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audiolibro omaggio(*):9,99 euro
(*) In omaggio con l’ebook su CD,
l’audiolibro “Balharà” (intrigo
sentimentale)
CONTENUTI SPECIALI DI QUESTO E-BOOK:
Lo “Spizz”
La collina più alta
Sara Aldegheri
Sentimentale storico
Trovi la prima parte del
romanzo (circa il 20%
dell’intero volume) in fondo
all’ebook principale.
Inghilterra, XVIII secolo.
Jane ha vent’anni, una famiglia, una casa,
una buona amica e un pretendente. Da un
giorno all’altro, però, tutto le viene
sottratto. Costretta a prendere servizio
presso la dimora del signor Hench, uomo
enigmatico e scontroso che sembra vivere
con l’unico scopo di tormentarla, capirà
che ci sono alcune cose a cui non può
davvero
rinunciare:
la
libertà,
l’indipendenza e l’amore.
ANTONIO SINDONA
S ol o u n a
storia d’amore
www.0111edizioni.com
www.0111edizioni.com
www.ilclubdeilettori.com
Solo una storia d’amore
Copyright © 2011
Zerounoundici Edizioni
Antonio Sindona
ISBN: 978-88-6578-098-5
In copertina:
Immagine fornita dall’Autore
ANDREA
20/12/1980, ore 11.
Era lì, aula A della facoltà di
giurisprudenza, università di Messina.
Diciannove anni, un residuo di acne
ancora in viso, capelli scomposti,
barba lunga, impermeabile stazzonato
stile tenente Colombo e un vago senso
di inadeguatezza. Perché l’esame
sarebbe stato il giorno dopo, e lui
sapeva che non vi sarebbe giunto
preparato. Anzi, a dirla tutta, era in
quella facoltà che si sentiva fuori
luogo.
“Ma
come
fa
a
chiamarsi
‘introduzione alle scienze giuridiche’
una materia che forse non la
capiscono neppure i laureati?”
Appena l’anno prima, finito il liceo
classico, si era iscritto a legge perché
fin da bambino sognava di fare
l’avvocato.
L’avvocato o il presidente della
repubblica.
Da come stava messo ora, forse
sarebbe stata preferibile la seconda
opzione. Dopotutto per fare il
presidente non ci vuole la laurea,
basta la quinta elementare, anche se
bisogna aspettare almeno fino a
cinquant’anni.
In realtà aveva iniziato l’università
così come aveva finito il liceo,
svogliatamente.
Non è che non volesse studiare, e anzi
a scuola alcune materie, poche, le
aveva coltivate con passione. È che
gli piacevano un sacco di cose, alcune
in fondo anche banali, e non gli
restava molto tempo da passare sui
libri, quelli intesi come testi
universitari, perché gli altri li leggeva
eccome.
All’appello
di
giugno
aveva
comunque superato due materie:
storia del diritto romano e istituzioni
di diritto romano, ventisette e ventitré,
neppure troppo male, considerata la
pochissima applicazione.
Era stato assiduo frequentatore delle
affollatissime lezioni, quasi sempre in
prima fila sfruttando la benevolenza
di molti suoi ex compagni di classe,
oggi colleghi, che arrivavano per
tempo e occupavano i primi posti
anche per lui.
Aveva profittato di questa apparente
diligenza in entrambi gli esami. Nel
secondo addirittura, ben sapendo che
il professore lo aveva certamente
riconosciuto,
era
riuscito
magistralmente a interpretare la parte
dello studente molto volenteroso e un
po’ tonto, quello che studia tanto e si
applica ma proprio non ci arriva.
Il professore c’era cascato con tutte le
scarpe e piuttosto che bocciarlo, gli
aveva dato un voto d’incoraggiamento
e parecchi consigli.
Poi però era arrivata l’introduzione
alle scienze giuridiche e “l’avvio a
una definizione assiologica del
diritto” …minchia.
La difficoltà della materia l’aveva
subito depresso e piuttosto che
intensificare lo studio si era lasciato
andare a una sorta di inerzia.
Trascorreva le giornate facendo nulla,
passeggiava,
ascoltava
musica,
leggeva e rifletteva sulla vita e sulla
sua età, fantasticava sul futuro, sulla
ragazza che avrebbe voluto e che non
aveva, poi la sera usciva con gli
amici. Tutto insomma tranne che
studiare.
All’appello di settembre, impreparato
com’era, aveva rinviato l’esame a
ottobre, e da ottobre a dicembre.
Era lì, si era iscritto tra gli ultimi in
elenco e stava seguendo le prove dei
colleghi per cercare di fiutare l’aria,
capire quali fossero le domande più
ricorrenti e le risposte migliori da
dare, nel tentativo di recuperare
qualche
nozione
in
più
e
possibilmente salvarsi all’ultimo
momento.
Il fatto è che, nonostante il rush finale,
la materia non voleva proprio
entrargli in testa. Gli esaminatori poi
erano senza cuore, bocciavano a
destra e a manca e anche ai promossi
mollavano diciotto e venti con sadico
gusto.
