LA MIA MARMELLATA
Dedicato a tutti coloro che sono, sono stati, saranno ingiustamente detenuti nelle carceri italiane vittime delle
ingiustizie del mondo giudiziario italiano. In particolar modo dedicato a S. perché sappia che in questo momento
non è solo e farò di tutto per fargli riavere la sua marmellata: affinchè tutto cambi. L'ufficio ha cambiato indirizzo.
13 luglio 2010 ore 05:45 sono già sveglio: è l'orario che ho rilevato dal canale posizione n. 10
della televisione. Tutto il carcere è come se fosse tarato con l'orario anziché di Greenwich, su
quello del network Italia 7.
Il grande caldo non mi ha consentito di dormire un'oretta e mezzo in più rispetto al solito. Tutto il
giorno precedente, fino alle 24:00-24-30 è stato trascorso a mettere a punto e sintetizzare tutte
le note per la giornata giudiziaria che mi attende.
Avevo avvertito tutti: l'ufficio così la chiamano la mia cella, i giorni 12 e 13, sarebbe rimasto
chiuso: devo anche occuparmi di me stesso.
Ho l'appello fissato alle ore 09:00, per la condanna di 11 mesi di reclusione ricevuta in 1° grado
il 16 dicembre 2009: sono già trascorsi 8 mesi e 2 giorni.
Nello stesso giorno, alle 09:30, mi era stato fissato anche il Tribunale della Libertà, per il mio
ricorso con richiesta di libertà per sopravvenuti 2/3 pena il 22 giugno, avverso la misura
cautelare, che solo 25 giorni prima la stessa Corte d'appello, che mi giudicherà di lì a poche
ore, aveva rigettato: sono una persona ad « elevata pericolosità sociale ».
A nulla è valsa la richiesta di rinvio udienza per l'appello, visto non possedere ancora il dono
dell'ubiquità. Con un atto informale, proveniente da chi non si sa, qualche giorno prima ricevo:
come da « accordi », verrà tradotto per fare prima l'appello e a seguire il Tribunale della Libertà.
Sei un pollo: loro prendono accordi come si fa con i polli quando si trasferiscono: non gli si
chiede il consenso, tanto devi essere cucinato di lì a poco.
Solo dal 22 giugno, per legge, avrei dovuto avere la mia marmellata almeno 6 volte.
Mi muovo come al solito lentamente, non voglio disturbare i miei due compagni che dormono.
Preparo il caffè; è vero ciò che diceva De Andrè: « solo in carcere o' sanno fa' »; dall'11 giugno
finalmente ho potuto godere del piacere di prendere un caffè, quello della moka, prima non
potevo: sono rimasto per 7 mesi all'inferno-ria.
Il caffè in carcere è un rito, è uno dei pochi legami che ti fa sentire ancora come se fossi nel tuo
ambiente esterno e non nel posto dove ti ritrovi.
Preparo tutto molto lentamente, prendo il caffè, senza aver fatto la crema per non svegliare
nessuno, gustandolo a piccolissimi sorsi, davanti alla finestra: le previsioni meteo ieri avevano
detto di una giornata odierna torrida, emergenza della protezione civile.
Barba, operazioni igieniche. Controllo il tutto già predisposto la sera precedente.
Ore 06:24 «Ah!, già pronto? Bene!»; è l'agente, che noi qui chiamiamo appuntato o assistente.
Questi sono gli orari nei quali ti svegliano quando vai "in causa", anche se poi parti alle 08:30.
Per distrarmi, rivolgo il pensiero ad altre pratiche per l'ufficio che dovrò fare nei giorni seguenti.
Ore 07:00 si sveglia M., anche lui oggi un po' più mattiniero del solito: altro caffè, ma questo
come la ricetta di «Ciccirinella» di De Andrè: con la crema.
M. non mi rivolge la parola, ero stato io che gli avevo detto di non farlo nei giorni precedenti;
non volevo nemmeno un augurio. Leggiamo le notizie che passano nei rulli delle varie
televisioni a volume bassissimo come si usa qui. Parliamo di spesa, poi di un sopravvenuto
problema di gas, visto che io nel compilare i fogli della spesa precedente ho commesso l'errore
di ordinare 6 guarnizioni da caffettiera, anziché le bombolette di gas, perché ho messo il prezzo
delle stesse, anziché il codice. Qui guardano solo il codice e non leggono il prodotto: è colpa
tua. Per tutta la settimana dobbiamo sopperire, altrimenti si mangia il carrello della casanza.
Ore 07:45 circa è l'orario in cui il carcere si sveglia: passano gli infermieri per la distribuzione
dei medicinali, si sentono il frullare delle creme per il caffè fatte con zucchero e qualche goccia
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del primo caffè che esce, i profumi che ti arrivano dalle moke.
Pochi minuti: « è pronto? », è di nuovo l'agente; « un attimo metto le scarpe e la maglia ».
Curiosamente proprio il giorno prima ho notato nella mia maglietta, che peraltro ho da circa un
paio di anni senza che vi abbia mai fatto caso, la scritta: « destination liberté ».
Raccolgo la borsa che mi ha prestato F. che contiene tutti i documenti, gli appunti, il libro dei 4
codici e leggi: peserà sui 20 chili.
Arrivo davanti la porta in fondo scale chiusa: siamo in tre ad andare in causa del nostro piano.
Attendiamo circa 20 minuti con un'afa indescrivibile visto che le scale sono prive di aerazione.
C'è anche M., moldavo che ho già conosciuto giù all'inferno-ria.
