S.M.S. Ettore Majorana
Piazza Minucciano 33 - 00139 Roma
Biblioteca scolastica “Michele Maronta”
Premio “Michele Maronta” 2009
“Un viaggio nella realtà, nella fantasia, nel passato, nel
futuro…”
Raccolta degli elaborati premiati
A cura di
Elisabetta Venerosi Pesciolini.
Responsabile della Biblioteca scolastica “Michele Maronta”
Paul Gauguin “ Donde veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? ”
1897 olio su tela. Museum of fine Arts Boston U.S.A.
“Era come se mi fosse successo questo: un giorno, non so quando, mi avevano messo in una barca e poi mi
avevano allontanato da una riva qualsiasi a me sconosciuta e mi avevano indicato la direzione verso un'altra
riva, avevano messo i remi nelle mie mani inesperte e mi avevano lasciato solo. Remavo come potevo e navigavo
ma, quanto più andavo verso il centro del fiume, tanto più rapida si faceva la corrente che mi portava lontano
dalla meta e sempre più spesso incontravo dei rematori che, come me, erano trasportati dalla corrente. Vi erano
rematori solitari che continuavano a remare; vi erano rematori che avevano gettato via i remi; vi erano grandi
barche, bastimenti enormi pieni di gente; alcuni lottavano con la corrente; altri vi si abbandonavano, e quanto
più avanzavo, tanto più, guardando in giù, in direzione di tutta la fiumana dei naviganti, io dimenticavo la
direzione che mi era stata indicata. Proprio in mezzo alla fiumana, nel fitto delle barche e dei bastimenti che
scendevano lungo la corrente, finii col perdere del tutto la direzione e gettai i remi. Da tutte le parti, con
allegria e con giubilo intorno a me, con le vele o con i remi i navigatori venivano giù veloci seguendo la corrente,
assicurando me, e assicurandosi tra di loro, a vicenda, che non vi poteva essere un'altra direzione. Ed io credetti
loro e navigai per un po' insieme con loro. E fui portato lontano, così lontano che sentii il rumore delle cateratte
contro le quali dovevo andare a infrangermi e vidi le barche che vi si infrangevano ed io tornai in me. A lungo
non riuscii a capire che cosa mi era successo. Vedevo davanti a me soltanto la perdizione, verso la quale correvo
e di cui avevo paura. Da nessuna parte vedevo scampo e non sapevo che fare. Ma avendo gettato uno sguardo
indietro, vidi innumerevoli barche che senza interruzione, ostinatamente, fendevano la corrente, mi ricordai
della riva, dei remi e della direzione, e cominciai a remare indietro per risalire la corrente verso la riva".
La Confessione
Lev Tolstoj
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S.M.S. Ettore Majorana
Piazza Minucciano 33 - 00139 Roma
Biblioteca scolastica “Michele Maronta”
Premio “Michele Maronta” 2009
“Un viaggio nella realtà, nella fantasia, nel passato, nel
futuro…”
Raccolta degli elaborati premiati
A cura di
Elisabetta Venerosi Pesciolini.
Responsabile della Biblioteca scolastica “Michele Maronta”
Giuria
Prof. Enzo Bellotti , docente di Lettere, corso H
Prof.ssa Agata Lo Giudice, docente di lettere, corso B
Prof.ssa Silvana Casoli, docente di Educazione Artistica, corsi D-H-F
Prof. Leonardo Nazzareno Enea, docente di Ed. Artistica corsi, A-B-E
Prof. ssa Elisabetta Venerosi Pesciolini, docente responsabile della Biblioteca
3
Presentazione
Come ogni anno, la scuola indice un premio intitolato a Michele Maronta, un alunno della
scuola prematuramente scomparso nel 2000 , al quale è intitolata la Biblioteca scolastica e
istituito grazie alla generosità dei genitori, signori Maronta, per premiare gli alunni che
attraverso un tema o un disegno si siano dimostrati meritevoli.
Quest’anno il tema scelto è stato quello del viaggio, come metafora della vita.
Il progetto, inserito nel piano dell’offerta formativa ha previsto la creazione di uno scaffale
tematico sul viaggio suddiviso in :
viaggi di esploratori e conquistatori, viaggi per conoscere altri popoli, viaggi di avventura,
viaggi in mondi extra terrestri, viaggi nel tempo o nel mondo della fantasia, viaggi spirituali e di
formazione, viaggi obbligati come quelli dell’emigrante, del soldato o del profugo.
Nell’ambito del progetto Biblioteca è stato scelto il titolo del concorso : “Un viaggio nella
realtà, nella fantasia, nel passato, nel futuro. Racconta il tuo viaggio o illustralo con un
disegno, tenendo anche conto dei libri letti”.
