6
4.2.4.
4.3.
4.4.
4.5.
4.6.
La spesa della pubblica amministrazione per la formazione
continua dei dipendenti
4.2.5. Il finanziamento della formazione in alternanza
4.2.6. Sintesi della spesa pubblica per la formazione professionale
Il peso dei fondi comunitari
La spesa delle aziende
La spesa individuale
I confronti internazionali
Capitolo 5 — Aspetti qualitativi
5.1. Certificazione e qualifiche
5.1.1. Due sistemi di certificazione
5.1.2. Le certificazioni facenti capo al sistema scolastico e universitario
5.1.3. Le certificazioni facenti capo al sistema di formazione professionale
5.2. Formazione dei formatori
5.2.1. I docenti e i formatori del sistema di istruzione e formazione
professionale
5.2.2. Aspetti normativi e professionali della figura del docente
e del formatore
5.3. Orientamento professionale
5.3.1. Il quadro legislativo
5.3.2. Le strutture esistenti
5.3.3. Nuove prospettive
5.3.4. Alcune esperienze innovative
Capitolo 6 — Tendenze, prospettive e innovazioni
6.1. Strategia generale
6.2. Interventi normativi in atto
6.3. Aspetti innovativi
6.3.1. Verso l’integrazione tra i sistemi
6.3.2. La formazione tecnica professionale superiore
6.3.3. L’apprendistato
6.3.4. Tirocini formativi e di orientamento
6.3.5. Lo sviluppo del sistema di certificazione
6.3.6. L’accreditamento delle strutture formative
Allegati
1.
2.
3.
4.
Acronimi
Principali enti
Glossario minimo
Bibliografia sulla formazione professionale 1997/98
99
100
101
102
104
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109
109
109
110
112
112
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114
114
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119
119
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123
123
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125
127
128
136
139
141
143
149
151
Capitolo 6
Tendenze, prospettive e innovazioni
6.1. Strategia generale
119
La legge quadro 845/78 aveva inserito la formazione professionale fra gli strumenti di
politica attiva del lavoro, al fine di qualificare, riqualificare, specializzare, aggiornare
e perfezionare i lavoratori in un’ottica di formazione permanente; di fatto il sistema
italiano di formazione professionale si era per lungo tempo concentrato sulla
formazione di primo livello, con l’obiettivo di recuperare un’utenza svantaggiata
fuoriuscita dal sistema scolastico senza alcuna qualificazione, e solo nel corso degli
anni ’80 aveva cominciato ad aprirsi alle altre utenze.
Dopo l’introduzione dei contratti di formazione e lavoro, il favore mostrato dal
mondo delle imprese verso tale strumento aveva avviato il confronto fra le parti sociali
sul ruolo della formazione.
A partire dai primi anni ’90 su impulso delle nuove esigenze espresse dal mondo delle
imprese e delle strategie emerse a livello comunitario e sintetizzate nel libro bianco
sull’educazione e la formazione, è stato avviato nel nostro paese un ampio dibattito
volto a modernizzare e riqualificare tutto il sistema di formazione professionale.
Nel protocollo di intesa del gennaio 1993 tra Confindustria e CGIL, CISL e UIL, le parti
sociali avanzano proposte per una riforma complessiva del sistema, individuando
cinque obiettivi strategici per la modernizzazione del sistema:
1)
2)
3)
4)
5)
collegare esigenze produttive e formazione;
avere una puntuale rilevazione dei bisogni;
sviluppare iniziative per lavoratori già inseriti nel mondo del lavoro;
far decollare un sistema di formazione in alternanza con contratti a causa mista;
accrescere le iniziative per fasce deboli e lavoratori in mobilità e quelle connesse
alle azioni positive.
Tali obiettivi strategici dell’intesa bilaterale vengono ripresi e dettagliati in maniera
più analitica nel successivo accordo sulla politica dei redditi e dell’occupazione del
luglio 1993.
In primo luogo l’accordo sottolinea la necessità di superare il confuso panorama
istituzionale, caratterizzato da segmentazione e scarso coordinamento fra i soggetti
istituzionali interessati: ministero del Lavoro, ministero della Pubblica istruzione,
Regioni. A tal fine è prevista l’istituzione di un comitato permanente, cui partecipano
anche le parti sociali, con funzioni di raccordo fra i tre filoni del sistema formativo
italiano: scuola, università e formazione professionale. Si individua quindi la necessità
di chiarire le funzioni dello Stato e delle Regioni in materia di FP, esigenza questa che
sarà soddisfatta con il decreto legislativo 112/98.