Ci aprono la porta e nella rotonda incontro A., nigeriano 27 anni, mi dice: « ciao maestro », mi
ha sempre chiamato così, un abbraccio caloroso, visto che è stato uno dei miei 46 diversi
compagni di cella, tra gli ultimi proprio quando sono andato via dall'inferno-ria. Non ho potuto
salutarlo di persona, se non lasciandogli un biglietto, quando sono stato trasferito in sezione.
Poi, non ho più avuto il tempo per scrivergli.
Ci avviamo per i lunghi corridoi che portano alle celle della matricola e ritorno ad aprire per
pochi minuti l'ufficio: « hai fatto quello? e quello? cosa ti ha detto la C.? ».
Saranno le 08:10 circa saremo in 15-17 detenuti che ci incontriamo lì nel corridoio della
matricola: chi per gli appelli, per la causa in 1° grad o, il tribunale della Libertà, gli affidi ai servizi
sociali... saranno 25 le guardie a fare la scorta. Oggi, avrò la conferma dopo, sembra che il
mondo si sia riunito qui: non mi era mai capitato di vedere così tante persone in matricola.
Iniziano le perquisizioni mentre si attende nelle celle in due-tre persone il proprio turno.
Entro nella cella e rimango vicino al blindo (porta della cella); passa una guardia nel corridoio e
mi nota e fa un passo indietro come avesse avuto la folgorazione: è una delle 20 solo ed
esclusivamente per me, presenti l'ultima udienza del 16 dicembre 2009, in seguito rincontrata
due volte in occasione di traduzioni. Mi è troppo lungo raccontare quanto avvenuto in quelle due
volte: voglio solo riportare uno dei migliori complimenti rivoltimi nella mia vita: « vorrei avere dei
giudici come te », indelebile: anche quando sei coperto di fango, penso solo alle cose positive,
al fiore che è presente nel campo completamente bruciato: quel fiore da cui ripartire.
Tre secondi: « Gi.. addo vai? », rispondo: « ho l'appello e poi mi hanno fissato anche il tribunale
della Libertà a mezz'ora di distanza »;
esclama: « Pure? », « lo sai che faccio il tifo per te!».
Non c'è bisogno di dirci altro.
Incontro G., anch'egli già conosciuto all'inferno-ria. Mi parla delle sue pratiche e che lui e sua
sorella sono incaz...imi con il suo avvocato: « scusa chi è il tuo avvocato? », gli chiedo; « è A.»
mi risponde, « ma tu sai che è stato anche il mio d'ufficio » e gli inizio a raccontare.
Cinque minuti dopo: « il prossimo! », tocca a me la perquisizione: ti devi spogliare
completamente, fare una flessione sulle ginocchia perché potresti nascondere chissà che cosa
nel ...
Inizia il caposcorta: « ..ueeeh, e checc'è qui dentro? nun lo puoi porta'! »; sono i 20 chili della
borsa con gli atti processuali, tutti ordinati e predisposti.
Io: « Perché non li posso portare? »;
caposcorta: « Perché no! nun ce l'hai l'avvocato? »;
io: « si, ma questo cosa c'entra? »;
caposcorta: « nun li puoi porta', li devi lassà qui! »;
io: « se lei non me li fa portare, mi faccia venire la direttrice o il comandante perché io non mi
muovo di qui senza di questi, inoltre lei ne risponderà per non avermi consentito di difendermi al
processo e al tribunale della Libertà. Qui ci sono tutti gli atti processuali, gli appunti delle cose
che devo dire, le leggi »;
caposcorta: « ueeh, e che stai dicenno? »; e mi si avvicina per provocarmi, mettendomi le mani
addosso e spingendomi indietro, subito arrivano due-tre guardie attorno, gridano; « eeeeeh! hai
sentito che ti ha detto? ... stamattina inizia male »;
ancora il caposcorta tenta di spintonarmi, ma io inizio a indietreggiare nel corridoio; non ha
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nessuna possibilità: se vuole mettermi le mani addosso ci sono almeno 15 testimoni "dei miei"
che vedono che sto indietreggiando;
caposcorta: « torna in ta cella! va, cammina »;
rientro, ma la perquisizione era già finita, dovevano mettermi solo le manette;
ritorna il caposcorta nella cella e vuole ancora spintonarmi, con a fianco altre due guardie
perché vedendo che stava maneggiando tutti i miei documenti ho detto egli di fare attenzione,
perché erano tutti ordinati; io indietreggio ancora fino alla finestra, oltre non si può; dentro la
cella c'è anche M. il moldavo di prima sulle scale;
io: « se lei vuole provocarmi, qui ci sono i testimoni; se non mi farà portare il materiale ne
risponderà: io non mi muovo di qui senza quelli e per cortesia mi chiami la direttrice o il
comandante o il vice »; caposcorta: « mò vediamo! »;
Passano 2-3 minuti, il caposcorta apre tutti i sacchetti di plastica;
altra provocazione: « ecche te ne fai del libro dei codici? »; non meriterebbe risposta;
io: « ci sono tutti i miei appunti »;
caposcorta: « e di questo che è una pubblicità? »;
io: « non è una pubblicità, è il libretto che dovrebbe essere dato a tutti quando si fa ingresso nel
carcere; ci sono tutte le leggi anche lì e i miei appunti ».
Saranno passati 7-8 minuti, inutili, solo per provocare e metterti nelle peggiori condizioni
psicologiche: non ci riusciranno.
Di tutte le carte dentro la borsa alla fine toglieranno solamente un foglietto di 10x12 cm circa
contenuto nel libretto, che era un segnalibro per una istanza che dovevo fare per un persona.
Cui prodest tutto questo?
Ho sempre la mia maglietta: " destination liberté ", voglio la mia marmellata.
Vengo ammanettato. Inizia il tiro del pollo.
