N. 1 GENNAIO - FEBBRAIO 2008
La Chiesa è Missionaria
I
l Concilio Vaticano II è quanto mai
esplicito nell’affermare nei documenti della Lumen Gentium e nell’Ad Gentes, la missionarietà intrinseca della Chiesa. La sua affermazione di fondo è: “La
Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in quanto essa trae origine
dalla missione del Figlio e dalla missione
dello Spirito Santo, secondo il disegno
di Dio Padre” . L’attività missionaria, come del resto la Chiesa stessa, è dunque collegata direttamente con la missione del Dio trinitario. A sua volta la
Lumen Gentium richiama allo stesso
legame tra Cristo e la Chiesa quando
afferma che essa è un riflesso della luce di Cristo, e ha il compito di irradia-
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re questa stessa luce su tutti gli uomini. L’immagine della luce viene poi integrata da quella di sacramento: “la Chiesa è in Cristo come un sacramento,
cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. L’identità della Chiesa dunque è centrata in Cristo, e come tale non
solo è il segno della comunione con Dio
e dell’unità dell’umanità, ma è anche
lo strumento per la realizzazione di quella comunione e di quella unità. Ne
consegue la necessità della Chiesa in ordine alla salvezza, come è stata espressa nella storia attraverso l’assioma “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”, assioma che nel suo contenuto viene ri-
badito dal Vaticano II: “Esso [il Concilio] insegna, appoggiandosi sulla sacra
scrittura e sulla tradizione, che questa
Chiesa pellegrinante è necessaria alla
salvezza. Infatti solo Cristo, presente per
noi nel suo corpo, che è la Chiesa, è il
mediatore e la via della salvezza; ora,
Egli, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cf. Mc.
16,16; Gv. 3,5), ha insieme confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il battesimo come per la porta. Perciò non potrebbero salvarsi quegli uomini, i quali, non ignorando che la Chiesa Cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù
Cristo fondata come necessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in
essa perseverare”.
Dal momento che “tutti gli uomini, dalla grazia di Dio, sono chiamati alla salvezza”, la Chiesa ne è sacramento universale. Ma perché questa volontà salvifica universale si realizzi nella sua pienezza, “la Chiesa, per le esigenze più
profonde della sua cattolicità e all’ordine del suo fondatore, si sforza di annunciare il Vangelo a tutti gli uomini”,
poiché la vocazione missionaria appartiene al suo stesso essere. Il Decreto
sull’attività missionaria della Chiesa, “Ad
gentes”, può essere considerato un complemento della Costituzione “Lumen gentium”, in quanto vi si afferma che proprio attraverso l’impegno missionario
la Chiesa si sforza di realizzare il suo
ideale di sacramento universale della salvezza. Esso infatti, pur riconoscendo che
Dio può portare gli uomini alla fede
attraverso vie ignote, afferma che “è compito imprescindibile della Chiesa e insieme suo sacrosanto diritto di diffondere il Vangelo”. Possiamo dunque concludere che il Concilio Vaticano II ha
messo in luce l’origine trinitaria della
Chiesa e della sua missione. La Chiesa
non esiste da sé e per se stessa: essa è
il prolungamento nel tempo e nello spazio della presenza di Cristo e della sua
missione, originati a loro volta dall’amore del Padre e portate a compimento per la forza dello Spirito. Il mistero
di comunione della Trinità diventa così
origine, modello, meta della missione.
La Chiesa è chiamata per sua natura
ad uscire da se stessa in un movimento verso il mondo per essere segno, strumento, presenza dell’amore e della salvezza di Dio, che si esprime nella Parola, si celebra nella liturgia, si fa testimonianza, si attua nel servizio all’uomo
e al mondo per la manifestazione e la
crescita del Regno. La missione sta nel
cuore stesso della Chiesa e la pervade
interamente, è la sua stessa ragione d’essere.
p. Adriano Garuti
e Lara De Angelis
Agenzia Fides
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La Chiesa è Missionaria
Missionari Martiri della fede 2007
P
er il maggior numero di vittime figura al primo posto l’ASIA dove sono morti quattro sacerdoti, tre diaconi ed un seminarista. Davanti alla chiesa del Santo Spirito a Mosul (Iraq), sono stati uccisi il parroco, Padre Raghiid
Ganni, e tre diaconi (Basman Yousef
Daoud, Ghasan Bidawid e Wahid Hanna). Il Santo Padre Benedetto XVI esprimendo il proprio dolore al vescovo di
Mossul dei Caldei, monsignor Paulos Faraj Rahho, ha assicurato la Sua preghiera
affinché il loro sacrificio “inspiri nei cuori di tutti gli uomini e le donne di buona volontà un rinnovato impegno a respingere le strade dell’odio e della violenza, a combattere il male con il bene, ed a cooperare per accelerare l’alba della riconciliazione, della giustizia
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e della pace in Iraq”. Nelle Filippine
sono stati uccisi due sacerdoti (padre
Fransiskus Madhu, missionario verbita,
e padre Florante Rigonan, sacerdote diocesano) e un seminarista. Nello Sri Lanka
don Nicholaspillai Packiyaranjith è rimasto ucciso dall’esplosione di una bomba mentre svolgeva la sua opera di assistenza ai rifugiati. In AMERICA sono
stati uccisi sei sacerdoti e un religioso.
Tre in Messico: Don Humberto Macias
Rosales, Padre Fernando Sanchez Duran, ed il missionario Padre Ricardo Junious. Ad essi si aggiungono 2 sacerdoti uccisi in Colombia (P. Mario Bianco, dei Missionari della Consolata, e
D. José Luis Camacho Cepeda), un sacerdote Fidei donum ucciso in Brasile
(Don Wolfgang Hermann) ed un religioso in Guatemala (Fratel Enrique
Alberto Olano Merino). L’AFRICA ha visto la morte violenta di
tre sacerdoti e una religiosa. La nazione con il maggior numero di
vittime è il Sudafrica, con un sacerdote e una suora: padre Allard
Msheyene, missionario Omi, e Suor
Anne Thole, perita nell’incendio
della struttura che ospitava i malati di sindrome di immunodeficienza acquisita (aids). Seguono
il Kenya (padre Martin Addai, dei
Missionari d’Africa) e il Randa, dove si è spento il congolese don
Richard Bimeriki, vittima di una
aggressione nella sua terra natale. In EUROPA sono stati uccisi
due sacerdoti, entrambi in Spagna:
Don Salvador Herandez Seller, con
una lunga esperienza missionaria
in Ecuador, e D. Tomas Perez. A
questo elenco provvisorio stilato
annualmente dal deve comunque
essere aggiunta la lunga lista dei
tanti “militi ignoti della fede” di
cui forse non si avrà mai notizia, che
in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano anche con la vita la loro fede in
Cristo. Concludiamo ricordando tre vicende emblematiche, che rispecchiano
le situazioni e i rischi che affrontano
quotidianamente, quasi sempre nel silenzio, quanti operano alle frontiere dell’evangelizzazione. Padre Jim Brown e
il laico Wenceslaus Vimalathas sono
scomparsi il 20 agosto 2006 da Jaffna,
nel nord dello Sri Lanka, una delle zone più calde del conflitto fra le forze del-
l’esercito regolare e i ribelli del “Liberation Tigers of Tamil Eelam”: di loro, nonostante ripetuti appelli, non si è ancora saputo nulla. La seconda vicenda riguarda il missionario Verbita Padre Ho
Tran Bach, che il 9 agosto 2007 a Sydney (Australia), è stato assalito da uno
sconosciuto penetrato nel collegio durante la notte ed è stato accoltellato alla gola. Nonostante la gravità delle ferite, il missionario è sopravvissuto. Di
queste e altre informazioni si ringrazia
l’Agenzia Missionaria Fides.
