Associazione Pensionati
La Vostra Voce
ISTITUTO BANCARIO ITALIANO
n. 3 settembre2012
NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE PENSIONATI DELL’ISTITUTO BANCARIO ITALIANO
NOTIZIE DI SEGRETERIA
In esecuzione di quanto deliberato dal Consiglio Direttivo del 25 febbraio 2012 il Tesoriere ha dato
corso alla distribuzione alle Sezioni del premio attribuito a quei Soci che avevano rinnovato
l’Associazione 2012 entro il 31 luglio 2012.
Si è trattato nel complesso di n. 354 persone che hanno fatto usufruire alle loro Sezioni un premio
complessivo di € 3.540,00.
Il Consiglio Direttivo, nel congratularsi con le Sezioni per l’importante traguardo globale
raggiunto,circa il 70% degli iscritti, invita coloro che non avessero ancora regolarizzato la loro
posizione a volervi provvedere con cortese urgenza attraverso il bonifico bancario(€ 25 per il
titolare,€ 20 per il coniuge, € 25 per i Colleghi in servizio di provenienza I.B.I.) che può essere
effettuato sul c/c che l’Associazione intrattiene presso: la Cassa dei Risparmi di Milano e della
Lombardia – Milano IBAN IT07 B033 0101 600C C0000001 375 o Intesa S. Paolo spa – Milano
Rete Intesa IBAN IT47 B030 6909 5770 0009 5746 133 indicando chiaramente il nominativo del
versante per l’esatta identificazione.
Quote maggiorate sono ben gradite per le nostre esigenze finanziarie.
Una Santa Messa di suffragio verrà celebrata martedì 6 novembre 2012 alle ore 18 nella
Chiesa di S. Tomaso in Via Broletto 29 a Milano, numerosi i mezzi pubblici per raggiungere la
Chiesa, siamo quindi sicuri della massima partecipazione
!!!!!!ATTENZIONE!!!!!!
Ribadiamo che il “Notiziario” viene inviato ai Soci collegati telematicamente, per posta
elettronica.
Un mezzo che consente alla Vostra Associazione un notevole risparmio economico ed ai Soci di
ricevere con una certa celerità, in una forma graficamente perfetta ed anche in modo evoluto (a
colori) le notizie che interessano.
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NOTIZIE DALLE SEZIONI
Periodo contraddistinto soprattutto dalle vacanze; l’attività presso le Sezioni è stata logicamente
sospesa e riprenderà nell’autunno.
Ci riserviamo di aggiornarvi al riguardo nel prossimo “Notiziario”.
Milano.- E’ in corso di programmazione dell’attività culturale.
Stiamo infatti studiando l’organizzazione della visita alla Mostra di Picasso attualmente presso il
Palazzo Reale.
Napoli.- I Soci si riuniranno nel prossimo mese di ottobre presso il Ristorante “Al Rifugio” per
programmare l’attività futura.
Roma.- La Sezione ha preventivato per il prossimo 1° dicembre la celebrazione di una S. Messa in
suffragio dei Colleghi defunti.
I Soci romani si troveranno poi presso un ristorante per un pranzo nel corso del quale si
scambieranno gli auguri per le prossime feste e verrà programmata l’attività della Sezione.
EVENTI LIETI
Alberto e Lele Panza di Milano hanno celebrato il 12 settembre, fra parenti ed amici, il
cinquantesimo anniversario del loro matrimonio.
Agli Sposi giunga il più caldo ed affettuoso augurio da parte del Consiglio Direttivo e della
Redazione del “Notiziario”.
UN SALUTO E UN RICORDO
Ci hanno lasciato:
Carlo Mendella della Sezione di Milano: responsabile dello sportello titoli della Sede di Milano.
dott. Giovanni Merella della Sezione di Milano: Dirigente dell’Istituto. Socio A.P.I.B.I. che
avevamo avuto il piacere di incontrare nello scorso mese di aprile nel corso dell’Happy Hour al
Ciu’s &Food di Milano.
Durante la Sua carriera ha tra l’altro diretto le Sedi di Bologna e di Novara e prima del
collocamento a riposo faceva parte della Segreteria del Consiglio di Amministrazione.
Ai parenti le più sentite condoglianze da parte dei Soci dell’A.P.I.B.I.
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VISITARE CATANIA *
Il turista che si accinga a visitare Catania si prepari ad una serie di piacevoli scoperte.
Una città come questa, al centro del Mediterraneo, con alle spalle 2700 anni di storia, è da sempre
un luogo di incontro di popoli e culture: GRECI, ROMANI, ARABI, NORMANNI, SVEVI,
ANGIOLINI,ARAGONESI, SPAGNOLI, si sono succeduti, mescolandosi alla popolazione locale e
ognuno di questi popoli ha lasciato qualche traccia di sé, nei luoghi, nelle usanze, nelle ricette di
cucina.