Al concorso, aperto a tutta la scuola, hanno aderito nove classi .
Nel presente libretto si sono voluti raccogliere i temi degli alunni vincitori e quelli che hanno
comunque avuto una menzione di merito.
A nome di tutta la scuola ringrazio i signori Maronta, che con la loro generosità sostengono la
Biblioteca scolastica e rendono possibile l’assegnazione annuale di questo premio.
Desidero ringraziare inoltre il Dirigente scolastico prof. Luigi Dionisi, che mi ha suggerito di
creare lo scaffale tematico e mi ha sempre fornito preziosi consigli
Un ringraziamento va anche alla prof.sssa Giovanna Mancini, che in qualità di vicaria del
Dirigente scolastico, ha presenziato alla cerimonia di premiazione consegnando i premi, alla
prof.ssa Silvana Meli per l’aiuto che mi ha offerto nell’organixzzazione della premiazione, a
tutti i docenti di Italiano e di Educazione Aristica che hanno partecipato con le loro classi al
premio: Prof. Enzo Bellotti, prof.ssa Marta Bernabè, prof.ssa Annamaria Campo, prof.ssa
Silvana Casoli, Prof,ssa Paola Francini, prof. Roberto Morini, prof.ssa Angela Rossi, prof.ssa
Mirella Tripi, ai membri della giuria prof.ssaAgata Lo Giudice, prof.Enzo Bellotti. Prof,
Michelangelo Nazzareno Enea, prof,ssa Casoli e al personale di Segreteria.
La Bibliotecaria
Elisabetta Venerosi Pesciolini
Roma, 1 luglio 2009
4
VINCITORI
Premio Michele Maronta 2009
5
Vincitore classi prime: Roberto
Scarpellino Classe 1F
Motivazione: Ha saputo sfruttare bene un avvenimento storico per costruire una
narrazione originale che contiene una morale: la capacità di ognuno di poter
realizzare i propri sogni
6
Ricordo ancora il giorno in cui decisi di partire. Mi trovavo in cima ad una delle tante colline
che circondavano il mio borgo: Perugia.
Stavo seduto sotto un albero di ulivo con tela e pennelli a dipingere la mia città.
E’ quel giorno che ho capito che per tutta la mia vita avrei fatto il pittore.
Mio padre faceva il mercante di tessuti pregiati e spesso andava in Oriente. Quando tornava dai
suoi lunghi viaggi io rimanevo molto colpito ad ascoltare i suoi racconti. Ci descriveva il luogo e
i suoi abitanti, cortesi ed ospitali.
Ormai avevo deciso. Avevo studiato abbastanza nella bottega del mio maestro, dovevo trovare
nuove ispirazioni.
Corsi subito verso casa per avvertire i miei genitori.
Mia madre cominciò subito a piangere chiedendo a mio padre di farmi cambiare idea ma ben
presto capirono e mi aiutarono nei preparativi.
Prima di tutto mi serviva un cavallo forte e veloce, dei viveri per il viaggio, una spada per
proteggermi dagli attacchi dei briganti e quella meravigliosa bussola che mio padre mi aveva
portato dall’Oriente.
La sera con mio padre cominciammo a preparare l’itinerario.
Avrei visitato tantissime città e paesi. Ero molto eccitato. Mio padre era venuto a conoscere che
fra meno di un mese sarebbe partito da Palos, in Portogallo, un navigatore di nome Cristoforo
Colombo, che con tre caravelle voleva arrivare in Oriente partendo dall’Occidente, per
dimostrare che la terra era rotonda e per trovare nuove vie commerciali più sicure. Mi sarei
imbarcato con lui e avrei raggiunto così l’Oriente.
In groppa al mio cavallo, dopo un lungo viaggio, arrivai finalmente a Palos.
Mi diedi subito da fare per farmi assumere nella ciurma e ci riuscii.
Arrivò finalmente il giorno della partenza, precisamente il 3 agosto del 1492.
Con le tre caravelle salpammo dal porto di Palos, emozionati ma comunque preoccupati di
affrontare un viaggio verso l’ignoto.
Nella mia borsa, trovai la tela e i pennelli e appena finito di svolgere il mio lavoro di mozzo,
cominciavo a dipingere la mia nave, la ciurma che lavorava e ovviamente il mio capitano.
Un giorno mi vide ed entusiasta del mio lavoro, gli piacque soprattutto il suo ritratto, mi
diede l’incarico di dipingere tutto il nostro viaggio verso l’Oriente.
Navigammo per molti mesi. Eeravamo tutti molto stanchi di viaggiare ma finalmente il 12
ottobre del 1492 avvistammo terra.
Eravamo arrivati.
Roberto Scarpellino
Classe 1F
7
Vincitore classi seconde: Matteo
Innocenzi classe II H
Motivazione: Ha mostrato maturità nel comprendere i valori fondamentali della
vita, attraverso la narrazione di un viaggio.
