Per ogni negozio che apre, ne chiudono due. Il piano-giovani di Letta
è un flop. Crescono le tasse sulle pensioni. La crisi non cambia verso
Domenica 29 giugno 2014 – Anno 6 – n° 177
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e 1,30 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
RIFORME, IMMUNITÀ SÌ
FALSO IN BILANCIO NO
Domani in Cdm solo una vaghissima discussione sulle linee guida, sebbene il premier avesse
giurato “a giugno il pacchetto giustizia”. Per lo scudo su Palazzo Madama invece nessun passo
d’Esposito e Marra » pag. 6 - 7
indietro. Senato elettivo, Razzi e Scilipoti si convertono a Chiti
NAPOLITANO E LE PROCURE
LO SCANDALO MOSE
Lo strapotere del capo
dei pm e la lettera
al Csm: il Quirinale
della trasparenza zero
Orsoni, il Gip dice no
al patteggiamento:
“Fatti troppo gravi”
Ma c’è rischio prescrizione
Tinti » pag. 5
Amurri, Massari e Vecchi » pag. 4
LE PAGELLE DEL VERTICE
Il gran risiko di Bruxelles:
vince la Merkel, Renzi
pareggia e Cameron va ko
Con la nomina di Juncker, inizia la battaglia
su regole e flessibilità. Per le altre caselle scoperte
giù D’Alema e Letta, su la Mogherini Feltri » pag. 8
» IL REPORTAGE » L’eterno disastro dell’Ilva e la rabbia della gente per strada
Taranto, il veleno rosa
sulle mani dei bambini
Vita, morte e tribolazioni della città che, secondo i funzionari
dello Stato, gode di aria pulita e sana: i quartieri invasi
dalle polveri, i malati di cancro, i bimbi costretti a giocare
dentro casa anche d’estate
Borromeo » pag. 2 - 3
LA CATTIVERIA
I fumi dell’Ilva e le polveri sulle
mani dei bambini Luigi Piepoli
L’INTERVISTA
100 anni fa il casus belli della Grande
Guerra. L’Austria lanciò l’hashtag #Serbiastaiserena » www.forum.spinoza.it
I MONDIALI DI CALCIO
Piera Degli Esposti:
“Io, De Chirico
e la Renault 4 di Moro”
Il grande teatro,
i tamburi della Maraini
e le giacche di Moretti
E ora la felicità delle
fiction tv
Corallo
e Pagani » pag. 16 - 17
Brasile, che paura!
Con il Cile si salva
all’ultimo rigore
(e grazie a due pali)
Malcolm X: “Solo
con la violenza
non saremo schiavi”
Enzo Biagi » pag. 12 - 13
Maledizione “Roja”: sulla
traversa il tiro al 120°
minuto di gioco, sul legno
il penalty finale. Neymar
& co. passano ai quarti
Beccantini e Beha » pag. 18 - 19
Latitante? No, senatore
di Marco Travaglio
opo due settimane di inseguimenti, il giallo
D
dell’immunità ai senatori non più eletti è
dunque risolto: nel progetto originario del go-
verno Renzi non c’era; poi il 17 giugno – fa sapere Palazzo Chigi, dopo le nostre ripetute insistenze – il premier incontrò una delegazione di
senatori Pd che la chiesero a gran voce; allora il
Rottamatore divenne Restauratore e diede l’ok al
ripristino dello scudo impunitario. Che infatti si
tramutò immantinente in emendamento firmato da Finocchiaro&Calderoli, relatori in commissione Affari costituzionali, che intanto avevano raccolto l’unanime analoga richiesta degli
altri partiti favorevoli al Senato non elettivo
(Ncd, FI, Lega e centrini). Emendamento approvato per ben due volte via email il giorno 19 dal
ministero delle Riforme guidato da Maria Elena
Boschi. Il 21 giugno il lieto evento apparve sui
giornali. E il 22 la bella addormentata nei Boschi
dichiarò a Repubblica che era tutta colpa dei partiti, mentre lei e il governo tutto erano contrari.
Una bugia bella a buona, visto che sia Renzi sia
lei avevano avallato il ripristino dell’immunità.
Finocchiaro e Calderoli, rimasti col cerino acceso in mano, si ribellarono e dissero che erano
tutti d’accordo – partiti e governo –, precisando
di essersi limitati a fare i notai della suprema
volontà della maggioranza delle riforme, cioè
della somma di quella del governo più FI e Lega
(esclusi una dozzina di dissidenti del Pd). Apriti
cielo, fuggi-fuggi generale: a parole, tutti i partiti
favorevoli divennero contrari. Nei fatti, pur potendo cancellare l’emendamento Calderoli-Finocchiaro, si guardarono bene dal farlo. La solita
fiera del tartufo. Tant’è l’immunità rimane scritta a caratteri aurei nel testo che il Senato inizierà
a votare a metà luglio. L’unica differenza rispetto
all’attuale articolo 68 della Costituzione è l’annuncio che a votare l’autorizzazione agli arresti,
alle intercettazioni e alle perquisizioni dei parlamentari non saranno più Camera e Senato, ma
la Corte costituzionale. Vedremo se questa bizzarra innovazione, che affida al giudice delle leggi la responsabilità di esprimersi su un’indagine
giudiziaria in corso, resterà affidata alla tradizione orale tipica dell’èra renziana, o si tradurrà
in qualcosa di scritto. La sostanza è che i senatori, anche se non verranno più eletti ma nominati dalla Casta, resteranno cittadini più
uguali degli altri. Come i maiali di Orwell.
Infatti di questa porcata nessuno vuole assumersi la paternità, come se l’avesse portata la cicogna
all’insaputa di tutti. Da ieri, grazie al nostro giornale, sappiamo invece che: a chiederla è stato il
Pd, a volerla è stato Renzi in persona e a dire le
bugie è stata anche la Boschi. Sarà bene tenerlo a
mente in vista del voto al Senato, perché lì la
questione tornerà d’attualità e ripartiranno le
supercazzole e gli scaricabarile. La principale
scusa per giustificare l’ingiustificabile è questa:
l’immunità non è un privilegio per gli eletti, ma
una garanzia per la carica. Lo scrive il giurista
Michele Ainis sul Corriere di ieri, rammentando
che sono immuni anche i giudici costituzionali,
che nessuno elegge. Vero, ma il giudice costituzionale fa solo il giudice costituzionale. Il nuovo senatore invece è un cittadino eletto per fare il
sindaco o il consigliere regionale, dopodiché il
consiglio regionale gli mette pure il pennacchio
di senatore: il fatto che sia anzitutto un amministratore locale è dimostrato dal fatto che scade
da senatore non al termine della legislatura senatoriale, ma quando chiude il mandato nel suo
comune o nella sua regione, o quando la sua
giunta cade in anticipo. Il nuovo Senato non
esercita più il potere legislativo (non vota le leggi, a parte quelle costituzionali, ma esprime solo
pareri non vincolanti alla Camera): è una sorta di
dopolavoro gratuito e part-time per amministratori locali, che non si vede perché mai dovrebbero essere immuni full-time. O meglio, si
vede benissimo: i partiti già pensano di mandarci i loro compagnucci nei guai con la giustizia
per salvarli dalla galera. In fondo il Senato è sempre meglio della latitanza.
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SPROFONDO SUD
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
Sdeii guasta
la pompa
rifornimenti,
petrolio in mare
ANCHE IERI UN INCIDENTE a Taranto: la rottura
della valvola di una tubazione attraverso la quale era
stata rifornita di gasolio una nave della Marina militare nella base navale Chiapparo ha provocato lo
sversamento in mare di carburante. Angelo Bonelli,
dei Verdi: “Tra diossina (Ilva), benzene (Eni) e petrolio, Taranto si trova in una situazione drammatica
con un futuro compromesso”.
C’è Ignazio, il barista, ad accogliere i giornalisti: “Voi venite,
scrivete e poi andate via. Ma qua la guerra non finisce mai”
C’è Sabrina, che ha perso papà Peppino e il marito Nicola: “A mio
padre è andata bene, solo un mese di malattia. Nicola invece ci ha
messo tanto. E io vorrei andarmene, portare via almeno
la bambina: ma chi viene a comprarsi adesso una casa a Tamburi?”
di Beatrice Borromeo
L’
inviata a Taranto
uomo fa scivolare il dito indice lentamente, da destra a
sinistra, sulla superficie liscia
e scura del bancone del suo
bar. “Sono un concorrente
del Grande Fratello”, dice
mostrando la polvere rossastra che gli si è accumulata sul polpastrello. Polvere che sembra cipria, che quando la soffi controluce brilla. “Oggi
chi è stato nominato? Io? Allora oggi muoio io”. Il
piccolo bar nella piazza centrale del quartiere
Tamburi – quello che, secondo il sub-commissario Ilva, Edo Ronchi, gode dell’aria tra le migliori d’Italia – fotografa la realtà complessa di
Taranto. “Pulisco tutti i giorni, e ogni venerdì
strofino per bene ogni angolo e lavo i vetri. Ma
non c’è niente da fare: la polvere entra lo stesso,
s’infiltra ovunque. Respiro tutto il giorno un’aria
che fa venire il cancro”.
Ignazio con la barba bianca e i capelli neri ha due
categorie di clienti. I giornalisti e gli operai. Quando entriamo noi, comincia lo show: ci racconta,
indicando col dito ancora sporco di “quella zoccola dell’Ilva”, che la sua città “sembra uscita dalla
guerra. È tutto sospeso. Si parla dei Mondiali, non
dei tumori. Siamo abituati, indifferenti. Voi cronisti scrivete due righe e poi ve ne fregate. Ma qui
la guerra dovrebbe essere finita già da un po’, eppure la vita non riparte”. Ignazio dice tutto quello
che ti aspetti di sentire: “C’è un altro funerale, oggi, a Santa Rita. Un altro ragazzo morto di tumore”. Ma se gli chiedi di farsi fotografare, la disinvoltura che ormai ha con la stampa lascia il posto
alla paura di perdere la clientela: “Non posso. Qui
ci vengono gli operai. Non si può parlar male della
zoccola. Altrimenti la gente si arrabbia: ha paura
di perdere il lavoro. Vi faccio lo sconto-giornalisti, un euro per i vostri caffè, ma non chiedetemi
la foto”.
LA CITTÀ ROSA E LE COZZE ILLEGALI
Più ti avvicini a Tamburi, più il paesaggio si colora
di rosa. Appena attraversi il ponte girevole, che
divide la città vecchia da quella nuova, e ti lasci alle
spalle il Castello Aragonese e la sua storia millenaria, cominci a notare le ferite con cui convive la
gente. Basta guardare il mare. Anche dove non
piovono i siluri della Marina militare – un bagnante ne ha trovato uno di un paio di metri sganciato
qualche giorno fa, per errore, da un elicottero – di
spie ce ne sono eccome. E sono rosse, di plastica,
galleggianti. Sono le decine di boe disseminate nel
Mar Piccolo di Taranto a indicare le coltivazioni
delle cozze tarantine, famose nel mondo ma ormai
contaminate. “Per legge non si possono più né
mangiare né vendere, anche se i pescatori a volte se
ne fregano”, raccontano sul lungomare, mentre
due ragazzini sfrecciano avanti e indietro su un
motorino grigio, senza meta e senza casco. Rosse
come le recinzioni che confinano la terra tossica
del cimitero San Brunone, dove i morti non si possono più seppellire perché il rischio per chi scava le
fosse è troppo alto. Poi alzi gli occhi e vedi le boe
sovrastate da una torre blu che sulla cima si dipinge di strisce rosse e bianche. È il camino E 312,
quello dove gli operai salivano per protestare contro la diossina sparata nell’aria.
IL TANFO, LE NUVOLE, IL BENZO(A)PIRENE
L’Ilva si vede, ma è ancora lontana, avvolta da una
cappa che offusca tutto il cielo tarantino. Davanti a
noi ci sono due navi con la chiglia arrugginita. Anche la Marina militare – denuncia Legambiente –
ha un ruolo importante nell’avvelenamento di
queste acque. Così come inquinano gli altri impianti industriali, da Cememtir all’Eni. Capisci
dove sei anche a occhi chiusi, perché vicino a ogni
stabilimento c’è un odore diverso. Prima arriva la
puzza di gas, poi quella di marcio. Passi sotto i
lunghi nastri trasportatori che, come trenini blu
sospesi per aria, spostano ogni anno milioni di
tonnellate di materie prime –minerali di ferro e
carbon fossile – dal porto commerciale ai parchi
dell’Ilva. Lì inali qualcosa di diverso, di acre, una
puntura metallica che fa pizzicare le narici.
Dall’acciaieria, di giorno, escono grappoli di nuvole bianche, fumi densi e compatti, innocui per
l’azienda (“è solo vapore”) e tossici per i cittadini
(“contengono polveri e benzo(a)pirene, che sono
sicuramente cancerogeni”). “L’Ilva è oggi
un’azienda in via di risanamento ambientale – ha
insistito Ronchi – il benzo(a)pirene si è ridotto di
dieci volte. Nel quartiere Tamburi è ampiamente a
norma per tutti i parametri”.
UNO SU DICIOTTO SI BECCA IL CANCRO
Qui gente e paesaggio raccontano però un’altra
storia. Il parchetto di Tamburi, davanti alla scuola
elementare, è recintato: “Divieto d’ingresso”, dice
l’ordinanza del sindaco. Neanche le aiuole si possono toccare: “Dobbiamo tenere i bambini in casa,
non possono giocare sull’erba”, racconta una madre. Quasi tutti i portoni hanno tre cose in comune: il numero civico scritto con la bomboletta
spray, la bandiera dell’Italia che sventola anche
dopo l’eliminazione degli Azzurri e un cartello con
su scritto “vendesi”. Solo che nessuno vuole comprare. Alessandro Marescotti, professore delle superiori che da qualche anno gira con un rilevatore
di IPA – tra i principali cancerogeni presenti
nell’aria tarantina – ci mostra i dati raccolti il giorno prima, all’alba. “È di notte che all’Ilva bruciano
quello che non dovrebbero bruciare”. La qualità dell’aria, dice
MARIO
lui, “è pessima. Ieri oscillava tra i
E I BIMBI
17 e i 36 nanogrammi al metro
Qui a destra
cubo, superando addirittura la
Mario
concentrazione che Arpa aveva
Amodio, già
rilevato a Tamburi nell’anno
campione di
delle telefonate tra Archinà e Niarti marziali.
chi Vendola, il 2010 (cioè 19 naSotto, i bambinogrammi al metro cubo)”. Proprio verso le sette di mattina si ni del quartiere
Tamburi, con
vede una striscia orizzontale che
come un soufflè si accascia sulla le mani sporche
di polvere
città: “È in quel momento che biFoto Luigi Piepoli
sogna analizzare l’aria. Il sistema
di monitoraggio che rende così
ottimista Ronchi è inaffidabile”.
Il professore cita il numero dei malati di tumore, in
continuo aumento: “Uno ogni diciotto persone a
Tamburi, nel resto della città uno ogni ventisei
abitanti”. Dati non necessariamente incompatibili
con le affermazioni del sub-commissario, considerando il periodo d’incubazione. “La prova che i
rischi sono ancora enormi – dice Marescotti – è
il Fatto Quotidiano
SPROFONDO SUD
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
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DICE EDO RONCHI
LA LUNGA NOTTE NERA
DI TARANTO CITTÀ MALATA
Mentre le autorità giurano che ormai la qualità dell’aria “è tra le migliori d’Italia”
la gente combatte le polveri killer. Il professore: “L’Ilva brucia le schifezze col buio”
“Risanamento avviato,
a parte le opere più care”
ALTRO CHE INQUINAMENTO e pericoloso attacco alla salute dei cittadini: l’aria di Taranto è
tra le migliori d’Italia. Lo dice il subcommissario
dell’Ilva, Edo Ronchi, confortato dai dati
dell’Agenzia regionale pugliese per l’Ambiente:
“La qualità dell’aria a Taranto è buona, in particolare per le polveri sottili: i dati sono tra i migliori delle città italiane. Il benzo(a)pirene si è
ridotto di dieci volte. Nel quartiere Tamburi,
l’aria è ampiamente a norma per tutti i parametri”. Anche le prospettive future dell’area tarantina sono eccellenti: “L’Ilva è oggi un’azienda in
via di risanamento ambientale, l’81% dei numerosi interventi prescritti dall’Aia del 2011 e del
2012 sono stati attuati e il 98% degli interventi
è stato avviato”. Per l'applicazione dell’Aia, ammette però Ronchi, occorrono 1,8 miliardi, dei
quali 500 milioni entro l’anno, “perché non sono
ancora stati completati gli interventi più costosi”. Il colosso franco-indiano Arcelor Mittal potrebbe essere interessato a investire in Puglia.
INDAGINI IN CORSO
In tribunale a settembre
per “Ambiente svenduto”
LA GIUSTIZIA SI FERMA fino al 16 settembre:
solo allora il tribunale di Taranto deciderà se accettare la costituzione di parte civile al processo “Ambiente svenduto” per circa 800 fra associazioni e
cittadini convinti di aver avuto la vita rovinata
dall’Ilva con la gestione Riva. Gli ex proprietari, invece, attendono la decisione della Cassazione sulla richiesta di trasferimento del processo a Potenza: troppa pressione in città, troppa ostilità, dicono. La procura chiede il processo per 49 imputati e
tre società fra dirigenti e rappresentanti della famiglia Riva, accusati di associazione per delinquere,
disastro ambientale, avvelenamento di sostanze
alimentari e omissione dolosa di cautele contro gli
infortuni sul lavoro. Mancherà in aula Emilio Riva,
scomparso a 87 anni il 29 aprile scorso. Tra gli imputati anche il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, l'ex presidente della Provincia di Taranto Gianni Florido, il sindaco di Taranto, Ippazio
Stefano, il deputato di Sel, Nicola Fratoianni, l'assessore regionale all'Ambiente, Lorenzo Nicastro.
che abbiamo fatto fare gli esami del sangue a un
gruppo di bambini di Tamburi. E nel loro sangue
c’è piombo. Il piombo resiste tre o quattro settimane al massimo. Se la situazione fosse buona come vogliono farci credere, non avremmo un probabile cancerogeno dentro di noi: sì, ce l’ho anche
io, e sono preoccupato per la mia salute”.
FRATELLI D’ITALIA E AMORE SUI MURI
All’ingresso della città, appena dopo l’autostrada,
c’è questa scritta: “Oggi bistecca alla diossina”. A
Tamburi invece, oltre al patriottismo calcistico,
stupiscono anche i messaggi verniciati sui muri. Ci
sono solo frasi d’amore: “Silvia ti prego torna”;
“Piccola mia io e te sempre insieme”; “Tanti auguri mamma”. Sulla facciata di una casa popolare,
però, c’è affissa una targa: “Ennesimo decesso per
neoplasia polmonare. 8 marzo 2012”. “L’ha voluta
mio padre, operaio dell’Ilva, subito prima di morire”, ricorda Sabrina Corisi, occhi azzurri e combattivi. “Voleva fosse chiaro a tutti che siamo solo
numeri. Lui, almeno, è stato fortunato: è morto in
LA RETE
E I MORTI
Sopra, lo stabilimento
dell’Ilva intorno al quale è
stata messa
una rete che in teoria - dovrebbe evitare
lo spargimento
delle polveri. A
destra, il cimitero: non si può
spalare la terra
per l’inquinamento
Foto Luigi Piepoli
25 giorni”. Entriamo nella sua casa, tirata a lucido
“perché qui abbiamo la fobia della polvere”. Fuori
dalle finestre ci sono stracci bagnati per impedire
che entri, stracci che dopo qualche ora si colorano
di rosa. Nella cucina, sul frigo, sono attaccate fotografie di due uomini: “Quello è mio padre Peppino. L’altro invece, è mio marito Nicola. Stesso
lavoro, stessa sorte. Ma a Nicola è andata molto
peggio: ci ha messo sei mesi a morire. Alla fine
aveva 52 metastasi solo al collo. Tre lesioni cerebrali. Un nodulo al polmone. Non riusciva più né a
respirare né a bere o mangiare. Qui dicono che
bisogna scegliere se morire di cancro o di fame: lui
è morto di tutt’e due”. Sabrina è in casa con la sorella, la madre e la figlia di due anni, Gaia, che
indossa una maglietta con la foto del padre sul davanti e del nonno sulla schiena. Di tanto in tanto
dà un occhiata al cortile, dove Swami, 8 anni, gioca
con gli amici: “So che non dovrebbero star fuori,
ma tenere i bambini tutto il giorno chiusi in casa è
impossibile”. Le mani e la fronte, quando si appoggiano al muro per giocare a nascondino, di-
ventano subito rosse di polvere, come se avessero
toccato una vernice fresca color mattone. “Se dovesse succedere qualcosa ai miei figli non me lo
perdonerei mai, alla fine la scelta di restare è mia”,
dice Sabrina. Che però, ad andarsene, ci ha provato: “La casa è invendibile. Il lavoro non c’è. Io
dico che tutti noi che abitiamo qui, in fondo, lavoriamo per l’Ilva. Quando è morto mio marito,
sono andata in banca perché da sola non riesco a
pagare il mutuo. Ho detto: ‘Voglio pagarne solo
metà, perché mio marito non è più qui, non usufruisce più di questa casa”. Lui, mangiando patatine, si è messo a ridere: ‘Facile la vita, eh?’, ha
risposto. Sabrina ci mostra un volantino che sta
distribuendo in tutto il vicinato. “Chiedo alla gente di Tamburi di svegliarsi. So che avete paura di
perdere il posto, ma qui stiamo morendo tutti.
Dobbiamo essere uniti, solo così obbligheremo
Renzi, Ronchi o chi per loro a fare qualcosa. Venissero qui, a governare. Li ospito io, vediamo se
insistono con la cazzata che la nostra aria è la migliore d’Italia”. Per un’oretta, Sabrina racconta la
sua storia e resta tranquilla.
Poi gli scudi cadono e le parole escono veloci, una
dopo l’altra. È quando si parla della famiglia Riva:
“Io li odio. Mentre ero in ospedale ho sentito della
morte di Emilio Riva. Aveva 80 anni, quindi la vita
l’ha vissuta, ha visto i figli crescere, e questo mi
dispiace. Ma in quel momento, quando ho saputo
che non esisteva più, sono stata felice. Fanculo, sei
morto pure tu. Sarai anche morto vecchio e ricco,
ma almeno sei sotto terra. E dopo di te ci vada pure
l’Ilva”.
CAMPIONI DEL MONDO
Ma c’è anche chi, si chiama Mario Amodio, vuole
che l’acciaieria resti aperta: “Che la mettano in sicurezza. Altrimenti qui non si mangia più”: Mario
è stato campione del mondo di kick boxing e karate, la sua casa è colma di trofei e medaglie. Sua
moglie Felicetta, che dei tarantini dice “siamo un
branco di pecore, non riusciamo a coalizzarci”, li
guarda e poi abbassa gli occhi a terra. Adesso Mario pesa 40 chili. “Ho lavorato nell’Ilva e nel suo
indotto tutta la mia vita. Poi mi hanno detto che
avevo un tumore alla lingua e uno all’esofago. Io
ero così in forma, così forte, che non avrei mai
pensato potesse succedere proprio a me”. Le parole sono le stesse usate da Sabrina: “Dopo mio
padre, come avrei potuto immaginare che capitasse anche a Nicola?”. Mario, che parla grazie a
una macchina appoggiata sotto al mento, si rivolge direttamente al premier: “Per colpa dell’Ilva sto
vivendo un’altra vita. Mi hanno tolto l’esofago:
non posso digerire, se mangio troppo mi esce tutto. Non posso fare la doccia perché rischio di affogare. Non posso essere un marito per mia moglie, che è l’unica ragione per cui vado avanti. E
sapete cos’ha fatto l’Asl? Mi ha tolto l’accompagnamento! Erano solo 500 euro al mese, ma aiutavano. Dicono che mi vedono bene, che sto meglio. Che lavoro posso fare – dice con la voce metallica che filtra dalle vibrazioni del laringofano –
l’operatore di un call center?”. Mario e Felicetta
scoppiano a ridere: “Dobbiamo metterla in quel
posto a chi ci vuole morti. Restiamo di buon umore. Siamo più forti di te, Ilva”.
Twitter@BorromeoBea
Ha collaborato Luigi Piepoli
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AFFARI LORO
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
R
ai, Mieli benedice
Campo Dall’Orto
promesso dg
PER IL FUTURO del sistema televisivo servono
“una pulizia di progetto, una guida chiara e un
gruppo di lavoro onesto”: parola di Antonio Campo
Dall’Orto, protagonista del primo dei tre appuntamenti organizzati da Aleteia Communication
che da oggi per tre sabati consecutivi si terranno a
Spoleto durante il Festival Dei Due Mondi. Chi è
oggi Campo Dall’Orto? “È l’uomo più citato come
il Fatto Quotidiano
prossimo numero uno della Rai di Renzi”, ha detto
Paolo Mieli, che tiene il filo di queste conversazioni
spoletine, “uno dei pochissimi che oggi in Italia ha
le competenze per ricoprire quel ruolo”. Tra visione
e televisione per un’ora si è discusso del presente e
del futuro della comunicazione, “un mercato da 5
miliardi di euro, di cui il 57% è prodotto ancora oggi
dalla televisione" ha sottolineato Campo Dall’Or-
to, considerato un enfant prodige della tv italiana.
Già vicedirettore di Canale 5 e direttore di La7, artefice del lancio e del successo di Mtv Italia, Campo Dall’Orto, oltre a immaginare un futuro della
televisione da lui sognata, ha raccontato le sue
esperienze spiegando alcune delle sue scelte del
passato. Come quando da vicedirettore di Canale
5 decise di passare all’allora sconosciuta Mtv.
ORSONI, IL FUTURO PRESCRITTO:
NEGATO IL PATTEGGIAMENTO
PARADOSSO A VENEZIA: IL GIP RESPINGE LA PENA CONCORDATA PER L’EX SINDACO
COME “NON CONGRUA” E ORDINA IL PROCESSO. MA I TERMINI DOVREBBERO SCADERE
di Antonio
Massari
e Davide Vecchi
I
inviati a Venezia
l paradosso va in scena
alle dieci del mattino: le
accuse contro l’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, sono così fondate
che rischia di non esser mai
punito. Oggi – con il patteggiamento – Orsoni avrebbe
potuto incassare una condanna a quattro mesi di reclusione e 15 mila euro. Il giudice
per le indagini preliminari,
Massimo Vicinanza, ha però
rigettato il patteggiamento
perché la pena non è congrua.
L’ex sindaco sarà giudicato in
un processo con il rito ordinario. Nel quale, però, va incontro a una prescrizione
quasi certa. Eppure lo stesso
Orsoni, accettando il patteggiamento, s’era mosso con
una “sostanziale ammissione
di responsabilità” – per usare
le parole del procuratore aggiunto Carlo Nordio. E così,
se da un lato il lavoro della
procura veneziana – altro paradosso – esce rafforzato dalla
sentenza del gup, dall’altro si
mette in moto la sua sostanziale inutilità, poiché Orsoni,
per via della prescrizione, potrebbe non essere mai punito.
L’ex sindaco è accusato d’aver
incassato dal presidente del
Consorzio Venezia Nuova,
Giovanni Mazzacurati, un finanziamento illecito di 260
mila euro per la campagna
elettorale del 2010. Mazzacurati ha riferito di una somma
anche più ingente, pari a circa
500mila euro, consegnata a
Orsoni in più tranche. Dopo
l’arresto, avvenuto ai primi di
giugno, e la successiva remissione in libertà, Orsoni aveva
accettato il patteggiamento e
nel frattempo - scaricato dal
Pd - s’era dimesso dalla poltrona di primo cittadino.