In secondo luogo l’accordo evidenzia la necessità di riorientare il sistema di FP verso la
domanda ancora inevasa, attraverso lo sviluppo della formazione superiore, della
formazione in alternanza, della formazione continua.
In particolare si auspica lo sviluppo di un’offerta formativa post qualifica, post diploma
e post laurea; si definiscono i criteri per la riforma dei contratti a causa mista
(apprendistato e CFL), con l’obiettivo di valorizzare la formazione teorica; si invoca
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Proprio alle parti sociali va riconosciuto il merito di aver sollecitato per prime
un’adeguata riflessione su un sistema indirizzato prevalentemente verso la
formazione di base, mentre appariva debole l’impegno nelle altre filiere: formazione
professionale superiore, formazione in alternanza, formazione continua.
Capitolo 6
120
l’avvio di un sistema di formazione continua, finanziato con le risorse derivanti dal
gettito dello 0,3 % del monte salari da parte delle imprese.
Per quanto riguarda poi la formazione di base, essa va riformulata in relazione
all’innalzamento dell’obbligo scolastico, mentre la riforma della scuola secondaria
superiore va inquadrata nell’ottica di un sistema integrato fra scuola e formazione
professionale.
Il successivo patto per il lavoro del settembre 1996, sottoscritto dal governo e dalle
parti sociali, sostanzialmente conferma gli obiettivi programmatici dell’accordo del
’93, con un approccio sistemico: viene formalmente richiesto il superamento della
legge 845/78 per delineare un nuovo quadro istituzionale imperniato sul sistema
formativo integrato.
A tal fine si indicano i seguenti obiettivi fondamentali: innalzamento dell’obbligo
scolastico a 16 anni; diritto alla formazione fino al diciottesimo anno di età;
perseguimento della «integrazione» tra i sistemi di istruzione, formazione e lavoro
attraverso l’adozione di una struttura modulare nei percorsi e di un sistema di crediti
formativi e certificazione; strutturazione di un sistema autonomo di formazione
superiore, non in continuità rispetto alla scuola secondaria; valorizzazione delle
attività formative all’interno dell’apprendistato e contratti di formazione-lavoro;
diffusione degli stages; sviluppo della formazione professionale continua.
Infine nel mese di dicembre 1998 è stato siglato il «Patto sociale per lo sviluppo e
l’occupazione». Questo patto, stipulato tra governo e parti sociali, attribuisce alla
formazione un valore strategico.
In particolare, prevede i seguenti interventi:
• introduzione dell’obbligo di formazione (a scuola, nei centri di formazione
professionale, in apprendistato) fino a diciotto anni di età;
• potenziamento dell’apprendistato (in particolare della formazione esterna) e dei
tirocini;
• sviluppo del nuovo canale di istruzione e formazione tecnico-professionale
integrata;
• rafforzamento della formazione continua, anche attraverso riduzioni di orario di
lavoro.
Infine, nel gennaio del 1999 è stata introdotta l’estensione dell’obbligo scolastico a
nove anni di durata, sino al compimento del quindicesimo anno di età, nel quadro di
un processo più esteso di riforma che nel mese di maggio ha elevato l’obbligo di
istruzione e formazione al diciottesimo anno, secondo criteri che vengono meglio
specificati nel paragrafo 6.2. Si può pertanto affermare che la strategia generale di
riforma complessiva del sistema di istruzione e formazione professionale, delineata
nell’accordo per il lavoro prima e poi nel patto sociale, si è già tradotta in una serie di
interventi normativi, mentre altri obiettivi programmatici sono in attesa di una
regolamentazione attuativa.
In ogni caso si deve sottolineare che il processo di concertazione fra governo e parti
sociali ha avuto un ruolo prioritario per la riforma del sistema di istruzione e
formazione professionale; lo stesso modello «partecipativo» viene confermato come
strumento strategico nella definizione degli obiettivi di riforma in materia non solo di
istruzione e formazione, ma in generale di occupazione e lavoro.
Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
6.2. Interventi normativi in atto
121
Nell’ambito del processo di rinnovamento del sistema italiano di formazione
professionale, il 1993 rappresenta il momento di maturazione del dibattito, con
l’esplicitazione della strategia in intese programmatiche, quali il protocollo di intesa e
l’accordo del lavoro ricordati nel paragrafo precedente, e l’avvio del processo
normativo di riforma.
Infatti la legge 236/93 detta le prime norme in materia di formazione continua, di
stages e di indagini di fabbisogni formativi svolte dagli enti bilaterali; successivamente
la legge 451/94 dà attuazione alla revisione dei contratti di formazione e lavoro; nel
1995 viene istituito presso il ministero del Lavoro il comitato nazionale della
formazione professionale, formato da rappresentanti dei ministeri, delle regioni, delle
parti sociali.
La legge 196 del 24 giugno 1997 è una norma complessa, che contiene misure di
flessibilizzazione del mercato del lavoro — in particolare prevede l’introduzione
anche nel nostro paese del lavoro interinale — accanto a numerosi interventi in
materia di formazione professionale. Oltre alle norme per la formazione dei lavoratori
temporanei (articolo 5) e dei giovani inseriti nei lavori di pubblica utilità e nelle
esperienze di «borse-lavoro» (articolo 26), gli articoli 16, 17 e 18 rappresentano gli
interventi riformatori più ampi.
Gli articoli 16 e 18 mirano a riformare il ruolo della formazione in alternanza
nell’ambito del sistema formativo italiano, sulla base delle indicazioni concertate fra
governo e parti sociali. In particolare l’articolo 16 contiene importanti modifiche alla
disciplina dell’apprendistato, tese a rilanciare lo strumento come canale formativo
privilegiato, non più limitato al recupero di giovani fuoriusciti dal sistema scolastico
senza alcuna qualificazione ma utile a sostenere l’inserimento dei giovani sul mercato
del lavoro.
L’intervento normativo in materia di tirocini formativi e di orientamento era da tempo
auspicato, per consentire di regolamentare le esperienze di formazione in alternanza
che si vanno ormai generalizzando all’interno sia dei percorsi scolastici che di
formazione professionale.
L’impegno più ampio di riforma dell’intero sistema di formazione professionale è
assunto nell’articolo 17, che delinea principi e criteri generali per il riordino,
demandando al governo la definizione puntuale dei diversi aspetti attraverso norme
regolamentari successive.
In particolare vengono affidati alla regolamentazione del governo (il regolamento
attuativo è in fase di predisposizione) i temi che sono stati al centro del dibattito sulla
modernizzazione del sistema di formazione per tutto il corso degli anni Novanta e
quindi:
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Alle proposte elaborate in questa sede si ispirano prima il patto per il lavoro del
settembre 1996 e poi la legge 196 del 24 giugno 1997, «Norme in materia di
promozione dell’occupazione». Dunque il processo di rinnovamento e
modernizzazione del sistema di formazione professionale trova una prima sintesi
normativa che esplicita le linee guida per la riforma, demandando a successivi atti
regolamentari la definizione puntuale di tutti gli aspetti. Insieme al decreto di riforma
dei cicli scolastici e alle proposte in merito all’istruzione universitaria si delinea un
intervento ad ampio raggio di ridefinizione dell’intero sistema formativo.
Capitolo 6
122
• la semplificazione delle procedure relative al funzionamento del sistema, in
particolare per quanto riguarda l’erogazione dei cofinanziamenti alle
amministrazioni titolari, il sistema di rendicontazione delle attività e l’abolizione
della garanzia fideiussoria richiesta alle strutture formative per ottenere gli
anticipi;
• l’individuazione di requisiti predeterminati in base ai quali individuare le strutture
di formazione cui sarà successivamente affidata la gestione delle attività, problema
che va sotto il nome di «accreditamento»;
• la costruzione di un sistema nazionale di formazione continua, anche mediante la
progressiva attribuzione a tale canale formativo di tutte le risorse provenienti dal
prelievo dello 0,30 % sulle aziende;
• la definizione dei criteri per la certificazione delle competenze e la realizzazione di
un sistema di riconoscimento dei crediti.
Come è evidente dai temi indicati, si tratta di una riforma che vuole incidere
profondamente sul sistema, che è in linea con le indicazioni emerse anche a livello
comunitario nel libro bianco per la formazione e che richiama i temi che sono
attualmente al centro del dibattito anche negli altri paesi europei.