Fuori 2 pulmini e la corriera: « brigadiè! è questo? »; salgo su uno dei pulmini, chiusura della
celletta. Contrordine: « fateli scinnere, è l'altro »; risaliamo nell'altro, chiusura della celletta.
Ancora stanno litigando tra loro perché non hanno capito bene dove i polli devono essere
caricati per essere cucinati. Attendiamo ancora qualche minuto e nel frattempo la temperatura
inizia ad arrivare a precottura dei polli.
Saranno le 08:35 circa si parte. La temperatura aumenta, viene accesa l'aria condizionata ma
che non serve a nulla. Davanti a me due detenuti napoletani, uno abbastanza anziano è
cardiopatico.
Un agente di scorta: « non te preoccupà, il dottore ha detto che puoi farlo il viaggio »; in risposta
si sente: « ma io sto cardiopatico, se me succede... ».
Il tempo trascorre e vedo solo davanti sul lato opposto a me, questa persona anziana
cardiopatica che piano piano inizia a cambiare aspetto e mostrare i segni di sofferenza. Anch'io
ho un grandissimo caldo: sei rinchiuso in una celletta di ferro di circa 80x65 cm, non vedi nulla
fuori. Per fortuna siamo arrivati.
Saranno le 08:55 circa scarico dei polli già precotti; entro nell'aula della Corte d'appello sez. II;
mi sembra di essere in Alaska in confronto alle temperature di prima, anche se non c'è l'aria
condizionata.
Mi tolgono le manette: forse hanno capito, viste le udienze del 02 e 16 dicembre 2009 in 1°
grado, che è sequestro di persona.
Sono comunque marcato a vista proprio dal caposcorta e da altri 4-5 agenti, senza aver perso
troppo tempo questa volta a contarli, visto che sto predisponendo tutti i miei appunti e i miei atti.
Guardo tra il pubblico e vedo il mio avvocato: un cenno di saluto reciproco. Continuo a
predisporre gli atti e vengo raggiunto dallo stesso.
Mostro una sintesi di quello che avevo predisposto: è una decina di punti, ordinati per priorità.
Si dimostra disinteressata, eppure sono emersi nuovi straordinari fatti che meritano assoluta
attenzione ed invece: è dall'08 gennaio che non la vedo, tutte le lettere inviatele hanno quasi lo
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stesso tenore di risposta: le farò sapere in un momento nel quale sarò meno impegnata: sono
trascorsi oltre 6 lunghissimi mesi; non commento.
Mi mostra un foglio: è una dichiarazione fatta sottoscrivere da mia madre, a mia insaputa,
anche da mia madre stessa, dove si rappresenta in dieci righe, la disponibilità di mia madre ad
accogliermi agli arresti domiciliari; in fondo la firma. Mi dice: « a casa si muoverà meglio ».
Errare umanun est, perseverare è diabolico. Molto elegantemente gli rivolgo: lei ha da sempre
saputo sia verbalmente che per iscritto, che io non sono disposto ad accettare gli arresti
domiciliari: voglio la mia marmellata.
Tutto è partito con lei. Mia madre mi scrisse circa sei mesi fa:
Caro Valter, ho parlato con l'avvocato e lei mi ha detto che più chiedi di essere libero e fai le
istanze che ti revochino la misura cautelare in carcere e più ti lasciano dentro: è come un
bambino che chiede sempre la marmellata e la mamma non gliela vuole dare.
Rispondo a mia madre:
Le cose che chiedo con le istanze sono fondate su leggi, fatti, prove che tutti possono leggere
negli atti del processo, pubblico per definizione. Non sono certamente il bambino che chiede
per capriccio alla mamma.
Stiamo parlando di LIBERTÀ, il valore assoluto e inalienabile dell'Uomo per il quale si sono
fatte Rivoluzioni nella Storia dell'Umanità, sono morte milioni di persone, per donarla a tanti.
Concludo la lettera con: voglio la mia marmellata.
Questo fatto ha un seguito.
Dopo qualche giorno, racconto questo episodio a S., con lui ho fatto tante battaglie, abbiamo
dato vita alla neonata Rete dei detenuti. È una persona alla quale sono molto, molto, molto
affezionato: sono sicuro lo saremo per tutto il resto della nostra vita, qualsiasi distanza ci separi.
È ancora dentro: accusato di aver commesso fatti molto gravi, rischia anche 21 anni di carcere.
Ho dato egli una mano a dipanare un intricata vicenda, dove a fondamento di tutto c'è, a dire
della (in)giustizia italiana, una « formidabile prova »: un pezzettino di nylon con una presunta
sua impronta digitale che avrebbe resistito a temperature dagli 800 ai 1200 gradi, non si sa
bene dove sia stata ritrovata e soprattutto ... non viene rilasciata e mostrata ai periti di parte. Mi
limito a dire solo questo; tutto il resto sulla sua colpevolezza: il nulla.
Aveva una prosperosa azienda che dava da lavorare a più persone, famiglia, bimba piccola ... il
naufragio: qualche secondo prima sei in crociera, ti stai divertendo e qualche secondo dopo
arrivi nell'isola dove ti hanno fatto naufragare.
Dopo il racconto dell'episodio della marmellata a S., trascorre qualche giorno e anche lui mi
racconta: l'altro giorno ero al colloquio e con mia madre, siamo entrati in un discorso, ed a un
certo punto gli ho detto: mamma, voglio la mia marmellata; al che sua madre, stranita, gli
risponde: mio figlio sta impazzendo ed in seguito S. gli spiega il mio racconto.
Dopo circa una decina di giorni, dopo esser stati intenzionalmente separati di reparto, io
rimango al P.T. inferno-ria, lui al 1° piano: mi arriva un sacchettino con dentr o una vaschetta di
marmellata ed un biglietto: ecco la tua marmellata, fai presto ad uscire.