“Impianto accusatorio fondato”
IL COLPO DI SCENA che il
Gup Vicinanza ha riservato a
tutti – procura e difesa – merita di essere analizzato. L’impianto accusatorio che viene
definito “fondato” e il giudice
non ha dubbi sulla gravità delle accuse mosse a Orsoni. E
per due motivi. Il primo: “Le
condotte da lui tenute sono
gior costo e rilievo che ha interessato la città della quale
l'indagato è poi divenuto sindaco”.
E così il giudice viene al punto.
Per Orsoni è stata chiesta una
pena che, sotto il profilo economico, somiglia a una mancia da ristorante. Ed è altrettanto lieve, troppo lieve, anche
sotto il profilo della detenzione: “È del tutto incongruo...
concordare una pena... detentiva inferiore” al limite edittale. Sotto il profilo economico, invece, il limite è “oltre
cento volte inferiore” al massimo erogabile “se si tiene conto dell’entità del finanziamento illecito ricevuto”. Il gup invia gli atti ai tre pm che hanno
TOGHE DIVERSE
“L’impianto accusatorio
è fondato”scrive
il giudice. Il procuratore
Nordio: “Meglio
una sentenza certa che
una tardiva condanna”
molto gravi, sia per l'entità del
contributo illecito ricevuto, sia
per la provenienza soggettiva e
oggettiva del denaro”. Il secondo: è altrettanto grave
“l’inevitabile rischio, per la
corretta gestione della cosa
pubblica, che ha comportato
l’aver ricevuto ingenti somme”. E averle ricevute dal patron del Mose, il gestore
dell’“opera pubblica di mag-
formulato l’accusa – Stefano
Ancilotto, Stefano Buccini e
Paola Tonini – che dovranno
procedere quindi secondo il
rito ordinario. Per loro non si
tratta di una sconfitta, anzi,
piuttosto di una delusione, per
aver chiesto una pena troppo
lieve, nella speranza di giungere a una condanna certa, invece che a una altrettanto certa
prescrizione. Orsoni invece
commenta: “Ora posso finalmente difendermi”. Poi parla
di “uso sproporzionato della
misura cautelare” - si riferisce
ai giorni di carcere preventivo
– e aggiunge: “La scelta di accettare il patteggiamento, proposto dalla Procura, era stata
dettata dalla necessità di tutelare l’Amministrazione. Ero
ben consapevole della assoluta
infondatezza dei fatti addebitati e della insussistenza della
fattispecie di reato ipotizzato”.
In realtà, come abbiamo visto,
il gup la pensa diversamente.
E CHE L’IMPIANTO accusatorio continui a reggere è dimostrato da un altro dato: il tribunale del Riesame ieri ha
confermato il carcere per l’ex
assessore regionale alle infrastrutture Renato Chisso (Fi),
accusato di aver incassato
mazzette dalla cricca del Mose.
Il procuratore aggiunto Nordio commenta: “La pronuncia
del Tribunale del Riesame dimostra l’assoluta fondatezza
dell’intero impianto accusatorio. Anche il rigetto dell’istanza di patteggiamento del professor Orsoni si colloca in questa linea, consolidando la correttezza giuridica del reato e la
gravità delle prove a suo carico. Questa procura ritiene
che una sentenza certa e immediata, con l'applicazione di
una pena comunque significativa, sia preferibile ai costi e
alle lungaggini di un processo,
con una tardiva pronuncia di
condanna a forte rischio di
prescrizione”.
[email protected]
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Arriva la Pinotti, l’F-35 si rompe
ENNESIMO GUASTO A UN CACCIA IN FLORIDA, DURANTE LA VISITA AMERICANA DELLA MINISTRA
di Daniele Martini
a maledizione degli F-35
L
colpisce ancora. Proprio
mentre la ministra italiana della
Difesa, Roberta Pinotti, era a
Washington per ridiscutere i
termini dell'impegno italiano
per i Joint Strike Fighter della
Lockheed Martin, si è miseramente rotto in fase di prova un
altro di quei costosissimi caccia.
È successo durante un decollo
sulla pista di Eglin in Florida, e
ne ha dato notizia il Washington
Post. La cronaca dell’accaduto
rasenta il ridicolo: sulla pista
l’aereo ha perso alcuni pezzi e
poi si è incendiato nella parte posteriore. Dal racconto sembra
coinvolto non il jet più sofisticato e costoso di tutta la storia
dell’aviazione, ma un qualche
decrepito scassone di una sco-
nosciuta compagnia sudamericana. Molto opportunamente il
pilota ha abortito la manovra e
altrettanto opportunamente il
Pentagono ha sospeso tutte le
esercitazioni in corso. Il Washington Post ha scritto pure che un
altro guasto si era verificato tre
settimane fa.
IN QUEL CASO il pilota si era ac-
corto che l’aereo stava perdendo
olio in volo e aveva frettolosamente riportato il caccia alla base.
Alla luce di questi nuovi episodi
regge sempre di meno la giustificazione fornita dai sostenitori
del costosissimo programma che
il susseguirsi degli incidenti sia fisiologico per un aereo in fase di
sviluppo. Questa volta il grave inconveniente ha riguardato un F
35 del modello A, destinato negli
Stati Uniti all’Air Force, mentre
in Italia dovrebbe costituire i due
terzi della commessa in discussione (60 esemplari su 90). Il condizionale è d’obbligo perché dopo mesi e mesi di infinite polemiche non è ancora per niente
chiaro quanti aerei alla fine l’Italia comprerà davvero. Nel suo
viaggio americano la Pinotti ha
incontrato il capo del Pentagono,
Un F-35 Ansa
Chuck Hagel e forse proprio in
preparazione della trasferta alcuni giorni fa aveva rilasciato una
dichiarazione favorevole al mantenimento da parte dell’Italia della piena commessa di 90 F-35, sostenendo che i tagli avrebbero
comportato conseguenze negative per la fabbrica Alenia-Finmeccanica di Cameri (Novara). La
Pinotti non aveva ricordato, però, che lo stabilimento di Cameri
è strutturalmente in perdita a
prescindere dall’entità della commessa italiana, per il semplice
motivo che è stato avventatamente costruito al buio, in assenza di ogni definizione ufficiale dei
programmi F-35 per l’Europa. Di
recente Norvegia, Olanda e Gran
Bretagna hanno fatto sapere che
non intendono più assemblare i
loro F-35 nello stabilimento novarese.
L’ex sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni Ansa
LA TESTIMONIANZA
“A Galan ho ceduto
la casa così com’era:
e basta”
LUI NEGA DI AVER RESTAURATO LA VILLA CON
UN MILIONE SOSPETTO. IL VENDITORE: SE LO DICE LUI...
di Sandra Amurri
no dei capi di imputazione della corposa ordinanza di
U
custodia cautelare per l’onorevole Giancarlo Galan, su cui
l’11 luglio dovrà decidere la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, si fonda su quel milione di euro per la
ristrutturazione della sua villa di Cinto Euganeo che, secondo
l’accusa, sarebbe stato pagato dalla Mantovani, impresa capofila del Consorzio Venezia Nuova. Il grande accusatore, l’ingegnere Piergiorgio Baita, dice a verbale che il plusvalore proveniente dalle fatture gonfiate per lavori realizzati dall’architetto Danilo Turato per la Mantovani serviva per liquidare le
parcelle del professionista per la ristrutturazione della villa di
Galan, ai tempi governatore del Veneto.
GALAN nell’intervista al Fatto si difende spiegando di aver ac-
quistato la villa da “Totò, un dentista di Pantelleria, simpaticissimo. Io la compro a meno di 1 milione di euro, cioè a 6 volte
il prezzo pagato da lui, perché era già tutta restaurata”. Ci fa “solo
due interventi, dell'impresa di Turato. Baita sbaglia addirittura
la ditta che fa i lavori, che non si chiama Tecnoqualcosa ma
Architest. E sbaglia le date: parla di lavori ancora nel 2011, quando erano finiti da due anni!”. Era ristrutturata la villa quando
Galan l’ha comperata? Lo abbiamo chiesto a chi gliel’ha venduta,
il dottor Salvatore Romano, originario di Gela e non di Pantelleria, medico condotto con un piccolo studio dentistico di
Lozzo Atestino, paese di origine della moglie, Maria Nunzia
Piccolo. Lo stesso paesino dove viveva Sandra Peregato prima di
diventare la moglie di Galan. Dottor Romano, lei ha venduto la
villa a Galan già ristrutturata? “Io non ho niente da dire sa,
comunque risulta com’era, non ho niente da dire”. Ma l’ha venduta così come l’aveva acquistata? “Risulta com’era, non insista”, ripete con tono sorpreso, imbarazzato e supplichevole ma
mai scortese. Poi aggiunge: “Perché vuole saperlo? Era com’era,
a lui gli è andata bene e abbiamo fatto l’affare”. Galan dice che lei
l’aveva ristrutturata, di averla acquistata con i lavori già fatti. “In
proposito non ho niente da dirle, chieda al dottor Galan, se ha
detto così va bene così”. Non mi dice se è vero ciò che afferma
Galan? “Io non le sto dicendo né che è vero né che non è vero.
Non insista, la prego”. Non c’è nulla di segreto. È un argomento
di cui non vuole parlare? “No. Non ne voglio parlare, non insista,
la prego, chiedete a lui”. Un colpo alla difesa di Galan arriva
dall’architetto Diego Zamaica, direttore del cantiere. Nel verbale
depositato dai Pm al Riesame per la scarcerazione dell’architetto
Danilo Turato di Tecnostudio e di altre società come la Architest
di cui parla l’ex governatore del Veneto, dice che i lavori per il
corpo centrale e la barchessa (edificio di servizio) sono iniziati
nel 2006 - pochi mesi dopo l’acquisto della villa avvenuto a novembre 2005 - e sono terminati nel 2008-2009. Costo, circa 1
milione di euro. Esattamente come racconta l’ingegner Baita, ex
ad della Mantovani: “Ho liquidato l’architetto Turato per i lavori
della villa di Galan in due tranche: una di 600mila euro e una di
400 mila euro, l’ultimo pagamento è avvenuto circa due anni
dopo il termine dei lavori, cioè nel 2011 perché abbiamo fatto un
po’ penare l’architetto Turato”. Parole confermate da Niccolò
Buson, direttore finanziario della Mantovani. Ma non da Galan.
RE GIORGIO
il Fatto Quotidiano
Fsi eltri
e la Pascale
sono iscritti
all’Arcigay
FRANCESCA PASCALE e Vittorio Feltri
si sono iscritti all’Arcigay, perché “ne
condividono le battaglie in favore
dell’estensione massima dei diritti civili
e della libertà.” La scelta della Pascale
viene poche settimane dopo l’intervista
al Corriere della Sera, in cui la compagna
dell’ex Cavaliere aveva dichiarato di es-
sere favorevole alle unioni civili ed esortava tutto il centrodestra a spendersi per
i diritti delle coppie gay. “È un gesto simbolico, per affermare la necessità di
estendere al massimo i diritti civili”, ha
commentato invece Feltri. La notizia è
stata data, con una nota, dal quotidiano
il Giornale, di cui Feltri è editorialista.
I magistrati perdono la voce
quando interviene il Colle
SILENZIO SU NAPOLITANO, CSM E CASO BRUTI, MA RACANELLI E SANSA PROTESTANO
di Antonella Mascali
A
ppena si nomina il
presidente Giorgio
Napolitano la stragrande maggioranza dei magistrati chiamati al telefono, tantissimi, si inventano
ogni tipo di scusa per non rispondere su quanto scritto dal
capo dello Stato nella lettera a
favore di Edmondo Bruti Liberati, alla vigilia del voto del plenum del Csm, la settimana
scorsa, sullo scontro alla procura milanese. Insomma, silenzio quasi assoluto su quanto
scritto dal capo dello Stato. Eppure nell’atto costitutivo di
Magistratura democratica del
1964, per esempio, è indicato
l’obiettivo “dell’eliminazione
dell’attuale assetto gerarchico-piramidale” degli uffici giudiziari.
importante la concezione del
ruolo dei procuratori: “Con la
riforma Castelli e poi Mastella
si è tornati indietro: il procuratore è diventato unico titolare
dell’azione penale e si è ridotta
l’azione dei pubblici ministeri.
In questa situazione, la discussione sui limiti del potere del
capo è estremamente impor-
tante perché se si arrivasse a dire che può dare le disposizioni
che vuole avremmo il possibile
condizionamento politico delle
inchieste. Dunque, l’azione di
Napolitano dà la sensazione di
un interventismo della Presidenza della Repubblica più che
di un intervento. È inquietante
che abbia inviato una lettera al
fatto
a mano
MA NON TUTTI i magistrati
vogliono stare zitti. Accetta di
rispondere il presidente del tribunale per i minorenni di Genova, Adriano Sansa, che prima
di criticare Napolitano “interventista” vuole fare una premessa per far capire quanto sia
Csm per dire, in sostanza, fate
come vi dico. Il suo è stato un
gesto che deve preoccupare: dà
forza alla visione in senso strettamente gerarchico delle funzioni del procuratore della Repubblica”.
Per il consigliere del Csm Antonello Racanelli, di Mi, la lettera del capo dello Stato rappresenta “una vicenda che desta
perplessità poiché nella parte
conclusiva della missiva c’è un
invito ai consiglieri a tener conto di quanto espresso dal presidente. Ciò vuol dire che era
destinata a essere conosciuta
dai consiglieri. Perché non è
stata letta? (dal vicepresidente
Michele Vietti al plenum, ndr).
Forse si temeva che consiglieri
togati, che almeno a parole hanno sempre difeso l’autonomia e
l’indipendenza dei pubblici ministeri, avessero difficoltà a votare proposte di maggioranza
rivedute e corrette, e assumessero posizione contro la tesi del
presidente? Al di là del massimo rispetto e la massima considerazione che si deve avere
per le valutazioni del capo dello
Stato, non necessariamente devono essere fatte proprie dal
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
5
LECC
LECCAA
Rampino, la cronista
allergica alle notizie
ANTONELLA RAMPINO, quirinalista de La
Stampa, è inconsolabile: l'Italia è proprio un
“bizzarro Paese” se addirittura “ci si indigna
se il presidente del Csm scrive una lettera al
suo vicepresidente”. In realtà, nessuno s'è indignato per la lettera: le polemiche riguardavano il fatto
che il testo di Napolitano restasse segreto anche per i
membri del Csm, oltreché per l’opinione pubblica. Vabbè, dettagli. “Infatti – prosegue la cronista sempre più
stupefatta - dopo giorni di titoloni dei giornali berlusconiani che ipotizzano ‘assalti giudiziari’ (ma quando, ma
dove, ma quali assalti? Boh, ndr) e del Fatto Quotidiano
che definiscono (sic, ndr) ‘surreale’ quel che attiene invece al normale svolgimento di una funzione istituzionale, ieri Giorgio Napolitano ha deciso di rendere integralmente pubblica la lettera inviata il 13 giugno a Michele Vietti”.
Sfugge anzitutto il senso di quell'”infatti”: se Napolitano
aveva ragione a tenere segreta quella lettera, come può
avere ragione anche quando decide di renderla pubblica
(e “integralmente”, mica una parola sì e una no)? E soprattutto: quando mai s'è visto un giornalista felice di
commentare un documento segreto che non solo non fa
nulla per conoscerne il contenuto, ma se la prende con i
colleghi che lo cercano e lo invocano (non solo dei giornali berlusconiani e del Fatto, ma anche del Corriere della
Sera)?
Mai, da nessuna parte al mondo. Però Antonella va compresa: al cuore non si comanda. Ci appelliamo perciò al
capo ufficio stampa del Quirinale: assumetela, datele un
incarico qualsiasi, non vi deluderà.
plenum. Anzi, auspico, rispetto
ai poteri del procuratore della
Repubblica, che il plenum sostenga una posizione diversa”.
OPPOSTA L’OPINIONE di un
altro consigliere del Csm, Paolo
Auriemma, di Unicost: “È apprezzabile la scelta del vicepresidente di non leggere la lettera
al plenum (ne ha letto solo qualche frase, ndr) perché così ha
fatto in modo di non condizionare il dibattito. La delibera fi-
nale è in sintonia con quanto
pensa il capo dello Stato ma noi
non conoscevamo il contenuto
della missiva”. Però, osserviamo, soprattutto il testo della
Settima commissione è stato limato di tutti i passaggi critici
sul procuratore Bruti dopo che
si è appreso dell’esistenza della
lettera... “I testi delle relazioni
sono stati modificati prima del
voto in plenum semplicemente
perché si voleva avere un’ampia
condivisione delle scelte”.
A GAMBA TESA
di Bruno Tinti
ono le azioni che tradiscono
S
il pensiero. Prendiamo ad
esempio la lettera che Napolita-
Quella lettera incomprensibile
e le pericolose svolte autoritarie
no ha scritto al vicepresidente
del Csm Vietti.
Questi se la porta al plenum: “Il Presidente della
Repubblica mi ha mandato una lettera che però
voi non dovete leggere; vi basti sapere che, secondo lui, il Procuratore della Repubblica ha ampi
poteri per via della legge di riforma dell’ordinamento giudiziario”. La maggior parte dei componenti del CSM, autonomi e indipendenti quanti altri mai e che evidentemente tutto ignora di
questa riforma, butta nel cestino gli interventi già
preparati e ne scrive altri in esito ai quali l’esposto
di Robledo contro Bruti Liberati viene archiviato.
Dopo una decina di giorni di ritardo, la lettera è
pubblicata sul sito del Quirinale. Il Presidente Napolitano, pur avendo a suo tempo “ritenuto opportuno considerare riservata la missiva, ritiene
utile renderne ora noto il contenuto.” Lui è fatto
così, fa quello che gli pare, quando gli pare. In
realtà si è comportato proprio come Bruti: ieri mi
andava bene che Robledo trattasse i processi per
reati contro la PA; oggi non mi va più. Perché?
Fatevi i fatti vostri.
CON QUESTA CONCEZIONE autoritaria del ruolo
non c’è da meravigliarsi che il contenuto della lettera sia del tutto illogico e contraddittorio: motivare i pregiudizi è una cosa complicata. “Mi preme sottolineare che, a differenza del giudice, le garanzie di indipendenza "interna" del Pubblico Ministero riguardano l'ufficio nel suo complesso e
non il singolo magistrato”. Trattasi di frase incomprensibile. Napolitano sottolinea, le virgolette so-
Il presidente Giorgio Napolitano
LaPresse
no sue, che sta parlando di indipendenza “interna”; cioè indipendenza nei confronti di altri magistrati o uffici o enti appartenenti all’ordine giudiziario. Cosa diversa dunque dall’indipendenza
“esterna”, che si ha nei confronti di Parlamento,
Governo, lobbies etc. Come possa “l’ufficio nel
suo complesso”, una Procura della Repubblica,
vedere insidiate le sue garanzie di indipendenza
“interna” non è dato capire. Un Tribunale, una
Corte d’Appello o di Cassazione possono dissentire dall’operato di un PM; e quindi assolvere in
luogo di condannare (o viceversa). Ma in nessun
modo è possibile che insidino le prerogative di indipendenza dell’Ufficio. Che in effetti non esistono: una Procura (e anche un Tribunale, una Corte)
non possono essere destinatari di comportamenti
che pregiudichino le loro prerogative di indipendenza; non ne hanno. Chi le ha sono i singoli magistrati che li compongono. Sono loro a dover essere tutelati, non l’Ufficio nel suo complesso.
QUESTA FRASE non è solo incomprensibile. E’
anche sbagliata quando contesta che la modifica
dei principi organizzativi dell’Ufficio possa tradursi in violazione delle garanzie di indipendenza
dei singoli PM. “Ciò che deve caratterizzare gli Uffici di Procura è l'impersonalità e l'unitarietà della
loro azione, sicché i criteri organizzativi di ogni
singolo ufficio requirente non possono essere intesi come rigide regole immodificabili, in quanto
COSA AVRÀ VOLUTO DIRE?
Procura (Tribunale o Corte) non possono essere
destinatari di comportamenti che pregiudichino
le prerogative di indipendenza: non ne hanno
deve sempre consentirsi una equilibrata elasticità
nella loro applicazione, volta sempre al miglior
esercizio dell'azione penale da parte dell'Ufficio
nel suo complesso". E chi lo nega. E’ noto che in
udienza l’accusa può essere sostenuta da un PM
diverso da quello che ha svolto le indagini e che un
interrogatorio svolto da un PM diverso da quello
titolare del fascicolo non è nullo. Ed è del tutto
ovvio che i criteri organizzativi devono essere elastici per forza, pena la paralisi dell’ufficio: arrivano
100 grossi processi per reati contro la PA, i 10 poveri Sostituti che fanno parte di quel Gruppo non
ce la fanno, si trasferiscono altri 10 Sostituti dagli
altri gruppi per il tempo necessario. Ma il proble-
ma sta appunto lì: ci deve essere
una ragione per cui i criteri organizzativi sono modificati; e
deve essere esplicitata. Altrimenti si cade nell’arbitrio. Che è,
ovviamente, pericolosissimo.
Immaginiamo che un Procuratore sia convinto che l’Amministratore di una società, accusato di corruzione, sia innocente; e immaginiamo che sappia che l’Aggiunto competente
lo consideri colpevole. Non può semplicemente
affidare il processo a un altro PM senza spiegare le
ragioni del suo provvedimento. Sarebbe del tutto
legittimo che dicesse (anzi scrivesse):”Caro collega ho letto attentamente gli atti e credo che la tua
decisone non sia corretta per questo e quest’altro
motivo; siccome mia è la responsabilità della conduzione delle indagini in questa Procura, assegno
il processo al PM …(o a me stesso) per evitare
quello che credo sia un errore”. Ma sottrarglielo
senza adeguata motivazione non può essere lecito.
Pensate se la revoca dell’assegnazione fosse dovuta
al desiderio di favorire un imputato o compiacere
una parte politica. Davvero saremmo contenti di
un potere incontrollato che permettesse a un Procuratore di fare tutto quello che vuole? Insomma,
quello che proprio non sta nelle corde di Napolitano, è la trasparenza. Oggi, quando - non si sa
perché - decide di rendere conoscibile la lettera
che ieri voleva tenere riservata. L’altro ieri, quando
fece fuoco e fiamme perché si derogasse al codice
di procedura solo per lui e si distruggessero le intercettazioni delle sue telefonate, anche in pregiudizio delle difese degli altri imputati che avrebbero
potuto avere interesse (processuale) a conoscerle.
Della serie: state contenti umane genti al quiz - che
se potuto aveste veder tutto - mestier non era partorir Maria.
6
NEL PANTANO
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
Sla arà
a Bologna
Festa dell’Unità
riesumata dal Pd
SI TERRÀ DAL 27 AGOSTO al 7 settembre. Per la
Festa nazionale dell’Unità è stata scelta, non a caso,
Bologna, con la sua tradizionale festa del parco
Nord, dove i militanti hanno sempre scelto di continuare a chiamare Festa dell’Unità quella che altrove veniva ribattezzata “Festa Democratica”.
La scelta ha un significato politico ma anche pratico: a Bologna, Modena e Reggio Emilia le feste
il Fatto Quotidiano
provinciali che si svolgono fra la fine di agosto e i
primi di settembre, sono macchine rodate che ogni
anno sono frequentate da migliaia di persone, che
guadagnano con decine di ristoranti e alla cui organizzazione i volontari lavorano tutto l’anno. Altrove, al contrario, le feste nazionali vanno costruite
quasi da zero (non di rado con esiti catastrofici per
le casse del partito), nel triangolo emiliano basta
mettere il bollino di festa nazionale su una manifestazione che esiste comunque e il gioco è fatto.
Il segretario bolognese del Pd Raffaele Donini e il
responsabile delle feste Fabio Querci ringraziano
per la fiducia, ma ricordano che, di fatto, la festa è
già bella che organizzata: sarà su un’area di 30 mila
metri quadrati, che l'anno scorso ha fatto un milione di visitatori e tre di fatturato.
GIUSTIZIA CANAGLIA
FALSO IN BILANCIO SLITTA
L’IMMUNITÀ RIMANE
Il ministro
della
Giustizia,
Andrea
Orlando e
il
presidente
del
Consiglio,
Matteo
Renzi in
aula al
Senato
NONOSTANTE GLI ANNUNCI, DOMANI IN CONSIGLIO DEI MINISTRI
SI DISCUTERANNO SOLO “LINEE GUIDA”. PER I PROVVEDIMENTI
CI SI AFFIDERÀ A DISEGNI DI LEGGE NON ANCORA IN CALENDARIO
di Wanda Marra
A
lla fine l’immunità resterà così come è prevista nel testo emendato
dai relatori, Finocchiaro e Calderoli”, ragionava qualche
giorno fa un senatore democratico
che sta seguendo molto da vicino le
riforme costituzionali. Prevedendo
che nessuna cancellazione dello
“scudo” ci sarebbe stata. Guardando ai fatti, sembra proprio che abbia ragione. Non solo il governo ha
dato il suo assenso alla norma
sull’immunità durante il vertice a
Palazzo Chigi del 17 giugno, non
solo il premier si è assunto in proprio la responsabilità di averla approvata. Ma c’è un altro dato di fatto: venerdì è scaduto il termine in
commissione Affari costituzionali
per i sub emendamenti al testo consegnato da Finocchiaro & Calderoli. E non ce n’è uno di iniziativa governativa e neanche degli stessi relatori che cancelli la norma in questione. Domani inizia il voto in
commissione Affari Costituzionali
e i sub emendamenti che vogliono
l’abrogazione dell’immunità sono
firmati dai Cinque Stelle o dai “ribelli” Pd, in testa Vannino Chiti.
Anna Finocchiaro aveva annunciato che avrebbe presentato lei stessa
una modifica per affidare alla Consulta la decisione (soluzione questa
che ha fatto registrare perplessità
sia dal Quirinale, che dalla stessa
Consulta). Ma, a conti fatti, ha preferito non fare niente e lasciare il
cerino nelle mani del governo. Che
per ora ha lasciato tutto com’era. I
renziani meglio informati sono
certi che lo scudo non verrà tolto:
potrebbe essere riformulato, prevedendo che valga per i membri della
nuova Camera delle autonomie solo nell’esercizio delle loro funzioni
da senatori e non da amministratori. Ma tutto sta a vedere come andrà il dibattito in Aula.
PERCHÉ poi le riforme si accaval-
lano, le esigenze si incrociano. E
quando si parla di giustizia il tema
diventa incandescente. Domani in
Consiglio dei ministri non ci sarà la
riforma annunciata dal premier, già
durante il discorso per la fiducia,
per giugno, termine ribadito più
volte nei mesi. Alla fine dell’ultimo
Cdm era stato il ministro Boschi ad
annunciare che nel prossimo (quello di domani appunto) si sarebbe discussa la riforma. Ma il dibattito si
limiterà alle linee guida, che verranno illustrate ai ministri dal Guardasigilli, Andrea Orlando. Da via Arenula la raccontano così: il ministro e
il premier si sono sentiti giovedì
mattina, prima della partenza di
Renzi per il Consiglio Ue, e non
avendo di fatto mai avuto il tempo
di discutere a fondo hanno deciso
INDISPOSTA
Anna Finocchiaro
non firma emendamenti
soppressivi dello scudo
Renzi incalza: “Le
polemiche interne
non devono frenarci”
che sarebbe stato necessario un ulteriore approfondimento, prima di
entrare nel merito di provvedimenti molto delicati, magari rischiando
dissensi dai titolari degli altri dicasteri. Fino a quando? Non è chiaro.
