ANNO XLIV - N. 1
GENNAIO 1996
MENSILE DELL'AICCRE
ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI
dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale
Un nostro compagno di lotta
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Il Segretario generale de117AICCRE,Gianfranco Martini, si intrattiene col Presidente
Mitterrand alla fine degli Stati generali del CCRE a Strasburgo (ottobre 1993). Mitterrand, a117aperturadel congresso, aveva parlato cinquanta minuti a braccio, incoraggiato 17impegnopopolare e federalista del CCRE, appoggiato di fatto l'ipotesi di un
«fronte democratico europeo» promosso e organizzato dalle autonomie territoriali. A
lato (nella foto) si scorge il profilo del presidente del CCRE Maragall, Sindaco di Barcellona
Congresso AICCRE
e revisione
di Maastricht
Siamo alla vigilia sia del Congresso nazionale ordinario dell'AICCRE, sia del
Vertice europeo di Torino, nel quale si
darà il via alla Conferenza intergovernativa
per la revisione di Maastricht: per quest'ultimo non solo era logico aspettarsi un
intensificarsi dell'attacco di tutte le forze
corporative e di tutti gli interessi costituiti,
stimolati in maniera subdola e demagogica
da un pool di euroscettici, ma anche obiettivamente dovevamo constatare che ci troviamo di fronte a un problema complesso,
aperto ad alimentare malintesi, per un motivo assai semplice che qui esponiamo. I federalisti doc hanno sempre sostenuto che
per arrivare alla Federazione europea occorre cominciare dalla sovranazionalità
politica, perchè quello è il momento decisivo della costruzione federale: viceversa
già prima della metà degli anni '50, dopo il
prologo della Comunità carbosiderurgica,
si prese la scorciatoia della Comunità europea di difesa, che avrebbe avuto in un
secondo tempo (ma se ne parlava poco) la
conseguenza della instaurazione di una
Comunità politica: ora si è presa l'altra
scorciatoia della moneta europea unica,
che per altro dovrebbe trascinare con sè
anche la politica economica comune, nonchè le politiche estera e di sicurezza, e
quindi un governo europeo. Della CED alcuni benpensanti e molti cittadini ignari
non capirono o finsero di non capire che si
trattava di incanalare per una giusta strada
l'ormai deciso, inevitabile riarmo tedesco:
molti dissero che i federalisti erano divenuti militareschi e guerrieri e si suscitò la
reazione, ingenua e credula, di molti pacifisti. Per la moneta unica si fanno passare i
suoi fautori, includendovi i federalisti più
ortodossi (filiazione spinelliana), per incalliti monetaristi, fingendo di ignorare che la
moneta coniune è ritenuta soltanto uno
strumento necessario, anche se non suffi-
ciente, di un'area economica veramente
comune, senza la quale si è ernarginati dalla competizione economica mondiale, e
che esige per altro al più presto un autentico governo europeo. I dubbi che sollevano i sacrifici - lacrime e sangue -, che
comporta il rispetto dei parametri di Maastricht e il fatto che in molti paesi (partitolarmente lo constatiamo in Italia) si vogliono addossare, a torto, i sacrifici più duri alle fasce più deboli della popolazione hanno fatto esclamare ad alcuni uomini astuti
che bisogna rinegoziare i parametri anzidetti: non si dice correttamente che bisogna negoziare, per la prima volta, le conseguenze inevitabili dell'inizio monetarista
(prowisoriamente monetarista) dell'unione economica e monetaria europea in maniera che la moneta non serva di saracinesca nell'allargamento del gruppo iniziale di
paesi virtuosi dallo scopo unitario. Quel
che occorre senza dubbio è analizzare subito il Piano Delors (Libro Bianco) per lo
sviluppo e l'occupazione dell'lJnione europea: in effetti questo scopo è anch'esso
prowisorio, in vista della creazione, finalmente, dell'unione politica sovranazionale. I1 problema in realtà non è sviluppo con
occupazione o sviluppo senza occupazione, ma è sviluppo nella prospettiva di un
autentico Stato europeo federale, nel quale le debolezze e i sacrifici non siano attribuiti alle fasce deboli della popolazione
ma si compia un salto di qualità globale, tal
che l'Europa tutta offra le sue potenziali
energie umane e diventi competitiva sia rispetto ai paesi di costo minimo della manodopera (nel Terzo Mondo) sia rispetto ai
paesi che producono con un valore aggiunto di gran lunga superiore. Le nuove e
nuovissime tecnologie battono alla porta.
Naturalmente non basterà un governo europeo economico, ma per costruire insieme un'autentica società sovranazionale occorre anzitutto o quanto meno al più presto un governo politico comune.
Questo è il punto: arrivare a un autentico governo politico comune, che affronti
coordinatamente e quindi razionalmente
tutte le interdipendenze, monetarie, economiche, sociali, di politica estera e di prospettive per l'awenire ambientale e demografico. Si direbbe che la Conferenza in-
som
ma
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tergovernativa non abbia capito bene, da
parte dei governi che la porteranno avanti,
la necessità di passare finalmente ad una
struttura che determini il Soggetto Europa. Se il Soggetto Europa sussisterà, il problema di trasformare eventualmente tutto
il Mezzogiorno d'Europa nella California
europea non sarà un fatto italiano, greco,
spagnolo o in qualche modo francese, ma
un pressante interesse di tutto il Soggetto.
Se d'altra parte si deve fare una politica comune di riarmo, di disarmo, di prevenzione comunque militare, questo sarà un problema assolutamente correlato ai problemi
economici e sociali e lo dovrà affrontare e
risolvere il Soggetto Europa, cioè un governo europeo. Naturalmente il governo
europeo deve dipendere da un Parlamento
europeo o assemblea popolare (oltre che
da un Senato degli Stati), il quale non solo
abbia poteri necessari, ma sia stato eletto
seriamente per affrontare i problemi europei e non per sistemare, in ciascun paese, i
conti rimasti in sospeso tra maggioranze
governative nazionali e opposizioni nazionali.
Soprattutto senza essere un reale Soggetto l'Europa da' la sensazione ai famosi
giovani, di cui tanto si parla a vanvera, che
l'Unione europea sia un semplice Comitato d'affari, laddove noi vogliamo la creazione dell'unione europea federale che affronti coraggiosamente tutti i problemi
materiali e morali che imcombono sul nostro lacerato Continente. Poi non vorremmo che si dimenticasse che noi vogliamo
unire l'Europa per unire il mondo: viceversa finora il coacervo chiamato Unione
europea ha contribuito alla dissoluzione
della Jugoslavia, cioè una democrazia potenziale degli slavi del sud, lasciando agli
Stati Uniti d'America - che esistono - di
fare del loro meglio per affrontare la crisi
di un lembo d'Europa dove sono prevalse
le pulizie etniche, malgrado milioni di matrimoni misti tra croati, serbi e bosniaci,
tra cattolici, cristiani-ortodossi e musulmani, ecc. ecc.
I1 problema che quindi si pone è: la revisione del Trattato di Maastricht ci awicinerà alla Federazione (in un momento in
cui pudicamente non si pronuncia neanche
la parola federalismo sovranazionale) ov-
vero ci farà perdere perfino una parte de
l'acquis Communautaire ? Che posizione
sta prendendo l'inerte Parlamento europeo attuale di fronte alla minaccia, per la
politica estera dell'unione, di retrocedere
al Piano Fouchet, cioè ad un Segretariato
politico intergovernativo, con grave minaccia oltretutto della autonomia della
stessa Commissione esecutiva di Bruxelles,
che da' tanto fastidio agli euroscettici?
Il Congresso dell'AICCRE deve avere
esatta coscienza delle responsabilità che gli
incombono, che non sono soltanto quelle
di aumentare i fondi finanziari comunitari
e la loro disponibilità territoriale, ma quella di denunciare il modo con cui si conduce, orribilmente, la revisione del Trattato
di Maastricht. Questa revisione non consiste nel rinegoziare i parametri famosi relativi alla moneta comune, ma di integrare la
moneta, immediatamente, con un piano di
sviluppo europeo che contenga la prospettiva del massimo di occupazione, di intervenire sul Terzo mondo povero per limitare a monte la immigrazione massiccia in
Europa (sempre a danno esclusivamente
delle fasce deboli della nostra popolazione) e che infine sia capace di modificare
l'ordine economico sociale internazionale
e di contribuire decisamente a costruire
quelle Nazioni Unite, che finora sono una
copia conforme della Società delle Nazioni, che abbiamo criticato aspramente per
decenni, a cominiciare dai famosi articoli
di Luigi Einaudi alla fine del I conflitto
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mondiale.
Il testamento di Mitterrand
5 - Immigrazione, città e Fondi strutturali, di Valentino Castellani
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- Apprendere l'Europa nella scuola di strada, di Mattia Pacilli
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Fatta l'Europa bisogna fare gli europei, di Caterina Nisida
Un dibattito sul Mediterraneo, di M.?: Coppo Gavazzi
La primogenitura del CCRE sulla Carta dell'autonomia, di Gianfranco Martini
La prima conferenza euro-mediterranea, di Silvana Paruolo
Le radici in Africa, la chioma in Europa, di Renata Landotti
GENNAIO 1996
federalismo e coerenza
Il testamento di Mitterrand
In «Comuni d'Europa» di un anno fa pubblicammo il discorso pronunciato da Mitterrand il 17 gennaio 1995 di fronte al Parlamento europeo e
come presidente in carica del Consiglio dell'unione europea, e vi premettemmo un corsivo, che intitolammo «Il testamento di Mitterrand». Pensiamo che, in morte dello Statista, sia conveniente ristampare tale e quale
quel nostro corsivo, aggiungendovi qualche considerazione.
Non ci scandalizziamo della retorica che si fa in morte di un leader politico, che ha occupato la scena politica tanto tempo e in maniera certamente non secondaria. Non ci scandalizziamo neanche della letteratura
che ogni buon giornalista sente la necessità di fare nell'occasione, con richiami storici, poetici, aneddotici, che offrono l'occasione di fare un po' di
protagonismo anche ai redattori delle gazzette (e, malgrado la mia vecchiaia, non scorderò neanche di ricordare i commentatori televisivi). Fin
qui tutto normale. Ma quello che mi risulta abbastanza disgustoso è che
tanti, se non tutti abbiano espresso nell'occasione sentimenti di scoraggiamento e di nostalgia per uomini che hanno interpretato, si riconosce positivamente, alcuni ideali politici, uomini che si rimpiangono e che pare siano di una casta che va scomparendo (e con la casta andrebbero anche scomparendo i rispettivi ideali).
Nel caso di Mitterrand, ovviamente, malgrado la tortuosità della sua
iniziale vita politica si tratta dell'ideale europeo e federalista, a cui senza
dubbio, e malgrado la sua «fiorentinità», ha dedicato una attività non convenzionale e non mirante all'immediato successo politico. Ma, madonna
santa, questo diffuso rimpianto di tanti, stavo per scrivere, cittadini nella
pienezza delle forze, mi meraviglia non poco: lascia infatti pensare che eran
tutti credenti europeisti e federalisti, i quali si sentono di diventare improvvisamente orfani e comunque temono di soggiacere ad un destino sicuramente avverso. Permettete allora il mio disgusto, perché si tratta per
lo più di gente il cui interesse per l'Europa, per ilfederalismo e per un nuovo e reale ordine internazionale è stato minimo, se non nullo, ed ora rim-
Nel giudizio della ragione è la radice della
nostra libertà, afferma S. Tommaso, ma formalmente essa consiste in un atto di volontà
(cito dal mio maestro Bruno Nardi). E per S.
Tommaso la libertà consiste nel potere che ha
la volontà di «volgere la ragione a compiacere
il talento». Tommaso «non solo ritiene che l'electio è substantialzter un atto della volontà e
non della ragione, sebbene presupponga il
consilium e il giudizio pratico dell'intelletto,
ma inoltre afferma che l'intelletto è mosso dalla volontà nell'esercizio del suo atto: «Intelligo
enim quia volo». Ora, quando si tratta di pronunziare un giudizio intorno ad una realtà
contingente come l'operare umano, basta che
la volontà diriga l'inquisitio e il consilium su
una circostanza o un aspetto di questa realtà
piuttosto che su un altro, perché ne risulti quel
giudizio pratico che alla volontà è gradito, ed
è perciò.. . un «giudizio voluto».
Come si vede siamo lontani da Socrate (si
pecca per ignoranza) e si sviluppa la parte centrale dell'Etica Nicomachea di Aristotele Aristotele maturo, antropologo, che ha abbandonato il platonismo, ancora presente all'inizio e alla fine dell'Etica Nicomonea (la Nicomachea è una raccolta di lezioni di diversi periodi accostati talvolta anche arbitrariamente,
del pensiero del Maestro) -. Perché si dirà,
introduciamo tanta dotta filosofia? perché
sembra pensata su misura per impostare l'analisi della moralità di uomini politici, intellettuali, dirigenti «sociali» dei Paesi occupati e
occupanti (Francia, Germania, Italia.. .) duGENNAIO 1996
piangono un passato e la scomparsa di un uomo che li scioglie ulteriormente, povera gente, da ogni impegno europeo e federalista, nulla potendosi fare a questo mondo contro il destino.
Se non si trattasse di gente poco seria - a suo modo importante ma poco seria - noi ci aspetteremmo tutta un'altra reazione di fronte alla morte di un grande statista, sia esso Mitterrand o un altro consimile. Ci aspetteremmo che questi signori non si cavasserofuori gratuitamente dalla storia (tutti facciamo parte della storia, come diceva il popolano della «scoperta dell'America» di Pascarella) ma esclamassero: «un nostro compagno
di lotta più anziano di noi è morto. Traiamo esempio da quel che ha fatto
di buono nel quadro dei nostri comuni ideali, per i quali sta adesso a noi
di indirizzare, per quel che è possibile, la novella storia».
Insomma, avrai capito, caro lettore, che il nostro sdegno nasce da questo cinismo, abilmente coperto da un rimpianto assolutamente falso, sempre che si tratti di un rimpianto per l'impegno europeo e pacifco, che viene a mancare di un attore essenziale.
Caduto il muro di Berlino noi siamo passati dai due blocchi che si confrontavano (equilibrio del terrore) a uno stato di guerra diffuso e incontrollabile, cioè ad un'anarchia planetaria armata. Non c'è posto per i rimpianti ma, anche incoraggiati dall'esempio di statisti (pochi) che sono arrivati alle stesse conclusioni europeiste che sono le nostre, c'è semplicemente l'esigenza di aumentare l'impegno federalista a livello di una vera e propria religione del nostro tempo, considerando quindi l'unità europea come
un passaggio obbligato della nostra azione, al servizio di una strategia
mondiale per la costruzione della pace, una pace autentica, basata sulla libertà e la giustizia. Dovranno venire a noi legioni di giovani idealisti che,
volontari, si stanno sacrifcando in mille modi per il prossimo e per l'umanità, ma non sanno prevedere un futuro di solidarietà di tutto il mondo secondo la sintesi politica federalista.
U.S.
rante la seconda guerra mondiale, mentre molti (troppi?) storici si soffermano - soprattutto per i filosofi politici - a un giudizio socratic0 sul positivo e il negativo delle «premesse»
(premesse?) filosofiche, e trascurano la moralità dei comport?menti: quelli che ora vogliamo affrontare. E il problema della coerenza;
del come e perché si volge la ragione «a compiacere il proprio talento»; se il «talento» mira a fini buoni - quando mira a fini buoni -,
è per amore della bontà in sé e per sé o, sotto
sotto, perché il fine buono coincide col proprio interesse, con la previsione del successo e
della propria conquista di potere.. . Certo, non
è di moda la ricerca della moralità assoluta: ma
in sede di rivoluzione federalista e di costruzione di una Europa esemplare ci sembra, al
contrario, necessaria. Un rivoluzionario deve
seguire gli obiettivi (etici) della rivoluzione
senza secondi fini, garantendo di essere sempre disponibile, nella buona e nella cattiva stagione.