Dipendesse da me e dalle leggi?! Che sia il destino che ci ha fatto incontrare? Non sono
fatalista: tutt'altro.
Telepatia (poi in seguito ripetuta per altro): anch'io avevo avuto la stessa idea, ma non mi sono
ricordato di scriverla nella lista della spesa e questo gliel'ho in seguito comunicato.
Non ho amuleti, non porto orologi, gioielli, ecc... ho sempre fatto a meno di tutto questo nella
mia vita: questa vaschetta di marmellata la conserverò gelosamente: guai a chi me la tocca!
Ora il termine marmellata è utilizzato tra molti detenuti in seguito a questo episodio, per definire
la libertà: quella ingiustamente persa per causa di moltitudini di errori giudiziari, capri espiatori,
per opera del sistema (in)giustizia del nostro paese.
Saranno le 09:05-09:10 inizia il processo di appello.
Non sento nulla. Faccio segno elegantemente con un cenno al presidente che non si sente
nulla. Mi fa spostare sul banco con tutti i miei documenti e appunti.
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Parla l'avvocato circa 1 minuto e mezzo: in buona sostanza dice che tutto è già scritto nell'atto
di appello depositato, oltre a 1 minuto dove dice che ha in mano una dichiarazione sottoscritta
da mia madre che sarebbe disposta a prendermi in casa ai domiciliari (perseverare ...).
Il presidente richiama l'attenzione del p.m., che stava leggendo il giornale (anche quando si
decide della tua vita, della tua Libertà, di 21 anni di carcere,...): presidente: « il pubblico
ministero è favorevole? »;
dopo attimi d'imbarazzo, si riprende: « ma che lavoro fa? », rivolgendosi al sottoscritto;
rispondo: « lavoro con i computers », come se fosse determinante la tipologia di lavoro per
andare ai domiciliari. Sto al gioco.
In cuor mio avrei voluto dare una risposta ben diversa: sto lavorando per dare un futuro migliore
al mio paese, ai figli di S., C., M., milioni di altri.... dove non ci saranno più p.m. che leggono il
giornale mentre si fa il processo, dove non ci saranno più poliziotti, giudici che rubano le prove
della verità, e molto altro avrei voluto rispondere per ore.
Pubblico ministero: « non sono favorevole », riabbassa la testa sul giornale.
Alzo la mano: chiedo di parlare e fare tutte le dichiarazioni che mi sono annotato: alcune sono
clamorose, emerse durante e a seguito del processo di 1° g rado.
Mentre parlo mi accorgo di riconoscere alla sinistra del presidente, un giudice donna, mia
vecchia conoscenza; ma all'epoca non era giudice. Quali speranze ho?
Non mi devo preoccupare, ho sempre indosso la mia maglietta destination liberté.
In sottofondo, mentre sto parlando delle vergognose testimonianze dei 3 testi di primo grado:
due poliziotti e un giudice di pace, tutte discordanti, non solo tra di loro, ma anche al cospetto di
quanto dice ogni singolo, l'avvocato dice: « ma lo sanno, lo sanno! hanno anche loro gli atti »,
inizia ad essere irritata;
mi chiedo allora perché non li hanno letti e solo 25 giorni prima mi hanno negato la mia
marmellata. Soprassiedo, voglio rimanere concentrato.
Vengo fermato ad un certo punto dal presidente: « le posso fare una domanda? Ha studiato
giurisprudenza? È avvocato? » per me è un complimento, l'ennesimo.
Mi sarebbe piaciuto dire: le leggi sono fatte per essere lette, proprio per questo si chiamano
leggi, ma la risposta sarà un'altra: « non può negarmi il Diritto di difesa [24 Cost] », aggiungo
anche il Diritto a difendersi personalmente art. 6 comma 3 lett. c) della Convenzione per la
Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali; L. 848/1955: ha 55 anni.
Credo di avere parlato circa 20 minuti, mi erano rimasti due importanti punti dei dieci annotati;
vengo interrotto ancora dal presidente: « adesso la devo interrompere perché dobbiamo fare
altri processi ».
La tua Libertà e le sorti della tua vita sono decisi con scadenza di tempo, come se fossimo in un
quiz televisivo: se non rispondi entro un certo tempo... Almeno nei quiz hai diritto agli aiutini del
pubblico, da casa!! ...
È questo il giusto processo previsto dall'art. 111 della Costituzione? quello previsto dalla
Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, inserita nel Trattato di Lisbona 2007 dell'Unione
Europea, in due leggi italiane: è questo?
Concordiamo all'istante, non volendolo spazientire, di fare dichiarazioni sui due punti rimasti,
molto sintetizzati.
Concludo dicendo al presidente che non sono disposto agli arresti domiciliari e nel caso li
rifiuterò: voglio la mia marmellata.
Ho sentito ulteriore calore provenirmi dalla mia sinistra, dove c'era il mio avvocato, come se
fosse stato acceso un ferro da stiro a vapore.
Saranno le 09:40-09:45 tutto è finito.
La Corte si riunisce. Avrà valutato tutte le cose che gli ho chiesto?
Siamo ancora lì, visto che la Corte è appena uscita, mostro all'avvocato l'istanza di immediata
liberazione inoltrata al Tribunale della Libertà, brevissima e le totali contraddizioni scritte sopra e
che per loro stessa ammissione dovevano liberarmi. Il mio avvocato mi chiede: « vuole che
venga al tribunale della Libertà? »; rispondo: « come vuole lei » e con un gesto di stizza mi
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lancia il foglio. Perché è stizzita? Le ragioni sono varie, e preferisco non trattarle in questo
racconto. Ritorno sulla panca degli imputati.