Ci sarà, di certo, un decreto che affronterà il sistema della giustizia civile per fare fronte all’arretrato pesantissimo rappresentato da milioni di cause. I tecnici di Palazzo Chigi
stanno decidendo quando vararlo:
stanno valutando bene le questioni
legate all’iter parlamentare. Tradotto: se si fa a inizio luglio si rischia di
non riuscire a convertirlo entro i
tempi a disposizione, ovvero fine
Ansa
agosto. Quindi si potrebbe spostare
in là, magari alla fine del mese. E il
resto? Sarà tutto affidato a disegni di
legge, che saranno presentati in momenti successivi, anche qui difficilmente prevedibili. Se si prende il caso Pa, il Cdm con “le linee guida” si
è fatto il 30 aprile, quello con i provvedimenti (in bozza) il 13 giugno, e
i decreti effettivi sono stati scritti solo dopo e firmati dal Quirinale martedì 24. Se è per la riforma del Senato, il ddl costituzionale è stato approvato il 31 marzo, il voto in Commissione inizia domani, con un testo che è stato quasi riscritto.
A proposito di ddl, a Palazzo Chigi
ne esiste già uno sull’autoriclaggio,
predisposto dal ministero della
Giustizia, e consegnato oltre un mese fa, al quale lo stesso dicastero ha
ipotizzato di aggiungere alcune
norme sul falso in bilancio. Ma, a
meno di sorprese dell’ultimo secondo, domani non verrà tirato fuori. I
tempi si dilatano. E a occhio e croce
l’iter parlamentare dei provvedimenti in questione non comincerà
che dopo l’estate. Il metodo Renzi ormai s’è capito - è quello di spingere l’annuncio oltre l’ostacolo. Pe-
rò trattandosi di materia incandescente come la giustizia ogni sospetto è lecito. Anche perché il governo
ha chiesto in Senato un rinvio della
legge sull’anticorruzione proprio in
attesa dei provvedimenti di fine
giugno. Che non ci saranno. Tra le
voci che si rincorrono a Palazzo
Madama ce n’è una insistente secondo la quale Forza Italia starebbe
facendo pressione perché l’accertamento del falso in bilancio abbia il
via solo su querela di parte (come
adesso), e non diventi automatico.
RENZI ha bisogno dei voti di Forza
Italia per portare a casa le riforme
costituzionali, tanto più la fronda di
Palazzo Madama si allarga. E l’“ombra” dello scambio si allunga soprattutto quando trattativa su alcuni temi e temporeggiamento su altri
vanno di pari passo. Ieri il presidente del Consiglio ha annunciato che
questa settimana è “decisiva” e
quindi vedrà tutti: Pd, Forza Italia e
Cinque Stelle. “Le polemiche non
devono frenarci, neanche quelle interne”, ha detto ai fedelissimi. I suoi
lavorano ad allargare la maggioranza, ma le falle restano.
IL RIENTRO
Foto di Umberto
Fini non lo caccia più nessuno
BERTINOTTI STUDIA
Sinistra
psichiatrica
D
ice Bertinotti: “Con un
gruppo di amici psicanalisti
lacaniani sto lavorando a capire
perché a sinistra si producono conflitti mortali diversamente dalle altre storie politiche. I socialisti e i
democristiani fanno scelte opposte
ma restano affratellati. Noi deflagriamo”. Bertinotti non scherza.
Sta davvero conducendo questo
studio, con un gruppo di psicanalisti delle Marche e produrrà anche
un libro. L’idea è nata quando Nichi Vendola disse che lui è stato il
primo padre a uccidere i figli. In
genere è avvenuto il contrario. La
sinistra, probabilmente, è destinata a rinascere sul lettino?
fd’e
Pizzi
l presentatore, un ragazzo che impugna il microfono
I
da esperto rapper, introduce “Gianfranco” sulle note
ultracontemporanee di Human del gruppo americano
The Killers. Sul video scorrono le immagini vincenti di
cari campioni dello sport e Gianfranco Fini entra nella
sala facendo una miniprocessione in platea. Roma,
Palazzo dei congressi dell’Eur. Le poltrone sono mille,
riempite a fatica per due terzi, forse. L’assemblea aperta della destra che non c’è soffre il caldo e anche il
traffico. Lo stesso Fini: “Sul raccordo anulare ci sono
molti partecipanti bloccati”. Il finismo edizione 2014
rientra in campo sotto forma di allenatore: “Voglio
allenare una nuova classe dirigente che coniughi tradizione e modernità”. Fini abiura il montismo, “una
catastrofe”, evoca le radici missini (pur senza citare
Almirante) e ripropone una destra repubblicana ed
europeista a fronte della diaspora di An oggi rappresentata da un florilegio di sigle. Pochi i volti noti tra i
finiani di un tempo: Menia, Consolo, Mazzocchi, Di
Biagio, Giuseppe Tatarella. L’analisi della realtà è comunque perfetta: “Renzi rischia di governare per
vent’anni per l’assenza di un vero competitore a destra.
Non è pensabile fare una sommatoria, mettere insieme
Alfano e Salvini, Tajani e la Meloni”. È la verità. Il
renzismo ha invecchiato tutti, compreso Fini: “Non
esistono uomini per tutte le stagioni, io ho fatto errori
ma non sono pentito. Dobbiamo recuperare i delusi
del centrodestra, quelli che hanno votato Renzi, Grillo
o si sono astenuti. Oggi parte una fase movimentista”.
E se i risultati arriveranno nascerà il partito. Fini parla
per un’ora esatta, dalle 11 e 40 alle 12 e 40, e anche tra
i suoi deve scontare una contestazione isolata. Giovanni Angelini, romano, lo interrompe un paio di volte
per gridargli: “Sei tu che hai ucciso la destra”, “Traditore”.
IL CAMERATA ROMAGNOLI
Luca Romagnoli, il secondo seduto, fondò la Fiamma
quando nacque An. Fini non sapeva che fosse in sala
TRENDY
La camicia nera subisce
l’evoluzione
dei tempi: l’assonnato partecipante si è
presentato con
una Lacoste
scura
NON È PIÙ TEMPO DI FIUGGI
Fini beve un bicchiere d’acqua, ma non è Fiuggi laddove il Msi abbandonò la Casa del Padre
VISPO
Anonimo finiano
espone il cartello
con lo slogan della
manifestazione:
“Partecipo”. Per la
precisione i cartelli erano di tre colori (bianco, rosso e
verde) per formare
il tricolore
QUIETE
Due partecipanti si
mascherano
con occhiali
e scialli per
passare
inosservate
e dormire in
santa pace
LA FRONDA
il Fatto Quotidiano
G
rillo caccia
tutti gli scontenti:
”Cercatevi un partito”
DISFATTISTI, malpancisti, fautori dell’implosione: il Movimento 5 Stelle non ha bisogno di voi”.
Con un intervento sul suo blog, Beppe Grillo serra
le file all’interno del M5S e, ancora una volta, se la
prende con chi presta il fianco ai nemici parlando
con i giornalisti (“pennivendoli” nella sua definizione) che fanno titoli “sul Movimento spaccato, sulle divisioni, sugli errori, sui flop, su fazioni
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
7
interne. All'interno del M5S – prosegue il post –
alcuni si fanno trascinare in polemiche sterili per
affermare una propria alterità, marcare un territorio, un'indipendenza ostentata. Il M5S non ha
bisogno di queste persone”. Per questo dissidenti
e scontenti hanno “l’imbarazzo della scelta, i pennivendoli li intervisteranno, i partiti li accoglieranno a braccia aperte”.
Nella trincea del Senato
tra Chiti, Razzi e Scilipoti
LA BATTAGLIA PER L’ELEZIONE DIRETTA DEI COMPONENTI DI PALAZZO MADAMA
HA UN FRONTE BIPARTISAN. MUCCHETTI: “NON ABBIAMO NULLA DA PERDERE”
di Fabrizio d’Esposito
G
li anticorpi al renzismo hanno generato nella pancia parlamentare una nuova specie: l’Homo Senatus, l’Uomo del Senato. L’Homo Senatus
è un Frankenstein costituzionale che assembla spezzoni di
tutti i partiti e ha soprattutto
una caratteristica: di fronte al
renzismo imperante mette insieme uomini e donne che non
hanno più nulla da perdere e si
ritengono più liberi dei tantissimi che sono saliti sul carro del
vincitore di Firenze. La linea di
confine tra loro e il resto del
mondo è il Senato elettivo. Capofila di questa battaglia nel Pd
è Vannino Chiti, ex ministro.
Ma ci sono, per esempio, anche
Casson, Mucchetti, Tocci e Mineo. In tutto sono 35 i senatori,
tra democrat, ex grillini e Sel,
che si battono per il suffragio
universale, e non un’elezione
indiretta.
Ecco cosa significa non aver
nulla da perdere secondo Massimo Mucchetti, già firma di
peso del Corriere della Sera poi
senatore nel Pd bersaniano: “Io
mi sono impegnato in questa
battaglia nel momento in cui
hanno messo fuori la testa per-
sone con una notevole cultura
istituzionale. Questa è la principale molla che li spinge. Ovviamente ho messo nel conto
un prezzo da pagare. Un prezzo
si paga sempre in certi frangenti, già mi è capitato professionalmente e non mi sono mai
spaventato. Non credo quindi
che il Pd mi chiamerà più a fare
il capolista in Lombardia come
è successo l’anno scorso”.
È come se l’Homo Senatus, a differenza degli abolizionisti che
vogliono
riempire Palazzo Madama di sindaci
e consiglieri
regionali, si
fosse liberato
allo
stesso
tempo di due
ossessioni, legate tra di loro. Quella di
dire sì al Capo
di turno (ieri
Berlusconi,
oggi Renzi) e
quella della
poltrona
a
tutti i costi. Almeno a sentire
Mucchetti, che conclude con
un’osservazione acuta sulla
propaganda tipica dei partiti
padronali-carismatici o sem-
plicemente carismatici: “C’è
una vera e propria manipolazione del reale. Noi che stiamo
denunciando tutti i rischi di
questa operazione siamo la palude, chi invece dà ragione al
Capo diventa un riformista”.
Ma chi vincerà alla fine? Risposta: “Il sentimento sul Senato
elettivo è maggioritario tra tutti
i miei colleghi, ma non so come
finirà. Comunque reputo difficile il raggiungimento dei due
terzi come prevede la Costitu-
del Transatlantico renziano.
Ma non è l’unico.
Dentro Forza Italia c’è un consistente movimento che non va
nel verso renziano. Il volto più
noto di questo schieramento è
Augusto Minzolini, giornalista
come Mucchetti. Anche lui ha
la sensazione che in giro per
Palazzo Madama siano in tanti
a non avere più nulla da perdere, compresi quelli che, realisticamente, non credono più
nella possibilità di un altro giro
LA PROPOSTA
Minzolini: “Il mio ddl costituzionale ha
raccolto 37 firme, quella è la base che
potrebbe fare da sponda all’altro lato”
I DISSIDENTI
Non ci sono solo i Democratici. Nella
pattuglia degli eletti Pdl le defezioni
crescono: ci sono pure Mussolini e Villari
zione”.
I dissidenti del Pd, più ex grillini e Sel, sono per il momento
un iceberg di medie dimensioni che minaccia la navigazione
parlamentare. La pubblicistica
corrente individua solo quattri
azzurri contrari alla riforma del
Senato (oltre Minzolini: Tarquinio, D’Ambrosio, Lettieri e
SPENDING REVIEW A CHI?
Cottarelli esule da Padoan
medita la riscossa: “Ora parlo io”
di Carlo
Tecce
così buio intorno a Carlo Cottarelli,
È
ignorato dai trionfalistici cronoprogrammi di governo, in isolamento vo-
lontario al Tesoro, che il signor spending
review annuncia e poi smentisce, precisa
e poi rettifica che vuole cominciare a tagliare l’illuminazione pubblica. Inedita
sindrome dell’oscurità. Cottarelli fu
un’invenzione di Enrico Letta e di Enrico
Letta è l’estrema testimonianza. Non un
richiamo per amorosi sensi (che da tempo sono dissensi) con lo spavaldo Matteo.
CON SPIRITO DA ULTIMO commissario
dentro un ultimo bastione, Cottarelli fa
trapelare stringati comunicati, brandelli
di dichiarazioni, anacoluti incompresi. A
un paio di mesi dai negoziati non sereni a
palazzo Chigi per sorreggere gli 80 euro
in busta paga, questa settimana, in mezzo
a una faticosa risalita renziana (arriva o
non arriva la riforma della giustizia?),
Cottarelli vuole sequestrare la scena: in
maniera garbata perché l’economista è
persona garbata. Il signor spending review
ha allertato gli uffici di via XX Settembre
per un incontro con i giornalisti, i dettagli
non sono espliciti, la forma non è pianificata, ma il contenuto è affinato da
giorni: Cottarelli vuole svelare l’ennesi-
ma strategia per grattare
facciano su Largo
un pacco di miliardi (7
Chigi: non a Palazzo
nel 2014) che, entro il
Chigi, ma vicini; sotto
2016, dovranno ragsorveglianza di Renzi,
giungere quota 32 a rema senza invadenza o
gime. Cioè per sempre.
troppa complicità.
Cioè non lineari: non a
DA MESI, PARE, che
casaccio. Non i mancati
ci siano irrisolte queacquisti per Comuni,
stioni burocratiche
Province e Regioni – 2,1
che impediscono a
miliardi in totale – che
Cottarelli di complehanno garantito gli 80
tare il trasloco. La vereuro di Renzi. Oltre ai
sione meno ufficiale e
lampioni in strada, il sipiù veritiera è che
gnor spending review
Cottarelli, il trasloco,
vuole colpire le lampaCOMMISSARIO alla spending non l’ha neanche inidine negli uffici pubblireview Carlo Cottarelli LaPresse ziato. Il signor spenci, i servizi di pulizia e, i
ding review, assistito da
soliti, irrinunciabili, oruna decina di collabomai leggendari, immobili statali. Il guaio è che Cottarelli è stre- ratori, sosta al ministero di Pier Carlo
mato dai preliminari prolungati. Custo- Padoan, un amico dai rimpianti tempi
disce decine di studi, tabelle, analisi. La americani, compagno di scorribande
parte teorica è perfetta. La pratica è in- sportive e unico interlocutore sempre dicerta. Renzi lo voleva osservare da vicino, sponibile. Il ministro che rassicurò i cronon ammette ministeri paralleli, figuria- nisti al Festival di Trento: “Dov’è finito
moci un super ministro che può rove- Cottarelli? È vivo e vegeto”. Quando a
sciare il bilancio pubblico per scovare Cottarelli chiedi di rammentare e citare il
quei maledetti (e necessari) 32 miliardi. Il più recente appuntamento o addirittura
rimedio renziano fu la convocazione un semplice contatto telefonico con RenCottarelli, come se fosse appunto un zi, di colpo, l’attesa diventa vana. Ora
commissario distaccato in un bastione un vuole parlare. E non sarà un discorso tapo’ fuori controllo, presso i locali che s’af- gliato.
Domenico Scilipoti vuole un Senato eletto a suffragio universale Ansa
Caliendo), ma il numero è mol-
to più alto. Dice Minzolini: “Il
mio ddl costituzionale su Camera e Senato ha raccolto 37
firme, quella è la base che potrebbe fare sponda con chi è
dall’altro lato”. Un totale di 73
senatori, sommando 35 più
38.
L’Homo Senatus sul versante
berlusconiano include, a leggere le firme sul ddl di Minzolini,
Cinzia Bonfrisco, Francesco Giro, Paola Pelino, Alessandra
Mussolini, i famigerati Razzi e
Scilipoti (sì anche loro, in fondo chi mai potrebbe riportarli
in Parlamento?), Riccardo Villari, Francesco Compagna, Pietro Langella (da poco passato
con Ncd) e quasi tutto il gruppo
degli autonomisti di Gal capeggiato dal socialista Barani e dal
cosentiniano D’Anna. Anche
Minzolini è convinto che Renzi
non riuscirà ad avere i due terzi
e a quel punto il referendum
sulla riforma, nel 2015, si potrebbe trasformare in un referendum sul premier, peraltro
non più in luna di miele con il
Paese. Il senatore azzurro, già
principe dei retroscenisti politici, ha pure un sospetto: “Il disegno di Renzi è perverso. Dopo la riforma potrebbe mandare a casa questo Senato ed eleggere il nuovo capo dello Stato
con la Camera attuale e il Senato a elezione indiretta. I mille
giorni che ha annunciato si
possono spiegare così”.
BOCCADUTRI L’onorevole
resta sempre tesoriere
partiti della sinistra vanno e vengono. I tesorieri
I
restano in piedi, portati dal vento e dal fiuto per
i cambiamenti. Nel 2008, Sergio Boccadutri, allora
tesoriere di Rifondazione comunista, lanciava l’allarme per la mancanza di fondi nelle casse del
partito. Il Prc, infatti, non aveva più rappresentanza parlamentare e i soldi erano destinati, come
poi è accaduto, a finire. Lui non si perse d’animo e
qualche tempo dopo, saltò a pié pari nell’allora
scissione vendoliana che formò Sinistra, Ecologia e
Libertà. Come se fosse stato iscritto a un albo professionale, Boccadutri divenne
sic et simpliciter tesoriere del
nuovo partito di cui, nel giugno 2012, vantava “un bilancio
virtuoso e trasparente”. Nel
febbraio del 2013 ottenne il riconoscimento di questo lavoro
sapiente, venendo eletto deputato a soli 37 anni. Qualche
giorno fa, l’ennesimo salto: stavolta nel Pd dove “potrà esprimere le sue competenze”, come ha spiegato ai compagni dell’ex partito. Si sa
che collaborerà con la tesoreria renziana di Francesco Bonifazi. Chi lo conosce assicura che non
porta via un euro ma, certamente, al Pd assicurerà
“relazioni e conoscenze con il mondo bancario”.
Chi gli vuole male lo accusa di essere un “lobbista”,
nel Pd lo hanno accolto a braccia aperte. Nel suo
piccolo, comunque, resta un caso di scuola, esempio di come la politica si sia fatta così professione
da poter gestire i cambi di casacca come si gestisce
un colloquio di lavoro. Senza concorso.
8
EURORISIKO
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
IItalia
mmigrazione,
“soddisfatta”,
ma l’asilo non c’è
QUANDO SI PARLA di immigrazione in Europa, l’Italia è sempre “soddisfatta”, nonostante le sue richieste siano sempre ridimensionate.
Matteo Renzi si è detto appunto
“soddisfatto” sull’intesa raggiunta al
Vertice europeo, sull’immigrazione.
“Siamo meno soli. Sono state messe
le basi per poter finalmente dare vita a un Frontex plus, allargandone l'operatività, così come sta a cuore a
noi e ai francesi, ma con la condivisione di tutti”, ha detto il premier
al termine del Summit. L’Italia aveva
spinto per inserire nelle conclusioni
del vertice un paragrafo sul mutuo
LE POLTRONE D’EUROPA
COSÌ RENZI E MERKEL
SCHIERANO GLI ESERCITI
il Fatto Quotidiano
riconoscimento del diritto d’asilo.
Questo passaggio è saltato all’ultimo, ma Renzi si è detto comunque
soddisfatto, esattamente come Letta al Vertice di ottobre, quando si
decise di posticipare le decisioni
operative su Frontex al Consiglio appena concluso. “Bocciata la modi-
fica ai trattati di Dublino, per consentire il trasferimento dei profughi
nei Paesi di loro scelta. Arrivano in
Italia e non possono uscirne. Renzi
non ottiene nulla, ma forse non l’ha
nemmeno chiesto”, ha commentato
Renato Brunetta, capogruppo di
Forza Italia alla Camera.
Chi comanda nel continente
CON LA NOMINA DI JUNCKER COMINCIA LA BATTAGLIA SUL RIGORE
E SULLE CASELLE DECISIVE DELL’UNIONE: QUELLE DI POLITICA
ECONOMICA. I TEDESCHI SONO I PIÙ ABILI. CAMERON HA GIÀ PERSO
di Stefano
Feltri
C’
inviato a Bruxelles
è soltanto una
nomina per ora
e neanche definitiva, quella di
Jean Claude Juncker come
presidente della Commissione: tra due settimane dovrà
andare davanti al Parlamento
europeo per chiedere una prima fiducia, poi ci tornerà una
volta composta la squadra dei
commissari. Una sola nomina, in questo complesso incastro tra nazioni, famiglie
politiche, Paesi rigorosi e Paesi indebitati, ma si possono
già vedere i primi vincitori e
soprattutto i primi sconfitti.
RENZI&LETTA. Matteo Renzi
è un vincitore a metà: il premier italiano, forte del 40,8
per cento alle urne, usa il suo
peso elettorale per avanzare
richieste. Al momento la sua
scelta è quella di avere l'Alto
rappresentante per la politica
estera, considerato in quota
socialista (il Pd in Europa è
dentro il Partito socialista).
Una casella di grande prestigio ma che vale zero in termini
di interesse nazionale, il ministro degli Esteri dell'Unione
è la persona da insultare quando l'Europa non riesce ad agire nelle crisi internazionali.
Ma Renzi usa la casella in
chiave politica: è quella più
nobile ed è quella a cui ambisce da anni Massimo D'Alema. Renzi la prenota per Federica Mogherini, la fedelissima ministro degli Esteri. E così manda un messaggio interno e a Bruxelles: la vecchia
guardia del partito – D'Alema
e non solo – deve rassegnarsi
all'oblio. E il fronte dei tecnocrati, la filiera europeista che
da Giuliano Amato e Mario
Monti arrivava fino a Enrico
Letta non può più considerare
le poltrone europee una spettanza automatica. Renzi in
Europa si appoggerà alla Mogherini e a due renziani acquisiti come Gianni Pittella,
che guiderà probabilmente il
potente gruppo del Pse in Parlamento, e a Roberto Gualtieri
che sarà capogruppo nella
commissione che segue i dossier economici, due caselle poco appariscenti in Italia, ma
che consentono grandi possibilità di azione. Secondo una
fonte dell'Europarlamento,
Angela Merkel avrebbe chiesto a Renzi se era disponibile a
indicare Enrico Letta alla presidenza del Consiglio euro-
peo, in caso di necessità. Il
premier avrebbe risposto con
un secco no. E comunque ha
pubblicamente spiegato che
l'Italia non chiede la guida del
Consiglio perché c'è già un italiano, Mario Draghi, alla Bce.
Letta è fuori, D'Alema anche,
Renzi è più forte ma rinuncia a
portafogli economici pesanti
come Commercio e Mercato
interno.
ANGELA MERKEL. La cancel-
liera tedesca è un portento: è
riuscita a ribaltare una situazione difficile in una affermazione di forza. La Merkel era
contraria al sistema degli Spitzenkandidaten, cioè il tentativo
dei partiti europei di imporre
ai capi di governo il presidente
della Commissione abbinan-
stigiosa.
CAMERON&HOLLANDE. Da-
vid Cameron è stato umiliato:
il premier inglese ha messo il
veto sul nome di Juncker per
la Commissione, preoccupato
che la sua nomina sia un pericoloso cedimento del Consiglio (cioè dei governi nazionali) a un'idea di Europa più
federale e dove è il Parlamento
a decidere. Per la prima volta il
Consiglio ha votato a maggioranza invece che decidere all'unanimità: 26 con Juncker,
due contro. A sostegno di Cameron è rimasto solo il leader
reazionario e xenofobo dell'Ungheria, Viktor Orban. Ora
Cameron, già umiliato dal
successo degli indipendentisti
Ukip di Nigel Farage, deve
scegliere se incasare l'umiliazione o reagire spingendo
Londra fuori dall'Unione col
referendum previsto per il
2017. François Hollande è
semplicemente non pervenuto: il debolissimo presidente
francese cerca disperatamente
un posto per l'ex ministro
Pierre Moscovici, che ha fatto
dimettere promettendogli un
posto a Bruxelles, ma per ora
non si ha traccia dell'attività
diplomatica francese.
MATTEO RENZI
Forte del suo 40% avanza pretese sulle poltrone. Potrebbe ottenere il ministero degli Esteri
Ue. Casella che vale poco in termini di interessi
concreti. Solo promesse sulla flessibilità.
ANGELA MERKEL
Ha già scelto il suo commissario e ora vuole
l’Energia e piazzerà un suo uomo a gestire le
politiche economiche dell’euro. Ha sconfitto la
Gran Bretagna sulla nomina di Juncker.
I pretendenti al trono
ENRICO LETTA
La Merkel avrebbe suggerito il suo nome a
Renzi ed era in corsa per una poltrona importante. Ma il premier non vuole resuscitare
l’ex rivale e lo condanna all’oblio.
MASSIMO D’ALEMA
Da anni voleva fare il ministro degli Esteri
d’Europa e si era illuso che la poltrona fosse
sua. Ma Renzi è troppo forte e non ha bisogno di tenerselo buono.
Il parlamento europeo LaPresse
do le candidature al voto partitico. Non ha mai amato Jean
Cluade Juncker, il candidato
del Ppe, e ancor meno Martin
Schulz, il suo avversario del
Pse, socialista tedesco della
Spd. Ma quando David Cameron ha messo il veto sul nome
di Juncker, simbolo di un'Europa troppo federale e contraria agli interessi inglesi, la
Merkel ha difeso il nome di
Juncker, trasformandolo di
fatto in un presidente di Commissione su mandato della
Germania, ha sbloccato il risiko delle nomine appoggiando la riconferma di Schulz al
Parlamento per i prossimi due
anni e ha quasi ottenuto in anticipo la conferma di un portafoglio importante per Berlino nella nuova commissione. Il commissario sarà, di
nuovo, Günther Oettinger,
quasi certamente confermato
all'Energia. Anche il prossimo
commissario agli Affari economici, il successore di Olli
Rehn, deve essere scelto tra i
nomi graditi alla Merkel: probabile che sia un altro finlandese, l'ex premier Jirky Katainen, che si è dimesso dal governo con la promessa tedesca
di ottenere una poltrona pre-
Il rinculo della flessibilità:
in autunno si rischia la manovra
inviato a Bruxelles
a flessibilità sui conti magari arL
riverà, ma per ora regna il rigore:
mentre il premier Matteo Renzi cele-
chiara: il governo italiano non sta facendo la riduzione del debito da 4-5
miliardi nel 2014 promessa e ha deciso
di rinviare il pareggio di bilancio dal
2015 al 2016. Bruxelles non chiede nessuna manovra correttiva, per ora. Se però in autunno non si dovessero materializzare i miracolosi impatti delle riforme sulla crescita, allora il governo
dovrà intervenire già con la legge di Stabilità per ridurre debito e deficit.
brava il presunto successo italiano di
aver ottenuto la promessa di qualche
margine di manovra in cambio di riforme, il Consiglio europeo approvava
le raccomandazioni della Commissione
all'Italia rendendole ancora più dure.