Seduto in prima fila si sentiva
tremendamente solo e avrebbe voluto
condividere l’ansia con qualche
collega.
Più che altro cercava qualcuno che
approvasse quello che lui pensava:
questa facoltà fa schifo, i professori
sono dei palloni gonfiati, questa
materia è inutile e i libri sono scritti in
maniera volutamente incomprensibile.
Oltretutto, giusto a voler prendere per
il culo gli studenti, è catalogata pure
come complementare.
Conosceva tanti ragazzi in facoltà, ma
non era particolarmente legato a
nessuno. Studiava da solo e gli amici
più cari erano iscritti altrove o
frequentavano ancora la scuola.
C’erano gli ex compagni del liceo,
quasi metà classe si era iscritta a
Giurisprudenza, ma dopo un anno
qualcuno era già più avanti e altri
erano invece rimasti molto indietro,
alcuni comunque non li sopportava
proprio.
“Quasi quasi me vado, tanto ho
sentito abbastanza da capire che solo
un colpo di culo mi può salvare. Certo
mi piacerebbe essere dell’umore di
quella bionda della terzultima fila che
parla continuamente con quell’altra,
sembra che stia a una festa. Che avrà
da ridere, proprio non lo so. Però è
carina, anzi è proprio bella. Forse è
meglio se resto un’altra mezzoretta,
tanto anche se vado a casa mica
studio. Ora mi ci siedo vicino, così
con indifferenza le guardo le gambe,
vediamo se sono all’altezza del
resto.”
Per quel poco che riusciva a vedere, le
gambe erano in effetti una meraviglia.
Né grasse né magre, muscolose solo
quel tanto da renderle ben slanciate, i
polpacci
torniti,
le
ginocchia
proporzionate, ma soprattutto le
caviglie erano perfette.
Andrea le aveva sempre ritenute la
parte più sexy delle donne, più del
sedere, più del seno e di tutto il resto.
Vedere una signora accavallare le
gambe e mostrare le caviglie lo
stuzzicava molto più che vederla
completamente nuda. Era capace di
restare letteralmente rincretinito a
fantasticare avventure erotiche con
sfondi di ogni tipo e lui naturalmente
assoluto protagonista.
Le ragazze della sua età purtroppo, a
parte il fatto che portavano quasi
sempre i pantaloni, non lo seducevano
abbastanza.
Tranne quella bionda.
Se ne stava seduta lì accanto con una
gonna marrone al ginocchio, le gambe
accavallate
e
le
caviglie
ostentatamente
in
vista
che
dondolavano leggermente.
Pareva quasi farlo apposta, o forse lo
faceva veramente apposta.
In ogni caso, Andrea ne era sicuro,
ogni tanto lo guardava. Di sfuggita,
una frazione di secondo mentre
parlava con l’altra, ma lo guardava.
E adesso che fare? Era quasi
mezzogiorno, tra poco avrebbero
sospeso gli esami della mattina.
Bisognava attaccare discorso, trovare
un’idea per agganciarla, avviare uno
straccio di conversazione, fare
qualcosa insomma.
Andrea era passato in un attimo dalla
depressione preesame alla confusione
più totale.
Non era mai stato intraprendente con
l’altro sesso. A dirla tutta, nei rapporti
che aveva avuto sino a quel momento
erano sempre state le ragazze a
mostrarsi disponibili fino quasi a
obbligarlo a dichiararsi.
Aveva così scoperto che la sua
naturale ritrosia, la riservatezza, l’aria
un po’ trasognata, incuriosivano
moltissimo e funzionavano meglio di
qualunque approccio.
Ma tutto questo andava bene in una
comitiva, nell’ambito di un gruppo in
cui avevi modo di vedere a lungo una
ragazza. Qui invece il tempo
scarseggiava, bisognava cogliere al
volo una qualunque opportunità,
altrimenti addio bionda.
E tuttavia niente da fare, più cercava
qualcosa di originale per rompere il
ghiaccio, più annaspava nel buio.
Si stava ormai facendo l’una e ancora
non si decideva, restava seduto a una
poltrona di distanza muto e rigido
come uno stoccafisso.
Però era sicuro di aver suscitato un
certo interesse. La bionda aveva
ricominciato a parlare con l’altra che
sembrava quasi conoscerlo e ogni
tanto si voltava a guardarlo.
Gli sguardi si erano incrociati più di
una volta e aveva la sensazione che
volesse tacitamente incoraggiarlo a
prendere l’iniziativa.
Ma forse si ingannava.
DANIELA
20/12/1980, ore 11.
Era lì, Aula A della facoltà di
Giurisprudenza,
Università
di
Messina.
Vent’anni, un bel corpo finalmente
slanciato al punto giusto, passato
attraverso
la
robustezza
dell’adolescenza e però via via
migliorato fino alla forma attuale,
capelli biondo cenere tagliati a
scalare, perfetti per il suo viso, e una
consapevolezza tutta nuova di sentirsi
bella e ammirata.
