Maestra di libertà
Oriana Fallaci, la sua lezione su
Libero: la profezia sull'Islam
fanatico, gli insulti della sinistra, i
processi
Il testo di cui oggi iniziamo la pubblicazione - per gentile concessione di Edoardo Perazzi, nipote e
erede della Fallaci - è quello di un discorso pronunciato da Oriana Fallaci nel novembre del 2005.
La grande toscana fu insignita del Annie Taylor Award, un premio conferito dal Centro Studi di
cultura popolare di New York. Il suo discorso, in versione integrale inglese, fu pubblicato pochi
giorni dopo da Il Foglio. Poi, il primo dicembre del 2005, Libero ne pubblicò la versione italiana,
col permesso della stessa Fallaci, che volle rivederne personalmente la forma (modificandola
tramite memorabili telefonate con l'allora responsabile delle pagine culturali Alessandro Gnocchi).
Abbiamo deciso di ripubblicare questo testo perché pensiamo che oggi, a quasi dieci anni di
distanza, sia più attuale che mai.
Oriana Fallaci, maestra di libertà
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1. "Mi vogliono morta perché dico la verità"
Bé: un premio intitolato a una donna che saltò sopra le Cascate del Niagara, e sopravvisse, è mille
volte più prezioso e prestigioso ed etico di un Oscar o di un Nobel: fino a ieri gloriose onorificenze
rese a persone di valore ed oggi squallide parcelle concesse a devoti antiamericani e antioccidentali
quindi filoislamici. Insomma a coloro che recitando la parte dei guru illuminati che definiscono
Bush un assassino, Sharon un criminale-di-guerra, Castro un filantropo, e gli Stati Uniti «lapotenza-più-feroce, più-barbara, più-spaventosa-che-il-mondo-abbia-mai-conosciuto». Infatti se mi
assegnassero simili parcelle (graziaddio un’eventualità più remota del più remoto Buco Nero
dell’Universo), querelerei subito le giurie per calunnia e diffamazione. Al contrario, accetto questo
«Annie Taylor» con gratitudine e orgoglio. E pazienza se sopravvaluta troppo le mie virtù.
Sì: specialmente come corrispondente di guerra, di salti ne ho fatti parecchi. In Vietnam, ad
esempio, sono saltata spesso nelle trincee per evitare mitragliate e mortai. Altrettanto spesso sono
saltata dagli elicotteri americani per raggiungere le zone di combattimento. In Bangladesh, anche da
un elicottero russo per infilarmi dentro la battaglia di Dacca. Durante le mie interviste coi
mascalzoni della Terra (i Khomeini, gli Arafat, i Gheddafi eccetera) non meno spesso sono saltata in
donchisciotteschi litigi rischiando seriamente la mia incolumità. E una volta, nell’America Latina,
mi sono buttata giù da una finestra per sfuggire agli sbirri che volevano arrestarmi.
Però mai, mai, sono saltata sopra le Cascate del Niagara. Né mai lo farei. Troppo rischioso, troppo
pericoloso. Ancor più rischioso che palesare la propria indipendenza, essere un dissidente cioè un
fuorilegge, in una società che al nemico vende la Patria. Con la patria, la sua cultura e la sua civiltà
e la sua dignità. Quindi grazie David Horowitz, Daniel Pipes, Robert Spencer. E credetemi quando
dico che questo premio appartiene a voi quanto a me. A tal punto che, quando ho letto che
quest’anno avreste premiato la Fallaci, mi sono chiesta: «Non dovrei esser io a premiare loro?». E
per contraccambiare il tributo volevo presentarmi con qualche medaglia o qualche trofeo da
consegnarvi. Mi presento a mani vuote perché non sapevo, non saprei, dove comrpare certa roba.
Con le medaglie e i trofei ho un’esigua, davvero esigua, familiarità. E vi dico perché.
Anzitutto perché crediamo di vivere in vere democrazie, democrazie sincere e vivaci nonché
governate dalla libertà di pensiero e di opinione. Invece viviamo in democrazie deboli e pigre,
quindi dominate dal dispotismo e dalla paura. Paura di pensare e, pensando, di raggiungere
conclusioni che non corrispondono a quelle dei lacchè del potere. Paura di parlare e, parlando, di
dare un giudizio diverso dal giudizio subdolamente imposto da loro. Paura di non essere
sufficientemente allineati, obbedienti, servili, e venire scomunicati attraverso l’esilio morale con cui
le democrazie deboli e pigre ricattano il cittadino. Paura di essere liberi, insomma. Di prendere
rischi, di avere coraggio.
