini – Ungari Tranatti, op. cit., 791.
(53)
V. Busani, op. cit., 14 e Carlini – Ungari Tranatti, op. cit., 791.
(54)
L'art. 2657 c.c. elenca, infatti, quelli che sono i titoli idonei per poter trascrivere un determinato
atto.
(55)
Cfr. Busani, op. cit.; Campisi, op. cit., 1281; Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 784; Pene Vidari
– Marcoz, op. cit., 712.
(56)
Busani, op. cit.
(57)
Busani, op. cit.
(58)
Cfr. Campisi, op. cit., 1281; Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 784; Pene Vidari – Marcoz, op.
cit., 712 e Baralis, op. cit., 296, secondo cui la forma scritta è necessaria poiché ci si trova in
presenza di una «normativa formalistica e lo scopo della norma è di far conoscere ai terzi il perfetto
rigore della procedura, dimodoché sia sicura la sospensione».
(59)
Campisi, op. cit., 1281 e Ieva, op. cit., 948.
(60)
Appare opportuno precisare che non solo la notifica ma anche la trascrizione dell'atto di
opposizione deve essere curata entro venti anni dalla data della trascrizione della donazione.
Nelle ipotesi di scomparsa e di assenza dichiarata del donatario la notifica dovrà essere effettuata
nei confronti del curatore dello scomparso o dei soggetti che abbiano ottenuto l'immissione nel
possesso temporaneo dei beni del donatario dichiarato assente. Nel caso in cui, invece, il donatario
sia deceduto, la notifica dovrà essere effettuata nei confronti dei suoi eredi.
(61)
De Francisco, op. cit., 1265.
(62)
Baralis, op. cit., 291
(63)
Campisi, op. cit., 1288 e Caprioli, op. cit., 1029
(64)
De Francisco, op. cit., 1262 e Busani, op. cit.
(65)
Il Codice Civile definisce la prescrizione come modo di estinzione di un diritto derivante dal suo
mancato esercizio da parte del titolare per un tempo determinato dalla legge (art. 2934 c.c.):
decorso del tempo ed inerzia del titolare sono due fattori essenziali ai fini dell'estinzione del diritto.
L'aspetto saliente dell'intera materia riguarda il decorso del termine che, in base all'art. 2935 c.c.,
comincia a decorrere dal giorno in cui un determinato diritto può essere fatto valere e la cui durata
può variare a seconda del diritto che di volta in volta viene preso in considerazione. I termini di
prescrizione possono, per espressa previsione legislativa, essere sospesi od interrotti. La differenza
tra le due figure va ravvisata essenzialmente nella sorte che viene assegnata al tempo già
eventualmente trascorso: in caso di sospensione, infatti, non si tiene conto del periodo di tempo nel
quale si è verificata la causa che ha giustificato il mancato esercizio del diritto, ma, ai fini del
computo finale, verrà considerato sia il tempo precedente che quello successivo alla sospensione.
Nel caso, invece, di interruzione, un periodo di prescrizione ha fine ed incomincia a decorrere,
eventualmente, un nuovo periodo, autonomamente valutabile. Le cause di sospensione e di
interruzione della prescrizione sono tassative e sono previste dagli artt. 2941 ss. c.c. Cfr. Bigliazzi
Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Fatti e atti giuridici, cit., 376 ss.; Gazzoni, op. cit., 110 ss. e
Torrente, op. cit., 139 ss.
(66)
Cfr. Baralis, op. cit., 292.
(67)
Baralis, op. cit., 292.
(68)
V. anche Busani, op. cit., secondo cui il trascorrere del tempo «interessa, ma non
immediatamente, e solo a certe condizioni, un altro soggetto e cioè un eventuale e futuro avente
causa del donatario».
Sembra, comunque, necessario precisare che considerare il termine ventennale come termine
prescrizionale comporterebbe un sicuro vantaggio nei confronti di quei legittimari che verrebbero
ad esistenza solo in un momento successivo alla data della trascrizione della donazione: infatti, la
prescrizione decorre dal giorno in cui un determinato diritto può essere fatto valere, e
conseguentemente, per tali soggetti il termine comincerebbe a decorrere nel momento in cui,
effettivamente, acquistino il diritto ad opporsi.
(69)
Campisi, op. cit., 1288.
(70)
Campisi, op. cit., 1288 e Caprioli, op. cit., 1029.
(71)
Cfr. De Francisco, op. cit., 1262 e Busani, op. cit.
L'istituto della decadenza viene disciplinato dal Codice civile dagli artt. 2964 ss. L'esigenza
principale che sta alla base dell'istituto in esame deve essere ravvisata nell'esigenza di indurre il
soggetto a compiere un atto giuridico, attraverso il quale si esaurisce l'esercizio di un diritto, entro
un termine perentorio fissato dalla legge. In altre parole, il titolare del diritto viene posto
dall'ordinamento davanti ad una alternativa: o avvalersi del diritto entro un dato arco temporale o
perderlo. È proprio in base a tali considerazioni che la posizione che fa capo al titolare del diritto
viene qualificata come onere. La funzione precipua dell'istituto, dunque, sembra essere proprio
quella di porre fine ad una situazione di incertezza connessa a situazioni giuridiche soggettive, le
quali, non essendo suscettibili di un esercizio ripetuto nel tempo, si risolvono con il compimento di
un singolo atto. La principale differenza intercorrente tra l'istituto in esame e quello della
prescrizione può essere ravvisata nella circostanza che alla decadenza non si applicano le norme
sulla interruzione e sulla sospensione (è opportuno precisare che l'art. 2964 c.c. prevede
espressamente la possibilità di eccezioni legislative a tale regola) della prescrizione. Non si
applicano le norme sull'interruzione alla decadenza poiché, a rigor di logica, l'atto compiuto
impedisce esso stesso che una interruzione possa verificarsi, in quanto o elimina l'oggetto,
esaurendo il diritto, o lo soddisfa immediatamente. Non possono, altresì, applicarsi le regole della
sospensione, salvo che questa sia espressamente prevista da un'altra norma, poiché è necessario che
la situazione sia definita in un modo o in un altro entro e non oltre il termine perentorio previsto,
senza tenere in considerazione cause che potrebbero giustificare l'inerzia del soggetto. Cfr. Bigliazzi
Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Fatti e atti giuridici, op. cit., 406 ss.; Gazzoni, op. cit., 117 ss. e
Torrente, op. cit., 147 ss.
(72)
Vedi supra, par. 3.
(73)
Cfr. De Francisco, op. cit, 1262 e Busani, op. cit., secondo cui: «se il legislatore ha disposto che
dopo venti anni l'azione di restituzione è preclusa e che, mediante un atto di opposizione si può
sospendere il decorso di quel ventennio, ebbene non pare potersi concludere diversamente dal
ritenere che quel legislatore abbia ritenuto che per opporsi sia concesso un termine di decadenza di
venti anni…». Contra Campisi, op. cit., 1289 e Caprioli, op. cit., 1029 per il quale «il termine non
pare di decadenza poiché esso ha una durata considerevole mentre il termine di decadenza è in
genere assai breve; … inoltre e soprattutto, perché il termine di decadenza non è soggetto a
sospensione mentre i termini ex art. 561, comma 1 e 563, ult. co., restano sospesi nei confronti dei
legittimari che abbiano fatto opposizione alla donazione».
(74)
Caprioli, op. cit., 1033; Campisi, op. cit., 1281 e Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 787.
(75)
Tagliaferri, op. cit., 174 e Delle Monache, op. cit., 316.
(76)
Vedi supra, par. 5.
(77)
Situazione, questa, molto frequente nella pratica, in quanto spesso titolari del diritto di
opposizione sono i figli del donante, i quali, al momento della donazione, ben potrebbero essere
ancora dei minori.
(78)
Cfr. Campisi, op. cit., 1284; Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 788; Delle Monache, op. cit., 317;
Rossano, op. cit., 575; De Francisco, op. cit., 1262 e Busani, op. cit.
Contra Baralis, op. cit., 294 secondo cui «la personalità gioca sul piano dei rapporti familiari per cui
il suo significato sostanziale è che l'opposizione non è delegabile…».
(79)
Cfr. Campisi, op. cit., 1284; Delle Monache, op. cit., 317; Rossano, op. cit., 575.
(80)
V. anche Campisi, op. cit., 1284 e Delle Monache, op. cit., 317.
(81)
Cfr. Delle Monache, op. cit., 317 e Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 788.
(82)
Busani, op. cit., secondo cui «l'affermazione del carattere stragiudiziale appare sovrabbondante:
appare ovvio rilevare che, se la legge permette e regola una data attività giuridica senza qualificarla
esplicitamente come una attività da svolgersi nell'ambito di un procedimento giurisdizionale, essa
attività è, per definizione, una attività stragiudiziale».
(83)
Cfr. De Francisco, op. cit., 1262.
(84)
Vedi anche Campisi, op. cit., 1284. Tuttavia, non sembra possibile negare rilevanza ad eventuali
vizi della volontà che possano colpire l'atto di opposizione.
(85)
Riconoscendo la possibilità di poter rinnovare un numero imprecisato di volte l'atto di
opposizione per periodi ventennali, sembrerebbe snaturarsi la ratio che ha spinto il legislatore a
riformare la materia. Appare evidente, infatti, che in tale maniera la certezza riguardante la stabilità
di un bene di provenienza donativa non potrà mai essere raggiunta se, ogni volta, i futuri legittimari,
alla scadenza del ventennio, rinnovino il loro atto di opposizione. Cfr. De Francisco, op. cit., 1264 e
Busani, op. cit.
(86)
Busani, op. cit. Contra Campisi, op. cit., 1287 secondo il quale «la rinnovazione non dovrebbe
importare una nuova trascrizione, in quanto serve esclusivamente a prorogare gli effetti della prima
trascrizione…».
(87)
In questa seconda eventualità sarebbe opportuno parlare di revoca e non di rinuncia in quanto un
atto è già stato posto in essere e con tale successiva manifestazione di volontà il soggetto
revocherebbe gli effetti dell'atto precedente. Cfr. Busani, op. cit., 24.
(88)
Baralis, op. cit., 296.
(89)
Baralis, op. cit., 297.
(90)
Campisi, op. cit., 1285, Delle Monache, op. cit., 318, Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 711 e
Busani, op. cit., 25.
(91)
Busani, op. cit., 25.
(92)
Busani, op. cit., 26
(93)
Campisi, op. cit., 1285, Baralis, op. cit., 299, Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 712, Busani, op.
cit., 26, De Francisco, op. cit., 1263 e Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 790.
(94)
Vedi supra, par. 7.
(95)
Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 790, De Francisco, op. cit., 1263 e Baralis, op. cit., 299.
(96)
Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 713, Busani, op. cit., 26 e Campisi, op. cit., 1285.
(97)
Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 790.
(98)
Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 713.
(99)
Campisi, op. cit., 1285 e De Francisco, op. cit., 1263.
(100)
Vedi supra, par. 9.
(101)
Busani, op. cit., 25, Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 790, Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 711,
Campisi, op. cit., 1286, Baralis, op. cit., 298 e Tagliaferri, op. cit., 177.
(102)
Vedi supra, par. 3. Cfr. Campisi, op. cit., 1280 e Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 792.
(103)
Per una più attenta valutazione delle problematiche riguardanti la legittimazione attiva a
proporre la rinuncia si rimanda a quanto esposto in proposito di legittimazione all'opposizione ai
parr. 5 e 6, 10 ss.
(104)
Vedi supra, par. 3.
(105)
Cfr. Tagliaferri, op. cit., 175, Busani, op. cit., 28, Baralis, op. cit., 303 e R. Caprioli, op. cit.,
1032.
(106)
Si ritiene che i pesi e le ipoteche eventualmente iscritte sul bene o l'acquisto del terzo avente
causa dal donatario si consolidino nel momento stesso in cui viene espressa la volontà di rinunciare,
senza dover attendere lo scadere del ventennio.
(107)
Busani, op. cit., 28, Baralis, op. cit., 307, Caprioli, op. cit., 1032 e Delle Monache, op. cit., 320.
(108)
Busani, op. cit., 28.
(109)
Cfr. Tagliaferri, op. cit., 175, Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 789 e Pene Vidari – Marcoz, op.
cit., 713.
(110)
Cfr. Tagliaferri, op. cit., 175.
(111)
Vedi supra, par. 5.
(112)
A tal proposito v. anche Tagliaferri, op. cit., 176, Baralis , op. cit., 303, Caprioli, op. cit., 1032 e
Campisi, op. cit., 1285.
(113)
Cfr. Pene Vidari – Marcoz, op. cit., 716.
(114)
L'istituto dei patti successori rappresenta, forse, il miglior esempio dell'enorme dissidio
intercorrente tra la tradizione romanistica, alla quale si è ispirato sostanzialmente il nostro codice, e
quella germanica, la quale ammette, a determinate condizioni, che un soggetto possa regolare
contrattualmente la propria successione. Cfr. Capozzi, op. cit., 27 ss.
(115)
Carlini – Ungari Trasatti, op. cit., 789.
(116)
L'istituto del patto di famiglia, disciplinato dagli artt. 768 e bis ss. c.c. è stato introdotto nel
nostro ordinamento con la l. n. 55 del 14.2.2006.
(117)
Rossano, op. cit., 580.
(118)
Tagliaferri, op. cit., 175, Caprioli, op. cit., 1032 e Campisi, op. cit., 1285.
LO SCIOGLIMENTO DELLA DONAZIONE PER MUTUO DISSENSO
di Fabio Cogoli
FONTE
Contratti, 2006, 6, 619
Donazione
Sommario: Problematiche della provenienza donativa - La riforma degli artt. 561 e 563 Codice
civile - La risoluzione per mutuo dissenso.Teoria del negozio risolutorio - La teoria del contronegozio; critica - La risoluzione per mutuo dissensodella donazione - Il giudizio della Cassazione e
la formadel mutuo dissenso
Problematiche della provenienza donativa
La Legge 18 ottobre 2001, n. 283 ha disposto la soppressione dell'imposta che gravava sulle
successioni mortis causa e sulle donazioni, determinando così un sensibile incremento degli atti
donativi aventi ad oggetto beni immobili; questo crea le premesse in base alle quali potranno essere
sempre più numerosi i trasferimenti immobiliari che presentino quale provenienza una donazione
, con le ben note problematiche che possono scaturire dalla tutela che gli artt. 561 e 563 Codice
civile offrono ai legittimari la cui quota sia stata lesa da una donazione ; essi infatti, in
conseguenza del vittorioso esperimento dell'azione di riduzione, possono agire in restituzione (1) per
ottenere il bene oggetto di donazione sia dal donatario, sia dai terzi che da questo abbiano
acquistato il bene. E se l'azione di restituzione di cui all'art. 563 Codice civile trova dei limiti nella
preventiva escussione del patrimonio del donatario e nella possibilità per l'avente causa dal
donatario di pagare l'equivalente in denaro, la tutela che l'art. 561 Codice civile predispone nei
confronti dei legittimari, per il caso in cui gli immobili oggetto di riduzione siano stati assoggettati a
vincoli, pesi o ipoteche, è ancora più piena e penetrante, dato che tali beni saranno restituiti liberi da
ogni peso od ipoteca; in tal caso la retroattività reale dell'azione di riduzione si esplica in tutta la sua
forza, rendendo assolutamente chiara la scelta del legislatore del '42, che, tra la tutela dei legittimari
lesi o pretermessi da una parte e quella degli aventi causa dai donatari dall'altra, si è nettamente
schierato dalla parte dei primi (2).
A ciò si aggiunga che la legittimazione attiva all'azione di riduzione è attribuita, ai sensi dell'art.
557 Codice civile, non solo ai legittimari lesi o pretermessi ed ai loro eredi, ma anche agli «aventi
causa» dei legittimari; in tale categoria l'Autore che maggiormente ha approfondito gli studi sulla
successione necessaria fa rientrare sia i «cessionari», sia i «creditori personali del legittimario» (3).
È quindi chiaro che in tali ipotesi la rigida applicazione del principio secondo cui resoluto iure
dantis resolvitur et ius accipientis, con la sola eccezione di cui all'art. 2652, n. 8 (4), determini una
situazione di assoluta precarietà nella tutela di quanti abbiano acquistato la proprietà di un bene da
soggetti cui il bene medesimo sia stato donato; come accennato, inoltre, la tutela che l'art. 561
Codice civile offre al legittimario leso o preterito è ancora più penetrante nei confronti di coloro che
abbiano acquistato sul bene donato diritti reali di godimento o di garanzia, poiché, in seguito al
vittorioso esperimento dell'azione di riduzione, tale bene verrà restituito al legittimario libero da
ogni peso od ipoteca (5).
I risvolti pratici più evidenti e frequenti della retroattività reale dell'azione di riduzione si
riscontrano pertanto sia nelle maggiori difficoltà che, per il titolare di un immobile avente
provenienza donativa, insorgono con riguardo alla commerciabilità dello stesso, sia allorquando il
medesimo soggetto voglia offrire tale bene in garanzia, mediante l'iscrizione su di esso di
un'ipoteca, per poter ottenere un finanziamento a titolo di mutuo; solitamente gli istituti bancari non
accettano tale garanzia a causa della concreta possibilità di vederla sfumare in seguito al passaggio
in giudicato della sentenza che accolga l'azione di riduzione proposta da un legittimario leso o
preterito, e quindi non concedono il prestito. D'altra parte, chi acquista a titolo oneroso la proprietà
di un immobile, avente provenienza donativa, deve mettere in conto l'eventualità (6) di vedersi
privato del bene in favore del legittimario vittorioso in riduzione o di dover versare a costui il valore
del bene stesso in denaro.
Dunque l'acquirente di tali diritti sul bene donato si trova completamente al riparo dalle azioni a
tutela delle ragioni dei legittimari solo quando siano trascorsi dieci anni dalla morte del donante,
dato che il decorso di tale termine comporta la prescrizione del diritto di esercitare l'azione di
riduzione (7), salva, per l'acquirente a titolo oneroso, l'applicazione degli artt. 2652, n. 8 e 2690, n. 5
Codice civile.
La riforma degli artt. 561 e 563 Codice civile
La soluzione del conflitto tra la tutela dei legittimari e la sicurezza dei traffici giuridici, posta, come
detto, dal legislatore del 1942 nettamente in favore dei primi, si è mantenuta inalterata sino ai nostri
giorni, nonostante l'evoluzione sociale; si consideri, per esempio, come, negli anni in cui veniva alla
luce il Codice Civile, l'acquisto di un immobile fosse un evento eccezionale se non unico nella vita
di una persona, mentre oggi non è infrequente che un soggetto acquisti anche più immobili
(successivamente o contemporaneamente) nell'arco della propria esistenza. Da tempo quindi la
dottrina (8) auspica un intervento del legislatore volto a riequilibrare le posizioni del conflitto
summenzionato e tale necessità si è fatta più impellente con l'abrogazione dell'imposta di
successione e donazione .
Con la Legge 14 maggio 2005, n. 80, di conversione, con modificazioni, del D.L. 14 marzo 2005, n.
35 (c.d. Decreto competitività) sono state apportate rilevanti modifiche agli artt. 561 e 563 Codice
civile; in via preliminare è necessario osservare rapidamente come tale soluzione legislativa, non
incidendo sul divieto dei patti successori rinunciativi (art. 458 Codice civile) né sul divieto di
rinunzia all'azione di riduzione vivente il donante (art. 557 Codice civile) e non modificando nel
suo complesso l'istituto della successione necessaria e della tutela reale dei diritti dei legittimari, si
presenti come una prima, iniziale e, forse, estemporanea risposta all'urgente esigenza di tutela degli
acquirenti di beni di provenienza donativa (9).
Il nuovo testo dell'art. 563 Codice civile stabilisce che l'azione di restituzione contro gli aventi
causa dai donatari possa essere esercitata, premessi il vittorioso esperimento dell'azione di riduzione
e la preventiva escussione del patrimonio del donatario, solo qualora non siano trascorsi venti anni
dalla data della donazione . Il quarto comma dello stesso art. 563, fatto sempre salvo il disposto
dell'art. 2652, n. 8, precisa che il decorso del termine ventennale di cui sopra sia sospeso nei
confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante «che abbiano notificato e trascritto, nei
confronti del donatario e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla
donazione ». Questo nuovo istituto dell'opposizione alla donazione rappresenta quindi un
onere cui è assoggettato il potenziale legittimario che voglia poter esperire l'azione di restituzione
anche trascorso il ventennio.
Il nuovo testo dell'art. 561 Codice civile dispone inoltre che i pesi e le ipoteche rimangano «efficaci
se la riduzione è domandata dopo venti anni dalla trascrizione della donazione , salvo in questo
caso l'obbligo del donatario di compensare in denaro i legittimari in ragione del conseguente minor
valore dei beni».
I primi commenti dottrinali (10) hanno evidenziato le difficoltà interpretative ed applicative della
riforma; vivaci critiche (11) sono state mosse alla succitata «opposizione alla donazione » di cui
al quarto comma dell'art. 563; inoltre è stata spiegata la logica sottesa alla circostanza che le due
norme presentassero, nella versione entrata in vigore il 15 maggio 2005, un differente dies a quo per
il computo del ventennio (12).
Dunque la posizione del terzo acquirente di beni di provenienza donativa e del titolare del peso o
dell'ipoteca gravanti su beni donati parrebbe sostanzialmente mutata in seguito alla riforma; infatti,
nel caso in cui sia decorso il termine ventennale dalla donazione o dalla trascrizione della
stessa, tali soggetti sono al sicuro dalle pretese dei legittimari che non abbiano fatto opposizione ai
sensi del quarto comma dell'art. 563 Codice civile. È invece chiaro ed evidente che, durante la
pendenza del suddetto termine ventennale, essi permangano nella medesima situazione in cui si
trovavano prima dell'entrata in vigore della riforma (15 maggio 2005): essi dovranno in altre parole
attendere, affinché il proprio acquisto risulti inattaccabile dalle azioni a tutela dei legittimari, il
decorso di dieci anni (nel caso di immobili) o di tre anni (nel caso di mobili registrati) a partire dalla
morte del donante, senza che vengano trascritte domande di riduzione, ai sensi e per gli effetti del
disposto degli artt. 2652, n. 8 e 2690, n. 5 Codice civile.
Ma proprio sull'efficacia temporale della novella si riscontra un totale disaccordo tra i
commentatori; si è quindi posta la questione, data l'assenza di una disciplina transitoria (13), se le
nuove disposizioni si applichino anche alle donazioni per le quali sia già maturato il termine
ventennale (si pensi ad una donazione effettuata nel 1984, il cui donante sia ancora in vita) e,
comunque, alle donazioni disposte nel vigore della precedente normativa. Ulteriore problema
insorge, poi, qualora si consideri la riforma applicabile anche alle donazioni pregresse, per stabilire
da quando decorra il termine ventennale per tali donazioni.
Con riguardo al primo problema, una parte della dottrina (14) considera la normativa in questione
applicabile a qualsiasi donazione , effettuata e trascritta prima o dopo il 15 maggio 2005, anche
sulla scorta del fatto che tali nuove norme siano state introdotte nell'ambito di un decreto
«concernente la «competitività», finalità rispetto alla quale l'idea stessa che le ragioni della
circolazione dei beni debbano attendere, per le donazioni anteriori all'entrata in vigore della legge, il
decorso di ulteriori venti anni risulterebbe come una sostanziale rinunzia agli obiettivi che si è
affermato di voler tutelare. Ne deriva quindi che, per tutte le donazioni, sia anteriori sia successive
all'entrata in vigore della Legge n. 80/2005, la stabilità dei diritti dei terzi è pienamente tutelata una
volta decorsi i venti anni dalla donazione stessa (o, ai fini dell'art. 561, dalla sua trascrizione)»
(15)
.
Altri Autori (16), invece, anche se per quanto attiene l'aspetto teorico parrebbero accettare la
posizione secondo cui la riforma si applichi anche alle donazioni pregresse, dato che lo spirito della
stessa è quello di favorire la circolazione dei beni donati, dal punto di vista pratico suggeriscono
soluzioni «prudenziali» per cui la legge di riforma, non potendo disporre che per l'avvenire,
riguarderebbe solo le donazioni effettuate dopo il 15 maggio 2005.
Vi sono dunque Autori che non considerano la normativa in questione applicabile alle donazioni
pregresse, sostenendo pertanto che «l'azione di restituzione a tutela del legittimario leso da una
donazione posta in essere nella vigenza della precedente disciplina non sarà più esercitatile
soltanto dopo il decorso di un ventennio dall'entrata in vigore della nuova legge» (17). Secondo tale
interpretazione la riforma non ha dunque contribuito a risolvere nell'immediato gli inconvenienti e
le problematiche nella circolazione dei beni donati di cui la tutela delle ragioni dei legittimari
determina l'insorgenza.