I
l 30 novembre è stata presentata la seconda Enciclica di Benedetto XVI intitolata “spe salvi”.
Nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala
Stampa della Santa Sede, ha avuto luogo la Conferenza Stampa di presentazione della seconda Enciclica del Santo Padre Benedetto XVI dal titolo “Spe
salvi”. “In questa nuova enciclica ritroviamo il Papa profondo teologo e nel
contempo pastore attento alle necessità del suo gregge. Accanto a riflessioni molto approfondite sui rapporti tra
la speranza cristiana e la fede cristiana, nonché sull’evoluzione della mentalità moderna nei confronti della speranza cristiana, troviamo pagine commoventi su grandi testimoni della speranza, a cominciare da sant’Agostino,
che viveva in un’epoca drammatica, e
fino ai tempi più recenti, quelli di santa Giuseppina Bakhita, un’africana del
1800, fatta schiava all’età di 9 anni, martoriata da crudeli padroni, ma finalmente
liberata e nata alla speranza grazie all’incontro con il Dio dei cristiani, salvatore pieno di amore. Il Santo Padre
cita anche lungamente una straordinaria lettera di un martire vietnamita
dell’800, Paolo Le-Bao-Thin, che subì
“crudeli supplizi di ogni genere”, ma
rimaneva “pieno di gioia”, perché non
era solo, Cristo era con lui; egli scriveva: “Mentre infuria la tempesta, getto
l’ancora fino al trono di Dio: speranza
viva che è nel mio cuore…”. Dei nostri tempi, l’Enciclica riferisce il caso dell’
“indimenticabile Cardinale Nguyen Van
Thuan” il quale “da 13 anni di prigionia, di cui nove in isolamento ...ci ha
lasciato un prezioso libretto: Preghiere
di speranza. Durante 13 anni di carcere, in una situazione di disperazione apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il
potergli parlare, divenne per lui una crescente forza di speranza”. Questi casi
eccezionali manifestano bene il dinamismo intenso dell’esperienza cristiana”. L’ampia meditazione sulla speranza
come dimensione essenziale dell’esistenza cristiana, con la sua bellezza e
la sua forza di liberazione, che offre l’enciclica “Spe salvi”, contiene anche un
invito a riflettere in profondità sulla situazione spirituale del nostro tempo, interrogando alcuni grandi testimoni della modernità e della coscienza della sua
crisi. Dobbiamo rilevare che, trattando
della speranza, l’enciclica parla altrettanto della fede. Infatti, la Lettera agli
Ebrei, dalla quale la riflessione prende
spunto, presenta “una sorta di definizione della fede che intreccia strettamente questa virtù con la speranza”.
(DA AGENZIA FIDES)
SPE SALVI
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Sudan
Da schiava a santa
G
iuseppina Bakhita, la prima santa del Sudan e la prima donna
africana a salire sugli altari senza essere martire, viene citata come
esempio nella seconda enciclica di
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Papa Benedetto XVI “Spe salvi”. “Per
noi che viviamo da sempre con il concetto cristiano di Dio e ci siamo assuefatti ad esso, il possesso della speranza, che proviene dall’incontro reale con questo Dio, quasi non è più
percepibile. L’esempio di una santa
del nostro tempo può in qualche misura aiutarci a capire che cosa significhi incontrare per la prima volta e
realmente questo Dio. Penso all’africana Giuseppina Bakhita, canonizzata da Papa Giovanni Paolo II”.
Giuseppina nasce nel 1869. Vive in Sudan con i genitori, 3 fratelli e 4 sorelle a Olgossa, un piccolo villaggio del
Darfur, vicino al monte Agilerei. Il primo dolore Giuseppina lo prova quando quelli che lei definisce “negrieri”, in
realtà membri di tribù arabe che trafficavano in schiavi, rapiscono la sorella più grande: “Ricordo ancora, racconta, quanto pianse la mia mamma,
e quanto piangemmo noi pure”. In un
giorno imprecisato tra il 1876 e il 1877
subisce la stessa sorte della sorella: la
rapiscono e la portano lontano. “Non
avevo in mente che la mia famiglia,
chiamavo mamma e papà, con un’angoscia d’animo da non dire. Ma nessuno là mi udiva”. Trasferita a Khartoum, viene arabizzata e le viene imposto il nome di Bakhita (= Fortunata). Dimenticando presto il suo nome
originario, che resta sconosciuto, la giovane schiava cambia padrone 5 volte
tra il 1877 e il 1883. Le sofferenze di
Giuseppina Bakhita sono contenute nel
breve scritto del 1910 in cui racconta
le sue vicissitudini fino alla conversione: frustate, ferite aperte su cui viene
strofinato il sale, maltrattamenti e angherie. Nel 1883 viene comprata dal-
l’agente consolare italiano Calisto Legnani, che l’acquista dal suo ultimo proprietario, un generale turco che deve
lasciare il Sudan e si vuole disfare degli schiavi. Col nuovo padrone si trova meglio: “Questa volta fui davvero
fortunata; perché il nuovo padrone era
assai buono e prese a volermi bene;
non ebbi rimbrotti, né castighi, né percosse, sicché non mi pareva di godere tanta pace e tranquillità”. Ma nel
1885 Legnani è costretto a lasciare il
Sudan in seguito all’avanzata della rivoluzione mahdista. Giuseppina convince il padrone a portarla con sé. Giunti a Genova viene affidata alla famiglia di Augusto Michieli, che vive a Zianigo, provincia di Venezia. Il Michieli
ha una moglie (Turina) ed una figlia
(Mimmina). Giuseppina diviene la bambinaia di Mimmina. Tra 1888 e 1889
la famiglia Michieli, che ha interessi
economici in Africa, decide di tornare
in Sudan. Giuseppina va con loro per
nove mesi, poi torna in Italia con la pic-
cola e la signora. Bakhita e Mimmina
vengono affidate per un breve periodo all’Istituto delle Catecumene di Venezia, gestito dalle Canossiane. È qui
che Giuseppina inizia a scoprire la fede: “Allora quella sante Madri, diceva, con una eroica pazienza mi istruirono e mi fecero conoscere quel Dio
che fin da bambina sentivo in cuore
senza sapere chi fosse”. Quando il signor Michieli torna e pretende di portarla di nuovo in Africa, Bakhita si ribella. Soffre a veder partire la piccola
Mimmina, ma sceglie di restare, con
l’appoggio del Patriarca di Venezia, Domenico Agostini, e del procuratore del
Re. Inizia qui la nuova vita di Bakhita: il 9 gennaio 1890, a Venezia, riceve il Battesimo, la Cresima e l’Eucarestia dal Card. Domenico Agostini. Il 7
dicembre 1893 entra nel Noviziato delle Figlie della Carità e l’8 dicembre
1896, festa dell’Immacolata, emette i
voti temporanei a Verona. Nel 1902 si
trasferisce a Schio, e lì, per la prima
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vato. I miracoli iniziano a succedersi.