«Il segreto della felicità è la libertà. E il segreto della libertà è il coraggio», diceva Pericle. Uno che
di queste cose se ne intendeva. (Tolgo la massima dal secondo libro della mia trilogia: La Forza
della ragione. E da questo prendo anche il chiarimento che oltre centocinquanta anni fa Alexis de
Tocqueville fornì nel suo intramontabile trattato sulla democrazia in America). Nei regimi
assolutisti o dittatoriali, scrive Tocqueville, il dispotismo colpisce il corpo. Lo colpisce mettendolo
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in catene o torturandolo o sopprimendolo in vari modi. Decapitazioni, impiccagioni, lapidazioni,
fucilazioni, Inquisizioni eccetera. E così facendo risparmia l’anima che intatta si leva dalla carne
straziata e trasforma la vittima in eroe. Nelle democrazie inanimate, invece, nei regimi inertamente
democratici, il dispotismo risparmia il corpo e colpisce l’anima. Perché è l’anima che vuole mettere
in catene. Torturare, sopprimere. Così alle sue vittime non dice mai ciò che dice nei regimi
assolutisti o dittatoriali: «O la pensi come me o muori». Dice: «Scegli. Sei libero di non pensare o
di pensare come la penso io. Se non la pensi come la penso io, non ti sopprimerò. Non toccherò il
tuo corpo. Non confischerò le tue proprietà. Non violenterò i tuoi diritti politici. Ti permetterò
addirittura di votare. Ma non sarai mai votato. Non sarai mai eletto. Non sarai mai seguito e
rispettato. Perché ricorrendo alle mie leggi sulla libertà di pensiero e di opinione, io sosterrò che sei
impuro. Che sei bugiardo, dissoluto, peccatore, miserabile, malato di mente. E farò di te un
fuorilegge, un criminale. Ti condannerò alla Morte Civile, e la gente non ti ascolterà più. Peggio.
Per non essere a sua volta puniti, quelli che la pensano come te ti diserteranno». Questo succede,
spiega, in quanto nelle democrazie inanimate, nei regimi inertamente democratici, tutto si può dire
fuorché la Verità. Perché la Verità ispira paura. Perché, a leggere o udire la verità, i più si arrendono
alla paura. E per paura delineano intorno ad essa un cerchio che è proibito oltrepassare. Alzano
intorno ad essa un’invisibile ma insormontabile barriera dentro la quale si può soltanto tacere o
unirsi al coro. Se il dissidente oltrepassa quella linea, se salta sopra le Cascate del Niagara di quella
barriera, la punizione si abbatte su di lui o su di lei con la velocità della luce. E a render possibile
tale infamia sono proprio coloro che segretamente la pensano come lui o come lei, ma che per
convenienza o viltà o stupidità non alzano la loro voce contro gli anatemi e le persecuzioni. Gli
amici, spesso. O i cosiddetti amici. I partner. O i cosiddetti partner. I colleghi. O i cosiddetti
colleghi. Per un poco, infatti, si nascondono dietro il cespuglio. Temporeggiano, tengono il piede in
due staffe. Ma poi diventano silenziosi e, terrorizzati dai rischi che tale ambiguità comporta, se la
svignano. Abbandonano il fuorilegge, il criminale, al di lui o al di lei destino e con il loro silenzio
danno la loro approvazione alla Morte Civile. (Qualcosa che io ho esperimentato tutta la vita e
specialmente negli ultimi anni. «Non ti posso difendere più» mi disse, due o tre Natali fa, un famoso
giornalista italiano che in mia difesa aveva scritto due o tre editoriali. «Perché?» gli chiesi tutta
mesta. «Perché la gente non mi parla più. Non mi invita più a cena»).
***
L’altro motivo per cui ho un’esigua familiarità con le medaglie e i trofei sta nel fatto che soprattutto
dopo l’11 Settembre l’Europa è diventata una Cascata del Niagara di Maccartismo sostanzialmente
identico a quello che afflisse gli Stati Uniti mezzo secolo fa. Sola differenza, il suo colore politico.
Mezzo secolo fa era infatti la Sinistra ad essere vittimizzata dal Maccartismo. Oggi è la Sinistra che
vittimizza gli altri col suo Maccartismo. Non meno, e a parer mio molto di più, che negli Stati Uniti.
Cari miei, nell’Europa d’oggi v’è una nuova Caccia alle Streghe. E sevizia chiunque vada contro
corrente. V’è una nuova Inquisizione. E gli eretici li brucia tappandogli o tentando di tappargli la
bocca.
Eh, sì: anche noi abbiamo i nostri Torquemada. I nostri Ward Churchill, i nostri Noam Chomsky, i
nostri Louis Farrakhan, i nostri Michael Moore eccetera. Anche noi siamo infettati dalla piaga
contro la quale tutti gli antidoti sembrano inefficaci. La piaga di un risorto nazi-fascismo. Il
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nazismo islamico e il fascismo autoctono. Portatori di germi, gli educatori cioè i maestri e le
maestre che diffondono l’infezione fin dalle scuole elementari e dagli asili dove esporre un Presepe
o un Babbo Natale è considerato un «insulto-ai-bambini-Mussulmani».