I1 discorso di Mitterrand, che riportiamo, è
in qualche modo un testamento morale di un
uomo, che ha avuto una evoluzione di comportamenti ( o di scelta via via radicalmente
differenziata degli obiettivi dei propri comportamenti) in una lunga vita di impegno culturale, sociale e politico. Ci siamo già occupati di un altro europeo, che apparentemente era
coerente con sé stesso (e non è vero): Giovanni Gentile. Ci si occupa da un po' di tempo in
Italia di un altro caso contestato: quello del tedesco Ernst Junger. Rivediamoli, prima di ve-
nire a Mitterrand. Semplifichiamo una volta
tanto il discorso: cioè la valutazione delle loro
«premesse» filosofiche come va fatta? L'ignoranza, a cui Socrate attribuisce le colpe in che
senso è a sua volta ignoranza colpevole nei nostri soggetti? E poi vediamo subito come la volontà dei due abbia diretto l'inquisitio e il consilium sui vari aspetti della realtà (per seguire
S. Tommaso).
Gentile, abbiamo visto altra volta in questo
giornale, è arrivato in un momento della sua
vita di filosofo «fascista» (sulle cui premesse
per il momento non vogliamo eccepire), in cui
il suo personale «fascismo» era confrontato per sua stessa dichiarazione - con alcuni convincimenti autonomi - di Giovanni Gentile
-, sui quali non riteneva lecito aver dubbi: n o
al razzismo, basato su pseudoconcetti biologici, sì all'alterità dei soggetti empirici che si risolve nell'unità superindividuale del soggetto
universale (in funzione del quale si attua ogni
effettiva vita morale). Dunque no al naturalismo del razzismo, sì in definitiva allo Stato etico. Questi concetti sono stati ribaditi dalla cattedra nell'anno universitario 1937-'38, cioè alle soglie dello scatenamento della campagna
razzista del Regime fascista: col quale non solo si è imboccata una via impraticabile per un
Gentile fedele a sé stesso, ma si sarebbe dovuto imporre brutalmente per la prima volta a Gentile -il problema di chi era il rappresentante legittimo dello Stato etico (cioè l'io
empirico, l'individuo, o, se volete, il gruppo di
individui, che di fatto legittimassero la moraCOMUNI D'EUROPA
lità, in nome del soggetto universale, di determinati atti della comunità umana). Prevalse
l'adesione del Regime all'Olocausto: a Gentile
no11 rimaneva che o rinnegare il fascismo questo fascismo - o sé stesso. Perché rinnegò
sé stesso? e, a parte alcuni suoi addolciinenti
spiccioli (sintomatici) della campagna razzista,
perché ribadì la sua fedeltà al Regime e optò
poi per la Repubblica di Salò? Si invoca la sua
«coerenza»: coerenza col suo io profondo certamente no - o con lo schema filosofico,
pur dimostratosi a lui stesso fallimentare, sul
quale si basava purtroppo la sua «maschera»
di onorato filosofo? non sarebbe forse nel secondo caso un atto disperato, luciferino di orgoglio? la corresponsabilità in un assassinio,
indubbiamente tale (coonestando il Regime),
di chi non vuol perdere la sua storica maschera? un autocongelamento morale?
Del pensiero di Junger si può dire tutto il
male possibile e lo stesso nazisrno pensò a un
certo momento - a torto? - di poterselo annettere: ma Junger ubbidiva a sé stesso, era
coerente col suo io profondo, e disse no, col rischio che si correva in Germania, all'annessione. In questi giorni di polemica italiana su di
lui, un quotidiano ha riportato opportunamente parole di un giudice insospettabile,
Hannah Arendt: «I diari di guerra di Ernst
Junger offrono forse l'esempio migliore e più
onesto dell'immane difficoltà a cui l'individuo
si espone quando vuole conservare intatti i
suoi valori e il suo concetto di verità in un
mondo in cui verità e morale hanno perduto
ogni espressione riconoscibile.. .D.
Due comportamenti - Gentile e Junger diversi, anzi opposti: e ora torniamo a Mitterrand. Un caso, apparentemente, del tutto diverso: tecnicamente, si dirà, due pensatori,
coerenti o meno nel loro agire, e un uomo d'azione, che non è legato in partenza a una particolare «visione del mondo»: ma tutti - e
particolarmente non tanto i «politicanti» di
mestiere ma gli autentici «statisti» - sono filosofi e insieme uomini d'azione, a parte il dosaggio. Gli uomini cosiddetti d'azione sono
per così dire, filosofi in eundo, e occorre, nei
loro riguardi, verificare casomai se la loro filosofia «in progresso» è adattata a obiettivi di
«presa del potere» oppure ha uno sviluppo
personale autonomo, cioè morale, e l'azione si
adegua via ad esso, concludendosi poi - qui
stiamo di fronte, con Mitterrand, a un testamento - in senso moralmente positivo e con
la coincidenza tra filosofia morale e lascito politico. Mitterrand -dando a Machiavelli l'interpretazione europea corrente, che dà poi vita all'aggettivo deteriore, sbagliato, di «machiavellismo» - respinge il soprannome di
«le Florentin».
H a un singolare interesse il libro (un librone di 614 pagine), che ha avuto e ha un grande successo in Francia, di l'ierre l'éan: «Une
jeunesse francaise. Francois Mitterrand 19341947». È un libro che ha la pretesa di essere
obiettivo, ma che dà anche la sensazione di essere stato faticosamente costruito con la supervisione, discreta e dietro le quinte, dello
stesso Mitterrand. A prima vista sembra un ritratto - malgrado gli sforzi di Péan - di un
tipo levantino, frequente e ben conosciuto in
Italia, di ~politicantenche riesce a camminare
sempre sulla cresta delle onde, insomma di un
autentico «florentin»: ma poi riflettendoci anche se il sospetto della siipervisione di Mit-
terrand rimane - si è portati a dare un giudizio favorevole allo statista.
Mitterrand è, agli esordi e in sintonia con la
sua famiglia, un cattolico di destra. Sua madre
è molto amica di Mauriac: Francois per parte
sua non è un militante dell'Actzon francaise
(«J'ai été élevé dans l'horreur de 1'Action
francaise, non parce qu'elle était de droite, ma
parce qu'elle était excommeuniée»), ma certamente ammira Charles Maurras. E un uomo
della destra sociale, apprezza il corporativismo. Nella guerra etiopica Francois è tra i
francesi (nella fattispecie, tra gli studenti di diritto) che «non vedono perché si voglia impedire a Mussolini di prendere l'Etiopia» ( e sembra accogliere le tesi dei cattolici giustificazionisti): ma una sua noticina rivela una sua riserva di fondo («I1 est toujours utile de connaitre
l'histoire de peuples si particuliers en meme
temps si pareils aux autres, car, au fond, ce
n'est pas la couleur ou la forme des cheveux
qui ont donné quelque valeur aux iirnes»).
I1 resto del periodo prima della guerra mostra un Mitterrand più irrequieto che con idee
chiare: direi che la caratteristica fondamentale
- e positiva - è proprio quella di non lasciarsi incolonnare. Attacca la classe politica
- ovviamente più la sinistra che la destra -,
attacca «la plupart de grands auteursm (Gide,
Valery, Girandoux e anche Maurras e perfino
Mauriac). Probabilmente commette anche
sbagli, ha qualche momentanea amicizia discutibile. Poi la vita militare, la guerra. la prigionia in Germania e, infine, l'evasione: è una
grande esperienza, sia come lenta tabula rasa
di una serie di pregiudiziali ideologiche sia come acquisizione di una serie di punti di riferimento personali o convinzioni maturate in una
pluralità aperta di rapporti umani. Rimane la
socialità ma è autonoma dalla destra né si lega
a una sinistra ideologica, fermo particolarmente nell'awersione intransigente agli stalinisti;
non assume, almeno per un certo percorso, atteggiamenti rivoluzionari, ma confida in un
Pétain «padre della patria», osteggiando - lui
evaso -ogni collaborazionismo e respinger-ido, proprio facendo leva sugli ex combattenti,
Lava1 e i suoi accoliti, detesta i servi dei tedeschi, degli occupanti, ma non si nota nessuna
awersione per i tedeschi come tali; conserva
(e, a mio awiso conserverà sino in fondo, fino
a oggi) alcuni valori cristiani; ma ormai è un
laico. I1 problema: in questa costruzione autonoma di sé stesso, lui che ama l'azione e ha
una irrefrenabile voglia di emergere, fino a che
punto spinge i compromessi, considerando da
parte nostra una situazione come quella di un
paese occupato, dove facile è confondere il
doppio giuoco con la prudenza owia e necessaria? Qui sembra che, sia pure nell'opinabilità - sul terreno dell'efficienza - di tutte le
scelte operative, egli strategicamente spinga
«quel giudizio pratico che alla volontà è gradito» (siamo tornati a S. Tommaso) in coerenza
con le sue convinzioni morali e non, in primo
luogo, dell'immediato successo personale.
Pétain, malgrado tutto, delude ormai anche
il francese più naif ed è giucoforza abbandonare, sia pure con delusione, l'idea di una autosufficienza nazionale o addirittura legalitaria, nel bloccare il collaborazionismo e preparare pazientemente la «riscossa». Il resto dell'evoluzione di Mitterrand è, nelle grandi linee, noto: l'assunzione di una irrinunciabile
clandestinità, il legame con Algeri e Giraud, il
faticoso superamento dell'ostilità dei gollisti
(lui considerato un ambiguo «vichyste» o «vichyssois»). Ma un punto è abitualmente ricordato e non adeguatamente valutato: il legaine
stretto con Henri Frenay. Andiamo a rileggere
le «Mémoires» di Jean Monnet: «Mais j'avais
encore à découvrir la Résisteilce dans les individualités dont le tempérement sortait du
commun, te1 Henry Frenay.. . Ce qu'il a fait,
avec d'autres, plus que d'autres, et autant que
les meilleurs, me remplit d'admiration. Sa force inébranlable et sa générosité survecurent
aux drames qui les avaient révélées et ne trouverent plus leur mesure entière dans le milieu
politique de l'aprés-guerre». In effetti quando
nell'imrnediato dopoguerra ( 1946) rientrai in
Europa e incontrai Spinelli, il leader del federalismo europeo francese era considerato Frenay: che uscì presto dalla scena politica francese, angoloso, incapace di compromessi, in
qualche modo simile ai più candidi degli
«azionisti» italiani. Del resto Frenay è stato l'ispiratore di un nuovo partito, fuori della tradizione, 1' Uniotz démocratzque et sociirliste de
la Résistence (UDSR), che ebbe come pratico
creatore Eugenio Claudius - Petit (il grande
ammiratore de Le Corbusier) e membro erninente Pléven: del primo molti federalisti ricorderanno il saggio «Ainénagement du territoire
dans une perspective européenne», pubblicat o sulla rivista della «Gauche européenne»
prima dei Trattati di Roma, e di Pléven ricorderanno, a Parigi, la presidenza del congresso
del 1955 dell'union européentze des fédévalistes. Mitterrand ha militato nell'UDSR e solo
quando si è rinnovato è entrato nel partito socialista. Più politico di Frenay, si è alleato
quando occorreva con dei bastardi, ma l'Europa, l'unità sovranazionale culturale, sociale,
politica e democratica è diventata per lui non
una scelta di opportunità quanto la soluzione
morale di una sua tormentata ricerca, che va
onestamente richiamata tutta, includendovi
l'esordio di cattolico di destra. In tutto il dopoguerra tutte le volte che era in giuoco l'unità
democratica delllEuropa Mitterrand si è trovato al posto giusto: per la prima metà vale la
pena di riprendere le «Memoires» di Monnet
(dove si rilevano viceversa le incertezze e le
contraddizioni dei socialisti della SFIO). Io
stesso poi non posso dimenticare che quando,
sotto il regno del restaurato De Gaulle (il confederalista della «sedia vuota»), organizzammo come federalisti a Parigi, in maniera garibaldina, un controvertice (contre-sommet) europeo - ricordo che nel grande comizio conclusivo avevo al fianco il portoghese Soares e
lo spagnolo Tierno Galvan, allora esuli -,
Mitterrand partecipò al banchetto politico finale e si impegnò. I1 24 maggio 1984 Mitterrand a Strasburgo appoggiò «in nome della
Francia» il progetto costituzionale di Spinelli.
Nell'ottobre 1993, rientrato poche ore prima
dal Vicino Oriente, stanco e terreo in volto, intervenne alla seduta di apertura degli Stati generali del CCRE: aveva in mano i foglietti che
la burocrazia si era data la pena di preparare al
Capo dello Stato, li mise ostentatamente e
quasi con dispetto da parte, e parlò cinquanta
minuti a braccio, invitandoci a portare avanti
l'Europa popolare. Questo suo parlare col
cuore in mano di un uomo così segnato dalla
malattia non era una ruse del veterano politico, che ama accattivarsi l'uditorio, ma una
(segue a pag. 1 6 )
GENNAIO 1996
a Torino l'Assemblea dei delegati del CCRE
Immigrazione, città e fondi strutturali
di Valentino Castellani *
Lo scetticismo che sembra serpeggiare nei
confronti deU'Europa non è la conseguenza di
«troppa Europa», ma il risultato di «poca Europa» nelle nostre città. Quando parlo delle
città parlo delle piccole e medie, cioè di quei
contesti urbani nei quali sono concentrati circa 1'80% dei cittadini europei. Dobbiamo
chiederci qual è la strada che dobbiamo continuare a percorrere perché si possa contribuire a far crescere questo senso di appartenenza e di cittadinanza europea.
Vorrei fornire molto brevemente la mia riflessione di sindaco della città di Torino. Noi
cittadini ci troviamo spesso a misurarci con
grandi affermazioni di principio ma c'è un divario molto grande tra queste affermazioni e i
problemi che dobbiamo affrontare quotidianamente. Vorrei legare questo discorso a
quello dell'immigrazione, per dire quale, secondo il mio pensiero, possa essere la strada
da seguire. Torino, in questi ultimi mesi, è sta-
ta un po' la vetrina di questo problema nel nostro Paese. Abbiamo avuto delle difficoltà in
città, sottolineate dai mezzi di informazione, e
Torino è diventata il palcoscenico della discussione su questo problema all'interno del
nostro Paese: una discussione difficile, faticosa perché sono in gioco valori profondi di
convivenza civile ma sono in gioco anche
emozioni, insicurezze, e difficoltà di convivenza. I o credo che, quando ci si dichiara antirazzisti, si è in stragrande maggioranza.
Quindi la grande affermazione di principio di
per sè sembra costituire un punto di partenza,
ma non si misura ancora con i problemi reali
che i sindaci devono affrontare nelle città. Di
che cosa abbiamo bisogno? Abbiamo bisogno
di progettare nelle nostre città un futuro di
convivenza multietnica, perché questa è, sostanzialmente, una parte del nostro futuro,
sotto certi aspetti inevitabile. Un progetto di
questo genere, se non è un progetto di lungo
Si è svolta a Torino, il 30 novembre ed il l o
dicembre scorsi, l'Assemblea dei Delegati del
Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa,
massima autorità statutavia del CCRE.
Ospiti delle istituzioni piemontesi, Comune,
Provincia e Regione, i delegati hanno riconfermato presidente del CCRE il Sindaco di Barcellona Pasqual Maragall, mentre segretario generale è stata riconfermata Elisabeth Gateau. È
stata approvata la composizione del Comitato
Direttiva europeo, tra i cui membri figurano gli
italiani Umberto Serafini, presidente dell'AICCRE, Gianfranco Martini, segretario generale
dell'AICCRE, Fabio Pellegrini, segretario generale aggiunto dell'AICCRE, Enzo Bianco, Sindaco di Catania, Patrizia Dini, consigliere regionale della Toscana.
Si è proceduto all'elezione del Bureau esecutivo, dove è stato eletto Serafini, e dei vicepresidenti Va anche segnalata la nomina di Martini,
con Paul Bongers, a consigliere speciale del
CCRE. Infine, tra i membri del Comitato di gestione finanziaria è stato eletto Ugo Poli, membro della Direzione dell'AICCRE.
dell'Associazione delle Città della Polonia, Sindaco di Cieszyn; Gunther Pumbergev, IiCe-Presidente dell'Associaziorze delle Città austriache,
Sindaco di Eberschwang (A); H a r y van Roekel,
Vice-Presidente dell'unione delle Città olandesi, Sindaco di Almelo; Umberto Serafini, Pre~zdente dell'Associazione italiana del CCRE;
Margot Wikstrom, Presidente dell'Associazione
dei Poteri locali di Svezia, Sindaco aggiunto di
Utnea.
Altri vice-presidenti Mario de Almeida, Presidente dell'Associazione nazionale delle Città
portoghesi, Sindaco di Vila do Cande; Norbert
Kontev, Presidente dell'Associazione delle Città
e Comuni lussemburghesi, Borgomastro di Grevenmacher; Don Gabino de Lorenzo Ferrera,
membro del Comitato esecutivo della Federazione spagnola delle Città e Province, Sindaco
d'oviedo; Jorma Seppanen, Presidente delllAssociazione Finlandese degli Enti localz; Sindaco
di Oulu; Cristiana Storelli, Vzce-Presidente delI'Associazione svizzera del CCRE; John
Winther, Sindaco di Frederiksberg (DK)
Membri ex officio: Claude Haegi, Presidente
della Camera delle Regioni del CPLRE, membro del governo del Cantone di Ginevra;
Alexander Tchernoff; Presidente del CPLRE,
sindaco di De Bild (NLJ.
Comitato d i Gestione Finanziaria: Mario
Bernasconi, Tesoriere della Sezione svizzera del
CCRE; Roger Chater, Segretario Generale Aggiunto delI'Associazione dei Consigli dei Distretti (UK),. Jochen Dieckmann, Segretario generale della Sezione tedesca del CCRE; Peter
Gorm Hansen, Direttore del~AssociazioneNazione degli Enti locali di Danimarca; Daniel
Groscolas, Membro del Bureau della Sezione
francese del CCRE; Antonio Luis Hernandez
Hernandez, Segretario Generale della Federazione spagnola delle Città e delle Province; Ugo
Poli, membro della Direzione dell'Associazìone
italiana per il CCRE.
Qui di seguito diamo l'elenco completo degli eletti ai massimi organi del
CCRE.
Presidente del CCRE: Pasqual Maragdll, Sindaco di Barcellona;
Primo vice-presidente del CCRE: Josef Hofmann, vice-presidente della Sezione tedesca del
CCRE, Sindaco onorario di Magonza.