La risoluzione per mutuo dissenso.Teoria del negozio risolutorio
Queste considerazioni dimostrano come si debba ritenere, anche da un punto di vista operativo,
ancora pienamente attuale l'analisi condotta dalla dottrina (18) con riguardo ad alcuni negozi giuridici
che, a vario titolo, sono volti a porre rimedio a tale sperequazione, cercando di offrire tutela
all'avente causa dal donatario.
Tra questi negozi rientra la risoluzione della donazione per mutuo
dissenso , situazione
sulla quale la dottrina ha espresso valutazioni contrastanti. È comunque chiaro che il motivo
principale (per quanto i motivi possano interessare il giurista) per cui viene percorsa la via della
risoluzione per mutuo
dissenso di una donazione attiene alla difficile commerciabilità
dei beni aventi provenienza donativa. La fattispecie si presenta in questi termini: il donatario,
intendendo alienare o ipotecare il bene donatogli, si scontra con le problematiche sopra illustrate;
mediante lo scioglimento per mutuo
dissenso della donazione viene quindi ripristinata
la situazione originaria, in modo che il donante torni ad essere il titolare, con effetto retroattivo, del
bene in questione; sarà quindi il donante stesso ad alienare il bene o a consentire l'iscrizione su di
esso dell'ipoteca in qualità di terzo datore. In tale guisa il compratore ed il creditore ipotecario
acquisteranno i rispettivi diritti senza che su di essi penda la spada di Damocle degli artt. 561 e 563
Codice civile, visto che nei titoli di provenienza del loro dante causa non vi è più una donazione
.
Si è dunque in presenza di un contratto mediante il quale le parti eliminano in modo diretto le regole
impegnative poste in un precedente contratto tra le stesse intercorso, determinando quindi la
cancellazione dello stesso dal mondo giuridico; a tale proposito l'Autore che al mutuo
dissenso ha dedicato lo studio più approfondito, parla di « mutuo
dissenso come figura di
contratto in senso inverso ad effetto eliminativo» (19).
È quindi necessario, in prima battuta, affrontare la questione della configurabilità nel nostro
ordinamento di un negozio eliminativo e, quindi, il problema della incidenza di tale atto sui soli
effetti negoziali oppure sul negozio che tali effetti genera (per cui gli stessi verrebbero eliminati in
via mediata); la maggioranza degli Autori considera perfettamente ammissibile la eliminazione di
un atto ad opera di un atto successivo (20), ma è anche stato sostenuto che l'operatività del contratto
eliminativo potrebbe rivolgersi solo contro gli effetti derivanti da un negozio e non contro la loro
fonte (21).
La dottrina maggioritaria ritiene dunque che la risoluzione convenzionale per mutuo
dissenso
di un contratto consista, appunto, in un contratto eliminativo la cui operatività (in senso
distruttivo) si rivolge proprio nei confronti della regola negoziale che le parti hanno posto mediante
l'accordo precedente (22). Il mutuo
dissenso ha, per questo, natura giuridica di negozio
(23)
risolutorio teso ad annientare
un precedente contratto e di negozio ripristinatorio diretto a
ricomporre nella sua completezza, con efficacia retroattiva, la situazione precedente al negozio
rimosso.
La cancellazione, l'eliminazione della pregressa vicenda contrattuale dal mondo giuridico ed il
ripristinarsi dello status quo ante determinano, quale diretta conseguenza, l'insorgere, a carico dei
contraenti, di obbligazioni restitutorie, essendo venuta meno la giustificazione causale della
permanenza di quanto antecedentemente trasferito nelle rispettive sfere giuridico-patrimoniali.
Dal mutuo
dissenso di un contratto ad effetti reali completamente eseguito discendono
quindi effetti immediati e principali di carattere eliminativo (del contratto primario) e ripristinatorio
(dello status quo) ed effetti consequenziali e secondari di carattere obbligatorio aventi carattere
restitutorio; tali obbligazioni restitutorie nascono direttamente dal contratto di mutuo
dissenso , dato che l'intento tipico dei contraenti è volto non solo al ripristino della situazione
originaria, ma anche alla realizzazione di ogni risultato di ordine materiale che sia compreso
nell'esito ripristinatorio (24).
Questa teoria si fonda, innanzi tutto, su solide basi normative, costituite dagli artt. 1321, 1372 e
2655 del Codice Civile; l'art. 1321 prevede, infatti, che mediante il contratto due o più parti
possano, tra l'altro, «estinguere» un rapporto giuridico-patrimoniale tra le stesse intercorrente;
ovviamente tale norma non detta precise limitazioni che possano portare a ritenere che il contratto
estintivo si debba riferire solo a determinate fattispecie, mentre in altre circostanze, quando il
legislatore ha inteso circoscrivere l'operatività di una disposizione con riguardo solo ad alcuni tipi di
contratti (per esempio ai contratti che non abbiano ancora ricevuto esecuzione, secondo quanto
dispone l'art. 1406 in tema di cessione del contratto), ha chiaramente manifestato questo intento.
L'art. 1321 è d'altronde norma avente una portata di carattere generale, per cui è evidente che il
mutuo
dissenso possa inerire a qualsiasi tipo di contratto.
L'art. 1372, poi, dispone, con una norma di cui la dottrina (25) sottolinea il carattere generico ed
omnicomprensivo, che il contratto «non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause
ammesse dalla legge». Infine l'art. 2655, con particolare riferimento alle norme che disciplinano la
trascrizione, dispone che la risoluzione di un atto trascritto o iscritto debba essere annotata in
margine alla trascrizione o iscrizione dell'atto stesso e statuisce, all'ultimo comma, che tale
annotazione si possa operare anche in forza di una «convenzione» da cui risulti, tra l'altro, la
risoluzione del precedente atto trascritto o iscritto.
Da queste disposizioni emerge pertanto il carattere del mutuo
dissenso quale contratto
menzionato, ma non disciplinato dalla legge e quindi atipico (26); esso è contraddistinto dalla
funzione di eliminare la regola impegnativa posta in un precedente contratto ed in ciò è ravvisabile
la causa del contratto stesso di mutuo
dissenso , requisito essenziale di ogni contratto ai
sensi del disposto dell'art. 1325 Codice civile, unitamente all'accordo delle parti (ossia, nel caso in
questione, la volontà dei contraenti di eliminare dal mondo giuridico il contratto precedente),
all'oggetto ed alla forma (che variano a seconda del negozio da risolvere).
Per conseguire il risultato della eliminazione, della «cessazione di qualche cosa di giuridicamente
rilevante» (27), ossia del regolamento negoziale precedentemente posto, il controperare delle parti
può avere incidenza direttamente sull'atto giuridico precedente (e quindi sugli effetti di questo in via
mediata), oppure soltanto su detti effetti dell'atto; nell'ambito dei c.d. contrarii actus unilaterali è
dunque stata evidenziata (28) la distinzione funzionale tra la revoca, rivolta all'eliminazione dell'atto,
ed il recesso, diretto a far cessare i soli effetti di un precedente atto; mettendo quindi in parallelo tali
figure con i c.d. contrarii actus bilaterali, è possibile individuare atti che hanno la funzione di
eliminare direttamente un precedente contratto ed atti che, invece, hanno la funzione di annientare
dissenso , quale
solamente gli effetti determinati da un precedente contratto (29): il mutuo
(30)
contratto eliminativo, è da ascrivere alla prima categoria , ossia al gruppo che comprende «i
contratti in senso inverso caratterizzati dall'intento empirico (dei loro autori) della eliminazione del
precedente negozio e, di riflesso - ove già ve ne siano - dei suoi effetti» (31).
Si è in precedenza accennato all'efficacia retroattiva del mutuo
dissenso , caratteristica
(32)
essenziale
di un contratto con cui si persegue il fine di eliminare in via diretta un precedente
negozio intercorso tra le stesse parti (e quindi solamente in via mediata gli eventuali effetti dello
stesso), tenendosi così distinto tale contratto eliminativo dalle altre figure di contratti in senso
inverso, contrassegnati invece dall'intento empirico di ricostituire solo per il futuro una situazione
analoga a quella sussistente innanzi al contratto di primo grado e rivolti pertanto solo contro gli
effetti scaturiti da tale contratto.
Anche su questo aspetto la dottrina è divisa, dato che, come vedremo, gli Autori che negano
l'ammissibilità di un tipo contrattuale caratterizzato dalla funzione eliminativa, sostengono che alle
parti non sia consentito di munire un contratto di efficacia retroattiva al di fuori delle ipotesi
legislativamente contemplate, per cui i privati non potrebbero eliminare ex tunc gli effetti già
prodottisi di un precedente negozio.
La dottrina maggioritaria (33) ritiene invece che il mutuo
dissenso di un contratto possa
essere, dalle parti, munito di efficacia retroattiva; solo grazie a tale retroattività convenzionale è,
infatti, possibile, come vedremo, ripristinare la medesima situazione giuridica precedente ad una
donazione da risolvere, reintegrando in capo al donante il suo titolo originario, in modo da poter
superare le problematiche sopra affrontate con riguardo alla commerciabilità dei beni donati.
È parsa frapporsi decisamente all'ammissibilità della figura del contratto eliminativo
l'argomentazione per cui i privati non potrebbero dar vita a negozi forniti di efficacia retroattiva,
poiché in tal caso rimarrebbero pregiudicati i diritti acquisiti medio tempore dai terzi; la dottrina
contraria ha rilevato come tali conclusioni siano «il frutto di una fuorviante deformazione di
concetti generali» (34), dato che la retroattività del mutuo
dissenso non può prevaricare il
principio della relatività degli effetti del contratto, ma con lo stesso deve coordinarsi, non potendo
quindi influire (negativamente) sui diritti dei terzi. Il principio secondo il quale all'autonomia
privata viene attribuita la facoltà di disporre effetti eliminativi retroattivi riscuote anche il sostegno
di taluni dati normativi: si considerino, infatti, l'art. 1458 Codice civile secondo comma, il quale, in
tema di risoluzione, stabilisce che questa, «anche se è stata espressamente pattuita, non pregiudica i
diritti acquistati dai terzi» e l'art. 1373 Codice civile; tale norma sancisce, al primo comma, che il
recesso convenzionale possa essere esercitato «finché il contratto non abbia avuto un principio d
esecuzione» ed al quarto comma fa salvo, in ogni caso, il patto contrario; ciò significa, secondo
l'interpretazione dottrinale (35), che i contraenti possono stabilire convenzionalmente un potere di
recesso unilaterale esercitabile anche dopo che il contratto abbia avuto esecuzione; in tal caso il
contrarius actus unilaterale avrebbe la funzione di ripristinare la situazione giuridica precedente,
per cui dovrebbe giocoforza operare con effetto eliminativo-retroattivo. Ma, dato ciò, non si può
non concludere che i medesimi poteri che la legge attribuisce in tema di recesso convenzionale
debbano essere riconosciuti anche nel caso in cui i privati decidano di eliminare gli effetti di un
contratto precedente mediante un successivo contratto.
In conseguenza di quanto sino ad ora considerato, appare chiaro che il contratto di mutuo
dissenso debba intercorrere tra tutti e tra i medesimi soggetti del contratto da eliminare (36) e che il
potere dispositivo in ordine alle situazioni giuridiche soggettive disposte con il primo negozio
debba trovarsi ancora in capo a tali soggetti; la fattispecie regolata con il contratto precedente non
deve quindi essere mutata rispetto alle parti originarie, poiché se uno dei contraenti originari avesse
trasmesso ad un terzo i diritti pervenutigli in forza del contratto primario, il contratto eliminativo di
questo non potrebbe determinare la rimozione degli effetti (traslativi o obbligatori che siano) della
convenzione originaria stessa, visto che le parti del contratto eliminativo non sarebbero più titolari
della competenza dispositiva con riguardo ai diritti alienati al terzo (37).
Una volta stabilita la natura di negozio risolutorio con effetti retroattivi, si può quindi affermare
che, anche quando con esso si elimini un contratto traslativo (come nel caso di donazione di
bene immobile), il contratto di mutuo
dissenso , non partecipando della natura del contratto
eliminato, non determini alcun effetto traslativo; il che, come è facile intuire, comporta rilevanti
conseguenze non solo sul piano teorico, ma anche a livello operativo.
La teoria del contro-negozio; critica
Abbiamo già accennato come in dottrina sia diffusa l'opinione secondo cui gli effetti negoziali, una
volta verificatisi, non potrebbero più essere eliminati dal mondo giuridico; su tale teoria si basano le
argomentazioni dello studioso che per primo ha dedicato la propria attenzione, quando ancora era in
vigore il Codice del 1865, all'argomento in questione (38). Tale convinzione, che secondo la dottrina
più recente (39), prende le mosse dalla considerazione assiomatica dell'irreversibilità degli effetti
negoziali gia prodotti, porta a concludere che la risoluzione di un contratto per mutuo
dissenso non potrebbe verificarsi tramite un contratto eliminativo, un negozio risolutorio, ma solo
mediante un c.d. contro-negozio, ossia un negozio (di secondo grado) avente contenuto uguale e
contrario al primo negozio.
Gli Autori (40) che sostengono questa teoria ritengono che le parti possano ristabilire la situazione
giuridica preesistente soltanto con la conclusione di un contratto, definito contro-negozio, in cui
l'attuale titolare del diritto (il compratore, il donatario) assuma le vesti dell'alienante e trasferisca il
bene al proprio originario dante causa (il venditore, il donante), il quale dunque ricoprirebbe il ruolo
di acquirente.
La determinazione del mutuo
dissenso quale negozio risolutivo con efficacia ex tunc viene
quindi avversata da tale dottrina principalmente sulla scorta della convinzione per cui alle parti non
sarebbe consentito di porre in essere atti giuridici retroattivi; oltre a ciò un Autore ha ritenuto di non
poter accettare la ricostruzione del mutuo
dissenso sopra prospettata «perché, con specifico
riferimento al caso in cui col contratto consensualmente risolto siano stati trasferiti diritti su beni
immobili, la legge non prevede la trascrizione dell'atto di mutuo
dissenso , con la
conseguenza che l'alienante il cui atto di alienazione fosse stato trascritto si troverebbe nella
impossibilità di far constare dell'avvenuta retrocessione del bene nel suo patrimonio» (41).
Configurando la convenzione di risoluzione, di annullamento o di rescissione quale negozio non
retroattivo con il quale si verifica il trasferimento in senso inverso del diritto nascente dal primo
negozio, altri Autori (42) giungono alla conclusione per cui questo schema operativo «a
controvicenda» sarebbe direttamente disciplinato, per quanto concerne l'aspetto della pubblicità,
dall'art. 2643, nn. 1-5, Codice civile.
Con riguardo alla questione della trascrizione abbiamo già avuto modo di rilevare come, una volta
riconosciuta sia alle convenzioni di risoluzione e di annullamento, sia al mutuo
dissenso
un'efficacia eliminativa retroattiva, ed esclusa quindi l'applicabilità dell'art. 2643 Codice civile, la
norma a cui riferirsi sia l'art. 2655 Codice civile, il cui primo comma stabilisce che, qualora un atto
trascritto o iscritto sia stato dichiarato risoluto, tale dichiarazione debba annotarsi in margine alla
trascrizione o all'iscrizione dell'atto; il quarto comma della stessa norma specifica poi che tale
annotazione possa avvenire, tra l'altro, sulla base di una convenzione dalla quale risulti la
risoluzione.
Ma gli argomenti di maggior spessore che si sono opposti alla teoria del contro-negozio provengono
da un'indagine sull'aspetto causale di questo negozio e, quindi, sugli effetti dello stesso. Abbiamo
infatti osservato come la causa del negozio di mutuo
dissenso sia, in sintesi, l'eliminazione
del contratto precedente e come, pertanto, il mutuo
dissenso non partecipi della causa
propria dei contratti che ne formano oggetto (43), mentre è chiaro ed evidente come la causa di una
«contro-vendita» sia rintracciabile nell'art. 1470 Codice civile, così come quella di una «controdonazione » non possa prescindere dall'intento liberale: si ha quindi una struttura causale
tipicamente riferita al contro-negozio che in concreto si vuole mettere in atto; analogamente sarà
differente la volontà dei contraenti e solo un'interpretazione che travisi l'intento delle parti può
riscontrare la volontà di donare in colui che vuole solo risolvere (44).
In virtù di ciò, anche la valutazione dell'esito effettuale di un contrarius actus depone a favore della
teoria che considera il mutuo
dissenso quale negozio risolutorio ad efficacia retroattiva;
sostenendo infatti che, qualora il diritto reale sia già stato trasferito, le parti possano conseguire
l'eliminazione di tali effetti reali solo mediante un negozio in senso opposto al primo (quindi con un
altro negozio traslativo), non è possibile raggiungere l'obiettivo della restaurazione della situazione
giuridica anteriore; il contrarius actus, infatti, determina una nuova posizione giuridica, analoga ma
mai identica a quella preesistente al negozio di primo grado: basti considerare che, effettuato il
contro-negozio, il titolare del diritto avrà quale dante causa colui al quale egli stesso aveva ceduto il
diritto con il contratto di primo grado, mentre, risolto questo attraverso il mutuo
dissenso
(eliminativo, retroattivo), il titolare del diritto ritroverà il proprio dante causa originario.
Tutto ciò, come vedremo, assume grande rilevanza proprio nell'ambito della
risoluzione per mutuo
dissenso della stessa.
donazione
e della
Abbiamo accennato a come la dottrina favorevole alla teoria del contrarius actus avversi la
ricostruzione del contratto di mutuo
dissenso quale negozio risolutorio ad effetto
eliminativo retroattivo, sulla scorta di argomentazioni che riguardano l'impossibilità per l'autonomia
privata di disporre dell'efficacia retroattiva (che sarebbe prerogativa del solo legislatore) e la
salvaguardia, l'intangibilità dei diritti dei terzi; abbiamo quindi rilevato come tale ultimo aspetto si
coordini perfettamente con la teoria del negozio risolutorio ad efficacia retroattiva, laddove si
consideri che tale efficacia fa parte degli effetti del contratto, i quali, in virtù del principio della
«relatività» del contratto, non possono ledere l'altrui sfera giuridica; pertanto l'effetto eliminativo
del mutuo
dissenso è «assoluto» nella stessa misura in cui lo è ogni tipo di effetto
contrattuale.
Per quanto riguarda la pretesa inammissibilità di una retroattività convenzionale, ricordiamo come
la dottrina dominante e più recente sia orientata a riconoscere tale facoltà all'autonomia privata (45).
Infine si consideri come il mutuo
dissenso , quale negozio risolutorio ad efficacia
retroattiva, rappresenti una figura generale (si ricordino gli artt. 1321 e 1372 Codice civile)
applicabile a qualsiasi tipo di contratto, ad effetti reali o obbligatori, ad efficacia immediata,
differita o sospesa, mentre risulta difficoltoso ipotizzare un contrarius actus di un contratto ad
effetti obbligatori; non è infatti pensabile che per risolvere per mutuo
dissenso un contratto
di locazione il locatore divenga locatario.
La risoluzione per mutuo dissensodella donazione
Vediamo ora come la configurazione del mutuo
dissenso quale contratto eliminativo
consenta di ammetterne l'operatività anche con riguardo alla donazione , fattispecie negoziale
per la quale, laddove si seguisse la teoria del contrarius actus, ci si troverebbe nella condizione di
dover constatare, alternativamente, o la insuscettibilità di un negozio a controvicenda, o la
produzione, da parte della contro- donazione (quando essa sia casualmente ammissibile), di
effetti giuridici abnormi rispetto al traguardo perseguito dalle parti; sia l'una che l'altra situazione
determinano una evidente restrizione del potere di autonomia contrattuale che non ha fondamento in
alcun dato normativo.
Con riguardo alla prima ipotesi, ossia all'impossibilità di configurare un contrarius actus di una
donazione qualora esso non sia sorretto dall'impianto causale (46) che caratterizza la donazione
stessa, basti ricordare l'esempio proposto da Capozzi citato in precedenza (47); in tal caso Caia
non ha intenzione di elargire alcunché a Tizio donandi causa, dato che nella restituzione dei gioielli
è difficile scorgere l'intento di arricchire l'altra parte mediante un'attribuzione patrimoniale senza
corrispettivo.
Qualora invece si ipotizzi un contrarius actus successivo ad una donazione (traslativa e già
eseguita) che per espressa volontà delle parti sia destinato a non incidere sul passato, ma solamente
a determinare il ritrasferimento del diritto dal donatario al donante (con la conseguente insorgenza
dell'obbligazione di consegna a carico del primo donatario in favore del donante originario), dato
che il nuovo alienante pone in essere un trasferimento senza corrispettivo, si avrà una vera e propria
donazione in senso inverso (48). Con riguardo, quindi, all'ipotesi di contro- donazione ,
dobbiamo ora considerare come solo il negozio eliminativo con efficacia retroattiva della
donazione costituisca la via che conduce alla meta rappresentata dalla soluzione dei problemi
posti dalla provenienza donativa e più sopra brevemente inquadrati, mentre una contro- donazione
porterebbe a risultati molto lontani da quelli desiderati dai contraenti. Spesso le parti si
propongono, infatti, di «sciogliere» una precedente donazione spinte dall'esigenza di
ripristinare la commerciabilità del bene che, come detto, viene gravemente ostacolata dalle azioni di
riduzione e di restituzione esperibili nei confronti dei titolari di beni donati e dei loro aventi causa; è
dunque chiaro che, per scongiurare tale minaccia, la donazione deve, per così dire, sparire dal
mondo giuridico; questo risultato viene conseguito, certamente, attraverso un negozio, con efficacia
retroattiva, risolutivo della donazione per mutuo
dissenso , mentre è evidente che a tale
traguardo non condurrebbe una contro- donazione , la quale, infatti, non risolverebbe i problemi
considerati, ma, semmai, li duplicherebbe, dando essa quindi luogo a risultati che la dottrina non
esita a definire aberranti e sconcertanti. Si consideri, infatti, il caso in cui Tizio abbia donato a Caio
un immobile di rilevante valore; trovandosi Caio nella necessità di consentire un'iscrizione
ipotecaria su tale bene o di vendere il bene stesso ed avendo egli riscontrato le difficoltà sopra
menzionate riguardanti la tutela dei legittimari di Tizio, essi decidono di «sciogliere» la
donazione affinché Tizio stesso possa concedere l'ipoteca quale terzo datore o alienare il bene;
qualora Caio restituisse a Tizio il bene attraverso una contro- donazione , si porrebbe la
questione se i legittimari di Tizio che non trovino più il bene nel suo patrimonio (poiché egli, dopo
la contro- donazione , lo ha alienato o lo stesso è stato sottoposto ad esecuzione forzata), possano
agire in riduzione nei confronti di Caio, che risulta donatario riguardo a quel bene e che pure ha
restituito lo stesso a Tizio con una contro- donazione . La situazione si complica ulteriormente,
allontanandosi quindi vieppiù la soluzione dei problemi riguardanti la provenienza donativa, anzi
proponendosene di nuovi, in seguito all'analisi del secondo negozio di contro- donazione ;
anch'esso ha natura giuridica di donazione ed anch'esso determina, quindi, l'insorgenza delle
questioni relative all'azione di riduzione (per tacere di quelle concernenti la revocazione, la
collazione o l'obbligazione alimentare ex lege a carico del donatario) con riferimento al
controdonante. Non solo dunque i legittimari di Tizio (primo donante), ma anche i legittimari di
Caio (contro-donante), potranno, in caso di lesione delle rispettive quote di riserva, agire in
riduzione, avendo tutti nel mirino il medesimo bene (49).
Il mutuo
dissenso di una donazione , pertanto, nella sua qualificazione di negozio
risolutorio ad efficacia retroattiva, non presenta i caratteri di un atto donativo ed elimina dal mondo
giuridico la precedente donazione con i relativi effetti e conseguenze (azione di riduzione
esperibile nei confronti del donatario; insorgenza in capo al medesimo dell'obbligo alimentare di cui
all'art. 437 Codice civile in favore del donante e dell'obbligo di collazione di cui all'art. 737 Codice
civile; eventuale revocazione della donazione per ingratitudine o per sopravvenienza di figli di
cui agli artt. 800 ss.); per quanto precedentemente rilevato con riguardo all'efficacia retroattiva del
mutuo
dissenso in relazione all'eventuale presenza di diritti spettanti a terzi sul bene
donato, risulta chiaro come la risoluzione della donazione per mutuo
dissenso non
possa essere opposta nei confronti di quanti vantino un valido titolo anteriore ad essa ed inerente al
medesimo bene. La valutazione degli effetti della risoluzione per mutuo
dissenso della
donazione nei confronti dei terzi passa dunque attraverso il contenuto ed i limiti del potere
dispositivo delle parti; ciò significa non solo che a tale negozio debbano partecipare tutti ed i
medesimi soggetti che siano stati parti, in senso sostanziale, del contratto di donazione , ma
anche che gli stessi debbano aver mantenuto la titolarità del potere dispositivo con riguardo a tutte
le situazioni giuridiche soggettive emergenti dal regolamento negoziale che si intende eliminare.