“Nel 2015 il Consiglio raccomanda all'Italia di garantire le esigenze di ridu- LA SITUAZIONE è questa: secondo
zione del debito così da rispettare l'o- Confindustria il Pil nel 2014 salirà dello
biettivo di medio termine”, cioè il pa- 0,2 per cento invece che dello 0,8 inreggio di bilancio strutturale (deficit a dicato dal governo. Stando così le cose
zero dopo aver tolto dal
bisognerebbe intervenire di sicuro, non si
calcolo le componenti
dovute all'effetto della
vede da dove possa
DOCCIA FREDDA
recessione). E l'Italia dearrivare questo imve “assicurare il progrespulso alla crescita nei
Mentre il rottamatore
so” verso il pareggio già
prossimi due-tre menel 2014. Queste le pesi. Si capisce a questo
esultava per vaghe
santi indicazioni del dopunto meglio l'esipromesse, Bruxelles
cumento rivelato ieri da
genza di Renzi di otFederico Fubini su Retenere qualche aperci intimava più rigore sui
pubblica.
tura dalla CommisNelle sue raccomandasione e da Berlino, il
conti. Tradotto: tagli o
premier vuole dimozioni, a inizio giugno, la
aumento del peso fiscale strare di essere sulla
Commissione era stata
Il
ministro
Pier
Carlo
Padoan
LaPresse
strada giusta delle riforme ed evitare che
in autunno gli venga imposta la manovra per qualche zero virgola mancante:
con i nuovi poteri dei regolamenti noti
come two pack, la Commissione può
anche bocciare la legge di Stabilità se
non rispetta i numeri concordati. C'è
anche la possibilità che venga aperta una
procedura di infrazione per debito eccessivo. E tutto questo Renzi non può
permetterselo perchè, in base a come
andranno i negoziati col Parlamento
sulle riforme, il premier potrebbe voler
andare al voto nel 2015 ed è meglio non
farlo mentre salgono le tasse o ci sono
pesanti tagli di spesa (aggiuntivi a quelli
sicuri per garantire gli 80 euro in busta
paga anche l'anno prossimo e trovare i
32 miliardi di risparmi previsti dal commissario alla spending review Carlo Cotrarelli).
Ste. Fel.
PAESE NEL PANTANO
il Fatto Quotidiano
GIOVANI SENZA LAVORO
IL FLOP DEL BONUS PER LE ASSUNZIONI
La crisi morde e così si è rivelato un sostanziale
flop il bonus per le assunzioni dei giovani tra i 18
e i 29 anni messo in campo l’anno scorso dal governo Letta per creare, tra il 2013 e il 2015, circa
100.000 nuovi posti, con uno stanziamento di
794 milioni. Secondo i dati Inps a fine giugno le
domande confermate erano poco più di 22.000.
Al 23 giugno, scrive l’Inps, il numero totale delle
domande di prenotazione arrivate per l’assunzione di giovani disoccupati erano 28.606, ma
tra queste 5.499 sono scadute, mentre quelle
confermate sono 22.124. Il beneficio per ogni lavoratore assunto con il bonus è di un terzo della
retribuzione lorda fino a un tetto di 650 euro al
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
9
mese per un massimo di 18 mesi (12 mesi nel
caso di trasformazione di un contratto a termine
in tempo indeterminato). Quindi se si calcolano
circa 8.000 euro in un anno per ogni assunto al
momento sono stati spesi meno di 160 milioni
di euro. Non basta quindi il taglio totale dei contributi per 18 mesi per convincere le aziende ad
aumentare il personale.
I pensionati italiani
i più tassati della Ue
E i negozi chiudono
I NOSTRI ANZIANI PAGANO PIÙ IMPOSTE RISPETTO A QUANDO
LAVORAVANO. PER OGNI ESERCIZIO CHE NASCE NE MUOIONO DUE
di Giulia Merlo
JEAN CLAUDE JUNCKER
Con le nuove regole è stato nominato quasi senza
volerlo. Ora deve costruire una squadra adatta al
grande inciucio nel Parlamento europeo. Rischia
sempre un nuovo scandalo dal suo passato.
DAVID CAMERON
La sua battaglia di principio era evitare la nomina di Juncker come prova di forza in Europa.
La stampa di casa lo massacra. Ora diventa più
concreto il rischio che Londra lasci l’Europa.
P
ensionati supertassati e negozi che chiudono: questo il quadro a tinte fosche
dell’Italia nei primi mesi del
2014, presentato da Confesercenti e Confcommercio.
PENSIONI Italia è il paese più
longevo d’Europa, ma anche
quello che tratta peggio i propri
pensionati. Gli anziani, dopo
una vita di contributi, pagano
proporzionalmente più tasse di
quando lavoravano. “Un anziano che riceve un assegno mensile di 1500 euro lordi detrae 72
euro in meno rispetto a quanto
fa, invece, un lavoratore dipendente con un reddito dello stesso importo”, ha spiegato il presidente Marco Venturi, durante
la festa nazionale della Fipc (Federazione Italiana Pensionati
del Commercio).
L’anomalia maggiore, però, è
che il prelievo fiscale è tanto
maggiore quanto più la pensio-
FEDERICA MOGHERINI
Ha poca esperienza. Teneva i rapporti tra il Pd e i
socialisti europei. Ora potrebbe avere la Politica
estera dell’Unione in quanto fedelissima di Renzi.
Tra i suoi sponsor c’è anche il Quirinale.
Il sindacalista
JIRKY KATAINEN
Si è dimesso da premier della Finlandia perché
Berlino gli ha promesso una poltrona. Voleva
fare il presidente di Commissione o Consiglio,
ora spera di prendere il posto di Olli Rehn.
ne è bassa. Le pensioni sotto i
1500 euro, infatti, possono detrarre 131 euro in meno dei lavoratori con lo stesso reddito.
Le pensioni, però, non vengono
erose solo dalle tasse. Nel 2014 i
nonni italiani hanno perso 1419
euro di potere d’acquisto rispetto al 2008. “Sono oltre 118 euro
al mese, sottratti a consumi e ai
bilanci delle famiglie” ha specificato Venturi, secondo cui è
sempre più indispensabile una
riforma del sistema fiscale, che
estenda anche ai pensionati il
bonus fiscale, in modo da ammortizzare, almeno in parte, la
perdita su base mensile.
EUROPA Opposta la situazione
nel resto d’Europa: sulla stessa
pensione da 1500 euro, un nonno romano paga il doppio rispetto a un suo “collega” spagnolo, il triplo rispetto a un inglese e cento volte di più rispetto
a un tedesco. “Un pensionato
italiano paga il circa 4000 euro
l’anno di tasse, il 20,7% di quanto riceve dall’Imps - ha spiegato
20,7
%
0,
2%
TASSE
IMPOSTA IN
IN ITALIA
GERMANIA
Venturi - in Germania quello
stesso pensionato invece è tassato allo 0,2, pari a 39 euro annui”. E il discorso non cambia
nemmeno quando si considerano pensioni più basse: chi riceve
circa 750 euro, -1,5 volte il trattamento minimo - è tassato al
9,17%. La stessa pensione in
Germania, Francia e Spagna sarebbe, invece, esentasse.
COMMERCIO Nei primi cinque
mesi dell’anno, per ogni nuovo
negozio aperto due hanno chiuso. I più colpiti sono stati bar e
ristoranti, aumentano invece le
licenze per il commercio ambulante.
Unica per quanto magra consolazione è che il dato - fornito
dall’Osservatorio sulla demografia delle imprese della Confcommercio - è comunque migliore rispetto a quello registrato nello stesso periodo nel 2013:
52.716 esercizi chiusi quest’anno, contro i 55.815 dell’anno
scorso. Il più colpito è il Meridione, con 17mila imprese in
meno. Secondo l’Osservatorio, i
dati confermano come non ci
siano ancora segnali concreti di
una vera ripresa, anche se “le
imprese stanno riuscendo a
contenere gli effetti della crisi,
nonostante una domanda interna stagnante, l’elevata pressione
fiscale e i mancati pagamenti dei
debiti della p.a.”.
Maurizio Landini (Fiom)
“Basta spot! Matteo, lascia stare Marchionne”
di Salvatore Cannavò
e Renzi vuol cambiare verso, lo cambi davS
vero, altrimenti non va da nessuna parte. La
fase degli spot è finita”. Maurizio Landini, segre-
tario Fiom che con il premier ha costituito un
rapporto diretto tale da infastidire la segreteria
Cgil, invita il presidente del Consiglio a prendere
le distanze da Sergio Marchionne con cui domani parteciperà al convegno degli Industriali di
Torino alla Maserati di Grugliasco.
C’è il rischio che il convegno di domani sia uno
spot alla Fiat?
La fase degli spot è finita. In Italia la disoccupazione cresce, la maggioranza dei lavoratori
Fiat è in cassa integrazione, si continuano a fare
accordi separati, come pochi giorni fa a Melfi.
Cosa dovrebbe dire il premier?
Il governo non può più stare a guardare. Non si
può subire un progressivo disimpegno della Fiat
o avallare la cancellazione del sindacato dai luoghi di lavoro. È singolare che Marchionne trovi il
tempo di volare in Italia per fare fronte a un’ora
di sciopero e non trovi mai il tempo per confrontarsi sugli investimenti che servono.
Perché Marchionne è volato di corsa da Detroit a
Grugliasco?
Negli Stati Uniti gli analisti finanziari non sono
entusiasti del suo piano e stanno attenti a tutto
quello che si muove. Poi, la Fiat si era fatta l'idea
che esistessero solo sindacati che firmano gli accordi. La sentenza della Corte costituzionale ha
messo in discussione il modello. Non se lo aspettava.
In un paese con un’evasione fiscale che non ha
eguali e con investimenti in ricerca tra i più bassi
d’Europa bisognerebbe parlare d’altro.
Voi cosa proponete?
Sembra di capire che il credito a Renzi non è esaurito.
Credo che ci sia un bilancio da fare. Sono passati
quattro anni e c’è tanta cassa integrazione e i salari dei lavoratori Fiat sono più bassi degli altri
metalmeccanici. Occorre chiedersi che industria
vuole questo paese. Se la Germania è un paese
forte è perché ha la più forte industria.
Non si tratta di fare credito. Abbiamo giudicato
positivamente gli 80 euro e negativamente il decreto lavoro. Renzi dice che vuole cambiare? Bene, lo faccia. Gli esodati, ad esempio, non sono un
errore ma il prodotto di un taglio secco del sistema pensionistico.
Crede che Renzi abbia da imparare?
Vi incontrerete pubblicamente con il premier?
Penso proprio di sì. Il governo
francese ha imposto alla General
Electric di creare mille posti di lavoro. In Italia, alla Ducati Motor,
di proprietà della tedesca Audi,
discutiamo di maggior utilizzo
degli impianti e di riduzione degli orari.
Non le sembra che anche Renzi
sia stato subordinato alla Fiat?
I governi precedenti, da Berlusconi a Monti a Letta, hanno
apertamente sostenuto Marchionne. Ora c’è una possibilità
di un cambiamento.
Eppure il governo parla ancora di
articolo 18.
Mi sembrano pure sciocchezze.
Maurizio Landini LaPresse
È ORA
DI CAMBIARE
Noi non mandiamo
email, se il premier vuole
discutere venga pure
Dalla Germania impari
che l’industria è
strategica. L’articolo 18?
Sento solo sciocchezze
Entro il mese di luglio organizzeremo un convegno che metta attorno a un tavolo diversi soggetti per discutere di evasione, legge sugli appalti,
corruzione.
Verrà anche Renzi?
Se c’è una disponibilità abbiamo intenzione di
fare un confronto anche con il governo. Noi non
mandiamo email. A Renzi, al governo, portiamo
i lavoratori in carne e ossa.
Cosa pensa delle mosse del governo sull'Ilva?
Il problema è avere un profilo industriale, mettere a norma l’azienda, applicare il piano ambientale. Per farlo c’è bisogno di un nuovo assetto
proprietario: i Riva devono pagare e andarsene.
Ma nella fase transitoria, il governo deve intervenire, tramite la Cassa depositi e prestiti o il
Fondo strategico per facilitare una nuova proprietà.
Può essere anche ArcelorMittal?
Il problema sono i piani industriali.
La Fiom è una minoranza in Cgil. Pensa ancora che
servano le primarie per eleggere i vertici?
La segretaria della Cgil è entrata al congresso con
il 98% dei voti, la sua lista al direttivo ha ottenuto
l’80%, lei è stata eletta con il 70 e la segreteria di
maggioranza, proposta qualche giorno fa, con
poco più del 60%. Considero che una democratizzazione e trasparenza della Cgil sia necessaria.
Con5,7 milioni di iscritti, 95 persone decidono
tutto. È una questione irrisolta.
10
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
il Fatto Quotidiano
LA TERRA DEI CACHI
il Fatto Quotidiano
Spositivi
barchi, 5 agenti
a test Tbc
Scontro Sap Viminale
È RISCHIO TBC per cinque poliziotti di
Catania, impegnati negli sbarchi dei migranti al porto di Catania. Gli agenti sono
risultati positivi al test di Mantoux, che
serve a verificare la potenzialità di contrarre la tbc. Il tutto dopo la notizia che in
uno sbarco di una ventina di giorni fa un
migrante risultava affetto dal virus. Il Sap
ha accusato il Viminale di aver tenuto
tutto nascosto. Il segretario generale del
Sap siciliano, Saro Indelicato, denuncia
anche la mancanza di adeguati strumenti di profilassi durante gli sbarchi come
mascherine, tute e guanti. In serata il
Dipartimento della Polizia di Stato ha
gettato acqua sul fuoco: "La positività
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
11
non è indice di contagio o malattia ed è
esclusa la possibilità di contagio”. “La
posizione del Dipartimento è fuorviante
e inconsistente. Infatti il Dipartimento è
subito intervenuto con la Questura di
Catania predisponendo accertamenti
per gli operatori interessati già da lunedì”, questa la dura replica del Sap.
S. DOMINGO, L’AMBASCIATA CHIUSA
E LO STRANO TRAFFICO DEI VISTI
LA SEDE “TAGLIATA” ERA GIÀ COMMISSARIATA DA MESI: DIPLOMATICI MANDATI A CASA
E DIPENDENTI LICENZIATI. ORA I DOCUMENTI ITALIANI LI RILASCIA IL CONSOLATO SPAGNOLO
di Thomas Mackinson
e Alessio Schiesari
I
n un colmado, il chiosco
alimentare tipico in Repubblica Dominicana, si
può comprare di tutto:
frutta, riso, fagioli e visti di ingresso per l’Italia. Sembra incredibile ma è così: nell’isola caraibica un gruppo di funzionari
dell’ambasciata, con la compiacenza dei diplomatici, ha creato
un mercato nero capillare, in
cui bastava sborsare la cifra giusta per ottenere il documento
per l’ingresso in Italia. Al diavolo i requisiti stabiliti dal ministero degli Esteri: assicurazione sanitaria, libretto di risparmio e lettera d’invito, per
anni è stato sufficiente pagare
(tra i 5 e 7 mila euro a visto) per
entrare in area Schengen. Fino a
metà 2013, l’ambasciata tricolore è stata un’industria di visti,
migliaia dei quali – questa è la
convinzione degli ispettori del
ministero – commerciati illegalmente. Per capire la portata
della truffa, basta guardare i dati sui visti rilasciati: 5272 nel solo 2012. L’ambasciata in Brasile, che conta venti volte gli abitanti della Repubblica Dominicana, ne ha concessi 3078, quella in Messico 1357, quella ar-
gentina appena 667. Fino a che
il giochino si è interrotto. Il merito, almeno inizialmente, non
è delle autorità italiane, ma di
quelle spagnole. È stata infatti la
polizia di frontiera dell’aeroporto di Madrid ad accorgersi
che qualcosa non andava quando ha scovato sedici dominicani che si erano da poco visti negare il pass d’ingresso in Spagna
ma, a distanza di pochi giorni,
avevano ottenuto quello italiano. Di qui è partita la segnalazione che ha dato il la a una raffica di ispezioni concluse con il
commissariamento della rappresentanza: l’ambasciatore
Arturo Olivieri è stato richiamato a Roma, un funzionario
licenziato, il rilascio dei visti
italiani è stato affidato all’ambasciata spagnola e, come spiega il portavoce del ministero, “i
rapporti ispettivi sono stati inviati in procura”.
SI STIMA che circa 8 mila visti
siano stati rilasciati dietro compenso, per una truffa che, secondo fonti interne all’ambasciata, avrebbe fruttato non meno di 30 milioni di euro (il ministero si rifiuta di confermare).
Qualcuno, sul posto, si spinge
oltre e ipotizza che il “sistema”
fosse sfruttato dalla malavita lo-
SMENTITE E BUGIE
La Farnesina nega
il collegamento
tra spending review
e irregolarità, ma
l’ambasciatore caraibico
racconta un’altra verità
Il sottosegretario Mario Giro Ansa
cale che approfittava dei visti facili all’interno dei traffici di stupefacenti e prostitute. Un’ipotesi che non trova conferme, ma
che ha preso piede anche per la
mancata trasparenza della Farnesina. Basti pensare che l’attuale reggente dell’ambasciata,
l’incaricato d’affari Olindo
D’Agostino, dalle colonne dei
giornali caraibici continua a
mandare segnali minacciosi per
zittire le voci sul traffico di visti:
“Fate nomi e cognomi, altrimenti si rischia la galera”. Parlare con lui è impossibile perché
da giorni al telefono dell’ambasciata non risponde nessuno.
L’affaire visti si lega con un’altra
vicenda, la chiusura di quattro
ambasciate (tra cui quella di
Santo Domingo) annunciata
dal ministro Federica Mogherini il 4 aprile scorso. “Le forbici
della spending review arrivano
nel cuore della diplomazia italiana”, scriveva l’Ansa. Si è presto scoperto che due di queste,
Rejkjavik e Nouakchatt, non
erano mai state aperte. La terza,
quella di Santo Domingo, era
già stata commissariata e resa
inoperativa. Ufficialmente la
Farnesina nega ogni collegamento tra le chiusure e le ispezioni: “sono due vicende completamente scollegate”, sostiene
il sottosegretario con delega
all’America Latina, Mario Giro.
A contraddire la tesi ufficiale c’è
però una lettera inviata dall’ambasciatore dominicano a Roma,
Vinicio Tobal, dopo un incontro al ministero con lo stesso Giro: “Ha spiegato (il sottosegretario, ndr) che sono state riscontrate irregolarità nell’ambasciata italiana, per questo il governo
ha deciso la sua chiusura, ma il
Sicilia, una Regione in analisi
L’ARS RISCHIA LA BANCAROTTA, I SUOI DIPENDENTI FANNO LA FILA ALLO SPORTELLO DELLO PSICOLOGO
di Gabriele Fazio
dipendenti pubblici della
Regione Sicilia soffrono lo
I
stress. Preoccupazioni per la
carriera, liti con i colleghi, incomprensioni con i superiori.
Ma lo Stato non li ha abbandonati: la Regione ha aperto
all’interno dei suoi uffici uno
sportello che fornisce supporto
psicologico ai suoi lavoratori.
Il progetto è partito undici mesi fa, i risultati sono sorprendenti. In meno di un anno, sono addirittura 150 i dipendenti
che si sono rivolti allo psicologo Tommaso Gioietta per raccontargli problemi e frustrazione. Non chiamateli statali
fannulloni, al massimo “demotivati”. Questo il termine usato
PARADOSSI
Mentre la giunta
Crocetta studia
l’ennesima manovra
correttiva, tra gli uffici
pubblici ce n’è anche uno
per i lavoratori stressati
dal dottor Gioietta, che spiega:
“Il mito dell’impiegato pubblico pigro è da sfatare. La verità
sta nel mezzo: ci sono gli scansafatiche, è vero, ma non si può
estremizzare. Sono tantissimi i
dipendenti che fanno più di
quanto dovrebbero e si fanno
carico anche del lavoro degli
altri”. Per lo psicologo della Regione Sicilia i colloqui sono in
media cinque o sei a settimana,
della durata di circa un’ora.
ALLA SUA PORTA bussano uo-
mini e donne in egual misura,
senza limiti di esperienza o anzianità: hanno richiesto aiuto
tanto i giovani appena assunti
quanto alcuni colleghi a un anno dalla pensione, in ansia per
l’imminente distacco dal posto
di lavoro. All’inizio si pensava
che lo psicologo sarebbe stato
accolto con diffidenza, al contrario: la risposta è stata entusiasta. Meno convinti, probabilmente, saranno i contribuenti. L’esperimento dello
“psicologo dei regionali” avviene nell’ente italiano con il bilancio più disastrato e gli sprechi di denaro pubblico più imbarazzanti.
L’ennesimo allarme sulle esangui casse dell’Ars è stato lanciato a inizio giugno dalla Corte
dei Conti, secondo cui l’attuale
situazione finanziaria è “appena sufficiente a garantire il fabbisogno mensile”. Una situazione, per utilizzare il linguaggio quasi eufemistico dei giudici contabili, che “desta alcune
La sede dell’Assemblea regionale siciliana Ansa
preoccupazioni”.
La giunta Crocetta si è da poco
messa al lavoro per la terza manovra economica dall’inizio
della legislatura: bisogna trovare subito 360 milioni di euro. Il
governatore è nervoso: “La
prossima persona che parla di
commissariamento della Regione Sicilia – ha detto in conferenza stampa – sarà denunciata per attentato alla Costituzione”.
La manovra prevede tagli da 15
milioni di euro sui costi
dell’Assemblea regionale e da
22 milioni di euro sulla sanità,
giusto per citarne un paio.
Lacrime e sangue, dunque, per
alleggerire l’eredità di anni di
sprechi. Chissà se anche la figura dello psicologo degli impiegati regionali sarà vittima
dei tagli. Per adesso il dottor
Gioietta si gode la grande partecipazione alla sua iniziativa. Il
terapeuta esulta e prova pure a
spiegare una ricetta per aumentare la produttività degli statali:
“Certi problemi – sostiene –
non possono essere risolti dai
singoli lavoratori, ma dipendono dal contesto organizzativo.
Grazie ai nostri consigli, la vita
lavorativa in questi uffici è migliorata”.
5.
272
RILASCI
IN UN ANNO
provvedimento sarà solo transitorio”. Niente spending review quindi, solo una pausa
causata dall’incapacità di sanare
una situazione di illegalità. Chi
sta provando a bloccare la chiusura dell’ambasciata è l’associazione Casa de Italia, che la scorsa settimana ha comprato mezza pagina su Repubblica per lanciare il suo appello. La chiusura
costringerebbe i 30 mila italiani
residenti a Santo Domingo a re-
Ansa
CHI LI HA VISTI?
In Brasile, venti
volte gli abitanti
dell’isola caraibica,
ne sono stati
concessi solo 3078
carsi a Panama per ottenere un
qualsiasi documento (spesa per
l’aereo, 800 euro). Non solo:
chiudendo la sede il ministero
perderebbe la proprietà di quattro proprietà del valore complessivo di 30 milioni di euro. Si
tratta di terreni lasciati in eredità all’ambasciata per cui non è
possibile cambiare la destinazione d’uso e che, in caso di
chiusura, tornerebbero in mano
ai precedenti proprietari.
L’ORDINE contro De Bortoli
per i “pizzini” a Dell’Utri
a pagina a pagamento pubblicata dal
a
L
sostegno di Marcello Dell’Utri potrebbe sconfinare
nell’apologia di reato. A sostenerlo è il presidente dell’Ordine
Corriere della Sera
dei giornalisti della Lombardia (e giornalista del quotidiano
di via Solferino), Gabriele Dossena, che in una lettera promette provvedimenti disciplinari per il direttore Ferruccio de
Bortoli: “È mia intenzione portare l’accaduto al prossimo
Consiglio dell’Ordine perché intervenga il consiglio di disciplina. Valuteremo in che misura la libertà di manifestazione del pensiero cada in apologia di reato o modalità imbarazzanti per il prestigio e l’etica del giornale che dirigi”. La
pagina incriminata, voluta dalla moglie dell’ex senatore ora in
carcere, è stata pubblicata sul giornale di giovedì e conteneva
decine di messaggi di affetto per Dell’Utri scritti dagli amici e
confezionati in forma di pizzini. Sulla questione era già intervenuta la rappresentanza sindacale del Corriere della Sera,
che ha definito “grave”
la scelta di “accettare
passivamente un’intera
pagina pubblicitaria”,
senza che peraltro la direzione abbia provato a
prendere le distanze.
Per il cdr, si tratta di un
“imbarazzante precedente. Da oggi ci chiediamo come il Corriere
potrà rifiutare analoghe
richieste degli amici di
altri condannati per
mafia”. In settimana
probabilmente De Bortoli risponderà al comitato di redazione.
12
Islam e lotta, così risvegliava l’orgoglio razziale
Enzo Biagi intervistò Malcolm X in un bar
di New York. Nel ’64, il Congresso approvò
il Civil Rights Act. Un anno dopo, l’attivista
venne ucciso dai suoi sodali di Nation of Islam
49
(continua)
Malcolm X:
“Senza violenza
il nero è schiavo”
IL LEADER DELLE LOTTE CONTRO LA SEGREGAZIONE RAZZIALE RACCONTA LA SUA VITA:
LA CASA D’INFANZIA BRUCIATA DAL KU KLUX KLAN, L’ASSASSINIO DEL PADRE, LE DROGHE
E LA GALERA. POI LA SCOPERTA DEL CORANO E L’INIZIO DI UNA DURA MILITANZA POLITICA
NON AVEVA FIDUCIA NEL PACIFISMO: “MARTIN LUTHER KING NON AIUTA LA NOSTRA CAUSA,
CI INSEGNA A ESSERE INDIFESI. È UN TOPOLINO SCHIACCIATO DA UN ELEFANTE BIANCO”
di Enzo Biagi
S
ignor Malcolm X qual è il suo primo ricordo di
bambino?
Guardi, la cosa che ho più viva nella memoria,
se ripenso alla mia giovinezza, è quando la nostra casa nel Michigan fu bruciata dal Ku Klux
Klan. Avevano i cappucci coi grandi fori davanti agli occhi, mantelli rossi e lunghi fucili.
Gridavano. A quel tempo noi vivevamo in un
quartiere bianco. Anche allora, come adesso, i
bianchi, la società bianca, era contraria a ogni
forma di integrazione, e così incendiarono la
nostra abitazione e ci costrinsero ad andare via.
Questo non accadeva nel profondo Sud, ma nel
Michigan, in uno degli Stati più a nord di questa nazione. Non l’ho mai dimenticato.
Lei parla con grande proprietà di linguaggio, dove ha studiato?
Sono nato a Omaha, nel Nebraska, nel 1925,
anche da quelle parti il Ku Klux Klan era molto
forte. Diedero a mio padre l’ordine di partire, e
così ce ne andammo. Per me fu una grande
umiliazione. Pensai che mio padre avrebbe dovuto comportarsi diversamente, reagire, poi
negli anni compresi che non avremmo potuto
fare nulla e che mio padre volle semplicemente
proteggere la nostra famiglia. Ho frequentato
solo le prime classi, quello che so l’ho imparato
vivendo quotidianamente a contatto con la disperazione del nostro popolo. Da mio padre ho
imparato a parlare agli altri, lui era un predicatore battista, lo sapeva fare molto bene.
Lei è stato in carcere.
Sì, sono stato in carcere perché avevo commesso un crimine, anzi, parecchi crimini: droga,
estorsione, rapine e tanti altri. Fui preso e condannato, allora avevo vent’anni, ma è stata la
società, la società dei bianchi, la società occidentale, con tutte le oppressioni che esercita sui
neri che mi ha mandato dentro; e fa sì che la più
alta percentuale di detenuti sia nera, perché noi
neri dobbiamo ricorrere al delitto per vivere.
Siamo in guerra: il Mississippi è come il Congo,
Harlem come il Vietnam. Qualcuno cade.
È per questo che è diventato musulmano?
Mi sono convertito quando ero in prigione. Sono nato cristiano, poi ho avuto diversi anni di
agnosticismo, e dopo essere stato anche ateo
capii che la religione dell’Islam è la verità e l’accettai. Allah è giusto, mentre i cristiani sono
ipocriti, per questo ho deciso di convertimi alla
grandezza dell’Islam. Mio fratello Reginald,
mentre ero in carcere, mi chiese di aderire alla
National of Islam di Elijah Muhammad, perché
la maggior parte degli africani, prima di essere
presi e ridotti in schiavitù, erano musulmani.
Tutti i neri devono convertirsi all’Islam.