Membri del Bureau esecutivo e vice-presidenti: Eli de Castro, Sindaco di Akko (Israele);
Thrassyvoulos Lazaridis, Primo vice-presidente
della Sezione greca del CCRE, Sindaco di Kalamaria; Louis Le Pensec, vice-presidente dell'Associazione francese per il CCRE (AFCCRE),
Deputato e Sindaco di Mellac (F); Cllr Alan
Lloyd, Presidente del Local Govevnment International Bureau, vice-leader del Consiglio di
Swansea (UK); Jan Olbrycht, Vice-presidente
GENNAIO 1996
respiro, è destinato soltanto a gestire le emergenze, e noi sappiamo che quando ci confrontiamo solo con le emergenze sostanzialn-iente
non risolviamo il problema di fondo.
Abbiamo bisogno di mediazione culturale,
di programmi di accoglienza, di awian-iento al
lavoro degli immigrati, di inserimento nel
contesto urbano, di conoscenza reciproca.
Abbiamo bisogno di un progetto poli-strutturato che metta in campo tutti gli aspetti del
problema: ma questo richiede risorse e investimenti di respiro almeno nel medio periodo.
E io mi domando dove e conle, per esempio, a proposito delle risorse che a livello europeo sono n-iesse a disposizione, possiamo
trovare queste possibilità. Non è possibile occuparsi solo dello sviluppo e della formazione
ma bisogna prendere in esame un pezzo di
città che è in crisi, su quello calare una serie di
interventi integrati e coordinati. Penso che sia
fondamentale, in questa logica, una riforma
dei Fondi strutturali, perché abbiamo l'impressione che la definizione attuale degli
obiettivi, per quanto importante sia, non riesca ad esaurire la serie di problemi che si incontrano nei contesti urbani.
C'è stato un timido ed apprezzabile tentativo con il progetto URBAN, che ha messo in
campo troppe poche risorse, però, per venire
incontro ai problemi dei contesti urbani delle
città. Quella, ad esempio, è una strada da approfondire, facendo tesoro dell'esperienza
che si sta facendo adesso nelle città che sono
impegnate su questi progetti. Ma quello che
voglio dire è che bisogna rovesciare un po' la
prospettiva, applicare anche qui un principio
di prossimità: partire dai problemi che sono
radicati sul territorio, che non accettano classificazioni di sorta e categorizzazioni astratte,
tenendo conto del modo di vivere dei cittadini e delle loro percezioni.
Concludo dicendo che in tutte le sedi in cui
le autonomie locali, le città, i comuni, le regioni sono presenti nelle varie reti nelle quali
operano e nell'ambito delle quali stiamo facendo tutti insieme un grosso tentativo di
metterci insieme, di unificare, di costruire
luoghi in cui porre questi problemi, l'unica
strada da seguire sia proprio quella di riaffermare con forza che se non partiamo dalla percezione concreta delle difficoltà e dei problemi dei cittadini non riusciremo a costruire un
senso di appartenenza e di cittadinanza europea, e questa è, per altro, la stessa sfida che
noi sindaci abbiamo per costruire il senso di
appartenenza e di cittadinanza nelle comunità
locali. E noi riusciremo (o riuscian-io in parte),
seppur con tante difficoltà, a ristabilire un
senso di fiducia nelle istituzioni se avremo la
capacità di rispondere in questo modo alla
domanda di convivenza che i cittadini proW
pongono.
" Sindaco di Torino. Intervento tenuto nel corso dell'Assernblea dei delegati del CCRE.
COMUNI D'EUROPA
ancora su Amaroussion
Fatta l'Europa bisogna fare gli europei
di Caterina Nisida *
L e giornate della 3' Conferenza città gemellate Italia-Grecia, tenutasi ad Ainaroussion (Atene - 15/19 novembre 1995) hanno
registrato nella maggior parte degli interventi
la necessità di autonomia degli Enti locali e
l'importante ruolo democratico che essi svolgono e vogliono svolgere ancor n-ieglio ponendosi come raccordo imprescindibile tra
potere centrale e cittadini. Autonomia, quindi, strettamente connessa con i concetti di democrazia e di cittadinanza, che. a sua volta, si
coniuga con i concetti di integrazione e d i
coesione sociale e politica. Sarebbe lungo e,
forse, fuorviante avviare qui un'analisi approfondita su questi terni. che, comunque,
trovano fondamento anche nel Trattato di
Maastricht, che, col principio di sussidiarietà
e l'istituzione del Comitato delle Regioni, nello spirito, vuole portare il governo più vicino
ai cittadini, riconoscendo alle genti europee
uno «status activae civitatis», che non si esaurisce nel diritto di voto, ma sancisce il loro
pieno diritto alla partecipazione democratica.
L'obiettivo politico è, dunque, la forn-iazione
del cittadino europeo, che non può prescindere dallo sviluppo dell'identità europea,
che, a sua volta, è frutto di un processo nello
stesso tempo psico-sociale e pedagogico-culturale. I gemellaggi e gli scambi socio-culturali si muovono in questa ottica e mirano a fare dell'Europa una grande comunità solidale,
che sappia coniugare le differenze peculiari
dei singoli stati con il progetto di un governo
sovranazionale per gestire almeno quei settori in cui la sovranità nazionale si dimostra
inefficace e/o impropria. L'integrazione dei
popoli, però, non si realizza solo con atti formali e/o impegni ufficiali assunti tra sindaci o
presidenti di provincia o di regione, ma, accanto agli adeinpimenti formali, è necessario
registrare un effettivo coinvolgitnento di tutte le componenti della società: dal comitato
dei cittadini al sindacato, dalle associazioni di
volontariato ai clubs sportivi, al mondo della
scuola. Dico, non a caso, mondo della scuola,
poiché, se facciamo una considerazione di ordine statistico, ci rendiamo facilmente conto
dell'effetto moltiplicatore che può avere la
sensibilizzazione e l'apertura delle parti in essa coinvolte ai temi europei e sovranazionali.
Su 370 milioni di cittadini europei, infatti,
circa 80 milioni sono studenti e più di 5 milioni sono insegnanti; se si considera, inoltre,
l'ovvio coinvolgimento delle famiglie, ci si
rende conto che altneno la metà delia popolazione europea è interessata alle politiche pedagogiche. Questi dati ci danno la misura
dell'importanza di promuovere gli scambi
giovanili nell'ambito dei gemellaggi, delia necessità di sviluppare un'attenta cooperazione
tra scuola ed enti locali al fine di stimolare i
cittadini tutti ad una partecipazione attiva
nelle varie fasi del gemellaggio.
" Segretaria della sezione laziale delllAEDE
COMUNI D'EUROPA
I1 processo di conoscenza e di integrazione
porta inevitabilmente al confronto tra civiltà
e realtà diverse e, pertanto, dinamizza le menti e le azioni perché:
- spinge i cittadini ad un'analisi attenta
della propria realtà, a coglierne gli aspetti più
peculiari e a valorizzarli in funzione dello sviluppo;
- sveglia nei cittadini un maggior interesse per la propria città, coniugandolo con l'apertura verso un n-iondo nuovo;
- stimola ad un graduale allargamento
dell'orizzonte dal quotidiano locale al sovranazionale universale.
L'Europa verrebbe a porsi, così, come una
sfida, una conquista, una meta, un ideale, un
significativo ponte verso il mondo, la solidarietà, la pace.
Ma vediamo ora se lo stato degli enti locali e della scuola è tale da consentire l'effettiva
partecipazione delle persone alla cosa pubblica e a stimolarne un'azione propositiva e costruttiva.
In Italia, il nuovo sistema elettorale per i
comuni e gli enti locali, assicura un governo
più stabile e duraturo, per cui una maggiore
autonotnia potrebbe coinvolgere più direttamente i cittadini-elettori nella gestione della
cosa pubblica e stimolarli ad impegnarsi per
realizzare una migliore qualità di vita. Gli enti locali hanno, inoltre, un ruolo importante
quali intermediari tra i cittadini e le istituzioni governative, che si percepiscono lontane
e d indifferenti alle situazioni locali, scollate
dal vissuto territoriale, e che, inevitabilmente,
sono causa di delusione e frustrazione che
provocano, a loro volta, una caduta di valori
e di tensione morale. L o Stato non riesce a
prendere decisioni in tempo reale riguardo a
problemi che ricadono su specifiche realtà locali, non può fare tempestivamente interventi su fatti contingenti, non riesce a valorizzare
tutti i partners del territorio per massimizzare le risorse e minimizzare le perdite e gli
sprechi. Per cui dobbiamo augurarci una
maggiore autonotnia degli enti locali, per avvicinare sempre più il cittadino alia cosa pubblica e per assicurarci una vera forma di democrazia cotnpiuta.
Come si affertnava prima, non bastano patti e statuti per veicolare il rinnovamento delle
idee, per sviluppare un nuovo senso di identità, per realizzare l'integrazione tra i popoli:
tutto ciò chiama in causa l'istituzione scolastica, il suo lento e faticoso processo di rinnovamento, la sua indiscutibile responsabilità
nella formazione delle generazioni, se è vero,
come scriveva Kant che «. . . la buona educazione è la vera sorgente da cui scaturisce tutto il bene di questo mondo».
Ma come può una scuola in crisi cronica
rinnovarsi? Accogliere le nuove istanze? Riprogrammarsi? Non voglio e non credo sia
questa la sede per un'analisi approfondita dei
tanti perché della sua atavica crisi, dei suoi
imperdonabili ritardi. Vediamo, invece, ciò
che si può fare pur con tutti i limiti della disastrata situazione in cui langue l'istituzione
«scuola». Oggi che tutte le agenzie di formazione sono in crisi, a cominciare dalla famiglia, e i giovani non hanno validi punti di riferimento, la scuola può porsi ancora come
l'istituzione di formazione pern-ianente. Dovrebbe, però, uscire dai suoi confini strettamente curriculari e burocratici ed espandersi
nel quartiere, divenirne la «parrocchia», il
centro delio spazio quotidianizzato, dove giovani e adulti si confrontano su ten-ii culturali,
sociali, politici; assistono alla proiezione di
films, alla rappresentazione di opere teatrali,
maturano un impegno civile e/o sociale, celebrano un avvenimento importante. La scuola,
quindi, come centro di elaborazione culturale, proiettata verso l'esterno, interagente con
la società e con il mondo del lavoro, in stretta collaborazione con gli enti locali e con essi
interprete delle esigenze del territorio; autonon-ia e aperta a tutti, nello stesso tempo di
massa e di qualità. Utopia? Forse si, però si
puo tentare.. .
E necessario, quindi, una rifondazione dell'atto pedagogico, che non può più restare
ancorato univocamente alla cultura nazionalistica ed etnocentrica, ma deve aprirsi al mutamento e alle molteplici sfide provenienti
dalla nuova realtà europea. La scuola come
luogo in cui la risorsa «uomo» o «cittadino»
sviluppa e potenzia le sue capacità e peculiarità, si apre al confronto e al rinnovamento
socio-culturale.
In assenza di una riforma che renda i curriculi più attuali e gli insegnamenti più corrispondenti alie richieste del mondo del lavoro,
della società e della mobilità, bisogna far ricorso alle energie e allo spirito di speriinentazione degli insegnanti, confidare nelle proposte innovative del consiglio di classe e sperare
in una larghezza di vedute del capo di istituto, cogliere le opportunità che offre il territorio, anche mediante un collegatnento diretto
con gli enti locali. Tornando ai gemellaggi, ritengo che proprio essi possano costituire uno
strumento privilegiato per gli scambi scolastici, che, a loro volta, vanno inseriti in progetti
finalizzati alla conoscenza reciproca per
esempio sulla vita quotidiana o su particolari
tradizioni delle popolazioni coinvolte, per
abituare i giovani a capire il perché della diversità e ad apprezzarne le valenze culturali,
aprendo, così, le loro menti ad una dimensione europea o sovranazionale, se si preferisce.
Le municipalità europee gemellate, pertanto,
dovrebbero inserire nei loro regolamenti la
priorità degli scambi scolastici ai fini della
reale integrazione tra le genti coinvolte, magari creando una rete di comunicazione e d
informazione tra gli assessorati deli'educazione e cultura. Questi potrebbero anche divenire gli «sportelli europei» dei piccoli centri,
dove gli uffici centrali e i proweditorati sono
(segue a pag. 7 )
GENNAIO 1996
ancora su Amaroussion
Un dibattito sul Mediterraneo
di Maria Teresa Coppo Gavazzi
La terza Conferenza dei comuni gemellati
Italia-Grecia, che ha avuto luogo ad Amaroussion nel novembre scorso e di cui sul giornale
ha già parlato il nostro Vicepresidente nazionale, Franco Punzi, riveste una tale importanza nei confronti del ruolo dei gemellaggi e degli Enti locali per l'Europa dei cittadini, che riteniamo utile farne una relazione più dettagliata circa gli obiettivi e i contenuti.
Scopo della Conferenza - che ha registrato la partecipazione di oltre un centinaio di
persone, in rappresentanza dei due paesi e di
tutti i comuni già gemellati, o interessati a promuovere azioni di gemellaggio o cooperazione
- era quello di migliorare la conoscenza e la
sensibilità - e dunque l'impegno - degli
eletti locali sui temi politico-isituzionali, legislativi e amministrativi riguardanti la costruzione dell'Europa unita.
Particolare attenzione è stata posta alla possibilità di partenariato anche in settori come
quelli dell'urbanistica e dell'ecologia, oltre ovviamente in quelli più tradizionali, riguardanti
la scuola, gli scambi culturali e i programmi
comunitari in genere.
L'incontro si è inserito nell'ampio dibattito
in corso sul ruolo del «mediterraneo» per la
costruzione dell'unione europea. Un ruolo attivo, ma anche di primordine come soggetto
cpalificato di azione politica. Per questo erano
invitati alla Conferenza anche i rappresentanti
di Cipro e Malta.
«È importante allargare il sud europeo ha infatti sottolineato in apertura dei lavori G .
Daskalakis, Ministro dell'Interno greco - e
Italia e Grecia non possono accettare ritardi
ed esclusioni. È giusto pertanto che i sindaci,
portatori della volontà popolare, perchè eletti
direttamente, facciano sentire con forza la
propria voce rispetto ai governi e al Parlamento europeo su tale questione».
Sempre nell'ottica del ruolo degli Enti locali, il Console italiano in Attica, Pasquale Ferrara, ha parlato di «federalismo cosmopolita»
intendendo così prefigurare come la democrazia del XXI secolo si giochi su due livelli: quello sovranazionale e quello delle autonomie locali, valorizzate e rispettate proprio nella loro
diversità. In sintesi: la città, nel senso greco di
polis e italiano di comune, sarà - dovrà essere - al centro della grande Europa unita.
Mentre per quanto concerne il ruolo e l'attenzione nella e dall'Europa nei confronti del Mediterraneo, Thras Lazaridis - membro del
Comitato delle regioni, oltre che Vice presidente della KEDKE e Sindaco di Kalamaria
- ha fatto riferimento all'ampio parere elaborato da Chiti - Presidente della Regione Toscana - approvato dal Comitato delle Regioni proprio in quei giorni, che affronta in maniera ampia ed esaustiva i compiti e le esigenze del Sud Europa, non ultimo il problema
dell'emigrazione-immigrazione Sud-Nord. A
questo proposito, uno dei principali correttivi
al fenomeno risiede nella capacità da parte del
nord Europa di promuovere lo sviluppo locaGENNAIO 1996
le (nel caso i paesi nord africani). Fabio Pellegrini - Segretario generale aggiunto del1'AICCRE - ha posto l'attenzione sui rischi
che si possono correre a causa di fenomeni di
demonizzazione e di fondamentalismi etnicireligiosi.
Non si può non tenere conto che all'inizio
degli anni 2000 il nord Africa, proseguendo su
un trend di incremento demografico pari al
2,6%, avrà una richiesta occupazionale di 50
milioni di posti di lavoro, di fronte ad unlEuropa sempre più vecchia. Per evitare l'acuirsi
dello «scontro», in parte già in atto, si deve
avere la capacità di awiare una progettazione
generale e più particolarmente numerose cooperazioni a livello di Enti locali, garanzie per la
salvaguardia di una società multietnica e pluriculturale nel rispetto delle differenti civiltà.
Questo è lo scopo principale che ha sorretto la
promozione dei programmi MED affidati ai
comuni.
La sintesi della prima parte della conferenza è rinvenibile nell'intervento dell'europarlamentare Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo. «Con la caduta del muro di Berlino - ha
detto Orlando - tutti i sud sono stati messi in
condizione di pensare soltanto a salvarsi da
una pressante crisi economica e occupazionale. I1 sud deve assumere l'iniziativa - come si
è trattato per la carta del verde e dell'ambiente del Mediterraneo nata proprio a Palermo affinchè quest'area non diventi un lago, un
mare chiuso in se stesso senza sbocco». I partecipanti hanno in questo senso elaborato un
documento che il Sindaco di Palermo ha avuto l'incarico di presentare alla Conferenza di
Barcellona.
Grecia e Italia, che conoscono direttamente
il problema dell'emigrazione e che sono depositarie di una grande cultura, che ha segnato la
vita non solo del Mediterraneo, devono dimostrare di non temere la diversità e di saper capovolgere anche il grave problema dell'immigrazione in un problema di difesa dei diritti
della persona».
La seconda parte dell'incontro è stata rivolta principalmente a evidenziare concrete possibilità di iniziative e di cooperazione nell'ambito dei programmi comunitari secondo le
competenze proprie dei comuni.
Da parte di tutti il gemellaggio è stato riconosciuto come strumento privilegiato per promuovere tali iniziative, a patto che sappia aggiornarsi, superando il cliché fondato su scambi culturali e di delegazioni.