Qualora pertanto il donatario avesse alienato il bene donatogli, egli non avrebbe più il potere di
disposizione con riguardo alla situazione giuridica da eliminare e, di conseguenza, la donazione
non potrebbe più essere risolta per mutuo
dissenso ; va da sé che nessun ulteriore risultato si
conseguirebbe mediante la partecipazione al contatto risolutivo del terzo subacquirente (unitamente
o in sostituzione del donatario), dato che tale soggetto non ha alcun potere dispositivo in relazione
alla donazione da risolvere, non essendo egli stato parte di essa ed attingendo il proprio diritto
da una fattispecie acquisitiva autonoma e distinta (50).
Lo scioglimento per mutuo
dissenso di una donazione , determinando l'eliminazione
del contratto e del regolamento di interessi con esso disposto con efficacia ex tunc, produce quindi
l'insorgenza di obbligazioni restitutorie in capo al donatario originario aventi ad oggetto i diritti
donati; da ciò e dalla natura stessa del contratto di mutuo
dissenso (che, ribadiamolo, non
partecipa della natura del contratto eliminato) discende come lo scioglimento della donazione
per mutuo
dissenso non determini alcun effetto traslativo (51). Dal punto di vista operativo,
ciò comporta che nel mutuo
dissenso di donazione avente ad oggetto (diritti reali di
godimento su) beni immobili non sarà necessario inserire le «dichiarazioni urbanistiche» di cui agli
artt. 30 e 46 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (52).
Ulteriore constatazione della natura eliminativa e dell'incidenza diretta sulla donazione
originaria e non solo sugli effetti da questa prodotti, da attribuire al mutuo
dissenso ,
emerge dalla particolare fattispecie in cui le parti intendano sciogliere per mutuo
dissenso
una donazione nulla, ma suscettibile di conferma o di esecuzione volontaria, ai sensi dell'art.
799 Codice civile; dopo la conclusione de contratto di mutuo
dissenso , non sarebbe, infatti,
più possibile tale conferma poiché, anche qualora essa dovesse sopravvenire, troverebbe un atto di
autonomia ormai sterile, carente anche di quella rilevanza giuridica che la legge attribuisce alla
donazione nulla (la possibilità di essere confermata); è chiaro che tale risultato si consegue
mediante un atto che incida direttamente sulla donazione nulla e non solo sui suoi effetti (53).
Il giudizio della Cassazione e la formadel mutuo dissenso
parso opportuno affrontare congiuntamente tali argomenti poiché la giurisprudenza si è occupata del
contratto di mutuo
dissenso soprattutto con riguardo al problema della forma dello stesso.
Si deve quindi, in prima battuta, rilevare come la Cassazione, seppure con gli esiti divergenti che
esamineremo, abbia analizzato il fenomeno del mutuo
dissenso alla luce della teoria del
negozio risolutorio, poiché, se la Suprema Corte avesse considerato il mutuo
dissenso
aderendo alla teoria del contrarius actus, non si sarebbe posto alcun problema di forma: abbiamo
infatti già chiarito come il negozio contrario partecipi della stessa natura del negozio di primo grado
e quindi debba rispettare le medesime regole formali. La contro- donazione è e rimane una
donazione , per cui essa è disciplinata dall'art. 782 Codice civile, così come la contro-vendita è
una vendita alla quale, quindi, si applicano le prescrizioni dell'art. 1350 Codice civile, qualora abbia
ad oggetto beni immobili.
Stabilito ciò si deve notare come dottrina e giurisprudenza siano divise sulle conclusioni riguardanti
la forma del mutuo
dissenso .
Tale dibattito dottrinale è parte integrante del contrasto che, nel campo dei principi generali, divide,
con riguardo ai negozi accessori a negozi principali formali, i sostenitori di una rigida applicazione
del formalismo negoziale, dai fautori del principio della libertà delle forme.
Gli Autori (54) che ritengono che il mutuo
dissenso , essendo direttamente connesso ad un
precedente negozio ed essendo quindi riferito allo stesso assetto di interessi del negozio di primo
grado, debba rispettare i requisiti formali di quest'ultimo, basano le rispettive considerazioni sul c.d.
principio di simmetria o principio dell'identità delle forme, in virtù del quale si osserva che «se la
forma vuole essere garanzia di certezza e serietà del volere, è facile comprendere come, eguale
essendo il valore da annettere ad una dichiarazione di segno positivo ed al suo contrario, l'esigenza
di forma si ponga per la seconda dichiarazione negli stessi termini che per la prima» (55). Perciò,
secondo tale teoria, la risoluzione per mutuo
dissenso di una donazione dovrà essere
perfezionata con atto pubblico in presenza dei testimoni.
Anche la giurisprudenza prevalente sostiene, in virtù del principio dell'identità delle forme, che il
contratto secondario (quale il mutuo
dissenso ) debba sottostare ai medesimi vincoli formali
ai quali è sottoposto il negozio principale sul quale esso deve avere incidenza (56).
Altri Autori (57), invece, considerano che nessuna norma preveda specificamente per i contratti
risolutivi, autonoma categoria negoziale, la stessa forma richiesta per i contratti ai quali questi si
riferiscono; in tali fattispecie non sarebbe neppure lecito il ricorso all'interpretazione analogica,
poiché l'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale statuisce che le leggi che facciano
eccezione a regole generali e ad altre leggi non si applichino oltre i casi in esse considerati. Quindi
secondo tale corrente di pensiero, dato che il legislatore solo per alcuni atti accessori (quali il
contratto preliminare, art. 1351 Codice civile; la procura, art. 1392 Codice civile; la ratifica, art.
1399 Codice civile; la dichiarazione di nomina, art. 1403 Codice civile) ha espressamente stabilito
dei collegamenti formali con il negozio principale e dato il carattere eccezionale delle prescrizioni
legislative in materia di forma solenne, è naturale sostener il principio della libertà delle forme; si
ritiene, infatti, che l'opposto principio della simmetria formale non riesca a dimostrare che «la
legge, una volta imposto un onere di forma per la costituzione di un negozio, abbia un pari interesse
per quell'altro negozio che distrugge la modificazione operata dal primo e tende a ripristinare la
situazione quo ante» (58).
A tali argomentazioni i fautori di un maggior rigore formale replicano che tale conclusione sia
frutto di un eccessivo automatismo interpretativo che conduce a determinare la soluzione del
problema solo sulla base delle scelte ricostruttive preferite, senza lasciare spazio ad un metodo
ermeneutico che, messi da parte tali automatismi e tali generalizzazioni, cerchi una soluzione al
problema della forma del mutuo
dissenso che parta da una valutazione caso per caso delle
norme che impongono vincoli di forma con riferimento a determinati negozi, per giungere a
verificare lo scopo e la funzione di tali oneri formali ed a verificare se essi sussistano anche con
riguardo al negozio eliminativo del negozio formale. Attraverso tale percorso, l'Autore che al
mutuo
dissenso ha dedicato lo studio più articolato giunge alla conclusione secondo cui il
mutuo
dissenso di una donazione non abbisogna degli oneri di forma prescritti dall'art.
782 Codice civile (59).
Come detto, anche la Corte di Cassazione ha sostenuto, in numerose pronunce, il principio della
libertà delle forme (60) ed è da sottolineare come nemmeno il citato intervento delle Sezioni Unite
(61)
(in sostegno della tesi basata sul «principio di simmetria») abbia definitivamente risolto tale
diatriba dottrinale e giurisprudenziale. Si deve comunque segnalare una certa prevalenza
dell'orientamento favorevole alla posizione formalista.
Da tali rilievi e dalla discordanza di risultati cui sono pervenute le citate teorie, emerge comunque
un dato certo che affonda le proprie radici nell'ambito di norme fondamentali del nostro sistema
giuridico, dalle quali non è ovviamente possibile prescindere, sia che ci si riferisca al principio
dell'identità formale, sia che si sostenga quello della libertà delle forme, quali l'art. 1350 Codice
civile e l'art. 2655 Codice civile. Qualora dunque i contraenti vogliano risolvere un contratto con il
quale sono stati ceduti o costituiti diritti reali su beni immobili, o con il quali si è agli stessi
rinunziato, la necessità della forma scritta per tale negozio di mutuo
dissenso discende dal
contenuto della vicenda effettuale di tali negozi, i quali, riguardando, appunto, diritti reali su beni
immobili, sono sottoposti ad una valutazione tipica da parte del legislatore, dalla quale emerge che
essi rivestono una tale importanza economico-sociale da richiedere la forma scritta; è perciò
desumibile la sussistenza di un principio generale secondo cui ogni vicenda effettuale inerente
diritti reali su beni immobili debba essere manifestata attraverso la forma scritta, cosicché non solo i
contratti che disciplinano le vicende costitutive, traslative, modificative od estintive, ma anche
quelli che regolano fattispecie eliminative di tali diritti debbono essere redatti in forma scritta.
A ciò si aggiunga che, qualora le parti intendano dare pubblicità alla vicenda eliminativa mediante
le norme di cui al Titolo I del Libro Sesto del Codice Civile, rendendo così tale vicenda opponibile
ai terzi, il mutuo
dissenso dovrà risultare da un titolo idoneo - senza il quale, ovviamente,
non è possibile ottenere la trascrizione dell'atto - quale l'atto pubblico, la scrittura privata autenticata
o accertata giudizialmente e la sentenza, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2655, 2656 e
2657 Codice civile; posto, infatti, che il mutuo
dissenso che si rivolga contro uno dei
contratti menzionati in particolare dai nn. 1, 2, 3, 4, 5 e 13 dell'art. 2643 Codice civile debba essere
reso pubblico, abbiamo già rilevato come la dottrina maggioritaria (62) ritenga che, una volta che si
sia attribuita al mutuo
dissenso la natura di negozio risolutorio con effetti eliminativi di un
precedente contratto, non sia possibile riferirsi all'art. 2643 Codice civile per quanto riguarda la
pubblicità ed il regime di opponibilità ai terzi del mutuo
dissenso stesso, poiché nessuna
delle fattispecie menzionate nell'art. 2643 Codice civile concerne una figura di contratto che sia
caratterizzato da una vicenda effettuale eliminativa di un precedente contratto. Pertanto la norma
alla quale è necessario rapportarsi è l'art. 2655 Codice civile, con la precisazione che
all'annotazione citata in tale disposizione debbano essere riconosciuti il valore e gli effetti, ai fini
dell'opponibilità ai terzi dell'efficacia eliminativa della convenzione di mutuo
dissenso , di
una vera e propria trascrizione (63); non deve, ovviamente, essere tralasciato il disposto dei succitati
artt. 2656, che richiede per l'annotazione le medesime forme necessarie per ottenere la trascrizione,
e 2657 Codice civile, che specifica come la trascrizione possa effettuarsi solo sulla base di sentenza,
atto pubblico e scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente; da ciò emerge chiaramente
come, anche per il mutuo
dissenso di una donazione immobiliare, il «titolo» da
sottoporre ad annotazione debba presentare la necessaria caratteristica dell'autenticità, la quale
garantisce la certezza che il fatto da rendere pubblico si sia effettivamente verificato e quindi possa
essere reso noto.
È dunque chiaro come nella pratica il mutuo
dissenso di una donazione immobiliare
venga attuato attraverso la stipulazione di un atto pubblico in presenza dei testimoni, non tanto
poiché con esso si intenda percorrere la via della contro- donazione (e tale aspetto emergerà
dalla volontà delle parti tradotta in atto ad opera del notaio e dalle risultanze causali del contratto
stesso) (64), quanto per non disattendere un orientamento oggi prevalente in giurisprudenza (65).
Seguendo infatti la teoria secondo cui il mutuo
dissenso di una donazione è un negozio
caratterizzato da una sua propria causa (l'eliminazione, la risoluzione del precedente regolamento di
interessi posto con il contratto di donazione ), si può concludere che esso debba certamente
rispettare le prescrizioni formali di cui agli artt.1350 e 2657 Codice civile, ma non quelle di cui
all'art. 782 Codice civile.
----------------------(1)
Con riguardo alla differente natura dell'azione di riduzione rispetto all'azione di restituzione si
vedano L. Mengoni, Successioni per causa di morte, Successione necessaria, in Trattato di diritto
civile comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo e continuato da L. Mengoni, Milano, 1992, 299 e G.
Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2002, 318. Mengoni considera l'azione di riduzione, in
caso di donazione lesiva, quale azione avente carattere personale, soggetto passivo il donatario
ed il cui effetto consiste nell'accertamento dell'inefficacia della donazione nei confronti del
legittimario che propone l'azione; ritiene quindi necessaria un'autonoma azione personale di
restituzione contro lo stesso convenuto in riduzione o reale di restituzione contro l'avente causa dal
donatario per il successivo trasferimento dell'immobile a favore del legittimario. Contra, F.
Messineo, Azione di riduzione e azione di restituzione per lesa legittima, in Riv. dir. civ., 1943, 133
ss. che considera la restituzione del bene al legittimario quale fase di esecuzione dell'azione di
riduzione.
(2)
Si veda M. Ieva, Retroattività reale dell'azione di riduzione e tutela dell'avente causa dal
donatario tra presene e futuro, in Riv. not., 1998, 1130, ove in nota 1 si mette in evidenza come tra
i terzi aventi causa dal donatario nei confronti dei quali è esperibile l'azione di cui all'art. 563
Codice civile siano compresi anche i terzi aggiudicatari o assegnatari del bene in base ad un
provvedimento di vendita o assegnazione forzata promosso dai creditori del donatario.
(3)
L. Mengoni, op. cit., 241 s.; nello stesso senso anche F. S. Azzariti-G. Martinez-G. Azzariti,
Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1979, 266 s., ove anche si sottolinea che
«l'azione del creditore del legittimario preterito non si ricollega alla norma di cui all'art. 557, bensì
soltanto a quella di cui all'art. 2900 in tema di azione surrogatoria».
(4)
Secondo cui qualora la domanda di riduzione venga trascritta quando siano già trascorsi dieci
anni dall'apertura della successione del donante, non sono pregiudicati i terzi che hanno acquistato a
titolo oneroso diritti sul bene medesimo e trascritto tale acquisto anteriormente alla trascrizione
della domanda di riduzione. Per i beni mobili registrati l'art. 2690 n. 5 stabilisce un termine più
breve (tre anni).
(5)
Si veda in tale proposito L. Mengoni, op. cit., 294 s., ove vengono interpretate le differenze tra
l'art. 561 Codice civile e l'art. 563 Codice civile mediante un'illuminata lettura che mette in
parallelo l'art. 561 Codice civile e l'art. 549 Codice civile ed ove l'Autore spiega come l'art. 561
Codice civile si applichi «non solo ai pesi in senso tecnico, quali le servitù e gli oneri reali, ma
anche a tutti i diritti, reali o personali, di godimento o di garanzia, anche se costituiti senza la
volontà (omissis) del donatario (ipoteca legale o giudiziale), nonché ai vincoli di indisponibilità
(sequestro, pignoramento). In giurisprudenza, nello stesso senso, Cass. 8 luglio 1971 n. 2178, in
Giust. civ., 1972, I, 1, 320.
(6)
Si veda L. C. Scordo, La tutela giuridica dell'acquirente di un bene proveniente da donazione
. Una proposta interpretativa, in Vita not., 2002, III, CXXXIII ss., che nel sottolineare come la
soggezione dell'acquirente all'azione di restituzione sia solo eventuale, sintetizza le fasi in cui si
articola il procedimento di reintegrazione della quota di legittima.
(7)
Si consideri che per Cass. s.u. 25 ottobre 2004, n. 20644, in Vita not., 2005, 855 ss., con nota di
F. C. Follieri, il termine di prescrizione dell'azione di riduzione decorre dalla data di accettazione
dell'eredità da parte del chiamato in base a disposizioni lesive della legittima. Questo «spostamento
in avanti» del dies a quo riguarda le fattispecie nelle quali la lesione dei diritti di legittima sia
determinata da disposizioni testamentarie; invece, nel caso di donazioni lesive della quota di
riserva, la stessa sentenza e l'Autore della nota evidenziano come il termine per esperire l'azione di
riduzione non possa che decorrere dall'apertura della successione, verificandosi in questo momento
la lesione della riserva, «poiché sin da tale momento vi è la certezza dell'incapienza del relictum per
soddisfare i diritti del legittimario».
(8)
C. Caccavale - F. Tassinari, Contributo per una riforma del divieto dei patti successori
rinunciativi, in Riv. dir. priv., 1998, 541 ss.; M. Ieva, op. cit., 1142 ss.; F. Magliulo, L'acquisto dal
donatario tra rischi ed esigenze di tutela, in Notariato, 2002, 98 ss.; F. Patti, Circolazione di
immobili provenienti da donazione , in Vita not., 1999, 1099 ss.
(9)
Ciò trova riscontro nella relazione di accompagnamento alla legge di conversione, in base alla
quale «in attesa che, anche sulla base delle iniziative adottate dalle istituzioni comunitarie, si
proceda, per un verso, ad un'organica revisione della disciplina dei patti successori e della tutela dei
legittimari e, per l'altro verso, a mitigare il divario tra la disciplina dettata dal nostro legislatore e
quelle vigenti nella maggior parte dei paesi dell'Unione europea, (omissis) si ritiene urgente fornire
una risposta al problema della tutela dell'acquirente dei beni immobili di provenienza donativa».
(10)
G. Carlini - C. Ungari Trasatti, La tutela degli aventi causa a titolo particolare dai donatari:
considerazioni sulla L. n. 80 del 2005, in Riv. not., 2005, 773 ss.; M. Ieva, La novella degli artt. 561
e 563 c.c.: brevissime note sugli scenari teorico-applicativi, in Riv. not., 2005, 943 ss.; R. Caprioli,
Le modificazioni apportate agli artt. 561 e 563 c.c.. Conseguenze sulla circolazione dei beni
immobili donati, in Riv. not., 2005, 1019 ss.; A. Palazzo, Vicende delle provenienze donative dopo
la legge n. 80/2005, in Vita not., 2005, 762 ss.; F. Tassinari, La «provenienza» donativa tra ragioni
dei legittimari e ragioni della sicurezza degli acquisti, studio n. 5859/C approvato dal Cons. Naz.
Not., in CNN Notizie del 13 settembre 2005, 7 ss.; V. Mariconda, L'inutile riforma degli artt. 561 e
563 c.c., in Corr. giur., 2005, 1174 ss.
(11)
V. Mariconda, op. cit., 1178.
(12)
Per l'art. 561 la salvezza dei pesi e delle ipoteche si verifica dopo che sono trascorsi venti anni
dalla trascrizione della donazione , mentre l'art. 563 stabilisce che gli acquisti degli aventi causa
dal donatario non sono soggetti a restituzione una volta trascorsi venti anni dalla donazione ; in
proposito si veda F. Tassinari, op. ult. cit., 13, secondo cui «la contraddizione è in realtà tale
soltanto in apparenza. La diversa formulazione può infatti giustificarsi alla luce della circostanza
che l'acquisto, a differenza del peso e dell'ipoteca, può riguardare anche beni mobili, per i quali non
ricorra il requisito della buona fede di cui all'art. 563, comma 2, in relazione ai quali non avrebbe
ovviamente senso prevedere la decorrenza del termine dalla trascrizione anziché direttamente dalla
donazione ». Tale differenza nell'individuazione del dies a quo è successivamente stata
annullata con l'art. 3 della Legge 28 dicembre 2005, n. 263.
(13)
La cui necessità è ribadita dalla dottrina maggioritaria; si veda, per tutti, F. Tassinari, op. ult.
cit., 21 s., ove si sottolinea «la permanente opportunità di una adeguata norma transitoria». Contra,
E. De Francisco, La nuova disciplina in materia di circolazione dei beni immobili provenienti da
donazione . Le regole introdotte dalla L. 14 maggio 2005 n. 80, in Riv. not., 2005, 1268, secondo
cui l'assenza di ogni norma transitoria «è stata del tutto consapevole», per cui «il sistema andrà a
regime con il decorso di venti anni dal 15 magio 2005». Lo stesso Autore ritiene quindi
«opportuna» l'assenza di una specifica disciplina transitoria, dato che gli esiti del dibattito dottrinale
sull'argomento consentiranno al legislatore di intervenire nel modo migliore.
(14)
F. Tassinari, op. ult. cit., 17 ss.; secondo l'Autore «non sembra esservi alcuno spazio per
escludere le donazioni anteriori (omissis). L'applicazione della nuova disciplina alle donazioni
anteriori all'entrata in vigore della legge non comporta infatti alcuna retroattività della nuova
normativa, dal momento che oggetto di tale normativa sono esclusivamente gli effetti dell'azione di
riduzione e l'esperibilità stessa dell'azione di restituzione, e non anche la disciplina sostanziale della
donazione »; P. Criscuolo, Prime riflessioni sulla riforma degli artt. 561 e 563 c.c., in Riv. not.,
2005, 1514.
(15)
F. Tassinari, op. ult. cit., 21; lo stesso Autore giunge quindi alla logica conclusione per cui il
dies a quo per computare il ventennio entro cui i potenziali legittimari possono fare opposizione sia
la data della donazione ; si veda in particolare 19.
(16)
G. Carlini - C. Ungari Trasatti, op. cit., 792 s.
(17)
M. Ieva, op. ult. cit., 945; nello stesso senso si veda V. Mariconda, op. cit., 1179.
(18)
Si vedano M. Ieva, Retroattività reale dell'azione di riduzione e tutela dell'avente causa dal
donatario tra presente e futuro, cit.; F. Magliulo, L'acquisto dal donatario tra rischi ed esigenze di
tutela, cit.
(19)
A. Luminoso, Il mutuo
dissenso , Milano, 1980, 234; si vedano in particolare 163 ss.,
ove l'Autore, posta la questione per cui si deve valutare se, quando le parti si prefiggano il concreto
intento empirico di «ripristinare la stessa situazione giuridica antecedente al primo negozio, sia
sufficiente configurare (omissis) un'incidenza del contrarius actus sulla sola situazione effettuale
creata dal primo negozio o se invece si renda necessario supporre un effetto eliminativo che
colpisca direttamente l'atto di primo grado», afferma chiaramente come si debba riconoscere la
configurabilità di negozi abolitivi di precedenti negozi.
(20)
Si veda in tal senso A. Luminoso, op. cit., 6 s. e la dottrina citata alla nt. 11; contra, F. Carresi,
Gli effetti del contratto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1958, 496 e 502, che nega, in termini generali,
la configurabilità di contratti eliminativi di precedenti negozi; D. Rubino, La compravendita, in
Trattato di Diritto Civile e Commerciale diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1971, 1031, 9
bis, il quale dubita che una «vera e propria ritrattazione, che cioè elimini la stessa dichiarazione»
possa applicarsi a contratti già conclusi.
(21)
Così M. Talamanca, Osservazioni sulla struttura del negozio di revoca, in Riv. dir. civ., 1964, I,
150 ss., secondo il quale «un fatto storico si qualifica come giuridico in quanto produce degli effetti
giuridici: ora, perché il fatto giuridico cessi di essere tale, bisogna operare su questi effetti giuridici,
perché soltanto attraverso l'eliminazione di questi il fatto giuridico cesserà di essere attualmente
tale»; nello stesso senso L. V. Moscarini, I negozi a favore di terzo, Milano, 1970, 184 s.
(22)
A. Luminoso, op. cit., al quale rimandiamo per ulteriori indicazioni bibliografiche; F. Messineo,
voce Contratto (dir. priv.), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 815; G. Capozzi, Mutuo
dissenso
- Donazione di bene immobile-Atto di risoluzione-Ammissibilità-Effetti, in Vita not., 1973,
605 ss. e Il mutuo
dissenso nella pratica notarile, in Vita not., 1993, 635 ss.; C. M. Bianca,
Il contratto, Milano, 1998, 699 s., secondo cui «il mutuo
dissenso è espressione
dell'autonomia contrattuale in quanto il potere di porre in essere atti dispositivi della propria sfera
giuridica comporta anche il potere di disvolere tali atti, nel rispetto dei diritti altrui»; A. Magnani,
La risoluzione della donazione per mutuo
dissenso (un rimedio alla potenziale
incommerciabilità degli immobili provenienti da donazione ), in Riv. not., 2004, 127.
(23)
Termine adottato dalla dottrina tedesca; si veda K. Czyhlarz, Zur lhere von der
Resolutivbedingung, Praga, 1871, 31.