I professori (o le professoresse) che tale infezione la raddoppiano nelle scuole medie e la esasperano
nelle università. Attraverso l’indottrinazione quotidiana, il quotidiano lavaggio del cervello, si sa.
(La storia delle Crociate, ad esempio, riscritta e falsificata come nel 1984 di Orwell. L’ossequio
verso il Corano visto come una religione di pace e misericordia. La reverenza per l’Islam visto
come un Faro di Luce paragonato al quale la nostra civiltà è una favilla di sigaretta). E con
l’indottrinazione, le manifestazioni politiche. Ovvio. Le marce settarie, i comizi faziosi, gli eccessi
fascistoidi. Sapete che fecero, lo scorso ottobre, i giovinastri della Sinistra radicale a Torino?
Assaltarono la chiesa rinascimentale del Carmine e ne insozzarono la facciata scrivendoci con lo
spray l’insulto «Nazi-Ratzinger» nonché l’avvertimento: «Con le budella dei preti impiccheremo
Pisanu». Il nostro Ministro degli Interni. Poi su quella facciata urinarono. (Amabilità che a Firenze,
la mia città, non pochi islamici amano esercitare sui sagrati delle basiliche e sui vetusti marmi del
Battistero). Infine irruppero dentro la chiesa e, spaventando a morte le vecchine che recitavano il
Vespro, fecero scoppiare un petardo vicino all’altare. Tutto ciò alla presenza di poliziotti che non
potevano intervenire perché nella città Politically Correct tali imprese sono considerate Libertà-diespressione. (A meno che tale libertà non venga esercitata contro le moschee: s’intende). E inutile
aggiungere che gli adulti non sono migliori di questi giovinastri. La scorsa settimana, a Marano,
popolosa cittadina collocata nella provincia di Napoli, il Sindaco (ex seminarista, ex membro del
Partito Comunista Italiano, poi del vivente Partito di Rifondazione Comunista, ed ora membro del
Partito dei Comunisti Italiani) annullò tout-court l’ordinanza emessa dal commissario prefettizio per
dedicare una strada ai martiri di Nassiriya. Cioè ai diciannove militari italiani che due anni fa i
kamikaze uccisero in Iraq. Lo annullò affermando che i diciannove non erano martiri bensì
mercenari, e alla strada dette il nome di Arafat. «Via Arafat». Lo fece piazzando una targa che disse:
«Yasser Arafat, simbolo dell’Unità (sic) e della Resistenza Palestinese». Poi l’interno del municipio
lo tappezzò con gigantesche foto del medesimo, e l’esterno con bandiere palestinesi.
***
La piaga si propaga anche attraverso i giornali, la Tv, la radio. Attraverso i media che per
convenienza o viltà o stupidità sono in gran maggioranza islamofili e antioccidentali e antiamericani
quanto i maestri, i professori, gli accademici. Che senza alcun rischio di venir criticati o beffati
passano sotto silenzio episodi come quelli di Torino o Marano. E in compenso non dimenticano mai
di attaccare Israele, leccare i piedi all’Islam. Si propaga anche attraverso le canzoni e le chitarre e i
concerti rock e i film, quella piaga. Attraverso uno show-business dove, come i vostri ottusi e
presuntuosi e ultra-miliardari giullari di Hollywood, i nostri giullari sostengono il ruolo di buonisti
sempre pronti a piangere per gli assassini. Mai per le loro vittime. Si propaga anche attraverso un
sistema giudiziario che ha perduto ogni senso della Giustizia, ogni rispetto della giurisdizione.
Voglio dire attraverso i tribunali dove, come i vostri magistrati, i nostri magistrati assolvono i
terroristi con la stessa facilità con cui assolvono i pedofili. (O li condannano a pene irrisorie). E
finalmente si propaga attraverso l’intimidazione della buona gente in buona fede. Voglio dire la
gente che per ignoranza o paura subisce quel dispotismo e non comprende che col suo silenzio o la
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sua sottomissione aiuta il risorto nazi-fascismo a fiorire. Non a caso, quando denuncio queste cose,
mi sento davvero come una Cassandra che parla al vento. O come uno dei dimenticati antifascisti
che settanta e ottanta anni fa mettevano i ciechi e i sordi in guardia contro una coppia chiamata
Mussolini e Hitler. Ma i ciechi restavano ciechi, i sordi restavano sordi, ed entrambi finirono col
portar sulla fronte ciò che ne L’Apocalisse chiamo il Marchio della Vergogna. Di conseguenza le
mie vere medaglie sono gli insulti, le denigrazioni, gli abusi che ricevo dall’odierno Maccartismo.
Dall’odierna Caccia alle Streghe, dall’odierna Inquisizione. I miei trofei, i processi che in Europa
subisco per reato di opinione. Un reato ormai travestito coi termini «vilipendio dell’Islam, razzismo
o razzismo religioso, xenofobia, istigazione all’odio eccetera».