Si è proposto di realizzare progetti ecologici comuni, che possano dare origine anche ad
un «ritorno» in termini di turismo; di perseguire scambi e reciproche conoscenze anche
normativo-legislative sui compiti e sull'organizzazione del comune. Soprattutto si è puntato molto sulla possibilità di collaborazione su
e tra i giovani: scuola con il programma «Socratesn, formazione professionale con «Leonardo», sport e turismo con Eurathlon e Gioventù per l'Europa.
Per l'urbanistica il discorso è risultato più
complesso perchè si tratta di incidere sui piani
regolatori che fanno riferimento a più ampi
piani regionali. Da parte di tutti è comunque
stata sottolineata l'esigenza di una sempre
maggiore autonomia comunale. L'autonomia
impositiva - all'interno di piani di perequazione nazionale - è stato il cardine attorno a
cui ha ruotato l'intervento di Antonio Trizza,
eurodeputato e Sindaco di San Vito dei Normanni. Occorre che il comune possa contare
sii eque risorse proprie, se deve poter assumersi la responsabilità di una programmazione dal
basso. Ma soprattutto è necessario, ha proseguito Trizza, che le giovani democrazie del sud
abbiano la capacità di confrontarsi anche sui
mali endemici che le accomunano, quali le difficoltà burocratiche e l'evasione fiscale.
H a concluso le importanti giornate - caratterizzate dalla splendida ospitalità amicale degli
amministratori greci ed in particolare di Nikos
Papamikroulis, sindaco di Nea Hakidona, che
ha realizzato in quel periodo un protocollo con
la città pugliese di Sandonaci - Franco Punzi,
vicepresidente della nostra Associazione. Egli
ha assunto a nome di tutti i partecipanti alcuni
precisi impegni che riportiamo di seguito e che
dovranno trovare realizzazione nel prosegui0
del gemellaggio Italia-Grecia:
1) rafforzare la politica dei gemellaggi, anche in direzione delle proposte scaturite dalla
3 conferenza;
O
2) impegnarsi per l'ingresso di Cipro e Malta nell'unione europea, predisponendo un appello da affidare agli europarlamentari dei due
paesi;
3) promuovere la partecipazione di alcuni
funzionari dell'amministrazione comunale a
questi incontri di cooperazione;
4)realizzare la 4"conferenza delle città gemellate di Italia e Grecia in Italia facendola
precedere da due incontri - a Cipro e a Malta - rivolti rispettivamente ai giovani e all'economia.
Fatta l'Europa..
.
(segue d a pag. 6)
lontani e le informazioni su progetti e iniziative comunitarie rimangono assolutamente
sconosciute. Tenuto conto, inoltre, della costante penuria di fondi da cui è afflitta la
scuola, il collegamento con gli enti locali potrebbe portare ad una concreta collaborazione che massimizzi le risorse e renda più efficaci i risultati. Quindi autonomia scolastica,
autonomia degli enti locali, collaborazione
con le parti sociali, creazione di reti per fare
circolare esperienza e conoscenza, possono
dare un impulso nuovo sia ai piccoli centri
come alle grandi città e renderne gli abitanti
soggetti attivi e partecipativi piuttosto che
sudditi assistiti ed emarginati.
contributo per un convegno a Bolzano
Apprendere l'Europa nella scuola di strada
di Mattia Pacilli
Il rzrolo della Scuola nell'Unione Europea è
stato l'invito al convegno di Bolzano, formulato per mercoledì 22 e giovedì 23 novembre
1995 dall'ufficio per l'Italia del Parlamento
Europeo. L'iniziativa, promossa in collaliorazione con l'intendenza Scolastica Ladina e la
Sezione cittadina del Movimento Federalista
Europeo, ha avuto come destinatari presidi e
insegnanti.
Dopo il saluto dell'Assessore alla Cultura
del Comune di Bolzano Tiziano Botteselle, ha
introdotto i lavori l'Intendente Roland Verra,
sottolineando che l'appuntamento era stato
fissato per aprire in ambito scolastico una finestra sull'Europa e sul mondo. In particolare i Provveditori, accogliendo la proposta,
avevano dichiarato la propria disponibilità ad
offrire un sostegno decisivo all'azione europea, nel momento in cui l'euroscetticismo
montante stava approfittando della perdita
momentanea di terreno da parte della prospettiva unitaria rispetto allo slancio dei Padri fondatori.
Secondo l'Intendente, l'educazione all'Europa deve coincidere con quella alla pace e
dunque diventare componente essenziale dell'educazione civica. Citando in maniera interlocutoria Domenico Lenarduzzi - Direttore
della Commissione Europea per la cooperazione nel campo dell'insegnamento e della
gioventù - Verra si è chiesto se questo tipo
d'intervento non debba iniziare già dalle
Scuole per l'infanzia. H a ricordato la programmazione degli incontri biennali delle
classi di Scuole delle Minoranze, finalizzata
alla necessità di dare contenuti precisi al concetto di intercultura; e ha richiamato ancora
le mostre allestite dagli allievi dopo le visite al
Parlamento di Strasburgo, esposizioni divenute itineranti nelle Valli per contribuire alla
coesione interna delle Con~unitàLadine. Per
il futuro prossimo. ha annunciato la pubblicazione di quaderni per l'Europa e la promozione di corsi di formazione per insegnanti, di
cui il convegno in corso voleva essere un'utile anticipazione. In conclusione, l'Intendente
ha affermato che l'insieme delle attività dovrebbe concorrere ad assicurare a quello Ladino e agli altri piccoli Popoli uno spazio effettivo di protagonismo in Europa.
La prima relazione è stata tenuta da Ines
Carità Morelli dell'ufficio per l'Italia del Parlamento Europeo sul tema: Cittadini italiarzi,
cittadini europei, il ruolo della Scuola. Dichiarando immediatamente che l'Unione non si
costruisce senza l'apporto diretto degli abitanti dei paesi aderenti, la relatrice ne ha fornito la riprova dicendo che i cittadini a volte
si vendicano per difetto d'informazione: come in occasione di alcuni referendum per la
ratifica del Trattato di Maastricht. Nella serie
di paure che prendono i residenti al pensiero
delle frontiere aperte, ha menzionato quella
dell'immigrazione massiccia dalle aree ad
" Presidente deiia Casa d'Europa di Bassiano
economia debole che verrebbe ad intaccare
sicurezze e privilegi acquisiti.
Ad avviso della Morelli - al di là delle difficoltà attuali, moneta unica compresa questa Europa ha assicurato all'occidente
mezzo secolo di pace dopo l'esperienza atroce delle due guerre mondiali. Successivamente con Maastricht la stessa Unione ha sancito
il valore della cittadinanza europea per tutti
gli abitanti degli Stati membri, anche se bisogna lavorare seriamente per dare spessore all'identità europea. Altra acquisizione importante è stata la creazione della figura del Mediatore europeo, corrispondente alla funzione del nostro Difensore civico, il quale tutela
il cittadino quando l'Unione dovesse ledere i
suoi interessi individuali.
Avviandosi a concludere la Relatrice ha
detto che l'Europa è una posta in gioco primaria nel nostro futuro: perciò i giovani vann o adeguatamente informati sui diritti e i doveri in campo comunitario, a partire dai progetti sulla mobilità di studio e lavoro. In tutto questo la Scuola può svolgere un ruolo determinante, affinché i ragazzi si sentano non
semplicemente cittadini italiani, ma cittadini
europei.
11 contesto sovranazionale tracciato a grandi linee è stato completato da altre due relazioni. Quella di Franco Spoltore, esponente
delllMFE e Direttore dell'Istituto di Studi
Federalisti "Altiero Spinelli", ha avuto per argomento: Unione Europea, federalismo e futuro della Scz~ola.In uno dei passaggi centrali il
Relatore ha affermato che i sistemi educativi
nazionali sono incapaci da soli di affrontare le
sfide derivanti dalla situazione mondiale di
interdipendenza e dall'esigenza di comunicazione su base planetaria. A questo scopo ha
presentato e comparato i diversi sistemi operanti all'interno dei paesi dell'unione, facend o anche riferimento a quelli statunitensi e
giapponesi. Per quanto riguarda il vecchio
continente, ha asserito che si potrà giungere
ad elaborare un modello europeo d'istruzione solo integrando quel che di meglio hanno
prodotto i vari ordinamenti nazionali, che andranno però raccordati con l'applicazione del
principio di sussidiarietà.
Spoltore ha proseguito sostenendo che è
urgente fissare nuove competenze per la
Scuola: chiamata ad educare alla sovranazionalità, essa è tenuta a comprendere l'importanza della costruzione dell'Europa unita, la
cui portata è rivoluzionaria per il continente.
La stessa istituzione dovrà raccogliere il messaggio di pace e cooperazione solidale tra i
popoli del pianeta, trasmettendolo con efficacia agli alunni; così da formare cittadini consapevoli e capaci di sottrarre agli Stati il potere di dichiararsi a turno le guerre, tragedie
che lacerano i contendenti e disperdono le
eredità comuni a tutta l'umanità.
Flora Vestri dell'Ufficio-rappresentanza di
Milano della Commissione Europea, trattand o il tema L'infornzazione europea nella scuo-
*
la, ha argomentato che è compito della stessa
agenzia educativa comunicare agli allievi la
conoscenza della struttura e delle funzioni
delle istituzioni comunitarie. In questo modo
i ragazzi comprenderanno l'urgenza di crescere nella dimensione europea. H a quindi
evidenziato l'impegno della Commissione nel
trasformare in linee operative le nuove competenze che il Trattato di Maastricht ha riconosciuto alllUnione nei campi dell'istruzione,
della formazione professionale, della cultura
e delle problematiche giovanili. Ne ha offerto
poi il riscontro esponendo i progetti comunitari Socrates, Leonardo e Gioventù per 1'Europa. H a concluso dichiarando che l'Unione
punta ad un'istruzione e ad una formazione
professionale di qualità.
I1 redattore dell'articolo - come collaboratore dell'AICCRE nel settore dei gemellaggi e nella veste di presidente della Casa d'Europa di Bassiano -ha presentato la tematica
riassunta dal binomio quotidiano-Europa.
Ecco la complessa formulazione del tema:
Scuola, Europa, Federalisnzo: provocazioni e
suggerimenti raccolti ascoltando i cittadini protagonisti dei gemellaggi (CCRE) e delle attività di formazione alla sovranazionalità (FIME). I1 lungo titolo mirava ad evocare il ruolo dell'uomo della strada nella crescita dell'unione, partendo da esperienze concrete e
particolari. H o illustrato (il lettore consentirà
il passaggio alla prima persona) innanzi tutto
le parole-chiave dell'intestazione riportando
con fedeltà i suggerimenti della base.
Scuola. Tutto questo non è previsto daiprogrammi ministeriuli! Affermazione testuale di
un preside al quale proponevo di impegnare
le classi delle Medie nel gemellaggio tra un
Comune laziale e uno della regione francese
Rh6ne-Alpes. Noi siamo contro i sistemi tradizionali di edzrcazione che considerano il territorio nazionale una riserva rispetto ai paesi
confinanti e al resto del mondo! Siamo contro
questa Sczrola della non-Europa incapace di andare oltre il livello celebrativo e retorico degli
Anni Europei (della musica, dell'ambiente, del
cinema...)! Dichiarazione di giovani italofrancesi partecipanti ad un seminario di educazione federalista e ambientale (da me coordinatoj, concluso dalla produzione d i un
cahier de doléance successivamente pubblicato.
Europa. L'Europa non c'è e, se esiste, aizrtateci a conoscerla! E il messaggio lanciato da
chi ha corretto, con il nome del proprio villaggio, il pannello segnaletico di un'area di
pic-nic, che recitava Il mio paese l'Europa,
trasformando l'indicazione Il mio paese Bassiano (piccolo comune in provincia di Latina). L'episodio ha avuto presto una conferma
radiofonica: L'Europa è un piccolo ambito,
tutto il resto non è che periferia; quel che stiamo costruendo non ci porterà molto lontano,
perché I'Europa è qualcosa di differente già
per due gerzerazioni; fitzabrzente per noi e per
chi ci ascolta l'Europa non esiste! (scrittore
GENNAIO 1996
portoghese premiato dall'unione Latina e intervistato dal terzo programma RAI nel
1994).
Federalismo. Dopo I'esperienza nell'ex-Jugoslavia di Tito, è un vocabolo che non ci affascina! H o raccolto la testimonianza di quattro
giovani sloveni, a confronto con adulti e coetanei di altri paesi, durante un seminario
d'informazione europea. Se il federalismo è
quello predicato da Bossi, io ho paura! ha ribadito un partecipante italiano.
Se il cittadino chiede di comprendere le
grandi parole d'ordine, è compito delle Istituzioni comunitarie e locali chiarificarle. La
Scuola può intervenire efficacemente per renderle accessibili, traducendole nel quotidiano
della gente, a cominciare dalle giovani generazioni. E così gli organismi e le associazioni
che hanno scelto per statuto di concorrere al
processo di unificazione: perché se l'Unione
in corso non risponde ad un bisogno profondo dei cittadini sarà vanificata dagli eventi.
Per esemplificare l'apporto della Casa
d'Europa di Bassiano alla prospettiva delineata, ho invitato i presenti a fare con me un
percorso visivo con il quale avrei cercato di
dare contenuto positivo alle parole d'ordine
definite all'inizio negativamente. H o riproposto così, mediante la diapositiva. spezzoni di
un itinerario didattico in sperimentazione all'interno di un territorio particolare, percorso
che si definisce azione d i strada. Ecco alcuni
stralci del commento.
L'Azione di strada per coniugare ScuolaEuropa-Federalismo: la si può condurre dovunque ma, ogni volta, prenderà le caratteristiche del posto in cui si effettua.
Bassiano è un borgo medievale dei Monti
Lepini nel Lazio meridionale; conta 1.600
abitanti. La foto aerea d'apertura dimostra
che la mappa urbana si sviluppa per piani avvolgenti: le case si adagiano sulle curve di livello, le stradine si avvitano intorno ai fianchi
del colle con un movimento elicoidale, a spirale, che termina sulla vetta.
Awicinando l'obiettivo alle case protette
dalla cerchia delle mura, si produce la carta
d'identità del villaggio, i cui connotati dichiarano la netta separazione tra il dentro e il fuori, stabilendo il confine preciso tra i residenti
e gli altri. Quando le porte della terra murata
- quelle della cinta e quelle interne a ciascun
quartiere presentante in successione visuale
- si chiudevano al tramonto o in caso di pericolo, la comunità si isolava dal resto del
mondo, contava e proteggeva soltanto i suoi.
L'uso, replicato ininterrottamente dal Medioevo alla vigilia dell'unità d'Italia, è stato
interiorizzato per generazioni dagli abitanti al
punto da rendere legittimo il dubbio che
quelli attuali se ne siano liberati del tutto; a
mio avviso la consuetudine, depositata nella
mente e nel cuore, influenza ancora oggi il
comportamento individuale e comunitario.
Voglio dire che la scena urbana particolare
offre la possibilità di giocare alla diffidenza e
all'apertura, al rifiuto e all'accoglienza; basta
mettere a punto degli espedienti pedagogici
capaci di agevolare l'attraversamento del villaggio per pensare: perché il procedimento
che s'intende porre in atto è quello dell'azione-riflessione-azione.
La seconda sequenza è centrata sugli attori che animano l'ambiente quotidianamente.
Sono i bambini che la domenica mattina diGENNAIO 1996
pingono un g a n d e pannello disteso sulla pavimentazione della piazza, per raccontare l'escursione alle capanne dei pastori fatta nel
corso della settimana con insegnanti ed animatori culturali. Sono gli anziani che, in un
altro giorno di festa e nella stessa piazza,
commentano vecchie foto riproducenti momenti di lavoro, di lotta e di vita. Tutto a beneficio dei passanti, perché ogni età esca dal
suo ghetto e apra la sua spirale condividendo
la strada di tutti.
Nella terza sequenza sono gli allievi delle
scuole dell'obbligo che svolgono attività culturale all'aperto con i coetanei dei comuni vicini e con quelli di Pont-en-Royans, comune
francese gemellato: scoprendo la solidarietà
microregionale e la cooperazione inter-europea.
Nella quarta serie di immagini sono le associazioni giovanili, gli amministratori comunali, le famiglie ad interagire con i rispettivi
partners attuando i programmi definiti insieme nei due Comitati di gemellaggio.
Nel quinto gruppo di foto luminose è la
volta dei figli di immigrati residenti nel Lazio
e provenienti dall'Africa, dall'Asia e dalllAmerica Latina. I ragazzi, in soggiorno estivo a
Bassiano accompagnati da responsabili di
madrelingua, si orientano nella cittadella fortificata con l'aiuto di una mappa catastale; e
poi raccontano le scoperte agli abitanti durante uno spettacolo allestito in piazza. Nella
discussione che segue, mentre i locali ammettono che gli occhi esterni rivelano loro la propria casa (dotati come sono del senso della
meraviglia per la novità del luogo osservato),
gli esterni riconoscono di essere anche loro ripiegati sulle culture specifiche: ne deriva che
l'apertura è un bisogno comune. L'azione di
strada in questo caso ha utilizzato didatticamente l'andamento a spirale delle vie medievali, impegnando ospiti e residenti in un lavoro d'indagine sulle rispettive mentalità e visioni del mondo.