(24)
In questo senso A. Luminoso, op. cit., 347 s.; secondo F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare,
in Il codice civile commentato diretto da P. Schlesinger, Milano, 1991, 420, invece, per raggiungere
tali risultati effettuali di estinzione del contratto sarebbero necessari due negozi: un negozio
obbligatorio (il mutuo
dissenso ) dal quale nascerebbe, in capo all'originario donatario, solo
l'obbligo di ritrasferire ed un successivo atto di adempimento traslativo che farebbe ritornare il
diritto nel patrimonio del donante. Sostiene questa teoria anche F. Toschi Vespasiani, Riflessioni
intorno al mutuo
dissenso : spunti per il ripensamento di un dibattito nell'ottica di un
raccordo tra opzioni dogmatiche e prassi negoziale, in Riv. dir. civ., 2003, I, 284 ss.
(25)
G. Capozzi, Il
128.
mutuo
dissenso
nella pratica notarile, cit., 638; A. Magnani, op. cit.,
(26)
Si veda in particolare A. Luminoso, op. cit., 36, ove l'Autore sostiene che, comunque, «l'espressa
previsione legale (art. 1372, primo comma) del mutuo consenso non si presenta strettamente
necessaria a legittimarne l'ammissione nell'ordinamento, poiché ad essa si sarebbe comunque potuti
pervenire prendendo a base più generali principi di diritto positivo» e 82; si noti poi come il
medesimo autore rilevi, a pag. 29, che «le disposizioni di diritto positivo che con sicurezza
concernono specificamente il mutuo
dissenso si riducono, nella sostanza, a una soltanto:
quella contenuta nel primo comma dell'art. 1372 c.c.».
(27)
S. Romano, voce Revoca (dir. priv.), in Novissimo dig. it., XV, Torino, 1968, 809.
(28)
A. Luminoso, op. cit., 51.
(29)
A. Luminoso, op. cit., 74 e s., ove si rileva che «le figure operanti mediante la produzione di
effetti giuridici intesi a neutralizzare (ex nunc) la situazione creata dall'originario contratto, si
collocano su di un piano assai diverso. Rispetto al contratto eliminativo che, data la sua rilevata
uniformità di effetti giuridici, è da configurare come uno schema funzionale unitario, le singole
ipotesi di contratti «a controviceda», non soltanto appaiono come figure nane di contrarii actus - in
ragione della loro ridotta carica effettuale negativa - ma altresì si ribellano ad un inquadramento
sotto un unico tipo contrattuale - in ragione della rilevata multiformità di effetti giuridici».
(30)
Si noti come A. Luminoso, op. cit., 171 e ss., insista particolarmente sulla «utilità del concetto
della eliminazione del negozio giuridico, come fenomeno distinto e differente da quello della
eliminazione delle sue vicende effettuali»; a dimostrazione di ciò vengono proposti dall'Autore
numerosi esempi, tra i quali il più rilevante riguarda l'ipotesi in cui le parti pongano in essere un
contratto eliminativo di un precedente contratto ad efficacia sospesa o differita, in un momento in
cui gli effetti tipici del contratto non si siano ancora prodotti (ad es. un contratto sospensivamente
condizionato il cui evento condizionante sia ancora pendente). L'Autore sottolinea l'indubbia
funzionalità della diretta inciden za sul negozio giuridico da parte del mutuo
dissenso
poiché, «in ipotesi di questo tipo, non essendovi effetti definitivi del primo negozio su cui poter
incidere, il contratto eliminativo non ha altro elemento formale, altra realtà giuridica su cui operare
(in senso distruttivo) se non la regola negoziale, la cui eliminazione fa sì che l'avverarsi della
condizione, trovando un atto di autonomia ormai giuridicamente inerte, non possa determinare il
prodursi degli effetti negoziali».
(31)
A. Luminoso, op. cit., 79; l'Autore sottolinea che «questi due gruppi di contratti in senso
inverso, al di fuori del generico tratto comune rappresentato dall'essere contrassegnati da una carica
effettuale di segno opposto a quella di un precedente contratto inter partes, niente di più abbiano in
comune fra loro».
(32)
Si veda A. Luminoso, op. cit., 103, 6, secondo cui «l'effetto eliminativo, a differenza di altri tipi
di effetti giuridici, è, per sua natura, necessariamente retroattivo, consistendo esso in una rimozione
ab origine della stessa vicenda di rapporto contro cui si dirige».
(33)
A. Luminoso, op. cit., 100 ss., al quale rimandiamo per ulteriori indicazioni bibliografiche (in
part. 104, 8); l'Autore sostiene che «una volta chiarito che la retroattività altro non esprime se non
un particolare modo di congegnare il contenuto di effetti giuridici e, soprattutto, che il negozio
retroattivo rimane sempre un regolamento di interessi per il presente, il quale, proprio al fine d
assicurare la realizzazione per il futuro dell'assetto di interessi programmato dalle parti, esige il
determinarsi di modificazioni giuridiche (anche) per il passato, non può ravvisarsi in questo
fenomeno alcunché di eccezionale. Eccezionale sarebbe, invece, negare ai privati il potere di dotare
di forza retroattiva i loro atti di autonomia ed in particolare i contratti, se è vero che il contratto è
regola impegnativa dei cui effetti (inter partes) i contraenti hanno la disponibilità. In questo senso,
non si può non sottoscrivere incondizionatamente l'affermazione secondo la quale, essendo in fondo
la retroattività statuizione di effetti, se questi effetti toccano terze persone, certo la cosa non è
possibile se non per ordine della legge, ma nei rapporti fra le parti è sovrano l'intento»; G. Capozzi,
Il mutuo
dissenso nella pratica notarile, cit., 640 s.; A. Magnani, op. cit., 120.
(34)
A. Luminoso, op. cit., 113, ove l'Autore sottolinea come «i diritti dei terzi costituiscono, non un
limite esclusivo e specifico all'operatività dell'effetto retroattivo, bensì in confronto a tutti i tipi di
effetti contrattuali (omissis). È chiaro, infatti, che è qui in gioco, non una peculiare compressione
del potere dispositivo dei privati, imposta dalla singolarità del congegno effettuale retroattivo, ma la
regola generale della intangibilità (o, forse, meglio della difesa) della sfera giuridica dei terzi, di cui
il principio della relatività (degli effetti) del contratto (artt. 1321 e 1372, secondo comma)
rappresenta un corollario».
(35)
A. Luminoso, op. cit., 53; si veda anche la dottrina citata nella nota 66.
(36)
Si veda, in tal senso, Cass. 16 luglio 1997, n. 6488, in Giust. civ. Massimario, 1997, 1208, in cui
si contempla «il principio per cui il mutuo
dissenso , come contrarius actus, deve provenire
dagli stessi originari contraenti del negozio da risolvere, anche quando questo è stato stipulato da un
falsus procurator»; per una approfondita disamina del contratto eliminativo del negozio del falsus
procurator, A Luminoso, op. cit., 194 ss.
(37)
In questo senso si veda A. Luminoso, op. cit., 119 e 295 ss., ove, partendo dal presupposto per
cui parti del contratto di mutuo
dissenso non possono che essere «i destinatari della regola
dettata dal precedente contratto, quali titolari degli interessi regolati - in modo opposto - sia dal
primo che dal secondo negozio», l'Autore prende poi in considerazione le ipotesi nelle quali il
primo contratto abbia prodotto effetti giuridici diretti nella sfera di un terzo (per es. art. 1411
Codice civile).
(38)
G. Dejana, Contrarius consensus, in Riv. dir. priv., 1939, I, 89 ss.
(39)
G. Capozzi, Il
(40)
mutuo
dissenso
nella pratica notarile, cit., 636.
G. Dejana, op. cit., 124, il quale ravvisa nel congegno effettuale a controvicenda l'unica
possibile modalità operativa del mutuo
dissenso ; egli ritiene infatti che le parti non possano
annientare un negozio precedente, non essendo consentito alle stesse di munire di efficacia
retroattiva il contro-negozio; D. Rubino, La compravendita, cit., 1024, secondo il quale «in tutte le
vendite immediatamente traslative, e per ciò di regola, può aversi non uno scioglimento consensuale
del precedente rapporto di vendita, ma solo un nuovo contratto di ritrasferimento fra le medesime
parti (retrovendita): quindi con efficacia ex nunc»; G. Mirabelli, Dei contratti in generale, in
Commentario codice civile, Torino, 1980, 290; B. Biondi, Le donazioni, in Trattato di diritto civile
italiano diretto da F. Vassalli, Torino, 1961, 519.
(41)
F. Carresi, Il contratto, in Trattato di diritto civile comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo e
continuato da L. Mengoni, Milano, 1987, 873.
(42)
G. Auletta, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, 488; E. Enrietti, Della risoluzione
del contratto, in Cod. Civ.-Commentario a cura di M. D'Amelio e E. Finzi, Libro delle obbligazioni,
I, Firenze, 1948, pag. 814, i quali escludono la retroattività della risoluzione convenzionale
rilevando che nemmeno la corrispondente sentenza di risoluzione o di annullamento possa
pregiudicare i diritti dei terzi.
(43)
In questo senso F. Galgano, Degli effetti del contratto, in Commentario del codice civile a cura
di A. Scialoja, G. Branca e F. Galgano, Bologna-Roma, 1993, 19.
(44)
Così G. Capozzi, Il mutuo
dissenso nella pratica notarile, cit., 639, ove l'Autore
ripropone l'efficacissimo «esempio scherzoso» già presentato in Mutuo
dissenso Donazione di bene immobile, cit., 608: «Tizio dona a Caia, sua amante, alcuni gioielli. Troncata
la relazione per il comportamento offensivo di Tizio, Caia non vuole più possedere quei doni ed
entrambi, d'accordo, ne decidono la restituzione. È assurdo ravvisare nel loro accordo una nuova
donazione e ritrovare, perciò, un anacronistico animus donandi in Caia che ormai odia Tizio,
come, d'altra parte, è assurdo pensare che l'ordinamento giuridico non consenta loro altro mezzo per
raggiungere l'intento che perseguono».
(45)
Si veda supra, nota 30 e P. Perlingieri, Il fenomeno di estinzione delle obbligazioni, Napoli,
1972, 101, secondo cui «l'autonomia privata come può differire o sospendere l'efficacia di un
contratto, nulla toglie che possa prevedere che un effetto da ricollegare al momento del consenso
debba retroagire ad un momento precedente». In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza;
cfr. Cass. 29 aprile 1993, n. 5065, in Giust. civ. Massimario, 1993, 790, in cui, pur partendo dal
presupposto per cui la risoluzione del contratto per mutuo
dissenso non avrebbe efficacia
retroattiva, in difetto di una specifica pattuizione in tal senso, si lascia quindi intendere come le parti
possano fornire di efficacia retroattiva una risoluzione convenzionale per mutuo
dissenso ,
attraverso una specifica clausola in tal senso.
(46)
Nella vastissima letteratura sulla causa della donazione non possono non segnalarsi A.
Torrente, La donazione , in Trattato di diritto civile comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo,
Milano, 1956, 171 ss.; B. Biondi, Le donazioni, cit., 409 ss.; U. Carnevali, Le donazioni, in Trattato
di diritto privato diretto da P. Rescigno, Torino, 1997, 433 ss.; G. Capozzi, Successioni e donazioni,
cit., 773; P. Gallo, La donazione , in Trattato diretto da G. Bonilini, Torino, 2001, 493 ss.
(47)
(48)
Si veda supra, nt. 44.
In tal senso A. Luminoso, op. cit., 66, il quale rileva come non sarebbe sufficiente «sostenere in
contrario che, in questo caso, l'alienante si è determinato a disporre in favore del suo originario
donante solo per neutralizzare gli effetti della precedente liberalità; ché, invero, (omissis)
rimarrebbe comunque insuperabile il rilievo che il concetto di donazione ricomprende ogni
attribuzione patrimoniale (delimitata positivamente dall'art. 769 e negativamente dagli artt. 1803,
1813, 1703 e 1766) non sorretta da un corrispettivo, pur se in concreto determinata da un motivo
non liberale (addirittura anche unico: arg. art. 794)».
(49)
Si noti come G. Dejana, op. cit., 133 ss., si renda conto delle conseguenze incongrue e
paradossali che derivano dalla considerazione del mutuo
dissenso della donazione
quale donazione in senso inverso; tuttavia l'Autore, per poter assecondare tale argomentazione,
frutto della teoria del contrarius actus, propone un'artificiosa ricostruzione per cui l'originario
donatario ridonerebbe il bene sotto la condizione risolutiva che il donante o i suoi eredi non vantino
diritti sullo stesso per effetto dell'azione di riduzione o della revocazione; anche volendo accogliere
tale assunto, rimane irrisolto il problema dell'eventuale azione di riduzione dei legittimari lesi del
controdonante.
(50)
Così A. Magnani, op. cit., 121.
(51)
Non è ovviamente possibile riferirsi alle norme tributare per reperire argomentazioni a supporto
della pretesa natura traslativa del mutuo
dissenso ; ciò costituirebbe infatti un grave errore
sistematico, dato che la legislazione fiscale spesso offre definizioni e classificazioni assai differenti,
se non opposte, rispetto a quelle elaborate in ambito civilistico, anche a causa delle peculiari finalità
perseguite in tale ambito; l'art. 28 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (rubricato Risoluzione del
contratto), al secondo comma, infatti, assoggetta ad imposta proporzionale «le prestazioni derivanti
dalla risoluzione» di un contratto. Quindi l'imposta dovuta per un contratto di mutuo
dissenso
sarebbe la medesima (con l'eventuale maggiorazione costituita da un'ulteriore imposta
riguardante il corrispettivo, qualora esso sia stato pattuito per la risoluzione) di quella che
sconterebbe un atto di ritrasferimento; in tal senso G. Capozzi, Il mutuo
dissenso nella
pratica notarile, cit., 643; inoltre proprio la presenza di una specifica disciplina che pone sul
medesimo piano, dal punto di vista fiscale, l'effetto risolutivo e quello traslativo, potrebbe
evidenziare come anche il legislatore fiscale abbia considerato la differenza tra le due fattispecie,
ché se il mutuo
dissenso fosse stato considerato quale un mero ritrasferimento, sarebbe
ricaduto nella disciplina degli atti traslativi. Si noti, invece, come secondo G. Petrelli, Formulario
notarile commentato, Milano, 2001, 152, poiché, secondo la ricostruzione preferibile, il mutuo
dissenso ha come effetto la risoluzione del precedente contratto e non produce effetti traslativi,
si applica l'imposta di registro in misura fissa.
(52)
Si veda in tal senso G. Capozzi, Il mutuo
dissenso nella pratica notarile, cit., 645;
contra, G. Santarcangelo, Condono edilizio. Formalità e nullità degli atti tra vivi, Milano, 1991,
414, il quale pur sostenendo «chiaramente come il mutuo
dissenso non si possa risolvere in
un contratto uguale e contrario a quello che si intende sciogliere», ed argomentando tale tesi con
l'inoppugnabile affermazione secondo cui, dando credito alla teoria del contrarius actus, per
eliminare una donazione sarebbe necessaria una donazione in senso inverso, mentre ciò
non è nella volontà delle parti, poiché il donatario non intende fare un'attribuzione al donante
originario animus donandi, «ma intende restituire l'immobile in modo da eliminare gli effetti
prodotti dalla donazione ed evitare future azioni di riduzione», conclude poi che «tuttavia,
anche se dotato di causa tipica, il mutuo
dissenso di un negozio traslativo è pur sempre un
nuovo negozio traslativo, in quanto la precedente donazione non può essere eliminata dal
mondo del diritto, mentre possono essere eliminati solamente gli effetti prodotti dal contratto,
mediante il ritrasferimento dell'immobile». Di conseguenza, per tale Autore, il mutuo
dissenso di una donazione immobiliare sarebbe soggetto alle formalità urbanistiche, fatta
eccezione per il caso in cui la donazione intercorra tra coniugi o tra parenti in linea retta (si
veda l'esempio proposto della donazione del padre al figlio) ed abbia ad oggetto terreni, per cui
l'art. 30 stesso esclude la necessità dell'allegazione del c.d.u. In posizione intermedia si trova G.
Petrelli, op. cit., 152, che ritiene opportuno inserire in atto le dichiarazioni urbanistiche «in
considerazione del discusso problema della natura giuridica del mutuo
dissenso (atto con
effetti eliminativi o atto con effetti traslativi)»
(53)
In questo senso A. Luminoso, op. cit., 213 ss., secondo il quale «una volta escluso che il
contrarius actus possa operare sugli effetti della donazione nulla, dato che questi, per
definizione, fanno difetto, una spiegazione tecnicamente corretta del fenomeno sembra possa darsi
solo ammettendo che il negozio eliminativo opera direttamente sull'atto di liberalità nullo,
privandolo di quella specifica rilevanza giuridica che l'ordinamento gli attribuisce con la previsione
contenuta nell'art. 799».
(54)
F. Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1946, 472; R. Scognamiglio,
Osservazioni sulla forma dei negozi revocatori, in Temi nap., 1961, I, 434 ss.; Dei contratti in
generale, in Commentario del codice civile, a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma,
1970, 417; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Trattato di diritto civile italiano
diretto da F. Vassalli, Torino, 1960, 255; P. Rescigno, Manuale di diritto privato italiano, Napoli,
1973, 263; G. Capozzi, Mutuo
dissenso , cit., 61, secondo cui «per il mutuo
dissenso
si deve adoperare la forma necessaria per il negozio da abolire; a favore di tale opinione milita
l'esigenza pratica di realizzare, nei confronti di situazioni negoziali di un certo rilievo, una
sufficiente certezza sulla seria e ponderata determinazione delle parti, oltre che una più efficiente
documentazione del negozio»; A. Magnani, op. cit., 122; per ulteriori indicazioni si veda A.
Luminoso, op. cit., 318, 55. Ha contestato la validità del principio della libertà delle forme N. Irti,
Idola libertatis. Tre esercizi sul formalismo giuridico, Milano, 1985, principio già vivacemente
criticato da R. Sacco, Il contratto, in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. Vassalli, Torino,
1975, 419.
(55)
G. Giampiccolo, Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954, 148.
(56)
Stabiliscono quindi che il mutuo
dissenso di un contratto per il quale sia richiesta una
determinata forma ad substantiam debba seguire le medesime forme del contratto da sciogliere:
Cass. 15 maggio 1998, n. 4906, in Giust. civ. Massimario, 1998, 1046; Cass. 7 marzo 1997, n.
2040, in Notariato, 1997, 517, con nota critica di F. Gradassi; si noti, infatti, come in tali ultime due
sentenze sia sostenuto il principio della identità formale sulla scorta del fatto che per effetto del
mutuo
dissenso si opererebbe «un nuovo trasferimento della proprietà al precedente
proprietario»; in questo modo la Cassazione parrebbe sostenere, per quanto riguarda la natura
giuridica del mutuo
dissenso , la teoria del contrarius actus, escludendo che dal contratto di
mutuo
dissenso scaturiscano effetti risolutivi ed eliminativi; Cass. 7 marzo 1992, n. 2772,
in Giust. civ. Massimario, 1992, 3; Cass. 20 dicembre 1988, n. 6959, in Giust. civ. Massimario,
1988, 12; Cass. 11 novembre 1986, n. 6586, in Giust. civ. Massimario, 1986, 11; Cass. 11
settembre 1986, n. 5550, in Giust. civ. Massimario, 1986, 9; Cass. 22 aprile 1981, n. 2351, in Giust.
civ. Massimario, 1981, 4; Cass. 4 maggio 1978, n. 2080, in Archiv. civ., 1979, 167; Cass. 5
settembre 1977, n. 3885, in Archiv. civ., 1978, 31; vedi anche la giurisprudenza citata da A.
Luminoso, op. cit., 318, 55. Tale opinione ha ricevuto l'avallo delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione che, con la sentenza del 28 agosto 1990, n. 8878, in Vita not., 1990, 514 ss., hanno
stabilito che «la risoluzione consensuale di un contratto, riguardante il trasferimento, la costituzione
o l'estinzione di diritti reali immobiliari, è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam»;
nelle motivazioni si mette in rilievo che «dal sistema emerge in modo palese, accanto al principio
della libertà della forma, un altro criterio uniformemente adottato dal legislatore: per i contratti più
importanti, destinati ad incidere in modo più penetrante e durevole sul patrimonio e sugli interessi
dei soggetti, è sempre richiesta una forma solenne, con il duplice fine di indurre le parti ad una
meditazione più attenta e consapevole ed a predisporre, per eventuali contrasti derivanti dal
negozio, mezzi di prova più affidabili ed obiettivi».
(57)
G. Dejana, op. cit., 161; L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano,
Napoli, 1949, 274 e 452; A. Genovese, Le forme volontarie nella teoria dei contratti, Padova, 1949,
154, 1 e 156 ss.; G. Mirabelli, Dei contr. in gen., cit., 257 ss.; V. Scalisi, La revoca non formale del
testamento e la teoria del comportamento concludente, Milano, 1974, 388; A. La Torre, La forma
dei negozi risolutori, in Giust. civ., 1962, I, 158; M. Giorgianni, voce Forma degli atti (diritto
privato), in Enc. Dir., XVII, Milano, 1968, 1003.
(58)
A. Genovese, op. cit., 159.
(59)
A. Luminoso, op. cit., 325, ove l'Autore sostiene che nel caso di donazione l'adozione
dell'atto pubblico sia «imposta in ragione dell'intento liberale del donante di arricchire il donatario
(omissis). Questa essendo la ratio iuris, non pare che la stessa ricorra con riguardo al mutuo
dissenso eliminativo di donazione , giacché in esso l'originario donatario non è animato da un
intento liberale di arricchire, ma dal differente intento tipico di ripristinare la situazione giuridica
(ed economica) anteriore alla donazione . Non rivestendo il mutuo
dissenso i caratteri
che stanno alla base della prescrizione di forma posta per la donazione , lo stesso sarà svincolato
dal corrispondente onere formale, salva l'eventuale applicazione di altre norme che impongano la
forma solenne alle quali il contrarius actus in concreto sia riconducibile (ed in particolare di quelle
dell'art. 1350 nei casi in cui la donazione abbia ad oggetto diritti reali su immobili)».
(60)
Si vedano in tal senso: Cass.16 agosto 2004, n. 15959, in Giust. civ. Massimario, 2004, 7-8;
Cass. 24 giugno 1997, n. 5639, in Giust. civ. Massimario, 1997, 1048; Cass. 17 maggio 1993, n.
5583, in Massimario giur. lav., 1993, 568; Cass. 20 maggio 1991, n. 5684, in Vita not., 1991, 975;
Cass. 9 gennaio 1991, n. 100, in Giust. civ. Massimario, 1991, 1; Cass. 1 febbraio 1989, n. 617, in
Giust. civ. Massimario, 1989, 2; Cass. 6 giugno 1988, n. 3816, in Riv. not., 1989, 219 e 884; Cass.
16 dicembre 1986, n. 7551, in Rep. Foro it., 1986, voce Contratto in genere, 626, 240; Cass. 28
maggio 1983, n. 3692, in Giust. civ. Massimario, 1983, 5; Cass. 27 ottobre 1962, n. 3072, in Foro
it., 1962, I, 1860 ss.; Cass. 8 giugno 1961, n. 1320, in Giust. civ., 1962, I, 154 ss.;
(61)
Cass. s.u. 28 agosto 1990, n. 8878, cit.
(62)
A. Luminoso, op. cit., 333 ss. e 363 ss. e gli Autori ivi citati; G. Capozzi, Il mutuo
dissenso nella pratica notarile, cit., 643; A. Magnani, op. cit., 124; F. Galgano, Degli effetti del
contratto cit., 23; F. Gradassi, Requisiti formali della risoluzione consensuale di compravendita
immobiliare, in Notariato, 1997, 521.
(63)
In questo senso, A. Luminoso, op. cit., 336 s., in part. 98 e 365.
(64)
Si noti come A. Magnani, op. cit., 121, sottolinei come «nella redazione dell'atto di scioglimento
volontario della donazione si dovrà mettere ben in evidenza lo scopo perseguito dalle parti di
ripristinare la situazione giuridica identica a quella precedente, eliminando il primo atto (la
donazione ) dal mondo giuridico»Nota:
(65)
Si osservi, infatti, come, proprio in considerazione di tale prevalente orientamento
giurisprudenziale e non in virtù della natura giuridica del mutuo
dissenso della donazione
, G. Petrelli, op. cit., 152, ritenga «opportuno, cautelativamente, per la risoluzione consensuale del
contratto di donazione, adottare la forma dell'atto pubblico con l'assistenza dei testimoni».