Signor Malcolm X, lei crede nell’integrazione?
I neri devono, ogni volta che intendono prendere una decisione, rivolgersi ai bianchi per sapere quali sono le cose che possono comprare,
dove, e in quale quartiere devono andare a vivere. I neri hanno bisogno di avere un permesso per qualsiasi iniziativa intendono prendere.
I musulmani che seguono Elijah Mohamed
non credono in nessuna forma di integrazione.
messa dai razzisti pensiamo a quanto è stupida
a farsi sottomettere senza reagire. La violenza
quando è usata per proteggersi, non solo è necessaria, è giustificata. Tutti i neri dovrebbero
credere nel diritto di difendersi da chiunque. Se
durante una manifestazione un cane, lanciato
da un poliziotto, morde un nero, lui dovrebbe
avere la possibilità di uccidere il cane. L’animale viene lanciato contro il nero, che non sta
facendo altro che esercitare un diritto, il poliziotto che lo ha lanciato dovrebbe pagare per
questo atto violento e non giustificato.
Lei è per la violenza mentre Martin Luther King
è per la pace, per la non violenza come Gandhi.
Non siete d’accordo tra di voi e questo vi rende
FRATELLI COLTELLI
Ucciso dai compagni traditi di Nation of Islam
MALCOLM X, il cui vero nome è Malcolm Little, nasce a Omaha, in Nebraska, il 19 maggio 1925. Settimo di 11 figli, impara presto a conoscere il razzismo: la sua famiglia emigra in Michigan per le minacce subite dal Ku Klux
Klan. Quando ha soli sei anni, suo padre, un predicatore battista, viene assassinato da estremisti bianchi. A 13 anni perde anche la madre, che viene
rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Lascia la scuola, in cui eccelle, quando
un insegnante gli dice che “studiare legge non è un obiettivo realistico per
un negro”. A vent’anni finisce in galera. Qui aderisce a Nation of Islam, un’organizzazione
musulmana che lotta per i diritti degli afroamericani, di cui diventa presto un leader. In carcere comincia a firmarsi Malcolm X. Quando esce dal carcere si trasferisce a New York, diventa un predicatore e sposa Betty Senders, da cui avrà otto figli. Dopo l’omicidio di Kennedy commenta polemicamente: “La violenza che non ha saputo fermare gli si è ritorta contro”. Nel ’64 lascia Nation of Islam, abbandona le tesi sulla superiorità nera, e fonda il Muslim Mosque Inc. Il 17 febbraio dell’anno successivo scampa a un attentato dinamitardo. Una
settimana dopo, tre membri di Nation gli tendono un agguato e lo uccidono.
La parola integrazione pronunciata dai bianchi
è una menzogna anche quando viene detta da
un presidente degli Stati Uniti o da un bianco
che è socialmente impegnato. Se la legge o la
Corte Suprema o gli altri organismi giuridici
facessero sul serio per l’uguaglianza tra bianchi
e neri, condannerebbero chi impedisce l’integrazione, e noi neri non dovremmo continuamente manifestare per i nostri diritti. Se la legge
nazionale firmata dal presidente Lyndon Johnson fosse reale e non una grande ipocrisia,
quando i neri manifestano per l’integrazione
non verrebbero arrestati perché, come sta scritto nella legge, sono dalla parte della giustizia, è
nel loro diritto. La polizia, invece, dovrebbe arrestare chi discrimina. È stupido da parte dei
neri dimostrare per farsi arrestare credendo
nella legge. I neri non si devono esporre così
ingenuamente al nemico. Noi musulmani siamo contro l’integrazione, crediamo che la separazione sia la sola via percorribile. Quando
vediamo la nostra gente brutalizzata e sotto-
L’integrazione
è una menzogna
Non sarà certo
grazie a una riforma
o alla Corte federale
che avremo l’uguaglianza
Non abbiamo bisogno
di alcuna autorizzazione
per poter manifestare
più deboli.
Caro Biagi, prima o poi arriverà il tempo in cui
i neri si sveglieranno e diventeranno indipendenti intellettualmente da pensare solo a se
stessi come fanno gli altri esseri umani. Solo
allora i neri avranno un pensiero comune.
Quel giorno quando uno attaccherà un nero
attaccherà tutti i neri. Più i bianchi saranno
brutali con i neri, prima arriverà quel giorno. I
neri devono fare da sé e per sé, non sarà grazie
a una legge o alla Corte Federale se riusciranno
a ottenere l’uguaglianza. Gandhi era l’elefante
nero che schiaccia il topo bianco, mentre Martin Luther King è un topino bianco sotto le
zampe di un elefante bianco. Noi non abbiamo
bisogno di avere l’autorizzazione dei bianchi
per poter manifestare, come ha fatto lui, per la
marcia su Washington, che ha chiesto l’autorizzazione all’Amministrazione.
Lei ha accusato Martin Luther King di essere
pagato dai bianchi, lo crede veramente?
Il reverendo King continua a insegnare ai neri a
essere indifesi, questo non aiuta la nostra causa.
Non ha timore delle conseguenze che queste
sue parole potrebbero portare?
Se lei si riferisce alla mia persona, credo di essere già un uomo morto. Io mi batto perché è
importante che si capisca la natura del movimento islamico, la sua psicologia, per raggiungere l’obiettivo di portare l’uguaglianza tra neri
e bianchi: solo quel giorno riusciremo a essere
uniti. Oggi se qualcuno venisse da me a dirmi
quello che io vado predicando nelle piazze delle
città o in questo momento con lei, senza che io
sia a conoscenza della verità e della psicologia
che i bianchi usano contro di noi, avrei una
reazione violenta, sarei disposto a uccidere. Per
questo ci battiamo: per fare capire ai neri quello
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
13
BLACK POWER
Malcolm X visto da Emanuele Fucecchi. A destra, in una fotografia d’epoca.
In basso, insieme al fuoriclasse del pugilato
Muhammad Alì, un’altra icona storica dell’orgoglio
afroamericano LaPresse
Il rapporto impossibile
tra due eroi afroamericani
TRA LUI E IL REVERENDO NON C’ERA STIMA. SI INCONTRARONO SOLTANTO
UNA VOLTA: QUANDO LYNDON JOHNSON FIRMÒ LA LEGGE SUI DIRITTI CIVILI
di Loris Mazzetti
M
alcolm X e Martin
Luther King furono
due grandi leader
del popolo nero
americano. La loro vita la dedicarono alla lotta contro la segregazione razziale, a favore dei diritti umani, usando metodi completamente diversi. Il primo riteneva che solo l’Islam potesse
rendere il nero libero e legittimava l’uso della violenza. Tra i
due non ci fu mai accordo, tanto
che Malcom X accusò King di essere un servo dei bianchi. La
grande rottura tra loro si consumò in occasione della Marcia su
Washington per la quale il reverendo protestante chiese l’autorizzazione all’Amministrazione.
Malcolm X definì con disprezzo i
fratelli che vi parteciparono “di
essere bianchi”: “Non trovo nulla di eccitante in una dimostrazione fatta davanti alla statua di
un presidente morto da cento
anni e al quale, quando era vivo,
noi non piacevamo”. Martin Luther King era per la pace, la non
violenza alla Gandhi, questo gli
valse nel 1964 il Premio Nobel.
King era molto vicino a John
Kennedy, mentre Malcolm X,
quando il presidente fu assassinato a Dallas, dichiarò: “La violenza che i Kennedy non erano
riusciti a fermare gli si era ritorta
contro”, aggiungendo che quelle
cose non lo avevano rattristato,
ma reso felice. La sua stessa organizzazione prese le distanze da
quelle parole e gli impedì per novanta giorni di fare comizi. Malcolm X fu ucciso a New York nel
1965 per mano di tre sicari del
Nation of Islam, organizzazione
di cui era stato portavoce; Martin Luther King nel 1968 a Memphis fu vittima di una cospirazione, ma il colpevole non fu mai
trovato. Ambedue avevano 39
anni. Se molto tempo dopo, il 20
gennaio 2009, per la prima volta
fu nominato un afroamericano
alla presidenza degli Stati Uniti,
Barack Obama, il merito è anche
loro.
L’INTERVISTA di Enzo Biagi che
il Fatto Quotidiano pubblica oggi
è a Malcolm X. Di lui il grande
giornalista scrisse: “Ho conosciuto il nero gonfio di orgoglio
che sogna la rivolta. Ci incontrammo a New York, allo Shabazz, sulla 124ª Strada e bevemmo caffè, perché il buon musulmano deve lasciar perdere il whisky, le donne, i dadi e le lotterie;
c’era in giro odore di patate fritte,
di nafta bruciata e di brillantina.
Tutti lo guardavano con rispetto,
poi una domenica, il 21 febbraio
1965, mentre stava predicando,
venne ucciso, colpito da 16
proiettili, tre dei quali mortali”.
Nella storia di Malcolm X c’erano il dolore, il crimine e la prigione: sette anni. La madre era
figlia di una nera violentata da un
No, non è assolutamente vero. Posso ammettere che in alcune situazioni i neri non hanno la
spinta della promozione a raggiungere un grado più alto, la mira dell’andare avanti con la
carriera, oppure non hanno la base dell’istruzione che hanno altri operai e quindi rimangono indietro, ma dove godono di uguali possibilità, dove sono ugualmente preparati, dimostrano le stesse capacità e ottengono gli
stessi risultati. Anzi è dimostrato che in certe
fabbriche, operai specializzati di colore, producono più dei bianchi.
che sta realmente accadendo.
Lei sostiene addirittura il principio della superiorità dei negri.
Maometto ci insegna che l’uomo di colore è
l’uomo originale, l’uomo dal quale derivano gli
altri uomini. La biologia e la genetica spiegano
che la pelle nera, i capelli neri, gli occhi neri,
sono dominanti. La pelle bianca e gli occhi azzurri sono riflessivi, cioè passivi. Maometto ci
insegna che i neri possono generare i bianchi
mentre i genitori bianchi non possono avere
una discendenza negra. Se c’è stato un momento nella storia del mondo in cui vi era una sola
persona, questa persona doveva essere nera; la
prima gente al mondo doveva essere nera e da
Ricordo i razzisti
che vennero a dar fuoco
alle nostre pareti: i cappucci
chiari coi grandi fori
davanti agli occhi
Quando ci cacciarono
dal Nebraska fu un’umiliazione
Pensai fosse un gesto
di debolezza, volevo reagire
bianco, ed era finta al manicomio
dopo la morte del marito, ucciso
per il colore della sua pelle. La
trasmissione tv, in due puntate, è
stata una delle tante straordinarie inchieste fatte da Enzo Biagi
in onda su Rai1, in prima serata,
dal titolo: Mississippi, romanzo di
un fiume. Una specie di diario di
viaggio, come lo definì lo stesso
Biagi, in cui il giornalista incontrò uomini, paesaggi e tanti problemi. L’inchiesta con il taglio del
documentario classico, che nulla
aveva da invidiare a quelli realizzati da grandi registi (le riprese
furono realizzate da due storici
operatori della Rai: Duilio Chiaradia e Paolo Muti e il suono, regolarmente in presa diretta, da
Salvatore Staiano), partiva
dall’attualità: il 2 luglio 1964 il
presidente Lyndon Johnson aveva firmato la legge sui diritti civili, grazie alla quale ai neri veniva riconosciuta una parità politica che la Costituzione fino ad
allora non garantiva. Al momento della firma, accanto al presidente degli Stati Uniti, vi era
Martin Luther King. In quel periodo, per la prima e unica volta,
Malcolm X e il pastore protestante si incontrarono. Fino a quel
momento avevano fatto tutto il
possibile per non vedersi, le loro
linee erano inconciliabili. King
considerò quella firma fondamentale per il futuro dei neri
d’America. Malcolm X invece
una legge inutile, non per il con-
Parlando con lei ho la sensazione che il suo
obiettivo sia quello di diventare il capo dei musulmani neri.
quei neri vennero tutti gli altri, compresi i bianchi. Noi crediamo in questo. Siccome l’uomo
nero è stato il primo sulla terra, Maometto ci
insegna che il nero sarà il primo anche alla fine.
Nessuna razza è superiore a un’altra. Lei dice
dei neri esattamente quello che i bianchi hanno
detto dei neri per molte generazioni.
I soli bianchi che io conosco sono quelli che ci
hanno rapiti e portati in questa terra come
schiavi, ci hanno fatto lavorare nei campi come
cavalli per quattrocento anni, ci hanno venduti
come loro proprietà per trecentocinquanta, e
negli ultimi cento si sono comportati da ipocriti, cercando di far pensare al mondo che noi
neri siamo stati liberati dalla Guerra di Secessione, mentre invece siamo ancora più schiavi
di quello che eravamo sotto il presidente Lincoln e prima della dichiarazione di emancipazione.
Alcuni imprenditori sostengono che l’operaio
nero rende meno del bianco.
No, io non ho alcun desiderio di diventare capo dei musulmani neri. Non ho mai avuto questo desiderio. Il mio obiettivo è vedere gli afroamericani ottenere i diritti umani che gli sono
dovuti. L’Islam può aiutarci a raggiungere questo. È la religione migliore per la nostra gente,
perché crea unità, dignità e fiducia razziale.
Questo è indispensabile per rendere l’essere
umano completo.
Non c’è nessun bianco per il quale lei prova
qualche simpatia?
L’esperienza che abbiamo fatto in questa società bianca, non ci permette di camminare per
cercare qualche uomo bianco verso il quale dirigere la nostra ammirazione. Non è un problema di individui, è collettivo, è generale. Le
buone parole di una o due persone bianche non
bastano. Nemmeno il comportamento di una
piccola comunità, noi guardiamo a tutta la collettività dei bianchi.
Quali sono, in definitiva, gli scopi del suo gruppo?
Mio padre è stato ucciso nel 1931, quando avevo sei anni, è stato trovato sotto un tram, ce
tenuto, ma perché era convinto
che nessun bianco l’avrebbe mai
rispettata. L’inchiesta di Biagi
partiva dal fatto che allora 20 milioni di cittadini degli Stati Uniti
erano divisi dagli altri soltanto
dal colore della pelle, ma finalmente potevano avvalersi di una
forza legale per far cadere ogni
forma di discriminazione.
NELLA SECONDA parte del suo
viaggio, il giornalista fece discutere della questione dei neri quattro singolari personaggi: il primo
era Malcolm X, definito come
uno dei capi della setta dei musulmani neri, Roy Wilkins segretario dell’Associazione fondata
da King, il campione del mondo
dei pesi massimi Floy Patterson e
lo scrittore americano più interessante in quel periodo: James
Baldwin. Biagi li presentò così al
telespettatore: “Ognuno di loro
esprime con la massima indipendenza il suo punto di vista. Forse
vi colpirà l’acre polemica di Malcolm X con i bianchi, ma lui è un
razzista alla rovescia e la sua apparente logica e la sua violenza
animano un’appassionante discussione”. Biagi raccontò per
quegli anni un’America inconsueta, non quella della grande
potenza e della grande prosperità, ma quella dei problemi.
Quell’America per la quale si batté Malcolm X, in cui ogni uomo
deve essere libero dalla povertà e
dall’odio.
l’avevano buttato i bianchi, i sostenitori della
“supremazia bianca”, perché era troppo impegnato a combattere, parlava troppo chiaramente, era contro i compromessi, esortava i
neri ad agire da soli. Io porto dentro di me
questo insegnamento. Lo scopo dei musulmani
neri è quello di portare libertà, uguaglianza, ai
venti milioni di fratelli che vivono in questo
paese. Noi pensiamo che Allah, il Dio che ci
unisce, ci darà la forza necessaria per vivere, per
fare quello che è giusto per noi stessi, senza
aspettare che l’uomo bianco d’America ci aiuti.
Il suo desiderio quale è?
Nulla di diverso da quello dei musulmani neri.
Vorrei che la crudeltà dell’uomo verso l’uomo
finisse. Per far questo sono disposto a ricorrere
a qualsiasi mezzo. L’America è una grande prigione, basta nascere con la pelle scura ed è come stare nel carcere di Sing Sing. Questo non
potrà impedirci di morire da uomini. Noi vogliamo libertà e giustizia e siamo disposti a usare ogni mezzo necessario pur di arrivare fino in
fondo. I diritti umani sono qualcosa che abbiamo dalla nascita. I diritti umani ci sono dati
da Dio. I diritti umani sono quelli che tutte le
nazioni della terra riconoscono. Non crediamo
che in un paese come gli Stati Uniti d’America,
che si definisce guida nel mondo libero, i cittadini neri debbano aspettare i favori di qualche politico o presidente texano disposto a fare
concessioni in tema di diritti civili.
Perché non crede nelle leggi dello Stato?
Al diavolo la politica. Quando parlo ai fratelli
neri li esorto a levarsi in piedi e combattere
tutte le battaglie necessarie perché, solo così, il
bianco imparerà a rispettarci. E se egli non ci
permetterà di vivere da uomini, non potrà impedirci di morire da uomini. n
14
ALTRI MONDI
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
IRAQ BATTAGLIA ALLE PORTE DI BAGHDAD
Alcuni sobborghi di Baghdad sono stati teatro di
scontri con venti militari governativi uccisi dagli
islamici. L’esercito ha proseguito l’offensiva per riprendere Tikrit, lungo l’asse che conduce a Mosul
ma le truppe dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis) si sono spinte sulla capitale. LaPresse
REGNO UNITO STAMPA CONTRO CAMERON: “PERDENTE”
La stampa britannica ritiene che il premier David Cameron abbia fallito in Europa per non aver evitato l’investitura di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione Ue; aumentano le possibilità,
secondo i giornali, di un’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. LaPresse
Contrordine Compagni!
Il porno non è per tutti
MOSCA, SVELATA LA COLLEZIONE DI STAMPE E LIBRI EROTICI NELLA BIBLIOTECA LENIN
NASCOSTA IN UNA STANZA CHE ERA APERTA SOLO AI MEMBRI DEL POLITBURO
La biblioteca Lenin e l’articolo che ha svelato la collezione erotica LaPresse
di Giulia Merlo
I
n Unione Sovietica il
porno si nascondeva in
biblioteca. Lontano dagli occhi del popolo, ma
a piena disposizione dei capi
del partito comunista, molti dei
quali erano assidui frequentatori di quell’ala segreta della Biblioteca di Stato di Mosca. Ancora oggi la scandalosa raccolta
si trova lì, chiusa a doppia mandata dietro una porticina tra gli
scaffali del nono piano della biblioteca Lenin, dove sono archiviate tutte le pubblicazioni
marchiate come “ideologicamente dannose”. Migliaia di libri, disegni, fotografie e film
connessi in un modo o nell’altro al sesso sono stati conservati
qui: una collezione di circa
La crisi in Ucraina
di Roberta Zunini
i scuso per aver riportato
M
nel mio intervento parlamentare la notizia di fotografie
12mila oggetti provenienti da
tutto il mondo, dalle stampe
giapponesi del ‘700 agli Harmony americani dell’era nixoniana. La stanza è uno dei tanti
segreti che si annidano nel passato dell'austera Russia bolscevica ed anche oggi la sua esistenza non è nota alla maggior
parte dei frequentatori della
grande biblioteca.
“L’abbiamo mantenuta intatta,
come cimelio di un’epoca passata”, ha spiegato la bibliotecaria Marina Chestnykh, che si
occupa di curare la raccolta
erotica. Lei stessa l’ha scoperta
solo nel 1990, dieci anni dopo
aver iniziato a lavorare alla Biblioteca di Stato. La storia
dell’archivio segreto è iniziata
nel 1920, quando il museo d’arte di Mosca venne trasformato
nella Biblioteca nazionale, intitolata a Lenin. Accanto ai libri
della nuova cultura russa, i bolscevichi trasformarono i piani
alti in un deposito dove accumulare la stampa clandestina e
i libri confiscati alla nobiltà russa dopo la rivoluzione.
LA MAGGIOR PARTE del ma-
teriale viene, però, dalla collezione privata di Nikolai Skorodumov, il direttore della biblioteca dell’università di Mosca.
Dietro l’immagine pubblica del
tranquillo funzionario, Skorodumov collezionò per tutta la
vita volumi sia russi che stranieri e soprattutto a tema erotico.
Come riuscisse ad aggirare la
censura sovietica, rimane un
mistero. Alcuni dicono importasse i volumi sfruttando la sua
posizione all’università e facendoli passare per materiale di interesse scientifico, altre voci
raccontano che godesse della
protezione del comandante
della polizia di Stalin, anche lui
cultore di romanzi erotici. Dopo la morte del collezionista, la
censura scoprì un tesoro di carta di oltre 40 mila volumi, 7mila
dei quali a contenuto erotico.
Una raccolta che non poteva
certo essere lasciata alla vedova
- sostennero le autorità - perchè
“tenerli in una casa privata presenta enormi rischi”. E quale
posto migliore, se non la stanza
all’ultimo piano della biblioteca
Lenin. Una stanza che divenne
improvvisamente molto visitata dagli alti membri del Politburo. “Erano più interessati alle
immagini più che ai libri - ha
raccontato la bibliotecaria - ed
entravano quando volevano,
senza bisogno di permessi”. La
particolare raccolta ha continuato ad essere ampliata fino
agli anni Ottanta, con il materiale sequestrato alle dogane: libri in inglese ma anche film e
cartoline considerate licenziose
e dunque poco adatte ai citta-
dini russi. “Non venivano raccolti con metodo e non esiste un
catalogo - ha spiegato la Chestnykh - prendevano tutto quello che gli sembrava inappropriato e lo portavano qui”. Il risultato è un curioso collage: fotografie dei Beatles, un libro sul
Kama Sutra in inglese, un catalogo di dipinti di Picasso e una
raccolta di scritti di De Sade.
La stanza, oggi come ieri, continua a galleggiare nel limbo
della semi-clandestinità. La sovrintendenza della biblioteca di
Stato, infatti, è divisa tra chi
vorrebbe valorizzare la piccola
raccolta e chi invece la considera una spesa inutile. Anche dopo la caduta dell'Urss, il nono
piano della Biblioteca Lenin resta un luogo di misteri e sguardi
ammiccanti.
Marta Grande (M5S)
“Ho sbagliato, la foto del soldato era falsa”
caso di evitare di portare un
esempio falso in aula?
Ripeto, me ne scuso, ma
avrei potuto citarne altre che
che mostrano soldati ucraini insono vere.
tenti a maneggiare i resti carboPerché non l'ha fatto?
nizzati di una persona uccisa nel
Cosa vuole che le dica, resta il
Donbass”. Tre giorni dopo il suo
fatto che il focus del mio inintervento in aula per illustrare,
attraverso l'esempio della crisi M. Grande e la foto del soldato ucraino tratta da una fiction Ansa tervento non era sul Donbass
ma sul peso politico italiano a
ucraina, la mozione del Movilivello europeo che influenzi le scelte
mento 5Stelle “per varie ragioni, come la ne tratte da una fiction?
mancanza di una politica italiana basata Questa mia affermazione seguiva un'al- strategiche dell'Unione e parlavo della
sulle energie rinnovabili”, l'onorevole tra in cui spiegavo che lo stesso governo necessità di esprimerci concretamente
Marta Grande risponde alle accuse che le di Kiev ha fatto sapere di aver creato perché altrimenti subiremmo delle posono state rivolte anche da simpatizzanti campi di filtraggio per la popolazione del litiche che vanno doppiamente contro i
Donbass, campi che in realtà sono lager e nostri principi: primo perché non sedel Movimento.
quindi ho concluso con l'esempio di que- guiamo le linee europee che ci siamo dati
Lei ha affermato pubblicamente che i soltutti insieme e secondo perché, non
ste foto.
dati ucraini nel Donbass uccidono i civili e
A maggior ragione, data la gravità di ciò esprimendoci dobbiamo appunto subire
ha portato come esempio alcune foto che
le scelte a noi imposte da altri.
che aveva appena asserito, non era il
girano in rete. Non sapeva che erano sce-
Nell'intervento sembra che voi accettiate
la realizzazione del gasdotto South
Stream, frutto di un accordo tra il gigante
russo Gazprom e l'italiana Eni. Un progetto rigettato dagli ambientalisti e voluto strenuamente dall'ex premier Berlusconi e avallato poi dall'ex primo ministro
Prodi...
Voglio fare chiarezza assoluta su questa
questione: noi del Movimento riteniamo
che sia il corridoio energetico azero Tap
sia il South Stream, che aggira l'Ucraina e
termina in Italia, siano due progetti da
ostacolare perché conseguenza di una
politica obsoleta e dannosa basata sullo
sfruttamento del petrolio e del gas, non
sulle energie alternative e rinnovabili.
Ma è anche vero che, a causa dell'appoggio dato dal governo Renzi a Kiev, se ci
saranno ritorsioni da parte della Russia,
dopo la firma di ieri dell'accordo tra
Ucraina e Unione Europea, queste potrebbero estendersi all'Italia.
Lei sostiene che per evitare ritorsioni
russe nei nostri confronti, il governo
italiano dovrebbe fare ciò che vuole
Mosca?
Noi non siamo né pro Mosca né pro
Ucraina. Facciamo un discorso di strategia energetica.
Perché avete sostenuto l'annessione
della Crimea da parte di Mosca?
Perché fino al 1954 la Crimea è stata russa e al referendum ha vinto il consenso
all'annessione.
Lo sa che la maggior parte della popolazione della Crimea non ha votato?
Chi non ha votato ha sbagliato, bisogna
partecipare, noi del Movimento lo diciamo sempre.
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
ARGENTINA “DIMISSIONI PER BOUDOU”
L’opposizione ha chiesto che il vicepresidente
Amado Boudou, accusato in un caso di corruzione,
si dimetta o venga sospeso dall’incarico finché
la sua situazione non verrà stabilita dalla legge.
“Boudou deve fare un passo indietro” ha detto
Ernesto Sanz presidente dell’Unione radicale. Ansa
USA TROPPI SUICIDI DAL GOLDEN GATE
Il Golden Gate Bridge di San Francisco sarà
dotato di barriere di sicurezza per impedire
i suicidi; costo dell’operazione, 76 milioni di
dollari. Oltre 1400 persone si sono uccise, dal
1937 ai giorni nostri, gettandosi dal ponte, con
un record di 46 suicidi nel solo 2013. LaPresse
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
15
Tabloidgate, si stringe
la rete attorno allo Squalo
LONDRA, LE INTERCETTAZIONI DEL “NEWS”: L’EDITORE MURDOCH ESCE INDENNE
DAL PROCESSO COME LA SUA PROTETTA REBEKAH BROOKS. MA NON È FINITA
di Carlo Antonio Biscotto
L’
ennesimo “processo del secolo”, quello ai responsabili
delle intercettazioni organizzate da News of the
world, periodico scandalistico
dell’impero di Murdoch, ha
avuto un risultato a sorpresa:
assoluzione per Rebekah Brooks, condanna per il suo complice e presunto amante Andy
Coulson, ex spin doctor di Cameron. I due imputati avevano fatto carriera insieme e insieme
erano fragorosamente caduti
travolti da uno scandalo che anni fa mise a rumore il mondo
dell’informazione e della politica. Il tribunale ha separato i loro
destini assolvendo la ”rossa di
fuoco”e condannando Coulson
che ora rischia due anni di prigione. E Murdoch? Se lo chiede
perplesso Andreas Whittam
Smith sulle pagine dell’Independent, il quotidiano che ha contribuito a fondare e di cui è stato
direttore. Infatti il domenicale
dello scandalo – costretto a
chiudere i battenti nel 2011 –
era di proprietà, insieme al Sun e
al Times, di News International,
il gruppo editoriale che faceva
capo a Rupert Murdoch. Secondo la legislazione approvata in
Gran Bretagna nel 2000 in materia di intercettazioni telefoniche, il direttore responsabile di
un giornale – e Murdoch era il
direttore responsabile di News
International – risponde penalmente degli illeciti commessi
dai suoi dipendenti in caso di
“negligenza”. Ed è proprio questa la parola chiave.