8
Questa storia parla di un ragazzo di venti anni circa.
E’ di paese e ha la passione per la lettura, una passione che però è oggetto di derisione da parte
di tutti i suoi coetanei.
Il padre è un grande medico e la madre una professoressa universitaria.
Il ragazzo si chiama Andrea e i genitori già da quando era nella pancia della mamma, gli
avevano progettato la vita: vogliono che diventi un medico come suo padre.
Andrea non vuole affatto diventare medico. Lui vuole scrivere un libro, cantare nelle feste, ma
soprattutto viaggiare. Di viaggi ne legge tanti, ma realmente non ne ha fatto neanche uno fuori
dal proprio paese.
Ad Andrea non piace l’idea di essere una marionetta nelle mani dei genitori, perciò decide che è
arrivato il tempo di uscire dagli schemi e partire per un viaggio, per dimostrare a se stesso, ma
soprattutto ai suoi genitori, quanto vale e che non ha nessun bisogno che qualcuno gli dica come
vivere la propria vita.
Prende le chiavi e qualche cosa di indispensabile, come il cellulare, il portafoglio e qualche
indumento, dopo di che sale sulla sua moto e parte per la città più vicina e più conosciuta
attraverso i suoi libri: Milano.
Così con la moto arriva in quella immensa città.
E’ sera. Le luci dei locali si accendono, si sente lo sfrecciare delle auto e le musiche delle
discoteche e dei locali.
E’ confuso, non conosce nessuno e non conosce come si trasforma una città durante la notte; lui
è abituato ad andare a letto presto, a meno che non ci sia qualche festa.
Al suo paese, le strade sono buie, con qualche lucetta qua e là. La città invece è un’insalata di
luci che lo circondano; gli fa girare la testa, non si è mai sentito scombussolato a quel modo.
Se si fosse sentito così al paese, qualche conoscente lo avrebbe soccorso.
Nella città invece si sente anonimo, una delle tante persone che vanno e vengono correndo, uno
come gli altri, un nessuno in quella moltitudine di nessuno, in quella immensa città.
Decide di rimanere vicino alla moto, di notte è probabile che si perda in quel mare di gente.
Dorme sulla moto, ha freddo ma non gli importa, preferisce avere freddo che perdersi; riflette
sulla sua esistenza e sul posto dove si trova.
Si è messo in un luogo appartato dove riesce a distinguere qualche monumento ma nulla di che,
ci sono troppi palazzi a nasconderne la vista. Guarda l’unica cosa immensa che conosce, il cielo.
Ma è un cielo senza stelle, vuoto, quasi grigio, non è come quello sopra il suo paese.
Dorme nella notte movimentata e si risveglia alla stessa ora alla quale si sveglia di solito:
all’alba, quando il sole caldo si alza in quel cielo grigio.
Sente fame ma i bar sono ancora chiusi e aspetta. Poco dopo arriva un barista che si mette
ancora assonnato dietro il bancone.
Andrea non sa come comportarsi davanti ad un barista sconosciuto, così un po’ impacciato
ordina una ciambella zuccherosa e un cappuccino per fare colazione.
Intanto è entrato qualche vecchietto per leggere il giornale e chiacchierare. Andrea inzuppa la
ciambella nel cappuccino. Tutti lo guardano, sente di aver fatto qualcosa di sbagliato e
imbarazzato lascia la colazione, ordina i panini per il pranzo e prende la moto per dirigersi in
un altro luogo di cui aveva solo sentito parlare nei libri, il mare.
9
E’ lì sulla spiaggia e vede quella immensa distesa d’acqua, si toglie i vestiti e si mette il costume,
immerge i piedi in acqua. Non è tanto fredda e il fondo è morbidissimo e sabbioso.
Si bagna le mani e si porta un dito sulle labbra;sente il sapore salato del mare che non aveva mai
sentito prima. Fa un bagno per rinfrescarsi, poi si sdraia sulla sabbia calda e soffice al tatto.
Scruta il mare: dove è lui non è un gran che, ma man mano che la vista si spinge lontano è
sempre più azzurro. Guarda all’orizzonte dove la vista non va oltre e si mette a riflettere
mentre mangia quel panino che non ha sapore (è più buono quello al paese).
Il mare è bello si, ma è immenso e lui non ha nessuno con cui parlare che non sia se stesso. In
mezzo ai due infiniti, cielo e mare, si sente come un granello di sabbia, si sente un niente.
Subito prima della spiaggia c’era un marciapiede. Decide di percorrerlo senza motivo.
Prima incontra una comitiva. Sono intorno ad un fuoco sulla sabbia e cantano divertendosi; gli
mancano i suoi compagni anche se lo trattano male.