Successivamente con il decreto legislativo 112/98 si completa il trasferimento alle
regioni delle competenze in materia di formazione professionale. In particolare si
riconoscono alle regioni «tutte le funzioni e i compiti amministrativi in materia»,
lasciando allo Stato la cura dei rapporti internazionali, le funzioni di indirizzo e
coordinamento, l’individuazione di standard delle qualifiche professionali e di
requisiti minimi per l’accreditamento delle strutture formative.
Accanto al processo di riforma innescato dall’articolo 17 della legge 196/97, altre
filiere del sistema formativo sono in via di rinnovamento. È il caso del «nuovo
apprendistato», per il quale è stato avviato il processo di definizione dei contenuti
formativi delle attività esterne all’azienda, mentre è fra le priorità del governo un
regolamento di armonizzazione dei due istituti contrattuali a causa mista
(apprendistato appunto e contratti di formazione-lavoro).
Tuttavia il processo di rinnovamento in atto investe anche il sistema di istruzione, con
l’obiettivo di integrare le due anime della formazione, quella scolastica e quella rivolta
al mondo del lavoro. Tale tentativo di integrazione ha prodotto, dopo un impegnativo
processo di progettazione e concertazione fra istituzioni e parti sociali, l’avvio di una
nuova offerta di formazione tecnica e professionale superiore (IFTS), che nel maggio
1999 è stata normata dall’articolo 69 della legge 144.
Inoltre, nel gennaio del 1999 con la legge n. 9, è stata approvata l’estensione
dell’obbligo scolastico a 9 anni, ovvero da 6 a 15 anni di età; questo provvedimento
era in realtà un passaggio nel più generale processo che nel maggio 1999 ha elevato
l’obbligo di istruzione e formazione al diciottesimo anno di età, da espletare nel
sistema scolastico, nella formazione professionale regionale o attraverso
l’apprendistato, in modo tale che tutti i giovani possano acquisire un diploma
secondario superiore o una qualifica professionale (legge 144/99). Tali misure, per
altro, erano necessarie anche per adeguare l’età dell’obbligo dell’Italia agli standard
dei paesi europei.
In parlamento è stato infine presentato dal ministro della Pubblica istruzione un
disegno di legge che riforma tutto il quadro della scuola italiana per integrarlo
maggiormente con il mondo del lavoro (la cosiddetta «riforma dei cicli»).
Al rinnovamento non è estraneo il mondo universitario, per il quale la necessità di
armonizzazione dei titoli di studio a livello europeo sta facendo prospettare un
Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
sistema articolato in corsi triennali di studio, al termine dei quali si consegue un primo
diploma universitario, con la possibilità di conseguire un titolo superiore al termine di
un successivo corso biennale.
123
6.3. Aspetti innovativi
6.3.1. Verso l’integrazione tra i sistemi
Uno degli obiettivi prioritari del vasto processo di riforma descritto nelle pagine
precedenti è rappresentato dall’integrazione tra i sistemi scolastico, formativo e del
mondo del lavoro.
Assumendo queste considerazioni come preliminari, è necessario pensare ad un
sistema formativo integrato che si muova attorno ad un asse portante costituito dal
raccordo forte, non episodico, tra scuola, formazione e lavoro. Uno dei punti di forza
del nuovo disegno del sistema — così come emerge dalle indicazioni comunitarie e dal
dibattito politico e teorico — è infatti la costante sottolineatura di un principio-guida:
gli interventi per il lavoro non possono essere disgiunti dagli interventi per la
formazione e per l’istruzione, dando luogo ad una politica coordinata, che si muova
appunto in una logica sistemica.
Afferma il recente rapporto OCSE sull’esame delle politiche nazionali di istruzione: «La
parola chiave è ”integrazione”. Questa riforma riflette l’esigenza di una visione
globale del ruolo della formazione nella società; essa aspira a costruire un sistema
coerente, decentrato, efficace».
La normativa prodotta recentemente in relazione alla riforma complessiva del sistema
formativo si prefigge pertanto l’obiettivo di raccordare le strutture ed i percorsi, per
dare vita ad un effettivo partenariato tra diversi soggetti (scuola, FP, aziende).