Parentesi: può un Codice Penale processarmi per odio? Può l’odio essere proibito per Legge?
L’odio è un sentimento. È una emozione, una reazione, uno stato d’animo. Non un crimine
giuridico. Come l’amore, l’odio appartiene alla natura umana. Anzi, alla Vità. È l’opposto
dell’amore e quindi, come l’amore, non può essere proibito da un articolo del Codice Penale. Può
essere giudicato, sì. Può essere contestato, osteggiato, condannato, sì. Ma soltanto in senso morale.
Ad esempio, nel giudizio delle religioni che come la religione cristiana predicano l’amore. Non nel
giudizio d’un tribunale che mi garantisce il diritto di amare chi voglio. Perché, se ho il diritto di
amare chi voglio, ho anche e devo avere anche il diritto di odiare chi voglio. Incominciando da
coloro che odiano me. Sì, io odio i Bin Laden. Odio gli Zarkawi. Odio i kamikaze e le bestie che ci
tagliano la testa e ci fanno saltare in aria e martirizzano le loro donne. Odio gli Ward Churchill, i
Noam Chomsky, i Louis Farrakhan, i Michael Moore, i complici, i collaborazionisti, i traditori, che
ci vendono al nemico. Li odio come odiavo Mussolini e Hitler e Stalin and Company. Li odio come
ho sempre odiato ogni assalto alla Libertà, ogni martirio della Libertà. È un mio sacrosanto diritto.
E se sbaglio, ditemi perché coloro che odiano me più di quanto io odi loro non sono processati col
medesimo atto d’accusa. Voglio dire: ditemi perché questa faccenda dell’Istigazione all’Odio non
tocca mai i professionisti dell’odio, i mussulmani che sul concetto dell’odio hanno costruito la loro
ideologia. La loro filosofia. La loro teologia. Ditemi perché questa faccenda non tocca mai i loro
complici occidentali. Parentesi chiusa, e torniamo ai trofei che chiamo processi.
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Si svolgono in ogni paese nel quale un figlio di Allah o un traditore nostrano voglia zittirmi e
imbavagliarmi nel modo descritto da Tocqueville, quei processi. A Parigi, cioè in Francia, ad
esempio. La France Eternelle, la Patrie du Laïcisme, la Bonne Mère du Liberté-Egalité-Fraternité,
dove per vilipendio dell’Islam soltanto la mia amica Brigitte Bardot ha sofferto più travagli di
quanti ne abbia sofferti e ne soffra io. La France Libérale, Progressiste, dove tre anni fa gli ebrei
francesi della LICRA (associazione ebrea di Sinistra che ama manifestare alzando fotografie di
Ariel Sharon con la svastica sulla fronte) si unì ai mussulmani francesi del MRAP (associazione
islamica di Sinistra che ama manifestare levando cartelli di Bush con la svastica sugli occhi). E
dove insieme chiesero al Codice Penale di chiudermi in galera, confiscare La Rage et l’Orgueil o
venderla con il seguente ammonimento sulla copertina: «Attenzione! Questo librò può costituire un
pericolo per la vostra salute mentale». (Insieme volevano anche intascare un grosso risarcimento
danni, naturalmente).
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Oppure a Berna, in Svizzera. Die wunderschöne Schweitz, la meravigliosa Svizzera di Guglielmo
Tell, dove il Ministro della Giustizia osò chiedere al mio Ministro della Giustizia di estradarmi in
manette. O a Bergamo, Nord Italia, dove il prossimo processo avverrà il prossimo giugno grazie a
un giudice che sembra ansioso di condannarmi a qualche anno di prigione: la pena che per
vilipendio dell’Islam viene impartita nel mio paese. (Un paese dove senza alcuna conseguenza
legale qualsiasi mussulmano può staccare il crocifisso dai muri di un’aula scolastica o di un
ospedale, gettarlo nella spazzatura, dire che il crocifisso «ritrae-un-cadaverino-nudo-inventato-perspaventare-i-bambini-mussulmani». E sapete chi ha promosso il processo di Bergamo? Uno dei mai
processati quindi mai condannati specialisti nel buttare via i crocifissi. L’autore di un sudicio
libretto che per molto tempo ha venduto nelle moschee, nei Centri Islamici, nelle librerie sinistrorse
d’Italia.
Quanto alle minacce contro la mia vita cioè all’irresistibile desiderio che i figli di Allah hanno di
tagliarmi la gola o farmi saltare in aria o almeno liquidarmi con un colpo di pistola nella nuca, mi
limiterò a dire che specialmente quando sono in Italia devo essere protetta ventiquattro ore su
ventiquattro dai Carabinieri. La nostra polizia militare. E, sia pure a fin di bene, questa è una
durissima limitazione alla mia libertà personale. Quanto agli insulti, agli anatemi, agli abusi con cui
i media europei mi onorano per conto della trista alleanza Sinistra-Islam, ecco alcune delle
qualifiche che da quattro anni mi vengono elargite: «Abominevole. Blasfema. Deleteria. Troglodita.