La sesta sequenza si riferisce alle iniziative
di formazione per giovani e adulti di vari paesi, promosse dalla Casa d'Europa di Bassiano
(centro di formazione all'intercultura) d'intesa con la FIME (Fédération Internationale
Maisons de L'Europe) e con il sostegno della
Commissione di Bruxelles. Qualunque sia il
tema di ciascun seminario (disoccupazione
giovanile, pianeta donna, patrimonio culturale e ambientale, istituzioni comunitarie.. .), i
lavori iniziano sempre con la ricognizione
esterna, finalizzata all'apertura di piste d'attraversamento territoriale per informare e implicare nell'azione le persone di ogni età. Successivamente gli stessi abitanti sono invitati a
partecipare alla proiezione di documentari
(diapositive, videocassette) sulle regioni di
provenienza dei partecipanti: per leggere la
microregione dei monti Lepini affacciandosi
da più finestre, scoprendo differenze e affinità ma soprattutto comprendendo l'urgenza
di affrontare insieme i problemi comuni, insolubili a livello nazionale.
Nell'incontro dunque le differenze si esaltano, nell'isolamento al contrario si impoveriscono avvitandosi su se stesse. Ma se è così,
ogni comunità - piccola o g a n d e che sia è esposta al rischio di serrare la propria spirale anziché dispiegarla totalmente; aprirsi agli
altri significa perciò rinunciare allo sguardo
che diffida e rifiuta ed assumere quello che
accoglie e stima, passando dalla chiusura alla
fiducia, dalla paura alla solidarietà interna ed
esterna.
A Bolzano le reazioni dei presenti sono state molto vivaci andando, nel corso del dibattito, dalla richiesta di eventuali esportazioni
del metodo dell'azione di strada in altri ambiti regionali alla gestione delle difficoltà che le
iniziative multiculturali comportano.
Quanto alla prima domanda ho potuto rispondere che la trasferibilità del processo è
stata riconosciuta dal Comitato formazione
Europea della FIME; l'organismo ha assunto
il modello mettendolo alla base della programmazione elaborata nel quadro del progetto comunitario Leonardo, da attuare nel
triennio in cinquanta delle centro strutture
aderenti alla Federazione e sparse in venticinque paesi.
Per quel che concerne il governo della ricchezza e delle contraddizioni conseguenti alla messa i11 opera di relazioni interculturali,
ho affermato che è un'arte da acquisire gradualmente. Di sicuro il punto di partenza sta
nel cercare di rendere compatibili le differenti identità, delle quali i partners sono portatori e gelosi custodi. Conciliabilità che indica
insieme salvaguardia delle distinte peculiarità
e messa in opera dell'interazione: i due poli
entrano in tensione operativa soltanto grazie
a progetti condivisi nel senso della comune
redazione e realizzazione. Dunque agendo e
riflettendo insieme come abitanti di differenti regioni, si dà un contributo decisivo all'affermazione della nuova identità europea
mentre si tutela la propria.
Grazie a tali considerazioni una studentessa che prepara la tesi in pedagogia ha chiesto
di poter analizzare l'azione di strada e altre
metodologie affini per dare alla sua ricerca un
taglio europeo. Alcuni dei presidi e degli insegnanti presenti in sala hanno sollecitato
informazioni sui gemellaggi tra scuole e tra
Enti locali; i federalisti si son dichiarati favorevoli alla costituzione di una Casa d'Europa
del Sud Tirolo per una migliore comprensione tra comunità di lingua ladina, italiana e tedesca.
Certamente 1'AICCRE e la FIME non faranno mancare il loro appoggio. Particolarmente la Sezione italiana del CCRE, la quale
per tradizione offre consulenza alle Istituzioni locali che decidono di stabilire rapporti
permanenti di fraternità e cooperazione, così
come è sempre attenta a sostenere le attività
delle componenti territoriali - Scuola e associazioni - che guardano oltre i confini nazionali.
Personalmente son ripartito da Bolzano
più ricco e determinato a continuare con gli
impegni europei, a riprova della bontà del
metodo dell'azione di strada; una strategia
che sistematizza le grandi parole d'ordine Europa-federalismo solo dopo averle vissute e
sperimentate con quanti sono disponibili, verificando l'orizzonte ideale nella concretezza
del quotidiano. Proprio secondo le istanze
della pedagogia dell'ascolto, che invita gli addetti ai lavori a formarsi aU'Europa sempre in
presenza dei cittadini, non potendo essa prescindere dall'obiettivo centrale dell'educazione permanente: apprendere gli uni dagli altri
lungo l'intero arco della vita. Soltanto allora
l'azione di strada si trasformerà in scuola d i
strada.
W
nel decennale della "Carta" del Consiglio d'Europa
del CCRE sulla Cai$a dell'autonornia
di Gianfranco Martini
Nel 1953, a Versailles, i primi Stati Generali promossi dal Consiglio dei Comuni d'Europa (allora così chiamato, prima di allargarsi alla partecipazione istituzionale delle Regioni europee, anche se, già a quell'epoca, alcune Regioni, specie in Italia, aderivano alla
nostra Associazione), d a poco fondato nel
1951, adottarono all'unanimità la «Carta europea delle libertà locali» ( l ) . Qualcuno, in
quella occasione, ne diede un'interpretazione
positiva ma sostanzialmente riduttiva e parlò
di «generosa utopia» e di enunciazioni puramente teoriche: infatti, va ricordato che in
quel momento l'Europa muoveva appena i
primi passi del suo processo di unificazione.
Era stato bensì creato il Consiglio d'Europa
come Organizzazione intergovernativa, esisteva già la CECA (Comunità europea del
carbone e dell'acciaio), ma non ancora una
istituzione europea a competenza generale e,
soprattutto, il processo di unificazione era
ancora ancorato ad una concezione che vedeva nei governi degli Stati membri i soli soggetti interlocutori delle istituzioni europee:
gli Enti territoriali non erano riconosciuti come partecipanti alle politiche europee ma solo, nella migliore delle ipotesi, come loro beneficiari.
Gli awenimenti successivi, sia pure con eccessiva lentezza e con numerose contraddizioni, aprirono interessanti prospettive verso
una concezione diversa che cominciò ad essere oggetto di dibattito politico nel contesto
europeo. La «Carta europea delle libertà locali» fu il primo esempio di questa attenzione
ai problemi delle autonomie territoriali inserite non solo in un contesto nazionalema in
una prospettiva europea. Ai principi di detta
Carta il Consiglio dei Comuni d'Europa trasformatosi successivamente in Consiglio dei
Comuni e delle Regioni d'Europa, è rimasto
sempre fedele, traendone forza di coerenza e
ispirazione per l'azione concreta. Basterà ricordare la forte affermazione della necessità
di autogoverno, il riferimento al principio che
fu chiamato di sussidiarietà, il sostegno alla
più ampia partecipazione (pre-partitica) dei
cittadini, il richiamo all'esigenza che gli enti
territoriali godano di risorse proprie, ma nel
quadro di un adeguato sistema di perequazione, il rifiuto dei controlli di merito, il loro
diritto di aderire ad organizzazioni internazionali. Tutto ciò a soli otto anni dalla fine
della guerra!
Numerose vicende hanno confermato in
questi quarant'anni la fecondità di quelle intuizioni, assumendo di volta in volta aspetti
diversi ma complementari: dal partenariato
locale e regionale nei confronti delle strutture comunitarie, ai vari tentativi sperimentali
di consultazione organizzata degli enti territoriali da parte delle istituzioni europee, dalla crescente attenzione che specie il Parlamento europeo ha progressivamente riservato alle autonomie, ai programmi comunitari
da queste ultime utilizzabili, alla solenne in-
clusione del principio di sussidiarietà nel
Trattato di Maastricht, che ha previsto formalmente la creazione di un Comitato delle
Regioni e degli Enti locali. Abbiamo citato alcune delle tappe più rilevanti ma altri esempi
più specifici potrebbero essere aggiunti.
Quasi contemporaneamente, un'altra
grande istituzione europea, il Consiglio d'Europa, primogenita nella storia degli sforzi per
unificare l'Europa anche se in una prospettiva diversa, costituiva nel 1957, nel suo seno,
in ciò sostenuta attivamente dall'iniziativa politica di alcune personalità investite al tempo
stesso di importanti responsabilità nel Consiglio dei Comuni d'Europa (ricordiamo per
tutti il Sindaco di Bordeaux Chaban Delmas)
la Conferenza dei poteri locali e regionali
d'Europa (CPLRE), che più recentemente si
è trasformata in un autentico Congresso annuale composto d a due Camere rispettivamente per i Poteri locali e per quelli regionali. La natura, il ruolo, le competenze, i poteri
del Consiglio d'Europa hanno loro specifiche
caratteristiche con alcuni evidenti limiti politici, operativi e finanziari dato il carattere intergovernativo di tale istituzione; ma le prese
di posizione della CPLRE in materia di autonomie territoriali, di problemi sociali, culturali e giuridici, hanno segnato con grande vigore alcune tappe importanti destinate ad incidere sull'attività degli eletti locali e regionali europei.
Abbiamo iniziato questo articolo ricordand o la Carta euroDea delle libertà locali-del
Consiglio dei Comuni d'Europa: ebbene proprio alcune esigenze di cui detta Carta voleva
essere interprete hanno trovato in epoca più
recente, precisamente dieci anni fa, una solenne conferma «istituzionale» nell'adozione,
da parte del Consiglio d'Europa, della «Carta Buropea dell' autonomia locale».
E opportuno sintetizzare i contenuti di
questa Carta, il suo significato, la sua portata
politica, le sue prospettive, le condizioni per
assicurarne la più ampia e concreta incidenza.
Innanzitutto la Carta delle autonomie locali è
stata aperta alla firma dei rappresentanti degli Stati membri del Consiglio d'Europa, nella forma giuridica di una Convenzione, il 15
ottobre 1985. Già con la sua Risoluzione 64
del 1968 la Conferenza dei Poteri locali e regionali d'Europa (CPLRE) aveva proposto
una dichiarazione di principi sull'autonomia
locale, invitando il Comitato dei Ministri del
Consiglio d'Europa a procedere alla sua adozione. Questa iniziativa venne sostenuta dall'Assemblea consultiva che nella sua Raccomandazione 615 (1970) presentò al Comitato
dei ministri un testo che riproduceva in linea
di principio quello predisposto dalla CPLRE
ma che era stato elaborato congiuntamente
dai due organi. La dichiarazione proposta
tuttavia aveva un carattere troppo generale e
sommario, tale da avere limitate ricadute sul
piano concreto.
Nel 1981 la CPLRE prese una nuova ini-
ziativa. Una dichiarazione di principio non
vincolante non poteva essere considerata sufficiente, data l'importanza assunta dalle autonomie locali anche a livello europeo e le frequenti minacce ed ostacoli di cui dette àutonomie erano oggetto. I governi nazionali dovevano perciò essere invitati a prendere degli
impegni aventi forza vincolante. Nessuno
ignorava le forti differenze esistenti nelle norme costituzionali e nelle tradizioni amministrative dei vari paesi membri, ma la conseguente flessibilità non poteva tradursi in una
diluizione eccessiva delle condizioni imposte
dal nuovo strumento, pur lasciando ai governi, in ultima ipotesi, una certa ampiezza nella
definizione delle singole disposizioni.
La conseguenza logica di questo cammino
fu la presentazione al Comitato dei Ministri
del Consiglio d'Europa, con la risoluzione
126 del 1981 della CPLRE, di un progetto di
Carta europea della autonomia locale; questo
progetto, rivisto dal Comitato direttivo per i
problemi regionali e locali (CDRM), fu presentato finalmente alla VI Conferenza dei Ministri europei responsabili degli Enti locali
che si svolse a Roma dal 6 a11'8 dicembre
1984. I1 testo fu naturalmente oggetto di un
ampio dibattito, particolarmente circa lo
strumento giuridico mediante il quale il progetto di Carta avrebbe dovuto essere definitivamente adottato; la maggioranza dei ministri
si dichiarò favorevole allo strumento della
«convenzione». Finalmente, dopo questo
lungo e tormentato «iter», il Comitato dei
Ministri del Consiglio d'Europa, sentita 1'Assemblea consultiva, adottò nel giugno 1985 la
Carta che fu aperta, come già detto, alla firma
degli Stati membri in occasione della XX Sessione ~ l e n a r i adella CPLRE. Essa è entrata in
vigore il 1" settembre 1988 essendo stato raggiunto nel frattempo il prescritto numero di
ratifiche in sede nazionale. Attualmente la
Carta è stata ratificata d a 21 Stati membri
(Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Ungheria,
Islanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo,
Malta, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Spagna, Svezia e Turchia); alcuni Stati
(Belgio, Francia, Romania e Slovenia) l'hanno
sottoscritta ma non ancora ratificata. Altri
paesi (Albania, Andorra, la Repubblica Ceca,
l'Irlanda, la Lettonia, la Lituania, la Moldavia, San Marino e, fatto paradossale, la Svizzera e la Gran Bretagna, noti per la loro lunga tradizione di rispetto delle autonomie)
non l'hanno neppure sottoscritta.
La Carta europea delle autonomie locali
costituisce, 'dal punto di vista .giuridico, lo
strumento multilaterale che definisce e protegge i principi dell'autonomia locale, uno
degli elementi fondamentali di ogni ordinamento democratico. L'obiettivo della Carta
consiste nel cercare di colmare il vuoto d i
norme «europee» comuni tendenti a valutare
e proteggere i diritti degli Enti locali. Infatti
la «Carta europea delle libertà locali» del
GENNAIO 1996
Consiglio dei Comuni d'Europa, pur nella
sua lungimiranza e nella sua importanza di
principio, non poteva avere un carattere istituzionale, in quanto emanante da una organizzazione di carattere associativo non avente
una personalità di diritto internazionale ma
per ciò stesso svincolata da preoccupazioni
statuali e non legata alle defatiganti trattative
intergovernative. Ciò spiega anche le ragioni
per le quali alcune disposizioni della Carta
delle libertà locali, non abbiano tanto posto
nella Carta del Consiglio d'Europa. A d esempio il testo dell'art. S della Carta delle libertà
locali: « L e comunità devono essere consapevoli di costituire il fondamento dello Stato.
Esse devono sviluppare un'azione amministrativa e creare i mezzi stabili perchè ogni
cittadino, cosciente di essere membro della
Comunità e vincolato alla collaborazione per
il serio sviluppo della comunità stessa prenda
parte attiva alla vita locale».
Un diritto-dovere quindi, per il cittadino
di partecipare attivamente alla vita locale, potendo contare, a tal fine, sul sostegno norz episodico della comunità locale alle inziative che
potremmo definire come pre-politiche e per
ciò stesso non identificabili, ad esempio, con
quelle che partiti o d altre organizzazioni settoriali e con finalità particolari possono legittimamente intraprendere.
La Carta del Consiglio d'Europa obbliga le
parti ad applicare delle regole fondamentali
tali da garantire l'indipendenza politica, amministrativa e finanziaria degli Enti locali. Essa è quindi una dimostrazione, a livello europeo, della volontà politica di dare, a tutti i livelli dell'amrninistrazione territoriale, uno
specifico contenuto ai principi che reggono
non solo l'esigenza di democrazia sostanziale
dell'Europa in via di unificazione, ma anche
di difendere i diritti dell'uomo nell'ainbito
delle comunità locali di cui fa parte.
La Carta si divide in tre parti. La prima
contiene le disposizioni di fondo che enunciano i principi dell' autonomia locale. La seconda prevede disposizioni diverse, riguardanti la portata degli impegni sottoscritti dalle parti contraenti. La terza parte reca disposizioni corrispondenti a quelle che figurano
abitualmente nelle convenzioni elaborate sotto gli auspici del Consiglio d'Europa.
La seconda parte è quella che contiene
maggiori elementi di debolezza e di fragilità
conseguenti al carattere intergovernativo del
Consiglio d'Europa, nel quale gli Stati membri e, per loro, i governi, mantengono gelosamente la loro sovranità anche per quanto riguarda l'atteggiamento d a tenere nei confronti degli enti territoriali autonomi. Essa autorizza quindi gli Stati ad escludere certe disposizioni della Carta col motivo (contraddittorio
con la denominazione «europea» della stessa
Carta) che l'autonomia locale riguarderebbe
solo la struttura e l'organizzazione dei singoli
Stati. Manca quindi in detta Carta europea
l'affermazione e il riconoscimento del principio che le autonomie territoriali non vanno
più considerate soltanto come un dominio riservato degli Stati di appartenenza, ma assumono una rilevanza più larga proprio coerentemente al tipo di Europa unita che vogliamo
costruire, intesa come una forma più avanzata
di democrazia dell'interdipendenza e del decentramento. Non a caso proprio la Gran
Bretagna, sempre così restia ad aprirsi ad un
GENNAIO 1996
processo di integrazione che non si limiti ai
soli aspetti della cooperazione tradizionale,
non ha, come già detto, sottoscritto la Carta,
anche se ha allegato a giustificazione il fatto
che le enunciazioni della Carta sarebbero già
concretamente recepite e rispettate nell'ordinalnento interno britannico.