Nei minuti di attesa il caposcorta, quello della mattina, mi guarda con altri occhi: nemmeno lui è
riuscito ha smontarmi.
Dopo 5-7 minuti esce la Corte e legge in venti secondi: « In nome del popolo italiano... », ma
siamo sicuri che sia in nome del popolo italiano? ... ah! se ci fosse stato veramente;
« visto l'art. ...visto l'art. ... condanna, il sig. ... ad 8 mesi e 2 giorni di reclusione ordinandone
l'immediata scarcerazione. Deposito delle motivazioni ... ».
Ero talmente concentrato quella mattina che avrei potuto assemblare un puzzle da 1500 pezzi
in mezz'ora. Subito faccio tante considerazioni ed inizio ad incastrare i 1500 pezzi del puzzle;
qui ne attacco solo tre:
1) 8 mesi e 2 giorni corrisponde ad oggi: come avranno fatto tra pena base, attenuanti,
aggravanti, aumenti, diminuzioni ecc... a far tornare i conti in pochi minuti di camera di
consiglio? Avranno un esperto in matematica che gli avrà impostato l'equazione per far tornare
esattamente la data odierna con la condanna irrogata;
2) non è stata recepita nessuna causa di nullità scritta nell'atto di appello, che come primo
motivo aveva la rinnovazione del giudizio di primo grado per incompatibilità del giudice: mi
chiedo perché, loro, festeggiano quando la Corte Costituzionale rende anti-Costituzionale una
legge dello psiconano e quando sono loro ad essere in condizioni di anti-Costituzionalità, non
ne rispondono allo stesso modo.
Ho taciuto, intenzionalmente, ma anche il Collegio che mi ha giudicato non poteva farlo per
incompatibilità, e lo sanno anche loro, visto che aveva già emesso una ordinanza di rigetto sulla
misura cautelare quei 25 giorni prima;
3) il benché minimo accenno ai vari, fondati, legittimi, motivi che ho richiesto durante la mia
difesa: a cosa servono le leggi? a cosa è servito parlare?
Sono fuori perché la Rete dei detenuti è nata, perché più hanno tentato di coprire i loro errori, di
una serie infinita di soggetti, e più hanno aggravato la posizione. Tenermi dentro, essere nella
tana del lupo, senza temerlo, facendomelo amico, non è servito. Ora con me ho anche il lupo.
Mi consolo: la quasi totalità degli appellanti, affermo quanto a ragion veduta, entrano, 7-8 minuti
e ... pena confermata. Tutto è già stato deciso prima. Sempre, si decide tutto prima.
Sono però scontento: non voglio essere condannato per una cosa che non ho nemmeno
lontanamente fatto, anzi è successo all'opposto.
09:52 massimo 09:55 il tempo di fare due considerazioni con un agente di scorta, dove ho
evinto l'ennesimo stato di malessere al quale anche loro sono costretti, che termina con: « so
15 anni che sto in galera».
Si parte, mettono le manette, avete letto bene, nonostante vi sia stato l'ordine di scarcerazione.
Mi portano fuori, l'agente con il quale ho parlato poc'anzi ed un agente dal tipico accento
bolognese, sono rari. Mi abbandona il caposcorta: wow! non sono più il Beppe Barra o’ animalo
nel giro di soli 25 giorni.
Chiedo se mi fanno bere, perché mi sento disidratato e perché ho parlato. Riesco a bere, poco
(provate a bere con le manette e nel mio caso, con in mano la borsa di 20 kg), nel bagno posto
abbastanza distante, proprio quello attiguo all'aula dell'ultima udienza del 1° grado.
Arrivo al furgone, aprono lo sportello sul retro: « aspetta Gi.. »; ancora un po' di litigi tra gli
agenti su quali mezzi, agenti e persone.
Qualche decina di secondi di silenzio prima della decisione e mi sento dire: « a Gi.., che,
adesso te fai pagà tu dall'avvocato? »; gli sorrido ... non c'è tempo, arriva l'OK, saliamo per
andare al tribunale della Libertà nei palazzi ristrutturati di via Farini, dove il nostro comune ha
speso montagne di soldi, non sono ancora finiti e soprattutto non c'è posto per parcheggiare.
Nessun cittadino bolognese ha detto: beo.
Mentre saliamo in questo labirinto per arrivare all'auletta del tribunale della Libertà, scale,
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scalette, destra, sinistra, scala... l'agente bolognese mi dice: « ma perché non rinunci? sei già
libero! ».
Mi è difficile spiegarlo in termini semplici all'agente; dico che è stato leso un mio Diritto
inalienabile sulla Libertà diversi giorni fa e che intendo farlo valere come causa di ingiusta
detenzione anche ai fini del risarcimento del danno.
Saranno state le 10:20 ho le manette, il mio ordine di scarcerazione, la mia maglietta
destination liberté: vengo rinchiuso in una cella con sbarre. I polli quando sono nelle stie non
hanno le catene.
Per fortuna i locali sono condizionati, non si patisce troppo il caldo.
Trascorre tempo, dentro siamo in quattro in una cella di circa 3 metri per 2,5.
Trascorre tempo. Rompo il silenzio sentendo parlare in romagnolo di Rimini: non è stata creata
la Rete dei detenuti?!
Spenderò quasi tutto il rimanente tempo parlando con un marocchino alla c.c. di Forlì e un
riminese per la prima volta in carcere da 15 giorni nella c.c. di Rimini, il quarto andrà via dopo
circa 30-40 minuti dal mio arrivo.