Giurisprudenza
DONAZIONE RIMUNERATORIA E LIBERALITà D’USO
Cassazione civile sez. II
Data: 03 marzo 2009
Numero: n. 5119
Parti: G. e altro C. G. e altro
Fonti: Giust. civ. 2009, 6, I, 1261, Giust. civ. Mass. 2009, 3, 375
Classificazione
DONAZIONE - Rimuneratoria
Testo
Donazione - Rimuneratoria - Configurabilità - Condizioni - Fattispecie
La donazione remuneratoria consiste nell'attribuzione gratuita compiuta spontaneamente e nella
consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico, morale, sociale per compensare i
servizi resi dal donatario. (Figura esclusa nella fattispecie, con riferimento alla disposizione con cui
una signora aveva riconosciuto di essere debitrice di una somma pecuniaria nei confronti della
nipote a titolo di gratitudine e compenso per l'assistenza, la cura e l'amministrazione ricevute per un
considerevole periodo).
Cassazione civile sez. II
Data: 12 novembre 2008
Numero: n. 26983
Parti: S. C. Z. e altro
Fonti: Foro it. 2009, 4, I, 1103
Classificazione
DONAZIONE - Liberalità
Testo
Non si configura una liberalità d'uso, né una donazione indiretta in caso di cointestazione di un
libretto bancario su cui erano state in precedenza depositate somme di denaro appartenenti ad uno
solo dei cointestatari, allorquando difetti la prova che, all'atto della cointestazione, il proprietario
del denaro non avesse altro scopo che quello di liberalità (nella specie, è stata confermata la
pronuncia di merito secondo cui la cointestataria non proprietaria del denaro originariamente
versato non aveva fornito la dimostrazione di un atto volontario e spontaneo di disposizione
patrimoniale in suo favore da parte di chi aveva aperto il libretto, in considerazione dell'assistenza
morale e materiale ricevuta).
Cassazione civile sez. II
Data: 24 luglio 2008
Numero: n. 20387
Parti: D. e altro C. D. e altro
Fonti: Giust. civ. Mass. 2008, 7-8, 1202
Classificazione
SUCCESSIONE LEGITTIMA E NECESSARIA - Riduzione delle donazioni
Testo
Successione legittima e necessaria - Riduzione - Delle donazioni - Donazione remuneratoria Disciplina della reintegrazione della quota dei legittimari e dell'azione di riduzione Inclusione
La donazione remuneratoria, che è un atto di liberalità caratterizzato dagli scopi di riconoscenza e di
apprezzamento dei meriti individuati dall'art. 770 c.c., in quanto donazione vera e propria, è
assoggettata alla disciplina della reintegrazione di quanto spetta ai legittimari e, di conseguenza,
all'azione di riduzione.
Cassazione civile sez. II
Data: 18 giugno 2008
Numero: n. 16550
Parti: Venturini C. Baldi
Fonti: Giust. civ. Mass. 2008, 6, 971, Giust. civ. 2009, 1, I, 163
Classificazione
DONAZIONE - Liberalita'
Testo
Donazione - Liberalità in conformità agli usi, ai sensi dell'art. 770, comma 2, c.c. - Natura,
caratteri, condizioni - Fattispecie
La qualificazione giuridica di un'elargizione come liberalità effettuata in conformità agli usi ex art.
770, comma 2, c.c., deve risultare non solo dal rapporto con la potenzialità economica del donante
ma anche in relazione alle condizioni sociali in cui si svolge la sua vita di relazione, oltre che dal
concreto accertamento dell'animus solvendi consistente nell'equivalenza economica tra servizi resi e
liberalità ed, infine, dall'effettiva corrispondenza agli usi, intesi come costumi sociali e familiari.
(Nella specie il giudice di merito aveva qualificato secondo gli usi l'elargizione fatta dal donante
prima di morire alla convivente more uxorio consistente in un giroconto per acquisto titoli per 64
milioni di lire e quadri d'autore. La Corte ha cassato con rinvio perché non era stata accertata e
motivata l'esistenza delle condizioni qualificanti la liberalità d'uso).
Tribunale Palermo sez. II
Data: 28 agosto 2007
Numero:
Parti: Fonti: Vita not. 2008, 2, 771 (s.m.) (nota di: PALAZZOLO)
Classificazione
DONAZIONE - Modico valore
Testo
La donazione di un quadro di rilevante valore economico e storico artistico configura una donazione
necessitata dalla forma e non rileva la correlazione relativa all'effetto depauperante sul patrimonio
del donante, che del caso può considerarsi capiente, bensì la particolare qualità del bene mobile, in
relazione al compendio mobiliare ove è inserito. Va del pari esclusa llipotesi della donazione
rimuneratoria per servizi resi siccome disancorata dal requisito essenziale della forma vincolata ex
art. 782 c.c., che non può essere superata da una scrittura attributiva del bene che vagamente
descriva la causa rimuneratoria. Consegue che, in assenza di prova riguardo ad un titolo valido a
provare la detenzione iniziale, va dichiarata la nullità della donazione per difetto di forma e la
conseguente restituzione del bene che ne costituisce lloggetto agli aventi diritto.
Tribunale Monza
Data: 13 marzo 2007
Numero:
Parti: A.P. e altro C. D.P. e altro
Fonti: Giur. merito 2008, 3, 643, Giur. merito 2007, 10, 2632
Classificazione
DONAZIONE - Causa
Testo
donazione - Causa - Attribuzioni patrimoniali dei genitori verso i figli per l'assistenza prestata
nei loro confronti - Qualificazione giuridica - Donazione remuneratoria.
L'assistenza prestata da uno dei figli ai genitori non determina, secondo la morale sociale,
un'obbligazione in capo all'assistito o ad un suo parente stretto, in quanto le attuali convinzioni
etiche della società - per quanto le recenti trasformazioni dei costumi abbiano condotto ad
indebolire i legami familiari - ancora prospettano come doverosa l'assistenza dei figli ai genitori
anziani, assistenza la cui doverosità è, del resto, sancita anche in via normativa dall'art. 433 n. 2
c.c.: ne deriva che, in una tale situazione, l'attribuzione patrimoniale effettuata dal genitore a favore
del figlio potrebbe, al più, ricondursi nell'ambito delle donazioni remuneratorie, quale atto sorretto
da uno spirito di squisita liberalità ma generato, sul piano morale, dal desiderio di premiare un
soggetto ritenuto, secondo una valutazione personale e non sociale, particolarmente meritevole.
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Sentenza per esteso
(Torna su ) Note giurisprudenziali
4Giur. merito 2007, 10, 2633
(2) Sostanzialmente nei medesimi termini Trib. Monza 25 gennaio 2001, in Nuova giur. civ. comm.,
2002, I, 46, con nota di MORLOTTI, per la quale il prelevamento, in forza di regolare delega, del
denaro depositato sul conto corrente del padre, prima della di lui morte ed in osservanza del suo
desiderio di compensare la figlia per l'assistenza che gli ha prestato, deve essere considerato come
una donazione indiretta remuneratoria.
Più in generale, si ritiene, in giurisprudenza, che per donazione remuneratoria - ai fini della validità
della quale è necessaria la forma pubblica della donazione - deve intendersi l'attribuzione gratuita
compiuta spontaneamente e nella consapevolezza di non dover adempiere alcun obbligo giuridico,
morale o sociale per compensare i servizi resi dal donatario validità della stessa (Cass. 24 ottobre
2002, n. 14981, in Riv. not., 2003, 964, con nota di GISOLFI). Si è precisato, invero, che la
donazione remuneratoria è caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume in essa il motivo
dell'attribuzione patrimoniale, correlata specificamente ad un precedente comportamento del
donatario nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o
comunque come una speciale remunerazione di attività svolta, sebbene l'attribuzione non cessi di
essere spontanea e l'atto conservi la causa di liberalità (Cass. 17 novembre 1999, n. 12769; Cass. 14
febbraio 1997, n. 1411, in Fall., 1998, 17, con nota di FIGONE).
Sull'assoggettamento della donazione remuneratoria alla disciplina della riduzione nel caso di
lesione di legittima v. Cass. 1 dicembre 1993, n. 11873.
Tribunale Roma
Data: 27 giugno 2003
Numero:
Parti: Formichella C. Campolo
Fonti: Giur. romana 2003, 309
Classificazione
DONAZIONE - Rimuneratoria
Testo
L'atto col quale il mandante consente al mandatario, cui aveva conferito l'incarico di vendere un
immobile, di trattenere per sè una parte del ricavato, a fronte dei servizi personali resi dal
mandatario al mandante, costituisce una donazione remuneratoria, come tale nulla se priva della
prescritta forma solenne
Tribunale Roma
Data: 22 gennaio 2002
Numero:
Parti: S. C. L. e altro
Fonti: Redazione Giuffrè 2006
Classificazione
USI E CONSUETUDINI - In genere
Testo
LLesecuzione di lavori con spirito di liberalità in previsione del matrimonio del proprio figlio,
configura una liberalità dduso quando la elargizione è uniformata, anche sotto il profilo della
proporzionalità alle condizioni economiche dell'autore dell'atto, agli usi e costumi propri di una
determinata occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti esistenti fra le parti e della loro
posizione sociale. EE fatto notorio che, nell'attuale contesto storico e sociale, in occasione delle
nozze i genitori dei nubendi li aiutino con un particolare sostegno economico, tanto in natura,
quanto in denaro. Pertanto il genitore artigiano edile che esegue lavori di ristrutturazione nella
futura casa coniugale del figlio, anche secondo le preferenze della futura nuora, agisce in
conformità agli usi e costumi.
Tribunale Monza
Data: 25 gennaio 2001
Numero:
Parti: Chierici C. Chierici
Fonti: Nuova giur. civ. commentata 2002, I, 46 (nota di: MORLOTTI)
Classificazione
DONAZIONE - Rimuneratoria
Testo
Il prelevamento, in forza di regolare delega, del denaro depositato sul conto corrente del padre,
prima della di lui morte ed in osservanza del suo desiderio di compensare la figlia per l'assistenza
che gli ha prestato, deve essere considerato come una donazione indiretta remuneratoria; la somma
così acquisita dalla figlia, non può formare oggetto di divisione ereditaria, ma può, però, essere
ridotta al fine di integrare la quota di riserva spettante a sua sorella.
Cassazione civile sez. II
Data: 17 novembre 1999
Numero: n. 12769
Parti: Abbazia territoriale Monte Cassino C. Ferraro
Fonti: Giust. civ. Mass. 1999, 2283
Classificazione
DONAZIONE - Rimuneratoria
Testo
La donazione rimuneratoria è caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume in essa il motivo
dell'attribuzione patrimoniale, correlata specificamente ad un precedente comportamento del
donatario nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o
comunque come una speciale remunerazione di attività svolta, sebbene l'attribuzione non cessi di
essere spontanea e l'atto conservi la causa di liberalità. (Fattispecie nella quale il donante perseguiva
l'intento di destinare i beni donati alla creazione di una casa di riposo per anziani, che il donatario
avrebbe dovuto gestire, senza che ricorressero pregresse ragioni di gratitudine verso quest'ultimo).
Corte appello Napoli
Data: 05 novembre 1999
Numero:
Parti: D.V.R. C. T.E. e altro
Fonti: Giur. napoletana 2000, 232
Classificazione
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - Obbligazioni naturali
Testo
L'attribuzione patrimoniale effettuata in favore del convivente "more uxorio", a titolo di ristoro per
il sacrificio della sua aspirazione ad un'esistenza autonoma ed indipendente, nonché al fine di
assicurargli un'autosufficienza economica per il tempo successivo alla cessazione del rapporto, si
configura come adempimento di un'obbligazione naturale piuttosto che come donazione
remuneratoria, purché la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del
patrimonio ed alle condizioni sociali del "solvens".
Cassazione civile sez. II
Data: 10 aprile 1999
Numero: n. 3499
Parti: Dalla Palma e altro C. Fabris e altro
Fonti: Giust. civ. Mass. 1999, 804, Famiglia e diritto 1999, 404, Giur. it. 1999, 2017
Classificazione
DONAZIONE - Indiretta
Testo
A differenza del cosiddetto "negotium mixtum cum donatione", nel quale sullo scopo di liberalità
prevale lo scopo oneroso e per la cui validità è sufficiente la forma richiesta per il negozio tipico a
cui lo scopo oneroso corrisponde, la forma prescritta per la donazione remuneratoria, nella quale il
donante persegue oltre allo scopo di liberalità anche lo scopo del riconoscimento di particolari
meriti del beneficiario, è quella dell'atto pubblico.
Autorità: Cassazione civile sez. II
Data: 24 novembre 1998
Numero: n. 11894
Parti: Colomba C. Del Ninno
Fonti: Giust. civ. 1999, I, 686, Contratti (I) 1999, 470 (nota di: AMBANELLI), Corriere
giuridico 1999, 54 (nota di: CARBONE), Famiglia e diritto 1999, 180, Vita not. 1999, 185, Riv.
notariato 1999, 1605
Classificazione
DONAZIONE - Liberalita'
Testo
Un'elargizione di gioielli, fatta nell'ambito di un rapporto "more uxorio" allo scopo di consentire la
prosecuzione della convivenza, non è assimilabile alla liberalità d'uso, caratterizzata dal fatto che
colui che la compie intende osservare un uso, cioè adeguarsi ad un costume vigente nell'ambiente
sociale di appartenenza, costume che determina sia le diverse occasioni in cui queste devono farsi,
sia la misura dell'elargizione in funzione della posizione sociale delle parti, nel senso che la
donazione non deve comportare un depauperamento apprezzabile del patrimonio di chi la compie.
Pertanto - cessata la convivenza (nella specie protrattasi oltre sette anni, tra due soggetti tra i quali
esisteva una differenza di età di circa 35 anni) - il donante può ripetere tali gioielli, qualora questi
siano stati donati a prescindere da quelle "determinate occasioni" che il costume sociale
normalmente festeggia e l'altra parte non abbia dato la prova che la situazione economica del
donante era compatibile con la natura dei vari atti di liberalità.
Cassazione civile sez. I
Data: 09 dicembre 1993
Numero: n. 12142
Parti: Bizzio Alkisti C. Landoni
Fonti: Giust. civ. Mass. 1993, fasc. 12
Classificazione
DONAZIONE - Liberalita'
Testo
Il rilevante valore dell'oggetto donato, mentre esclude la ricorrenza di una donazione di modico
valore, ai sensi e per gli effetti dell'art. 783 c.c., non è invece ostativo alla configurazione di una
liberalità d'uso prevista dall'art. 770, comma 2, c.c. (non costituente donazione in senso stretto e
perciò non soggetta alla forma propria di questa), sussistendo tale ipotesi quando la elargizione si
uniformi, anche sotto il profilo della proporzionalità alle condizioni economiche dell'autore
dell'atto, agli usi e costumi propri di una determinata occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei
rapporti esistenti fra le parti e della loro posizione sociale.
Cassazione civile sez. lav.
Data: 16 luglio 1992
Numero: n. 8598
Parti: Gemello e altro C. Soc. SITAV
Fonti: Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 7
Classificazione
LAVORO SUBORDINATO (Rapporto di) - Retribuzione determinazione
Testo
Le mance corrisposte ai lavoratori con carattere di continuità e abitualità, in determinati settori della
vita sociale, possono acquistare natura retributiva solo ove uno specifico accordo negoziale
(individuale o collettivo) determini, con effetti di natura costitutiva, le condizioni perché tali
emolumenti debbano in tutto o in parte essere considerati integrativi della retribuzione, con i
conseguenti effetti in relazione alle vicende del rapporto; è pertanto valido l'accordo che prevede
l'inclusione solo parziale degli importi delle mance ricevute dai lavoratori nella base di calcolo di
istituti retributivi, ivi compresa l'indennità di anzianità. (Nella specie la decisione dei giudici di
merito, confermata dalla S.C., ha escluso la computabilità di una quota forfettizzata delle mance dei
"croupiers" di una casa da gioco, ai fini del calcolo dell'indennità di anzianità, per il quale un
accordo aziendale stabiliva una base retributiva convenzionale omnicomprensiva).
Cassazione civile sez. I
Data: 14 gennaio 1992
Numero: n. 324
Parti: Laterza C. Laterza
Fonti: Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 1, Foro it. 1992, I,1789., Vita not. 1992, 604.
Classificazione
DONAZIONE - Rimuneratoria
Testo
La distinzione fra la donazione remuneratoria e la liberalità d'uso - rispettivamente previste dal
primo e dal secondo comma dell'art. 770 c.c. - trova fondamento nel diverso movente dei due
negozi, ravvisabile, con riguardo al primo, nel desiderio di gratificare l'autore dei servizi resi e, con
riguardo al secondo, nell'intento di porre, rispetto a tali servizi, un elemento di corrispettività o di
adeguarsi ad un costume sociale, sia pure non obbligatorio, ma libero. Pertanto la proporzione del
donato ai servizi resi non è di per sè idonea a far ascrivere il negozio nella seconda delle menzionate
specie, ma può costituire solamente un criterio per l'individuazione (in ipotesi incerte) dello
specifico movente dell'attribuzione.
Cassazione civile sez. I
Data: 10 dicembre 1988
Numero: n. 6720
Parti: Gregoraci C. Preta e altro
Fonti: Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 12., Stato civ. it. 1990, 247.
Classificazione
DONAZIONE - Liberalita'
Testo
Il rilevante valore dell'oggetto donato, anche in relazione alle condizioni economiche del donante,
mentre esclude la ricorrenza di una donazione di modico valore, ai sensi ed agli effetti dell'art. 733
c.c., non è ostativa alla configurazione di una liberalità d'uso, secondo la previsione dell'art. 770
comma 2 c.c. (Liberalità che non costituisce donazione in senso stretto e si sottrae alla forma
scritta), sussistendo tale ipotesi quando la elargizione si uniformi, pure sotto il profilo della
proporzionalità, con dette condizioni economiche, agli usi e costumi propri di una determinata
occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti fra le parti e della loro posizione sociale.
(Nella specie, trattavasi di anelli del valore di oltre cento milioni, dati in occasione di un
fidanzamento ufficiale, ed il giudice del merito, considerando che le parti appartenevano a famiglie
benestanti, in un ambiente sociale abituato ad assegnare particolare solennità a detta cerimonia, con
regali di sensibile entità, avevano ravvisato la liberalità d'uso. La S.C., alla stregua del principio di
cui sopra, ha ritenuto corretta la statuizione).
Donazione di bene futuro
Cassazione civile sez. II
Data: 05 maggio 2009
Numero: n. 10356
Parti: S.T.A. C. C.N.
Fonti: Diritto & Giustizia 2009, Guida al diritto 2009, 25, 49
Classificazione
DONAZIONE - In genere
Testo
La donazione di un bene non esistente nel patrimonio del disponente è nulla. Sebbene, infatti, la
nullità della donazione con cui il donante dispone di un diritto altrui, intendendo produrre un effetto
traslativo immediato, non sia espressamente comminata da alcuna norma, la conclusione si ricava
dalla disciplina complessiva della donazione. Quanto precede, peraltro, non esclude che un tale
negozio, quando conformato in termini di atto di alienazione, stante l'ignoranza delle parti circa
l'alienità della res donata, è suscettibile di fungere da "titulus adquirendi" ai fini della usucapione
abbreviata ai sensi dell'art. 1159 c.c., in quanto il requisito della esistenza di un titolo idoneo a far
acquistare la proprietà o altro diritto reale, che sia stato debitamente trascritto, va inteso nel senso
che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere idoneo in astratto e
non già in concreto, a determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che l'acquisto del
diritto si sarebbe senz'altro verificato se l'alienante ne fosse stato titolare
Cassazione civile sez. II
Data: 05 febbraio 2001
Numero: n. 1596
Parti: Perrot C. Castellaccio e altro
Fonti: Giust. civ. Mass. 2001, 203, Riv. notariato 2001, 862 (nota di: GAZZONI), Corriere
giuridico 2001, 756 (nota di: MARICONDA), Giur. it. 2001, 1595 (nota di:
D'AURIA), Notariato 2001, 454 (nota di: LOMONACO), Nuovo dir. 2001, 943 (nota di:
SANTARSIERE), Giust. civ. 2002, I, 471, Riv. notariato 2002, 404 (nota di: VISALLI), Nuova
giur. civ. commentata 2001, I, 679 (nota di: RINALDI)
Classificazione
DONAZIONE - Beni futuri
Testo
La donazione di beni altrui non può essere ricompresa nella donazione di beni futuri, nulla ex art.
771 c.c., ma è semplicemente inefficace e, tuttavia, idonea ai fini dell'usucapione abbreviata ex art.
1159 c.c., in quanto il requisito, richiesto dalla predetta disposizione codicistica, della esistenza di
un titolo che sia idoneo a far acquistare la proprietà o altro diritto reale di godimento, che sia stato
debitamente trascritto, va inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del
negozio, deve essere idoneo in astratto, e non in concreto, a determinare il trasferimento del diritto
reale, ossia tale che l'acquisto del diritto si sarebbe senz'altro verificato se l'alienante ne fosse stato
titolare.
Autorità: Cassazione civile sez. I
Data: 18 dicembre 1996
Numero: n. 11311
Parti: Com. Agrigento C. Prov. Agrigento
Fonti: Giust. civ. Mass. 1996, 1762
Classificazione
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE (P.A.) - Contratti della P.A. in genere
Testo
L'atto con il quale una p.a., a mezzo di contratto stipulato da un pubblico funzionario, si obblighi a
cedere gratuitamente al demanio dello Stato un'area di sua proprietà, nonché un'altra area che si
impegni ad espropriare, costituisce una donazione nulla, sia perché, pur avendo la p.a. la capacità di
donare, non è ammissibile la figura del contratto preliminare di donazione, sia perché l'atto non può
essere stipulato da un funzionario della p.a. (possibilità limitata dall'art. 16 r.d. n. 2440 del 1923 ai
soli contratti a titolo oneroso), sia perché l'art. 771 c.c. vieta la donazione di beni futuri, ossia
dell'area che non rientra nel patrimonio dell'amministrazione "donante" ma che la stessa si impegna
ad espropriare (nella specie, nell'anno 1936, il comune di Agrigento aveva stipulato un siffatto
contratto con la provincia di Agrigento e con l'Intendenza di finanza. Il primo s'era obbligato a
cedere un'area di sua proprietà ed altra da espropriare, la seconda s'era obbligata a costruirvi la
caserma per la milizia volontaria della sicurezza nazionale fascista, da consegnare dopo il collaudo
al demanio dello Stato, la terza s'era obbligata a pagare ratealmente alla provincia una somma di
denaro. La S.C., in applicazione dell'enunciato principio di diritto, ha ritenuto che il menzionato
contratto debba essere qualificato come una donazione, nulla per le esposte ragioni)
Forma della donazione
Cassazione civile sez. II
Data: 25 marzo 2013
Numero: n. 7480
Parti: C.D.G. C. L.R.
Fonti: Diritto & Giustizia 2013, 26 marzo
Classificazione
DONAZIONE - Indiretta
Testo
Per la validità delle donazioni indirette non è richiesta la forma dell'atto pubblico, essendo
sufficiente l'osservanza delle forme prescritte per il negozio tipico utilizzato per realizzare lo scopo
di liberalità, dato che l'art. 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni applicabili agli altri atti
di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c., non richiama l'art. 782
c.c., che prescrive l'atto pubblico per la donazione.
Cassazione civile sez. II
Data: 09 febbraio 2011
Numero: n. 3175
Parti: L.M. C. C.D.
Fonti: Il civilista 2011, 5, 15 (s.m.)
Classificazione
SIMULAZIONE - In genere
Testo
Il "negotium mixtum cum donatione" costituisce una donazione indiretta attuata attraverso
llutilizzazione della compravendita al fine di arricchire il compratore della differenza tra il prezzo
pattuito e quello effettivo, per la quale non è necessaria la forma dell'atto pubblico richiesta per la
donazione diretta, essendo invece sufficiente la forma dello schema negoziale adottato (Cass. 10
febbraio 1997, n. 1214; Cass. 21 gennaio 2000 n. 642; Cass. 29 settembre 2004, n. 19601; Cass. 3
novembre 2009, n. 23297), considerato che llart. 809 c.c., nello stabilire le norme sulle donazioni
applicabili agli altri atti di liberalità realizzati con negozi diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c.,
non richiama llart. 782 c.c., che prescrive llatto pubblico per la donazione (Cass. 2 marzo 2001, n.
4623); può qui aggiungersi, quanto alla disciplina da applicare al "negotium mixtum cum
donatione", e dunque a sostegno della opzione per il criterio dello schema negoziale adottato
rispetto al criterio della prevalenza, che, facendo la norma sulla forma della donazione parte di
quelle disposizioni volte a realizzare la tutela del donante (per evitare che lo spirito di liberalità
possa trasformarsi per lui in un pregiudizio), essa, a differenza delle norme che assicurano la tutela
dei terzi, non può essere estesa a quei negozi che perseguono llintento di liberalità con schemi
negoziali previsti per il raggiungimento di finalità di altro genere; infatti in tal caso troppo radicale
sarebbe il sacrificio dell'autonomia privata alla quale si deve ricondurre il potere delle parti di
avvalersi delle figure negoziali per perseguire finalità lecite e, come tali, atte a trovare
nell'ordinamento il loro riconoscimento (così in motivazione Cass. 10 febbraio 1997, n. 1214).