MURDOCH È STATO negligente
nel controllare quello che facevano i suoi giornalisti? Quattro
ex dipendenti di Murdoch sono
stati condannati per aver illegalmente intercettato conversazioni telefoniche private. Tre si erano dichiarati colpevoli all’inizio
del processo: Neville Thurlbeck,
ex redattore capo di News of the
World, Greg Miskiw e James
Weatherup. Alla lista si è aggiunto il direttore del tabloid,
Andy Coulson. Rupert Murdoch aveva rassegnato le dimissioni dal consiglio di amministrazione di News International nel
luglio 2012 quando Rebekah
Brooks e Andy Coulson erano
già stati rinviati a giudizio. Inoltre il 1° maggio 2012 una apposita commissione del ministero
della Cultura aveva scritto nella
sua relazione che Murdoch
“aveva dolosamente lasciato
correre i comportamenti illeciti
divenuti abituali nelle redazioni
dei giornali di sua proprietà” e lo
aveva ritenuto “inadatto a gestire un gruppo editoriale internazionale”. Sull’autorevole quotidiano inglese, Whittam Smith
sostiene che i comportamenti
all’interno di aziende, giornali,
organizzazioni e istituzioni, sono sempre ispirati se non addirittura determinati dalla condotta di chi è al vertice e si aspetta che anche al magnate australiano la giustizia presenti il conto. Innegabile il fatto che i tabloid hanno sempre prosperato
sul pettegolezzo e sulla violazione della privacy e che le intercettazioni telefoniche e/o ambientali rappresentano semplicemente il metodo più moderno
ed efficiente per farsi i fatti degli
altri.
DA SEMPRE LA STAMPA scandalistica causa problemi, disagi
e sofferenze e quasi mai ha potuto addurre a giustificazione
del proprio operato il cosiddetto
“interesse dell’opinione pubbli-
LA LEGGE INGLESE
Il direttore risponde
degli illeciti dei suoi
dipendenti: per questo
il magnate potrebbe
ritrovarsi sul banco
degli imputati
ca” a essere informata. Il cahier
des doléances è lunghissimo come testimoniato dal rapporto di
Lord Leveson. Va dall’attrice
Sienna Miller – che, non sapendo di essere intercettata, accusò
ingiustamente familiari e amici
di fornire notizie alla stampa –
all’ex presidente della FIA Max
Mosley – finito sulle prime pagine di tutti i giornali per qualche perdonabile vizietto privato – passando per Margaret Watson la quale
ha maturato la convinzione che le falsità
scritte sull’omicidio
della figlia Diane abbiano spinto al suicidio il figlio Alan sconvolto da quello che leggeva sulla sorella. Per non
parlare di casi ancor più famosi
quali quelli dei coniugi McCann, genitori della piccola Madeleine scomparsa in Portogallo, il rapporto Leveson scrive:
“Sono diventati merce per la
stampa, persone private di ogni
diritto e di cui tutti dovevano sapere tutto”. Se si vuole trovare
una giustificazione al compor-
R. Murdoch e Rebekah Brooks, accanto Andy Coulson LaPresse
tamento dei giornalisti di News
of the World, bisogna ricordare
che erano sottoposti a enormi
pressioni fin dal momento della
loro assunzione. In tribunale
Don Evans, testimoniando sotto giuramento, ha detto che fin
dal primo giorno gli dissero che
“qualora non fosse stato capace
di trovare una storia da prima
pagina avrebbe fatto meglio a
buttarsi dalla finestra”. Le intercettazioni illegali erano la regola, non l’eccezione. Per il momento la giuria ha creduto a Rebekah e non a Coulson, ma è
possibile che Rupert Murdoch
fosse all’oscuro di tutto?
RICORRENZE: 1914-2014
di Pierfrancesco
Curzi
re 10:45 del 28 giugno 1914, SaO
rajevo, davanti al Ponte Latino:
Gavrilo Princip esplode una serie di
colpi contro la vettura con a bordo
l'erede dell'Impero Austro-ungarico,
l'arciduca Francesco Ferdinando, ferendolo a morte assieme alla moglie
Sofia. Ore 10:45 del 28 giugno 2014,
stesso luogo: una folla in arrivo da
ogni parte del pianeta si ritrova per
celebrare uno degli accadimenti cardine del XX secolo. Ci sono militari
austriaci, bosgnacchi in abiti tradizionali, sosia dell'arciduca, gruppi di
preghiera a favore della pace in terra
che si sono dati appuntamento su internet, telecamere e giornalisti da
mezzo mondo. Un enorme carrozzone. Il resto del panorama celebrativo è sparso qua e là nella capitale: un
concerto nella Biblioteca nazionale
inaugurata di fresco dopo il rogo dell'agosto 1992, una mostra fotografica
sui fatti di 100 anni fa e, a mezzanotte, un grande concerto di musica e
colori sopra il Ponte Latino che unisce le due sponde della Miliacka. Il
governo serbo non ha mancato di entrare a gamba tesa. Il presidente Nikolic non si è visto a Sarajevo, ha
preferito celebrare il centenario a
Banja Luka, ‘capitale’ della Republika
Srpska.
SARAJEVO ESPLODE di turisti nella
sua prima giornata di sole estivo. I
tavolini dei bar e dei ristoranti all'aperto straboccano, code ai musei. Da
questo punto di osservazione sembra
che la vita in Bosnia sia fiorente e i
fantasmi di un recente passato ormai
sopiti. Una cartolina sfocata. Meno di
100 km a nord, gli abitanti del villaggio di Topcic Polje piangono morti
e danni causati dall'alluvione del
maggio scorso: “La mia casa è sotto
sei metri di fango - racconta Sharif
Josipovic mentre scava con la pala, il
classico bicchiere d'acqua nel mare ho perso mia moglie quella notte. Ora
vivo da mia sorella. Gli aiuti? Non li
abbiamo visti qui”. Topcic Polje fa i
Dove iniziano le guerre:
benvenuti a Sarajevo
la città che teme
il ritorno delle bombe
SIMBOLI
Case distrutte dalle
recenti inondazioni,
il villaggio Olimpico
e la collina usata
dai cecchini serbi
LA FINTA NORMALITÀ
La Capitale ha ricordato l’assassinio dell’arciduca
Ferdinando accogliendo i turisti, ma la Bosnia
è ancora divisa e i serbi celebrano a parte
conti con la vera faccia della Bosnia
del secolo XXI, scevra da conflitti sanguinosi, immersa tuttavia nelle sabbie
immobili di una leadership politica
incapace di risolvere vecchie grane.
Gli accordi di Dayton, novembre
1995, dovevano dare alla Bosnia una
forma amministrativa temporanea. A
quasi 20 anni è tutto congelato. Esiste
ancora una presidenza a ‘tre teste’,
ognuna per rappresentanza etnica:
Bakir Izetbegovic (figlio di Aljia che
nel 1992 firmò l'indipendenza della
Bosnia da cui si scatenò l'inferno) per
i bosgnacchi, Nebojsa Radmanovic
per i serbi e Zeljko Komsic per i croati. A turno si succedono nella guida
del Paese diviso da vecchie ruggini.
Un'instabilità che non dovrebbe essere regolata dalle elezioni presidenziali e parlamentari, il 12 ottobre
prossimo.
LA POLITICA LITIGA su tutto, come
allora, ma senza sangue e bombe.
Quanto durerà? Il rapporto 2014 di
Human Rights Watch parla di rischio
costante. Discriminazioni razziali, ri-
fugiati, oltre 100 mila sfollati mai tornati nelle loro case. E a fine anno decadrà pure il Tribunale Internazionale per l'ex Yugoslavia (ICTY), con
oltre 600 cause pendenti e i due leader
serbo-bosniaci, Radovan Karadzic e
Ratko Mladic, ancora sotto processo.
A Sarajevo ormai la gente ha imparato a convivere col passato però teme
che da un momento all'altro tornino a
cadere le bombe:
“Sarebbe colpa
della politica –
dice Lejla, 37 anni, laureata in
Legge, ferita da
un cecchino nel
marzo del 1994 –
perché la gente
vuole dimenticare, vuole vivere in
pace. Avevo 17
anni allora, quella sera celebravamo il Bajram (festa musulmana,
nda), c'era il cessate il fuoco per
l'evento, ma all'improvviso sentii un sibilo e la
fitta al petto. Un
proiettile si era
conficcato a un
centimetro dal
cuore. Sono stata
in coma dieci
giorni e tre mesi
in ospedale. I serbi? Ci hanno aggrediti, ma l'Europa non ha fatto nulla”. Lejla mostra i punti dove al tempo
si trovavano le postazioni serbe sul
monte Trebevic.
Sui monti delle Olimpiadi oggi restano gli scheletri dei Giochi Olimpici
del 1984. La pista di bob e slittino, un
serpente di cemento tra gli abeti e
l'impianto di salto dal trampolino sul
Monte Igman dove il finlandese Matti
Nykanen stabilì un record storico.
Oggi restano solo le sagome minacciose e il podio delle gare, triste come
la triste storia della Bosnia.
16
LA VITA, IL PALCO
Nata a Bologna nel 1939, ha recitato per i più importanti registi italiani. Sui suoi anni sul palco sta per uscire
il libro “Bravo lo stesso”di Manuel Giliberti. A giorni
tornerà sul set per la fiction Rai “Una grande famiglia”
L’attrice
Piera Degli Esposti
Da De Chirico e Pasolini
alla R4 di Moro: ma ora
con la fiction sono felice
di Malcom Pagani
e Fabrizio Corallo
N
elle fotografie di Piera
Degli Esposti il fuoco è
sempre sullo sfondo. A 75
anni, con rossetto, occhiali e sciarpa, ad andare
in primo piano è ancora
l’atmosfera: “Ho bisogno di sentirmi accettata, di avere un rifugio, di sapermi compresa”. Accadeva anche ieri, prima che la televisione le offrisse cittadinanza onoraria e la
popolarità: “Rifiutata da ragazza e piovuta solo adesso che la vita è al tramonto” le restituisse discesa dopo tanta salita: “In molti mi
osteggiavano, in pochi mi capivano”. Dopo
aver recitato per i Taviani, Pasolini, Moretti,
Ferreri, Bellocchio, Sorrentino e Tornatore:
“E aver abbandonato il no a prescindere a cui
il timore di sporcarmi o scontentare il mio
cenacolo intellettuale mi aveva confinata”,
mentre al cinema proiettano un bel documentario sulla sua parabola (Tutte le storie di
Piera di Peter Marcias, già presentato al Festival di Torino) Degli Esposti si è felicemente
data alla serialità in cui famiglia e amore, fin
dal titolo, tracciano i Comandamenti dell’abbraccio generazionale. Un trionfo: “Ed è strano perché non ho figli e non sono mai stata
giovanilista. Però la tv mi piace. Mi fa entrare
nelle case e mi colloca nel presente. Né avanti.
Né indietro. I bambini mi sognano e disegnandomi, mi emozionano. Vorrebbero portarmi in camera, come una bambola”.
Quante altre volte si è emozionata?
Tutte le volte che sono stata felice o pur avvertendo l’inadeguatezza, ho ricevuto affetto.
Per Eduardo De Filippo lei era “il verbo nuovo”.
Seppi che sarebbe venuto a vedermi in Molly
cara. Ero partita dai teatrini d’avanguardia ro-
mani come il Centouno. C’era da avere le vertigini. Sapete cosa dicevamo del Centouno?
Che aveva cento posti e un solo bagno. Poi
una sera, a Napoli, Eduardo arrivò davvero.
Ero rossa e sentivo un gran caldo. Recitai solo
per lui. Alla fine venne in camerino con il figlio. “Nun teng interesse perché issa nun m’è
parente né song l’impresario suo, ma issa è ‘o
verbo nuovo”. Rimasi senza fiato. Con Eduardo, come con De Chirico e Pasolini, sono in
debito.
Perché?
Mi hanno insegnato cose straordinarie che
all’epoca non capii. De Chirico assistette alla
prima di A dieci minuti da Buffalo di Günter
Grass. Interpretavo un marinaio. Visto che
come donna non mi prendevano sul serio e
che la mia fisicità magra e angolosa turbava i
più, feci del mio meglio per essere un maschiaccio. De Chirico mi prese da parte: “Bra-
vo, sei stato molto bravo”. “Maestro, ma io sono
una femmina” e lui: “Bravo lo stesso”.
Con Pasolini come andò?
Ero una delle ancelle di Maria Callas in Medea e
l’inizio fu arduo: “Mi piace la tua faccia perché
non hai un volto d’attrice”. Pensavo: “Già non mi
prende nessuno e lui rincara la dose”. Pier Paolo
voleva dire che avevo un profilo autentico, ma io
mi misi sulla difensiva. Non conoscevo il cinema
e non avevo idea che inquadratura, presenza sullo schermo e dettagli prevalessero sui dialoghi.
Mi accorsi che molte delle mie battute erano state tagliate e mi immalinconii. Un paio di volte,
per la delusione, cedetti il primo piano a qualche
comparsa. Dovevo entrare da una porta tenendo
in mano delle uova e prima del ciak cedevo il
malloppo alla vicina nascondendomi. Un altro
regista avrebbe urlato, Pasolini tacque. Poteva
esser duro e spietato, ma era soprattutto sensibile, audace e fanciullesco. Per la Callas aveva
una vera e propria adorazione.
UNA LUNGA CARRIERA
CON I TAVIANI, MORETTI,
FERRERO, SORRENTINO
E TANTI ALTRI,
MA SOLTANTO ADESSO
LA TELEVISIONE L’HA
CONSACRATA AL SUCCESSO
“I BAMBINI MI SOGNANO
E MI EMOZIONANO
ED È STRANO, PER CHI
NON HA AVUTO FIGLI”
Si è sempre discusso di quella della Callas per lui.
femminismo aveva molte diramazioni, le donne
marciavano da tutti i lati e Dacia era un capo
carismatico. È sempre stata curiosa delle storie e
delle persone, mi chiese di raccontarle di mia
madre e cominciammo a frequentarci. Mi propose un’estate a Sabaudia, con lei e Moravia.
Conversazioni registrate, dormite e bagni. Un
periodo bellissimo dopo un paio d’anni atroci.
Ero stata operata ai polmoni nel ’77. Un calvario
dal quale mi ero ripresa con sommo sforzo.
Quando nel ’78 dissi ai medici che sarei andata al
Teatro Greco di Siracusa per interpretare Elettra,
furono categorici: “Lei l’aereo non lo prende”.
Il sentimento era reciproco. Mangiavano insieme e ridevano, una volta che tanto per cambiare
avevo sbagliato porta, li vidi anche darsi un bacio. Pasolini aveva amato anche donne come la
Mangano, femmine dalla struttura un po’ androgina. Il confine della sua sessualità era più sfumato, più sottile di una definizione obbligata.
Comunque per la Callas si sarebbe buttato nel
fuoco. Lo fece, anche.
Dice davvero?
A un tratto, per una spina difettosa, si propagò
un po’ di fumo in un casotto costruito sulla
spiaggia. Io, la Callas e un paio di ancelle eravamo dentro. Pier Paolo si precipitò prima dei
macchinisti con l’estintore. Gridava: “Mariaaa”,
“Mariaaa”, noi potevamo anche incenerire, ma
la Callas si doveva salvare. Le comparse venivano
dalle periferie. Non avevano mai sentito parlare
della Callas e non capivano: “Cò sto nasone e cò
sti baffi sarà l’amante der produttore”. Poi Novella 2000 rivelò la storia d’amore con Onassis e
l’atteggiamento del branco di colpo cambiò.
Quando parlava al telefono con lui, le Ancelle
ammiccavano: “Ahò, sta a parlà cor greco”.
Quando Pasolini morì nel 1975, Medea era già un
ricordo.
Lo seppi per telefono. Pasolini è stato una provocazione vivente. Mai pago di sapere, di denunciare la verità, di vivere nelle contraddizioni del
suo abisso. Il sottoproletariato era l’altra faccia
della sua esistenza. E quella faccia, Pier Paolo andava a cercarla in solitudine. Un suo amico, Giuseppe Zigaina, sostenne che la sua morte fosse
prevedibile. Io non me la sento. Probabilmente ai
tempi seguiva una traccia ed era in contatto con
qualcuno che in un mondo metamorfico in cui
infiltrati e spie erano all’ordine del giorno, non
gli voleva bene. All’Idroscalo, comunque, Pelosi
CARMELO BENE BANDIVA
LA FELICITÀ DA CONTRATTO
Mi chiede di recitare con lui, tento di rifiutare ma poi
mi lascio convincere. Mi presento in platea e lui inizia
a provocarmi: “Mi sembra di vedere la Degli Esposti,
come mai sei qui?”. “Avevamo appuntamento oggi”.
“Non sarebbe più semplice dire che volevi
venire e sei venuta senza appuntamento?
Dai, ormai sei qui, vieni sul palco, forza”
Andò lo stesso?
non era da solo. Una mia amica pittrice, Pino la
Rana, l’aveva avuto come allievo. Non aveva la
forza di sollevare un quaderno, non avrebbe mai
potuto uccidere Pasolini con le sue mani. Con
Giuseppina, la proprietaria del Biondo Tevere,
parlai a lungo dell’ultima cena di Pier Paolo. Ricordava tutto. Gli spaghetti, la conversazione, il
momento del congedo. Pasolini era felice, aveva
molti progetti, non covava pulsioni autodistruttive. A Ostia non inseguiva la fine.
La tesi di Dacia Maraini. Con lei scrisse “Storia di
Piera”, fortunata biografia di una parabola avventurosa.
La conobbi alla Casa della donna, mentre suonava il tamburo in un casino indescrivibile. Il
In treno. Comunque. Il 9 maggio 1978, in tarda
mattinata, andai a ritirare i biglietti all’Istituto di
Dramma antico in Via Caetani. Aristide Busa, il
funzionario, era in ritardo. Il portone sbarrato.
Non rinunciai. In quei biglietti c’era più di una
semplice scrittura teatrale. Ero tornata in salute e
mi riprendevo il palco. Ci sarebbero stati i gradini per sedersi, ma con il solito atteggiamento
da suora preferii appoggiarmi a una delle auto
sulla strada. Una R4 rossa. Rimasi lì per un’ora,
poi, stanca, emigrai per un caffè in Piazza del
Gesù. Tornai in Via Caetani, ma non c’era nessuno. Mi spostai in una pasticceria poco distante
e lì, a mezzogiorno passato, mi arresi. Telefonai a
un’amica per chiederle di passarmi a prendere e
lei stravolta: “Hai visto? L’hanno trovato”. Ossessionata dall’attesa azzardai: “Aristide Busa?” e
lei con voce spaventata: “Aldo Moro”. Alzai la
testa e vidi il caos. Poi la confusione diventò isterismo e l’isterismo, delirio. Nel ricordo è tutto
nero e migliaia di persone si accalcano su Via
delle Botteghe Oscure.
Lei sostò a lungo sull’auto che custodiva il corpo
senza vita di Aldo Moro.
C’era qualche discordanza con gli orari forniti
IO E NANNI SIAMO STATI MOLTO AMICI,
NON L’HO MAI TROVATO ARIDO
Quando lesse “Storia di Piera” mi telefonò urlando: “Ma
quanti aborti hai fatto?” e io, tranquilla: “Nanni, mica è
un'opera dei fratelli Cervi, non devi leggerla per forza”
Siamo stati molto amici e mi amareggio perché qualcuno
ha scritto che lo trovavo arido. Non è vero. Aveva grandi
slanci. Arrivava sotto casa mia vestito di bianco
e se mi vedeva spuntare in lontananza, sventolava gioia
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
17
I PROTAGONISTI
A fianco, Piera Degli
Esposti oggi. Qui sotto, una foto sequenza
con Robert Mitchum, passione della sua vita.
In basso a sinistra, insieme con Dacia Maraini
e il regista Marco Ferreri
dagli artificieri e si cercavano riscontri su una
ragazza dai capelli corti che in Via Caetani, prima che la notizia del ritrovamento fosse di pubblico dominio, aveva chiesto a un poliziotto se
nella Renault si trovasse davvero Moro. Decenni
dopo mi chiamarono in Questura per fissare il
mio ricordo. E la convocazione mi riportò ad
allora. Non fu piacevole. Mi inquietò. Ricordare
con esattezza, 35 anni dopo, è complicato. Se legittimamente esiti, o sei in malafede, o sei vecchio, o peggio ancora, rincoglionito. Ricordare
in sé è violento.
Violento fu il suo rapporto con Carmelo Bene.
Se non ero contenta, la scrittura non la accettavo.
A Massimo Castri che mi domandava la ragione
del mio rifiuto l’avevo detto chiaramente:
“Quando lavoro con te non sono felice”. Figuriamoci se andavo a lavorare con Carmelo che la
felicità la bandiva da contratto. Provò ad aggirarmi con la complicità degli amici comuni e mi
invitò in vacanza a Forte dei Marmi.
Lei andò?
Era fine agosto. Arrivai e lo trovai tinto di biondo
in giardino. Doveva fare Amleto e leggeva assorto su una sdraio. Non alzò lo sguardo dal libro. Mi parve un inizio tremendo. Poi le cose
migliorarono. Mi divertiva vederlo preparare il
barbecue o giocare a ping pong e buffoneggiare
sui punti persi. Arrivò il suo compleanno e gli
feci grandi auguri: “Il più grande regalo che puoi
farmi è accettare di lavorare con me” disse. Poi
mandò avanti il suo amministratore e mi fece
offrire 28 milioni di lire. Una cifra folle. Ma io ho
sempre avuto bisogno d’amore e non di soldi.
Così presi tempo, respinsi le blandizie: “Una volta che sarai diretta da me, non potrai farti dirigere da nessun altro” e chiesi di poter tornare a
Roma per riflettere. Lui uscì di testa. Una volta a
casa, diedi sfogo alla mia vera indole.
Quale?
Non puoi fingere coraggio se sei pavido. Così
pregai Massimo, il mio compagno di allora, di
rifiutare al posto mio. Intuivo che Carmelo mi
voleva per finirmi. Mi aveva definito “presenza
straordinaria”, ma in realtà sottintendeva che
l’unica presenza straordinaria dovesse essere la
sua. L’avevo capito, mi difesi finché fu possibile e
quando arrivò la telefonata di un suo assistente:
“Il maestro aspetta una risposta” e io sibilai: “Ma
ho già detto di no”, si sentì il ruggito di Carmelo
in sottofondo. Un imperativo: “Deve venire a
dirmelo di persona, voglio sentire la sua voce”.
Andai. E naturalmente persi. Bene aveva una logica ferrea e io mi sciolsi in un istante. Uscii dopo
aver accettato il ruolo, definitivamente persuasa:
“Non so perché lo dipingano come un mostro,
ma Carmelo è diventato dolcissimo”.
Era vero?
Un abbaglio totale. Era solo l’abbrivio della vendetta. L’appuntamento era a Pavia. Il giorno 6
alle 6. Mi presento puntuale in platea e lui inizia
a provocarmi: “Mi sembra di vedere la Degli
Esposti, come mai sei qui?”. “Avevamo appuntamento oggi”. “Non sarebbe più semplice dire
che volevi venire e sei venuta senza appuntamento? Dai, ormai sei qui, vieni sul palco, forza”. Comincio ad avvertire qualcosa di sinistro e chiedo
di parlare con l’impresario. C’è un telefono sul
palco. Compongo il numero e illudendomi di
essere in errore gli faccio la domanda giusta: “Ma
non eravamo d’accordo per oggi alle 6? Carmelo
dice di no”. Sento silenzio e poi mentre ascolto la
risposta: “Hai perfettamente ragione, come al solito ha cominciato a fare lo stronzo”, mi accorgo
che il maestro sogghigna da una quinta. “Perché
vuoi parlare con l’impresario, Piera?” “Perché è
più cordiale di te”, “Io non sono cordiale, cara?”
“Sei tutto tranne che cordiale”. In evidente stato
SORRENTINO E LA CATEGORIA
DEGLI “INARRIVABILI”
È uno straordinario orefice e io sono solo uno
dei suoi risultati. Lavora sulle facce,
sulla direzione degli attori e porta con sé
un mistero complesso. Quasi indecifrabile
Sul set de “Il Divo” io e Servillo ci guardavamo
trasfigurati: “Siamo davvero entrati
nella Democrazia cristiana”
di tensione, andiamo a cena. Per due ore dà
dell’imbecille a un’amica e poi pretende di provare fino all’alba. Declino. Vado a dormire e alle
9 di mattina, mentre faccio colazione, vedo arrivare il maestro Striano, un galantuomo, con la
coda tra le gambe: “Bene dice che lo spettacolo
non si fa più”. Non mi fido e chiedo a che ora
siano previste le prove. Poi corro a teatro in perfetto orario. Sono una “provarola”, conosco il
soggetto e sono certa di trovarlo al suo posto.
Marco è una persona corretta. Ho pensato, senza
dirglielo, che eravamo entrambi molto legati alla
famiglia e che questo avrebbe potuto facilitare
l’amicizia. Ma l’impressione è che Bellocchio
non sia un uomo facile e che di amici, per sua
volontà, non ne abbia molti. È molto chiuso, avaro di sé, legato alle radici. Sembra il figlio di suo
figlio. È rimasto ragazzo, come Nanni Moretti, a
cui somiglia. Insieme potrebbero giocare persino a pallacanestro in una parrocchia.
Così è. Lui ride, fa il pazzo, mi attacca: “Fai troppi
ruoli, devo togliertene uno”. Non cado nella
trappola fino a quando non esagera: “Purtroppo
i microfoni che come sai sono il solo a usare mettono in evidenza una tua difficoltà respiratoria”.
La fine è arrivata in quel momento. Picchiare
sulla malattia che avevo avuto era di una crudeltà
atroce e infantile. Il mio compagno avrebbe voluto regolare i conti sul momento, lo calmai. Dissi solo: “Me ne vado”. E così feci. Carmelo giurava di stimarmi incondizionatamente, ma la
storia mi ricordava quella dello scorpione e della
tartaruga. Lei deve attraversare il fiume, lui si
offre di aiutarla. Mentre guadano, lo scorpione la
punge. La tartaruga chiede perché. In quel modo
moriranno entrambi. Lui ne è consapevole, ma
non può trattenersi: “È la mia natura”.
Fin dai tempi in cui suo padre lo chiamava Giovanni e a pranzo gli consigliava come imbrigliarmi: “Dovresti dire alla tua amica che è giovane e
quando si è giovani è più saggio ascoltare che
parlare”. Quando lesse Storia di Piera mi telefonò
urlando: “Ma quanti aborti hai fatto?” e io, tranquilla: “Nanni, mica è un’opera dei fratelli Cervi,
non devi leggerla per forza”. Siamo stati molto
amici e mi amareggio perché qualcuno ha scritto
che lo trovavo arido. Non è vero. Aveva grandi
slanci. Arrivava sotto casa mia vestito di bianco e
se mi vedeva spuntare in lontananza, sventolava
gioia: “Pieraaa, Pieraa”. Su mio fratello Franco,
socialista, improvvisava strofe: “Penso male di
Bettino/mi dispiace per Franchino”.
Così è?
Per Paolo Sorrentino lei è nella categoria inarrivabili.
È uno straordinario orefice e io sono solo uno dei
suoi risultati. Lavora sulle facce, sulla direzione
degli attori e porta con sé un mistero complesso.