Provenendo dall’aeroporto di Fontanarossa, si giunge alla città potendo intanto osservare la lunga
spiaggia di sabbia fine chiamata “playa” e il porto, di grande traffico, cui è attigua la stazione
ferroviaria.
Si giunge quindi in piazza del Duomo, indubbiamente il luogo più scenografico che mostra svariati
monumenti, notevoli elementi del patrimonio artistico della città, caratterizzata dallo stile barocco
che la distingue a partire dalla ricostruzione seguita al terremoto del 1683.
Sulla piazza si affacciano: il Duomo stesso, dedicato a S. Agata, protettrice della città, molto amata
dai cittadini e in onore della quale ogni anno si dedica una festa ed una processione molto
suggestive; il palazzo del Comune o degli elefanti è fronteggiato dall’obelisco sormontato da un
elefante di pietra, simbolo della città, chiamato dai catanesi “liotru”; in un angolo della piazza si
può ammirare la bella fontana del fiume Amenano, detta localmente “acqua o’linzolu”; dietro di
essa si snoda un colorito mercato: la pescheria.
Da piazza Duomo inizia il percorso della via Etnea che dalla zona portuale conduce, appunto, verso
l’Etna, attraversando praticamente tutta la città; percorrendola si osservino: piazza Università, con
la sede dell’antico Ateneo (1434) voluto da Alfonso d’Aragona, la bellissima chiesa della
“Collegiata”, piazza Stesicoro con i resti dell’antico Anfiteatro romano, uno dei più grandi d’Italia
(poteva contenere ben 15.000 spettatori) ed il monumento dedicato a Vincenzo Bellini, le belle
facciate barocche; si giunge poi al parco di nome “villa Bellini”, situato proprio al centro della città.
Molto interessanti: il castello Ursino fatto costruire da Federico di Svevia quale punto strategico nel
Mediterraneo, la chiesa di San Nicola dalle imponenti ed incompiute colonne, la via dei Crociferi
con le sue ricchissime chiese.
Anche la Catania più moderna merita di essere vista: piacevole una passeggiata sul lungomare che
da piazza Europa porta ad Ognina, l’estremità della città in direzione Messina (proseguendo in tale
senso si incontrano i famosi faraglioni di Acitrezza).
La visita non è completa senza essersi recati in qualche tipico paesino etneo ed avere effettuato
un’escursione al cratere.
Non mancate di degustare le numerose prelibatezze locali, sia pietanze che dolci, per non parlare
delle ottime rosticcerie.
Buona gita!
* Una simpatizzante della nostra Associazione che desidera mantenere l’anonimato
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LA LEGGENDA DI NARCISO
di Laura de Angelis
Ti amo, ti amo, ti amo!
Vorrei passare una vita a dirtelo, a ripetertelo all’infinito, riempiendomi la bocca di ogni parola e
(riempiendomi) gli occhi di te.
Ormai ho imparato, la lezione l’ho capita: non provo neanche più a sfiorarti, ad allungare le mie
mani verso le tue per sfiorare quelle così candide ed affusolate dita. Non più affianco il mio volto al
tuo, le mie labbra alla tua rosea guancia per deporvi il più tenero dei baci. Mi contento di guardarti,
rimirarti, quasi temendo di darti fastidio. So di amarti e so, senza inganni, di essere amato. Il mio
amore è grande e si riflette nei tuoi occhi che tuttavia temo di incrociare per paura di non leggervi
più quel sentimento che ti dono, che ho bisogno di donarti per vivere.
Che sorpresa la prima volta che ti ho vista, scoprendo la sorpresa nei tuoi occhi (dovevi leggerne
molta anche nei miei); ho visto una creatura celestiale e subito rispetto e deferenza(si, deferenza) si
sono impossessati di me.
Ti chiamai la creatura del lago perché è lì che per la prima volta ti ho visto ed è lì che tutte le volte,
dapprima solo saltuariamente, poi sempre più spesso, tutti i giorni, e ora ogni istante, torno a farti
visita.
In questi giorni poi neanche un minuto, un solo secondo, trascorso lontano da te e da quello
specchio in cui posso rimirarti.
Credi non me ne sia accorto?
Per questo non lascio il tuo capezzale nemmeno per mangiare o bere, sordo alle mie necessità: stai
male. Non so quando sia iniziata questa malattia e perché, ma mi sono accorto che sei cambiata: il
viso rotondo, quasi d’infante, prima pieno e radioso e dalle gote rosse sta pian piano impallidendo.