Già nel 1950, a soli tre anni dalla morte, il bollettino canossiano pubblica 6
pagine di nomi di persone che attestano di aver ricevuto grazie per l’intercessione di Bakhita. l processo ordinario per avviare la beatificazione si svolge a Vicenza tra il 1955 e il 1957. Il processo apostolico si tiene nel 1968-1969.
Proprio nel settembre 1969 il corpo di
Bakhita viene riesumato e traslato dal
cimitero di Schio all’Istituto delle Figlie della Carità in cui era vissuta. Giovanni Paolo II firma il Decreto sull’eroicità delle virtù di Giuseppina Bakhita il 1° dicembre 1978 e il 6 luglio 1991
il Decreto di Beatificazione. Il 17 maggio 1992 Giuseppina Bakhita viene proclamata Beata e domenica 1° ottobre
2000 Giovanni Paolo II la canonizza
in Piazza San Pietro: è la prima Santa
sudanese.
(AGENZIA FIDES 30/11/2007)
volta nel 1910, racconta la sua storia.
Il 10 agosto 1927 emette i voti perpetui a Venezia. Per il resto della vita
svolge lavori di fatica nell’istituto in
cui vive. A Schio tutti la chiamavano “la
Madre moretta”. Vive in umiltà, ma la
gente la ama e la cerca. Già al momento
dei voti perpetui se ne parlava come
di una santa, e nel 1931 un libro che
narra la sua storia viene diffuso in migliaia di copie e tradotto in varie lingue.
Giuseppina Bakhita muore l’8 febbraio
1947 nell’Istituto Canossiano di Schio.
Subito, davanti alla sua camera ardente si forma una fila ininterrotta di fedeli. Il corpo di Bakhita, secondo le testimonianze raccolte all’epoca, rimane
tiepido e morbido fino al momento di
chiudere la cassa. Un padre di famiglia disoccupato davanti alla salma implora un posto di lavoro: torna qualche ora dopo, raccontando di averlo tro-
Argentina
Un Mapuche beato
C
eferino Namuncurá (in italiano
il nome è Zefferino), il primo argentino che la Chiesa cattolica dichiarerà Beato è “un vero Mapuche e
cristiano” hanno detto i vescovi della
Regione della Patagonia in una dichiarazione in cui lo
presentano come
“modello di amore per la sua famiglia, il suo popolo
e la sua terra”. Si
celebrerà a Chimpay, un piccolo
centro della provincia di Río Negro, la cerimonia di
beatificazione di
Ceferino, già molto venerato dal popolo argentino, soprattutto dai settori più poveri della
società. Chimpay,
villaggio di 3000 abitanti, è il luogo in
cui nacque Ceferino il 26 agosto 1886,
sette anni dopo la fine della ‘Campagna del deserto’, un vero genocidio guidato dal generale Julio Argentino Roca,
in seguito presidente dell’Argentina tra
il 1880 e il 1886) contro gli indigeni della Patagonia. Il padre di Ceferino, il
‘cacique’ (capo supremo) Manuel Namuncurá, aveva combattuto contro Roca ed era discendente del leggendario
‘cacique’ Calfucurá, che aveva resistito
a lungo all’avanzata dei ‘bianchi’ verso
il sud. Nel 1977 i Mapuche furono alla fine vinti, persero le loro terre e furono confinati in piccoli territori. La madre di Ceferino, Rosaria Burgos, era
una ‘cautiva’, una donna bianca fatta
prigioniera dagli indigeni. Ceferino fu
battezzato quando aveva due anni da
un sacerdote salesiano amico di suo
padre. Studiò in un collegio dei salesiani
e, avendo manifestato il desiderio di
diventare sacerdote, nel 1904 fu portato a Roma per continuare gli studi. Di
fragile salute, morì di tubercolosi l’11
maggio 1905, prima di compiere 19
anni. Si dice che Papa Pio X, che lo
aveva conosciuto, disse con tristezza:
“Era una bella speranza per le missioni
della Patagonia, ma ora sarà il loro più
valido protettore”. Durante la cerimonia, a cui sono attese 150.000 persone, sarà letto un messaggio in lingua Mapuche, in riconoscimento delle origini
indigene del Beato.
9
Stati Uniti
“S
iamo convinti che l’attuale situazione in Iraq resti inaccettabile e insostenibile. La nostra conferenza punta ancora la sua attenzione
sull’obiettivo di una transizione responsabile”: lo scrivono i vescovi degli
Stati Uniti in un messaggio redatto durante la Conferenza episcopale iniziata
a Baltimora il 12 novembre. La nota fa
un parallelo tra “il pericoloso stallo politico in Iraq che blocca la riconciliazione nazionale” e lo “stallo politico e
partigiano che si registra a Washington”,
invitando la classe politica statunitense
a un dialogo onesto e civile, sottolineando i richiami all’etica. “Non abbiamo competenze specifiche in politica, economia o strategie militari...ma
riteniamo che la nostra nazione dovrebbe
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preoccuparsi soprattutto dell’etica dell’uscita piuttosto che dell’etica dell’intervento. Gli insegnamenti della Chiesa sottolineano da tempo che la pace è
molto di più dell’assenza della guerra.
Essa viene costruita sulla creazione della giustizia”. Per questo, secondo i vescovi americani, “costruire una pace giusta in Iraq richiede molto di più di un’azione militare; richiede uno sforzo generale politico, diplomatico ed economico. Questo sforzo comincia in Iraq,
ma non deve fermarsi li. Per questa ragione, riteniamo che gli Stati Uniti debbano collaborare con altre nazioni, incluse la Siria e l’Iran, d’importanza critica per portare un po’ di stabilità in
Iraq”. Dopo aver evidenziato come la
responsabilità di ricostruire e stabilizzare l’Iraq sia prima di tutto nelle mani degli iracheni, la conferenza episcopale statunitense ricorda anche come
“gli Stati Uniti e altre nazioni abbiano
l’obbligo morale e pratico” di agire e
contribuire alla ricostruzione. “Data la
grave devastazione dell’Iraq, gli Stati Uniti hanno l’unico e inderogabile obbligo
di proseguire ad offrire un importante
e continuo sostegno per lo sviluppo economico e la ricostruzione del paese. Il
rispetto per l’autodeterminazione degli
iracheni – sottolineano i vescovi – suggerisce che la nostra nazione non cerchi di costituire basi militari permanenti in Iraq, né cerchi di controllare
le risorse petrolifere del paese”. I presuli
statunitensi chiedono poi all’amministrazione maggiori sforzi e “impegni
sostanziali” a sostegno dei milioni (almeno quattro, secondo le ultime stime)
di profughi e sfollati provocati dal conflitto iniziato con l’invasione americana.