Poi gli passa accanto una coppietta. Gli manca anche l’amore…non ha mai avuto una ragazza.
Troppo timido.
La gente va e passa e come il vento trasporta le foglie in autunno.
Arriva alla moto, ma la moto non parte più, ha un guasto al motore. Non sa come fare, così si
mette a fare l’autostop vicino alla strada. Nessuno si ferma, la gente di città è superficiale e
menefreghista, non ha tempo.
Il caso vuole che dopo due ore lì si fermi un carro attrezzi. L’autista chiede se ha bisogno di una
mano e Andrea ne approfitta per chiedere un passaggio fino al suo paese.
Durante il viaggio Andrea parla con il camionista che gli chiede come fosse arrivato lì e dove si
trovava la sua famiglia.
Andrea racconta la sua storia e poi vuole sapere anche chi è il camionista, che gli racconta di
avere una moglie, due figli meravigliosi, una casa e un lavoro modesto, ma che gli basta per
mantenere la famiglia.
Andrea sente una morsa che gli mangia lo stomaco da dentro. Stavolta non è la fame, ma la
nostalgia. Rivuole i suoi pizzosissimi genitori, con i loro milioni di progetti; gli stavano stretti
ma gli volevano bene da morire. Il viaggio è finito,
Andrea ringrazia il camionista che non vuole la ricompensa e si trova così sulla soglia di casa.
Bussa timidamente alla porta e i genitori escono di corsa ad abbracciarlo; presto tutto il paese
va a riabbracciarlo.
Adesso si sente qualcuno, gli amici gli vogliono bene, altrimenti non sarebbero andati ad
accoglierlo e brindare per il suo ritorno.
La ragazza vicina di casa lo prende in disparte e lo bacia; dal suo bacio ha sentito tutto quello
che ha fatto e ha provato in quei giorni e restano insieme a passeggiare mano nella mano.
Prova una sensazione di felicità e solo adesso capisce due cose:
il significato dello stupido quadretto sulla porta di casa che dice “Casa mia casa mia ben piccina
che tu sia tu mi sembri una badia”, ma soprattutto ha trovato nel paese tutto quello che gli
mancava e ciò significa che non c’è bisogno di cercare la felicità in posti lontani; molto spesso è
dietro l’angolo, basta solo saperla trovare ed apprezzare.
Matteo Innocenzi
Classe II H
10
Vincitrice classi terze: Barbara
Centrone classe 3C
Motivazione: ha dimostrato capacità introspettiva e di riflessione su una
esperienza di tipo personale, vissuta come un viaggio interiore
11
Mi hanno detto che sono un po’ come il gabbiano Jonathan Livingstone di Richard Bach.
In quella che bisognerebbe definire “classe” ma che classe non è, volo più in alto di tutti.
Non sono una persona vanitosa. Non ci avevo mai pensato e di sicuro non mi sarebbe venuto in
mente se una persona che conosce la mia classe non me l’avesse fatto notare.
Volo più in alto.
Ma che significa?
L’esperienza dei tre anni alla scuola media è un treno che passa una sola volta nella vita.
Ed io, su questo treno sono salita tranquillamente, con quel velo di paura necessario a provare
l’adrenalina.
Ma questo treno è stato scomodo, affollato di persone che desideravano a tutti i costi sedersi sul
mio posto, accanto al capitano.
La metafora del treno rappresenta veramente a perfezione la mia “ tormentata” esperienza dei
tre anni.
Il viaggio nel passato è spinoso, ma è proprio quel dolore, che mi spinge ad andare avanti.
Anzi, indietro!
Torno indietro al primo giorno di scuola.
Si che me lo ricordo!
Io e la mia amica ci siamo sedute al primo banco, impaurite ma allo stesso tempo eccitate e
curiose.
Ero vestita da “perfetta studentessa modello”: due trecce ai capelli, jeans anonimi e una
maglietta a righine di tutti i colori.
L’aula era troppo piccola per contenere venti ragazzi, sudati per l’emozione.
Il rumore di sedie, voci e urla mi mettevano ansia.
Mi ricordo il sorriso smagliante di quella che sarebbe diventata la nostra professoressa.
Faceva caldo, non ricordo se per le dimensioni ridotte dell’aula, o per la finestra aperta che
lasciava entrare l’afa ancora estiva.
Il primo anno è stato abbastanza tranquillo, per quanto riguarda la situazione delle amicizie
con i nuovi compagni.
Dal secondo anno è iniziato quello che ho definito “l’incubo”.
Sono stata presa di mira e alcune ragazze si sono “coalizzate” e hanno cercato - e ci sono anche
riuscite – di rompere il legame d’amicizia tra me e la compagna, con la quale avevo condiviso il
banco il primo giorno di scuola.