Si è fatto sfilato, scarno; le labbra carnose sono ora secche e screpolate, faticano ad aprirsi per
pronunciare parole e sussurri che proprio non riesco a percepire, benché ogni volta io tenda
l’orecchio per capirne il significato sperando di sentire, almeno una volta, la tua voce.
Per non parlare poi degli occhi, il cui sguardo penetrante, magnetico e cos’ intenso subito mi ha
catturato. Il colore: un azzurro meraviglioso tendente al viola, come solo il cielo subito dopo il
tramonto sa essere, quando ancora la tenebra notturna non è calata e non ha indossato il suo manto
trapuntato di stelle.
Che rimane ora di tanta bellezza?
Lo sguardo è spento, il colore dell’iride appare smorzato e dell’irruenta vitalità che prima li faceva
brillare non restano che le ceneri. E del colore della cenere è il tuo viso, e pesti sono i cerchi che ti
circondano gli occhi; persino i capelli castani ramati i cui riflessi lucenti giocavano con i raggi del
sole mattutino appaiono ora opache, di un castano smorto, scialbo.
Oh meravigliosa creatura, sei ora il ricordo di quel che eri! E tuttavia non svanisce, rimane
indelebile quella lieve traccia dell’antica bellezza, ora divenuta melanconica.
Ah, quanti istanti felici, quante mattine d’estate trascorse a cogliere fiori l’uno per l’altra! E proprio
quando credevo di averne trovato uno magnifico, unico, per fartene omaggio ecco che tu me ne
offrivi uno simile (identico, direi, se non la sapessi cosa impossibile); e ci scambiavamo i nostri
doni attraverso quello specchio d’acqua che s’increspava in grandi cerchi al solo sfiorarlo.
E d’autunno, ti ricordi?
Tutte quelle foglie, e gli animali del bosco: era una meraviglia!
I pomeriggi passati a mangiare noci e nocciole, a guardarti e farmi guardare, con gli occhi affamati
e mai sazi della tua immagine.
E ora, a inverno inoltrato, col freddo pungente che mi penetra nelle ossa e mi scuote con lunghi
brividi che mi salgono dalla schiena; ora che il laghetto, tua dimora, è ghiacciato e il mio fiato ne fa
appannare la superficie; ora, o meravigliosa creatura, dono del Signore, mio unico e vero Amore,
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che la tua figura sta pian piano svanendo; ora, che la tua fiamma vitale si sta pian piano spegnando;
ora …..
Ti prego non lasciarmi. Lotta! Con tutte le tue forze: quelle forze che giorno dopo giorno ti vengono
sempre meno. Mi sono accorto di vivere per te, perché senza la tua presenza la mia esistenza
perderebbe di significato. Allora ti prego: salvati e salvami da quest’angoscia. Lotta contro questo
precoce deperimento e, se puoi, fammi udire una sola volta la tua voce sussurrare quel “Ti amo” che
molte volte ho letto sulle tue labbra e che mai ho potuto udire.
Ti guardo con infinita dolcezza: le tue labbra sono livide, le tue palpebre si stanno lentamente
abbassando.
Sei stanca? Dormi, riposa.
Dormirò anch’io, riposerò al tuo fianco amore mio: neanche nel sonno ti abbandono.
Proprio in quel momento, poco prima di cedere alle lusinghe del sonno, un pensiero mi attraversò
la mente.
“Che strano, prima non vi avevo mai pensato: preso com’ero a rimirarti non ti ho mai chiesto il
nome, né ti ho svelato il mio ….”
….e così cadde nell’incoscienza di un torpore eterno.
Nevica. Lentamente grossi, soffici fiocchi si posano sul puerile corpo adagiato sul suolo gelato;
una lacrima di ghiaccio gli risplende sulla guancia.
E’ primavera, un tiepido sole risplende nel cielo e i suoi timidi raggi si riflettono sulle calme acque
di un laghetto silvestre sulla cui riva è spuntato un fiore delicato
Il suo nome è Narciso.
Mostra.” Il Tiziano mai visto. La fuga in Egitto e
la grande pittura veneta” Venezia Gallerie dell’Accademia
di Liliana Dal Gobbo
Riprendo il discorso iniziato nel numero precedente quando, scrivendo un modesto commento sulla
visita alla Mostra di “Tiziano e la nascita del paesaggio moderno” a Milano, avevo confessato i
motivi per cui amavo questo pittore. Mi lega a lui la vicinanza territoriale e i paesaggi da lui dipinti
a me molto famigliari. E’ ovvio che essendo in vacanza nel Veneto non ho potuto fare a meno di
visitare a Venezia la Mostra” Il Tiziano mai visto” alle Gallerie dell’Accademia.