14/11/2007 MISNA
Vescovi per la giustizia
e la pace in Iraq
Cile
Santa Maria e i suoi Servi
70 anni di vita in Aysén
I
n dicembre, mese nel quale veneriamo con particolare devozione santa
Maria, i Servi di Maria hanno com-
piono 70 anni di feconda presenza in
Aysèn. Settantadue religiosi, nella maggioranza sacerdoti, hanno impegnato
le loro migliori energie per dar vita alla Chiesa locale nella Regione.
Ricordiamo alcuni di loro per la vicinanza, la vitalità, l’iniziativa, la sapienza, la fede gioiosa e missionaria. Sono
stati dispensatori di fede e solidarietà,
d’insegnamento e santità. Hanno appreso
da santa Maria ad essere Servi, hanno
servito e hanno insegnato a servire il povero, l’infermo, il bambino e il giova-
ne. Con umiltà. Senza interessi personali. Uomini di preghiera, appassionati
di Cristo, inseriti nel popolo più di un
vicino, persone di grande sacrificio e generosità. In ogni nome si scopre l’audacia e la grazia del missionario, in
Gabriele, Giuseppe, Paolo, Alfonso, Bruno, Venanzio, Vittorino, Cesare Gerardo, Damiano, Prospero, Nico, Antonio,
Miro, Erminio, Mario, Bernardo, Sergio, Faustino, Aldo... Hanno costruito
la Chiesa del Signore, hanno dato fiducia alla gente nei villaggi, hanno assunto
responsabilità, hanno condiviso bontà
e misericordia. La Vergine Maria deve
essere contenta dei suoi Servi, e anche
noi desideriamo manifestare la nostra
gratitudine. Prima che la Va Conferenza episcopale latinoamericana di maggio 2007 di “Aparecida” desse slancio
al cristiano di oggi come “discepolo missionario” di Cristo, i Servi già lo avevano abbondantemente testimoniato. Celebrare i 70 anni dei Servi di Maria in
Aysén è riconoscere una solida storia,
è gratitudine per tanto servizio, è imparare ad essere comunità in comunione, è assumere e continuare l’opera
che hanno avviato.
Tanti operatori pastorali impegnati, tanti giovani entusiasti, svariate iniziative pastorali, comunità cristiane vive e dinamiche, sono la testimonianza che il seme del vangelo seminato da Cristo per
mezzo dei suoi servi è cresciuto con
responsabilità e in abbondanza. Non servono tanti discorsi, più forte di ogni cosa è la preghiera e l’affetto che manifestiamo loro: grazie Servi di Maria! Con
affetto, vi saluta e vi benedice.
+ Luis Infanti de la Mora
vescovo di Aysén
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Cile
Cenni storici della
Missione di Aysèn
Negli articoli che seguono ci sono ricordi e ringraziamenti per quanti hanno contribuito alla storia del Vicariato
Apostolico dell’Aysen che quest’anno
celebra il 70° anniversario di affidamento
da parte della Curia Romana all’Ordine dei Servi di Maria. Per l’occasione
desideriamo riportare alcuni dati tra i
più rilevanti, per comprendere come il
cammino storico di questa Chiesa locale, come quello tutte le Chiese locali, si costruisce con il paziente progettare la vita ogni giorno, con intuizioni
grandi e a volte anche errori, da persone normali, ma sempre nella ricerca di
compiere la volontà del Signore annunciando il Vangelo. Il Vicariato Apostolico di Aysén (in latino: Apostolicus
Vicariatus Aysenensis) è una sede della
Chiesa cattolica che si trova nel Cile,
nella zona sud verso la regione australe. È stato costituito il 17 febbraio 1940
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e nel 2004 contava 71.898 battezzati
su 90.300 abitanti.
Il Vicariato comprende il territorio complessivo della XI Regione cilena di Aysén del General Carlos Ibáñez del Campo. La sede vescovile precedente era nella città di Puerto Aysén, sede dove approdarono al loro arrivo i Servi di Maria; attualmente si trova nella città di
Coyhaique. Il territorio si estende su
109.865 kmq ed è suddiviso in 6 parrocchie che comprendono 58 comunità, raggruppate a loro volta in 10
zone pastorali. I luoghi di culto, tra chiese e cappelle, superano la sessantina
I Pastori del Vicariato, dalla sua origine fino ad oggi,
sono cinque; il primo vescovo fu Antonio Maria Michelato Danese †, vescovo dal 5 aprile
1940 al settembre
1958. Poi Cesare
Gerardo
Vielmo
Guerra †, dal 19 dicembre 1959 al 16
giugno 1963, deceduto per incidente
di aereo. Savino Bernardo Maria Cazzaro Bertollo, dal 10 dicembre 1963 all’8
febbraio 1988 quando venne nominato arcivescovo di Puerto Montt, e trasferito a nuova sede vescovile fino al suo
ritiro per raggiunti limiti di età. Aldo Maria Lazzarin Stella dal 15 maggio 1989
al 19 gennaio 1998, dimessosi per motivi di salute e ritiratosi nel nostro convento di Udine. Infine Luigi Maria Infanti della Mora, nato a Campomolle
di Teor, comune di Teor, diocesi di Udine, il 5 agosto 1954, vescovo dal 30 agosto 1999 e attuale vescovo del Vicariato apostolico.
Cile
Sono stati 70 anni di storia, tutta una
vita di sforzi, nei quali religiosi italiani
sono giunti in questa regione per forgiare in destino di questa terra lontana,
ma benedetta per tanta bellezza pae-
telli Mario Caccia e Antonio Salasso. Furono i cinque religiosi dei Servi che
per primi posarono i piedi in Aysen e
ai quali si comandò il titanico lavoro
di farsi carico della evangelizzazione dei
dispersi abitanti delle ancora inospitale
e poco esplorata regione dell’Aysen. Dopo mesi di viaggio gli entusiasti e giovani Servi di Maria, sono ricevuti in
Cile da mons. Munita, vescovo della diocesi di Ancud e fautore principale del-
saggistica e umana. Settant’anni nei quali questi uomini hanno accompagnato
nella crescita i figli di questa terra in una
prospettiva umana, culturale e soprattutto spirituale.