Quasi indecifrabile. Sul set de Il Divo io e Servillo
ci guardavamo trasfigurati: “Siamo davvero entrati nella Democrazia cristiana”.
Per Bellocchio darle una scena importante equivale a fornirle uno spazio in cui concederle piena
libertà.
Moretti l’ha conosciuto bene.
Craxi non dispiaceva neanche a Dalla.
Un fratello. Ci conoscemmo a 7 anni per non
perderci più di vista. Lucio mi rendeva felice.
Raccontava bugie, era spiritoso, con lui la vita era
leggera. Solo Marco Ferreri mi ha fatto sentire
così. Dormivo lieta nell’attesa di rivederlo il giorno dopo. L’ho amato molto. Quando chiesi a mia
madre se gli avesse fatto una buona impressione,
lei rispose: “Sì, quell’uomo è la sua testa”. Era un
buono, ma si incazzava. Anche solo per divertimento. Quando rivedevamo i giornalieri e mi
mettevo in ultima fila fingeva di indignarsi: “A
Piè, te sto a ffà il monumento e tu te distrai?”.
E l'altra grande passione della sua vita, Robert
Mitchum?
Mi sembrava il massimo dell’erotismo, facevo
camminare tutti con i piedi stretti come lui e a un
certo punto, gli scrissi anche una lettera aperta:
“Tutto in te è osceno e speranzoso, un inno
all’abbandono. E io che non mi abbandono mai,
ti aspetto per vedere se quella meraviglia esiste
veramente”. Lina Wertmüller, con cui nessun
sogno era impossibile, organizzò per me una cena con lui. “Hai visto cocca dove ti porta l’amica
tua?”. Diventai un termosifone, ci sedemmo vicini, lui era un gran civettone molto divertito dal
mio presentarmi come l’ultima delle ciabatte. A
fine serata ci demmo un bacio. Un bacio vero.
Aveva un gusto di caramella. Come il primo bacio della mia vita. Da allora penso che i baci dovrebbero avere soltanto quel sapore.
18
DOMENICA29GIUGNO 2014
I MONDIALI
DEL FATTO
SPORT.SPETTACOLI.IDEE
Brasile a undici metri
da un altro “Maracanazo”
IL PALO RESPINGE IL QUINTO RIGORE DEL CILE, REGALA I QUARTI DI FINALE ALLA SELEÇÃO EVITANDO UN CLAMOROSO FLOP
GRAN PARTITA DEI “ROJOS”, CHE AL 120’ VEDONO INFRANGERSI LA VITTORIA SULLA TRAVERSA COLPITA DA PINILLA
N
di Roberto Beccantini
on è stata una partita, è stato un romanzo. Il Brasile spazza via il fantasma del Maracanazo al culmine di un’ordalia che anche noi neutrali faticheremo a dimenticare. Un fiammeggiante Cile
si arrende solo ai rigori: e in che modo, poi. Dopo
aver “spaccato” una traversa con Pinilla, riserva
del Cagliari, agli sgoccioli dei supplementari, e
dopo aver colpito il palo, nell’ultimo penalty, con
Jara. Uno a uno, firmato David Luiz e Sanchez, e
poi 3-2 dal dischetto. Determinanti le parate di
Julio Cesar.
Che emozioni, a Belo Horizonte. Il Brasile meno
Brasile della storia si è aggrappato agli attributi,
più che allo stile e alla tecnica. Possibile che non
esista un centravanti meno schiappa di Fred e Jo?
Non so se avete presente il Serginho del 1982:
siamo lì. Il Cile, più squadra, ha conteso al Brasile
ogni zolla e ogni tackle: avrebbe meritato di più,
ma il mondo imponeva un vincitore, e i rigori
riassumono la voluttà dei carnefici.
Parlavano spesso di calcio, i 33 minatori che, intrappolati a settecento metri sotto terra nella miniera di San José, vennero salvati dopo sessantanove giorni di drammatico limbo. È anche per
questo che Sanchez & c. hanno dato l’anima. La
Fifa, a scanso di equivoci, aveva inviato Webb, il
migliore. Subito fuoco alle polveri: Fernandinho
placca Aranguiz, Medel stende Neymar. Scolari
alterna il 4-2-3-1 d’ordinanza a un 4-4-2 “ambiguo”, con Neymar più vicino a Fred che non a
Oscar e Hulk. Sampaoli, lui, sfodera un 3-4-1-2
tradotto ai cento all’ora: nelle intenzioni, almeno.
Toccato duro, Neymar esce e rientra. Isla-Mar-
COPPA
CABANA
di Oliviero
Beha
Neymar, il piccolo
Pelé sul bordo
dello psicodramma
celo e Mena-Dani Alves timbrano le fasce. A metà campo è tutto un ribollir di tibie. Sanchez e
Vargas spremono Thiago Silva e David Luiz. I
contatti David Luiz-Vargas e Isla-Hulk non commuovono l’arbitro: siamo in area, e per crollare
basta un soffio.
Se fosse un match di pugilato, parlerei di pesi
massimi contro pesi medi.
I cileni soffrono il
gioco aereo, i calci
piazzati; gli avversaUNO A UNO AL 90°
ri, il lavoro ai fianchi
(quando è rapido).
Verdeoro avanti
L’equilibrio si spacca al 18’. Angolo di
con David Luiz al 18’,
Neymar, sponda di
pareggio di Sanchez al 32’
Thiago Silva, carambola Jara-David
e così fino ai tiri dal
Luiz. Come volevasi
dimostrare. Al Bradischetto. Julio Cesar, eroe
sile non sembra vedella serata, ne para due
ro. Fernandinho e
Luiz Gustavo chiamano a sé i “punteSOLLIEVO
ros” e giocano di rimessa. Se Vidal e Aranguiz
Abbracci a Julio
perdono palla, sono dolori. Operato di menisco il
7 maggio, lo juventino gira in folle, a caccia di una Cesar, decisivo per
la vittoria. In alto,
posizione che non sia banalmente decorativa.
IL PAREGGIO, al 32’, appartiene a un episodio,
non al contesto, visto l’agio con il quale i brasiliani
stavano controllando le scaramucce. Hulk perde
palla, Vargas imbecca Sanchez, Sanchez fulmina
Julio Cesar. Non un difensore che abbia reagito
come insegnano a scuola: fermi o distratti, tutti.
Neymar è la molla del Brasile. Sfiora il raddoppio
di testa, dribbla mezzo Cile. Dani Alves ci prova
da lontano, Bravo alza sopra la traversa. Non
scherza neppure il Cile, e Aranguiz, armato da
Vidal e Sanchez, spreca a ridosso del portiere.
In avvio di ripresa, Webb coglie qualcosa di manesco nel gol di Hulk e cala l’asso: rete annullata
più ammonizione. Sampaoli richiama Vargas
(così così) e, con Gutierrez, aggiunge legna al centrocampo. Scolari replica subito: fuori Fred, fischiato, dentro Jo. Come non detto. La partita è
NELLO PSICODRAMMA collettivo finito bene, grazie a un palo, un semplice palo nell’ultimo rigore, spunta il carisma contraddittorio di
Neymar Da Silva Santos junior, fuoriclasse
paulista di genere Pelé. O di tendenza Pelé,
come si dice. Costato al Barcellona 85 milioni
di euro, confluenza e pretesto per un investimento pubblicitario da 35 milioni, in questi
Mondiali Neymar sta facendo il suo, compreso
il rigore perfetto che precedeva il palo del cileno, dopo aver miracolato la sua Seleção per tutto
il primo tempo regolamentare. È uno strano 10,
classico nelle movenze da
metà campo in avanti, un
mezzo centravanti che
stacca di testa e tira con
due piedi, grande fluidità
familiare con quella cosa
rotonda, una visione di
gioco intermittente. Sem-
la delusione di
Alexis Sanchez Ansa/LaPresse
un braccio di ferro che il Cile non rifiuta, anzi.
Julio Cesar salva la patria su Aranguiz, al 65’; non
è più il Brasile che aveva aggredito la sfida, è un
Brasile che rumina calcio, a rimorchio degli eventi.
La staffetta Fernandinho-Ramires è ricerca di
equilibrio, di ossigeno. Jo sfiora un cross teso di
Hulk: era un’occasione. Il Brasile ronza attorno al
Cile padrone del ring. Neymar arriva, quando arriva, da molto lontano. Troppo egoista. È il ciclopico Hulk, soprattutto, ad accendere l’arena:
che parata, Bravo. Si gioca sui nervi; Pinilla, traliccio fatale, avvicenda un Vidal alla frutta. Il Cile
chiude all’attacco.
bra esile ma non lo è, sa come restare in piedi e
ancor meglio come ammortizzare i colpi, tantissimi, che gli vengono inferti: ha un suo vademecum su come cade. E sa accartocciarsi su se
stesso nelle pause, come ha fatto nell’intervallo
tra tempi regolamentari e supplementari, quasi
fosse un muezzin rivolto verso la propria anima.
UN PO’ INDIO e un po’ borghese, quale lo esprime la sua fisionomia tanto diversa nei colori e
nelle espressioni facciali da quella di Edson Arantes do Nascimiento, che oggi nelle strade contestano come complice del potere politico ma
una volta adoravano come oggi fanno o piacerebbe loro fare con Neymar, è abbastanza atipico
nella tipicità brasiliana. Nella flessuosità fisica
felina ricorda nei gesti il più celebre Pelé, non
Maradona e tanto meno Messi, da lui così diversi
nel fusto: due microcaluscenti contro un mediocaulescente, per dirla in botanichese. E a proposito di linguaggi, il linguaggio delle piante non
è esattamente quello del solito Sepp Blatter, bu-
Sembra stremato, il Brasile, e invece i supplementari sono tutti suoi. Willian al posto di Oscar, un
disastro, e Rojas al posto di Medel, un guerriero,
accompagnano gli ultimi bagliori. Manca un minuto alla fine, uno solo, quando Pinilla butta giù la
traversa. Ho pensato al palo che Rensenbrink colpì agli sgoccioli di Argentina-Olanda, nella finale
del 1978, prima che Kempes e Bertoni facessero
godere Videla. Rigori, dunque. David Luiz gol;
Pinilla parato; Willian fuori; Sanchez parato;
Marcelo gol; Aranguiz gol; Hulk parato; Diaz gol;
Neymar gol; Jara palo. Brasile ai quarti, Cile a casa.
Con tutto il rispetto: gran bastardo, il destino,
quando vuole.
caniere della Finanza che pur di garantirsi un
nuovo mandato dopo aver fatto una carneficina
della credibilità della Fifa adesso ricorre al sorriso
e all’apertura verso le nuove tecnologie: moviola
in campo, sia pure tutta da studiare, per evitare
gli errori più grossolani degli “amici” arbitri (segnalo un Webb bravissimo in Brasile-Cile, al di
sopra stellare di ogni sospetto pro-brasiliani):
probabilmente ci si arriverà, esattamente come è
accaduto per le cellule che segnalano se un pallone varca la linea di porta. Certo, se ci si affidasse di più a una sorta di presentabilità di tutto
il baraccone, quello sospetto di corruzioni in ogni
circostanza fino al colmo del Qatar, forse sarebbe
meglio: così ci troviamo di fronte al paradosso
che la moviola deve salvare l’etica. Per fortuna c’è
ancora qualche Neymar in giro che fa identificare
le folle e qualche volta addirittura con ragione.
Diventerà Pelé? Per ora è “soltanto” Neymar.
Mentre Blatter “purtroppo” è già Blatter da un
pezzo.
w www.olivierobeha.it
il Fatto Quotidiano
L’ex ct azzurro
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
19
Giovanni Trapattoni
Noi a casa per colpa
dei giovani? Stupidate
di Paolo
Ziliani
nuti, anticipati. Ricordate Edmundo? Ho passato le notti, alla Fiorentina, a parlare con lui,
brasiliano, e con gli argentini, Batistuta in
testa, perché almeno si accettassero. Quando
c’è il talento, che può farti vincere, provarci è
d’obbligo.
D
all’alto dei suoi 75 anni e con la
valigia in mano pronto a imbarcarsi per la Costa d’Avorio (farà il
ct succedendo a Lamouchi in vista
del Mondiale di Russia 2018), Giovanni Tra- Un lavoro che Prandelli non ha fatto?
pattoni un lusso se lo concede: dire quello che Mi sembrerebbe strano. Prandelli è un mio
pensa senza troppi giri di parole. Forte ragazzo, sa bene il lavoro che facevo nella
dell’esperienza accumulata come ct azzurro, e stanze come allenatore. Ma la verità è che oggi
non solo, e come allenatore in ogni angolo del tutto è più difficile perché il mondo è cammondo, il Trap riproietta il film del tracollo biato. Buffon dice: quand’ero giovane io, ma
italiano al Mundial in Brasile ed emette la sua dimentica che era un’altra epoca. Oggi nesprima sentenza: Balotelli non c’entra. “Dare ad- suno insegna più l’umiltà, e prima di dire che
dosso a lui per l’eliminazione
è colpa di Balotelli sarebbe
non è onesto – spiega – non è
onesto dire che è colpa del
un giocatore che ti fa perdere
mondo. E poi, vogliamo parun Mondiale; come non è a
lare di ‘sti cazzo di procuraDOVE STA
un’espulsione (alludo a quella
tori? Vi sembra che si pondi Marchisio) che ti fa perdere
gano il problema di educarli,
IL MARCIO
una partita. Una partita in 10 la
questi ragazzi? Io dico di no.
Oggi nessuno insegna
puoi pareggiare, a volte perE insomma, vedere oggi un
sino vincere. Sapessi quante
Messi, campione immenso e
più l’umiltà, e prima di
volte a me è successo!”.
ragazzo d’oro, a me pare un
Però De Rossi ha parlato di
miracolo. Come lui non ne
dare addosso a Balotelli,
“figurine” e Buffon, sul Cornasceranno più.
riere della Sera ha ribadito
che i giovani, prima di vestire
l’azzurro, i campi della Serie
A li devono arare.
vogliamo parlare di ‘sti
cavolo di procuratori?
Si pongono il problema di
educarli, questi ragazzi?
Questa è la gelosia del gruppo. Che quando le cose vanno
male viene fuori, se tutto va
bene resta sotto traccia. Balotelli è un talento difficile da gestire, certamente, ma non è il primo e non sarà l’ultimo. A me capitò Cassano. Prima del Mondiale in Giappone andai a colazione con lui e
Totti per essere certo che non ci sarebbero
stati problemi, sotto
il profilo umano,
a livello di
gruppo. Perché a volte i
problemi
vanno preve-
PALLE
MONDIALI
Intanto Renzi
chiama Raiola:
per piazzare Letta
di Paolo
Ziliani
RENZI ha chiamato Rajola e gli ha offerto la procura di Letta: “È come Balotelli,
non lo vuole più nessuno”
n
RENZI ha chiamato Blatter e gli ha detto
che se vuole infila nella riforma anche l’immunità per Suarez
n
n DOPO aver letto che il Papa sta per
“spretare” il nunzio pedofilo Vesolowski,
Chiellini ha commentato: “Punizione eccessiva”
DISPERATA per la sparizione degli Azzurri, Sky comunica che stasera, invece di
Costa Rica-Grecia, verrà trasmesso l’incontro di Beach Soccer “Squadra di Caressa” vs “Squadra di Alciato”
n
CHIARITO il mistero dei reportage lirici
dell’inviato di Sky Marco Nosotti: la notte,
per una migliore ossigenazione, dorme in
botti di rovere
@ZZiliani
n
Giovanni
Trapattoni,
75 anni
Ansa
Tornando a bomba: Pepito
Rossi come alternativa a Balotelli non ci stava proprio?
Di esclusioni crudeli so qualcosa anch’io. Credo che
Prandelli avrà sofferto come
soffrii io nel 2002 quando
avevo Baggio che stava guarendo dopo la rottura del crociato. Ma la garanzia, al 100 per 100, non l’avevo. Così proposi a Baggio di venire come 24°, una specie
di testimonial azzurro. Rifiutò.
Nel 2006, ai Mondiali di Germania, Barzagli
era l’ultima ruota del carro dopo Cannavaro,
Nesta, Materazzi. Oggi, con 8 anni in più sulle
spalle, è il meglio che abbiamo in difesa.
Vero. Credo che il nuovo ct, chiunque esso
sia, dovrà pensarci. E innovare profondamente. Bisogna cercare. Far crescere. E ricostruire.
Buffon però dice: andiamoci piano con i giovani.
Buffon è un senatore: ma lo è diventato essendo stato, a sua volta, giovane. Non dimentichiamo che i giovani portano un’energia diversa. Certo, dovrebbero essere spavaldi
e avere la testa sulle spalle. Una delle due non
basta. Ma attenzione: se hai giovani a modo e
non spavaldi, le partite non le vinci. Come la
mia Irlanda all’Europeo 2012. Pronti-via, c’è
la Croazia, l’arbitro fischia e siamo già
sotto. Erano 3 punti che scottavano
davvero. C’era bisogno di essere un
po’ prepotenti.
Chiellini ha detto che Suarez non
doveva essere punito in modo così
duro per il morso. Lei è d’accordo?
Per niente. Suarez ha compiuto,
da recidivo, un gesto tremendo
per la cui gravità è stato punito. Non tocca a Chiellini
giudicare le sanzioni.
Non ha titolo per farlo e
dovrebbero dirglielo.
L’arbitro messicano Rodriguez è
stato un Moreno
2?
Proprio come il
“mio” Moreno,
credo fosse prevenuto. Marchisio ha
commesso un fallo stupido e plateale, è vero: ma era un fallo da
ammonizione.
Perché siamo tornati a casa subito?
Vale per noi ma anche per colossi
come Spagna, Inghilterra, la stessa Russia: perché eravamo spompati. Attenzione signori: qualifi-
carsi a un Europeo o a un Mondiale è un
conto, ci metti due anni, pianino pianino, ma
affrontare la fase che conta con 8 undicesimi,
o 15 ventitreesimi della rosa che hanno 70
partite sul gobbone non è semplice. Alla fine
corrono più gli africani, i centroamericani.
Che forse durante la stagione non si spremono come ci spremiamo noi.
Il nuovo ct: Allegri, Guidolin, Mancini o Spalletti?
Io dico che l’esperienza internazionale conta.
E insomma, anche se Guidolin è un ottimo
tecnico, sulla panchina azzurra io vedo o
Mancini o Spalletti.
Pronto per la Costa d’Avorio?
Sì. E ora posso dirlo: mi avrebbero voluto in
panca già in Brasile, ma a me non sembrava
bello che chi aveva faticato per arrivarci (Lamouchi, ndr) non raccogliesse i frutti del suo
lavoro. Così ho spiegato ai dirigenti che non era
giusto. Mi hanno ascoltato. Ora sono pronto.
L’UOMO
IN MENO
di Andrea Scanzi
Allegri ct? Tanto
vale Fassino
È DIFFICILE individuare oggi un allenatore in grado di fare peggio di Prandelli in
Brasile, però forse la Federazione è riuscita a trovarlo: Allegri. I nomi di questi giorni sono tutti più o meno auspicabili, in
particolare Spalletti, Mancini e Guidolin
(Cabrini un po’ meno). Uno dei più papabili è però Allegri, e davvero non se ne capisce il motivo, a meno che aver vinto uno
scudetto per mancanza di avversari e
averne perso un altro
da strafavoriti (complice il gol negato a Muntari) siano requisiti sufficienti.
Allegri è ricordato dai
milanisti, e non solo da
loro, per non avere mai
dato uno straccio di
gioco ai rossoneri e per
avere regalato Pirlo alla
Juventus. Livornese atipico, 47 anni, da calciatore era assai indisciplinato. Dribblatore in
campo e all’altare,
scampò al matrimonio
un attimo prima di celebrarlo. In panchina
pare l’opposto: piangina con arbitri e giornalisti, yesman zelantissimo coi Presidenti perfino sulle pettinature da sfoggiare
(“Allegri dovrebbe tagliarsi i capelli”, ordinò Silvio. E Max obbedì)
SCRIVEVA ieri Giancarlo Dotto su Dagospia: “Il nome di Allegri è malinconia pura. (...) Ci stiamo consegnando all’uomo
che passerà alla storia per aver consegnato Pirlo alla Juventus, con la scusa che era
al capolinea. Uno che di carismatico ha
solo il volto. Purché non parli e non rida”.
Ilare più che altro nel cognome, Allegri ha
le sembianze di un Fassino allenatore, che
predica un gioco vieppiù elementare:
“Passala a Ibrahimovic, che poi ci pensa
lui”. Come Pelé in Fuga per la vittoria. Solo
che l’Italia non ha Pelé né Ibrahimovic, e
consegnare la Nazionale a lui per rilanciarsi sarebbe quasi come regalare il paese ad Alfano per uscire dalla crisi.
20
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
a cura di
Stefano
Disegni
BIOCRAZIA
JULIAN ASSANGE (AUSTRALIA, 1971)
di edelman
Julian Assange è uno dei fondatori di WikiLeaks. Quello meno
riservato.
n Assange e il suo gruppo ricevono file dal contenuto esplosivo e li
mettono in Rete senza censure. Ma non con il successo di Youporn.
n Assange ha rivelato al mondo le atrocità compiute dalle truppe
statunitensi e britanniche in Afghanistan. Ora chi lo sente il garante della privacy?
n Giorni fa WikiLeaks ha rivelato l'esistenza di un trattato segreto
in cui si prospetta un futuro dominato dalla finanza. È del secolo
scorso.
n Assange si trova nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra da ben
due anni. I sudamericani sorseggiano il tè molto lentamente.
n Su Assange pende una richiesta di estradizione da parte della
Svezia. Devono essere impazienti di dargli il Nobel per la Pace.
n Un tribunale di Stoccolma accusa Assange di non aver usato il
preservativo durante un rapporto consenziente. Ma allora chieda
asilo al Vaticano!
n Per impedire la fuga di Assange, gli inglesi spendono sei milioni
di sterline all'anno. E poi non hanno i soldi per comprarsi un bidet.
n
L’ultimo spenga la luce
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
LUIGI GUBITOSI
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
21
direttore generale
della Rai LaPresse
TG PAPI
SALI E SCENDI
Le notti “tragiche”
del povero Mazzocchi
di Paolo Ojetti
a crisi del calcio sta tutta in due
L
rientri. Quello di Buffon e soci,
accolti da un pugno di tifosi silenti e
un cartello: vergogna. E quello degli eroi del Messico, quelli della intramontabile Italia-Germania 4 a 3.
Ecco, lì c’era una folla incazzatissima perché gli eroi erano stati sepolti in finale dal Brasile di Pelé, 4 a
1 e via andare. La Nazionale era
amata e odiata. Lì c’era la sofferenza. Qui, l’indifferenza. Che, a parte
l’esercitazione mediatica dei commentatori, generalmente trasformati in incontenibili tifosi e pessimi profeti (basta rileggere e meditare Travaglio di giovedì scorso)
era diffusa sin dall’inizio: le odiose
mattane di Balotelli lo sfasciasquadre avevano annichilito tutto il resto, soprattutto il calcio vero.
Al seguito, è andato alla deriva tutto il circo televisivo, in testa il capo-équipe della spedizione, Marco
Mazzocchi. Il giorno fatale, quello
contro il CostaRica (con l’Uruguay
nessuno avrebbe più puntato un
euro sugli azzurri “con due risultati
a disposizione”), Mazzocchi rivelava da Recife: “SuperMario Balotelli
anche qui è molto ben accolto. È
cambiato, ha chiesto la mano della
sua Fanny ed è coccolato dal pubblico”. “Nessun problema – incalzava Mazzocchi – e il Costa Rica mi
fa pure simpatia, ha una alfabetizzazione del 95 per cento e guarda al
futuro con fiducia. Non come noi,
che siamo agli antidoti”. Proprio
così, antidoti. Ed è chiaro che, almeno per l’alfabetizzazione, il Costa Rica era davvero un bel pezzo
avanti. A nessuno, tantomeno a
Mazzocchi e ai colleghi televisivi, è
venuto il sospetto che i troppi appelli alla “patria” di Prandelli, come
i generali alla frutta, nascondessero
paure, sfiducia e fosche visioni. A
fine partita, di Balotelli, Prandelli e
tutta la mediocre compagnia restavano solo hamburger. Gli adulatori
di 105 minuti prima, sbranavano
gli idoli, come fanno i tifosi da bar.
SI PARLA di generale “rifondazio-
ne” del sistema calcio. Non accadrà,
come sempre. Ma qualche rottamazione televisiva va fatta. Quale affidabilità avranno quei giornalisti
ed “esperti” che hanno venduto per
finalista una squadra materasso?
Quante balle girano attorno al pallone? Bisognerà iniziare dalla Domenica Sportiva della milanista
Paola Ferrari, più esperta di tacco
14 che di tacchi smarcanti. Alla sua
corte, commentatori esausti, una
“moviola” juventina e un solipsista
di nome Bacconi. Dovendo ricostruire il calcio italiano da zero, meglio non trascurare niente. Lo esige
il canone.
La vera riforma della Rai
che in Rai non vuole nessuno
di Carlo Tecce
l tema non è frizzante, premessa che
I
non ingolosisce il lettore, da censura
giornalistica, ma è importante per l’Italia
che s’abbandona volentieri a tentazioni
private e poi le inganna con i conflitti
d’interesse. Il tema è la riforma Rai, cioè
la riforma di un servizio pubblico televisivo e radiofonico. Da mesi, politici,
funzionari, giornalisti, giocolieri e tavernieri – con estremo rispetto per ciascuna
di questi categorie – discettano di riforma: ma la riforma non esiste, e il governo
fa trapelare tante indiscrezioni, spesso
contraddittorie.
LUNEDÌ SCORSO, in via Teulada, studi
romani che ospitano Ballarò, s’è tenuta la
Leopolda Rai, organizzata dal capo dei
dirigenti Rai (Luigi De Siervo) che già
ispirava le Leopolde di Matteo Renzi. Il
canovaccio para-politico e para-teatrale,
applicato ai modelli Rai, ha generato una
passerella mista, fra luminari e improvvisati, attori di punta e comparse da retrobottega. I soliloqui, quasi un centinaio, hanno sfiorato il tema riforma. E
dunque accolgono l’indirizzo di Palazzo
Chigi e il tipico atteggiamento di coloro
che parlano di Rai: sfiorare, non entrare
nel merito. Appena il governo ha chiesto
l’obolo di 150 milioni di euro a viale Mazzini per coprire gli 80 euro in busta paga,
in Rai s’è cominciato a esaminare le riforme possibili e, soprattutto, quelle impossibili. Renzi ha girato la pratica al viceministro Antonello Giacomelli, che
non difetta certo in preparazione e che,
laicamente, vuole rendere più efficiente
questo memorabile coacervo di sprechi,
spartizione e arretratezza tecnologica. Il
traguardo di Renzi è semplice: modulare
il canone e poter annunciare di aver abbassato la tassa più odiata dagli italiani;
asciugare la burocrazia interna ritoccando la legge Gasparri. Forse vuole anche
abolire la commissione parlamentare di
Vigilanza, un organo inutile più che dannoso: l’unico ruolo attivo che svolge è
quello di nominare già altrettanto inutili
consiglieri di amministrazione. Questi
ritocchi sostanziali li propone da anni il
movimento “La Rai ai cittadini” di Adriano Colafrancesco. Non sempre è necessario coinvolgere dei saggi o creare sovrastrutture per disperdere le responsabilità.
Gli ascolti
di venerdì
SEGRETI E DELITTI
Spettatori 2,89 mln Share 16,6%
TI STIMO FRATELLO
Spettatori 1,87 mln Share 9,17%
Torniamo al lunedì di Lepolda. In tanti
hanno suggerito di vendere un canale dei
tre generalisti; pare che la scelta, per un
motivo un po’ arbitrario, cada sempre su
Rai2, che è talmente leggera da essere priva di un’etichetta e di un pubblico consolidato come Rai1 e Rai3.