Cassazione civile sez. II Data: 04 maggio 2010 Numero: n. 10734 Parti: B. C. D. e altro Fonti: Giust. civ. Mass. 2010, 5, 671, Giust. civ. 2011, 9, I, 2148 Donazione ‐ Accettazione ‐ Momento perfezionativo ‐ Incontro delle volontà del donante e del donatario ‐ Morte del donante ‐ Accettazione della donazione in un momento successivo ‐ Possibilità ‐ Esclusione ‐ Espressa previsione contenuta nell'atto ‐ Irrilevanza A norma dell'art. 782, comma 2, c.c., la donazione si perfeziona con l'accettazione da parte del donatario, la quale deve coesistere con la volontà del donante; ne consegue che ‐ in conformità al principio generale secondo cui ogni proposta contrattuale cade con la morte del proponente ‐ dopo la morte del donante, il donatario non può accettare la donazione né notificare l'atto di accettazione, a nulla rilevando che nell'atto di donazione risulti l'espressa previsione che l'accettazione può intervenire anche dopo la morte del donante. Tribunale Palermo sez. II
Data: 28 agosto 2007
Numero:
Parti: Fonti: Vita not. 2008, 2, 771 (s.m.) (nota di: PALAZZOLO)
Classificazione
DONAZIONE - Modico valore
Testo
La donazione di un quadro di rilevante valore economico e storico artistico configura una donazione
necessitata dalla forma e non rileva la correlazione relativa all'effetto depauperante sul patrimonio
del donante, che del caso può considerarsi capiente, bensì la particolare qualità del bene mobile, in
relazione al compendio mobiliare ove è inserito. Va del pari esclusa llipotesi della donazione
rimuneratoria per servizi resi siccome disancorata dal requisito essenziale della forma vincolata ex
art. 782 c.c., che non può essere superata da una scrittura attributiva del bene che vagamente
descriva la causa rimuneratoria. Consegue che, in assenza di prova riguardo ad un titolo valido a
provare la detenzione iniziale, va dichiarata la nullità della donazione per difetto di forma e la
conseguente restituzione del bene che ne costituisce lloggetto agli aventi diritto.
Cassazione civile sez. II
Data: 30 gennaio 2007
Numero: n. 1955
Parti: Flaim C. Schiavini e altro
Fonti: Giust. civ. Mass. 2007, 1
Classificazione
DONAZIONE - Indiretta
Testo
Donazione - Indiretta - Negozio mezzo - Negotium mixtum cum donatione - Causa del
contratto - Natura onerosa - Adattamento funzionale della causa per il raggiungimento dello
scopo di liberalità - Necessità - Conseguenze - Forma prescritta per il negozio posto in essere Sufficienza - Contratto preliminare di vendita di bene immobile - Pattuizione del prezzo pari
al valore catastale - Donazione indiretta - Configurabilità - Sussistenza - Condizioni.
Nel cosiddetto negotium mixtun cum donatione la causa del contratto ha natura onerosa ma il
negozio commutativo stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via indiretta,
attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore
rispetto a quella dello scambio, consistente nell'arricchimento, per puro spirito di liberalità, di
quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore. Pertanto, realizza una donazione
indiretta, per la quale è sufficiente la forma prescritta per il tipo di negozio adottato dalle parti e non
è necessaria quella prevista per la donazione diretta, il contratto preliminare con cui, allo scopo di
arricchire il promissario acquirente, il promittente venditore consapevolmente si obblighi a vendere
l'immobile per un prezzo pari al valore catastale).
Cassazione civile sez. I Data: 24 febbraio 2004 Numero: n. 3615 Parti: Banca Comm. it. Comit C. Fall. soc. Palazzo Fava Fonti: Giust. civ. Mass. 2004, 2, D&G ‐ Dir. e giust. 2004, 18, 112 Testo La fideiussione prestata da una società "controllata" in favore della società "controllante" non è riconducibile ad una donazione, qualora il contratto sia stato stipulato in adempimento di direttive impartite dalla capogruppo o comunque di obblighi assunti nell'ambito di una più vasta aggregazione imprenditoriale, in quanto in tal caso difetta lo spirito di liberalità; inoltre, al fine di accertare se essa configuri un atto a titolo gratuito o oneroso occorre verificare se l'operazione abbia comportato o meno per la società controllata un depauperamento effettivo, avendo riguardo alla complessiva situazione che, nell'ambito del gruppo, a quella società fa capo, poiché l'eventuale pregiudizio economico che da essa sia direttamente derivato può trovare la sua contropartita in un altro rapporto e, quindi, l'atto presentarsi come preordinato al soddisfacimento di un ben preciso interesse economico, sia pure mediato e indiretto (Nella specie, la S.C. ha ritenuto incensurabile la sentenza di merito che ha ritenuto gratuita la fideiussione prestata dalla società "controllata", poi fallita, in quanto la prestazione della fideiussione non aveva apportato alcun vantaggio, neppure indiretto, alla medesima). Tribunale Roma
Data: 27 giugno 2003
Numero:
Parti: Formichella C. Campolo
Fonti: Giur. romana 2003, 309
Classificazione
DONAZIONE - Rimuneratoria
Testo
Per stabilire se una donazione abbia o meno modico valore, ai fini della forma da adottare, occorre
avere riguardo non già all'entità del "donatum" in sè, ma al rapporto tra il "donatum" ed il
patrimonio del donante (nella specie, il tribunale ha ritenuto di modico valore la donazione di 50
milioni di lire, sul presupposto che il patrimonio del donante ammontasse ad oltre un miliardo di
lire).
Corte appello Milano
Data: 28 marzo 2002
Numero:
Parti: Fonti: Giur. it. 2003, 1659 (nota di: SPOLIDORO)
Classificazione
DONAZIONE - Forma
Testo
In caso di donazione dell'azienda non si richiedono l'elencazione dei beni e l'indicazione del loro
valore, in quanto nella suddetta fattispecie l'oggetto dell'atto di disposizione è l'azienda intesa come
"universitas rerum" e non la pluralità dei beni che la costituiscono.
Tribunale Siracusa
Data: 14 dicembre 2001
Numero:
Parti: Fonti: Arch. civ. 2002, 728 (nota di: LA VECCHIA)
Classificazione
SEPARAZIONE DEI CONIUGI - Figli (provvedimenti relativi ai) assegno di mantenimento
Testo
In tema di separazione consensuale tra coniugi, l'accordo con cui venga pattuito il trasferimento di
un diritto reale al figlio per provvedere "una tantum" al suo mantenimento, si può configurare come
un contratto a favore di terzi ex art. 1411 c.c. a titolo di liberalità, ovvero donazione indiretta a
favore della prole, e pertanto non soggetto alla forma prevista dall'art. 782 c.c.
Cassazione civile sez. II
Data: 22 febbraio 2001
Numero: n. 2606
Parti: Picciolo C. Picciolo
Fonti: Giur. it. 2002, 1398
Classificazione
DONAZIONE - Liberalita'
Testo
La costituzione di un diritto di superficie, senza testuale previsione di un corrispettivo a favore del
concedente e con il solo intento di arricchire il beneficiario, deve qualificarsi come donazione.
(Nella specie, la Cassazione ha accertato la nullità della donazione, stipulata con scrittura privata,
per difetto di forma).
Cassazione civile sez. I
Data: 29 maggio 1999
Numero: n. 5265
Parti: Brienza C. Melis
Fonti: Giust. civ. Mass. 1999, 1219
Classificazione
DONAZIONE - Indiretta
Testo
La disciplina del negotium mixtum cum donatione obbedisce al criterio della prevalenza, nel senso
che ricorre la donazione remuneratoria (che esige la forma solenne richiesta per le donazioni
tipiche) quando risulti la prevalenza dell'animus donandi, laddove si avrà invece un negozio a titolo
oneroso, che non abbisogna della forma solenne, quando l'attribuzione patrimoniale venga effettuata
in funzione di corrispettivo o in adempimento di una obbligazione derivante dalla legge o in
osservanza di un dovere nascente dalle comuni norme morali e sociali che si riveli assorbente
rispetto all'animus donandi. (Nella specie, la convivente di un soggetto sieropositivo al virus HIV
aveva ricevuto da quest'ultimo una somma di danaro prima che la convivenza avesse termine: i
giudici di merito, con sentenza confermata dalla S.C., qualificato l'atto come negotium mixtum cum
donatione, ne avevano evidenziato la prevalenza dell'aspetto risarcitorio su quello di liberalità,
rigettando la richiesta di restituzione del ricorrente).
Cassazione civile sez. I
Data: 15 novembre 1997
Numero: n. 11327
Parti: Tolomeo C. Nigro
Fonti: Giust. civ. Mass. 1997, 2183, Il civilista 2011, 9, scenari (s.m.) (nota di: APICELLA)
Classificazione
DONAZIONE - In genere
Testo
Nel caso di soggetto che abbia erogato il denaro per l'acquisto di un immobile in capo ad uno dei
figli si deve distinguere l'ipotesi della donazione diretta del denaro, impiegato successivamente dal
figlio in un acquisto immobiliare, in cui, ovviamente, oggetto della donazione rimane il denaro
stesso, da quella in cui il donante fornisce il denaro quale mezzo per l'acquisto dell'immobile, che
costituisce il fine della donazione. In tale caso il collegamento tra l'elargizione del denaro paterno e
l'acquisto del bene immobile da parte del figlio porta a concludere che si è in presenza di una
donazione (indiretta) dello stesso immobile e non del denaro impiegato per il suo acquisto.
Cassazione civile sez. I
Data: 08 marzo 1995
Numero: n. 2700
Parti: Stromillo C. Bertosi
Fonti: Giust. civ. Mass. 1995, 544, Dir. famiglia 1995, 1390, Il civilista 2010, 9, 94
Classificazione
SEPARAZIONE DEI CONIUGI - Consensuale
Testo
Nel procedimento per la separazione consensuale, di cui all'art. 711 c.p.c., il provvedimento di
omologazione del Tribunale, operando sul piano del controllo, ha lo scopo di attribuire efficacia
all'accordo privato dall'esterno, senza operare alcuna integrazione della volontà negoziale delle
parti. Di conseguenza, ove nell'accordo i coniugi abbiano convenuto una donazione, l'omologazione
non vale a rivestire l'atto negoziale della forma dell'atto pubblico, richiesto dall'art. 782 c.c., che gli
art. 2699 e 2700 c.c. impongono sia "redatto" e "formato" dal pubblico ufficiale.
Cassazione civile sez. II
Data: 14 settembre 1991
Numero: n. 9611
Parti: Com. Acireale C. Musmeci
Fonti: Giur. it. 1992, I,1,235.
Classificazione
DONAZIONE - Accettazione
Testo
La notifica al donante dell'accettazione del donatario deve essere eseguita esclusivamente a mezzo
di ufficiale giudiziario, non essendo ammessi equipollenti. (Nella specie si era esclusa la
sufficienza, ai fini della perfezione della donazione, dell'affissione all'albo pretorio della delibera di
accettazione del comune di Acireale).
Cassazione civile sez. II
Data: 11 maggio 1984
Numero: n. 2887
Parti: Baldi C. Minoliti
Fonti: Giust. civ. Mass. 1984, fasc.5
Classificazione
SEPARAZIONE DEI CONIUGI - Consensuale
Testo
L'atto con cui un coniuge si obbliga a trasferire gratuitamente all'altro determinati beni,
successivamente all'omologazione della loro separazione personale consensuale ed al dichiarato
fine della integrativa regolamentazione del relativo regime patrimoniale, non configura una
convenzione matrimoniale ex art. 162 c.c., postulante il normale svolgimento della convivenza
coniugale ed avente riferimento ad una generalità di beni anche di futura acquisizione, nè un
contratto di donazione, avente come causa tipici ed esclusivi scopi di liberalità (e non l'esigenza di
assetto dei rapporti personali e patrimoniali dei coniugi separati), bensì un diverso contratto atipico,
con propri presupposti e finalità, soggetto per la forma alla comune disciplina e, quindi, se
concernente immobili, validamente stipulabile con scrittura privata, senza necessità di atto pubblico
(art. 1350 c.c.).
DONAZIONE DI MODICO VALORE
Autorità: Tribunale Palermo sez. II
Data: 28 agosto 2007
Numero:
Parti: Fonti: Vita not. 2008, 2, 771 (s.m.) (nota di: PALAZZOLO)
Classificazione
DONAZIONE - Modico valore
Testo
La donazione di un quadro di rilevante valore economico e storico artistico configura una donazione
necessitata dalla forma e non rileva la correlazione relativa all'effetto depauperante sul patrimonio
del donante, che del caso può considerarsi capiente, bensì la particolare qualità del bene mobile, in
relazione al compendio mobiliare ove è inserito. Va del pari esclusa llipotesi della donazione
rimuneratoria per servizi resi siccome disancorata dal requisito essenziale della forma vincolata ex
art. 782 c.c., che non può essere superata da una scrittura attributiva del bene che vagamente
descriva la causa rimuneratoria. Consegue che, in assenza di prova riguardo ad un titolo valido a
provare la detenzione iniziale, va dichiarata la nullità della donazione per difetto di forma e la
conseguente restituzione del bene che ne costituisce lloggetto agli aventi diritto.
Tribunale Venezia sez. II
Data: 24 ottobre 2005
Numero: n. 2166
Parti: A. C. G.
Fonti: Redazione Giuffrè 2006
Classificazione
DONAZIONE - Forma
Testo
L'art. 783 c.c. non detta un criterio rigido per stabilire la modalità di valutazione del valore della
donazione, ma lascia ai giudici del merito un margine discrezionale in relazione alle circostanze
particolari; ne consegue che l'atto di liberalità, per essere considerato di modico valore, non deve
mai incidere in modo apprezzabile sul patrimonio del donante.
Tribunale Roma sez. XII
Data: 24 marzo 2004
Numero:
Parti:
Fonti: Redazione Giuffrè 2006
Classificazione
DONAZIONE - Modico valore
Testo
La donazione di un autoveicolo di marca prestigiosa, anche se vetusto, e di una intera collezione di
quadri non può certamente ritenersi di modico valore con la conseguenza che, ove non risulti
stipulata per atto pubblico, essa è radicalmente nulla.
Tribunale Roma
Data: 27 giugno 2003
Numero:
Parti: Formichella C. Campolo
Fonti: Giur. romana 2003, 309
Classificazione
DONAZIONE - Rimuneratoria
Testo
Per stabilire se una donazione abbia o meno modico valore, ai fini della forma da adottare, occorre
avere riguardo non già all'entità del "donatum" in sè, ma al rapporto tra il "donatum" ed il
patrimonio del donante (nella specie, il tribunale ha ritenuto di modico valore la donazione di 50
milioni di lire, sul presupposto che il patrimonio del donante ammontasse ad oltre un miliardo di
lire).
Cassazione civile sez. II
Data: 12 giugno 2001
Numero: n. 7913
Parti: Gschleier C. Gschleier
Fonti: Giust. civ. Mass. 2001, 1178, Dir. & Formazione 2001, 456
Classificazione
DONAZIONE - Modico valore
Testo
Ai fini del riconoscimento del modico valore di una donazione, l'art. 783 c.c. non detta criteri rigidi
cui ancorare la relativa valutazione, onde il giudizio in proposito è rimesso all'apprezzamento del
giudice di merito la cui valutazione, involgendo un giudizio di fatto, è insindacabile in sede di
legittimità, se congruamente motivata. (Nella specie la Corte ha confermato la sentenza di merito
che aveva escluso il modico valore di una donazione sulla base di un accertamento condotto sia
sotto il profilo oggettivo, in relazione al valore del bene oggetto della donazione in sè considerato,
sia sotto il profilo soggettivo, in relazione al fatto che la somma donata costituiva la quasi totalità
del risparmio del donante).
Cassazione civile sez. I
Data: 08 febbraio 1994
Numero: n. 1260
Parti: Mignini C. Ercoli
Fonti: Giust. civ. Mass. 1994, 128 (s.m.), Giust. civ. 1994, I,1192
Classificazione
DONAZIONE - Liberalita'
Testo
I doni tra fidanzati non sono equiparabili nè alle liberalità in occasione di servizi, nè alle donazioni
fatte in segno tangibile di speciale riconoscenza per i servizi resi in precedenza dal donatario, nè
alle liberalità d'uso, ma costituiscono vere e proprie donazioni, come tali soggette ai requisiti di
sostanza e di forma previsti dal codice. Peraltro, la modicità del donativo, da apprezzare
oggettivamente in relazione alla capacità economica del donante, fa sì che il trasferimento si
perfezioni legittimamente, tra soggetti capaci, in base alla mera traditio.
Pretura Torino
Data: 28 giugno 1993
Numero:
Parti: S.G. C. P.V.
Fonti: Dir. famiglia 1994, 1071
Classificazione
DONAZIONE - Liberalita'
Testo
Rientra nella nozione di liberalità eseguita in conformità agli usi la largizione di un bene fatta
spontaneamente, tra due fidanzati o, in genere, tra persone legate da affettuosa amicizia (specie se
conviventi), non per spirito di liberalità o per beneficenza, ma in conformità al costume sociale "pro
tempore"; non costituisce, pertanto, donazione, bensì liberalità d'uso l'acquisto di una pelliccia in
favore della "partner", con la quale si intrattenga da circa quindici anni una costante relazione
amorosa, mentre non è in alcun modo configurabile che l'autore della dazione abbia inteso
anticipare, a titolo di mutuo, alla beneficiaria della liberalità la somma impegnata per l'acquisto del
dono: v'è infatti liberalità d'uso quando si abbia trasferimento spontaneo di ricchezza consentito
dalla legge perché giustificato dai costumi e dagli usi del nostro tempo (e non da spirito di liberalità
del "tradens") allorché vi sia comunanza di affetti e reciproca gratificazione in chi dà e in chi riceve.
Cassazione civile sez. I
Data: 10 dicembre 1988
Numero: n. 6720
Parti: Gregoraci C. Preta e altro
Fonti: Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 12., Stato civ. it. 1990, 247.
Classificazione
DONAZIONE - Liberalita'
Testo
Il rilevante valore dell'oggetto donato, anche in relazione alle condizioni economiche del donante,
mentre esclude la ricorrenza di una donazione di modico valore, ai sensi ed agli effetti dell'art. 733
c.c., non è ostativa alla configurazione di una liberalità d'uso, secondo la previsione dell'art. 770
comma 2 c.c. (Liberalità che non costituisce donazione in senso stretto e si sottrae alla forma
scritta), sussistendo tale ipotesi quando la elargizione si uniformi, pure sotto il profilo della
proporzionalità, con dette condizioni economiche, agli usi e costumi propri di una determinata
occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti fra le parti e della loro posizione sociale.
(Nella specie, trattavasi di anelli del valore di oltre cento milioni, dati in occasione di un
fidanzamento ufficiale, ed il giudice del merito, considerando che le parti appartenevano a famiglie
benestanti, in un ambiente sociale abituato ad assegnare particolare solennità a detta cerimonia, con
regali di sensibile entità, avevano ravvisato la liberalità d'uso. La S.C., alla stregua del principio di
cui sopra, ha ritenuto corretta la statuizione).
DONAZIONE IN RIGUARDO DI MATRIMONIO
Cassazione civile sez. II
Data: 12 luglio 2006
Numero: n. 15873
Parti: Apriati e altro C. Gomiero
Fonti: Giust. civ. Mass. 2006, 7-8, Vita not. 2006, 3, 1413, Riv.
notariato 2007, 3, 661 (s.m.) (nota di: MUSOLINO)
Classificazione
DONAZIONE - Matrimonio (in riguardo di) (Donazione obnuziale)
Testo
Donazione - Matrimonio (in riguardo di) (donazione obnuziale) - Requisiti - Espressa
menzione della causa nell'atto pubblico - Necessità - Mancanza - Conseguenze - Donazione
indiretta - Compatibilità - Esclusione - Fondamento.
Ai sensi dell'art. 785 c.c. la donazione obnuziale, essendo un negozio formale e tipico caratterizzato
dall'espressa menzione nell'atto pubblico delle finalità dell'attribuzione patrimoniale, eseguita da
uno degli sposi o da un terzo in riguardo di un futuro, "determinato", matrimonio, è incompatibile
con l'istituto della donazione indiretta, in cui lo spirito di liberalità viene perseguito mediante il
compimento di atti diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c.; infatti, la precisa connotazione della
causa negoziale, che deve espressamente risultare dal contesto dell'atto, non può rinvenirsi
nell'ambito di una fattispecie indiretta, nella quale la finalità suddetta, ancorché in concreto
perseguita, può rilevare solo quale motivo finale degli atti di disposizione patrimoniale fra loro
collegati ma non anche quale elemento tipizzante del contratto, chiaramente delineato dal
legislatore nei suoi requisiti di forma e di sostanza, in vista del particolare regime di
perfezionamento, efficacia e caducazione che lo contraddistingue dalle altre donazioni.
Cassazione civile sez. I
Data: 25 ottobre 1991
Numero: n. 11370
Parti: Ciraolo C. Majolino
Fonti: Giust. civ. Mass. 1991, fasc.10., Cons. Stato 1991, I,1484 (s.m.)
Classificazione
DONAZIONE - Matrimonio (in riguardo di) (Donazione obnuziale)
Testo
L'art. 785 comma 2 c.c., il quale prevede la caducazione delle donazioni obnuziali a seguito
dell'annullamento del matrimonio, non trova applicazione per il caso del divorzio, poiché questo
non elide in vincolo coniugale per vizi inerenti al suo momento genetico, ma ne presuppone la
validità, limitandosi a rimuoverne gli effetti per vicende sopravvenute ed a partire dalla relativa
pronuncia, e, quindi, lascia integra la situazione che ha costituito motivo e condizioni di quelle
donazioni.
Cassazione civile sez. II
Data: 07 dicembre 1989
Numero: n. 5410
Parti: Dominici C. Serafini
Fonti: Giust. civ. Mass. 1989, fasc. 12.
Classificazione
DONAZIONE - Matrimonio (in riguardo di) (Donazione obnuziale)
Per aversi donazione in riguardo di matrimonio (cosiddetta donazione obnuziale) è necessario che
l'atto faccia riferimento ad un matrimonio bene individuato, cosicchè è da escludere che rientri nello
schema di cui all'art. 785 c.c. l'attribuzione patrimoniale fatta nella prospettiva soltanto generica del
matrimonio. (In applicazione del suddetto principio la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice
del merito aveva escluso che ricorressero gli estremi della donazione obnuziale con riferimento ad
una pluralità di atti di liberalità tra due persone che avevano convissuto "more uxorio", avendo
rilevato che la convivenza "more uxorio" protrattasi per circa venti anni e la reiterazione degli atti di
liberalità erano inconciliabili, sotto il profilo logico, con la determinatezza del matrimonio richiesta
dall'art. 785 cit.).
MOTIVI NELLA DONAZIONE
Cassazione civile sez. II
Data: 06 marzo 1992
Numero: n. 2695
Parti: Di Genova C. Farese
Fonti: Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 3
Classificazione
DONAZIONE - Motivo
Testo
L'art. 788 c.c. il quale, con norma analoga a quella dell'art. 626 in tema di testamenti, dispone che il
motivo illecito rende nulla la donazione quando risulta dall'atto ed è il solo che ha determinato il
donante alla liberalità, non postula necessariamente che il motivo sia indicato nell'atto, ma è
necessario che il motivo possa desumersi interpretando a volontà del donante risultante dall'atto,
potendo eventuali elementi interpretativi ricavabili "aliunde" soltanto confermare quanto già risulta
dall'interpretazione dell'atto al fine di ricostruire pienamente la volontà del donante nella sua
formazione.