Mi ricordo quando a ricreazione, le ho chiesto perché fosse così fredda e sgarbata con me.
Ricordo le esatte parole ma credo sia meglio non trascriverle…
Mi disse che le avevano riferito che io avevo parlato male di lei in sua assenza.
Non volevo far vedere che ero debole, ma la rabbia verso le tre ragazze che le dissero quella cosa,
non vera, e la tristezza si trasformarono in lacrime disperate..
Ricordo che andammo a chiarirci nell’aula del sostegno.
Mi disse che aveva trovato il suo equilibrio e nelle lacrime anche lei disse che io ero la “sfigata
leccapiedi” e anche se facemmo pace, nel mio cuore è rimasta una spina.
Ho sempre seguito il consiglio di Virgilio a Dante , nella Divina Commedia: “…Non ti curar di
lor ma guarda e passa…”
12
Man mano che i giorni passavano, la rabbia si accumulava ma non ho mai reagito. Qualcuno se
ne era accorto.
Sono il gabbiano, volo ed ho volato più alto degli altri. E più salivo in alto, più venivo esclusa,
guardata male.
Più i voti erano alti, più i temi erano lunghi, più venivano organizzate feste, uscite ed io non
venivo invitata..
Le prime volte tornavo a casa e piangevo, ma uscendo con altri amici ho capito che con i
compagni di classe non ho nulla da condividere, perché non capiranno mai cosa provo suonando
il violino. Non capiranno mai perché sono così semplice, né perché riesco ad accettare il mio
corpo senza mascherarlo con il trucco.
Non comprenderanno il perché io non abbia bisogno di dire parolacce, né di portare i pantaloni
calati, per sentirmi grande.
Preferisco dunque stare con persone che come me rispettano per prima cosa i genitori e gli adulti,
che si accettano e accettano gli altri per quello che sono, senza giudicare all’apparenza.
Ho finalmente trovato amici che ridono con me e non di me. Persone che sanno interpretare il
mio stato d’animo dallo sguardo, che non mi prendono in giro perché mi vesto di giallo.
Il viaggio nel passato è spinoso ma allo stesso tempo permette di riflettere sul perché di oggi.
Anche perché, se no, a che serve studiare la storia?
Barbara Centrone
Classe 3° C
13
Vincitore del Premio settore grafica Tristano
Monaca classe 2F
Motivazione: Ha espresso graficamente, in modo efficace, un messaggio di
solidarietà per il popolo Rom
14
Il disegno illustra il viaggio di un ragazzo che, a metà strada, si imbatte in un campo Rom, dove
rimane per alcuni giorni. Conosce, bambini, feste e usanze della loro vita. Si appassiona a
questo modo di vivere e decide di rimanere con loro, fino a quando non riprenderanno a
viaggiare.
Tristano Monaca
Classe 2F
15
MENZIONI
DI
MERITO
16
Menzione di merito all’alunna Michela
Stefanoni , classe 1F
Motivazione: per l’impegno dimostrato nella costruzione di una storia fantastica
17
Glimwas era ormai stanca, le tremava tutto il corpo e sapeva di doversi fermare per riposare.
Anche Vendon, il suo cane, era ormai allo stremo delle forze.
Era quasi sera, il cielo aveva sfumature rosa e rosse e non c’era alcuna nuvola. Se si fosse
trovata a casa Glimwas avrebbe preso tela, pennelli e colori e avrebbe disegnato quel bellissimo
momento.
Lei e Vendon camminarono ancora per qualche ora, poi cercarono un posto tranquillo per
trascorrere la notte.
Accese un fuoco con qualche ramo e uno dei pochi fiammiferi che le restavano, poi prese dalla
sacca di pelle che aveva sulle spalle una coperta, un pezzo di formaggio e ne diede metà al cane.
Decise di lasciare il fuoco acceso per tenere lontani gli animali e diminuire il freddo e cercò di
addormentarsi.
Come al solito non fu facile. Il vento si infiltrava tra i vestiti , i rumori della notte le mettevano
paura e i ricordi continuavano ad attraversarle la mente, ma soprattutto le mancavano i
genitori.
Osservò Vendon, stringendolo tra le sue braccia: era un bel cane e tutte le sue amiche glielo
invidiavano:un Terranova nero, con occhi dolci e tanta voglia di giocare.
Chiuse gli occhi pensando al giorno in cui lo aveva trovato e, finalmente si addormentò.