Tappe della storia dei Servi di Maria in
Aysen. Il 16 settembre dell’anno 1937,
cinque giovani frati dell’Ordine dei Servi di Maria si imbarcarono dall’Italia verso le terre australi dell’Aysen “tutti animati da molti entusiasmo e spirito apostolico”, narra il p. Vladimiro Memo. Erano i frati Tommaso Sgualdino, Antonio
Michelato, Anastasio Bertossi, e i fra-
l’arrivo dell’Ordine in Aysen, verso cui
si incamminarono come loro tappa finale, Puerto Aysen, dove sbarcarono con
il battello “Coyhaique” il 3 novembre
1937. Come racconta nel suo libro il p.
Vladimiro Memo, “il parroco di Puerto
Aysen, Guglielmo Weisser li accolse molto contento nella casetta costruita con
tanto sforzo, a fianco alla prima Cappella
della regione. Decisero di sistemarsi in
emergenza e nel frattempo cercare un
posto più adeguato per potersi sistemare definitivamente”. A quel tempo Puerto Aysen era un piccolo paese che con-
Aysén:
una missione
di 70 anni
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tava circa due mila abitanti ed era capoluogo di Provincia. Qui i missionari
fissarono il loro centro operativo per
estendersi poi all’interno e avviare il
lavoro apostolico. Il parroco fa risaltare che come prima iniziativa dei Servi
di Maria fu la creazione nell’ottobre 1938
delle prime due scuole cattoliche della
regione, una a Puerto Aysen e una a
Coyhaique. Secondo quanto ha spiegato il p. Vladimiro Memo, queste costruzioni non corrispondevano solo alle istruzioni del vescovo Munita, ma anche agli orientamenti della Chiesa Cilena che voleva “all’ombra di ogni parrocchia una scuola cattolica”.
Dopo l’arrivo dei Servi nella regione,
la sfida fu di organizzare un servizio
religioso in tutto il territorio di Aysen e
“se oggi esistono tante comunità e chiese è perché i Servi accettarono la sfida
fin dal principio, investendo tante energie per far sorgere comunità religiose
in diverse parti del territorio regionale.
Tra le prime ci sono la parrocchia di
Coyhaique nel 1942, quella di Chile Chico nel 1948, e quella di Chaiten verso
nel 1954, che in seguito fu staccata da
Aysen e unita alla diocesi di Ancud.
Altro momento significativo fu quando
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la Santa Sede staccherà tutto il territorio di Aysen dalla diocesi di Ancud e
la costituirà come Prefettura Apostolica
il 17 febbraio 1940, dopo soli due anni dell’arrivo dei Servi di Maria. Il p. Memo afferma che fu “proprio il vescovo
Munita che promosse questo passaggio
e lo chiese al papa Pio XII e il Papa decise che in questo territorio sorgesse una
nuova Chiesa locale e nel futuro una
nuova diocesi”. Al di là dei dati storici,
vale la pena di mettere in rilievo lo stile di lavoro pastorale dell’Ordine dei Servi. Il p. Vladimiro sottolinea che i religiosi sempre agiscono e vivono come
comunità e lavorano uniti: “Essi si mossero sempre in gruppo come frati e seguirono due linee pastorali: le scuole
e le missioni nel territorio”. Altro grande merito è stata la promozione della
Cilenità. Secondo quanto ancora scrive p. Vladimiro, i religiosi parteciparono alla vita della Regione quasi dimenticandosi del paese natale. Fin dall’inizio si impegnarono ad assumere pienamente la cultura della regione di Aysen. Per questo i Servi di Maria sono
molto integrati con il popolo assumendone la cultura, e promuovendo lo sviluppo della Regione”.
TRATTO DA: PUENTES DE AYSEÉN
Cile
Cile
Testimonianze
e riconoscimenti
Ancud
Sono stati incorporati nella storia della
Regione: Non c’è villaggio ne località
che non sia stata, insieme alle autorità
del tempo,benedetta da un sacerdote Servi di Maria. La loro presenza in ogni famiglia ha fatto sì che i figli fossero incorporati alla Chiesa con il battesimo.
Erano presenti, insieme alle autorità civili, a tutte le occasioni gioiose di ringraziamento, ma anche negli eventi dolorosi, accanto agli infermi, in occasione di funerali, con le famiglie provate.
Si sono fatti carico della educazione
dei bambini e dei giovani, ma soprattutto
la loro presenza era in chiesa, dedicata
alla preghiera e al ringraziamento a Dio.
Ringraziamo e siamo riconoscenti a tutti i Servi di Maria che in tanti anni li
abbiamo visti predicare la Parola di Dio
in Chiesa, nei villaggi, nelle città e nei
nostri campi. Sono state persone di pace e solidarietà.
Alberto Saìni – Coyhaique
Ero molto piccola quando ho conosciuto i Servi di Maria. Ricordo il p. Antonio Nichelato e il p. Nunzio che venivano per Mano Nigra, sulla montagna,
a cavallo, con molte peripezie. Così era
il nostro vescovo: veniva a visitare le
pochissime persone che abitavano quei
luoghi.
Teresa Tromer – Puerto Aysen
Quando io avevo sette anni, il p. Mario,
alla domenica celebrava una Messa per
i bambini, e lui per farci partecipare ed
entusiasmarci, faceva come se fossimo
al Festival de Viña: cantava e faceva tutto uno spettacolo, ed era una cosa emozionante. Noi, i bambini, piovesse o tuonasse, non ci perdevamo una Messa.
Ho molti bei ricordi della mia infanzia.
Andrea Reyes – Puerto Aysen
Voglio rendere omaggio a p. Josè Bellò.
Ho vissuto a lungo con Lui, dal momento
che io vivo a Cochrane dall’anno 1962
e lui è stato una guida spirituale per me
e la mia famiglia.È un uomo, un religioso,
un santo che merita tutto il rispetto per
il lavoro che ha fatto. Un ringraziamento a lui e a tutti i Servi di Maria.
Manuel Frìas – Cochrane
15
Messico
Violenza a Messa
L
’arcidiocesi di Città di Messico condanna la brutale profanazione della celebrazione dell’Eucaristia domenicale nella Cattedrale metropolitana da parte di circa duecento simpatizzanti del Partito Democratico della Rivoluzione (PRD), che entrarono a forza
gridando insulti contro il papa Benedetto
XVI e l’Arcivescovo di Città di Messico, cardinale Norberto Rivera, e urlando slogan per il loro leader Andres Manuel Lopez Obrador. In un comunicato
firmato dal portavoce dell’Arcidiocesi,
p. Hugo Valdemar, si condanna la brutale profanazione della Messa, come anche la profanazione del luogo sacro e
l’aggressione fisica dei fedeli e ci si augura che le Autorità cittadine e quelle
federali abbiano a cuore la libertà di culto e il rispetto per il più grande sacramento che hanno i cattolici, l’Eucaristia:
si tratta di una espressione inequivocabile di intolleranza religiosa e di odio
verso la Chiesa Cattolica.