Razzista. Retrograda. Ignobile. Degenere. Reazionaria. Abbietta». Come vedete, parole identiche o
molto simili a quelle usate da Alexis de Tocqueville quando spiega il dispotismo che mira alla
Morte Civile. Nel mio paese quel dispotismo si compiace anche di chiamarmi «Iena», nel distorcere
il mio nome da Oriana in «Oriena» e nello sbeffeggiarmi attraverso sardoniche identificazioni con
Giovanna d’Arco. «Le bestialità della neo Giovanna d’Arco». «Taci, Giovanna d’Arco». «Ora
basta, Giovanna d’Arco».
di Oriana Fallaci
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2. "Le galline della sinistra in ginocchio"
Lo scorso agosto venni ricevuta in udienza privata da Ratzinger, insomma da Papa Benedetto XVI.
Un Papa che ama il mio lavoro da quando lesse Lettera a un bambino mai nato e che io rispetto
profondamente da quando leggo i suoi intelligentissimi libri. Un Papa, inoltre, col quale mi trovo
d’accordo in parecchi casi. Per esempio, quando scrive che l’Occidente ha maturato una sorta di
odio contro sé stesso. Che non ama più sé stesso, che ha perso la sua spiritualità e rischia di perdere
anche la sua identità. (Esattamente ciò che scrivo io quando scrivo che l’Occidente è malato di un
cancro morale e intellettuale. Non a caso ripeto spesso: «Se un Papa e un’atea dicono la stessa cosa,
in quella cosa dev’esserci qualcosa di tremendamente vero»).
Nuova parentesi. Sono un’atea, sì. Un’atea-cristiana, come sempre chiarisco, ma un’atea. E Papa
Ratzinger lo sa molto bene. Ne La Forza della Ragione uso un intero capitolo per spiegare
l’apparente paradosso di tale autodefinizione. Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice:
«Ok. (L’ok è mio, ovvio). Allora Veluti si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse».
Parole da cui desumo che nella comunità religiosa vi sono persone più aperte e più acute che in
quella laica alla quale appartengo. Talmente aperte ed acute che non tentano nemmeno, non si
sognano nemmeno, di salvarmi l’anima cioè di convertirmi. Uno dei motivi per cui sostengo che,
vendendosi al teocratico Islam, il laicismo ha perso il treno. È mancato all’appuntamento più
importante offertogli dalla Storia e così facendo ha aperto un vuoto, una voragine che soltanto la
spiritualità può riempire.
Uno dei motivi, inoltre, per cui nella Chiesa d’oggi vedo un inatteso partner, un imprevisto alleato.
In Ratzinger, e in chiunque accetti la mia per loro inquietante indipendenza di pensiero e di
comportamento, un compagnon-de-route. Ammenoché anche la Chiesa manchi al suo appuntamento
con la Storia. Cosa che tuttavia non prevedo. Perché, forse per reazione alle ideologie
materialistiche che hanno caratterizzato lo scorso secolo, il secolo dinanzi a noi mi sembra marcato
da una inevitabile nostalgia anzi da un inevitabile bisogno di religiosità. E, come la religione, la
religiosità finisce sempre col rivelarsi il veicolo più semplice (se non il più facile) per arrivare alla
spiritualità. Chiusa la nuova parentesi.
***
E così ci incontrammo, io e questo gentiluomo intelligente. Senza cerimonie, senza formalità, tutti
soli nel suo studio di Castel Gandolfo conversammo e l’incontro non-professionale doveva restare
segreto. Nella mia ossessione per la privacy, avevo chiesto che così fosse. Ma la voce si diffuse
ugualmente. Come una bomba nucleare piombò sulla stampa italiana, e indovina ciò che un
petulante idiota con requisiti accademici scrisse su un noto giornale romano di Sinistra. Scrisse che
il Papa può vedere quanto vuole «i miserabili, gli empi, i peccatori, i mentalmente malati» come la
Fallaci. Perché «il Papa non è una persona perbene». (A dispetto di ogni dizionario e della stessa
Accademia della Crusca, il «perbene» scritto "per bene"). Del resto, e sempre pensando a
Tocqueville, alla sua invisibile ma insuperabile barriera dentro-la-quale-si-può-soltanto-tacere-ounirsi-al-coro, non dimentico mai quello che quattro anni fa accadde qui in America.
Voglio dire quando l’articolo La Rabbia e l’Orgoglio (non ancora libro) apparve in Italia. E il New
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York Times scatenò la sua Super Political Correctness con una intera pagina nella quale la
corrispondente da Roma mi presentava come «a provocateur» una «provocatrice». Una villana
colpevole di calunniare l’Islam... Quando l’articolo divenne libro e apparve qui, ancora peggio.