In particolare vanno ricordati:
• il processo di decentramento dei poteri rispetto all’offerta di istruzione e
formazione, predisposto dalla legge 59/97; tale decentramento, che si intreccia con
l’autonomia delle scuole prevista dalla stessa normativa, influenzerà positivamente
la costruzione di un sistema formativo integrato, rendendo possibile la
predisposizione di piani operativi a livello territoriale, con una maggiore
attenzione alla flessibilità dell’offerta e alla sua correlazione con il contesto
economico e professionale locale;
• il decreto legislativo 112/98 attuativo della stessa legge 59/97, che evidenzia il ruolo
strategico delle regioni, come nodo centrale della programmazione dell’offerta, sia
scolastica che di formazione professionale, conseguentemente anche alla
riorganizzazione delle competenze e della struttura interna del ministero della
Pubblica istruzione;
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Infatti, come è emerso chiaramente nei capitoli precedenti, il sistema formativo italiano
è connotato da una notevole diversità di architetture istituzionali, culture e modalità
organizzative, che rappresentano ancora un ostacolo alla realizzazione di azioni
integrate. Tale molteplicità di identità culturali non deve costituire un vincolo, ma al
contrario una risorsa e un supporto alla dinamicità e flessibilità del sistema stesso.
Capitolo 6
124
• il regolamento attuativo dell’articolo 17, che prevede che le politiche nazionali per
la formazione professionale siano governate in modo integrato dai diversi soggetti
(ministeri e parti sociali) interessati al suo sviluppo.
Oltre alla normativa nazionale, vanno ricordate le iniziative di raccordo istituzionale
tra ministero della Pubblica istruzione e le singole regioni attraverso protocolli
d’intesa che stabiliscono le modalità operative dell’integrazione tra i diversi sistemi sul
territorio regionale.
Infine esistono numerose iniziative di integrazione tra il sistema scolastico e quello di
formazione professionale, sia a livello nazionale che locale.
Tra le prime si possono ricordare i progetti di collaborazione tra la direzione
dell’Istruzione professionale del ministero della Pubblica istruzione e le regioni, per
l’introduzione di corsi post qualifica organizzati da queste ultime negli istituti
professionali. Molto recentemente è stato inoltre avviato il progetto per
l’introduzione dell’istruzione tecnica professionale superiore, che viene descritta nel
paragrafo successivo.
6.3.2. La formazione tecnica professionale superiore
Da tempo è emersa l’esigenza di ampliare e diversificare l’offerta formativa post
secondaria attualmente esistente, attraverso la costruzione di percorsi di formazione
tecnica superiore, più consistenti degli attuali corsi post diploma e dei corsi regionali
di secondo livello per contenuti e impianto metodologico-didattico, da realizzarsi in
ambito non universitario.
Le ragioni che sono all’origine di tale orientamento di politica formativa, peraltro
indicato come una delle priorità dall’accordo per il lavoro e dal rapporto OCSE, sono
riassumibili nelle seguenti valutazioni:
• il nostro paese è tra i pochi Stati europei a non aver istituito un segmento di
formazione superiore non accademico di durata almeno annuale, con conseguenti
difficoltà a rientrare in quanto previsto dalla direttiva comunitaria 92/58 sul
reciproco riconoscimento dei titoli all’interno dell’Unione europea;
• i percorsi secondari superiori, per ragioni legate alla relativa staticità dei piani di
studio rispetto alle evoluzioni dei processi lavorativi, rendono necessari iter formativi
aggiuntivi di approfondimento contenutistico e di specializzazione tecnica;
• l’istituzione dei diplomi universitari, sebbene sia da considerarsi una scelta
appropriata per l’arricchimento delle opzioni sul versante dell’istruzione terziaria,
non risponde esaustivamente al bisogno dei giovani di poter scegliere dopo il
diploma un percorso breve e professionalizzante;
• la costruzione di una filiera di formazione professionale superiore rappresenta
un’occasione per sviluppare un raccordo sul territorio tra l’offerta e i bisogni
espressi da parte aziendale, riguardanti figure a medio-alta qualificazione
immediatamente inseribili nelle realtà produttive.
È dunque evidente l’importanza che è stata attribuita a tale tema in sede di dibattito
tecnico-politico, relativamente alla struttura di questi nuovi percorsi e al loro impatto sul
sistema dell’offerta post secondaria, già di per sé alquanto disomogenea e variegata.