I duecento simpatizzanti del PRD entrarono violentemente nel tempio per
“protestare” per i rintocchi delle cam-
pane che invitano alla Messa perché, secondo loro, le campane suonarono per
interrompere la “Terza Convenzione Nazionale Democratica” che stavano tenendo in piazza. Come si sa i rintocchi delle campane è il richiamo tradizionale per la Messa e si usa da secoli
nelle chiese cattoliche. I protagonisti di
questo “condannabile e vile gesto di terrore” entrarono “spalancando a calci
le porte, rompendo le barriere di sicurezza, causando danni, rovesciando i
banchi e aggredendo fisicamente i fedeli, e questo ha causato panico tra i
presenti, tra i quali c’erano anziani, donne e bambini”.
Per protestare contro l’atto vile e per la
sicurezza, si avvisarono i fedeli della
chiusura della cattedrale finché le autorità non avessero garantito seriamente “la libertà di culto e la integrità dei
fedeli che assistono alla Messa, e che
vengano puniti esemplarmente i sacrileghi criminali che hanno compiuto questo gesto di terrore”.
L’arcidiocesi di Messico invita i fedeli
cristiani e i suoi sacerdoti a compiere
atti di riparazione nelle rispettive comunità parrocchiali per ottenere il perdono di Dio per le costanti profanazioni dell’Eucaristia e per la violenza nella Cattedrale che gruppi del PRD stanno compiendo da oltre un anno, offese
gravissime a Dio nostro Signore e alla
fede di milioni di cattolici del paese.
MÉXICO D.F. – (ACIPRENSA)
Sole Azteca
Davanti a questo nuovo attentato del
PRD, il presidente del Collegio degli Avvocati cattolici, Armando Martinez, ha
annunciato che presenterà una denuncia alla Procura Generale della Repubblica e all’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia per i danni causati, denuncia che coinvolge anche il senatore
Rosario Ibarra che, con il suo discorso,
ha incitato alla violenza. Sono atti di violenza che non si possono accettare, soprattutto perché mettono a rischio la
sicurezza dei fedeli, del cardinale, dei
vescovi e dei laici collaboratori della
Cattedrale. Il rettore della Cattedrale Metropolitana, il p. Ruben Avila Enriquez,
ha invitato le Autorità ad intervenire perché non si può permettere che si violi
e si profani questo luogo sacro, e che
si metta a rischio l’integrità fisica delle
persone. È assolutamente inaccettabile
che si usi come scusa il suono delle campane per attaccare la Cattedrale.
Argentina
Il sogno diventa realtà
N
el numero di ottobre era apparso un articolo in cui facevo conoscere il progetto per sensibilizzare il Governo argentino per la promozione di abitazioni per i cittadini
più poveri. Il progetto prevedeva un
accordo tra la Caritas Argentina della
Parrocchia dei Servi di Maria e il Governo centrale. La Parrocchia si rendeva disponibile all’acquisto del terreno su
cui fabbricare, la scelta delle famiglie
beneficiarie, l’aiuto per l’auto costruzione delle case (ogni famiglia costruisce la propria casa) in simultanea, incoraggiando la responsabilità, la diligenza e la costanza delle famiglie. Il Governo centrale avrebbe finanziato le
costruzioni offrendo anche un minimo
di stipendio alle famiglie per il lavoro
17
Argentina
di auto costruzione. A marzo del 2007
il Governo ha approvato la costruzione
di 16 case nel comune più povero della Parrocchia, nel Robon. La lunga attesa del finanziamento faceva cadere
la gente nella delusione, incolpando il
sottoscritto quasi fosse stato uno scherzo da parte mia che ne ero stato il promotore tre anni fa.
A fine ottobre c’erano le votazioni per
l’elezione del Presidente della Repubblica, e la speranza che per l’occasione venisse rispettato l’accordo con la
Caritas era grande. A tre giorni dalle elezioni, una serie di telefonate ci informano che finalmente i soldi erano stati depositati sul nostro conto (al cambio,
circa 200 mila euro) e per il 5 novembre era necessario firmare gli accordi
di inizio dei lavori necessari e obbligatori per poter attingere al fondo.
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Rifare il giro delle sedici numerose famiglie nelle loro precarie abitazioni disperse nel territorio è stata una gioia
grande. Le famiglie, quasi non credendo a se stessi, hanno risposto immediatamente dandosi da fare con entusiasmo.
I tecnici presenti non pensavano che in
10 giorni si potessero fare i tracciati, scavare a mano le fondamenta e fare anche la gettata. Per le famiglie, la mia presenza in questo inizio lavori, sembrava
una benedizione del cielo. Mi pare giusto informare i lettori della rivista “La
Missione della Madonna”, e quanti hanno già contribuito con offerte al progetto
che le cose si stanno risolvendo in bene per quelle sedici famiglie. Aggiungo
un cordiale ringraziamento agli offerenti.
p. Carlo Serpelloni
[email protected]
Bolivia
Io ballo davanti alla Vergine
P. Nico, rettore del Santuario della B.V.
del Socavon, racconta al gruppo di ballo della “Morenada Central” la sua esperienza nel carnevale di Oruro e cerca
di spiegare che si, è anche una festa,
ma all’origine e prima di altro, il ballo
e il pellegrinaggio al Santuario è un
gesto religioso.
«Cari amici della “Morenada Central” è
con vero piacere che vi offro la
mia testimonianza “perché ballo
davanti alla Vergine”. Quando io
ero ragazzo, ballare era peccato,
anche se veramente non capivo
il perché. Ricordo che mio nonno litigava con mia zia che qualche volta usciva a ballare…e non
parliamo del parroco: come tuonava dal pulpito contro coloro che
andavano a ballare. Erano immediatamente scomunicati. Capisco
che ci sono balli provocatori che
possono indurre al male, e quei
balli senza dubbio bisogna evitarli, anche se il ballo in se non
porta nessuna conseguenza negativa… In tutte le culture, il ballo è segno di gioia, di pace interiore, di amicizia, di bellezza,
ma anche segno di fede, di devozione e
di religiosità.
Quando sono giunto in Bolivia ho assistito per la prima volta al carnevale di
Oruro nel febbraio 1992: ne avevo tanto sentito parlare, ma altra cosa è vederlo,
viverlo. Mi ha entusiasmato in modo
impressionante. Ho preso una quantità
enorme di foto e ho scritto articoli per
alcune riviste italiane. Chiaro che allora
non pensavo che io stesso un giorno avrei
ballato, ma fu così.
