Sorrisi tra estranei
Il 1968 e il movimento degli studenti medi a Rimini
(ottobre 1967 – marzo 1968)
La mia generazione è stata una bella generazione (…). Certo, per noi, per anni la
politica ha avuto un’importanza magari esagerata, mentre la vita è fatta di tante
cose. Ma questa passione civile ha dato un’ossatura alla nostra formazione
culturale; se ci siamo interessati di tante cose è stato per quello.
Italo Calvino, Sono nato in America. Interviste 1951 – 1985, a cura di Luca Baranelli,
Mondadori, 2012
Una bella generazione. Sì, perché le generazioni non sono tutte uguali. Quella di
Calvino è la generazione della Resistenza: la guerra a vent’anni, il disastro d’Italia,
la lotta partigiana, la ricostruzione, l’Italia nuova. La nostra - la lucky generation dei
baby-boomers – è quella del Sessantotto.
I giorni successivi sono stati, per tutti, come giorni che seguono la rivelazione di un
nuovo amore. Le persone si salutavano per strada come amici che si incontrano di
nuovo (…), e sorrisi cordiali venivano scambiati tra estranei.
Ranuccio Bianchi Bandinelli, Dal diario di un borghese, Il Saggiatore, 1962, p.110
Bianchi Bandinelli scrive di un momento di empatia, dei giorni di entusiasmo e
speranza subito dopo il crollo di Mussolini, il 25 luglio 1943: questa seconda
citazione è qui a ricordarci che, in adeguate circostanze, nessuno è estraneo a
nessuno.
Nell’anno scolastico 1967/ 1968 frequentavo la III A del Liceo Classico ‘Giulio
Cesare’ di Rimini: qui cercherò di dire della fase aurorale del movimento studentesco,
prima che il movimento, uscito dalle scuole – sconfitto nelle scuole? – aprisse il ciclo
del ‘lungo’68’ italiano.
Sorrisi tra estranei erano quelli che ci scambiammo, tra 1967 e 1968, quando una
generazione si guardò, si riconobbe e si trovò bella. Nei picchi emotivi dei primi
raduni, delle prime rotture con le consuetudini, conoscemmo ‘la rivelazione di un
nuovo amore’: quando i giorni valgono mesi e respiriamo, ci pare, più liberamente.
Le prime azioni del movimento degli studenti medi non avvennero in modo
totalmente spontaneo e ‘innocente’. Quando, alla fine di ottobre del 1967, si svolsero
in Romagna i grandi scioperi studenteschi e la prima assemblea cittadina degli
studenti medi di Rimini ebbe luogo il 30, nella grande e disadorna palestra del teatro
‘Amintore Galli’, da tempo erano avviati i contatti tra le due associazioni più presenti
nelle scuole medie superiori: la FGCI di Nando Piccari e Loris Soldati e GS –
Gioventù Studentesca, di cui Sandro Bianchi, già studente del Classico, poi
universitario a Bologna a Lettere, era presidente e punto di riferimento.
I ‘moti’ erano partiti dall’ITI – Istituto Tecnico Industriale di Forlì, futura forza
lavoro manuale qualificata, ‘periti industriali’: gli studenti volevano l’orario
continuato, non più spezzato in due, per accorciare l’impegno giornaliero e poter
tornare a casa senza dover correre a prendere l’ultima corriera. Si trattava, in
superficie, di un (valido) motivo ‘sindacale’, che non lasciò apparentemente traccia
proprio all’ITI, assente nei mesi successivi dalle assemblee e dalle occupazioni del
’68. Ma le immagini del centro di Rimini pieno di studenti, a migliaia, di mattina! in
pieno orario scolastico, raccontavano un’altra storia. Sciamavano in via Luigi Poletti,
di fianco al teatro, gli studenti dell’Istituto Tecnico Commerciale ‘Roberto Valturio’,
futuri ‘ragionieri’, con i loro colleghi – a dominante maschile – che studiavano da
geometri. Erano molte centinaia; partiti da lontano, dalla periferia di Città Studi,
arrivavano più tardi di noi che studiavamo lì in centro, ma si fecero notare. Il preside,
un friulano di ferro che aveva partecipato alla resistenza nelle sue terre, Remigio
Pian, esigeva che gli studenti vestissero l’uniforme del servizio: giacca e cravatta; le
femmine, come nelle altre scuole, in grembiule nero. Controllava personalmente la
divisa all’ingresso della scuola e, a chi non era a posto, senza cravatta… ‘Lei vada a
vestirsi!’ Quelli del ‘Valturio’ le cravatte quella mattina se le erano tolte e le
sventolavano, che lo vedessero tutti che si erano liberati. Nei mesi e negli anni
successivi la storia dei corpi giovani cambiò: abiti, accessori, chiome, barbe, ma
anche posture e gesti, come sedersi per terra, sui banchi, e correre, a perdifiato, nei
cortei a seguire un ritmo, una coreografia, scandire slogan, inventare ritornelli,
qualcuno perfino a cantare. Quel primo, sorprendente movimento, tipping point tra un
prima e un dopo, aveva un fortissimo radicamento di massa nella scuole, che lo
caratterizzò rispetto alle città vicine.
In pochi giorni era nato un potere che prima non c’era: migliaia di giovani corpi,
liberi dalle costrizioni individuali. Massa e potere. Una prima assoluta per gli studenti
- fin lì oggetto del potere di altri - che consideravano ‘naturale’ il loro destino, la loro
condizione individuale. Lo sciopero dell’autunno 1967 si concluse con un risultato:
l’istituzione dei Comitati di istituto, poi Consigli. Una debole ‘partecipazione’, un
risultato ‘sindacale’, la ‘capitalizzazione’ di un grande sciopero.
Ma la percezione della propria forza, del proprio potere, era il risultato più
importante: a Rimini lo si sarebbe visto pochi mesi dopo, nel marzo del ’68, dopo gli
incontri invernali alla Casa della gioventù studiosa, con un serie ben organizzata
prima di assemblee di istituto poi di occupazioni, discusse e deliberate dalle
assemblee: gruppi di studio e carte rivendicative al classico, allo scientifico, alle
magistrali, ai ragionieri e geometri; quelli dell’ITI e degli istituti professionali
(‘Luigi Einaudi’, commerciali; ‘Leon Battista Alberti’, industriali; Istituto
Professionale Alberghiero) arrivarono circa un anno dopo.
Sono convinto che tra la diversità del movimento degli studenti medi riminesi e la più
generale diversità di Rimini rispetto alle città vicine ci sia un nesso che va indagato.
Cesena, Forlì, Ravenna o Pesaro erano città; Rimini era più e meno di una città.
Distrutta dalla guerra, anarchicamente ricostruita e rinnovata dal turismo di massa,
arretrata e carente negli istituti culturali tradizionali, priva di università (come del
resto tutta la Romagna), Rimini era molto più avanti nella cultura di massa, nel
peculiare americanismo della ‘Miami dell’Adriatico’;lo aveva notato, a proposito
dell’organizzazione delle sue spiagge, Guido Piovene nel suo ‘Viaggio in Italia’ del
1957, all’inizio del boom. Certo, ‘Che’Guevara e Camilo Torres; certo, il libretto
rosso di Mao e anche la Populorum progressio di Paolo VI, ma guai a dimenticare
l’America: all’università di Berkeley si erano mossi per primi, nell’autunno del
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Testimonianza di Fabio Bruschi