Cassazione civile sez. un. Data: 11 aprile 2012 Numero: n. 5702 Parti: Com. Pontelandolfo C. R.M.A. Fonti: Diritto & Giustizia 2012, 11 aprile, Giust. civ. 2012, 5, I, 1193 Mentre nella donazione modale l'onere imposto al donatario costituisce una vera e propria obbligazione, con la conseguente rilevanza dell'indagine volta ad accertare se la sua mancata esecuzione dipenda da inadempimento imputabile al donatario, l'avveramento dell'evento futuro ed incerto previsto dalle parti come condizione risolutiva del contratto produce effetti a prescindere da ogni indagine sul comportamento colposo o meno dei contraenti in ordine al verificarsi dell'evento stesso, tenuto conto che nella disciplina delle condizioni del contratto non possono trovare applicazione i principi che regolano l'imputabilità in materia di obbligazioni (nella specie, la Corte ha ritenuto che costituisse condizione risolutiva la clausola che subordinava la donazione al Comune di un immobile al compimento da parte della predetta istituzione dei lavori necessari per adeguare l'immobile a struttura ricettiva per anziani, con la specifica che se tale opera non fosse stata iniziata, realizzata e funzionante nei termini previsti, la donazione si sarebbe risolta di diritto con obbligo del Comune di restituire gratuitamente e senza pagamento di alcuna somma di denaro l'intero immobile alla donante ed ai suoi aventi causa). Tribunale Larino
Data: 15 novembre 2011
DONAZIONE - Modale
Testo
In tema di donazione cui sia apposto un onere modale nel caso in cui esso si concreti in una
prestazione vitalizia, come tale a carattere aleatorio, il donatario deve subire l'incidenza dell'alea, e
sarà tenuto ad eseguire il modus con il solo limite dell'effettivo arricchimento conseguito.
Cassazione civile sez. II
Data: 26 aprile 2011
Numero: n. 9330
Parti: A.S. e altro C. M.R.
Fonti: Diritto & Giustizia 2011, 28 aprile
Classificazione
DONAZIONE - Modale
Testo
Se nell'atto di donazione di un immobile viene apposta specifica clausola di risoluzione nel caso in
cui i donatari non provvedano ad assistere i donanti per tutta la loro vita e a sostenere le spese per i
loro funerali, il solo inadempimento di una di tali obbligazioni comporta la risoluzione del contratto.
La statuizione di risoluzione deve prescindere, nelle sue premesse giuridiche, dalla natura
remuneratoria o meno della donazione, incentrandosi invece sul carattere modale della stessa.
Corte appello Roma sez. III
Data: 21 marzo 2006
Numero: n. 1396
Parti: Fonti: Guida al diritto 2006, 22, 48 (s.m.)
Classificazione
DONAZIONE - Modale
Testo
L'art. 793 c.c. prevede la compatibilità dello spirito di liberalità con l'imposizione al beneficiato di
un peso qualora, però, esso non assuma carattere di corrispettivo, ma costituisca, invece, una mera
limitazione del beneficio, mediante riduzione del valore attribuito al destinatario della liberalità.
Cassazione civile sez. II
Data: 28 giugno 2005
Numero: n. 13876
Parti: S. C. D. N. e altro
Fonti: Giust. civ. Mass. 2005, 6
Classificazione
DONAZIONE - Modale
Testo
In tema di attribuzioni a titolo gratuito, lo spirito di liberalità è perfettamente compatibile con
l'imposizione di un peso al beneficiato, purché tale peso, non assumendo il carattere di corrispettivo,
costituisca una modalità del beneficio senza snaturare l'essenza di atto liberalità della donazione;
peraltro costituisce indagine di fatto attinente all'interpretazione del negozio di donazione che, come
tale, è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente e
correttamente motivata stabilire se l'onere imposto al donatario sia tale da porre in essere un modus
oppure valga a imprimere al negozio carattere di onerosità. (Nella specie è stata confermata la
sentenza impugnata che, nell'escluderne la natura di vitalizio oneroso, aveva qualificato come
donazione modale il contratto di trasferimento a titolo gratuito della nuda proprietà di un immobile
con l'obbligo a carico dei beneficiari di prestare assistenza alla donante).
Tribunale Bari sez. II
Data: 07 giugno 2004
Fonti: Giurisprudenza locale - Bari 2004
Classificazione
DONAZIONE - Modale
Testo
Va dichiarata la risoluzione, ai sensi dell'art. 793 c.c., della donazione della nuda proprietà di un
fondo rustico con annesso fabbricato rurale, gravata dall'onere del donatario di prestare al donante
ogni assistenza a cura, qualora risulti provato da parte del donante l'inadempimento dell'onere da
parte del donatario e dei suoi eredi e sia espressamente previsto nell'atto di donazione l'effetto della
risoluzione quale conseguenza dell'inadempimento dell'onere.
Cassazione civile sez. II
Data: 29 gennaio 2000
Numero: n. 1036
Parti: Reg. Campania C. Grande
Fonti: Giust. civ. 2000, I,1693, Giust. civ. Mass. 2000, 175, Contratti (I) 2000, 1023 (nota di:
VALENZA)
Classificazione
DONAZIONE - Modale
Testo
Mentre l'azione di adempimento dell'onere imposto dalla donazione può essere proposta da
chiunque vi abbia interesse (in quanto è la volontà del donante che viene protetta e si chiede che
venga realizzata), la domanda di risoluzione per inadempimento dell'onere anzidetto può essere
esclusivamente proposta dal donante o dai suoi eredi e soltanto nel caso che essa sia stata
espressamente prevista dall'atto di donazione, rimanendo esclusa la legittimazione di qualsiasi altro
titolare del diritto e, quindi, anche del cessionario (in quanto si è inteso attribuire la valutazione
dell'opportunità di richiedere la risoluzione per l'inadempimento soltanto al donante e, dopo la sua
morte, ai suoi eredi, considerati come continuatori della personalità del donante e, quindi, gli unici
in grado di apprezzare le ragioni dell'inadempimento con riguardo allo spirito di liberalità da cui era
animato il loro dante causa.
Cassazione civile sez. II
Data: 26 maggio 1999
Numero: n. 5122
Parti: Sanfelice di Monteforte e altro C. Congregaz. Suore Carmelitane ist. N.S. Carmelo
Fonti: Giur. it. 2000, 258 (nota di: PENE VIDARI), Foro it. 2000, I,2289 (nota di: DI CIOMMO)
Classificazione
DONAZIONE - Modale
Testo
Nella donazione modale l'inadempimento dell'obbligo di ritrasferimento dei beni donati non
determina effetti risolutori, salvo che sia prevista la restituzione dei beni al donante o ai suoi aventi
causa.
Cassazione civile sez. II
Data: 17 aprile 1993
Numero: n. 4560
Parti: Congregaz. Suore Angeliche S. Paolo C. Com. Trani
Fonti: Giust. civ. Mass. 1993, 692 (s.m.), Vita not. 1993, 1400, Foro it. 1994, I,1114, Riv.
notariato 1994, 797
L'impossibilità dell'onere che, ai sensi dell'art. 794 c.c., rende nulla la donazione modale ove l'onere
stesso ne abbia costituito l'unico motivo determinante, è soltanto l'impossibilità originaria, ossia già
esistente all'atto della stipulazione, mentre quella sopravvenuta non può produrre altro effetto che
l'estinzione del modus, facendo sì che la donazione ne resti liberata, salva l'ipotesi, disciplinata
dall'art. 793, comma 4, c.c., che le parti abbiano espressamente previsto la risoluzione per
inadempimento dell'onere e quest'ultimo sia divenuto impossibile per fatto e colpa del donatario.
Tribunale Napoli sez. II
Data: 17 maggio 2006
Fonti: Giur. merito 2006, 11, 2412
La donazione con riserva di usufrutto in favore di un terzo dà luogo a due distinti negozi, un
trasferimento della nuda proprietà in favore del donatario, ed un'offerta di donazione dell'usufrutto
in favore del terzo, improduttiva di effetti fino a che non intervenga l'accettazione del terzo
medesimo, prima della morte del costituente, nella prescritta forma dell'atto pubblico; ne consegue
che, qualora il donante riservi l'usufrutto sui beni donati a proprio vantaggio e, dopo di lui, a
vantaggio di un terzo, come consentito dall'art. 796 c.c, il donatario della nuda proprietà acquista il
pieno dominio alla cessazione dell'usufrutto del donante, se il terzo riservatario non abbia accettato
prima della morte del donante stesso.
REVOCAZIONE DELLA DONAZIONE
Cassazione civile sez. II
Data: 10 novembre 2011
Numero: n. 23545
Parti: I.E. C. M.G.C.
Fonti: Diritto & Giustizia 2011, 15 novembre (nota di: PALEARI)
Il rifiuto e l'indisponibilità del donatario ad assistere il donante e a venire incontro alle sue esigenze
non integrano gli estremi di un'ingiuria grave ex artt. 800 e 801 c.c., essendo necessario a tal
proposito un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del
donante, oltre che espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale per cui
possa ritenersi offesa la coscienza comune (nella specie la Corte ha ritenuto che l'indisponibilità
della donataria di assistere la donante, dopo la morte del marito di quest'ultima, non configurassero
gli estremi dell'ingiuria grave prevista dall'art. 801 c.c., non sostanziandosi in alcun atto di
aggressione al patrimonio morale della donante, e che d'altra parte tale comportamento doveva
essere inquadrato nel degrado dei rapporti personali intercorrenti tra la donante ed i familiari del
marito, tra cui la donataria, contrassegnati da antica acrimonia e disaffezione).
Cassazione civile sez. II
Data: 28 maggio 2008
Numero: n. 14093
Parti: P. C. I.
Fonti: Giust. civ. Mass. 2008, 5, 830, Giust. civ. 2008, 10, I, 2115 (s.m.) (nota di:
MARINI), Guida al diritto 2008, 30, 58 (s.m.) (nota di: Leo), Vita not. 2008, 3, 1251 (s.m.) (nota
di: PALAZZOLO), Riv. notariato 2009, 1, 157
L'ingiuria grave che, ai sensi dell'art. 801 c.c., legittima la revoca della donazione per ingratitudine
del donatario, consiste in un qualsiasi atto o comportamento il quale leda in modo rilevante il
patrimonio morale del donante, e palesi per ciò solo un sentimento di avversione da parte del
donatario. (Nella specie la S.C., confermando la decisione di merito, ha ritenuto che integrasse gli
estremi dell'ingiuria grave la condotta della moglie che aveva intrattenuto per lungo tempo una
relazione extraconiugale con modalità oggettivamente irriguardose nei confronti del coniuge,
sfociata nell'abbandono della famiglia nonostante la presenza di figli).
Cassazione civile sez. II
Data: 18 gennaio 2007
Numero: n. 1090
Parti: Turchetti C. Turchetti
Fonti: Giust. civ. Mass. 2007, 1
Classificazione
DONAZIONE - Revocazione in genere
Testo
Donazione - Revocazione - Per ingratitudine - Azione - Termini - Decorrenza - Piena e sicura
consapevolezza nel donante dei fatti di cui all'art. 802 c.c. - Necessità - Fattispecie.
In tema di revocazione per ingratitudine della donazione, il termine previsto a pena di decadenza
dall'art. 802 c.c. decorre dal momento in cui il donante abbia acquisito la piena e sicura
consapevolezza del compimento da parte del donatario di uno degli atti che legittimano l'esercizio
del relativo diritto. (Nella specie, si è ritenuto che l'attore era decaduto dall'azione sul rilievo che il
termine di cui all'art. 802 c.c. dovesse decorrere dal momento in cui, avendo in precedenza
instaurato un analogo giudizio poi estinto, il donante aveva acquisito la necessaria certezza del
comportamento gravemente ingiurioso tenuto nei suoi confronti dal donatario, certezza che non
poteva essere esclusa dalla circostanza che tale condotta si fosse aggravata e protratta
successivamente all'introduzione del precedente giudizio).
Tribunale Napoli
Data: 21 giugno 2004
Fonti: Giur. napoletana 2004, 345
La richiesta di interdizione del donante avanzata dal donatario può costituire causa di revocazione
per ingratitudine, configurandosi come ingiuria grave, solo laddove vi sia la piena consapevolezza
da parte del richiedente della piena capacità di intendere e di volere del donante, e l'unico fine sia
quello di danneggiare il donante medesimo, La mancata prestazione di cura ed assistenza da parte
del donatario in occasione della malattia del donante non costituisce causa di revocazione della
donazione, occorrendo a tal fine che ricorrano altresì i presupposti per la debenza degli alimenti da
parte del donatario.
Corte appello Perugia
Data: 03 febbraio 1998
Parti: Cittadini C. Moretti e altro
Fonti: Rass. giur. umbra 1998, 473
Ai fini della revoca della donazione per ingratitudine non costituisce ingiuria grave l'attribuzione al
donante degli epiteti "ladro e truffatore", il lancio di una scarpa e l'avergli impedito l'ingresso in un
edificio.
Cassazione civile sez. II
Data: 28 agosto 1997
Numero: n. 8165
Fonti: Giust. civ. Mass. 1997, 1548, Il civilista 2009, 11, 12 (s.m.) (nota di: VECCHIO), Il
civilista 2011, 9, 8 (s.m.) (nota di: BUFFONE)
L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una
donazione per ingratitudine, pur mutuando il suo significato intrinseco dal magistero penale è,
purtuttavia, da questo autonoma sotto il profilo della concreta rilevabilità, risultando, piuttosto,
connessa ad una valutazione sociale ed etica del comportamento, che andrà rivolto, per l'effetto,
contro la sfera morale e spirituale del donante in modo diretto ed esplicito, secondo manifestazioni e
connotazioni di gravità e di potenzialità offensiva non soltanto oggettive, ma anche (e soprattutto)
disvelanti un reale e perdurante sentimento di avversione, espressione di una ingratitudine verso il
beneficiario tale da ripugnare alla coscienza comune. (Nella specie, la corte di merito aveva
ravvisato, nel comportamento del donatario, gli estremi dell'ingratitudine per avere questi più volte
gravemente ingiuriato la donante rivolgendole l'appellativo di "puttana", "delinquente", disgraziata",
"disonesta", e per averla minacciato di morte e di prenderla a calci, anche come reazione al rifiuto
della predetta di rendere disponibile l'oggetto della donazione alla scadenza prevista. La S.C., nel
confermare tale decisione, ha affermato il principio di diritto di cui in massima).
Cassazione civile sez. II
Data: 28 agosto 1997
Numero: n. 8165
Parti: Grillo C. Indulto
Fonti: Notariato 1998, 123 (nota di: PASQUALINI), Nuova giur. civ. commentata 1998, I,
508 (nota di: FONTANESI), Vita not. 1998, 213, Giur. it. 1998, 2059
L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una
donazione per ingratitudine, pur mutuando il suo significato intrinseco dal magistero penale è,
purtuttavia, da questo autonoma sotto il profilo della concreta rilevabilità, risultando, piuttosto,
connessa ad una valutazione sociale ed etica del comportamento, che andrà rivolto, per l'effetto,
contro la sfera morale e spirituale del donante in modo diretto ed esplicito, secondo manifestazioni e
connotazioni di gravità e di potenzialità offensiva non soltanto oggettive, ma anche (e soprattutto)
disvelanti un reale e perdurante sentimento di avversione, espressione di una ingratitudine verso il
beneficiario tale da ripugnare alla coscienza comune.
Tribunale Spoleto
Data: 03 marzo 1994
Parti: Cittadini C. Moretti
Fonti: Rass. giur. umbra 1994, 689
Costituisce causa di revocazione per ingratitudine della donazione l'ingiuria grave del donatario al
donante manifestatasi nell'attribuzione degli epiteti di ladro e truffatore, nel lancio di una scarpa e
nell'impedirgli l'ingresso in un edificio.
Cassazione civile sez. II
Data: 05 novembre 1990
Numero: n. 10614
Parti: Piazzi C. Piazzi
Fonti: Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 11
La revoca della donazione per ingratitudine sotto il profilo della ingiuria grave richiede un'azione
consapevole e volontaria del donatario direttamente volta contro il patrimonio morale del donante,
risolvendosi in una manifestazione di perversa animosità verso il donante idonea a giustificare il
pentimento rispetto al compiuto atto di liberalità. Per contro i comportamenti del donatario (nella
specie, interruzione degli studi, uso di stupefacenti e commissione di reati) che, pur potendo
comportare dolorose reazioni nell'animo del donante, non sono tuttavia volti direttamente a colpirlo,
non giustificano la revoca della donazione elargita in epoca anteriore.
Cassazione civile sez. II
Data: 07 dicembre 1989
Numero: n. 5410
Parti: Dominici C. Serafini
Fonti: Giust. civ. Mass. 1989, fasc. 12.
Ai fini della decorrenza del termine per proporre domanda di revocazione della donazione per
ingratitudine, allorquando il donatario si è reso colpevole di ingiuria grave (nella specie, adulterio
commesso dal coniuge del donante), non è sufficiente che del fatto ingiurioso il donante abbia
vaghe e generiche notizie, essendo, invece, rilevante la completa conoscenza di fatti e circostanze
tali da determinare in lui la certezza di aver subito ingiuria grave da parte del donatario.
Cassazione civile sez. II
Data: 28 novembre 1988
Numero: n. 6416
Parti: Tassinari C. Tassinari
Fonti: Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 11.
Le liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti nell'art. 769 c.c. (nella specie, "negotium
mixtum cum donatione") sono soggette al regime delle donazioni limitamente alla disciplina della
revocazione (art. 800 e ss. c.c.) ed a quella della riduzione per reintegrare la quota dei legittimati
(art. 555 e ss. c.c.), mentre, per ciò che attiene al regime formale, si sottraggono al requisito dell'atto
pubblico, rimanendo soggette alla forma prescritta per l'atto da cui le liberalità risultano.
Cassazione civile sez. II
Data: 04 novembre 2011
Numero: n. 22936
Parti: D.C. C. A.A.
Fonti: Diritto & Giustizia 2011, 8 novembre
Classificazione
DONAZIONE - Revocazione - in genere
Testo
Gli elementi sintomatici dell'ingratitudine, quale causa giustificatrice della revocazione della
donazione, possono essere individuati nella relazione adulterina della beneficiaria, così come nella
mancanza di qualsiasi solidarietà e riconoscenza, da parte sua, nei confronti del donante, tale da
manifestare un malanimo che si traduce in ingiuria grave.
Tribunale Napoli sez. VIII
Data: 07 luglio 2011
Fonti: Redazione Giuffrè 2011
Classificazione
DONAZIONE - Revocazione in genere
Testo
L'ingiuria, per assurgere a causa di revocazione della donazione per ingratitudine, deve essere
espressione di un sentimento di avversione nei confronti del donante connotato da un carattere di
durevolezza, non apparendo a tal fine sufficiente l'aggressione che però si esaurisca in un singolo
episodio e che possa eventualmente trovare spiegazione in un clima di acceso contrasto sorto per
una specifica situazione.
Cassazione civile sez. II
Data: 31 marzo 2011
Numero: n. 7487
Parti: G.C. C. A.C.
Fonti: Diritto & Giustizia 2011, Il civilista 2011, 9, 5 (s.m.) (nota di: BUFFONE)
Non ricorre ingratitudine nel comportamento della figlia donataria, che, a fronte della sopravvenuta
intollerabilità della convivenza tra i suoi genitori e nella pendenza del giudizio di separazione
personale con addebito instaurato dalla madre, inviti il padre, con una lettera formale, a lasciare
l'immobile di sua proprietà, acquistato con il denaro ricevuto dalla donazione paterna e materna,
destinato a casa familiare. Tale comportamento si risolve in una presa d'atto, da parte della figlia,
della frattura tra i suoi genitori, dipendente dalla loro disaffezione e distacco spirituale e quindi nel
sopravvenire di una condizione tale da render incompatibile la prosecuzione della convivenza di
entrambi i donanti nell'abitazione acquistata con il denaro ricevuto in donazione.
Cassazione civile sez. II
Data: 24 giugno 2008
Numero: n. 17188
Parti: G.D.R. C. V.
Fonti: Giust. civ. Mass. 2008, 6, 1021, Giust. civ. 2009, 1, I, 147 (s.m.) (nota di: MARINI)
L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una
donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all'onore e al
decoro della persona, deve essere caratterizzata dalla manifestazione, nel comportamento del
donatario, di un durevole sentimento di disistima delle qualità morali e di irrispettosità della dignità
del donante contrastanti con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbero
invece, improntarne l'atteggiamento; tale presupposto non può essere desunto da singoli
accadimenti che, pur risultando di per sé censurabili, per il contesto in cui si sono verificati e per
una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti ad
espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento
della revocazione della donazione per ingratitudine. (Nella specie, la S.C., nell'enunciare il riportato
principio, ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano escluso la sussistenza degli
estremi dell'ingratitudine, ritenendo non provate la segregazione dell'attrice da parte dei donatari e
una violenza fisica da lei subita e avevano ricondotto ad una incompatibilità di carattere tra le parti,
evidenziatosi con la convivenza, lo stato di tensione tra esse insorto).
Cassazione civile sez. II
Data: 28 maggio 2008
Numero: n. 14093
Parti: P. C. I.
Fonti: Giust. civ. Mass. 2008, 5, 830, Giust. civ. 2008, 10, I, 2115 (s.m.) (nota di:
MARINI), Guida al diritto 2008, 30, 58 (s.m.) (nota di: Leo), Vita not. 2008, 3, 1251 (s.m.) (nota
di: PALAZZOLO), Riv. notariato 2009, 1, 157
L'ingiuria grave che, ai sensi dell'art. 801 c.c., legittima la revoca della donazione per ingratitudine
del donatario, consiste in un qualsiasi atto o comportamento il quale leda in modo rilevante il
patrimonio morale del donante, e palesi per ciò solo un sentimento di avversione da parte del
donatario. (Nella specie la S.C., confermando la decisione di merito, ha ritenuto che integrasse gli
estremi dell'ingiuria grave la condotta della moglie che aveva intrattenuto per lungo tempo una
relazione extraconiugale con modalità oggettivamente irriguardose nei confronti del coniuge,
sfociata nell'abbandono della famiglia nonostante la presenza di figli).
Tribunale Roma
Data: 08 marzo 2008
Parti: L. C. P.
Fonti: Giust. civ. 2009, 2, I, 501 (s.m.) (nota di: MARINI)
La revocazione della donazione per ingratitudine del donatario, che ha «dolosamente arrecato grave
pregiudizio al patrimonio» del donante, presuppone il dolo, da intendersi nel senso di malvagio
proponimento di danneggiare, per cui non è di per sé idoneo a tal fine l'avere indebitamente sottratto
al padre (donante) alcuni oggetti preziosi.
Cassazione civile sez. II
Data: 18 gennaio 2007
Numero: n. 1090
Parti: Turchetti C. Turchetti
Fonti: Giust. civ. Mass. 2007, 1
In tema di revocazione per ingratitudine della donazione, il termine previsto a pena di decadenza
dall'art. 802 c.c. decorre dal momento in cui il donante abbia acquisito la piena e sicura
consapevolezza del compimento da parte del donatario di uno degli atti che legittimano l'esercizio
del relativo diritto. (Nella specie, si è ritenuto che l'attore era decaduto dall'azione sul rilievo che il
termine di cui all'art. 802 c.c. dovesse decorrere dal momento in cui, avendo in precedenza
instaurato un analogo giudizio poi estinto, il donante aveva acquisito la necessaria certezza del
comportamento gravemente ingiurioso tenuto nei suoi confronti dal donatario, certezza che non
poteva essere esclusa dalla circostanza che tale condotta si fosse aggravata e protratta
successivamente all'introduzione del precedente giudizio).
Cassazione civile sez. II
Data: 18 gennaio 2007
Numero: n. 1090
Parti: - C. Fonti: Riv. notariato 2008, 2, 413 (s.m.) (nota di: MUSOLINO)
Ai fini della decorrenza del termine per presentare l'azione di revocazione della donazione, rileva la
piena e sicura consapevolezza, da parte del donante stesso, che il donatario abbia compiuto uno
degli atti elencati nell'art. 801 c.c.
Autorità: Cassazione civile sez. II
Data: 05 aprile 2005
Numero: n. 7033
Parti: B. e altro C. B.
Fonti: Giust. civ. Mass. 2005, 4, D&G - Dir. e giust. 2005, 17, 25 (nota di: GARUFI), Riv.
notariato 2005, 1037
L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una
donazione per ingratitudine, pur mutuando il suo significato intrinseco dal diritto penale è,
purtuttavia, da questo autonoma sotto il profilo della concreta rilevabilità, risultando, piuttosto,
connessa ad una valutazione sociale ed etica del comportamento, che andrà rivolto, per l'effetto,
contro la sfera morale e spirituale del donante in modo diretto ed esplicito, secondo manifestazioni e
connotazioni di gravità e di potenzialità offensiva non soltanto oggettive, ma anche (e soprattutto)
disvelanti un reale e perdurante sentimento di avversione, espressione di una ingratitudine verso il
beneficiario tale da ripugnare alla coscienza comune. (Nella specie, la S.C., nell'enunciare il
principio di diritto di cui in massima, ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la
sussistenza degli estremi dell'ingratitudine, nel comportamento del donatario che aveva
schiaffeggiato per due volte la madre donante, essendo l'episodio maturato a seguito di
provocazione in un contesto di rapporti familiari deteriorati per contrasti riconducibili alle scelte di
vita del donatario, disapprovate dai genitori donanti).