Perché il New York Post mi descrisse, sì, come «La Coscienza d’Europa, l’eccezione in un’epoca
dove l’onestà e la chiarezza non sono più considerate preziose virtù». Nelle loro lettere i lettori mi
definirono, sì, «il solo intelletto eloquente che l’Europa avesse prodotto dal giorno in cui Winston
Churchill pronunciò lo Step by Step cioè il discorso con cui metteva in guardia l’Europa
dall’avanzata di Hitler». Ma i giornali e le TV e le radio della Sinistra al Caviale rimasero mute,
oppure si unirono alla tesi del New York Times.
Tantomeno dimentico ciò che è avvenuto nel mio paese durante questi giorni di novembre 2005.
Perché, pubblicato da una casa editrice che nella maggioranza delle quote azionarie appartiene ai
miei editori italiani, e da questi vistosamente annunciato sul giornale che consideravo il mio
giornale, in un certo senso la mia famiglia, un altro libro anti- Fallaci ora affligge le librerie. Un
libro scritto, stavolta, dall’ex vice-direttore del quotidiano che un tempo apparteneva al defunto
Partito Comunista. Bé, non l’ho letto. Né lo leggerò. (Esistono almeno sei libri su di me. Quasi tutti,
biografie non-autorizzate e piene di bugie offensive nonché di grottesche invenzioni. E non ne ho
mai letto uno. Non ho mai neppure gettato lo sguardo sulle loro copertine). Ma so che stavolta il
titolo, naturalmente accompagnato dal mio nome che garantisce le vendite, contiene le parole
«cattiva maestra». So che la cattiva-maestra è ritratta come una sordida reazionaria, una perniciosa
guerrafondaia, una mortale portatrice di «Orianismo». E secondo l’ex vice-direttore dell’ex
quotidiano ultracomunista, l’Orianismo è un virus. Una malattia, un contagio, nonché
un’ossessione, che uccide tutte le vittime contaminate. (Graziaddio, molti milioni di vittime.
Soltanto in Italia, la Trilogia ha venduto assai più di quattro milioni di copie in tre anni. E negli altri
ventun paesi è un saldo bestseller).
Ma questo non è tutto. Perché nei medesimi giorni il sindaco milanese di centro-destra mi incluse
nella lista degli Ambrogini: le molto ambite medaglie d’oro che per la festa di Sant’Ambrogio la
città di Milano consegna a persone note, o quasi, nel campo della cultura. E quando il mio nome
venne inserito, i votanti della Sinistra sferrarono un pandemonio che durò fino alle cinque del
mattino. Per tutta la notte, ho saputo, fu come guardare una rissa dentro un pollaio. Le penne
volavano, le creste e i bargigli sanguinavano, i coccodè assordavano, e lode al cielo se nessuno finì
al Pronto Soccorso. Poi, il giorno dopo, tornarono strillando che il mio Ambrogino avrebbe
inquinato il pluriculturalismo e contaminato la festa di Sant’Ambrogio. Che avrebbe dato alla
cerimonia del premio un significato anti-islamico, che avrebbe offeso i mussulmani e i premiati
della Sinistra. Quest’ultimi minacciarono addirittura di respingere le ambite medaglie d’oro e
promisero di inscenare una fiera dimostrazione contro la donna perversa. Infine il leader del Partito
di Rifondazione Comunista dichiarò: «Dare l’Ambrogino alla Fallaci è come dare il Premio Nobel
della Pace a George W. Bush».
Detto questo, onde rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, devo chiarire
qualcosa che certo dispiacerà ad alcuni o alla maggioranza di voi. Ecco qua. Io non sono un
Conservatore. Non simpatizzo con la Destra più di quanto non simpatizzi con la Sinistra. Sebbene
rifiuti ogni classificazione politica, mi considero una rivoluzionaria. Perché la Rivoluzione non
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significa necessariamente la Presa della Bastiglia o del Palais d’Hiver. E certamente per me non
significa i capestri, le ghigliottine, i plotoni di esecuzione, il sangue nelle strade. Per me la
Rivoluzione significa dire «No». Significa lottare per quel «No». Attraverso quel «No», cambiare le
cose.
E di sicuro io dico molti «No». Li ho sempre detti. Di sicuro vi sono molte cose che vorrei
cambiare. Cioè non mantenere, non conservare. Una è l’uso e l’abuso della libertà non vista come
Libertà ma come licenza, capriccio, vizio. Egoismo, arroganza, irresponsabilità. Un’altra è l’uso e
l’abuso della democrazia non vista come il matrimonio giuridico dell’Uguaglianza e della Libertà
ma come rozzo e demagogico egualitarismo, insensato diniego del merito, tirannia della
maggioranza. (Di nuovo, Alexis de Tocqueville...). Un’altra ancora, la mancanza di autodisciplina,
della disciplina senza la quale qualsiasi matrimonio dell’uguaglianza con la libertà si sfascia.