Le Gallerie si trovano in quella che un tempo era La Scuola grande di Santa Maria della Carità
fondata nel 1260, la più antica insieme a quella di San Marco. Le Scuole, nate come confraternite
religiose, negli anni avevano assunto enorme importanza partecipando al sistema cittadino di
assistenza sociale e diventando interlocutrici privilegiate della Repubblica. La loro attività si
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concluse con la fine della Repubblica stessa e Napoleone le soppresse definitivamente nel 1806. Dal
1817, nell’antica sede della Scuola di Santa Maria della Carità, si trovano le Gallerie
dell’Accademia, che raccolgono la migliore collezione d’arte veneziana tra il XIV il XVII secolo.
Tornando al nostro Tiziano, la Mostra presenta: “ La fuga in Egitto”, imponente dipinto (204 x
324cm) proveniente dopo 250 anni dall’Ermitage di San Pietroburgo. Qui come nei dipinti ammirati
a Milano, il paesaggio la fa da padrone. In realtà è un paesaggio irreale perché i boschi e gli animali
dipinti non sono certo propri dell’ambiente egiziano.
Il Vasari aveva lodato gli animali “quasi vivi” e l’incredibile ambientazione boschiva.
Nella “Fuga in Egitto” il paesaggio passa da semplice sfondo a soggetto di primo piano nella
narrazione.
Il visitatore è colpito non tanto dai soggetti umani ma dalla natura che fa da sfondo: l’asinello
condotto da un giovine, le limpide acque, gli alberi importanti.
Il quadro fu dipinto da Tiziano nel 1507 per Andrea Loredan, capitano navale della Serenissima, per
il suo nuovo palazzo sul Canal Grande. Caterina la Grande lo acquistò nel 1768 per il Palazzo
d’Inverno.
Il visitatore non è colpito solo dallo straordinario dipinto di Tiziano ma dal contesto nel quale si
trova.
Prima di giungere al dipinto dell’illustre cadorino, si incontrano: “L’allegoria sacra” di Giovanni
Bellini, la stupenda “Tempesta” di Giorgione e dello stesso pittore “Il Tramonto e l’Omaggio al
Poeta”.
Le Gallerie dell’Accademia meritano una visita, oltre che per l’eccezionale presenza del dipinto di
Tiziano, per l’enorme quantità di opere presenti. Al esempio La Sala Capitolare, con stupendo
soffitto a cassettoni sede un tempo del Convento, ospita di Tiziano “La Presentazione di Maria al
Tempio” dipinto monumentale di eccezionale bellezza.
Ora mi congedo dall’amato Tiziano e mi accingo ad organizzare la prossima visita ad un pittore
molto diverso ma altrettanto amato: Picasso
UNA SETTIMANA NELLA CITTA’ D’ORO
di Laura de Angelis
“La città di Praga, capitale della Repubblica Ceca e sua città più grande, si sviluppa su nove colli e
viene per questo detta la “Roma del nord”.
Così si apre la recensione su Praga letta prima della partenza questo settembre e che per diverse
pagine ne decanta la bellezza delle costruzioni e dell’arredo urbano, perfetta commistione tra vari
stili tra cui Barocco, Gotico, Art Nouveau e Neoclassico fino all’Ultramoderno.
Seduta al posto assegnatomi in aereo guardavo le strade di Milano allontanarsi e far posto alle
nuvole con un misto di curiosità e timore: curiosità carica di aspettative verso la “Città d’Oro” che a
detta di molti mi avrebbe affascinata e timore, forse un po’ infantile, dettato dalla paura di vedere in
pochi giorni queste aspettative distrutte: come spesso accade nei viaggi, in cui le emozioni
desiderate e gli scenari visti attraverso le parole degli altri non reggono il confronto con la realtà.
Realtà che, mi sento di dire, in questo caso ha addirittura superato ogni mia previsione.
Sono rimasta incantata non solo dai monumenti e dai castelli di cui Praga è costellata ma anche
dalle mille piccole perle che sono le decorazioni con cui ogni facciata è ornata, che sia il Municipio
o una semplice casa.
Scesa dall’aereo ne ho avuta una prima visione attraverso i finestrini appannati del pullman diretto
all’albergo e per quanto il paesaggio scorresse via veloce sotto i miei occhi era facile capire quanta
bellezza fosse racchiusa in quei 500 kilometri quadrati, tanto che dopo aver frettolosamente
sistemato i bagagli mi sono arrischiata ad uscire per tornare verso il centro storico ed averne un
seppur breve assaggio.