Era già al secondo anno e quindi un
po’ indietro, anzi molto indietro, con
gli esami. Doveva dare ancora quella
maledetta introduzione alle scienze
giuridiche che la stava facendo
penare.
Di materie ne aveva superate quattro e
il fiore all’occhiello era economia
politica, costata enormi sacrifici e un
quasi esaurimento nervoso. Che ne
sapeva lei, con la sua maturità
classica, di grafici, formule algebriche
ed equazioni!
Comunque, col senno di poi, doveva
riconoscere che quella materia le era
giovata
parecchio,
perché
l’avvilimento l’aveva portata, quasi
senza accorgersene, a perdere gli
ultimi chili di troppo.
Negli anni del liceo era stata
femminista, di quelle che non
perdevano un corteo e cantavano gli
slogan alle manifestazioni. A lungo
aveva indossato sempre e soltanto la
divisa d’ordinanza della brava
militante: gonna lunga sformata a
fiori, o in alternativa blue-jeans,
scarpe basse, camicetta e maglione di
lana grossa molto consumato e
possibilmente anch’esso sformato.
All’Università non aveva rinnegato le
sue convinzioni, ma aveva comunque
deciso di svoltare, anche perché
nonostante il gran parlare lei era
sempre rimasta ai margini della
rivoluzione sessuale e della libertà che
gridava nelle strade ai cortei. Che
male c’è, in fondo, a mostrarsi più
carina, a pettinarsi meglio e a curare
l’aspetto fisico?
Da qualche tempo frequentava una
piccola comitiva che non aveva niente
a che vedere con le vecchie
conoscenze della scuola.
I ragazzi erano tutti più grandi,
laureandi o già laureati e anche
benestanti. Il sabato sera si usciva a
cenare
fuori.
Al
ristorante
naturalmente, e vestiti bene.
Gli anni del liceo sembravano
lontanissimi e non le mancavano.
Quando però si fermava a riflettere sui
cambiamenti in corso nella propria
vita non sempre riusciva a concludere
di aver intrapreso la strada migliore.
Una parte di lei era appagata di se
stessa, l’altra, quella forse più vera
che si risvegliava solo a volte, le
provocava
inquietudine
e
la
sensazione di vivere una vita non
completamente sua, fatta di rapporti
superficiali e di convenzioni. Una vita
recitata più che vissuta.
A diciotto anni suonati, ed era ora,
aveva avuto il suo primo ragazzo
incominciando la sua personale
rivoluzione e liberazione sessuale. Gli
amici che frequentava però, a ben
rifletterci, erano tutti ottime persone,
ma troppo perfettini e anche un po’
noiosi. Si parlava soprattutto di studio
e Università e poi ancora di
sistemazione professionale, di sbocchi
e carriere. Tutti serissimi argomenti
che purtroppo non riuscivano ad
appassionarla.
Lei invece, a dire il vero, non aveva
ben chiaro il suo futuro anteriore e
neppure quello prossimo. A volte era
graniticamente certa che si sarebbe
laureata, altre aveva l’impressione di
studiare solo per occupare il tempo
nell’attesa di chissà cosa.
Non era sicura di volersi veramente
impegnare per tutti gli anni necessari,
soprattutto pativa oltremodo la
tensione e lo stress dell’esame e poi, a
dirla tutta, non era completamente
convinta di aver fatto la scelta giusta.
Certo l’immagine di se stessa a
trent’anni, giovane e brillante
avvocatessa o abile investigatrice in
polizia, la affascinava enormemente,
ma il solo pensiero che per arrivarci
avrebbe dovuto sopportare la tragedia
di altri diciassette esami la atterriva.
Comunque era lì, e l’indomani si
sarebbe seduta su una di quelle tre
poltroncine davanti a quegli stronzi
che pareva provassero piacere solo
quando bocciavano qualcuno.
La materia l’aveva studiata, era
preparata ma terribilmente nervosa, e
sapeva che quando era nervosa
esagerava. In tutto. Parlava a voce
alta, rideva per nulla, si agitava.
Aveva pensato di venire un giorno
prima per verificare la preparazione
seguendo le prove dei colleghi, ma era
soltanto riuscita a parlare, anzi a
cazzeggiare tutto il tempo, con
Francesca, la sua amica e compagna
di studio.
Stava quasi per andarsene quando le si
era seduto accanto quel tipo
decisamente improbabile. Capelli
indefinibili, non lisci non ricci e
neppure
ondulati,
cespugliosi
piuttosto, brufoli da quindicenne,
barba vergognosamente non rasata
almeno da due settimane e
impermeabile modello Humphrey
Bogart in Casablanca, nella scena
dell’addio a Ingrid Bergman.
Era sicura che la stesse guardando già
da un po’, cercava di sorprenderlo ma
lui si girava dall’altra parte. Aveva
accavallato le gambe e ora dondolava
la caviglia, quasi mettendosi in
mostra, certa che lui fosse interessato
all’argomento.