La mattina seguente fu svegliata da qualcuno che la scuoteva; pensò di essere di nuovo a casa e
che i giorni passati fossero stati solo un brutto sogno. Quando aprì gli occhi vide il cielo azzurro
e le sue speranze svanirono: stava sempre viaggiando e in più qualcuno l’aveva scoperta, forse i
gendarmi. Si alzò preoccupata e davanti ai suoi occhi apparve un ragazzo dall’aria sveglia,
capelli neri e occhi color mare; doveva avere quasi la sua età. – Ti sei svegliata, dormigliona! Io
sono Klorend – e le tese una mano incrostata di terra. Glimwas la strinse e gli rispose con garbo:
- Piacere, il mio nome è Glimwas ma chiamami Glim e lui – indicò il Terranova – è Vendon, il
mio cane. Potrei sapere il motivo per cui mi hai svegliata? – Chiese infine, con una voce
leggermente seccata. Klorand eruppe in una fragorosa risata e spiegò che gli avevano rubato la
sua carrozza ma gli avevano lasciato i cavalli e gli serviva un’altra persona che montasse uno
dei due. Vendon sarebbe potuto stare in una cesta sopra il cavallo e naturalmente Glim avrebbe
ricevuto dei soldi. La ragazza accettò di buon grado e, dopo qualche preparativo, partirono.
La giornata trascorse veloce, Glimwas si accorse che chiacchierando e scherzando con Klo (così
era il diminutivo del ragazzo) riusciva a non pensare ai genitori.
Trascorsero i giorni, Klo le raccontò e le spiegò molte cose. Le disse anche che i due cavalli erano
dei purosangue.
Quello che cavalcava lei si chiamava Dindo, era di un bianco lucido con delle chiazze marroni,
quello di Klorend era invece nero, come la notte.
La sera Glim si curava le vesciche causatele dalla cavalcata con un unguento datole dall’amico;
aveva un odore cattivo ma curava qualunque cosa.
Inconsapevolmente, dopo l’arrivo di Klo, tutte le mattine si aggiustava i mossi e lunghi capelli
corvini e osservava il suo riflesso sulle superfici ghiacciate: il suo corpo longilineo, i suoi
profondi occhi marroni…solo dopo era pronta per partire.
Nessuno dei due faceva domande sul passato dell’altro per paura che venissero fatte sul proprio,
visto che nessuno dei due era in regola con la legge.
18
Passarono di città in città, di villaggio in villaggio, finché non videro appesi a un muro i propri
ritratti con scritto” RICERCATO”.
La preoccupazione si dipinse sul loro viso, salirono sui loro cavalli e scapparono.
Attraversarono colline, lagune, foreste ma non passavano più per città o paesi.
Istituirono dei turni di guardia per la notte e diventarono molto nervosi.
Quando, in un pomeriggio di pioggia, vennero catturati, non riuscirono a capire cosa fosse
successo. Un attimo prima stavano attraversando la radura, quello dopo erano imbavagliati in
una carrozza.
Dopo un breve viaggio, si ritrovarono in una gendarmeria; degli uomini in divisa spiegarono ai
due ragazzi che due contadini li avevano riconosciuti e avevano avvisato loro i gendarmi.
Poi chiesero a tutti e due di raccontare loro, come fossero arrivati fin lì.
Klo raccontò che stava accompagnando i padroni in viaggio e la notte doveva fare il guardiano.
Purtroppo una sera si addormentò e venne svegliato da delle voci che urlavano: dei briganti
stavano rubando la carrozza con sopra i padroni.
Questi ultimi, vedendolo, gli dissero: - Te la faremo pagare! –
Klorand riuscì a salvare solo i cavalli, visto che i briganti ne avevano altri.
La storia di Glim era ancora più tragica: i genitori erano abbastanza ricchi e molto spesso i
briganti si infiltravano nella loro casa. I suoi riuscivano sempre a scacciarli ma quella notte il
brigante si dimostrò più forte di loro e, per derubarli, li uccise però non ebbe il coraggio di
provocare la morte di Glimwas e così decise di prenderla con sé. Poiché quell’uomo era cattivo
Glim aveva deciso di scappare.
Poi i due ragazzi seppero che i padroni di Klo erano riusciti a scappare anch’essi e avevano
denunciato il loro servo e che il brigante assassino aveva accusato Glim di avere ucciso i
genitori.
I gendarmi, dopo alcuni accertamenti, credettero alla versione dei fatti dei due amici,
imprigionarono il brigante e costrinsero i padroni di Klorand a lasciarlo libero.
Così Klo e Glim vennero adottati da un’anziana ma buona signora, vissero felici per molto
tempo, naturalmente insieme a Vendon.
Michela Stefanoni
Classe 1F
19
Menzione di merito all’alunno PAOLO
STRUSI, classe 2D
Motivazione: Per l’accurata indagine storica e per il messaggio positivo di ripudio
della guerra
20
Correva l’anno 1862. Gli Stati Uniti erano dilaniati da una spaventosa guerra civile, scoppiata
a causa della tratta degli schiavi ancora presente negli stati del sud nonostante la dichiarazione
del presidente Lincoln.