Un altro aspetto che merita di essere sottolineato è che la Carta non prevede un sistema
«istituzionalizzato» per il controllo della sua
applicazione. Gli Stati tnembri hanno infatti
solo l'obbligo di fornire tutte le informazioni
relative alle disposizioni legislative e ai provvedimenti presi in applicazione delle disposizioni della Carta. A tale proposito va ricordato invece che la Carta sociale europea preved e la creazione di un sistema internazionale
di controllo. Tuttavia la attuazione della Carta è affidata all'esame permanente e alla valutazione del Congresso dei poteri locali e regionali d'Europa (CPLRE) su un doppio binario: il primo è costituito dai reclami provenienti da cittadini e da enti locali tramite le
loro associazioni rappresentative (controllo
su domanda), il secondo consiste nella scelta
periodica di un articolo o di una serie di articoli della Carta che meritano una indagine
sulla loro applicazione effettiva (controllo ex
ufficio): il controllo è affidato ad esperti indipendenti e sulla base del loro rapporto il
CPLRE adotta una risoluzione e/o una raccomandazione.
11 Bureau del CPLRE ha creato un apposito Gruppo di lavoro che nella sua prima riunione nel dicembre 1994 ha deciso di concentrare la sua attenzione sulle relazioni istituzionali delle autorità centrali e regionali
con le autorità locali, e la casistica, la tipologia e le caratteristiche politico-giuridiche dei
controlli esercitati sugli organi delle autorità
locali. Quest'ultirno aspetto è particolarmente rilevante nel caso specifico dei paesi dell'Europa centrale e orientale membri del
Consiglio d'Europa, la cui delicata e faticosa
transizione agli ordinamenti democratici ha
messo frequentemente in luce i problemi che
essa pone proprio per quanto riguarda i controlli sull'attività degli Enti locali. A tal fine
un questionario è stato inviato agli esperti nazionali dei paesi che hanno sottoscritto la
Carta e sulla base delle risposte una proposta
di raccomandazione sarà probabilmente sottoposta alla sessione plenaria del CPLRE del
1996.
I1 Congresso dei poteri locali e regionali,
tramite i suoi esperti e con la collaborazione
del Segretariato, ha potuto condurre un'azion e sempre scientificamente approfondita.
Malgrado ciò questa azione non sempre ha
prodotto dei risultati proporzionali allo sforzo impiegato.
In effetti, nel caso del «controllo ex ufficio» si ha avuto l'impressione che, nel lavoro
svolto per il controllo della Carta, il CPLRE
assomigliasse ad «una montagna che partorisce un topolino». I1 metodo dei questionari e
delle risposte che gli esperti propongono rappresenta un serio lavoro, di alto valore scientifico, è per ciò che si parla di «montagna».
Tuttavia, questo lavoro scientifico non ha ancora conseguito risultati politici apprezzabili.
Se si pensa che il rapporto e la Raccomandazione sono stati indirizzati al Comitato dei
Ministri e che quest'ultimo li ha trasmessi al
CDRM (Comitato direttivo per i problemi re-
gionali e locali), facendo perder loro parte
della forza iniziale, e che il CDRM, a sua volta s'impegna a d ottenere pareri soddisfacenti
da parte dei ministri competenti, la conclusione che se ne può trarre è che l'azione del
Congresso dei poteri locali e regionali (CPLRE) abbia avuto limitata efficacia. D'altra
parte, non bisogna però dimenticare i risultati che il Congresso ha ottenuto in Romania
secondo la procedura di controllo su domanda. In questo caso, il G r u p p o di Lavoro ha
ottenuto dei risultati perchè i suoi membri
hanno avuto il coraggio di affrontare direttamente le domande politiche: il confronto politico ha seguito gli studi degli esperti, i fatti
non sono stati seguiti solo da promesse.
Tenendo conto di queste osservazioni, si
può trarre la seguente conclusione: il Congresso dovrebbe, tramite il Gruppo di Lavoro competente, chiarire la situazione d e facto,
concernente l'applicazione dei vari articoli
della Carta nei diversi paesi membri, individuare le patologie esistenti e se queste si rivelano serie, far seguire immediatamente un'azione politica. I1 Congresso non dovrebbe
domandare l'intervento preliminare di altre
istanze del Consiglio d'Europa, poichè, facendo ciò, egli sminuirebbe il suo lavoro, disperderebbe le sue energie e rallenterebbe il
processo.
Un'altra questione molto importante, che
merita una riflessione approfondita, è quella
della conoscenza della Carta europea dell'autonomia locale da parte dei diretti interessati:
gli enti locali.
In effetti, si constata che in molti casi, gli
enti locali si rivelano non sufficientemente
informati sull'esistenza della Carta, così come
sulle possibilità che essi hanno, dal punto di
vista giuridico, di far rispettare le sue disposzioni nel caso in cui la Carta sia stata firmata
e ratificata dal parlamento nazionale.
In questa prospettiva è necessario sviluppare (e la celebrazione dell'anniversario della
Carta potrebbe costituire un'occasione propizia) una vera politica di diffusione e promozione della Carta.
Le disposizioni della Carta hanno acquisito forza di legge, nella maggior parte dei casi,
prevalendo persino sulla legislazione interna.
Esistono, sicuramente, delle differenze
concernenti il carattere obbligatorio e l'applicabilità delle disposizioni della Carta nel diritto interno degli Stati, differenze risultanti
essenzialmente dalle particolarità degli ordinamenti giuridici e costituzionali dei diversi
Stati. Nei paesi di tradizione monista, l'atto di
ratifica e pubblicazione è sufficiente, da solo,
ad incorporare i trattati internazionali nell'ordine giuridico interno. Nei paesi di tradizione
dualista, i trattati internazionali divengono
obbligatori solo nel caso siano adottati dal
Parlamento, conformemente alla procedura
interna del diritto comune.
Il diritto di ricorso giurisdizionale esiste
nella maggior parte degli Stati contraenti, e
in questi paesi va auspicato che gli enti locali chiedano il rispetto della Carta di fronte ai
tribunali competenti, ogni volta che sussista
una violazione dei suoi principi. Tuttavia in
alcuni paesi è difficile per gli enti locali riuscire a d affermare la Carta nelle giurisdizioni
interne, poichè essa è considerata come norma di condotta e non come una legge cui far
(segue a pag. 16)
a Barcellona su iniziativa dell'unione europea
La prima conferenza euro-mediterranea
di Silvana Paruolo *
L'Unione europea ha due frontiere cruciali: quella a Est e quella a Sud. Negli ultimi anni - come imposto dall'evoluzione degli avvenimenti mondiali - le istituzioni comunitarie si sono preoccupate maggiormente della
i
frontiera orientale. Del resto i ~ a e s dell'EuroDa centrale e d orientale hanno ed avranno
una caratteristica che quelli della sponda meridionale del mediterraneo non possono avere: la vocazione a divenire membri dell'unione. La nostra unione è europea, e per farne
parte si deve essere europei. 11 che nel Mediterraneo è riservato a Malta e a C i ~ r o .
Scopo della politica mediterranea globale e
rinnovata è riequilibrare il rapporto tra Europa e Mediterraneo.
Nel. Mediterraneo, il divario economico tra
Nord e Sud è assai più ampio di quello esistente in altri tentativi di cooperazione regionale tra paesi sviluppati e in via di sviluppo.
Nel caso del Nafta, ad esempio, il reddito pro
capite in Messico è circa un sesto di quello
medio in Canada e Stati Uniti; nei paesi del
Sud del Mediterraneo (Israele escluso) il reddito medio pro capite è invece soltanto un
quattordicesimo di quello medio dei paesi comunitari. Inoltre, il divario economico tende
ad ampliarsi, e le riforme economiche strutturali sono in significativo ritardo rispetto ad
altre aree geografiche (non soltanto l'Asia, ma
la stessa America Latina). La cooperazione
economica e finanziaria con il Sud del Mediterraneo deve adeguarsi a una situazione disomogenea e spesso arretrata.
Dopo la proposta di "partneriato euro-maghrebino" avanzata dalla Commissione europea nel 1992, sono stati awiati negoziati con
Marocco, Tunisia, Israele, ed altri paesi.
"Fare del Bacino mediterraneo una zona di
scambi, di cooperazione e di dialogo culturale è un'opzione strategica primordiale, se si
vuole garantire la pace, la democrazia e il
progresso economico e sociale per l'insieme
dei paesi del Mediterraneo", hanno ribadito
con forza la Ces (Confederazione europea dei
sindacati), la Cisl (Confederazione internazionale dei sindacati liberi) e la Cmt (Confederazione mondiale del lavoro), alla vigilia
della prima Conferenza euro-mediterranea
(Barcellona 27-28 novembre 1995).
La Conferenza di Barcellona è stata la prima riunione ministeriale a 27: cioè i 15 ministri degli esteri dell'Ue e quelli dei 12 partners mediterranei invitati (Cipro, Malta, Turchia, Autorità palestinese, Israele, Giordania,
Siria, Libano, Egitto, Marocco, Tunisia, Algeria). La Mauritania e stata presente anche se
non è un paese rivierasco, con lo statuto speciale in quanto membro dell'unione del Maghreb arabo (UMA), ma non ha firmato la
Dichiarazione finale (l'aiuto che riceve dal1'UE è fornito tramite la Convenzione di
Lomè, poiché fa parte degli ACP). La Libia
" Dipartimento internazionale della CGIL - Esperta
Comitato economico e sociale dell'unione europea.
COMUNI D'EUROPA
del
non ha partecipato, ma 1'UMA e la Lega araba, invitati, hanno potuto comporre la delegazione a loro volontà (contrariamente agli
altri paesi partecipanti, la Libia non ha legami contrattuali con 1'1Je). A Barcellona, Israele, Siria e Libano si son ritrovati per la prima
volta gli uni al fianco all'altro in un consesso
internazionale (salvo il quadro dell'ONU).
Nelle relazioni tra l'unione europea e i paesi
del sud del Mediterraneo, la Conferenza di
Barcellona è un evento irnportahte soprattutto
per le prospettive di lavoro che apre. La Dichiarazione di Barcellona apre la via a u n
partneriato globale che prevede una cooperazione più stretta in campo politico, economico e sociale e che farà da cornice agli accordi
di associazione siglati dall'unione con singoli
paesi dell'area mediterranea. Adottato anche
un programma di lavoro, cui spetta la traduzione in fatti degli obiettivi definiti nella Dichiarazione. I1 compito di un bilancio della
sua attuazione spetterà alla prossima conferenza ministeriale che si è deciso di tenere nel
1997, in uno dei paesi del Sud (che resta da
essere definito). Previste intanto tre conferenze settoriali nel 1996:
- una conferenza dei ministri dell'industria e dell'energia (in Italia, nel primo semestre);
- una conferenza dei ministri dell'ambiente e forse dell'agricoltura (in Irlanila, durante il secondo semestre);
- una conferenza sulla promozione degli
investimenti nei paesi terzi mediterranei (a
Londra, alla fine del 1996).
L'iniziativa di Barcellona va di pari passo
con la conclusione di accordi euro-mediterranei bilaterali di associazione con i paesi partners: tre paesi - Tunisia Israele e Marocco
- hanno firmato o siglato tali accordi e i negoziati sono in corso con 3 altri, Egitto, Giordania e Libia.
Certo resta ancora molta strada. Ma, a Barcellona, sono stati fatti dei passi in avanti.
Mentre nel dibattito sull'allargamento, la
dimensione sociale fatica a trovare un diritto
di cittadinanza, nella Dichiarazione di Barcellona si ritrovano tre volte: il politico, l'economico e - cosa altrettanto importante - il sociale.
Tre i punti politici risolti all'ultimo momento: il riferimento al diritto dei popoli all'autodeterminazione conformemente alla
Carta delle Nazioni Unite e al diritto internazionale (soppressa la controversa allusione ai
popoli "sottoposti al dominio coloniale", e al
loro diritto di prendere misure per un diritto
di autodeterminazione); la lotta al terrorismo
(applicando e ratificando gli strumenti internazionali già sottoscritti); la non proliferazione nucleare, chimica e biologica "grazie all'adesione e al rispetto di una combinazione di
regimi internazionali e regionali di non-proliferazione e di accordi di controllo del disar-
m o e del controllo degli armamenti".
Per la prima volta, a Barcellona, si è lavorato in un contesto non bilaterale, ma multilaterale. Ma, sul piano istituzionale, l'intesa è
debole. Non c'è stata la definizione formalizzata di istituzioni permanenti, politiche e
consultive (un Comitato economico e sociale)
deputate al partenariato euro-mediterraneo.
Da adesso al 1997 sono previste solo riunioni
periodiche dei ministri degli esteri (una volta
l'anno in principio) e riunioni tematiche ad
hoc dei ministri, degli alti funzionari e degli
esperti, e degli incontri dei rappresentanti
della società civile, e dei contatti a livello parlamentare tra autorità regionali, collettività
locali e parti sociali. Un "Comitato euro-mediterraneo di Barcellona" al livello degli alti
funzionari composto dalla Troika dell'Ue e
da un rappresentante di ogni partner mediterraneo terrà riunioni periodiche, in particolare per aggiornare il programma di lavoro. I1
lavoro di preparazione e seguito delle riunioni sarà assunto dai servizi della Commissione.
"Questo quadro multilaterale - precisa la
Dichiarazione di Barcellona -è complementare di un rafforzamento delle relazioni bilaterali, che è importante salvaguardare accentuandone le specificità" e "non vuole sostituirsi alle altre azioni e iniziative amiate a favore della pace, della stabilità e dello sviluppo della regione".
Cosa positiva, si prefigura una cooperazione decentrata (fatta non solo da governi, ma
da attori della società civile della Comunità e
di questi paesi terzi (università, città, regioni,
sindacati, associazioni, imprese, ecc.).
I1 coinvolgimento della società civile favorirà il rawicinamento e la comprensione reciproca non solo Nord-sud ma anche Sud-sud.
La Commissione aveva iniziato già nel 1992
ad istituire programmi d i di cooperazione
con i principali protagonisti della società civile, ossia i mass media (programma Med Media), le università (Med Campus), i comuni
(Med Urbs), nonché nei settori quali gli investimenti (Med Invest), il trasferimento di tecnologia (Med Techno), le migrazioni (Med
Migrations). Dal 1996 saranno awiati nuovi
programmi, in particolare nel settore culturale, che si tratti di produzioni culturali, del patrimonio ecc.
Una debolezza di Barcellona sta in un finanziamento considerato insufficiente in termini assoluti, e relativi (rispetto a quello dei
paesi dell'est). Inoltre non si affronta la questione globale del debito: c'è un accenno al
fatto che non è competenza della Comunità,
il che è vero , ma anche falso, perché la Comunità è costituita da Stati membri. e questi
potrebbero fare qualcosa sul debito.
Sul piano economico, ci si dà l'obiettivo di
un'area di libero scambio da qui al 2010 (senza eccezioni nel settore industriale e dei servizio, e con prudenza nel settore agricolo per
salvaguardare l'agricoltura europea). Questo
obiettivo sarà raggiunto prima di questa data
GENNAIO 1996
dai paesi che hanno già accordi di associazion e con l'Ue, mentre per altri, con cui i negoziati bilaterali non sono ancora iniziati, sarà
probabilmente necessario più tempo. "L'area
di libero scambio - evidenzia Andrea Amato, Presidente dell'Istituto per il mediterraneo (iMed) della Cgil-Cisl-Uil - è un obiettivo che non può che essere condiviso. Il problema è come ci si arriva. Limitandosi alla sola abolizione più o meno graduale delle barriere doganali, il risultato è che si distrugge la
già debole struttura industriale di questi paesi. Con il libero scambio saranno solo loro ad
abbassare la protezione, noi lo abbiamo già
fatto dal 1975. Quando si costruisce un'area
di libero scambio ci sono tre elementi che sono determinanti:
1. la durata della fase di transizione che
non deve essere né troppo breve né troppo
lunga (i 12 anni previsti sono già inferiori alla
fase di transizione di cui hanno già goduto
Spagna e Portogallo);
2. una gestione selettiva della liberalizzazione in modo da rafforzare, parallelamente
alla liberalizzazione, l'apparato produttivo
nazionale;
3. il modello di sviluppo. Se si pensa a un
modello (come fino ad ora suggerito e imposto dal Fondo monetario internazionale) basato soltanto sull'esportazione, questo finirebbe - così come del resto è oggi -per definire un'economia equilibrata di questi paesi: da una parte si esportano determinati prodotti, e dall'altra, per i consumi' in termini
quotidiani si dovrebbe ricorrere all'importazione.
"Di conseguenza - sottolinea il presidente dello iMed - è importante che nella fase
di transizione cresca un apparato produttivo
che abbia come sbocco il mercato interno,
che non può essere nazionale, ma regionale, è
per esempio quello dell'unione del Maghreb
(Algeria, Libia, Marocco, Mauritani e Tunisia). Gli accordi che stabiliscono l'area di libero scambio purtroppo sono ancora accordi
bilaterali, e questo crea il rischio che la struttura economico produttiva di ciascuno di
questi paesi terzi mediterranei venga modellato in senso verticale, in direzione dello
scambio con l'Europa, impedendo invece la
creazione di economie complementari all'interno di un'area sub-regionale come appunto
quello dell'area del Maghreb. Se ognuno si
modella in rapporto con l'esportazione finisce che tutti fanno le stesse cose, e non hanno
più niente d a scambiarsi tra di loro. Oggi,
l'inter-scambio tra i paesi nel Maghreb corrisponde a meno del 5 % del loro commercio
estero". Con il libero scambio si profila anche
il rischio di una maggiore concorrenza in particolare per le aree più deboli del nostro mediterraneo comunitario? "Questo - precisa
il presidente dello IMme - è un punto debole che la Conferenza intergovernativa non
ha affrontato, nel senso che non individua un
ruolo per un'interfaccia mediterranea dell'Europa, cioè l'Europa del sud, che invece
all'interno dell'Europa dovrebbe trovare con
i M E D (paesi terzi mediterranei); possibilità
nuove di sviluppo attraverso la complementarietà, l'integrazione economica, e la cooperazione".