Tribunale Napoli
Data: 14 giugno 2004
Numero:
Parti: A.F. C. R.C. e altro
Fonti: Redazione Giuffrè 2004 (s.m.), Giur. merito 2005, 4, 825
Classificazione
DONAZIONE - Revocazione cause
Testo
La revoca della donazione per ingratitudine non può essere concessa nel caso di mancata assistenza
al donante e di rifiuto del donatario di prestare gli alimenti, in quanto in tali comportamenti non è
ravvisabile l'ingiuria, soprattutto ove non ricorrano le specifiche premesse di legge per
l'obbligazione alimentare ai sensi dell'art 438 c.c.
Cassazione civile sez. II Data: 16 marzo 2004 Numero: n. 5333 Parti: Bravi e altro C. Bravi Fonti: Giust. civ. Mass. 2004, 3, Giust. civ. 2005, 1, I, 199, Il civilista 2011, 9, 8 (s.m.) (nota di: BUFFONE) Non costituiscono ingiuria grave verso il donante, ai fini della revoca della donazione per ingratitudine ai sensi dell'art. 801 c.c., nè il rifiuto di acconsentire alla richiesta del donante di vendita dell'immobile oggetto di donazione (tale richiesta equivalendo ad una pretesa di restituzione del bene, legittimamente rifiutata indipendentemente dai motivi della stessa), nè quei comportamenti di reazione legittima (perché attuata attraverso gli strumenti offerti dall'ordinamento) a tale richiesta e ad altri atti in vario modo finalizzati a sostenerla. Cassazione civile sez. II
Data: 05 novembre 2001
Numero: n. 13632
Parti: Pittaluga C. Vincini
Fonti: Giust. civ. Mass. 2001, 1851, Il civilista 2009, 11, 12 (s.m.) (nota di: VECCHIO), Il
civilista 2011, 9, 8 (s.m.) (nota di: BUFFONE)
L'ingiuria grave, che l'art. 801 c.c. prevede quale motivo di revocazione della donazione, consiste in
un comportamento con il quale si rechi all'onore ed al decoro del donante un'offesa suscettibile di
ledere gravemente il patrimonio morale della persona, si da rilevare un sentimento di avversione
che manifesti tale ingratitudine verso colui che ha beneficato l'agente, che ripugna alla coscienza
comune. (La S.C., nel ribadire detto principio, ha confermato la decisione dei giudici di merito che
non avevano ritenuto rappresentasse ingiuria grave l'aver presentato denuncia - querela contro il
donante in quanto, all'esito del giudizio penale, non era stata dimostrata l'infondatezza dell'accusa).
Cassazione civile sez. II
Data: 17 giugno 1998
Numero: n. 6025
Parti: Boraso e altro C. Boraso
Fonti: Giust. civ. Mass. 1998, 1337
In tema di domanda di revocazione della donazione per ingratitudine, il termine di decadenza di un
anno, previsto dall'art. 802 c.c., decorre da quando il donante è pienamente consapevole del
compimento, da parte del donatario, dei fatti che legittimano la revoca della donazione, e pertanto,
nel caso di spoglio dell'usufrutto riservato su un immobile donato, il termine per la domanda stessa
può farsi decorrere dal deposito del ricorso per la reintegra in possesso, anziché dal perpetrato
spoglio.
Autorità: Cassazione civile sez. II
Data: 29 maggio 1998
Numero: n. 5310
Parti: Piccolo C. Piccolo
Fonti: Giust. civ. Mass. 1998, 1164, Il civilista 2011, 9, 8 (s.m.) (nota di: BUFFONE)
Classificazione
DONAZIONE - Revocazione in genere
Testo
L'ingiuria grave che l'art. 801 c.c. prevede quale motivo di revocazione della donazione ricorre
quando il beneficiato ha leso con il proprio comportamento il patrimonio morale ed affettivo del
donante se la lesione è avvenuta per effetto dell'animosità ed avversione nutrite dal donatario
avverso il donante. Pertanto, non costituisce offesa grave ai sensi dell'art. 801 c.c. la vendita da
parte del donatario dell'appartamento ricevuto in donazione, nè la presentazione all'Autorità di
pubblica Sicurezza di un esposto contro il donante, ove tale iniziativa sia volta a far cessare un
comportamento illegittimo del donante nei confronti del donatario (Nella specie il donante aveva
cambiato la serratura dell'appartamento impedendone al donatario l'accesso).
Corte appello Perugia
Data: 03 febbraio 1998
Numero:
Parti: Cittadini C. Moretti e altro
Fonti: Rass. giur. umbra 1998, 473
Ai fini della revoca della donazione per ingratitudine non costituisce ingiuria grave l'attribuzione al
donante degli epiteti "ladro e truffatore", il lancio di una scarpa e l'avergli impedito l'ingresso in un
edificio.
Cassazione civile sez. II
Data: 28 agosto 1997
Numero: n. 8165
Parti: Grillo C. Indulto
Fonti: Giust. civ. Mass. 1997, 1548, Il civilista 2009, 11, 12 (s.m.) (nota di: VECCHIO), Il
civilista 2011, 9, 8 (s.m.) (nota di: BUFFONE)
L'ingiuria grave richiesta, ex art. 801 c.c., quale presupposto necessario per la revocabilità di una
donazione per ingratitudine, pur mutuando il suo significato intrinseco dal magistero penale è,
purtuttavia, da questo autonoma sotto il profilo della concreta rilevabilità, risultando, piuttosto,
connessa ad una valutazione sociale ed etica del comportamento, che andrà rivolto, per l'effetto,
contro la sfera morale e spirituale del donante in modo diretto ed esplicito, secondo manifestazioni e
connotazioni di gravità e di potenzialità offensiva non soltanto oggettive, ma anche (e soprattutto)
disvelanti un reale e perdurante sentimento di avversione, espressione di una ingratitudine verso il
beneficiario tale da ripugnare alla coscienza comune. (Nella specie, la corte di merito aveva
ravvisato, nel comportamento del donatario, gli estremi dell'ingratitudine per avere questi più volte
gravemente ingiuriato la donante rivolgendole l'appellativo di "puttana", "delinquente", disgraziata",
"disonesta", e per averla minacciato di morte e di prenderla a calci, anche come reazione al rifiuto
della predetta di rendere disponibile l'oggetto della donazione alla scadenza prevista. La S.C., nel
confermare tale decisione, ha affermato il principio di diritto di cui in massima).
Autorità: Tribunale Spoleto
Data: 03 marzo 1994
Parti: Cittadini C. Moretti
Fonti: Rass. giur. umbra 1994, 689
Costituisce causa di revocazione per ingratitudine della donazione l'ingiuria grave del donatario al
donante manifestatasi nell'attribuzione degli epiteti di ladro e truffatore, nel lancio di una scarpa e
nell'impedirgli l'ingresso in un edificio.
Cassazione civile sez. II
Data: 03 giugno 1993
Numero: n. 6208
Parti: Turra C. Vay
Fonti: Giust. civ. Mass. 1993, 983 (s.m.), Il civilista 2009, 11, 12 (s.m.) (nota di: VECCHIO)
Ai fini della decorrenza del termine per proporre domanda di revocazione della donazione per causa
d'ingratitudine, allorquando il donatario si è reso colpevole di ingiuria grave, come nel caso di
adulterio, non è sufficiente che del fatto ingiurioso il donante abbia vaghe e generiche notizie,
essendo invece rilevante la completa conoscenza di fatti e circostanze tali da determinare in lui la
certezza di avere subito ingiuria grave da parte del donatario.
Cassazione civile sez. I
Data: 23 dicembre 1992
Numero: n. 13630
Parti: De Amicis C. Rugi
Fonti: Dir. famiglia 1994, I, 112, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 12.
Nel caso in cui una persona paghi al venditore, con denaro proprio, il prezzo di un immobile che
risulti acquistato da altri (nella specie, la moglie), si verifica una donazione indiretta dell'immobile
(che in tal modo entra a far parte del patrimonio del destinatario della liberalità), per la quale non è
necessaria la forma dell'atto pubblico, prescritta dall'art. 782 c.c. per la donazione, ma basta
l'osservanza della forma richiesta per l'atto da cui la donazione indiretta risulta.
Corte appello Reggio Calabria
Data: 04 marzo 1991
Parti: Fida C. Fida
Fonti: Giur. merito 1993, 57 (nota di: AZZARITI)
L'ingiuria grave prevista dall'art. 801 c.c. quale motivo di revoca della donazione deve consistere in
un consapevole e volontario attentato al patrimonio morale del donante, che riveli un chiaro moto di
avversione nei suoi confronti.
Cassazione civile sez. II
Data: 05 novembre 1990
Numero: n. 10614
Parti: Piazzi C. Piazzi
Fonti: Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 11
La revoca della donazione per ingratitudine sotto il profilo della ingiuria grave richiede un'azione
consapevole e volontaria del donatario direttamente volta contro il patrimonio morale del donante,
risolvendosi in una manifestazione di perversa animosità verso il donante idonea a giustificare il
pentimento rispetto al compiuto atto di liberalità. Per contro i comportamenti del donatario (nella
specie, interruzione degli studi, uso di stupefacenti e commissione di reati) che, pur potendo
comportare dolorose reazioni nell'animo del donante, non sono tuttavia volti direttamente a colpirlo,
non giustificano la revoca della donazione elargita in epoca anteriore.
Cassazione civile sez. II
Data: 04 agosto 1990
Numero: n. 7861
Parti: Moroni C. Moroni
Fonti: Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 8
Con riguardo alla domanda diretta a far valere la simulazione relativa di una vendita immobiliare,
dissimulante una donazione, asseritamente nulla per difetto di forma ovvero revocabile per
ingratitudine, mentre la prova testimoniale inter partes è assimilabile per il combinato disposto degli
art. 1417 e 2725 c.c. soltanto se è intesa a dimostrare la perdita incolpevole della eventuale
controdichiarazione attestante l'esistenza dell'asserito contratto di donazione dissimulato, è
inammissibile il deferimento sul punto del giuramento decisorio, dato che questo, essendo diretto a
far dipendere la decisione della lite dalla coscienza della parte, non è un mezzo di prova
documentale e non può quindi sostituire l'atto scritto richiesto ad substantiam dall'art. 1350 c.c. per
ogni convenzione riguardante diritti reali immobiliari.
Cassazione civile sez. II
Data: 07 dicembre 1989
Numero: n. 5410
Parti: Dominici C. Serafini
Fonti: Giust. civ. Mass. 1989, fasc. 12.
Ai fini della decorrenza del termine per proporre domanda di revocazione della donazione per
ingratitudine, allorquando il donatario si è reso colpevole di ingiuria grave (nella specie, adulterio
commesso dal coniuge del donante), non è sufficiente che del fatto ingiurioso il donante abbia
vaghe e generiche notizie, essendo, invece, rilevante la completa conoscenza di fatti e circostanze
tali da determinare in lui la certezza di aver subito ingiuria grave da parte del donatario.
Cassazione civile sez. II
Data: 05 aprile 2005
Numero: n. 7033
Parti: B. e altro C. B.
Fonti: Giust. civ. Mass. 2005, 4, D&G - Dir. e giust. 2005, 17, 25 (nota di: GARUFI)
Il termine di un anno, previsto dall'art. 802 c.c. per proporre la domanda di revocazione della
donazione per causa di ingratitudine, è un termine di decadenza e non di prescrizione.
Cassazione civile sez. II
Data: 05 maggio 2000
Numero: n. 5664
Parti: Sulfaro C. Ruota
Fonti: Riv. notariato 2001, 412 (nota di: GAZZONI)
Il termine di un anno entro cui agire per la revoca per ingratitudine ex art. 802 c.c., di una
donazione indiretta, nel caso di errore di diritto da parte del donante nella qualificazione del
rapporto giuridico originariamente posto in essere, comincia a decorrere a partire dalla data della
sentenza che abbia accertato l'avvenuta donazione.
Cassazione civile sez. II
Data: 03 giugno 1993
Numero: n. 6208
Parti: Turra C. Vay
Fonti: Giust. civ. Mass. 1993, 983 (s.m.), Il civilista 2009, 11, 12 (s.m.) (nota di: VECCHIO)
Ai fini della decorrenza del termine per proporre domanda di revocazione della donazione per causa
d'ingratitudine, allorquando il donatario si è reso colpevole di ingiuria grave, come nel caso di
adulterio, non è sufficiente che del fatto ingiurioso il donante abbia vaghe e generiche notizie,
essendo invece rilevante la completa conoscenza di fatti e circostanze tali da determinare in lui la
certezza di avere subito ingiuria grave da parte del donatario.
Cassazione civile sez. II Data: 04 maggio 2012 Numero: n. 6761 Parti: D. Fonti: Giust. civ. 2012, 6, I, 1420, Giust. civ. Mass. 2012, 5, 560, Riv. notariato 2012, 4, 2, 914 (s.m.) (nota di: MUSOLINO) Donazione ‐ Revocazione ‐ Cause ‐ Sopravvenienza di figli ‐Ratiodell'istituto ‐ Correlazione agli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, verso la prole ‐ Ambito di applicazione ‐ Sopravvenienze rilevanti ‐ Adozione legittimante ‐ Inclusione ‐ Adozione ordinaria ‐ Esclusione ‐ Fondamento ‐ Conseguenze ‐ Questione di illegittimitàexart. 3 cost. ‐ Manifesta infondatezza La revocazione della donazione per sopravvenienza di figli risponde all'esigenza di consentire al donante di riconsiderare l'opportunità dell'attribuzione liberale a fronte della sopravvenuta nascita di un figlio, o della sopravvenuta conoscenza della sua esistenza, in funzione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, che derivano da tale evento, come anche dall'adozione del minore d'età ex art. 27 della legge n. 184 del 1983; pertanto, la revocazione della donazione non è consentita per sopravvenuta adozione del maggiore d'età, la quale è finalizzata non a proteggere la prole, ma ad assicurare all'adottante la trasmissione del nome e del patrimonio ("adoptio in hereditatem"), essendo, quindi, manifestamente infondata la questione di illegittimità dell'art. 803 c.c., in riferimento all'art. 3 cost., nella parte in cui non prevede la revocazione degli atti di liberalità per sopravvenienza di figli adottivi maggiorenni. Corte costituzionale
Data: 03 luglio 2000
Numero: n. 250
Parti: Grottola C. De Lima
Fonti: Giust. civ. 2000, I,2513, Dir. famiglia 2000, 1004, Giur. cost. 2000, 2021, Arch.
civ. 2000, 1091 (nota di: SANTARSIERE), Corriere giuridico 2000, 1100, Giur.
romana 2000, 80171, 72
Classificazione
DONAZIONE - Revocazione cause
Testo
È costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli art. 3 e 30, comma 3, cost. - l'art. 803,
comma 1, c.c., nella parte in cui prevede che, in caso di sopravvenienza di un figlio naturale, la
donazione possa essere revocata solo se il riconoscimento del figlio sia intervenuto entro due anni
dalla donazione.
Cassazione civile sez. II
Data: 01 marzo 1994
Numero: n. 2031
Parti: Gallo e altro C. Porporato e altro
Fonti: Foro it. 1995, I,1307, Riv. notariato 1995, 250
In tema di revocazione della donazione, la sopravvenienza di un nipote, che intervenga dopo che si
sia già verificata la sopravvenienza del genitore dello stesso, non opera come nuova causa di
revocazione.
Donazioni indirette
Cassazione civile sez. II
Data: 29 febbraio 2012
Numero: n. 3134
Parti: P. C. C.
Fonti: Giust. civ. Mass. 2012, 2, 238
Classificazione
DONAZIONE - Indiretta
La donazione indiretta è caratterizzata dal fine perseguito di realizzare una liberalità, e non già dal
mezzo, che può essere il più vario, nei limiti consentiti dall'ordinamento, ivi compresi più negozi tra
loro collegati, come nel caso in cui un soggetto, stipulato un contratto di compravendita, paghi o si
impegni a pagare il relativo prezzo e, essendosene riservata la facoltà nel momento della
conclusione del contratto, provveda ad effettuare la dichiarazione di nomina, sostituendo a sé, come
destinatario degli effetti negoziali, il beneficiario della liberalità, così consentendo a quest'ultimo di
rendersi acquirente del bene ed intestatario dello stesso. Né la configurabilità della donazione
indiretta è impedita dalla circostanza che la compravendita sia stata stipulata con riserva della
proprietà in favore del venditore fino al pagamento dell'ultima rata di prezzo, giacché quel che
rileva è che lo stipulante abbia pagato, in unica soluzione o a rate, il corrispettivo, oppure abbia
messo a disposizione del beneficiario i mezzi per il relativo pagamento.
Cassazione civile sez. II
Data: 14 gennaio 2010
Numero: n. 468
Parti: B. e altro C. De M.
Fonti: Guida al diritto 2010, 26, 98 (s.m.)
La possibilità che costituisca donazione indiretta l'atto di cointestazione, con firma e disponibilità
disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito - qualora la predetta
somma, all'atto della cointestazione, risulti essere appartenuta a uno solo dei contestatari può essere
qualificato come donazione indiretta solo quando sia verificata l'esistenza dell'"animus donandi",
consistente nell'accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della
cointestazione, altro scopo che quello della liberalità. (Nella specie il giudice di appello aveva
escluso l'esistenza dell'animus donandi non ravvisabile in astratto nella delegata da parte del titolare
di un conto corrente a terzi per operare sul conto medesimo e sul deposito titoli, ancorché senza
obbligo di rendiconto, essendo la delega stata conferita in occasione del ricovero del delegante in
ospedale a distanza di meno di un mese della morte e ciò - aveva sottolineato il giudice "a quo" per l'evidente ragione che non avrebbe più potuto effettuare operazioni bancarie per le sue gravi
condizioni di salute. In applicazione del principio di cui sopra la S.C. ha confermato sul punto la
pronuncia di merito).
Cassazione civile sez. II
Data: 12 luglio 2006
Numero: n. 15873
Parti: Apriati e altro C. Gomiero
Fonti: Giust. civ. Mass. 2006, 7-8, Vita not. 2006, 3, 1413, Riv.
notariato 2007, 3, 661 (s.m.) (nota di: MUSOLINO)
Ai sensi dell'art. 785 c.c. la donazione obnuziale, essendo un negozio formale e tipico caratterizzato
dall'espressa menzione nell'atto pubblico delle finalità dell'attribuzione patrimoniale, eseguita da
uno degli sposi o da un terzo in riguardo di un futuro, "determinato", matrimonio, è incompatibile
con l'istituto della donazione indiretta, in cui lo spirito di liberalità viene perseguito mediante il
compimento di atti diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c.; infatti, la precisa connotazione della
causa negoziale, che deve espressamente risultare dal contesto dell'atto, non può rinvenirsi
nell'ambito di una fattispecie indiretta, nella quale la finalità suddetta, ancorché in concreto
perseguita, può rilevare solo quale motivo finale degli atti di disposizione patrimoniale fra loro
collegati ma non anche quale elemento tipizzante del contratto, chiaramente delineato dal
legislatore nei suoi requisiti di forma e di sostanza, in vista del particolare regime di
perfezionamento, efficacia e caducazione che lo contraddistingue dalle altre donazioni.
Autorità: Cassazione civile sez. II
Data: 12 luglio 2006
Numero: n. 15873
Parti: Apriati e altro C. Gomiero
Fonti: Giust. civ. 2007, 11, I, 2477 (s.m.) (nota di: BERTOTTO)
Deve escludersi che l'istituto della donazione obnuziale, previsto dall'art. 785 c.c., sia compatibile
con quello della donazione indiretta, nel quale lo spirito di liberalità viene, in via mediata,
perseguito mediante il compimento di atti diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c. La donazione in
riguardo di matrimonio, prevista dall'art. 785 c.c., è un negozio formale e tipico, caratterizzato
dall'espressa menzione, nell'atto pubblico che la contiene, che l'attribuzione patrimoniale, eseguita
da uno degli «sposi» o da un terzo, sia compiuta «in riguardo di un futuro determinato matrimonio»;
tale precisa connotazione della causa negoziale, che deve espressamente risultare dal contesto
dell'atto, non può rinvenirsi nell'ambito di una fattispecie indiretta, nella quale la finalità suddetta,
ancorché in concreto perseguita, può rilevare solo quale movente finale degli atti di disposizione
patrimoniale tra loro collegati, ma non anche quale elemento tipizzante del contratto, chiaramente
delineato dal legislatore nei suoi requisiti di forma e sostanza, in vista del particolare regime di
perfezionamento, efficacia e caducabilità che lo contraddistingue dalle altre donazioni.
Tribunale Napoli
Data: 20 marzo 2006
Numero:
Parti: D. M. C. M.
Fonti: Corriere del merito 2006, 12, 1392
La dazione di somme di danaro da parte della moglie al marito, utilizzate da queste per l'acquisto di
un immobile, costituisce valida donazione indiretta, sempre che siano rispettate le forme di legge,
né rileva l'eventuale successiva separazione dei coniugi, perché la causa del negozio, lo spirito di
liberalità, va valutato con riferimento al momento della dazione.
Cassazione civile sez. II
Data: 29 settembre 2004
Numero: n. 19601
Parti: Camboni C. Camboni
Fonti: Giust. civ. Mass. 2004, 9
Classificazione
DONAZIONE - Indiretta
Testo
Nel cosiddetto negotium mixtun cum donatione, la causa del contratto ha natura onerosa, ma il
negozio commutativo stipulato dai contraenti ha la finalità di raggiungere, per via indiretta,
attraverso la voluta sproporzione tra le prestazioni corrispettive, una finalità diversa e ulteriore
rispetto a quella dello scambio, consistente nell'arricchimento, per puro spirito di liberalità, di
quello dei contraenti che riceve la prestazione di maggior valore, con ciò realizzando il negozio
posto in essere una fattispecie di donazione indiretta. Ne consegue che la compravendita ad un
prezzo inferiore a quello effettivo non integra, di per sè stessa, un negotium mixtum cum donatione,
essendo, all'uopo, altresì necessario non solo la sussistenza di una sproporzione tra prestazioni, ma
anche la significativa entità di tale sproporzione, oltre alla indispensabile consapevolezza, da parte
dell'alienante, dell'insufficienza del corrispettivo ricevuto rispetto al valore del bene ceduto,
funzionale all'arricchimento di controparte acquirente della differenza tra il valore reale del bene e
la minore entità del corrispettivo ricevuto. Incombe poi alla parte che intenda far valere in giudizio
la simulazione relativa nella quale si traduce il negotium mixtum cum donatione l'onere di provare
sia la sussistenza di una sproporzione di significativa entità tra le prestazioni, sia la consapevolezza
di essa e la sua volontaria accettazione da parte dell'alienante in quanto indotto al trasferimento del
bene a tali condizioni dall'animus donandi nei confronti dell'acquirente.
Cassazione civile sez. II Data: 24 febbraio 2004 Numero: n. 3642 Parti: S. C. C. e altro Fonti: Giust. civ. Mass. 2004, 2, Il civilista 2011, 9, scenari (s.m.) (nota di: APICELLA) Mutuo Dissenso e contratti con effetti reali
Cassazione civile sez. trib.
Data: 06 ottobre 2011
Numero: n. 20445
Parti: Agenzia delle Entrate C. Soc. Saif analisi investimenti fin. e altro
Fonti: Giust. civ. Mass. 2011, 10, 1407, Vita not. 2012, 1, 245, Riv.
notariato 2012, 5, 1180 (s.m.) (nota di: DI FABIO), Giust. civ. 2012, 9, I, 2037 (s.m.) (nota di:
CORONELLA)
Classificazione
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI - Risoluzione consensuale del contratto
Testo
Obbligazioni e contratti - Risoluzione consensuale del contratto - Necessità di vizi funzionali
della causa - Esclusione - Contratti con effetti reali - Effetto ripristinatorio retroattivo Possibilità - Fondamento - Adozione della forma scritta ad substantiam- Necessità
Il mutuo dissenso costituisce un atto di risoluzione convenzionale (o un accordo risolutorio),
espressione dell'autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da
un precedente negozio, anche indipendentemente dall'esistenza di eventuali fatti o circostanze
sopravvenute, impeditivi o modificativi dell'attuazione dell'originario regolamento di interessi,
dando luogo ad un effetto ripristinatorio con carattere retroattivo, anche per i contratti aventi ad
oggetto il trasferimento di diritti reali; tale effetto, infatti, essendo espressamente previsto "ex lege"
dall'art. 1458 c.c. con riguardo alla risoluzione per inadempimento, anche di contratti ad effetto
reale, non può dirsi precluso agli accordi risolutori, risultando soltanto obbligatorio il rispetto
dell'onere della forma scritta "ad substantiam".
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Lezione 3 - Scuola di Formazione Ipsoa