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Dall’alto della collina su cui è sito la prima cosa che si scorge è la Torre delle Polveri, alta
sessantacinque metri costruita nel 1475, attraverso la quale il re passava per raggiungere la
Cattedrale di San Vito per l’incoronazione. Al tempo era una delle tredici porte che circondavano la
città vecchia, deve il suo nome al ruolo cui fu adibita nel XVII secolo ovvero lo stoccaggio delle
polveri da sparo. È oggi aperta al pubblico e se i 186 scalini da salire non costituiscono un
problema, è più che consigliata per la magnifica vista che offre su gran parte della Città Vecchia.
Sospinta dal tiepido vento settembrino, dopo aver ammirato la torre, mi sono recata verso il Ponte
Carlo, gioiello di epoca medievale che deve il suo nome al sovrano CarloIV, che nel 1357 ne ordinò
la costruzione, durata più di un secolo. Al momento ero inconsapevole di aver scelto un ottimo
momento per recarmici: essendo il Ponte una delle più famose attrazioni della città risulta essere
sempre affollato, soprattutto durante il giorno; quella sera ho avuto la fortuna di poterci passeggiare
con tranquillità essendo quasi deserto e godere appieno delle molte statue che lo abbelliscono e
delle luci notturne che, simili a torrenti di oro liquido, scivolano sulla Moldava aumentandone il
fascino.
Terminata la camminata e rimandati al giorno successivo itinerari più impegnativi sono rientrata in
albergo conscia del fatto che la magia di questa città mi aveva già stregata al primo incontro.
A detta di molti Praga pur essendo così densa di “attrazioni” resta pur sempre una città abbastanza
piccola, nella quale tre giorni sono più che sufficienti per saziare gli occhi.
Avevo deciso di trascorrevi una settimana e posso dire di non essere pentita della scelta fatta: per
quanto si riesca a visitare in poco tempo, è una città che consiglio di vedere spostandosi per quanto
possibile non con i mezzi ma a piedi, e i giorni in più che vi ho passato mi hanno consentito di
perdermi per le stradine del centro, arrivare all’osservatorio sito poco sopra la città e riposarmi sulle
panchine tra il profumo dei roseti che lo circondano. Trascorrere sette notti mi è anche stato utile
per respirare appieno il clima che la permea e che contribuisce a renderla unica e una delle città più
belle d’Europa.
A differenza di molte altre capitali quella della Repubblica Ceca è pregna di odori e voci e canzoni,
che ne costituiscono una colonna sonora apprezzabile da chiunque: gli artisti di strada che si
contendono i marciapiedi e le piazzette che ne costellano il centro sono ben diversi dai violinisti
stonati che si incontrano con facilità a Milano o in metropolitana: là interi complessi completi di
contrabbasso e sax allietano turisti e residenti senza mai creare un frastuono fastidioso ma
spargendo note che meritano di essere ascoltate con vivacità e discrezione.
Per quanto riguarda invece i monumenti che meritano di essere visitati la lapidaria parola “tutti”
non renderebbe giustizia alle meraviglie che offre, eccone quindi un breve elenco.
Il centro storico, che nel 1992 è stato incluso nella lista dei patrimoni dell’umanità dall’Unesco e
che comprende: la sopra citata Torre delle Polveri.
La Chiesa di San Giacomo, costruita per volere di Venceslao I di Boemia nel 1232 in stile gotico,
che venne arsa e ricostruita nel 1689 nello stile del tempo: il barocco. Vennero inoltre aggiunti ben
venti altari laterali e numerose opere di artisti cechi contemporanei.
Una curiosità: tra le ricche decorazioni che ornano questa chiesa vi è una statua della Madonna che
si narra indossasse una preziosa catena d’oro; un ladro intrufolatosi nottetempo nella chiesa tentò di
rubarlo ma venne fermato dalla statua: quello che si dice essere il suo braccio mummificato risiede
in bella vista all’interno della costruzione come monito per chi tentasse di profanare il luogo di
culto.
La chiesa di Santa Maria di Tyn, secondo santuario praghese dopo la chiesa di San Vito, costruita
nel 1365 in stile gotico, divenuto successivamente uno dei centri del riformismo boemo. Questa
splendida costruzione resta uno dei miei crucci insieme al Museo nazionale e al Teatro nazionale:
per mia sfortuna posso dire di averli ammirati soltanto sulla carta stampata poiché le tre costruzioni
erano chiuse per restauro durante il mio soggiorno.
Il Bambino di Praga o Gesù Infante di Praga, scultura famosissima realizzata in cera con le
sembianze di Gesù infante appunto, costruita in Spagna e arrivata nell’ex Boemia solo
successivamente, attira centinaia di fedeli ogni giorno che si spingono in quel di Praga per
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inginocchiarsi accanto alla teca che lo contiene e pregare. La particolarità dell’Infante sta nel
corredo che gli appartiene: un numero considerevole di ricchi abiti cuciti a mano su misura con il
quale viene esposto nei giorni di festa.