Un recente documento approvato dalla conferenza Stato-regioni ha affrontato il tema
della formazione superiore, delineandone lo sviluppo nell’attuale assetto dell’offerta
post secondaria. Si disegna un quadro di tale offerta denominato «Formazione
integrata superiore (FIS)», costituito dalle varie opzioni esistenti e dal nuovo canale
Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
formativo, che «ponga in sinergia l’insieme dell’offerta formativa, statale e
regionale».
125
La FIS, sottolinea il documento, si realizza sostanzialmente attraverso tre percorsi:
• i corsi di formazione professionale di 2° livello;
• i progetti di istruzione e formazione tecnica professionale superiore (IFTS);
• i corsi di diploma universitario.
L’elemento di principale innovazione è rappresentato dall’introduzione della nuova
tipologia formativa, denominata «Istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS)»,
che risponde all’esigenza di creare un percorso di formazione professionale di livello
più elevato, con una durata variabile dai due ai quattro semestri, finalizzato ad
assicurare una «formazione tecnica e professionale, approfondita e mirata,
soprattutto con riferimento alla ricerca, sviluppo ed implementazione di tecnologie
applicate nei prodotti e nei processi» e paragonabile all’offerta proposta in
quest’ambito negli altri paesi europei. La IFTS è connotata da una progettazione
modulare e da metodologie innovative e darà luogo ad una certificazione a livello
nazionale e regionale, riconoscibile anche a livello europeo.
Sono stati finanziati circa 200 progetti presentati dalle regioni. Questi progetti
prevedono la predisposizione di percorsi IFTS attraverso la collaborazione delle diverse
istituzioni: scuola, università, formazione professionale regionale, imprese.
I corsi sperimentali sono stati avviati nella primavera del 1999 e, fatto di cruciale rilevanza,
il 17 maggio dello stesso anno è stata approvata la legge 144 al cui interno (art. 69) si
ufficializza (nell’ambito della FIS) la costituzione del sistema di IFTS, stabilendone anche i
criteri di accesso e la valenza nazionale delle certificazioni in esso rilasciate.
6.3.3. L’apprendistato
Nel periodo più recente, la pratica della formazione in alternanza tra scuola e lavoro ha
avuto un forte impulso per effetto delle innovazioni introdotte dalla legge 196/97 che
disegnano il «nuovo modello» dell’apprendistato italiano. L’articolo 16 di tale legge,
infatti, riforma profondamente l’apprendistato valorizzandone la componente formativa.
Tra le novità principali si possono ricordare:
• l’estensione della fascia d’età interessata dai 16 ai 24 anni senza alcuna preclusione
in base al titolo di studio;
• la fissazione dei limiti di durata del contratto da 18 mesi a 4 anni;
• l’introduzione di un periodo minimo annuale di formazione esterna all’azienda
pari a 120 ore.
Alla legge ha fatto seguito un decreto del ministero del Lavoro che ha fissato i principi
generali delle attività formative esterne all’azienda:
• le attività formative per apprendisti sono strutturate in forma modulare;
• i contenuti sono finalizzati alla comprensione dei processi lavorativi e sono
articolati in contenuti a carattere trasversale (riguardanti il recupero delle
conoscenze linguistico-matematiche, i comportamenti relazionali, le conoscenze
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Allo scopo di avviare la sperimentazione è stato costituito un comitato di progettazione,
composto da rappresentanti delle diverse istituzioni interessate: ministeri della Pubblica
istruzione, dell’Università e del Lavoro, regioni e province, parti sociali.
Capitolo 6
126
organizzative, gestionali, economiche) e contenuti a carattere professionalizzante
di tipo tecnico-scientifico e operativo, differenziati in funzione delle singole figure
professionali; ai contenuti a carattere trasversale non potrà essere destinato un
numero di ore inferiore al 35 % del monte ore destinato alla formazione esterna.
Occorre segnalare che l’orientamento emergente dalle innovazioni normative che
stanno ridisegnando il «nuovo modello di apprendistato» è quello di valorizzare
ulteriormente tale istituto, che in prospettiva diventa il principale strumento di
ingresso nel mondo del lavoro per giovani fino ai 25 anni.