Il tribunale della Libertà è distrettuale: ciò significa che la competenza è su tutta la regione
Emilia Romagna. Purtroppo i giudici sono a mio sapere 5-6, sempre gli stessi: ennesimo caso di
incompatibilità decretato dalla Corte Costituzionale.
Passano le ore, per fortuna parliamo di tante cose con i due rimasti, con gradita intromissione
anche di un agente di Rimini: siamo tutti sulla stessa barca.
Via il ragazzo marocchino, via il ragazzo di Rimini: altro caso da clamoroso errore giudiziario.
Come faccio a giudicare anche senza atti? Il racconto ed i fatti che non potevano essere
altrimenti: anche un bambino lo capirebbe: chissà il tribunale della Libertà!
Ore 13:15 sono entrato a questo orario nell'auletta con affreschi e decori nel soffitto e il grande
e antico orologio a pendolo posto nell'angolo.
Il già noto giudice, oggi con ruolo di presidente, mentre il 25/01/10 con ruolo di relatore (è come
il gioco delle tre carte), aveva parlato già con il mio avvocato che è venuto anch'egli qui. Inizia a
parlare con me: « senta, ci chiedevano perché vuole continuare con il ricorso quando è stato
emesso l'ordine di scarcerazione poc'anzi »; dovrebbe saperlo! anche in questo caso la risposta
dovrebbe essere molto lunga: perché mi avete tenuto dentro contro ogni legge, falsità scritta,
con scadenze dei termini decadute e successive immediate perdite di efficacia della misura
cautelare, perché inoltre si ricorda molto bene della mia data di udienza della Cassazione, 29
aprile, dove peraltro devo ancora ricevere l'ordinanza da 2 mesi e ½ e dove il tutto si doveva
chiudere ai primi di marzo. Il trib. della Libertà ha potere superiore rispetto alla Corte d'Appello
in materia di libertà: potrebbe anche ricarcerarmi: così anche loro atto di 2 giorni prima.
Rispondo elegantemente, ma sanno perfettamente cosa voglio: voglio sia considerata l' ingiusta
detenzione. Solo l'altro ieri mi hai notificato che sono pericoloso e oggi la Corte mi libera?
Solo sull'ultima istanza per quei falsi giorni conteggiati, questa volta lo sbaglio è di una decina,
perché manca il relatore nella notifica, perché non si tratta di appello visto che non sono un p.m.
e perché l'ordinanza genetica è diventata quella della Corte d'Appello che ha rigettato i 2/3...
perché a decidere siete ancora gli stessi giudici che mi avete giudicato più volte, più volte
incompatibili, questa volta avete persino sbagliato il mio nome.
Sanno tutto a menadito, anche se non gliel'ho detto a voce, gliel'ho trasmesso wireless (senza
fili) a 10mb al secondo, guardandoli negli occhi.
Il presidente: « Va bene, ci ritiriamo per deliberare »; o relatore, o aggiunto o...: beh! oggi alle
13:20, con me, è il presidente. Magari con il ragazzo di Rimini prima era relatore. Devi solo
indovinare dov’è la ...cinquanna euro, signò... accattatevilla.
Solo il prezioso pendolo interrompe il silenzio assoluto: deng, deng, deng ... passa il primo
quarto d'ora. Ri-deng, deng, deng ... passa il secondo quarto d'ora.
Siamo i due agenti, l'avvocato e la cancelliere. Dopo un po' tutti noi, esclusa la cancelliere, che
sta leggendo il giornale, abbiamo esaurito di guardare gli affreschi e gli oggetti, quadri nell'aula.
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Arrivano i primi sbuffi sonori di una delle guardie. Per fortuna io sono senza manette.
Passa il tempo sentiamo i rintocchi diversi che scandiscono le ore due.
L'agente che sbuffa inizia ad andare a vedere da vicino ogni quadro. Nessuno di noi parla.
Per altre due volte ancora ri-deng, sono le 2 e mezza: qualcosa dopo poco si muove.
Ore 14:34 arrivano, si da lettura del dispositivo: « bla, bla, bla ... bla, bla, bla ... l'istanza è da
dichiararsi inammissibile ».
Sono tre le parole più usate dai magistrati: archiviazione, infondata, inammissibile.
Archiviazione: la maggior parte delle volte ha significato: la butto dentro il cestino per poi essere
riciclata come carta ecologica; sinonimo: insabbio.
Infondata: non sarebbe coperta da nessuna legge o prova o documento, non ha riscontro;
sinonimo: sai troppe cose, ti fermo.
Inammissibile: detta come va detta: non ho voglia di prendere a mano la tua pratica oppure mi
stai sulle balle perché sappiamo che hai ragione, chiudiamola qui, arrangiati, fai ricorso.
L'uso di queste tre parole è largheggiante.
Peccato! gentile tribunale della Libertà, ancora come in precedenza: perseverare e diabolico ...
visto che non avreste dovuto fare l'udienza dopo 28 giorni e viceversa per legge avreste dovuto
renderla inammissibile dopo 5 giorni dal deposito della mia istanza, ovvero almeno 20 giorni fa.
Aggiungo un altro documento a prova, da consegnare ai posteri: tutto cambierà.
I due agenti sono diventati due ferri da stiro a vapore professionali: fffssshhh!! per due minuti.
Manette e ... via più veloce della luce! solo il tempo dell'avvocato per dirmi con effetto doppler
(suono in affievolimento quando uno si allontana): « giù c'è A. che l'aspetta ».
Scaletta, destra, sinistra, scala, attento alla testa, il tutto complicato dalla borsa con peso di
circa 20 kg. È l'agente bolognese che ci pilota, senz'altro perché deve aver fatto più servizi in
questo nuovo posto: sembra di essere a Giochi Senza Frontiere quando c'era il fil-rouge, una
corsa a tempo con penalità.
