ANNO XI NUMERO 176 - PAG I di IL FOGLIO QUOTIDIANO GIOVEDÌ 27 LUGLIO 2006 Giulio Meotti L o stile e la trascinante potenza visiva delle riflessioni ne fanno una tribuna della dignità con un linguaggio che osa sfidare e schernire. E’ il più grande studioso tedesco della modernità, il suo realismo è smussato da un virtuosismo abrasivo e da un potente nitore argomentativo. Robert Spaemann è nato nel 1927 a Berlino, ha insegnato filosofia a Münster, Stoccarda, Monaco e Heidelberg, dove è subentrato nella prestigiosissima cattedra tenuta per decenni da Hans Georg Gadamer. Amico di Benedetto XVI, è autore di numerosi scritti di etica e di filosofia politica, classici del pensiero contemporaneo. In Italia si contano “Persone” (Laterza), “Felicità e benevolenza” (Vita e pensiero) e “Natura e ragione” (Pontificia università della Santa Croce). Si è formato su Platone, Aristotele, Tommaso, Kant, Hegel, Max Scheler, per dirne alcuni. E’ membro della Pontificia accademia per la Vita e l’unico studioso occidentale, assieme a Jürgen Habermas e Richard Rorty, ammesso a far parte dell’Accademia cinese delle scienze sociali. E’ da poco uscita una monografia sul suo pensiero, “Persona, natura e ragione” (Armando). Spaemann ha accettato di discutere a lungo con il Foglio della decisione europea di aprire alle ricerche sugli embrioni umani. Secondo questo banditore della benevolenza, oggi è più che mai necessario concepire l’uomo come un essere che è contemporaneamente naturale e aperto all’assoluto, per metterlo al riparo da quella che G.K. Chesterton chiamava “la desolante minaccia del materialismo scientifico personificata dal Nuovo Puritanesimo”. “I diritti umani dipendono dal fatto che nessuno è autorizzato a definire il gruppo di coloro ai quali essi spettano o non spettano – sostiene Spaemann – Ciò significa che tali diritti, benché fondati nella personalità dell’uomo, debbono essere riconosciuti ad ogni essere che nasce dall’uomo, e questo fin dal primo momento della sua esistenza puramente naturale, senza che debbano essere introdotti criteri aggiuntivi contenutistici di alcun genere. L’uomo non può formare se stesso secondo un’immagine di uomo. Nessuna antropologia può insegnarci come dobbiamo essere. ‘Perfetti come il Padre nostro che è nei cieli’, dice il Nuovo Testamento. Se guardiamo a ciò ‘che la natura fa dell’uomo’ facciamo della biologia e parliamo inevitabilmente di qualcosa che è meno dell’uomo. Poiché la natura non ‘fa’ la persona”. Veniamo all’embrione, per la cui produzione e sfruttamento di massa Spaemann ha parole di fuoco: “Se il rispetto per la dignità umana dipende dal consenso degli altri, allora un gior- “Torna lo sguardo del medico di Auschwitz. I nazisti per gli ebrei usarono la distinzione fra essere umano e persona” no potremo allevare una generazione di schiavi con la manipolazione genetica. Perché non dovremmo, se la dignità umana non esiste ma c’è solo quella della volontà? Un cannibale ha trovato su Internet uno disposto a farsi mangiare. E’ avvenuto tutto con il loro accordo. Da un punto di vista relativistico non era un crimine”. Il grande biochimico Erwin Chargaff disse che saremmo presto entrati in “un tempo in cui i cadaveri non verranno più seppelliti o bruciati ma saranno macellati in modo industriale perché contengono terribilmente tante sostanze pregiate”. Il principio del paradosso vale per la decisione europea che “calpesta il rispetto che dobbiamo all’embrione. L’essere umano non può essere sottomesso, l’embrione non è mezzo per interessi di altri esseri umani, malati o anziani, ma è sempre un fine. Il capo delle SS Heinrich Himmler in uno dei suoi discorsi elogiò la morale altruistica dei torturatori di Auschwitz. Esiste anche un altruismo del male”. Come quello, dice Spaemann, dell’Olanda che “ha riabilitato di fatto l’eutanasia nazista”. Il peggior nemico dell’uomo ha le fattezze del “riduzionismo biologico”. “Il riduzionismo di cui Il filosofo tedesco Robert Spaemann LA LIBERTÀ DELLA PERSONA NASCE (E MUORE) CON L’EMBRIONE “Se non è un essere umano, preparatevi al peggio”. Parla il filosofo Robert Spaemann. Il rischio? “Una generazione di schiavi” parla Benedetto XVI è la riduzione dell’unità umana ai suoi meri componenti. La vita sarebbe solo uno stato fisico e chimico. Ma questo è lo ‘sguardo del medico di