Un’altra ancora, il cinico sfruttamento delle parole Fratellanza-Giustizia-Progresso. Un’altra ancora,
la nescienza di onore e il tripudio di pusillanimità in cui viviamo ed educhiamo i nostri figli. Tutte
miserie che caratterizzano la Destra quanto la Sinistra.
Cari miei: se coi suoi spocchiosi tradimenti e le sue smargiassate alla squadrista e i suoi snobismi
alla Muscadin e le sue borie alla Nouvel Riche la Sinistra ha disonorato e disonora le grandi
battaglie che combatté nel Passato, con le sue nullità e le sue ambiguità e le sue incapacità la Destra
non onora certo il ruolo che si vanta di avere. Ergo, i termini Destra e Sinistra sono per me due viete
e antiquate espressioni alle quali ricorro solo per abitudine o convenienza verbale. E, come dico ne
La Forza della Ragione, in entrambe vedo solo due squadre di calcio che si distinguono per il colore
delle magliette indossate dai loro giocatori ma che in sostanza giocano lo stesso gioco. Il gioco di
arraffare la palla del Potere. E non il Potere di cui v’è bisogno per governare: il Potere che serve sé
stesso. Che esaurisce sé stesso in sé stesso.
di Oriana Fallaci
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3. “Diventeremo l'Eurabia. Il nemico è in casa nostra e
non vuole dialogare.”
Questo può apparir demagogico, semplicistico, e perfino superficiale: lo so. Ma se analizzate i fatti
vedrete che la mia è pura e semplice verità. La verità del bambino che nella fiaba dei Grimm,
quando i cortigiani lodano le vesti del re, grida con innocenza: Il re è nudo. Pensateci ragionando
sull'attuale tragedia che ci opprime. Perbacco, nessuno può negare che l'invasione islamica
dell'Europa sia stata assecondata e sia assecondata dalla Sinistra. E nessuno può negare che tale
invasione non avrebbe mai raggiunto il culmine che ha raggiunto se la Destra non avesse fornito
alla Sinistra la sua complicità, se la Destra non le avesse dato il imprimatur.
Diciamolo una volta per sempre: la Destra non ha mai mosso un dito per impedire o almeno
trattenere la crescita dell’invasione islamica. Un solo esempio? Come in molti altri paesi europei, in
Italia è il leader della Destra ufficiale che imita la Sinistra nella sua impazienza di concedere il voto
agli immigrati senza cittadinanza. E questo in barba al fatto che la nostra Costituzione conceda il
voto ai cittadini e basta. Non agli stranieri, agli usurpatori, ai turisti col biglietto di andata senza
ritorno. Di conseguenza, non posso essere associata né con la Destra né con la Sinistra. Non posso
essere arruolata né dalla Destra né dalla Sinistra. Non posso essere strumentalizzata né della Destra
né della Sinistra. (E guai a chi ci prova). E sono profondamente irritata con entrambe. Qualunque
sia la loro locazione e nazionalità.
Attualmente, per esempio, sono irritata con la Destra americana che spinge i leader europei ad
accettare la Turchia come membro dell’Unione Europea. Esattamente ciò che la Sinistra europea
vuole da sempre. Ma le vittime dell’invasione islamica, i cittadini europei, non vogliono la Turchia
a casa loro. La gente come me non vuole la Turchia a casa sua. E Condoleezza Rice farebbe bene a
smetterla di esercitare la sua Realpolitik a nostre spese. Condoleezza è una donna intelligente:
nessuno ne dubita. Certo, più intelligente della maggioranza dei suoi colleghi maschi e femmine, sia
qui in America che al di là dell’Atlantico. Ma sul paese che per secoli fu l’Impero Ottomano, sulla
non-europea Turchia, sulla islamica-Turchia, sa o finge di sapere assai poco. E sulla mostruosa
calamità che rappresenterebbe l’entrata della Turchia nell’Unione Europea conosce o finge di
conoscere ancora meno. Così dico: Ms. Rice, Mr. Bush, signori e signore della Destra americana, se
credete tanto in un paese dove le donne hanno spontaneamente rimesso il velo e dove i Diritti
Umani vengono quotidianamente ridicolizzati, prendetevelo voi. Chiedete al Congresso di
annetterlo agli stati Uniti come Cinquantunesimo Stato e godetevelo voi. Poi concentratevi
sull’Iran. Sulla sua lasciva nucleare, sul suo ottuso ex-sequestratore di ostaggi cioè sul suo
presidente, e concentratevi sulla sua nazista promessa di cancellare Israele dalle carte geografiche.