Il p. Alfonso Massignani mi spiegò a lungo la storia e l’origine del nostro carnevale. Mi diceva tra l’altro che «non è esatta la parola carnevale. Si dovrebbe dire
“pellegrinaggio esterno” della festa patronale». Il fatto ha la sua origine remota, verso il 1700. I minatori volevano
celebrare la festa patronale il 2 febbraio,
giorno della presentazione al Tempio
del Signore, festa detta anche della Candelora, ma i loro capi non li autorizzavano perché non potevano sospendere
il lavoro, anche se i capi stessi non si per-
devano le feste e le baldorie per il carnevale, che sempre cadevano il giorno
prima. Fu così che i minatori approfittarono di questo giorno per organizzare il
pellegrinaggio fino al santuario della Vergine, partendo da fuori città. A questa celebrazione si è dato il nome di “Carnevale di Oruro” per la coincidenza con
la festa della Madonna candelora del 2
febbraio, però in fondo si tratta di un
pellegrinaggio religioso, non di una carnevalata.
Tutto questo e molto altro ho appreso e
mi ha entusiasmato. Letture di autori famosi, conferenze di personaggi eminenti e testimonianze emozionanti di balle-
19
rini mi motivarono ulteriormente.
Ricordo che anche il re Davide ballò
davanti all’arca della Alleanza. Lo sapete che cosa è l’Arca dell’Alleanza? È uno
scrigno prezioso di legno pregiato che
conteneva le due tavole della Legge che
Dio aveva dato a Mosè sul Monte Sinai.
Con l’Arca portata a spalla come una
barella, il popolo si moveva, anche quando andava alla
guerra: Dio stava
con loro. Noi, tra
i tanti titoli, diamo
alla Vergine anche
quello di “Arca dell’Alleanza” perché
Lei porta Cristo, e
ci conduce a Cristo. La Bibbia, nel
2° libro di Samuele al capitolo 6 versetto 14 e seguenti, dice: «Davide, vestito
solo con una stola preziosa, danzava con
tutte le sue forze alla presenza di Jahveh. Davide e tutta la gente di Israele
seguiva l’Arca di Jahveh con canti e suoni di trombe. Quando l’Arca entrò nella
città di Davide, Micol, figlia di Saul, stava osservando dalla finestra. Vide il re Davide che saltava e danzava alla presenza di Jahveh, e lo disprezzò nel suo cuore… E Micol, figlia di Saul, non ebbe figli fino al giorno della sua morte». Che
bel messaggio! Si vede l’Arca, ma non
il suo contenuto, e senza dubbio il contenuto (le Tavole della Legge) è più importante dell’Arca. Così è la Vergine: si
vede Maria che va a visitare Elisabetta,
e non si vede Gesù che porta in grembo. Di certo nel suo grembo porta Gesù
che è la Vita, lo porta fino alla casa di
Elisabetta e lì avviene il grande incontro: «Benedetta tu fra tutte le donne e
benedetto il frutto del tuo grembo. A
che debbo che la Madre del mio Signore venga a me?» (Vangelo di Luca 1, 4243). Nello stesso istante, Giovanni Battista viene santificato nel ventre della sua
madre. Allo stesso modo, noi vediamo
solo il volto di Maria nel suo andare:
oltre l’immagine sta la realtà. Balliamo
a Cristo che Lei, non la sua immagine,
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porta nel suo seno. Che qualcuno, come Micol, ci disprezzi, non ci importa:
noi balliamo davanti alla Vergine, e stiamo lodando il Signore. Anch’io ho ballato per tre anni in onore della Vergine
per dare gloria a Dio. Non importa averlo fatto in una “diablada” o in un’altra
occasione folcloristica, l’ho fatto con molta fede, facendomi solidale con tutte i
danzatori; l’ho fatto con tutte le mie forze e l’entusiasmo di cristiano, nonostante i miei annetti; l’ho fatto come pellegrino con spirito penitenziale, per amore, per devozione, anche se per qualcuno sono sembrato ridicolo. Desidero aggiungere ancora una parola. Mi chiedo
qual è l’aspetto della “tradizione intangibile” del nostro carnevale come patrimonio? Non è l’aspetto folcloristico e non
è quello culturale. Questi due aspetti si
incontrano un tutti gli eventi boliviani.
Io affermo con sicurezza e forza che l’aspetto tradizionale intangibile del nostro
carnevale di Oruro è l’aspetto religioso,
devozionale, precisando che, ad imitazione del primi minatori, i danzatori terminano il pellegrinaggio, in ginocchio
ai piedi della “Mamita del Socavon” (Madre del Socavon).
Se tralasciamo questo aspetto che non avviene ne ad Urkupiña ne al santuario
del Signore del “Gran Poder”, ne in nessun altro santuario, il nostro carnevale sarebbe una “parata qualsiasi”. Pertanto,
amici, continuiamo a ballare in onore
della Vergine per la gloria di Dio. Concludo con le parole di mons. Braulio Sàez
Garcìa, nostro ex vescovo di Oruro: “Il
carnevale è di tutti, nessuno può appropriarsene: è del popolo che ama, venera e desidera Maria come madre, sorella e amica del cammino. È dei ballerini
che vogliono manifestare la loro fede e
devozione perché Lei li ha attratti; è dei
piccoli e dei grandi, tutti ci sentiamo figli e vediamo in Maria la Madre; è di
tutti i credenti come atto di culto alla Madre nel suo tempio del Socavon”.»
p. Nico Sartori
rettore del Santuario
(trad. f.p.)
In questi giorni si apre alla presenza delle Autorità della Regione e del Comune
il grande “carnevale di Oruro”, con cinquantatré gruppi folcloristici che rendono onore con la danza all’Immagine della Vergine del Socavon. Sono migliaia i
turisti stranieri e di altre parti della Bolivia che si sono dati appuntamento ad
Oruro, favoriti da un sole splendido, al
ritmo di danze indigene, di passi ritmati e di balzi in alto al suono di una moltitudine di bande di trombe, di piatti e
di grancasse. Oruro, considerata la capitale del folclore boliviano e dichiarata
dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità,
ha una popolazione che pratica culti e
tradizioni in luoghi sacri andini, le cui
rocce hanno formazioni di animali, come il condor, la vipera, il rospo, la lucertola e la formica. Questi culti andini
si mescolano alla credenze cristiane introdotte dagli spagnoli. In Oruro ci sono
popolazioni indigene di grande importanza per il continente americano, i gruppi etnici degli Urus, Uru Muratos e Uru
Chipayas. La natura, a parte le zone desertiche della regione, ha provvisto Oruro di abbondanti risorse: ci sono ricchi
giacimenti di minerali e di ricchezze
naturali, come le sorgenti termali di Capochos a 10 chilometri dalla città, le
fonti di Obrajes a 20 chilometri e Pazña
a 7 chilometri. In Oruro esistono anche
vulcani ancora attivi ed ecosistemi lacustri, come il lago Poopò, con un’abbondante presenza di fenicotteri e altri tipi
di uccelli acquatici; nel deserto non è
raro essere vittime di miraggi, inoltre ci
sono grandi saline, la più importante è
quella di Coipasa. Altro fenome naturale interessante, a circa 20 chilometri dal
villaggio di Turco, è Pamuri con la sua
enorme formazione rocciosa in un’area
di circa cinque chilometri quadrati. Oruro è una delle scelte più interessanti per
il turismo d’avventura in Bolivia.