Caspita! io e il secondo agente ci siamo dimenticati di giocare il jolly, potevamo raddoppiare i
punti ... a sinistra, attento, nessuna penalità per la borsa: siamo nell'androne, vicino al furgone.
Il nostro caposquadra è stato eccezionale: non abbiamo preso nessuna penalità.
Sento dire: « Ciao » e io: « Sei tu A.? »; « Sì, ci vediamo dopo all'uscita », ma ancora l'effetto
doppler, io praticamente sto salendo nella celletta del furgone, non faccio in tempo a dirgli,
anche perché devo stare attento a dove metto i piedi, a non sbattere la testa, a poggiare bene i
documenti: guarda che per la dimissione dallo stabilimento trascorrono molte ore, qualcuno
esce anche alle 22-23. In cuor mio spero che lo sappia.
Via! il pollo è nella cella di lamiera, amanettata, altra precottura.
Forse è iniziato un altro gioco di Senza Frontiere, perché il pulmino sta andando a tutta velocità
e le lamiere assemblate iniziano a tremoleggiare con rumore assordante; salti nella celletta
quando si prendono le buche, non poche in centro storico.
Ore 15:05 arriviamo nella ex casa per 8 mesi e 2 giorni, in men che non si dica.
Scarico del pollo. Via le manette. Attendo nella cella della matricola almeno un buon 20 minuti.
Mi viene da pensare ad una cosa da dire a R. che nei giorni scorsi, prendendoci in giro da
giorni, gli dicevo sempre che avevo un piano per uscire e che ne avrei parlato a tutti perché lo
stavo completando. Oggi che sto uscendo gli vorrei dire: « hai visto R...è: sono uscito! », e lui
mi avrebbe senz'altro risposto: « come hai fatto? »; ed io stando al gioco: « sono andato la, gli
ho detto: guardate che abbiamo un piano per uscire tutti; o mi fate uscire o faccio uscire tutti! ».
In seguito non l'ho visto: era in saletta. Gli scriverò.
Sono un po' sfortunato perché arrivo quando ci sono i rientri dall'aria. È il momento nel quale il
bestiame è smistato dal pascolo delle varie arie tutte divise per le sezioni, nelle loro stalle: i vari
bracci delle sezioni. Una serie di porte comandate dalla rotonda aprono e chiudono i pascoli e
le stalle. Non ci deve essere nessun incrocio negli attraversamenti comuni, fra tutte le sezioni.
Il caldo è insopportabile, visto il sole battere nella cella. Bevo, bevo, bevo.
Finalmente arriva un agente diretto alle sezioni dopo il rientro del bestiame. Mi accompagna.
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Sono su in sezione. Fai in fretta, preparati la roba che tra un po' ti chiamano. Conosco già
queste situazioni per averle vissute attraverso altri.
Chiedo di potermi almeno fare una doccia, per fortuna è il nostro turno, perché qui la doccia si
fa a turni lato destro e sinistro all'opposto o la mattina o il pomeriggio. Servirà a poco ma
almeno la sensazione dell'acqua che ti scorre e un po' di profumo di bagnoschiuma.
Iniziano già i saluti prima di arrivare alla cella.
Apertura della cella dell'agente, preparo la roba per la doccia, doccia veloce. Rientro, inizio a
preparare tutto. Nonostante abbia poco, ci vuole sempre un sacco di tempo.
Lascio quasi tutta la roba e la spesa già pagata ai miei due compagni di cella, uno è in socialità
in un'altra cella: non ci sarà nessun problema, li conosco. Ultimi suggerimenti per la minestra di
fagioli che ci siamo sbafati una decina di giorni fa con ricetta e cucina mia: oggi si sarebbe
replicato. M. mi lascia una canotta: dico che non ne ho bisogno, ma non capisco inizialmente
che mi vuole lasciare un pensiero ed allora, ho perso un colpo, sono sveglio dall'alba: la accetto
e porgo con gli occhi le scuse. Mi regala anche una borsa color giallo sole: il sole che da vita.
« G. è uscito stamattina ai servizi sociali », mi dice M.; è passato per salutarti stamattina; « che
bello! », gli rispondo, forse merito dell'istanza che abbiamo fatto insieme nei giorni precedenti?
Ho molte cose da dire a tutti, ma non riesco a trovarli tutti, perché molti sono in saletta per il
Gruppo Vangelo o in biblioteca, che iniziano alle 16:00.
Arriva un messaggio da un lavorante che mi dice di passare in guardiola dall'agente.
Vado e mi dice: « preparati che sei liberante, fai in fretta », riesco a fare la metà delle cose che
vorrei fare e dire e salutare tutti in degno modo.
Di una cosa non mi scordo: metto la vaschetta di marmellata regalata da S. nella mia tasca dei
pantaloni destra. Anche se mi sono fatto la doccia: rimetto la maglietta destination liberté.
Ore 16:45 mi chiamano per andare giù in matricola. Forse riesco ad uscire presto. Purtroppo
rimaniamo fermi nelle scale per circa 45 minuti come al mattino io e sempre M. il moldavo,
anche lui liberante. Passa la cena dalle scale con i lavoranti, perché da giorni il montacarichi è
rotto. Non riusciamo a respirare: chiediamo all'agente della rotonda, dopo l'ennesima volta che
ci dice che l'agente che ci deve accompagnare, arriva tra due minuti, ma ne sono passati
almeno 40, se ci può lasciare la porta aperta: siamo liberanti, acconsente.
Siamo capitati nel momento peggiore, dove vanno anche gli agenti a mangiare.
Finalmente arriva qualcuno.