La torre dell’orologio, famosa in tutto il mondo per il complicato meccanismo che allo scoccare di
ogni ora rende visibili diverse figure allegoriche che una dopo l’altra sfilano ai lati dell’orologio
fino all’ultimo rintocco.
Ultimo, ma non per importanza, il Castello, che sovrasta la città in tutta la sua magnificenza e che al
cui interno ne racchiude un’altra in miniatura. Molto diverso dai castelli a cui siamo abituati in
Italia: arroccati su una collina e con spesse mura a dividerne l’interno dal resto della cittadina, pur
avendo mura alte e spesse una volta che le si varca ci si ritrova in un piccolo borgo con chiesa e
cappella, viette interne e piazze. Tra le vie meritevoli vi è quella degli Alchimisti, che deve il suo
nome agli abitanti delle undici case in origine costruite per le ventiquattro famiglie della guardia
reale dell’Imperatore Rodolfo II d’Asburgo, in seguito abitate da orafi, che la leggenda
erroneamente confonde con gli studiosi impegnati a ricercare la creazione della famosa pietra
filosofale.
Del castello sono apprezzabilissimi anche gli enormi giardini che ne cingono il lato nord e in cui è
tanto facile perdersi essendo strutturati su più livelli.
Le ultime giornate trascorse a Praga le ho passate visitando il quartiere ebraico, in cui si trova il
famoso cimitero e in cui ancora adesso, pur essendo divenuto luogo turistico e simbolo della triste
storia dello sterminio semitico, si riuniscono rabbini e fedeli a pregare sulle lapidi ricoperte di
muschio ed edera; i punti panoramici siti sulle rive della Moldava con una breve tappa al muro di
Lennon: simbolo di libertà e ribellione al regime comunista che la opprimeva negli anni 80.
Al termine dei sette giorni con rammarico mi sono allontanata dalla Capitale, conscia del posto che
si è ritagliata nel mio cuore in così breve tempo.
Nonostante del mondo non abbia visto ancora quasi niente, mi sento di dire che pur sperando di
visitare altre città con un fascino simile a quello di Praga, temo ne esistano ben poche in cui trovare
oltre a monumenti e cattedrali apprezzabili anche un tessuto culturale così vivace: molte le mostre
temporanee tra cui quelle di Klimt, Mucha e Dalì, caffè letterari e locali in cui è possibile mangiare
gulash, il piatto locale, circondati da istallazioni fotografiche pregevoli e per nulla scontate per non
parlare dei già citati artisti di strada che ora allegri, ora malinconici, guidano Praga dritta verso il
centro dell’animo.
Panorama di Praga
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Calabria Ionica
di Gabriele Pernigo
La prima volta che vidi la Calabria fu nel 1976. Allora abitavo a Bolzano ed un mio
collaboratore era andato a trascorrere un periodo di vacanza in un villaggio calabrese a
Bianco, un paesino sul mare tra Locri e Capo Spartivento, nella Calabria Ionica.
Me ne parlava sempre in termini entusiastici perciò quell’anno decisi di andarci con tutta la
famiglia.
Avendo tre bambini piccoli, per ridurre i disagi di un viaggio di oltre 1500 chilometri, decisi
di adottare la formula treno + auto sino a Roma.
Partimmo dunque di notte da Bolzano e dormimmo sul treno in vagone letto. Arrivai a
Roma, recuperammo l’autovettura, la nostra cara Giulia, purtroppo priva di aria
condizionata, e ci mettemmo in viaggio verso la Calabria. Eravamo in luglio e faceva molto
caldo, i bambini soffrivano quelle temperature ed ogni tanto bisognava fermarsi. In
particolare Alessandro, il più piccolo, soffriva il mal d’auto, e quando diceva che stava male
di solito era già tardi per prendere provvedimenti.
Fu un viaggio davvero tribolato tanto che mia moglie, più saggia ed equilibrata di me,
continuava a chiedere di fermarci per spezzare il percorso in due giorni. Io volevo arrivare
a destinazione in giornata, magari di notte anche perché speravo che, dopo il tramonto del
sole, l’aria più fresca avrebbe reso il viaggio più accettabile.
Arrivammo a Catanzaro verso le 19, facemmo una sosta di una mezz’ora prendemmo fiato
tutti, ci rinfrescammo e ripartimmo decisi per Bianco.