Padre Nico
festeggia
il suo compleanno
Padre Nico
Il p. Nico Sartori, rettore del santuario del
Socavon ha festeggiato il suo compleanno suonando con i gruppi folcloristici che
partecipano alla danza di pellegrinaggio
alla Vergine del Socavon. Mentre preparava l’accoglienza del pellegrinaggio dei
gruppi folcloristici, ha affermato che si
sentiva compiaciuto per questa situazione, doppiamente compiaciuto e felice,
perché questa festa devozionale, nella
quale anche lui opera, è una delle attività che attende durante tutto l’anno per
poterne far parte.
“Sembra che la prima salita al santuario
sia stata preparata per il mio compleanno, e allora a maggior ragione sono felice, in questo giorno pieno di sole di cui
non ci lamentiamo, perché i danzatori
non guardano a questo, ma danzano
con spirito principalmente di fede”. P. Nico dice di confidare nella maturità dei
danzatori per evitare il consumo di bevande alcoliche, che è ciò che maggiormente pregiudica lo sviluppo del pellegrinaggio, travisando troppe volte, che
la salita danzando al santuario è di carattere religioso.
“I Servi di Maria, dice il p. Nico, sono
pronti per questa ricorrenza annuale, perché il centro della festa patronale e il carnevale sono un unico evento e questa
coincidenza, per la prima volta nella
storia, si realizza il 2 febbraio, giorno della festività della Vergine della Candelora, e per questo le daremo tutto il risalto possibile”.
Il p. Nico rinnovò la sua gratitudine alla
Vergine per aver premesso che il giorno
del suo compleanno fosse unito anche
con quello dell’apertura dei pellegrinaggi. La cosa che lo ha fatto molto felice è
stata quella che nelle prime ore della mattina, fu felicitato con la musica dei “Mariachis” nel santuario del Socavon.
LA PATRIA, 12 NOVEMBRE 2007
LA PATRIA - Quotidiano della Bolivia
Mille pellegrini
ballano in onore
della Madonna
del Socavon
21
Bolivia
Ordine secolare dei Servi di Maria di Oruro
celebra i 60 anni di vita
22
ordine secolare dei Servi di Maria della fraternità dell’Addolorata il 16 novembre scorso ha celebrato i 60 anni di vita nel servizio a
Dio, ispirandosi alla Vergine Maria, umile serva, curando i propri simili con fe-
L’
contri con i giovani dei collegi, aiuto
al centro delle madri, centri di educazione sociale, igiene e salute mentale,
alcolismo, aiuto negli ospedali, nelle carceri, nella mensa per i poveri, ecc.
Dopo l’omelia della Messa, la Frater-
de, speranza e amore in Cristo. La celebrazione è stata presieduta da p. Sebastano Sandoval, priore del Convento
di Nostra Signora del Socavon e concelebrata da p, Nico, rettore del santuario e da fra Marcello, assistente del
medesimo Ordine Secolare, con la presenza del diacono fra Lorenzo (che quest’anno celebra anche lui l’anniversario
di 60 anni di vita missionaria), e una delegazione delle fraternità secolari di
Cochabamba con alcuni invitati speciali.
Durante la celebrazione eucaristica, la
sorella Anna priora della fraternità dell’Addolorata, prese la parola per ricordare le tante persone che collaborarono per diffondere questa espressione dell’Ordine nella città di Oruro. Inoltre
mise in evidenza il lavoro realizzato dalle sorelle in tutti questi anni: servizio ministeriale (ministri straordinari dell’Eucaristia, visita agli infermi), catechesi, in-
nità secolare si dispose a rinnovare la
sua Promessa davanti l’immagine della
Vergine Addolorata, sua Patrona. Dopo
la comunione la signorina Alessandra
Aranibar rinovò pubblicamente e per
la quinta volta la sua promessa come
Laica Consacrata. L’assemblea applaudì
l’offerta di Alessandra.
Dopo la celebrazione, presso il Centro
Mariano si proseguì con il brindisi, al
suono della musica messicana e con balli nazionali. La gioia e la festa da parte di tutti i membri della fraternità Secolare dell’Addolorata e dei loro assistenti fu grande e coinvolgente. Molte
persone si congratularono e presentarono dei doni, ma particolare attenzione deve andare a un quadro con la Immagine della Vergine Addolorata donato dal professore Enrico Patiño.
fray Edson M. Choque Véliz, osm
Guatemala
“I
n Guatemala, l’adozione di bambini e bambine si è trasformata,
da alcuni anni, in un’attività commerciale e lucrosa, perdendo quel carattere nobile che la contraddistingue quando tenta di dare una famiglia ed una casa stabile al bambino o alla bambina
abbandonato, indigente, handicappato
o non desiderato”: è la denuncia che la
Conferenza Episcopale del Guatemala ha
diffuso attraverso un comunicato in occasione dell’imminente approvazione, prevista per l’11 dicembre, di una nuova legge sulle adozioni da parte del Congresso della Repubblica.
Attualmente, si legge nel comunicato,
“si commercia con le vite dei bambini,
trattandoli come semplice merce, comprati attraverso reti di vera e propria tratta di bambini e bambine”. Inoltre, in molte occasioni, i bambini non vengono affidati volontariamente ma “si utilizzano
raggiri ed inganni, affitto di uteri e sequestri”. Questa situazione, riconoscono i Vescovi, è sintomo della profonda
crisi di valori umani e morali che vive il
paese. I Vescovi ricordano che il Guatemala “ha approvato la Convenzione dei
Diritti del Bambino il 10 maggio 1990,
e nell’anno 2002 il Congresso della Repubblica ha approvato l’Accordo de l’Aia,
benché il presidente della Repubblica
avesse espresso ufficiale adesione in quello stesso anno, il Congresso della Repubblica ha approvato nuovamente l’Accordo de l’Aia il 31 maggio 2007, con
decorrenza a partire dal prossimo 31 dicembre”. Secondo tale accordo, lo Stato
guatemalteco deve assicurare la realizzazione di questi accordi promulgando
una legge sulle adozioni che recepisca i
contenuti degli accordi sottoscritti”. Tocca ora al Congresso della Repubblica tenere fede alla sua responsabilità storica,
approvando la legge sulle adozioni orientata a proteggere i diritti del bambino e
ad affrontare con fermezza gli eccessi e
gli atteggiamenti immorali che hanno trasformato l’adozione in un commercio”
conclude il comunicato dei Vescovi.
(AGENZIA FIDES 10/12/2007)
La Chiesa contro le adozioni statali
23
Bimestrale di informazione
e animazione missionaria
dei frati Servi di Maria
della Provincia di Lombardia
e Veneto.
N. 1 - Gennaio/Febbraio 2008 - Anno LXXXIV - Aut. Trib. Vicenza n° 150 del 18-12-1979 www.missionimonteberico.it
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gennaio febbraio 2008 - Missioni Monte Berico