Ciò detto, quali sono gli elementi principali
GENNAIO 1996
della Dichiarazione di Barcellona? Tre gli
aspetti della cooperazione euro-mediterranea
da essa prefgurata:
1. partenariato politico e di sicurezza (definire uno spazio comune di pace e di stabilità):
si insiste in particolare sul rispetto dei diritti
umani e delle libertà fondamentali, sul pluralismo, la tolleranza e la lotta al razzismo e alla xenofobia. Inoltre,ci si impegna a studiare
le misure di fiducia e sicurezza da adottare
per consolidare uno spazio di pace e stabilità,
ivi incluso la possibilità a termine di un patto
euro-mediterraneo;
2. ~ a r t e n a r i a t oeconomico e finanziario
(costruire una zona di prosperità condivisa).
Particolarmente importante è la decisione di
realizzare, entro il 2010, una zona di libero
scambio, attraverso nuovi accordi euro-mediterranei e accordi di libero scambio tra i partners dell'unione (cioè i paesi terzi mediterranei tra loro). Si ~ r e v e d eun'eliminazione Drogressiva degli ostacoli tariffari e non agli
scambi dei prodotti manufatti; "partendo dai
flussi tradizionali e nella misura permessa
dalle varie politiche agricole e nel rispetto dei
risultati dei negoziati GATT, il commercio di
prodotti agricoli sarà progressivamente liberalizzato con l'accesso ~referenzialee reciproco tra le parti"; saranno progressivamente
liberalizzati anche gli scambi di servizi, ivi incluso il diritto di stabilimento.
La cooperazione e concertazione economiche saranno sviluppate, in particolare, nei settori degli investimenti, modernizzazione industriale e delle P.M.I.,. ~ r o t e z i o n edell'ambiente, approccio regionale, ruolo delle donne, energia, approwigionamento idrico, uno
sviluppo rurale integrato.
Circa la cooperazione finanziaria, la Dichiarazione ricorda che il vertice di Cannes ha
previsto 4,685 miliardi di ECUper il periodo
1995/99 sotto forma di "fondi di bilancio del1'Ue disponibili", a cui si aggiungeranno gli
interventi della Bei e i contributi bilaterali degli stati membri;
conflitto": e d ha sottolineato che bisognerà
"definire con molta cura le modalità di impiego" della dotazione di bilancio stabilita al
vertice di Cannes.
Il segretario al Foreign Office, Malcom
Rifkind, ha sostenuto l'idea di un Patto di stabilità. Inoltre, a suo avviso, il Regno Unito e
la Commissione dovrebbero realizzare uno
studio sugli ostacoli agli investimenti, i cui risultati potrebbero essere discussi durante il
secondo semestre del 1996. I1 ministro degli
esteri tedesco, Klaus Kinkel, ha sottolineato
la necessità di "rompere strutture di pensiero
radicate" e che l'Unione euroDea deve avere
una "politica equilibrata e attiva di vicinanza" con il Sud quanto con l'Est. I1 ministro
degli esteri turco, Deniz Boykal, ha fatto allusione all'unione doganale con 1'Ue.
Intanto, alla vigilia della Conferenza, per la
partnership euro-mediterranea, alcuni suggerimenti venivano anche dal Parlamento europeo. Tra l'altro, la relazione Izquierdo Rojo
(socialista spagnola) ritiene opportuno prevedere:
- accordi interregionali tra l'Unione e il
Maghreb, il Machrek, o il Medio Oriente, che
potranno essere indipendenti o complementari rispetto agli accordi bilaterali di associazione e agli accordi mediterranei multilaterali;
- l'elaborazione da parte della Bei di un
ampio programma di sostegno alla regione
mediterranea: la priorità dovrebbe essere
concessa alle azioni miranti a favorire l'integrazione regionale;
L
3. partneriato nei campi sociale, culturale e
umano: vi si sottolinea il carattere essenziale
dello sviluppo sostenibile, e delle risorse
umane, del dialogo, del rispetto tra culture e
regioni. Vi "si riconosce l'importanza dello
sviluppo sociale che deve procedere di pari
passo con lo sviluppo econon~ico.Una priorità particolare è accordata "ai diritti sociali
fondamentali, ivi incluso il diritto allo sviluppo". Si decide di rafforzare o creare i necessari strumenti per sviluppare gli scambi tra
attori dello sviluppo (società politica e civile,
mondo culturale e religioso, università, media, associazioni, sindacati, imprese pubbliche e private). Si prevedono accordi bilaterali per la riammissione di cittadini immigrati
clandestini.
Resta ora da seguire l'attrazione del programma di lavoro (di 15 pagine) che completa la Dichiarazione.
A Barcellona, durante il dibattito generale,
il ministro degli esteri francese, Hervé d e
Charette, ha lanciato l'idea di un "patto euromediterraneo" con cui "si tratterà di inventare forme giuridiche e modalità pratiche più
adeguate alle caratteristiche di quella zona
(. ..) senza interferire indubbiamente con i
processi già in atto per risolvere questo o quel
- un esame del cumulo dell'origine per i
principali prodotti d'esportazione del bacino
mediterraneo;
- investimenti finalizzati, a fare in modo
che i paesi della regione diventino più autonomi in campo alimentare, e a sviluppare le
PMI;
- esame della reddittività tecnica e finanziaria di una rete transeuropea di trasporto
dell'acqua.
Ricco di idee anche il documento predisposto - alla vigilia della conferenza - dalla Confederazione europea dei sindacati. I
sindacati si interrogano, a livello di metodo e
di obiettivi (approccio globale; integrazione
regionale; sviluppo sostenibile; necessità di
strumenti istituzionali adeguati, priorità). In
sintesi ecco alcuni punti principali della loro
riflessione. L'approccio globale e coordinato
richiama quello della complementarietà, cioè
della coesistenza di sistemi diversi dotati di
specializzazioni individuali, in una prospettiva di co-sviluppo, sviluppo economico e sociale sostenibile e equilibrato. Occorre esplicitare che i rapporti bilaterali non dovranno
tradursi in un'integrazione selettiva e individuale dei Med nel mercato europeo, il che
ostacolerebbe l'applicazione di una politica
di sviluppo sostenuta da una visione regionalista della regione mediterranea. Nell'ottica
dell'Ue, l'integrazione regionale non è incompatibile con la creazione della zona euromediterranea di libero scambio. P u ò permettere la creazione di zone di cooperazione in
cui sarebbero messe in valore singole specializzazioni produttive, nella prospettiva di uno
sviluppo policentrico e non di mera adesione
(segue a pag. 16)
dall' altra parte
Le radici in Africa, la chioma in Europa
di Renata Landotti
Dall'altra parte incontro la notte d'estate
africana popolata di miti e fantasmi, il Marocco meditabondo e intimo dei racconti di «U1timo tè a Marrakechn ( l ) , gli elementi della
linfa vitale con cui le radici africane della grand e quercia nutrono una chioma sempre più
protesa verso l'Europa.
Dall'altra parte Casablanca, metropoli internazionale contradditoria e affascinante, con la
sua smagliante moschea in riva al mare e le sue
degradate periferie è luogo d'origine di molti
degli immigrati che incontriamo nelle nostre
strade e di cui, in occasione del rientro estivo
in patria, si occupano ampiamente stampa e
televisione, sia con articoli di benvenuto (carichi di un certo calore patrio alimentato soprattutto dalle rimesse in valuta straniera) sia
con racconti a puntate sui quotidiani di maggior diffusione. «Da Roma a Trapani, il calvario dell'immigrazione marocchina~o «Verso
l'Italia: una strada che non porta da nessuna
parte»: fatti e fattacci di cui sono protagonisti
le nostre Autorità (finanzieri, carabinieri, poliziotti, amministratori, sindacalisti), la solidarietà spontanea e le nostre assurdità burocratiche, senza trascurare il ruolo della televisione
italiana (Rai Uno e Rai Due) nel creare illusioni d'aria (2). I TME (Travailleurs Marocains a
1'Etranger) sono stati ribattezzati RME (Résidents Marocains à 1'Etranger) per inglobare
nella definizione non solo gli emigrati meno
qualificati, ma anche commercianti, artigiani,
studenti, tecnici, scienziati, quadri, che lavorano all'estero incluse le migliaia di ebrei marocchini che, pur sparsi in tutto il mondo, hanno
coltivato le radici della loro identità etnicoculturale ( 3 ).
Fes, densa di arti, mestieri, vite, case, santuari, moschee, università, mi accoglie con una
schiera di improvvisate guide che, pronte a
condurmi nei meandri del quartiere andaluso
o berbero o arabo puntando dritto ai negozi
degli amici artigiani, cercano sempre e comunque di carpire illusioni, conferme, notizie,
informazioni in cui cogliere l'elemento decisivo per valutare se valga la pena di emigrare,
magari con la prospettiva di un promesso
«matrimonio bianco» che porti in dote la possibilità di una vita «migliore», lasciando alle
spalle studi universitari senza futuro, un lavoro che forse non ci sarà mai. Dall'altra parte
Rkia El-Mossateq, professore di diritto all'Università di Fes, esplora minuziosamente e lucidamente i meandri della costituzione marocchina, si infila nelle pieghe della legittimità (il
Re) e della legalità (il Parlamento), conduce silenziosamente e caparbiamente uno studio capillare sul gioco del consenso, sulle sottili interazioni tra costituzione implicita e costituzione esplicita (4). Esprime con convinzione e
obiettività la sua posizione pessimista sulle
possibilità di un rafforzamento del ruolo femminile nella ~ o l i t i c anazionale poichè anche
loro, attraverso le organizzazioni che le rap-
" Esperta di lingua e cultura araba
presentano, contribuiscono inconsciamente
alla propria marginalizzazione accettando,
nell'ambito del processo di riforme politiche e
sociali, marginali vantaggi immediati che in effetti allontanano il raggiungimento dell'obbiettivo di una piena partecipazione attiva anche nelle amministrazioni locali.
Marrakech regale, ocra e verde, crocevia di
razze e commerci, è viva di storia ancora palpabile nelle strade e nei palazzi. Anche qui si
va al caffè sapendo già che qualcuno ci awicinerà con una scusa per scambiare idee con chi
viene da quel miraggio méta di destini pieni di
speranza e vissuti sempre duramente, a volte
drammaticamente, miraggio esistente solo nel
torpore ingannatore diffuso dalle migliaia di
antenne paraboliche che spuntano dai posti
più impensati e che nelle periferie delle grandi
città, lungo la linea di case popolari che costeggia la ferrovia, formano una barriera palpabile di sogni ed evasioni. I1 Prof. Labdaoui,
sorridente e rilassato, disciplinatamente immerso nei suoi scritti e tutt'uno con il suo antiquato ma fido computer, alle prese con il fax
capriccioso, la famiglia in vacanza, i corsi da
preparare per il nuovo anno accademico, mi
spiega le ragioni che lo hanno spinto da poco a
tornare a vivere e lavorare nel suo paese natale, dall'altra parte. Dopo essersi immerso nelle
categorie della cultura e della politica europea,
è impegnato ora in una riappropriazione critica delle sue radici, a ricostruire dialoghi e legami con intellettuali e studiosi che sono rimasti
e a mantenere contatti con chi ha scelto di non
tornare, ad approfondire quel personale percorso che lo rende sempre più pienamente marocchino e completamente universale.
Dall'altra parte gli intellettuali dibattono
molto vivacemente (tra di loro) e invitano il
pubblico a leggere, e soprattutto a leggere bene, uno dei passi basilari per la costruzione di
una coscienza sociale. Frutto della collaborazione tra il giornale «Libération» et la rivista
«Prologues», il dossier dal titolo entusiasmante «I1 furore di leggere» ( 5 )si è dato il compito di presentare al grande pubblico trenta
pubblicazioni degli ultimi cinque anni sul tema: «II pensiero politico in tempi di depressione» il cui contenuto testimonia l'emergenza
di nuovi modi di pensare che animano oggi la
politica, l'economia, la società. Se il dibattito
qui instaurato sarà di qualche interesse, contribuirà certo a «far prendere la distanza necessaria dalla nostra attualità e permettere un
più giusto apprezzamento del nostro presente
e del nostro passato». Queste letture/riflessioni sono opera di trenta intellettuali marocchini di varie tendenze ideologiche, riuniti per
questo lavoro collegiale con l'obiettivo di contribuire a ravvivare un dibattito altrimenti
quasi assente. Nel sottotema «Istituzioni e
pensiero», tra gli altri, viene preso in esame
«On ethics and economics» di Amartya Sen,
da più di trent'anni è impegnato a chiarire i
fondamenti dell'economia e dell'etica. La lettura di questo libro è raccomandata ai filosofi,
*
agli economisti, a tutti quelli che pensano che
l'economia non sia solo una condizione contingente, ma uno strumento per l'ottenimento
e l'applicazione dei diritti e, quindi, della libertà (6). In «Idee e polemiche», viene rivisitato un bestseller del 1992, «La fin d e l'histoire et le dernier homme» di Francis Fukuyama,
consacrazione della società utilitaristica come
incarnazione dell'ideale hegeliano, e sventolata (allora) per dimostrare che la caduta del comunismo era in effetti la fine delle alternative
ideologiche (7). Nel sottotema «Secolarizzazione e democrazia» ritrovo un denso libretto
di 167 pagine, «L'Islam la'ique ou le retour à la
grande tradition» di Olivier Carre, scritto per
tutti coloro che apprezzano le sfumature, che
non si fidano dei pregiudizi culturali o dei presupposti ideologici, che rispettano i fatti e riconoscono la complessità dei processi storici.
In esso l'autore dispiega un enorme sforzo intellettuale - con il rischio di stordire il lettore - sostenuto da una erudizione mozzafiato,
per dimostrare che, «contrariamente all'opinione diffusa sia in Occidente che nel mondo
musulmano, 1'Islam nella sua «Grande Tradizione», sia sciita che sunnita, si presenta lungo
la storia delle società musulmane piuttosto come un agente di secolarizzazione, da cui il titolo provocatore, quasi blasfemo dell'opera»
(8). In «Les fondements p h i l o ~ o p h i ~ u edse la
la'icité», Ade1 Daher tratta invece della fragilità
congenita della laicità araba che, oltre al carattere irrazionale del discorso di coloro che l'autore chiama «teorici del risveglio islamico», è
dovuta anche alla continua ricerca di giustificazioni religiose, sociologiche e culturali.
Mentre in Occidente, dopo una lunga e dolorosa storia, la laicità sembra fare corpo con la
pratica democratica per garantire un vasto
spazio neutro dello stato dove le diverse opinioni, le credenze religiose e anche le non-credenze possono espandersi in libertà, nel caso
delle società arabo-islamiche un tale spazio
avrebbe più bisogno di istituzioni, di pratiche
e di tradizioni democratiche che non di giustificazioni filosofiche (9). «.... la politica araba e
la sua «ragione» ...» so già di chi si tratta: di M.
Abed Jabri naturalmente, e del suo «La raison
politique arabe. Détérminations et maniféstations», un libro che non pretende certo di essere esauriente, nonostante la mole e il corpus,
e che costituisce il terzo volume di un processo di riflessione molto ambiziosa sui fondamenti della cultura araba medioevale predicando una vera modernità politica e culturale.
Inserito nel sottotema «Cultura e crisi d'identità», è un invito al «rinnovamento della ragione politica araba», un invito a trasformare «la
tribù nella nostra società in una non-tribù'»,
«il bottino in una economia di mercato» e «il
credo in una semplice opinione». Tutto ciò
non può awenire se non nel momento in cui si
prende coscienza della «necessità che la democrazia deve passare attraverso la coscienza
delle origini e dei fondamenti del dispotismo»(iO). Non manca, a guida del lettore, un
GENNAIO 1996
vero e propio vademecum per pensare la politica e il pensiero politico: tra gli altri, si consiglia il ~~Dictionnaire
de géopolitique»; il «Dictionnaire des termes politiques, économiques
et sociologiques»; la «Nouvelle histoire des
idées politiques»: insomma una bibliografia
per il pensatore politico, il pensatore della politica e il pensatore del pensiero politico (11).