Arrivammo che erano quasi le 22, stanchissimi e desiderosi di dormire. Ci consegnarono il
bungalow di due stanze più il bagno; anche se c’era buio si capiva che si trattava di una
struttura pressoché al grezzo, allineata tra il mare e l’arida campagna della Locride verso
l’Aspromonte.
Appena entrati nella camera mia moglie notò subito alcuni “gechi” sulle pareti (lucertole
bianche divoratrici di insetti) e tirò un urlo che spaventò i bambini. La porta di ingresso era
staccata dal pavimento di almeno tre centimetri e sicuramente permetteva l’ingresso di
lucertole o di altri piccoli animali. Le finestre più alte, strette e rettangolari, non avevano
Imposte. Solo la stanchezza infinita vinse la riluttanza di Anna a coricarsi, ma contrariata e
delusa disse: “Va bene per questa notte dormiamo qui, ma domattina appena svegliati ce
n’andiamo via, non intendo trascorrere le vacanze in questo posto, è come dormire in
tenda”.
L’indomani verso le sei del mattino fui il primo a svegliarmi, anche perché dalla piccola
finestra in alto entrava un fascio di luce, quasi abbagliante, che mi centrava il viso. Scesi
dal letto, aprii la porta e vidi il sole sorgente sulla superficie del mare, una enorme palla di
fuoco su un piatto d’argento; era così grande che sembrava veramente a pochi passi dai
bungalows.
Tutto attorno, piante cariche di fichi d’India e agavi rigogliose sembravano essere spuntate
veramente durante la notte, mentre un concerto di cicale aveva iniziato 2l’ouverture del
mattino”.
Rimasi attonito a guardare come un bimbo, che non sa se quello che vede è vero o fa
ancora parte dei sogni della notte.
Nel frattempo colpita da quella gran luce anche mia moglie si era svegliata, e dietro di lei
uno alla volta i tre figli. Anna disse solo: “Che meraviglia…” e rimase anche lei senza
parole. I bimbi piagnucolavano e dicevano: “Cos’è questa luce, perché non riusciamo ad
aprire gli occhi?”.
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“Su, su – dissi io provocatorio – facciamo colazione in fretta e andiamocene da qui, la
mamma non vuol restare in questo posto così spartano”. Fu un coro di no, mia moglie di
fronte a quell’incanto si era ricreduta e pertanto decidemmo di restare.
La vacanza fu un’immersione in quello splendido territorio, nella vita e nel costume di
quella gente.
Di giorno aiutavamo i pescatori a tirare a riva le reti, e di sera poi cuocevamo il pesce allo
spiedo sulla spiaggia. Dopo cena, sempre in riva al mare, si cantava intorno al falò,
qualcuno suonava una chitarra, si ballava e si ascoltavano le canzoni locali, che alcuni
ragazzi calabresi interpretavano con maestria. Per la prima volta in vita mia vidi diversi
pesci spada, pescati nella zona di Capo Spartivento, li fotografammo distesi sul tavolo del
buffet con un limone in bocca.
Una notte uscimmo con i pescatori per la pesca del pesce azzurro, con le “lampare”, e
restammo in mare sino all’alba; era una di quelle notti magiche in cui la terra sembra un
tutt’uno con il cielo e si potevano vedere e riconoscere tutte le costellazioni. Al mattino,
mentre tornavamo a riva, ci seguiva una scia bianca di gabbiani, richiamati dal “profumo”
del pesce pescato a quintali e caricato nella stiva.
Un altro spettacolo unico fu quello di vedere greggi di pecore scendere verso il mare,
accompagnate dal pastore e dal cane; venivano trascinate in acqua per rinfrescarle e
lavarle prima di essere tosate, centinaia di pecore su spiagge deserte e immacolate.
Mi veniva in mente quella bella poesia di Gabriele D’Annunzio “Pastori”
Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
che verde è come i pascoli dei monti.
Han bevuto profondamente ai fonti
alpestri, che sapor d’acqua natia
rimanga ne’ cuori esuli a conforto,
che lungo illuda la lor sete in via.
Rinnovato hanno verga d’avellano.
E vanno pel tratturo antico al piano,
quasi per un erbal fiume silente,
su le vestigia degli antichi padri.
O voce di colui che primamente
conosce il tremolar della marina!
Ora lungh’esso il litoral cammina
La greggia. Senza mutamento è l’aria.
Il sole imbionda sì la viva lana
che quasi dalla sabbia non divaria.
Isciacquìo, calpestio, dolci romori
Ah perché non son io co’ miei pastori?
A parte i turisti del villaggio, che provenivano da diverse città del Nord, di gente in giro se
ne vedeva poca. I paesi limitrofi, Africo, S. Luca, Bovalino, erano poveri e vivevano di
pesca, pastorizia e di artigianato. Non offrivano quindi particolari stimoli al turista, se non
quello di conoscere da vicino la vita ed i costumi di quella parte della Calabria.