A rischio di sconfessare l’illimitato rispetto che gli americani vantano nei riguardi di tutte le
religioni, devo anche chiarire ciò che segue. Come mai in un Paese dove l’85 per cento dei cittadini
dicono di essere Cristiani, così pochi si ribellano all’assurda offensiva che sta avvenendo contro il
Natale? Come mai così pochi si oppongono alla demagogia dei radicals che vorrebbero abolire le
Oriana Fallaci, maestra di libertà
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vacanze di Natale, gli alberi di Natale, le canzoni di Natale, e le stesse espressioni Merry Christmas
e Happy Christmas, Buon Natale, eccetera?!? Come mai così pochi protestano quando quei radicals
gioiscono come Talebani perché in nome dei laicismo un severo monumento a gloria dei Dieci
Comandamenti viene rimosso da una piazza di Birmingham? E come mai anche qui pullulano le
iniziative a favore della religione islamica? Come mai, per esempio, a Detroit (la Detroit ultra
polacca e ultra cattolica le ordinanze municipali contro i rumori proibiscono il suono delle
campane) la minoranza islamica ha ottenuto che i muezzin locali possano assordare il prossimo coi
loro Allah-akbar dalle 6 del mattino alle 10 di sera? Come mai in un paese dove la Legge ordina di
non esibire i simboli religioni nei luoghi pubblici, non consentirvi preghiere dell’una o dell’altra
religione, aziende quali la Dell Computers e la Tyson Foods concedono ai propri dipendenti
islamici i loro cortili nonché il tempo per recitare le cinque preghiere? E questo a dispetto del fatto
che tali preghiere interrompono quindi inceppano le catene di montaggio?
Come mai il nefando professor Ward Churchill non è stato licenziato dall’Università del Colorado
per i suoi elogi a Bin Laden e all’11 Settembre, ma il conduttore della Washington radio Michael
Graham è stato licenziato per aver detto che dietro il terrorismo islamico v’è la religione islamica?
Ed ora lasciatemi concludere questa serata affrontando altri tre punti che considero cruciali. Punto
numero uno. Sia a Destra che a Sinistra tutti si focalizzano sul terrorismo. Tutti. Perfino i radicali
più radicali. (Cosa che non sorprende perché le condanne verbali del terrorismo sono il loro alibi. Il
loro modo di pulire le loro coscienze non pulite). Ma nel terrorismo islamico non vedo l’arma
principale della guerra che i figli di Allah ci hanno dichiarato. Nel terrorismo islamico vedo soltanto
un aspetto, un volto di quella guerra. Il più visibile, sì. Il più sanguinoso e il più barbaro, ovvio.
Eppure, paradossalmente, non il più pernicioso. Non il più catastrofico. Il più pernicioso e il più
catastrofico è a parer mio quello religioso. Cioè quello dal quale tutti gli altri aspetti, tutti gli altri
volti, derivano. Per incominciare, il volto dell’immigrazione. Cari amici: è l’immigrazione, non il
terrorismo, il cavallo di Troia che ha penetrato l’Occidente e trasformato l’Europa in ciò che
chiamo Eurabia. È l’immigrazione, non il terrorismo, l’arma su cui contano per conquistarci
annientarci distruggerci. L’arma per cui da anni grido: «Troia brucia, Troia brucia».
Un’immigrazione che in Europa-Eurabia supera di gran lunga l’allucinante sconfinamento dei
messicani che col beneplacito della vostra Sinistra e l’imprimatur della vostra Destra invadono gli
Stati Uniti.
Soltanto nei venticinque paesi che formano l’Unione Europea, almeno venticinque milioni di
musulmani. Cifra che non include i clandestini mai espulsi. A tutt’oggi, altri quindici milioni o più.
E data l’irrefrenabile e irresistibile fertilità mussulmana, si calcola che quella cifra si raddoppierà
nel 2016. Si triplicherà o quadruplicherà se la Turchia diventerà membro dell’Unione Europea.
Non a caso Bernard Lewis profetizza che entro il 2100 tutta l’Europa sarà anche numericamente
dominata dai musulmani. E Bassan Tibi, il rappresentante ufficiale del cosiddetto Islam Moderato
in Germania, aggiunge: «Il problema non è stabilire se entro il 2100 la stragrande maggioranza o la
totalità degli europei sarà mussulmana. In un modo o nell’altro, lo sarà. Il problema è stabilire se
l’Islam destinato a dominare l’Europa sarà un Euro-Islam o l’Islam della Svaria». Il che spiega
perché non credo nel Dialogo con l’Islam. Perché sostengo che tale dialogo è un monologo. Un
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soliloquio inventato per calcolo dalla Realpolitik e poi tenuto in vita dalla nostra ingenuità o dalla
nostra inconfessata disperazione. Infatti su questo tema dissento profondamente dalla Chiesa
Cattolica e da Papa Ratzinger. Più cerco di capire e meno capisco lo sgomentevole errore su cui la
sua speranza si basa. Santo Padre: naturalmente anch’io vorrei un mondo dove tutti amano tutti e
dove nessuno è nemico di nessuno. Ma il nemico c’è. Lo abbiamo qui, in casa nostra. E non ha
nessuna intenzione di dialogare. Né con Lei né con noi.
di Oriana Fallaci
Oriana Fallaci, maestra di libertà
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