Io ero solo un fabbro e non avrei mai immaginato di arruolarmi nell’esercito nordista se non
fosse stato per mio padre, un ex combattente della guerre indiane.
Il 13 marzo di quell’anno, il giorno del mio compleanno, mio padre si presentò con una divisa da
recluta in mano. Me la porse e mi disse con tono orgoglioso: - Prepara le tue cose, il reggimento
di Grant parte tra due ore. Fatti trovare all’uscita del paese.
Per la prima volta nella mia vita mi venne l’irrefrenabile impulso di picchiare un vecchio.
Il giorno dopo partii per la frontiera al comando del generale Grant.
Passarono molti giorni senza che dovessi fare niente di straordinario. Spionaggio delle truppe
nemiche, scorta ai rifornimenti, azioni di sabotaggio alle linee dei telegrafi sudisti.
Durante il viaggio toccai con mano la povertà.
La gente che non poteva combattere viveva in bugigattoli, avendo visto andare perduti tutti i
propri beni, saccheggiati o distrutti.
Il 5 aprile 1862, ci accampammo nella zona acquitrinosa di Shiloh Church, nei pressi della città
sudista di Corinth.
L’attacco era pianificato per il giorno seguente ma accadde qualcosa di imprevisto: quattro
divisioni sudiste, comandate dal generale Johnston, accerchiarono la nostra posizione. Il piano
di Johnston era di respingerci nell’illinois per farci lasciare sguarnito il Kentucky.
Se il piano del generale sudista fosse riuscito, il Kentucky sarebbe potuto secedere dall’Unione,
ciò sarebbe stato disastroso.
Ma Johnston dovette fare i conti con la divisione di Buell e Wallace, che il 7 aprile ci
raggiunsero a Pittsburg Landing.
Il generale Beauregard, che succedette a Johnston dopo la sua morte, dovette far suonare la
ritirata.
L’8 aprile Grant mandò la divisione di Sherman con il compito di inseguire le truppe sudiste in
ritirata. Nel mese successivo Corinth venne conquistata dai nordisti.
Nel 1865 la guerra finì, con la vittoria dei nordisti ma nel sud sono ancora presenti
discriminazioni contro i negri, dopo venti anni dalla fine del conflitto.
Questo viaggio mi ha insegnato che la guerra non risolve le tensioni tra razze e religioni, bensì le
intensifica.
Prego il cielo perché un giorno i posteri capiscano questa verità: la guerra non è mai la scelta
migliore per appianare le divergenze, ma il metodo più indicato per portare rovina e disperazione
tra i civili e gli innocenti.
Paolo Strusi
Classe 2D
21
Menzione di merito all’alunna Silvia
Travaglini , classe 2F
Motivazione: Per l’originalità e la fantasia del contenuto
22
Sono O, e ora i miei possenti rami si stendono verso gli astri. Sono una sequoia, penso di avere
circa mille anni. Il mio tronco è enorme. Saluto la brezza che passa tra le mie foglie, le stuzzica
e fa loro il solletico. Non vedo, ed è la prima volta. Sono sempre stato un essere provvisto di
occhi, quando era un qualcosa di naturale. Non ero mai entrato in un albero. La sequoia in cui
vivo ora mi racconta la sua storia, ciò che ha visto passare vicino alle sue radici, che ora sono le
mie.
All’improvviso, una forte ventata strappa la mia anima da dove ero.
Ora sono il vento. Accarezzo i fiori e le nuvole, i cerbiatti e il muschio. Il nero cielo mi accoglie,
la luna mi illumina. Non sono un essere vero, immagino. Vivo negli altri, esisto in loro. Sento le
loro storie, usufruisco delle loro emozioni, dei loro pensieri. Una volta, sono stato dentro lo
spirito di una vecchia bottiglia di Champagne e venivo usato come recipiente per il mangime di
un canarino. Un tempo ero stata , come mi aveva raccontato essa, stappata da una coppietta di
sposi, poi buttata in un cassonetto della spazzatura, raccattata da un povero accattone,
lasciata in strada, raccolta da una nonnina che mi aveva usato come “ciotola”.
Sfioro l’acqua salmastra, ho raggiunto l’oceano. Vi rimango intrappolato. Il mare mi dice di
chiamarsi Pao. Quindi per un po’, questo sarebbe stato il mio nome. Il sole mi riscalda, dei
piccoli pesci guizzano intorno a me. Mi avventuro verso l’acqua più nera e profonda. Bagno
l’occhio di una balena, entro in lei. Si sta dirigendo verso il sud-est, verso l’Africa. Non vi sono
mai stato. La balenottera si chiama Masa e il suo anziano compagno che le è accanto Ar. Sbatto
la mia coda, emergo e respiro. Rigetto verso l’alto l’acqua ingerita, essa tocca un uccello
migratore e vivo in esso.