Non le dispiaceva affatto che le
guardasse le gambe, provava anzi il
sottile piacere della seduzione.
Mai e poi mai avrebbe immaginato
qualche anno prima ai collettivi e
nelle riunioni studentesche di riuscire
a fare qualcosa di minimamente
paragonabile a questo, e di divertirsi
per giunta. Del resto con la gonna
lunga a fiori e le polacchette sarebbe
stato altamente improbabile.
«Ti dice niente questo tizio seduto
accanto?»
«Lo conosco di vista, andava a scuola
al Maurolico, dovresti ricordartelo
pure tu. Perché ti interessa?»
«Perché se ne sta seduto a una
poltroncina di distanza, muto e fermo
che pare imbalsamato, e ogni tanto mi
guarda.»
«Certo come no, la donna fatale. A
me pare piuttosto che abbia lo sguardo
perso nel vuoto, sarà atterrito per gli
esami, come tutti del resto. Però non è
male, le occhiaie gli arrivano sotto il
naso ma nel complesso ha un suo
fascino.»
«Appunto, il fascino dell’orrido!»
«Non è vero, anzi quell’aria un po’
sbattuta gli dona, se poi togli qualche
stravaganza, tipo l’impermeabile
come quello di mio nonno, devi
ammettere che ha delle qualità. Gli
tagli la barba, gli sistemi in qualche
modo i capelli, gli metti addosso un
abbigliamento decente e diventa
carino.»
«Comunque deve essere povero.»
«Perché?»
«Non lo so, non che mi importi. Però
veste male, è dimesso, sembra che
non se la passi troppo bene.»
«Magari invece è ricchissimo e lo fa
apposta per acchiappare quelle come
te che si incuriosiscono. Guarda che
l’ho capito che ti piace.»
Era quasi l’una e avevano già
chiamato i candidati degli ultimi
esami della mattinata. Fra poco
sarebbero andati tutti a casa,
compreso lo strano personaggio che
pareva osservarla.
Daniela faceva di tutto per incrociare
il suo sguardo, quasi incoraggiandolo
a dire qualcosa, qualunque scemenza
per
iniziare
un
minimo
di
conversazione.
La storia
d’amore
I
«Devi fare esami oggi?»
«No, domani mattina, probabilmente
sul tardi. Dipenderà tutto dalla
percentuale di assenti e bocciati
lampo. Sono il numero 100.»
«Con quella barba di due settimane
non ti faranno nemmeno sedere.»
«Quella me la taglio domani.»
«Oltre alla barba potresti anche darti
una pettinata. Lo dico per te,
aumenteresti senz’altro le tue
chances.»
«Lo terrò a mente. Tu invece?»
«Anch’io devo fare esami domattina,
sono il numero 103, la mia amica è il
104.»
Il ghiaccio era rotto, ora però
bisognava continuare e qui le cose si
complicavano non poco. Dopo le
ultime parole di Daniela era calato di
nuovo il silenzio, il cervello di Andrea
lavorava freneticamente alla disperata
ricerca di qualcosa di originale per
continuare a chiacchierare, aveva
quasi l’impressione di sentire il
rumore delle rotelle che giravano
vorticosamente nella sua testa senza
produrre alcun risultato apprezzabile.
“Sto facendo la figura dell’idiota.”
Daniela era dubbiosa. Aveva preso
l’iniziativa ma ora non sapeva
decidersi. Lui rimaneva di nuovo zitto
e lei non capiva.
Forse aveva esagerato, la battuta sui
capelli poteva risparmiarsela, oppure
molto semplicemente non era così
interessato come a lei era parso.
Aveva
ragione
Francesca,
ultimamente
tendeva
a
sopravvalutarsi. Era un atteggiamento
sbagliato, lo sapeva, del tutto
contrario a quello troppo dimesso di
prima.
Col tempo avrebbe trovato la giusta
misura, ma intanto le piaceva così.
Aveva la sensazione di sentirsi come
il brutto anatroccolo che finalmente
diventa un cigno.
Fino al ginnasio i suoi l’avevano
praticamente marcata a vista. Veniva
accompagnata a scuola e riportata a
casa dai genitori della sua amica del
cuore.
Entravano
e
uscivano
dall’edificio sempre e soltanto dalla
porta secondaria. A parte i compagni
di classe, e solo per il tempo che
trascorreva in aula, non aveva avuto
una conoscenza maschile. Aveva il
permesso di uscire unicamente nel
pomeriggio e soltanto con alcune
amiche, più imbranate di lei. Alle otto
di sera poi scattava il coprifuoco.
Quello era l’orario in cui rientrava dal
lavoro suo padre.
Al liceo aveva cambiato scuola e
conquistato un po’ più di libertà. Con
i nuovi compagni era poi scattato
l’impegno politico: riunioni, collettivi,
lotta per la parità, cortei e
manifestazioni.
Quegli anni però non l’avevano
convinta del tutto, la spregiudicatezza
delle idee e dei discorsi restavano in
superficie senza attraversarla.