Auschwitz’. Ad Auschwitz le persone erano materiale per esperimenti. Il problema oggi più grave è la negazione della personalità dell’embrione. Se parti dall’idea che l’embrione non è un essere umano, allora puoi fargli tutto ciò che vuoi. Ma è contro ragione pensare così”. Deve tanto alle previsioni di C.S. Lewis, l’autore amato da Joseph Ratzinger. In particolare un libretto di Lewis del 1947, affascinante e introvabile in italiano, “L’abolizione dell’uomo”. “L’abolizione dell’uomo di Lewis oggi è molto attuale perché riguarda l’uomo come mero oggetto della scienza. Per la scienza non può esistere una cosa chiamata ‘dignità umana’, la scienza guarda alla realtà come a una serie di cause ed effetti, A e B, A e B. E qui si può parlare di abolizione dell’uomo. Il famoso psicologo Burrhus Frederic Skinner nel suo ‘Beyond freedom and dignity’ disse che l’idea di libertà e dignità era una falsa idea e che bisognava abolire tali nozioni. Skinner considerava Lewis ‘l’uomo più pericoloso per la scienza’”. Alla domanda su “che cos’è un fringuello?”, la scienza risponde con le caratteristiche in base alle quali identifica certi uccelli come fringuelli. “Che cos’è l’uomo?”, invece, è un’insidia radicale che la lascia ammutolita. L’uomo, spiega Spaemann, è l’unico essere vivente che sappia cosa significhi creare, che conosca la relazione fra l’amore e la generazione e l’unico a chiamare “parenti” i membri della propria specie, non “esemplari” come le scimmie. “La nozione di creazione non è compatibile con la visione riduzionista. Ma le cose sono più complicate di quanto pensiamo, ci sono stati e ci sono cristiani che non giudicano l’embrione umano come ‘persona’. San Tommaso pensava che l’anima spirituale non intervenisse prima dei quaranta giorni, come la Torah ebraica. Ma le nostre nozioni biologiche sono all’avanguardia rispetto al Medioevo, San Tommaso non conosceva il Dna. Oggi sappiamo che esiste una stretta continuità dell’essere umano. Se sostieni che l’embrione umano non è ancora una persona, devi accettarne le conseguenze, ad esempio, per i malati in coma non coscienti. Le conseguenze di questa visione saranno terribili. Il filosofo Peter Singer pensa che l’idea di persona valga solo per coloro che sono coscienti, cioè elabora una differenza fra l’essere umano e la persona. Ma è una distinzione tipicamente nazista. I nazisti usarono questa distinzione, gli ebrei non erano persone ma una sorta di essere umano. Per questo è importante insistere sulla personalità dell’uomo e sul pericolo di una scienza che vede la realtà solo come condizionamento. C’è bisogno di una teoria della soggettività dell’essere umano per bilanciare la scienza. Perché la tecnica moderna e la medicina possono essere una minaccia per l’umanità. La questione del nostro tempo è dunque ‘la non ricostruzione dell’uomo’, l’uomo dell’uomo, l’uomo come creatura di un altro uomo. Se la costruzione è totalmente soggetta al creatore ne viene una visione terribile della suddivisione del genere umano”. La proposizione secondo cui è bene conservare la vita è posta solo in termini dell’utilità. Il riduzionismo e l’evoluzionismo biologico devono misconoscere “il reale significato delle parole con cui esprimiamo la nostra ammirazione morale per la bellezza di un modo di agire o la nostra disapprovazione di fronte a un comportamento mostruoso”. Per Spaemann, che l’uomo e l’embrione siano oggetto di osservazione è qualcosa di letale per la loro libertà. “Quando Sartre in una delle sue opere teatrali afferma che l’inferno sono gli altri, presuppone che lo sguardo dell’uomo sia sempre uno sguardo cartesiano, cioè una stretta oggettivizzazione di ciò su cui lo sguardo cade. È lo sguardo dello scientista che osserva solo come fenomeno ‘oggettivo’ ciò che per me è dolore”, sostiene Spaemann. “Non posso considerarmi come il valore di una variabile legata”. L’uomo non solo vede, ma è visto: “Dagli altri uomini, da Dio. L’uomo Torniamo a parlare di natura e persona Pubblichiamo un’anticipazione del saggio “Sul concetto di natura dell’uomo” che Spaemann ha scritto per “Hermeneutica” (Morcelliana). N on è un caso che agli inizi della scienza moderna stia la polemica contro il concetto stesso di natura. Esso viene considerato ora come un concetto antropomorfico e l’idea – in sostanza ideologica – di un “automovimento” viene vista come usurpazione di una proprietà divina. La creazione nel XVI secolo viene concepita come la costruzione di una macchina. Che Dio potesse creare qualcosa come le causae secundae, che la creazione potesse essere un vero e proprio lasciar via libera a un essere sé al di fuori di Dio, questa idea si ritrae dal pensiero ufficiale per rifugiarsi nella cabalistica e nell’ermeneutica. La natura diventa il regno privo di trascendenza di un passivo essere mosso, di una pigra autoaffermazione di ciò che già è. La natura è diventata esteriorità senza identità e ammettere un ente di natura significa alienarlo come oggetto e “to know what we can with it, when we have it” non può più voler dire (conformemente all’assioma classico “intelligere in actu et intellectum in actu sunt idem”): diventare uno con ciò che si conosce. Che nell’ebraico della Bibbia la stessa parola venga usata per l’atto cognitivo e per l’unione coniugale – “Adamo conobbe sua moglie” – diven- ta del tutto non plausibile là dove l’ideale della conoscenza sta a significare la chiarezza priva di finestre del restare-presso-di-sé. In una natura così concepita l’uomo non può più concepirsi contemporaneamente come “essere naturale” e come “persona”. Può continuare a dispiegare la sua autocomprensione storica in una fenomenologia ermeneutica, oppure può “ricostruire” se stesso partendo dalle condizioni naturali della propria genesi e la sua autoesperienza come modo, finalizzato alla vita, del grande travaglio del mondo. Ma non può più collegare i due modi di vedere, a meno che non ci sia qualcosa come un’ermeneutica della natura intesa non soltanto metaforicamente o poeticamente. Non possiamo tabuizzare come antropomorfismo ogni interpretazione della natura sotto l’aspetto della sua somiglianza con l’uomo e poi pretendere di concepire ugualmente l’uomo come essere naturale. Ma questo è ciò che succede oggi in molte parti della scienza. La conseguenza, inevitabilmente, è che il discorso umano sull’uomo viene degradato anch’esso ad antropomorfismo ascientifico. La peculiare esperienza dell’assoluto articolantesi nelle nostre idee di verità, bellezza, dovere morale, bontà e santità può essere ricostruita naturalisticamente solo se viene privata della sua specificità, cioè appunto della sua assolutezza. Robert Spaemann non ha un mantello che lo renda invisibile, e neppure è Dio, che deve mostrare il suo volto per farsi vedere. Ma la finitezza non vuol dire l’inferno. E neppure è, come doveva vederla Leibniz, il ‘malum metaphysicum’”. Parla dello “sguardo sotto il quale l’uomo diventa uomo, lo sguardo della madre al bambino che le è nato è di regola uno sguardo d’amore”. Il biologo Richard Dawkins la sottomette a un lancinante riduzionismo. “Una madre è una macchina per la diffusione ottimale dei suoi geni, noi siamo delle macchine robotizzate da sopravvivenza, ciecamente programmate per la conservazione di quelle molecole egoiste che si chiamano geni”, scrive Dawkins. Se nel calvinismo di Rousseau la ragione diventa un “tardo epifenomeno di una natura originariamente irrazionale di un essere vivente aperto all’istinto”, cento anni più tardi la vita è diventata “un epifenomeno di macrostrutture molecolari”. Per questo, aggiunge, “non ci sono scale di misura ‘naturali’ per poter in qualche modo valutare il modo di vita e le forme di vita dell’uomo una volta pervenuto all’esistenza storico-personale. Persona e natura sono diventate incommensurabili”. La scienza riduzionista che “vuole superare l’uomo” fa sì che non possiamo esigere più alcun rispetto incondizionato. “Se la vita deve essere conservata solo perché è utile alla vita, allora una persona è un mezzo ridotto ai fini di altre persone. Così la fondamentale eguaglianza dei membri della famiglia umana è totalmente minacciata. Il miglior argomento contro l’utilitarismo dell’essere umano l’ha fornita Immanuel Kant. Ciò che molti non sanno è che Kant parlava della personalità dell’essere umano. Il suo grande argomento era che il soggetto della libertà non è immaginabile come il risultato di processi naturali, non possiamo capire come il processo naturale possa produrre soggetti capaci di libertà. Non possiamo cioè stabilire un inizio, siamo obbligati a considerare tutto ciò che generiamo al momento della generazione ‘persona umana’. Non