Dall'altra parte la stampa di parte islamica
continua con discrezione a far avanzare i suoi
pedoni senza mai rinnegare le sue precedenti
posizioni. «Attahqiq» (settimanale vicino alle
posizioni islamiche) titola «Stiamo andando
verso un partito social-islamico?» e «Al Jisr»
(settimanale pro-islamico) sostiene che fino a
pochi anni fa un awicinamento tra il erisveglio
islamico» (nome generico usato dai simpatizzanti per indicare l'insieme dei movimenti islamici) e il movimento nazionale sarebbe stato
impossibile e che, senza gli sforzi fatti e...da
alcuni ..n in questi ultimi anni, sarebbe continuata la lotta tra le due parti mentre la vera
lotta è quella contro l'imperialismo. Un reportage della rivista francese ~L'événementdu
jeudi» dal titolo «Anche in Marocco gli islamici intrappolano la società» è oggetto di un editoriale di «Arraya» (portavoce di «Islah mia
Tajdid», corrente islamica presentata come
moderata): in esso sostiene che nel regno di
Sua Maestà Hassan I1 l'identità musulmana
non ha subito alterazioni, come invece è accaduto con diverse modalità in Tunisia e Algeria,
che il popolo marocchino ha una tradizione di
moderazione e gli islamici locali rifiutano di ricorrere alla violenza. Tra gli altri, due delicati
problemi sono trattati piu' ampiamente: l'insegnamento e l'apostasia. Sul primo le posizioni
sono note e unanimi: islamizzazione e arabizzazione. Sul secondo problema «Arraya»
prende lo spunto dal caso recente di un professore universitario egiziano che, come il giurista e scrittore egiziano al-Ashmawi ritenuto
colpevole di apostasia per i suoi scritti (12). è
stato divorziato d'ufficio dal tribunale. Senza
rinnegare la nozione di apostasia nè mettere in
causa il giudizio emesso in Egitto, pone l'accento sulle numerose eccezioni di cui è costellata l'apostasia e sul fatto che «la mentalità di
esclusione, che parla il linguaggio dei tribunali dell'inquisizione, è stato ed è ancora un
grande danno per l'Islam».
I quotidiani riportano in prima pagina i resoconti delle riunioni ordinarie e straordinarie
tra il Ministero delllInterno e le amministrazioni locali (prefetture, comuni, provincie, regioni) sul tema della decentralizzazione come
forma di democrazia: «I1 Marocco di domani:
una democrazia locale rinforzata da una democrazia regionale», «Piccole e inedie città:
luogo deputato per eccellenza per la realizzazione dello sviluppo», «Armonizzazione urbanistica: un pilastro della decentralizzazione»
(13). Le pagine riservate al BRE (Bureau de
Rapprochement des Entreprises-CEE) sono
dense di annunci delle imprese; gli articoli sul
confronto «Maghreb-Europa: il peso delle
persone, lo shock delle culture», sono sempre
più frequenti. Vi si dibatte di matrimonio, divorzio, eredità, poligamia, poichè gli statuti
che regolano la vita delle persone appartengono a culture differenti e non sono necessariamente conciliabili. Nascono «Le giornate del
diritto magrebino» e riviste specializzate che
trattano dei diritti della famiglia magrebina e
della loro percezione in Europa nell'ambito
GENNAIO 1996
del diritto internazionale privato, del principio
di autonomia della volontà applicato allo statuto personale (il tutto corredato di casi realmente dibattuti), dello statuto personale da
applicare ai «beurs» di seconda generazione
nati e cresciuti in Europa. Intento ancor più
lodevole vista la scarsità degli studi sulla questione da parte marocchina (14). I1 presidente
della Camera dei Rappresentanti, per mezzo
della stampa, per la priina volta fa un bilancio
pubblico delle attività affinchè, nell'era della
comunicazione, venga giustamente valorizzato
il ruolo -e il lavoro di questo importante organo e dichiara che sulla necessità di accelerare
il ritmo dei lavori sono d'accordo tutti, tranne
i deputati del primo gruppo parlamentare per
numero: quello degli assenteisti.
Edicole e librerie, nonstante la difficile situazione dell'editoria, offrono una produzione
crescente di pubblicazioni più o meno omologate. E cosa può esserci di più sottilmente
omologato della tesi di laurea di Mohamed
Ben E1 Hassan Alaoui, figlio erede al trono del
Re Hassan II? Lo compero per curiosità, lo
leggo con interesse, lo conservo come si deve
per il valore documentalistico e bibliografico
sull'iter dello sviluppo dei rapporti CEE/Magreb, ma soprattutto perchè dedica una certa
attenzione al faticoso sviluppo dell'UMA
(Union Maghrébine Arabe) (15). Certo la prefazione non Doteva non essere firmata da un
eminente professore straniero che non fosse almeno «Membre d e l'Academie du Royaume
du Maroc» e, soprattutto, la presentazione non
poteva non essere frutto della penna di niente
di meno che del Ministro degli Interni, Driss
Basri, professore alla Facoltà di Scienze Giuridiche Economiche e Sociali dell'università
Mohammed V di Rabat e profondo conoscitore di problemi di amministrazione territoriale.
Dall'altra DUYte il sindaco di una florida città
di mare, fiero della sua «bureaucratie aui
fonctionne» (come mi dimostra risolvendo hic
et nunc il problema di un cittadino venuto a
lamentarsi di un qualche pasticcio amministrativo e che se ne va lasciandosi dietro una scia
palpabile di incertezza), mi riceve nel suo bell'ufficio della dimensione adatta ad ospitare ritratti reali a grandezza più che naturale. E' fiero della sua bella città méta degli investimenti
in petrodollari e del turismo «à niveau national et intérnationaln (quest'anno in calo a causa della siccità e delle ripercussioni dell'integralistno della vicina Algeria); fiero della Università (facoltà di lettere e di scienze), dell'ospedale e della nuova clinica di 1500 mq dotata di ben quattro unità di dialisi; fiero dri suoi
viaggi in Spagna, Francia, Germania e nei Paesi del Golfo; fiero dell'industria pesante (fosfato, siderurgia) e della florida agricoltura
della regione; fiero del suo senso del dovere
che lo fa rimanere in città e lo costringe
a teu
nere a casa la famiglia che, senza di lui, non
può partire in vacanza.
I1 sindaco di una cittadina capoluogo di una
regione montuosa dell'interno con aspirazioni
turistiche. 35.000 abitanti dediti all'agricoltura
ed all'allevamento, mi riceve molto più modestamente. Alle prese con l'immigrazione dei
giovani, la disoccupazione, la siccità, attivarnente partecipe a varie forme della vita amministrativa locale, parla in tono appassionato
dei suoi cittadini. dei loro problemi e delle
possibilità offerte'dai gemeliagi e dalla cooperazione tra le amministrazioni, della neces&
&
sità (frustrata) «de faire entendre la voix d e la
commune». A mio beneficio elenca le tappe
più significative del «dialogo», iniziato ufficialmente nel 1976, tra il potere centrale e le
amministrazioni locali. Per quanto riguarda la
cooperazione,. per ora l'unica iniziativa esterna
è stata quella offerta da alcuni tedeschi che,
privatamente, hanno organizzato un gruppo
di lavoro e fornito il materiale per la formazione di operai e sarte rifinite, un centinaio di
giovani in tutto.
"
Dall'altra parte sono molte le famiglie a
metà strada fra una tradizione rispettata e una
modernizzazione centellinata. Famiglie come
quella che mi ha tanto amabilmente accolto
nel suo seno. tra le donne con le auali. suwerato il mutuo imbarazzo e diffidenza iniziale. comunico in una lingua
- mista di arabo letterario
e arabo dialettale egiziano-marocchino che ci
diverte e ci unisce. Mi rendono partecipe dei
pasti consumati separatamente noi (donne e
bambini) e loro (gli uomini), dei segreti della
loro cucina, delle confidenze intorno a un tè,
di un pomeriggio dedicato alla decorazione di
mani e piedi con i segni simbolici e augurali
disegnati con la henna. Dall'altra parte, all'uscita dal piccolo santuario méta di pellegrinaggio locale che le mie ospiti hanno insistito per
farmi visitare, una devota musulmana dall'aria
matronale e severa si avvicina e rivolgendosi a
me, infedele, mi redarguisce per la mia mancanza di rispetto dimostrata verso la sua religione. Discutiamo animatamente. riusciamo a
convincerla della nostra buona fede e, forse incuriosita poichè riesco a farmi capire e mi faccio forte della citazione di qualche frammento
del Testo Sacro, ci invita a casa sua dove la mediazione di tè e dolci rende la discussione ~ i ù
serena e appassionante.
I1 suo sorriso è sempre
più luminoso: ci salutiamo tra baci e abbracci,
la promessa di tornare presto e la soddisfazione stampata sul suo viso pieno e felice nel constatare che anche un'infedele puo' conoscere e
rispettare la sua fede.
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NOTE
1) «Ultimo tè a Marrakech», di Toni Maraini, Edizioni Lavoro, 1994
2) Al Bayane, Quotidien politique et d'Information
3 ) Le Courrier de la Nation, Hebdomadaire d'Informations Générales
4) «Consensus ou jeu de consensus?», Rkia e1 Mossadeq, Sochpress, 1995
5 ) Libération/Prologues (Special Livres), Juin 1995,
Editions Maghrebines. SAPRESS, Dossier de Presse n.
130
6 ) Ibidem, A. Sen. «Ethique et économie et autres essais*, P.U.F. 1993, in «Moraliser I'économien, di M. A.
Sinaceur, p. 7
7 ) Ibidem, F. Fukuvama. «La fin de I'histoire et le
dernier hommen, ~ l a m k a r i o n1992, in «L'idéologie bute
sur sa fin», di Driss Khroug, p. 10. e «Le dernier homme
serait-il né?», di Brahim Boutaleb, p. 11
8) Ibidem,O. Carre, «L'Islam laique ou le retour à la
grande tradition*, A. Colin Paris, 1993, in «L'Islam te1
qu'on ne le connait pasn, di Abdelwahab Maalmi, p. 24
9) Ibideni, A. Daher, «Les fondenients philo~ophi~ues
de la laicitén, Dar Saqi 1993 (in arabo), in «La raison pour
uniq~iesentiern, di Mohamed Sghir Janjar. p. 29
10) Ibidem, M. A. Jabri, «La raison politique araben,
Atthaqafi al arabi 1990, in «La croyance, la tribu, le butinn, di M. Noureddine Afaya, p. 21
11) Ibidem, ~Dictionnairede géopolitique», Paris,
Flammarion, 1993; ~Dictionnairedes termes politiques,
économiques et sociologiques» (Qamus al-mustalahat al
siyasiya wa al-iqtisadiya wa al-ijtima'iya, Ed. Ryiad ElRayyes, 1990, per il lettore arabofono); «Nouvelle histoire
des idées politiquesn, Paris, Hachette, 1987; in «La pensée politique dans tous ses étatsn, di A. Labdaoui, p. 31
12) Si veda, ad esempio, «Il Corano e la pace» di Stefano M. Paci in «30 giorni», n. 9, settembre 1995; o
«Progetto di codice di pene coraniche in Egitto» in «Di-
battito sull'applicazione della Shari a», pp. 29-37, Edizioni Fondazione Agnelli, 1995
13) L'Economiste, Hebdomadaire Economique Marocain
14) La Vie Economique e «Les cahiers des droits maghrebinsn, Ed. Mediterranéennes, Settembre 1995 (primo numero)
15) «La coopération entre I'Union Européenne et les
Pays du Maghrebn, Mohamed Ben E1 Hassan Alaoui,
Ed. Nathan - CoUection Edification d'un Etat Moderne. 1994
I1 testamento di Mitterrand
confessione che vogliamo ricordare, proprio
come introduzione al discorso, che riportiamo
quale testamento. L o so, taluni amici federalisti di tipo scolastico osserveranno che sul terreno istituzionale non dice granchè - salvo
l'enfasi sul ruolo del Parlamento Europeo che
lo ospitava - e che non ha pronunziato la parola «federazione»: penso che abbia sottolineato con onestà, al di fuori di ogni lenocinio
retorico, le premesse culturali e morali per cui
si deve essere federalisti.
P.S. Nell'introduzione al discorso-testamento di Mitterrand abbiamo citato le «Memoiresn di Jean Monnet: ebbene, non ci è facile commentare il fatto che nelllIndex delle
«Memoires», tra una folla di persone grandi,
piccole e mediocri, apparse nel lungo cammino della vita di Monnet, non compaia Altiero
Spinelli, che ebbe a collaborare con Monnet
fino a scrivergli alcuni discorsi. Purtroppo la
meschinità della gente non ha limiti: l'entourage di Monnet detestava Spinelli e ha operato
in modo che venisse cancellato dalle «Memoires» (nelle quali si citano diversi altri italiani).
In compenso, quando Mitterrand ha presenziato alla cerimonia per il trasferimento dei
resti mortali di Monnet aux Invalides, nel discorso celebrativo non ha dimenticato di ricordare, fra i padri dell'Europa e della sua
unificazione, Altiero.
U.S.
La primogenitura.. .
(segue da pag 1 l)
espresso riferimento. Possiamo quindi tentare un bilancio prowisorio di questo decennio di vita della Carta europea dell'autonomia locale sintetizzandone nel modo seguen-
te pregi e difetti. Sotto il primo profilo essa è
un documento istituzionale innovativo, sensibile all'evoluzione dei tempi, prezioso strumento di sostegno alle autonomie locali alle
quali apre l'orizzonte europeo. I difetti e i limiti sono quelli propri della struttura del
Consiglio d'Europa, nel quale i membri sono
ancora gli Stati sovrani, che difendono la loro sovranità e quindi i loro ordinamenti nazionali contro le spinte volte ad aprire, anche
in questo campo, le rispettive frontiere alla
messa in comune di principi ispiratori, d i
orientamenti, di esperienze reciproche, le cui
diversità legittime, frutto della storia e della
cultura, vanno tuttavia armonizzate alla ricerca di forme più avanzate di una democrazia, della interdipendenza, di partecipazione,
di libertà per i cittadini e di efficienza nelle
risposte alle esigenze.
NOTE
(1) La redazione della Carta è stata frutto del lavoro svolto da Artur Ladebeck, sindaco di Bielefeld, da
Alida De Jager, segretaria generale del CCE, dal presidente dell'Associazione dei Sindaci di Francia Treminitin, dal prof. Burky dell'università di Ginevra, dal
prof. Gasser dell'università di Basilea - autore di
«Storia della libertà popolare e della democrazia» e di
«L'autonomia comunale e la ricostruzione dell'Europa» - dal giurista spagnolo esule José Semprun Gurrea, e dagli italiani prof. Costantino Mortati, senatore
Giambattista Rizzo, Umberto Serafini, membro della
Direzione Politica Esecutiva del Movimento Comunità, Lamberto Iori, Assessore al Comune di Milano.
La prima conferenza
euromediterranea
(segue da pag. 131
al processo di globalizzazione. Dovrebbe incoraggiare una modernizzazione di strutture
economiche di produzione capace di non trascurare la domanda interna. I1 partneriato
euro-mediterraneo dovrebbe facilitare un
dualismo governato (un rapporto equilibrato
tra la crescita del mercato interno e l'apertura alla competitività internazionale). L'integrazione regionale va rafforzata sostenendo
la cooperazione interregionale transfrontaliera tra le due rive del mediterraneo, in cui non
si può più intraprendere direttamente progetti d'interesse comune (trasporti, turismo,
ambiente, beni culturali). La cooperazione
decentralizzata resta la più adeguata, ma non
può diventare l'alibi dietro cui si nasconde
una riduzione del sostegno e dell'intervento
mensile dell'AICCRE
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Questo numero è stato finito di stampare nel mese di febbraio 1996
ISSN 0010-4973
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L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000
pubblico, lasciando posto solo all'iniziativa
privata.
Per la Ces la logica del libro bianco di Delors (Crescita competitività e occupazione)
andrebbe estesa a tutta la zona euro-mediterranea. I1 che implica tra l'altro la presa in conto del problema del debito esterno.
La modernizzazione imposta dall'esterno
accentua il dualismo economico e sociale delle società mediterranee, la divisione tra le interne e le esterne, tra i lavori in settori moderni collegati alle esportazioni e quelli dei
settori tradizionali del mercato interno, tra le
regioni più avanzate e le regioni in ritardo di
sviluppo.
Per uno sviluppo sostenibile e equilibrato,
occorre concentrarsi prioritariamente su occupazione, istruzione e formazione, acqua,
ambiente e energia. Tutti settori in cui occorre un forte impegno pubblico.
Per la Ces, il sociale non è un capitolo a
parte, una specie di compensazione per gli
esclusi del benessere che il mercato e le sue
leggi assicurano ai gruppi sociali privilegiati.
Tra l'applicazione dei diritti dell'uomo e il
soddisfacimento dei bisogni essenziali (istruzione, salute, lavoro, reddito, casa ecc.) esiste correlazione. Ecco perché la questione
dei diritti e inseparabile dalla questione sociale.
La Ces considera inoltre necessari strumenti istituzionali meglio strutturati. Auspica
un esame di proposte già avanzate (Istituto
per lo sviluppo del mediterraneo, Banca mediterranea o Banca per il co-sviluppo, conferenza per la sicurezza e la cooperazione nel
mediterraneo, Istituzioni di dialogo sociale
ecc.).
Suggerisce inoltre che vengano valutati i
programmi in corso (MED-Urbs, Avicenna,
MED-Invest, Med-Migration ecc.) per ricondurli in un quadro unico e coerente. E tra i
settori di cooperazione prioritaria, rievoca:
- biotecnologie per proteggere e valorizzare i prodotti agricoli mediterranei, e ricerca
per uno sviluppo agricolo sostenibile adeguato (per zone semi-aride ecc.);
- infrastrutture (le reti transeuropee devono allungarsi verso il Sud con programmi
Nord-Sud del Mediterraneo e Sud/Sud);
-R-ST (rilanciare la proposta di un "Centro Euro-mediterraneo di ricerca" su biotecnologia, energia, acqua, sistemi d'irrigazione);
- pianificazione del territorio.
W
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