In ogni caso, passato il liceo, l’aveva
fatta finita con tutto. Era pure
dimagrita e si era lasciata crescere i
capelli.
Sentiva di essersi ormai liberata dalle
scorie di una educazione troppo
repressiva,
così
come
dalle
esagerazioni studentesche.
Andrea intanto era come paralizzato.
Succedeva sempre così, ogni volta che
una ragazza gli piaceva, e solo di
recente aveva imparato a fare di
necessità virtù. Con le ragazze non ci
provava più nel senso classico del
termine, aveva capito che forse valeva
la pena di assecondare la sua natura.
Insomma piuttosto che dire scemenze
per far colpo, meglio star zitto.
L’estate precedente, al campeggio, era
stato l’unico fra gli amici della sua
combriccola a farsi una ragazza,
Alessandra, proprio in questo modo.
L’aveva avvicinata per primo il suo
amico
Giovanni
piantando
la
bandierina di conquista come al
risiko. Andrea per lealtà verso il
compagno, nonostante si sentisse
attratto da lei, si era fatto da parte.
Sciolto dall’obbligo di dover essere
simpatico e divertente a tutti i costi, se
ne stava quasi sempre zitto o lasciava
la comitiva e se ne andava per fatti
suoi. Dopo un po’ si era ritrovato
Alessandra dappertutto. Andava a
farsi la doccia ed era lì, scendeva in
spiaggia da solo e lei arrivava e
stendeva l’asciugamano accanto al
suo, passeggiava in pineta e gli si
materializzava a fianco. Finché una
sera l’aveva baciato confessandogli di
essere attratta da lui, di aver capito
che era diverso da tutti gli altri, che
era sensibile e sognatore come lei.
Andrea naturalmente non l’aveva
contraddetta, anche perché in cuor suo
sapeva che in fondo era veramente
così. In ogni caso aveva concluso che
le donne sono proprio strane: mezza
popolazione maschile del campeggio
andava dietro ad Alessandra, il suo
amico ci perdeva il sonno, e lei si
invaghiva dell’unico ragazzo che
apparentemente
non
sembrava
interessato a lei.
La storia non era sopravvissuta alla
vacanza ma gli aveva fatto proprio
bene.
Adesso però in quell’aula era
combattuto, da una parte credeva di
star facendo una monumentale figura
di merda e temeva di perdere
l’ennesima
occasione,
dall’altra
percepiva, fiutava che forse andava
bene anche così.
Tutto sommato era stata lei a prendere
l’iniziativa e ora sembrava quasi che
lo stesse pesando, sentiva addosso i
suoi sguardi che lo trapassavano,
aveva la netta sensazione che lei
stesse valutando l’eventualità di
continuare, o finirla lì.
«Senti sono stanca, me ne vado a
casa. Tu resti o vieni via?»
«Vengo anch’io, tanto qui per
stamattina non c’è altro da vedere.»
«Io vado a piedi, abito poco oltre
piazza Cairoli. Tu?»
«Io no. Cioè io abito più in periferia,
ma ho la macchina vicino alla piazza,
posso accompagnarti per un po’.»
«Cosa fai nella vita? Voglio dire oltre
a lasciarti crescere la barba e a non
curarti i brufoli.»
«Niente di particolare, quello che fai
anche tu. Studio, vorrei laurearmi e
fare l’avvocato. Però…»
«Però cosa?»
«Giurisprudenza fino a oggi è stata
una grandissima delusione.»
* * *
Daniela, salutato Andrea, si era diretta
verso casa. In realtà non era così
vicina come gli aveva lasciato
credere, ma non voleva che lui la
accompagnasse fin sotto al palazzo.
Non lo conosceva abbastanza, anzi
non lo conosceva affatto, ora che ci
pensava non sapeva neppure il suo
nome. Non glielo aveva chiesto e lui
ovviamente non glielo aveva detto,
visto che a quanto pare parlava solo se
interrogato.
Camminando si specchiava nelle
vetrine del viale San Martino e si
sorprendeva a sorridersi. Proprio così,
passeggiava senza fretta, si guardava
riflessa e rideva.
Eppure non avrebbe dovuto.
Era a meno di ventiquattrore
dall’esame. Il rigido copione delle
precedenti vigilie aveva sempre messo
in scena stomaco chiuso, crampi,
nausea, capogiri, depressione e voglia
di morire.
Fino a prima mattinata tutto si era
svolto secondo normalità. Dopo
colazione aveva vomitato poi, quando
i crampi allo stomaco erano diventati
insopportabili, si era affidata alla
solita pillola e infine, prima di andare
in facoltà, aveva preso le canoniche
venti gocce per il mal di testa.
Ora invece stava benissimo, aveva
anche fame.
Andrea, appena lasciata Daniela, era
tornato indietro lungo la stessa via. La
macchina
in
realtà
l’aveva
parcheggiata
vicino
alla
circonvallazione,
esattamente
all’opposto di piazza Cairoli. Aveva
mentito per poterla accompagnare.
Quella bugia, a ben pensarci, era stata
l’unica alzata d’ingegno di tutta la
mattinata.