C’incamminiamo per idue lunghi corridoi e l'agente borbotta: « quando c'è qualche nuova
attività, iniziativa, vorrei sapere perché decidono di farla sempre il martedì! ... c'è il lunedì ...
prosegue elencando tutti gli altri giorni escluso il martedì ». Conversiamo come dovrebbe
essere in una comunità dove ognuno ha dei ruoli e lo scopo e migliorare per il bene comune.
Continua a parlare a lungo, poi aggiunge, quando siamo quasi arrivati: « se non ci pensi tu, Gi,
adesso che vai fuori! ». Io non ricordo di aver mai parlato con questo agente: perché mi ha
detto questo? chiamandomi per cognome. Rifletto, sono ancora concentrato come stamattina e
penso a tutto, incastrando in pochi secondi i tasselli del puzzle. Ora ci sono, pezzi uniti.
Io e il moldavo siamo liberanti, ma attendiamo ancora un buon 50-60 minuti nelle solite celle
dopo aver consegnato le vettovaglie dell'amministrazione.
Fumiamo visto che in tutto il giorno non lo abbiamo fatto e beviamo acqua di rubinetto in
continuazione, ci bagnamo il volto.
Ci richiamano per firmare alcuni fogli e mettere le impronte digitali. Io mi rifiuto di firmare quello
delle spese di mantenimento. So a chi le farò pagare.
Dentro in cella, arriva un altro liberante, ma che va ai domiciliari. Mi riconosce da quand’era in
infermeria e mi chiede qualche informazione legale: potevo non dargliela anche se l'ufficio
cambierà indirizzo?
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Passa un altro quarto d'ora: ri-usciamo e ci fanno firmare il foglio del conto corrente con il saldo
finale. Leggo e appongo una dichiarazione che avanzo dei soldi che mi sono stati addebitati
senza motivo e soprattutto senza darmi risposta da mesi. Nessuna copia viene rilasciata al
liberante. Ancora cinque minuti in cella. Uscita e ci consegnano i soldi e gli oggetti personali
dell'entrata in carcere. Io non ne ho nessuno, se non il duplicato della tessera elettorale che mi
hanno fatto fare per poter esercitare il diritto di voto per le regionali 2010: anche per votare qui,
è stata una lunga battaglia: vinta. Tutti i miei oggetti all'ingresso, furono consegnati a mia madre
a gennaio. Questo fatto sarà significativo per i futuri sviluppi processuali.
Sembra l'ora: finalmente usciamo dall'edificio della matricola, per la prima volta senza manette,
varchiamo il primo muro, costeggiamo la palazzina comando e arriviamo all'ingresso principale.
Ci aprono e l'addetto all'apertura alla porta ci chiede i nostri nomi (?!?) prima dell’ultima porta.
Saranno le 20:00 iniziamo in tre a percorrere la strada che costeggia il parcheggio; in fondo ci
dovrebbe essere una cabina a gettoni. Arriviamo sulla strada ma non c'è.
Il moldavo incontra sua sorella e ci salutiamo.
Proseguiamo io e l'altro liberante ai domiciliari, per via Stalingrado. Dopo 100 metri c'è sua
sorella nel lato opposto la strada: ci salutiamo.
Io proseguo fino al bivio dopo, vedo una cabina e un cartello taxi. Sono carico di due borse
abbastanza pesanti, sudato, accaldato, assetato, un giorno e mezzo che non mangio, ho già
fatto circa 1 km e mezzo a piedi.
Quasi certamente la postazione taxi non è più usata ed è rimasto il cartello: uso la cabina
telefonica per chiamarlo ma mi mangia due euro.
Riparto perché vedo a 300 metri un'altra cabina. Mi succede di nuovo: altri due euro, purtroppo
ho solo quella pezzatura di monete.
Continuo per via Stalingrado nella speranza di incontrare un taxi: nulla.
Ogni 70-80 metri mi devo fermare perché i manici della borsa con i documenti mi taglia la mano
e il sacco sulla schiena mi taglia la spalla. Faccio cambio lato ogni volta.
Arrivo ben dopo i raccordi autostrada-tangenziale al distributore: vedo un taxi che si sta
fermando per fare gas. Mi avvicino e gli chiedo se è in servizio e mi risponde di sì.
Lo attendo all'uscita dopo aver fatto rifornimento.
Salgo, dico la destinazione. Sette-otto minuti e sono davanti casa.
Pago, scendo, recupero le borse dal baule e vedo la sagoma di mia madre che per un attimo
esce dal balcone: mi vede. Non le avevo detto nulla: volevo fargli una sorpresa. Anche
all'avvocato che mi aveva chiesto se voleva che avvisassi ho detto di no.
Immaginate la sensazione di vedere una persona che presumete per certo, non possa essere lì
(mogli e mariti esclusi, quando siete con le/gli amanti).
Ho indosso la mia maglietta, bagnata: destination liberté; ho in tasca la mia marmellata.
Mi peso dopo esser salito in casa: sono 71 kg ho perso almeno 5 kg in un giorno.
Il caso: per tutta la serata nel cucinotto ci sono due grilli: uno grande e uno piccolo che saltano
di qua e di la. Non li voglio minimamente disturbare.
Il giorno dopo devo passare a salutare qualcuno: mi riservo per la tarda serata due persone per
le quali, seppur conoscendole ancora poco, siamo sintonizzati sulle stesse frequenze: ci basta
poco per capirci, siamo tutti e tre Agricoltori, seminiamo per raccogliere; stiamo bene solo se gli
altri stanno bene. È una riunione un po' privata, ma è pur sempre una riunione, senza pensarci
mi accorgo che è mercoledì, il giorno deputato.
Ho nuovi impegni prioritari: nuove semine e nuovi raccolti.
W. J.
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La mia marmellata