Muovo poco le grandi ali, sento di non averne così bisogno. Taglio l’aria con il mio becco
adunco. Chissà se mai morirò. Chissà se mai mi fermerò in qualche essere. Chissà chi sono
davvero. Forse, nessuno. Il vento mi porta verso le nuvole. Sono bellissime di notte. Sotto di me,
il mare non è più calmo. Le onde mi schizzano, la pioggia mi appesantisce le ali. Ho viaggiato
molto, è giorno, l’alba trionfa sul buio. Mi tuffo per catturare un pesce, l’afferro, entro in esso,
mi divincolo e nuoto veloce.
Sono un barracuda, mi sposto in modo rapido, scattante, preciso. La mie squame argentee sono
illuminate dai raggi del sole. Mi tramuto in essi. Sono caldo e luminoso, vibro un pò, silenzioso.
Mi allungo verso una terra lontana, irradio un filo d’erba, entro nella sua linfa. Vengo scosso e
fatto oscillare dal vento, che mi trasporta su una gazzella. E’ una femmina e si chiama Sapa.
Bruco il secco pascolo africano insieme al branco. Ho una grossa e pesante pancia, sento molto
dolore. Ho la forte voglia di stare da sola, in un posto sicuro. Mi allontano, vado dietro massi e
arbusti. Mi accascio, inizio a sentire fitte all’inguine. Qualcosa, dentro di me , si muove. Gli
voglio bene. Sto sempre più male ma, anche se non riesco a capire perché, sono felice. L’stinto mi
dice di spingere fuori, l’essere dentro di me. Spingo così, fino allo stremo e riesco a farlo uscire.
E’ bellissimo, è un piccolo me, lo amo tanto. Inizio a leccarlo. Rimango intrappolata in lui.
Vedo tutto con curiosità, è tutto nuovo. Non mi racconta nulla, è la prima volta che vive, mi
dice. Sa solo che si chiama Neo.
Guardo la mia mamma. E’ grande e mi fido di lei. Riesco, non subito, ad alzarmi. Sapa mi
guarda con amore, continua a leccarmi con energia, e io mi avvicino alle sue mammelle. Il suo
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latte è tiepido e buono. All’improvviso si gira di scatto. Anch’io. Un ghepardo ci osserva,
acquattato. Corriamo via, ho paura. Lui è più veloce. Mi tocca ed io, O, entro in lui.
Provo pietà per il piccolo, ma ho fame. Azzanno la madre, ma riesce a scappare insieme a Neo.
Mi arresto. Il mio cuore batte rapido. Mi giro. Un uomo! E’ scuro di pelle. Loro non uccidono i
ghepardi. Solo gli uomini chiari lo fanno. E’ buono lui. Si avvicina, mi allontano. Si avvicina,
resto fermo. Lui mi sfiora, io entro in lui, il ghepardo scappa. Accanto a me, una donna. E’
bellissima. L’abbraccio, mi trasferisco in lei. Anche io voglio bene a quell’uomo. E’ mio fratello.
Voglio bene anche agli animali. Il nome di lei è Tepa. Salgo insieme a mio fratello, sul nostro
elefante. Entro in esso. Cammino. Si chiama Ma.
Arrivo ad un villaggio, mi accarezza una ragazzina, entro in lei. Devo andare a prendere
l’acqua, ma è quasi notte, devo correre.
I miei piedi nudi corrono sulla terra calda. Il vento mi accompagna. Mi chiamo Sala, so
muovermi rapidamente. Arrivo al pozzo in fretta. E’ notte. Stelle. Tiro su con un secchio,
dell’acqua. Un astro si rispecchia splendente. Le mie mani , magre e affusolate lo toccano, entro
in esso.
Ora sono una stella. Le chiedo il suo nome.:O. O? Sono io. Mi sono trovata. Ora, so chi sono.
Sono una stella. La stella O. Non dovrò più viaggiare nelle vite degli altri. Mi sono trovata.
Sono io. Sono io. Sono io!
Una lacrima scende da me.
Le stelle piangono?
Silvia Travaglini
Classe 2F
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La scuola ringrazia con una targa ricordo i signori Maronta
Indice
Presentazione_______________________________________ pag. 4
Vincitori _________________________________________ pag. 5
Menzioni di merito____________________________________ pag. 16
Scuola Media statale “Ettore Majorana”
Piazza Minucciano 33 - 00139 Roma
www.scuolamajorana.it
Biblioteca scolastica “Michele Maronta” 
Roma, 1 luglio 2009
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Un viaggio nella realtà, nella fantasia, nel passato, nel futuro…