Comunque era certo di averla, se non
conquistata, almeno incuriosita.
Come si chiamava? Non lo sapeva.
Possibile? Possibile sì, visto che non
le aveva neppure chiesto il nome. E
nemmeno le aveva detto il suo.
Forse non era partito troppo bene. Ma
domani si sarebbero certamente
rivisti.
Mentre camminava aveva netta,
precisa, stampata nella mente
l’immagine di lei. E gli piaceva.
Però tutto quel tempo da trascorrere
prima
della
mattina
seguente
diventava un problema serio. Sapeva
di dover studiare duramente per
cercare di migliorare in extremis la
preparazione, ma per farlo avrebbe
dovuto smettere di pensare a quella
ragazza e non era certo di riuscirci.
Era invece sicuro che si sarebbe
arreso
senza
condizioni,
abbandonandosi a sognare a occhi
aperti.
II
Ore dieci, Aula A della facoltà di
giurisprudenza, la stessa del giorno
prima. Andrea era lì dalle otto e
trenta, invano intento a concentrarsi
sullo studio. Le venti ore precedenti
erano state un incubo.
In famiglia tutti avevano capito che
qualcosa non andava.
Durante il pomeriggio la mamma, con
le scuse più banali, era entrata e uscita
dalla sua stanza trovandolo sempre
con i gomiti appoggiati alla scrivania,
le mani a reggere il capo e lo sguardo
perso nel vuoto.
Sua sorella, già laureata, si era offerta
più volte di farlo ripetere, ma lui
aveva decisamente rifiutato.
Il padre per fortuna lavorava fino a
tardi e comunque era sempre molto
discreto.
Fino a sera insomma era rimasto
inebetito sui libri o a ciondolare per
casa. A cena poi aveva mangiato
come un lupo, cosa che faceva sempre
quando aveva qualche problema, ed
era andato subito a letto sperando di
riuscire a dormire e poi svegliarsi al
mattino presto per ripassare.
La nottata invece era stata tremenda,
si era girato e rigirato inutilmente
senza
prendere
sonno,
aveva
l’impressione
di
non
essersi
addormentato un solo minuto.
L’aveva pensata e immaginata in ogni
situazione e con tutte le possibili
varianti: lei che gli dichiarava il suo
amore; lei che stava con un altro
ragazzo e lui li vedeva baciarsi; lei
che lasciava l’altro per lui; lei che
tornava con l’altro lasciando lui.
E poi: loro due insieme; loro due che
facevano l’amore; loro due che si
sposavano. E ancora: lei che lo tradiva
spudoratamente; lei che pensava che
lui la tradisse, ma non era vero perché
lui amava solo lei.
Alle sei e mezzo di mattina aveva
preso il libro solo per compiacere sua
mamma lasciandole intendere che
stava ripassando la materia.
Alle sette e mezzo aveva deciso di
sbrigarsi per uscire.
Si era fatto la barba, tagliandosi più
del solito, e poi aveva indossato la
tenuta da esame: pantalone blu scuro,
camicia azzurra con i bottoni al
colletto e maglione girocollo, blu pure
quello. Aveva lasciato perdere i
capelli, tanto non era cosa, ed era
uscito.
La facoltà doveva ancora aprire e lui
si trovava già lì.
Seguiva gli esami con l’occhio
incollato all’entrata per vederla
arrivare.
Alle dieci e trenta ancora niente.
Cominciava a temere che le fosse
successo qualcosa.
Alle dieci e quarantacinque, quando
lui era già quasi nel baratro, Daniela
era entrata insieme alla sua amica,
l’aveva visto e gli si era seduta
accanto.
«Ma che faccia hai? Sembri uno
zombie.»
«In effetti non ho dormito molto
stanotte, ho cercato di ripassare.»
«Io invece no, credo di essere
abbastanza preparata e poi all’ultimo
momento non si conclude mai
niente.»
Veramente Daniela non aveva quasi
studiato.
All’ora di pranzo era tornata a casa e
aveva mangiato di gusto, la prima
volta che accadeva alla vigilia di un
esame.
Aveva visto un po’ di televisione ed
era andata a riposarsi.
Nel pomeriggio, dopo due ore di
sonno, cosa anche questa fuori dal
comune, aveva chiamato Francesca ed
era rimasta incollata al telefono.
L’argomento di conversazione, manco
a dirlo, era stato lui.
Francesca aveva detto che era carino.
E
poi
quell’aria
indefinibile.
Sembrava un intellettuale che vivesse
fra le nuvole. Comunque aveva la
faccia da gatto, sì, sembrava un gatto.
Che età aveva?
Il fisico non era male, un po’ bassino
ma proporzionato, troppo magro
forse. Ma dopotutto meglio magro che
grasso. Peccato per quei brufoli. Però
non erano molti, se ne sarebbero
andati.
Finito con Francesca, tramortita dalle
chiacchiere, verso le sei di pomeriggio
si era seduta finalmente alla scrivania.