CHI RAGIONA sul numero di reti, in tem-
pi di spazi illimitati in Internet, di digitale
terrestre formato da centinaia di pezzettini e parimenti di satellite, è fermo a
un’epoca precendente al testo di Gasparri e dunque a Gasparri stesso. Che sia una
televisione pubblica, metà di canone e
metà di pubblicità, la Rai deve soddisfare
i suoi abbonati con i contenuti che offre e
deve maledettamente schierarsi in mezzo
al campo. Come fonte di informazione,
come snodo per l’approfondimento, come catalizzatore per l'intrattenimento.
Plasmato il prodotto, poi decidi in quale
vetrina mostrarlo: su Internet, su Rai1, su
Rai3 o su Rai5. Estirpata la logica di una
concorrenza orizzontale fra i canali (e i
direttori e i partiti), la Rai può trasformarsi in una fabbrica editoriale di assoluto livello, in onore (e in rispetto) del denaro che gli italiani versano ogni anno.
UNA VOCE PER PADRE PIO
Spettatori 3,15 mln Share 16,11%
THE JACKAL
Spettatori 1,43 mln Share 7,55%
22
SECONDO TEMPO
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
il Fatto Quotidiano
STORIE ITALIANE
IL DOPO-JUNKER
Piccoli uomini d’Europa
contro il resto del mondo
di Furio
Colombo
A
llora è Jean Claude
Juncker il nuovo
presidente della
Commissione europea. Gira e rigira, pensa e
ripensa, si trova un personaggio di poco sopra il niente di
Barroso, niente visione, niente
leadership, vuoto dove dovrebbero esserci due idee fondamentali: chi siamo noi, l’Europa. E che rapporto c’è con il
resto del mondo, il mondo che
si frantuma, si uccide, si aggredisce, con i suoi popoli in
fuga. Juncker non ha altro da
aggiungere a ciò che Barroso
non ha detto e non ha neppure
pensato in tutti questi anni:
come mai l’Europa? Da dove
viene l’Europa? Dove va l’Europa? Con chi e perché?
Ricordo spesso, in queste pagine, che solo i Radicali di
Pannella, qualunque strada
abbiano scelto in qualunque
altra cosa, non si sono stancati
mai di sventolare il Manifesto
di Ventotene, quel documento italiano che ha fatto nascere
frontiere aperte invece di trincee, quel sogno di unire risorse e popoli che appare più
grande nella ricorrenza del
massacro detto “Grande
Guerra”. Li abbiamo visti tutti
insieme i leader di questa Europa, riuniti intorno alla piccola aiuola che ricorda la carneficina spaventosa nella piccola città belga di Ypres. Ma
neppure quella ricorrenza ha
prodotto il miracolo di fare
cambiare discorso.
L’EUROPA È nata da regolamenti, ed è rimasta ai regolamenti. Quando il nuovo Parlamento europeo si aprirà ci
saranno, come protagonisti,
tante piccole donne e piccoli
uomini (non loro, ma i governi che rappresentano) che vedono la vita di ogni essere
umano e di ogni popolo solo in
numeri e decimali, niente sogni, niente attese, niente speranze, niente ideali. E si troveranno contro, con intento di
opposizione, creature ancora
più piccole, come in un pauroso viaggio di Gulliver, strani
gnomi che, proprio nei giorni
della Grande Guerra, vogliono
frontiere chiuse, persone
escluse, migranti affondati in
mare e una meticolosa opera
di smagliatura per disfare i legami e riportare a solitudine e
isolamento ogni Stato che si
era associato per fare quella
che continuiamo a chiamare,
con infondata speranza, Europa.
Peccato che nessun testimone
originale del Manifesto di
Ventotene (non parliamo di
età ma di fede) abbia voluto o
potuto candidarsi in queste
elezioni. Fra gli uomini-numero del cosiddetto rigore, e i
nani delle frontiere chiuse,
mancano i testimoni del percorso grandioso da cui l’Europa ha deragliato, e per la
quale alcuni grandi esuli e
confinati avevano a lungo lavorato e testimoniato. Dunque
il Parlamento della nuova Europa, che non ha visioni, non
ha ideali, non ha progetti, si
divide in buoni e cattivi. I
“buoni” sono gli uomini-numero che si uniscono o si di-
vidono per uno 0,3 per cento. I
“cattivi” vogliono ritornare
all’Europa della Grande Guerra, perché possono concepire
come solo valore la frontiera, e
la vogliono chiusa. Per questa
ragione, quando si ferma per
decidere chi dovrà essere il ministro degli Esteri (che chiamano, non per errore “alto
rappresentante” affinché si
senta fin dal nome che è un
funzionario e non un politico)
i nomi sono subito piccoli, più
piccoli e irrilevanti (quelli rimasti in discussione in questo
momento) della stessa modesta dimensione del nuovo presidente.
L’Italia nomina Mogherini, la
gentile persona che nessuno
aveva notato come ministro
Jean-Claude Juncker Ansa
QUI BRUXELLES
Si deve decidere chi sarà
il ministro degli Esteri,
ma i nomi sono subito
irrilevanti. Perché
irrilevante è la politica
estera dell’Unione
degli Esteri italiano, e che nessuno noterà come Rappresentante della Politica Estera europea. A ben guardare non c’è
sproporzione fra Mogherini e
questa Europa. Perché non c’è
una politica estera europea.
L’Europa vive senza politica e
senza idee accanto alla Siria
che è un nodo senza sosta e
senza uscita di spaventosa violenza. L’Europa è a un passo da
Israele e Palestina e non ha mai
saputo compiere gesti anche
lontanamente simili a quello
di Papa Francesco.
L’Europa prende atto del rapimento di tre adolescenti
israeliani e non ha una parola
da dire né un gesto da compiere per quanto sia evidente la
gravità e il rischio. L’Europa ha
di fronte una Libia spezzata in
territori e bande di guerra continua e si comporta come se
non fosse acceso fuoco accanto al petrolio. Agli europei
sembra bastare la sicurezza di
portarsi via la parte necessaria
di carburante.
SUL MEDITERRANEO l’Italia è
allo stesso tempo colpevole e
vittima. Colpevole di avere affidato per anni tutta la politica
della immigrazione nelle mani
di un gruppo barbaro detto la
Lega Nord che, con l’odioso e
dannoso strumento della legge
Bossi-Fini, ha trasformato un
problema serio, importante
ma affrontabile con civiltà, in
una serie di tragedie, naufragi,
donne e bambini scomparsi in
mare, respingimento di persone in fuga dalle guerre e con
inviolabile diritto d’asilo. E
adesso che esiste l’operazione
“Mare Nostrum” (che avrebbe
dovuto esistere fin dall'inizio)
l’Europa non intende fare la
sua parte, non accoglie, non
condivide, non paga. Ma intanto esplodono guerre (almeno otto le più gravi nel mondo)
e divampa in Africa la spaventosa febbre emorragica ebola
che ormai contagia undici
Paesi. Anche ebola è politica
estera perché, senza aiuti e intervento scientifico internazionale, quei Paesi non potranno salvarsi ma ne contageranno altri. Intanto la Russia
continua a premere con la sua
forza contro l’Ucraina con la
gentile comprensione italiana.
Il Giappone decide che la cosa
giusta è lasciare il pacifismo e
tornare al riarmo. Ma le finestre d’Europa (niente a che vedere con Ventotene) continuano a restare murate. Dalle
sue piccole feritoie l’Europa
non vede il mondo e il mondo
non vede l'Europa.
FATI DI VITA
di Silvia
Truzzi
AL LICEO Telesio di Cosenza succede quanto
segue: una ragazza viene bocciata al primo anno e
i genitori di lei non la prendono bene (cosa indubbiamente comprensibile). Cosa fanno? Rimproverano la figlia? Non proprio. Si precipitano, in
spedizione punitiva, a scuola chiedendo un colloquio con il preside, che però in quel momento è
assente. Si presenta allora la vicepreside, Rosanna
Gallucci, che prova a spiegare i motivi della decisione. Ma i genitori non sono soddisfatti e la
aggrediscono.
No, non verbalmente. Il papà, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe fatto da "palo"
sulla porta, la mamma (con la proverbiale dolcezza
materna) sarebbe passata alle vie di fatto, procurando alla professoressa ferite giudicate guaribili in 25 giorni. L’avrebbe presa per i capelli e
buttata a terra, colpita alla testa e allo sterno con
calci e pugni. La coppia è stata denunciata per
aggressione, lesioni personali e violenza a pubblico
ufficiale. Uno dice: poverina questa ragazzina,
chissà che imbarazzo. Invece guardate che scrive
n
La guerra di Angela
contro la casa abusiva
di Nando dalla Chiesa
D
io mio, quanti luoghi comuni. La
Lombardia non è la
Sicilia, non è la Calabria... Magari lo fosse, vien da
dire a volte. Come quando scopri che a indagare su alcuni clan
al nord sono un maresciallo calabrese o un commissario siciliano che hanno respirato a casa
loro l’aria dell’antimafia. O come quando ti imbatti in questa
storia che ha per protagonista
una pensionata salernitana che
da anni battaglia in nome del diritto in un piccolo comune in
provincia di Como. E dove a infischiarsene della legge non sono “quelli di giù mandati al confino” ma, con modalità più signorili, disinvolti personaggi
locali. Con tanto di incarichi
pubblici.
DUNQUE riprendiamola
dall’inizio questa incredibile
storia di una Lombardia dove
della legge ci si fa un baffo. Teatro: San Fermo della Battaglia,
un nome che ricorda la vittoria
dei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi contro gli austriaci. Protagonista e vittima: un’insegnante di italiano e storia da
tempo in pensione, Angela
Compagnone, sposata Malerba.
Venuta da Salerno alla fine degli
anni sessanta. La tipica professoressa che ha trovato lavoro al
nord. E che quand’era in servizio aveva il pallino dell’educazione alla legalità. Piccola e gentile, ma tosta e combattiva. Nonostante la lunga permanenza
sul lago di Como, la prof ha conservato un salace accento campano. Che le serve per raccontare di quando un giorno del
2007 si accorse che, di fronte a
casa sua, le stavano tirando su
un’altra casa. Ci volle poco tempo per capire che le volumetrie
violavano le norme fissate dal
piano di governo del territorio.
E che nessuno accennava a intervenire. C’era un occhio di riguardo del Comune verso quel
progetto. La volumetria era stata misurata escludendo dal calcolo sia il piano interrato sia i locali del sottotetto. E per una di
quelle combinazioni ricorrenti
anche in Lombardia, il geometra era cugino del sindaco, Pier-
luigi Mascetti (attuale vicesindaco), il quale a sua volta si è fatto ristrutturare la casa di famiglia dalla ditta costruttrice.
“E che dovevo fare, dovevo stare
a guardare? – si infervora lei –
Ho protestato, ho cercato di sollevare il problema sulla stampa
locale, che mi ha dato spazio
perché chiunque vedeva che
avevo ragione io. Ma l’amministrazione non si è scomposta e
ha acconsentito che i lavori andassero avanti. E ora eccola lì, la
casa, e davanti ci hanno pure
eretto un muro. Doveva essere
alto tre metri, è alto sette. La casa, invece, diciassette”. In effetti
la vista sulla valle è andata a farsi
benedire, il paesaggio è deturpato. Il sindaco e poi vicesindaco
Mascetti, un pregiato prodotto
del centrodestra in versione sbarazzina, ha messo l’amministra-
E
VOLUMETRIE
Nonostante una
sentenza del Consiglio
di Stato, un Comune
lombardo non solo
non interviene,
ma fa una sanatoria
zione a tutela del manufatto.
Anche se, su pressione della vittima, l’ufficio tecnico del comune ha dovuto denunciare alla
magistratura la violazione delle
norme edilizie. “Non sono una
sprovveduta, la nostra famiglia
ha uno degli studi di commercialista più avviati di Como, e io
ho una passione per la legalità.
So quali sono i miei diritti. Ci
siamo rivolti al Tar della Lom-
bardia. Che nel 2010 ci ha dato
ragione. Ha mandato un architetto e lui ha fatto il suo rapporto. Ma nemmeno il Tar è bastato. Allora mi sono rivolta al
Consiglio di Stato. Che nel marzo di quest’anno, sette anni dopo, mi ha dato ragione. La casa
rossa è abusiva. Per qualche
giorno ho pensato di avere vinto. Oltre il Consiglio di Stato
non c’è più nulla, è il massimo
organo giurisdizionale”.
E INVECE? “E invece, sopra il
Consiglio di Stato c’è il comune
di San Fermo. Ma lo sa che
cos’hanno fatto quando si sono
trovati davanti alla sentenza?
Hanno deciso così: visto che c’è
un abuso riconosciuto, noi facciamo una bella sanatoria. Insomma il sindaco ha ‘sanato’ il
Consiglio di Stato”. E la ditta interessata, la Mazzucchi costruzioni, gongola, “anche perché
lavora per il Comune. Pure il
magistrato che doveva decidere
sul muro, che aveva rinviato la
causa per anni, ha emesso la sua
sentenza dopo quella del Consiglio di Stato: non luogo a procedere”. Nessuno la tiene più, la
professoressa. La si vede in una
foto sorreggere uno striscione
con la scritta “La voce della giustizia” (la sua testata d’occasione) e sotto “Casa Rossa abusiva”
(titolo). Poi giura: “Pretendo il
rispetto della legge. Batterò anche le strade della giustizia penale, a questo punto, e chiederò
il commissariamento di un Comune che non riconosce la giustizia dello Stato. Si sono inventati un ricorso di cinquanta pagine alla Cassazione, a carico del
cittadino naturalmente, accampando che l’architetto mandato
dal Tar era rimasto vittima di un
abbaglio dei sensi, testuale. E
che aveva trascinato nel suo abbaglio prima il Tar poi il Consiglio di Stato”. “Non riesco a
dormire, pensi che credevo nella legge”. Be’, il paese che ama la
legalità solidarizzi con questa
pensionata campana che in
Lombardia difende fino all’ultimo i suoi buoni diritti contro gli
abusi di un piccolo potere locale. Ma qualcuno, un prefetto, un
procuratore, vorrà intervenire
per dare man forte alle leggi della Repubblica? Ci sarà pure un
giudice a Berlino.
Tra il 6 politico e le mani addosso:
dov’è finita la funzione della scuola?
su Facebook la fanciulla: “La Gallucci è stata sistemata, ora tocca agli altri”. E ancora: “L’anno
prossimo tornerò per darvi fastidio”.
IL PRESIDE ha raccontato il percorso scolastico
della studentessa: “Si era iscritta a settembre prima al liceo scientifico, poi all’istituto alberghiero e
solo a febbraio era arrivata al nostro liceo europeo,
che è particolarmente impegnativo. Fin dall’inizio
ha mostrato difficoltà, ma l’abbiamo aiutata mettendole un insegnante per aiutarla a prepararsi
nelle materie che le risultavano più difficili. Non ha
mai mostrato grande voglia di studiare”. Al di là del
gesto inqualificabile di mettere le mani addosso a
qualcuno, colpisce molto l'incapacità di accettare
la responsabilità e le conseguenze dei comportamenti: non studio, mi aspetto di essere promossa. Per questo desta molta perplessità un’altra notizia che arriva dalla Francia, dove è stata annunciata l'abolizione dei brutti voti. “Secondo il ministro dell'Istruzione francese bisogna essere più
‘clementi’ con i ragazzi, incentivarli anziché scon
raggiarli”, scrive Anais Ginori su Repubblica. Un sei
politico che garantisce la sufficienza a tutti.
L’argomento scuola è molto complesso, ma deve
per forza esserci una via di mezzo tra il voto politico
(che, durante gli anni della contestazione, nell’Università italiana ha fatto danni sufficienti e permanenti) e la selezione darwiniana. Le basi culturali
della scuola dell’obbligo non sono un optional, in
quadro più generale di “formazione della persona”,
sono una condicio sine qua non, rispetto al proseguimento degli studi. La tesi che tanto è piaciuta
ai nostri politici (come l’indimenticabile ministro
Berlinguer) secondo cui lo studente va trattato come un cliente, come si vede ha prodotto meraviglie. Come ha detto una volta Claudio Magris,
intervistato da questo giornale: “Il cliente per definizione ha sempre ragione. Se io vado al ristorante e sui maccheroni al posto del formaggio chiedo lo zucchero, il cameriere me lo porterà. Ma se
uno studente mi dice che Dante ha scritto I promessi sposi, mica posso dirgli ‘In genere no, ma per
te sì’”.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
DOMENICA 29 GIUGNO 2014
23
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
La presunta onestà
di Matteo Renzi
Sono rimasta colpita da
una frase di Furio Colombo, “Matteo Renzi è onesto”. Sul vocabolario il significato è il seguente:
“onesto: chi si attiene a
principi di integrità morale, di giustizia”. Renzi ha
una condanna per danno
erariale in primo grado e il
suo governo sta cercando
di introdurre una norma
per evitargli la sentenza di
appello. Ci sarebbero anche i contributi pensionistici “furbi”, nonché la casa fornita a Renzi dall’amico Marco Carrai. Senza
contare lo stretto accordo
segreto stipulato con un
condannato in via definitiva che, grazie a Renzi, sta
per assurgere al ruolo di
Padre costituente. Spero
che la frase di Colombo sia
ironica come la shakespeariana “e Bruto è un uomo
d’onore”, perché capisco
che nell’Italia dei grandi
scandali, della corruzione
diffusa, dell’insaputismo
dilagante e dell’impunità
riservata ai potenti (che lo
stesso Renzi vuole potenziare) queste “piccolezze”
sembrino trascurabili, ma
vorrei ricordare che altrove, in quell’Europa alle cui
direttive tutti sembrano
voler aderire quando fa comodo, ci si dimette per
molto meno. Da noi no. E
addirittura si passa per essere moralmente integri,
giusti e retti.
versario della legge maggioritaria Acerbo-Mussolini, che segnò il suicidio
della democrazia italiana.
La legge elettorale Renzi-Berlusconi-Alfano è
peggiore della legge Acerbo-Mussolini. Infatti la
legge Acerbo permise l'elezione di Matteotti: col
superporcellum di Renzi e
compari Matteotti non
potrà nemmeno arrivare
in Parlamento. La colpa è
anche mia: nel febbraio
2013 votando Pd contribuii a dargli il premio di
maggioranza alla Camera:
però nel programma del
Pd non si parlava di premi
di maggioranza, ballottaggi, Senato-pagliacciata. A proposito del Senato-pagliacciata di Renzi e
compari, formato da
mangiatori di nutella
(Consiglieri regionali) e
da altri politicanti (Sindaci: ringrazio i senatori e gli
Il rapimento di giovani
come ricatto politico
Tre ragazzi israeliani, due
di 16 e uno di 19 anni, sono
stati rapiti facendo piombare le loro famiglie in un
incubo. L’utilizzo dei rapimenti quale arma di ricatto politico è repellente,
ancora di più se le vittime
sono ragazzi. Se l’umanità
non coglie la gravità di
quanto accaduto, e questa
brutta storia finisce nel dimenticatoio, allora penso
che il futuro ci riserverà le
stesse sorti delle vittime.
La Vostra responsabilità,
intesa quale onere e onore
di creare una coscienza
della collettività, rende
doverosa la considerazione.
Perché
la tortura
non è reato
CARO COLOMBO, leggo un po’ dappertutto che in Italia non esiste il reato di tortura perché le polizie si oppongono. Cioè
Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza si oppongono in tutti i modi. È vero?
Nadia
LO LEGGO ANCH’IO ogni volta che si torna a discutere del problema (che è grave e
urgente) e me lo sentivo dire da colleghi deputati e senatori quando ero in Parlamento.
Spiegavano, sussurravano o tuonavano (secondo l'inclinazione politica, ma anche con
diverse intonazioni dentro lo stesso partito)
che mai e poi mai si sarebbe potuta fare una
legge contro la tortura perché le Forze dell'ordine non volevano una simile legge. Non
ci credevo allora e non ci credo adesso. Solo i
Radicali appoggiavano l’urgenza della legge
e il doppio argomento che condivido. Una
legge sulla tortura difende i cittadini e difende la polizia. Adesso mi sembra chiaro, addirittura evidente che poche persone nelle
varie polizie hanno trovato agganci alla Camera e al Senato, diffondendo la leggenda
secondo cui una simile legge avrebbe a) offeso la Polizia, b) favorito il moltiplicarsi di
denunce false come espediente di difesa, c)
avrebbe limitato la capacità di azioni adeguate ed efficaci degli agenti in casi di grave
necessità. Cerco di spiegare perché non può
essere vero, e perché è il rifiuto della legge, e
non la legge, che offende la Polizia, come se
la polizia volesse la libertà di abbandonarsi
alla violenza. È un pensiero insultante e la
prova è semplice. I casi dolorosi e barbari in
cui si può legittimamente parlare di tortura
(da Cucchi ad Aldrovandi, da Uva a Magherini) ci sono purtroppo. Ma sono più rari
delle prodezze di bravi cittadini che all'improvviso diventano pirati della strada, falciano sulle strisce mamme e bambini, e si al-
Francesco Di Giovanni
DIRITTO DI REPLICA
Caro Direttore,
quanto acrimonioso inchiostro in un solo articolo
la vignetta
Tiziana Gubbiotti
Le offese di Berlusconi:
oltraggi e rassegnazioni
I magistrati finora non
hanno ritenuto di segnalare gli oltraggi ricevuti da B.
come elementi di reato. Le
assuefazioni operano anche in questo senso: non si
avverte più il peso delle parole e dei fatti. Decenni di
insulti che B. ha lanciato
contro i magistrati senza
che questi reagissero, hanno creato uno stato di assuefazione rassegnata. È
giusto anche questo. Per
alcuni è giusto tutto.
Giuseppe Alù
La legge elettorale
dei tre compari
Quest'anno è il 90° anni-
lontanano senza prestare soccorso e senza
autodenunciarsi. Ma quando i casi di maltrattamenti violenti e mortali ci sono, e la
storia raggiunge un giudice, la materia (dai
maltrattamenti alla morte) rimane difficile
da giudicare perché manca la definizione
giuridica di quegli atti e lascia tutto in bilico
tra voluto, possibile e accidentale. La pragmaticità americana ha trovato una definizione semplice e precisa: maltrattamento
insolito e crudele. Chi si oppone? Evidentemente i pochi e i violenti che hanno compiuto o potrebbero compiere simili atti. Chi non
ha niente da obiettare alla legge sulla tortura che c'è in ogni Paese civile? Tutti gli altri,
i moltissimi che, anche in situazioni difficili
e pericolose, non hanno mai violato leggi,
dettami e buon senso umanitario in migliaia di interventi, di azioni, di impegni, di
contenimento del disordine violento. Sono
tanti coloro che non sono mai stati accusati
o anche solo indicati dai cittadini come colpevoli di abusi e violenze, e pochi (ma liberi
di essere recidivi) coloro che hanno commesso atti che i cittadini non possono dimenticare. Una legge sulla tortura protegge
da un lato i cittadini dalle iniziative per cui
è prevista una condanna. Ma, dall'altro,
protegge i carabinieri e agenti delle diverse
polizie che in quella legge trovano definizione e garanzia del loro comportamento e nella condanna di quella legge non incapperanno mai. Infatti anche adesso non si abbandonano e non si sono mai abbandonati
al comportamento crudele e incivile. Hanno
ragione i Radicali. Per il solo fatto di esistere,
quella legge sarà la difesa più forte del prestigio e della reputazione delle polizie democratiche.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
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vorrei assicurare Luisella
Costamagna che quella
perfida espressione – “speriamo non con i soldi” – è la
dimostrazione più eclatante di come si possa scrivere
senza conoscere né i fatti né
le persone. In quanto a
Vendola, che dovrebbe andarsene dalla politica e dal
partito, mi sento di dirle
che da questa politica e da
questo partito con cui la
giornalista ci raffigura, lui
come noi non possiamo di
fatto andarcene per il semplice motivo che non ci siamo mai entrati. Siamo invece qui, a tessere il difficile
filo di una sinistra che tanti
suoi lettori incontrano in
giro per il Paese e a cui, sono sicuro, nel confronto
delle opinioni come nella
critica, guardano con rispetto. Semplice e fondamentale parola che ancora
non rientra nel lessico di
Luisella Costamagna.
On. Francesco Ferrara
- Presidenza Nazionale Sel
DIRITTO DI REPLICA
Gentile direttore,
nella "lettera" di Luisella
Costamagna, pubblicata
venerdì 27 giugno, a pagina
18 del suo giornale, si fa riferimento a Fausto Bertinotti "rimasto fedele a scorta e auto blu". Forse non sarà molto interessante per
lei e per i suoi lettori, ma è
certamente utile per mettere fine a una inutile falsità,
sapere che Fausto Bertinotti, da circa un anno non
ha né scorta né auto blu.
Possiede, invece, un abbonamento Metrebus-Roma
intera rete che gli consente
di prendere, tutti i giorni,
l'autobus numero 80.
Vittorio Mucci - Addetto
stampa Fausto Bertinotti
altri che si opporranno al
Senato-pagliacciata. Forse rimarranno in minoranza, ma forse permetteranno il ricorso al referendum popolare confermativo. Così si vedrà se il popolo approverà il Senato-pagliacciata voluto da
un ragazzotto megalomane (Renzi), da un frodatore fiscale (Berlusconi) e da
un politicante dallo sguardo non molto vivace (Alfano).
Antonio Rossi
da parte di Luisella Costamagna nei riguardi di Sinistra Ecologia Libertà.
Quanta superficiale analisi, quanti inappellabili giudizi e condanne. E aggiungo, quanta ingenerosita’
politica e persino umana
verso le singole persone e
una intera comunità che
vive con dolore e passione
un passaggio politico così
duro. Le chiedo come sia
possibile ridurre a macchietta una discussione che
impegna gruppi dirigenti,
militanti, uomini e donne
interessati ad una sfida politica che riguarda questa
parte della sinistra. Tutti
marchiati, da Vendola a
Migliore, da Laura Boldrini al Tesoriere di Sel, dal
tarlo dell’opportunismo
personale. Lei sa bene caro
Direttore, a differenza della giornalista, che ci siamo
alleati con Bersani sulla base di un programma che se
nell’arco di quest’anno poco più fosse stato almeno in
parte applicato, alcuni no-
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di sarebbero stati sciolti e
non stringerebbero ora al
collo il Paese, come nel caso del decreto sul lavoro e
di riforme istituzionali che
mirano a mutilare la nostra
Costituzione. La nostra
coerenza a quel programma e a quel patto con gli
elettori è interpretata come
colpa nell’essere andati
all’opposizione del governo Letta, quando è il Partito Democratico che in
quel succedersi degli eventi
è andato piuttosto all’op-
posizione di sé stesso. L’altra colpa è quella di voler
essere forza di governo anche quando si sta nella trincea dell’opposizione. Provengo dal PCI e in queste
settimane si sta ricordando, finalmente con la considerazione storica e politica che merita, la figura di
Enrico Berlinguer. A Lei
non potrà sfuggire che proprio questo è stato il capolavoro di quel partito e di
quel segretario. Il Tesoriere
se n’è andato, è vero. Ma
I NOSTRI ERRORI
Nell'articolo dal titolo
"Omicidio Yara: peli e capelli di Bossetti sul corpo
martoriato" uscito nell'edizione del 28 giugno 2014 a
pagina 9, nel sommario il
medico legale è stato chiamato Buffi: il cognome è
Buzzi, come riportato correttamente nel testo.
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