si tratta di un argomento religioso, quanto scettico. E’ impossibile dire quando inizia il soggetto di libertà, da qui il rispetto assoluto di tutti gli esseri umani nascenti”. Oggi però l’affermazione di sé è stata messa in crisi da uno scientismo che ha la pretesa di dirci cosa siamo, cioè “che siamo parti di quella natura cui in precedenza abbiamo sottratto ogni somiglianza con l’umano e che abbiamo ridotto alla pura oggettività”. Per Spaemann “il cammino della ‘ricostruzione’ della nostra genesi ci fa guardare in maniera sempre più differenziata alle leggi strutturali di ciò che è vivo. Ma ‘chi guarda tutto non vede nulla’”. Un uomo completamente trasparente è un uomo che non esiste. Come è successo con Terri Schiavo, la cui condizione era ormai come una lastra illuminata. La domanda sull’uomo non può essere soddisfatta dalla “formula chimica della struttura del Dna dei geni umani, che del resto è particolarmente simile a quella del maiale domestico”. Per questo è irrinunciabile l’editto di Blaise Pascal sull’uomo che supera infinitamente l’uomo. “La natura fa emergere nell’uomo qualcosa che è più che natura: ‘nobilior’ dice San Tommaso. L’uomo non è questo più, è l’essere nel quale la natura va oltre se stessa verso il di più”. Se giudichi l’uomo da ciò che si può osservare scientificamente, al microscopio e in laboratorio, non capirai mai ciò che è veramente l’uomo. “E puoi ucciderlo senza problemi. Ci sono due visioni dell’uomo: la riduzionista che considera reale solo ciò che si osserva; e quella in cui l’uomo è totalmente altro, un pezzo divino. Pascal, cristiano e scienziato, sapeva che l’uomo è più dell’homo sapiens erectus, nel linguaggio evoluzionistico. Così la giustizia è solo per l’uomo, per gli animali c’è solo l’obbligo, non giustizia”. Chargaff disse che alla domanda su che cos’è l’uomo, Pindaro rispose “il sogno di un ombra”. “Non avrebbe potuto né voluto dar credito alla domanda: di cos’è fatto l’uomo? Questa risposta era riservata a noi: di proteine e di grasso, acidi nucleici e zuccheri. Ma ciò che non abbiamo capito è che questi elenchi sono del diavolo”. Dice Spaemann: “Purtroppo non ho conosciuto personalmente Chargaff. Era un grande scienziato che ha aiutato a scoprire il Dna e che aveva compreso chiaramente la reale minaccia catastrofica posta da certa scienza. Aveva ragione ad essere estremista. E concordo con la sua visione di una ‘Auschwitz molecolare’”. In Germania il “sì” europeo alla ricerca ha resuscitato per un po’ il passato hitleriano. “Perché i nazisti erano dei biologi e Hitler era uno scienziato, pensava che l’uomo fosse ciò che i biologi descrivono sotto il nome di ‘uomo’. Era persuaso dall’evoluzione e dal darwinismo. Rudolf Hesse disse che ‘il nazionalsocialismo non è altro che biologia applicata’. Aveva ragione”. A Buchenwald i tedeschi chiamarono Ahnenforschung (ricerca degli antenati) una delle baracche mediche del campo di concentramento. “Oggi, ancora una volta, l’homme de l’homme e l’homme de la nature deve “Benedetto XVI difende la ragione dallo scientismo. La scienza tende a distruggere se stessa, non puoi chiederle rispetto” essere sostituito dalla creazione dell’uomo da parte dell’uomo. Sarà il dominio totale dei morti, la generazione presente pianificherà le generazioni future e quando i vivi scompariranno lasceranno dietro di sé un totale dominio sul modo di vivere. Il genetista Jérôme Lejeune usava l’analogia fra i campi di concentramento e gli embrioni umani. La Chiesa è una forza liberatrice e sta dalla parte della ragione. Benedetto XVI difende la ragione contro lo scientismo e una distruttiva idea della ragione. Se fosse uno strumento di adattamento al processo evolutivo e alla sopravvivenza, la ragione non avrebbe alcun collegamento con la verità. La verità non è un’idea scientifica e la scienza ha una tendenza a distruggere se stessa. Non puoi chiederle il rispetto del prodotto dell’evoluzione”. Per questo, conclude questo retore della dignità che rende il cuore meno duro, “andare in soccorso agli uomini significa andare in soccorso a esseri naturali che sono ciò che sono, non significa farne qualcosa di diverso. Non abbiamo bisogno di andare in aiuto degli angeli perché siamo noi ad avere bisogno del loro aiuto”. Perché il passato è come un gigante con i piedi rivolti verso i vivi.