Ma aveva concluso zero. Senza
prendersela, però.
A sera, novità assoluta prima di un
esame, aveva cenato regolarmente con
i suoi.
Sua mamma, testimone muta e
dolente di tutte le vigilie tristi, non
sapeva raccapezzarsi. La vedeva fare
cose mai fatte, la sentiva ridere al
telefono, e la guardava esterrefatta
mangiare con appetito. Più di una
volta le aveva chiesto se per caso non
avessero rinviato gli esami, o avesse
deciso di non presentarsi.
Quell’atteggiamento
non
la
convinceva, c’era sotto qualcosa.
Lei comunque era andata a letto
presto come ogni volta e aveva
faticato a prendere sonno, ma non per
la paura dell’esame.
La mattina si era alzata fresca e
riposata.
Appena sveglia in effetti, passato lo
stato di grazia del giorno prima, la
paura dell’esame l’aveva azzannata,
ma non come le altre volte.
Non aveva vomitato, né era stata
preda dei soliti crampi. Dopo
colazione aveva preso i libri ed era
persino riuscita a ripassare qualcosa.
Verso le dieci e mezza, con calma, era
uscita di casa. Tanto l’esame non
sarebbe stato prima dell’una o
addirittura nel pomeriggio.
«Come ti sei vestito? Sembri un
becchino.»
«Per essere più serio, mi sono anche
fatto la barba.»
«E ti sei tagliato tutta la faccia. E i
capelli?»
«Per quelli non c’è speranza meglio
lasciarli così.»
«Allora hai ripassato?»
«Poco.»
«Come ti senti?»
«Mi sento che non so un cazzo.»
«Scusa ma perché vuoi fare l’esame?
Rinvia a febbraio.»
«Non posso, ho già rinviato a
settembre e poi a ottobre. Se non
faccio l’esame corro il rischio di non
poter più tornare a casa.»
«Addirittura?»
«Nella mia famiglia su queste cose si
scherza poco. Mia sorella più grande
si è già laureata, in corso e
brillantemente, il suo ragazzo pure.
Tutti e due in giurisprudenza. Se
consideriamo i parenti stretti, e sono
tanti, quasi tutti i miei cugini più
grandi hanno preso la laurea col
massimo dei voti. Non ho scampo.»
«Ma non è peggio se ti bocciano?»
«No. Posso sempre raccontare di
essermi confuso o che il professore mi
ha fatto cadere su un argomento che
non era nel programma. Anche se è
molto difficile che se la bevano.»
«Insomma non stai messo bene.»
«Puoi dirlo.»
«Aspetta, stanno dicendo qualcosa.»
“Per questa mattina gli esami
chiuderanno con il numero cento, i
candidati dal numero centouno al
centoventi dovranno ripresentarsi nel
pomeriggio a partire dalle quindici.”
«Meglio così almeno mi cavo il dente
subito.»
Alle dodici e quarantacinque era stato
chiamato, ultimo studente della
mattinata.
Nella prima risposta aveva confuso
qualcosa ma era passato indenne, alla
seconda erano incominciati i guai, la
terza aveva sancito il crollo.
Bocciato in meno di un quarto d’ora.
Daniela non era andata via. Aveva
aspettato al suo posto che lui finisse.
«È andata male.»
«Infatti. Scusami, me ne voglio
andare subito.»
«Aspetta, parliamo da due giorni e
non ci siamo nemmeno presentati.»
«Hai ragione, Andrea Scuderi.»
«Piacere, Daniela Giordano.»
«Allora ciao, in bocca al lupo per i
tuoi esami.»
III
Ma che gli era preso, era andato via
come un fulmine quasi senza
salutarla.
Se lei non glielo avesse detto, non
avrebbe saputo neppure il suo nome.
Avrebbe potuto seguire i suoi esami
nel pomeriggio e invece non aveva
fatto neanche quello.
La bocciatura l’aveva reso furioso.
Ma perché? In fondo era prevedibile.
Anzi, vista la poca preparazione, era
la cosa più probabile.
E allora perché se l’era presa così
tanto?
Non riusciva a darsi una spiegazione
logica. Ma dentro di sé sapeva che la
risposta era lei. Era per lei che
avrebbe voluto superare la materia.
Non voleva ammetterlo ma si sentiva
umiliato, si rivedeva seduto davanti
alla cattedra a farfugliare in preda alla
confusione più totale e avrebbe voluto
spararsi.
È vero, glielo aveva detto di non
essere preparato. Ma lui non era quel
ragazzo balbettante e impaurito cui il
professore aveva restituito con
disprezzo il libretto universitario. Era
di più e di meglio. E correva il rischio
di non farglielo sapere mai.
Si sarebbe dovuto fermare un poco,
accompagnarla a casa come il giorno
prima e magari aprirsi di più,
spiegarle i suoi pensieri, raccontargli
di lui. E invece niente.
La vergogna e l’umiliazione della
bocciatura l’avevano sopraffatto e non
era stato capace di riprendere al volo
la situazione.