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Erano però momenti brutti, cominciavano i sequestri di persona e la raccomandazione del
proprietario del villaggio era di informarlo, prima di andare a visitare qualche paese. In
effetti, il suo nome era una garanzia, un lasciapassare.
Una volta che tornavamo da Gerace, un paesino nell’entroterra di Locri dove avevamo
potuto osservare il lavoro artigianale di un vasaio, ci fermò una pattuglia stradale di
carabinieri; uno di loro, molto giovane, con la mitraglietta spianata mi chiese patente e
libretto. Avevo paura di allungare la mano al cassettino dei documenti, quel carabiniere
sembrava quasi avere più paura di me, bastava un attimo che scattasse quel dito sul
grilletto. C’erano anche i tre figli sul sedile posteriore, mia moglie di agitò ed invitò l’agente
a tenere l’arma all’esterno della vettura.
Mi ricordai dei consigli del proprietario del villaggio, feci il suo nome e dissi che eravamo
suoi ospiti. Il carabiniere ritirò la mitraglietta e mi fece cenno di proseguire. Ripartimmo
lentamente e durante il tragitto di ritorno nessuno fiatò, nemmeno il più piccolo. La paura li
aveva ammutoliti.
Questo purtroppo era un po’ il clima di tensione che allora si respirava, ma quella vacanza
di trent’anni fa, nella Calabria Ionica, resterà sempre scolpita nella mia mente come uno
dei momenti di vera, autentica comunione con le bellezze di una natura, selvaggia e
incontaminata.
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RECENSIONI LIBRARIE
a cura di Federica Zucconi
L’indovina di Istanbul – Michael David Lukas – Longanesi
1877 – Costanza, sulle sponde del Mar Nero: è una notte di guerra e di razzia, ma anche di speranza.
Mentre una divisione di cavalleria dello zar semina il terrore in città, nella casa di un venditore di tappeti
ebreo viene alla luce una bambina. Si chiama Eleonora, e un’antica profezia prefigura per lei un destino
straordinario. Eleonora cresce senza la madre e con un padre amorevole ma spesso assente, che la affida a
una matrigna rigida e repressiva. Niente però può impedirle di mostrare il suo talento: a soli sei anni Eleonora
ha una memoria prodigiosa e una grande abilità nel far di conto, ma soprattutto vive per i libri. E’ nei libri, e
nelle diverse lingue in cui sono scritti e che lei impara senza difficoltà, che Eleonora trova il suo destino. Un
percorso avventuroso, costellato di entusiasmi ma anche di tragedie, la porterà fino ad Istanbul, maestosa
capitale di un impero ormai in disfacimento, e quando inizierà a spargersi la voce dei suoi talenti, la ragazzina
varcherà la soglia del palazzo del sultano, legando così indissolubilmente il suo destino a quello di un impero.
Cesare imperiale – Rex Warner – Castelvecchi
E’ notte. Giulio Cesare non riesce a prender sonno. E’ disteso sul letto accanto alla moglie, Calpurnia, che
dorme un sonno tormentato. I pensieri lo portano indietro nel tempo: l’arrivo in Gallia, la prima battaglia, gli
amici, le speranze. La sua è soprattutto la storia di un guerriero, di un combattente che ha spinto i confini
dell’impero fin sulle rive dell’Atlantico, ma è anche quella di un uomo immerso nelle sue riflessioni, di un
pensatore che conosce profondamente la natura degli uomini. Fuori, il cielo di Roma si tinge di foschi
presagi. La congiura è a un passo dal compiersi, tra poche ore l’imperatore sarà assassinato. Narrato in
prima persona, il racconto del Cesare Imperatore è quello della sua storia intima e politica, dall’ascesa alla
congiura, passando per tutti i momenti cruciali del suo governo. Questo libro è il secondo tassello di uno dei
più importanti lavori di Rex Warner, un romanzo basato su una meticolosa ricostruzione storica che riesce a
restituirci un personaggio in carne e ossa, a raccontarci la vita dell’uomo e dictator Giulio Cesare.
Il veleno nel piatto – Marie-Monique Robin – Feltrinelli
Gli alimenti contengono il più delle volte prodotti chimici tossici. Si tratta di un dato di cui i consumatori sono
all’oscuro. In un’inchiesta choc di un’importante giornalista – pluripremiata in tutto il mondo per i suoi libri – le
responsabilità, le omissioni, le complicità che minano la sicurezza dell’intera catena produttiva del cibo.
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n° 3 Settembre 201