Sentiva di avere un talento naturale
nel fare sempre le scelte sbagliate. E
adesso?
Sapeva solo il nome e che abitava
dalle parti di piazza Cairoli.
Era molto probabile, se avesse
superato l’esame, che dopo le vacanze
di Natale avrebbe cominciato a
seguire le lezioni di diritto privato.
Anche lui se le sarebbe sciroppate.
Forse non tutto era perduto.
Se poi non l’avesse vista alle lezioni,
si sarebbe messo a pattugliare giorno
e notte i dintorni del viale San
Martino, prima o dopo l’avrebbe
certamente incontrata di nuovo.
In famiglia comunque non era andata
troppo male. La colpa della bocciatura
se l’era beccata il professore che
l’aveva fatto cadere su una domanda
incomprensibile.
Sua sorella gli aveva retto il gioco
dichiarando che quello era un vero
stronzo che faceva sempre così e sua
mamma non si era lamentata troppo,
anche se Andrea aveva capito che era
ormai arrivata al limite della
tolleranza.
In casa non erano troppo abituati a
bocciature e voti bassi, dopo la tregua
armata di Natale la mamma sarebbe
certamente partita all’attacco con le
prediche.
Tutta colpa di Valeria, così si
chiamava sua sorella, che aveva avuto
una carriera scolastica e universitaria
brillante che lui, fratello più piccolo,
era sempre stato costretto a inseguire.
In realtà erano molto simili e la
differenza d’età di quasi cinque anni
non s’avvertiva più. Andrea si
confidava con lei e le aveva rivelato
di aver conosciuto una ragazza
bellissima.
Daniela
aveva
lasciato
l’aula
sconcertata.
Va bene che era stato bocciato e non
poteva certo fare salti di gioia, però
liquidarla così!
Non glielo avesse chiesto lei, neppure
il suo nome le avrebbe detto.
Era tornata in facoltà al pomeriggio
molto meno determinata di alcune ore
prima. L’aveva cercato con lo sguardo
ma lui non c’era.
A casa, all’ora di pranzo, era riuscita a
mandar giù solo pochi cucchiai di
pastina, che naturalmente aveva
vomitato subito.
Prima di presentarsi all’esame aveva
dato fondo a tutta la farmacia che si
portava nella borsa per ogni
evenienza.
Lo stato di grazia delle ultime
ventiquattrore era improvvisamente
svanito.
La tensione, salita via via con
l’approssimarsi della chiamata, aveva
fatto sì che si sedesse infine davanti
alla cattedra preda del solito
nervosismo.
Il docente per fortuna non era tra i più
cattivi, aveva cercato subito di
tranquillizzarla e così erano trascorsi
senza danni i primi minuti che per lei
si rivelavano sempre decisivi.
L’esame era così andato liscio fino
alle domande finali, quelle sul negozio
giuridico. Lì si era inspiegabilmente
confusa e al professore non era
rimasto che promuoverla nella parte
generale
della
materia,
con
l’esclusione del negozio per il quale
avrebbe dovuto presentarsi all’appello
successivo.
Nonostante
tutto
era
molto
soddisfatta. Il negozio giuridico in
fondo rappresentava solo una piccola
parte
che
avrebbe
potuto
tranquillamente ripassare qualche
settimana prima dell’appello di
febbraio. L’incubo introduzione,
intanto, era svanito.
Adesso l’aspettavano le feste di
Natale e poi, a gennaio, una bella
settimana bianca.
Prima dell’esame infatti aveva preso
un mezzo accordo con Rosanna, la
cugina di Brescia. Sarebbero andate a
sciare al Passo del Tonale se lei fosse
stata promossa.
IV
Il panico prima e la soddisfazione
subito
dopo
avevano
momentaneamente
accantonato
Andrea dalla mente di Daniela, ma
quella faccia e quell’espressione da
gatto erano prepotentemente tornate
ad affollare i suoi pensieri quando
tutto era finito.
Trascorsi
ormai
due
giorni
dall’esame, si aggirava indolente per
la casa, si sdraiava sul letto per
leggere qualcosa, accendeva lo stereo,
poi la televisione, senza riuscire a
trovar pace.
Aveva voglia di rivederlo, sentiva la
sua mancanza.
Tutto questo era illogico. Come
poteva aver bisogno di qualcuno che
conosceva così poco?
Ma intanto era così. Doveva prendere
atto della situazione. Voleva rivederlo
e avrebbe trovato il modo.
Quei due giorni d’attesa poi l’avevano
convinta che se avesse aspettato lui,
sarebbero arrivati alla laurea prima di
parlarsi di nuovo.
Bisognava ancora una volta prendere
l’iniziativa.
Daniela però non sapeva dove abitava,
qual era il suo telefono e come
rintracciarlo.
Nella sua mente si accavallavano
disegni e strategie ma non veniva a
capo di nulla.
Finalmente, sentita Francesca, che
peraltro era stata promossa per intero
e non “quasi” come lei, aveva
escogitato un piano e si accingeva a
metterlo in pratica.
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