Allo scopo di avviare l’attuazione della legge il ministero del Lavoro ha promosso
iniziative sperimentali nazionali sulla base di accordi collettivi stipulati dalle
organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro. Tali iniziative rappresentano
un’opportunità di sperimentare modalità organizzative, percorsi formativi, metodologie
didattiche, strumenti di monitoraggio e valutazione. L’intenzione è progettare e
sperimentare in tempi brevi un modello di formazione per apprendisti per verificarne le
possibilità di estensione e gli eventuali correttivi da apportare. I risultati dovrebbero
orientare la nascita del costituendo sistema di formazione per l’apprendistato.
I primi due progetti riguardano l’industria metalmeccanica e della installazione di
impianti e l’industria edile.
Il progetto «Formazione per l’apprendistato: industria metalmeccanica e della
installazione di impianti» prende le mosse dall’accordo raggiunto nel marzo 1997 per
la disciplina dell’apprendistato nel settore; è destinato a 5 000 apprendisti e prevede
200 ore annue di formazione integrativa articolate in 160 ore di formazione teoricopratica e 40 ore destinate all’insegnamento pratico.
I percorsi formativi seguono un’architettura modulare, strutturata in tre moduli:
modulo base, modulo trasversale e modulo tecnico professionale, secondo il modello
delle «competenze professionali».
Il progetto per l’industria edile intende coinvolgere circa 2 000 apprendisti del settore
suddivisi tra operai ed impiegati.
Il percorso formativo è articolato in moduli di 24 ore, corrispondenti a tre giornate
lavorative. L’annualità formativa è composta di 6 moduli, pari a 144 ore annue di
formazione. Ogni modulo ha una struttura didattica rigida: 9 ore di contenuti a
carattere generale e 15 ore di contenuti a carattere tecnico-professionale.
Sono stati inoltre avviati altri progetti relativi ai settori dell’artigianato, del turismo e
tessile, nonché per le piccole e medie imprese, per un totale di circa 25 000 apprendisti.
Accanto ai progetti del ministero del Lavoro, sempre più numerose sono le regioni che
hanno avviato un confronto con le parti sociali per definire progetti sperimentali per
l’apprendistato.
Si è dunque messo in moto un meccanismo complesso, in cui i diversi soggetti
istituzionalmente competenti provvedono a riavviare una componente strategica del
sistema formativo che negli ultimi anni era rimasta sullo sfondo.
Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
6.3.4. Tirocini formativi e di orientamento
127
L’intervento normativo in materia di tirocini formativi e di orientamento era da tempo
auspicato per sviluppare il collegamento tra scuola, formazione e lavoro, colmando
una storica carenza dovuta alla difficoltà di interazione tra cultura afferente al mondo
dell’istruzione e cultura del lavoro.
Le modifiche apportate con l’articolo 18 della legge 196/97, che ha trovato attuazione
nel decreto del ministero del Lavoro n. 142/98, concernono ambiti alquanto
diversificati.
In primo luogo il decreto distingue due tipologie di tirocini:
• i tirocini formativi, promossi da istituzioni formative al fine di realizzare momenti
di alternanza tra studio e lavoro (in ogni ordine di scuola superiore, compreso
l’università);
• i tirocini di orientamento, promossi da soggetti e istituzioni che intervengono nel
campo delle politiche del lavoro per agevolare le scelte professionali mediante la
conoscenza diretta del mondo del lavoro.
• ai tradizionali soggetti promotori — tutti i soggetti pubblici e privati che operano
nel campo della formazione e dell’inserimento al lavoro: università e istituzioni
scolastiche pubbliche, centri di formazione e/o orientamento, provveditorati agli
studi, agenzie per l’impiego, uffici del lavoro — si aggiungono gli enti bilaterali e
le associazioni sindacali, università e istituzioni scolastiche non statali che rilascino
titoli di studio con valore legale, istituzioni formative private che abbiano ottenuto
specifica autorizzazione regionale, comunità terapeutiche, cooperative sociali e
enti ausiliari iscritti negli albi regionali, servizi di inserimento lavorativo per disabili
gestiti da enti pubblici delegati dalla regione;
• fra le aziende ospitanti viene inserito il settore pubblico;
• rientrano tra i potenziali utenti i cittadini comunitari che effettuano esperienze
professionali in Italia, anche nell’ambito di specifici programmi; tale opportunità
potrà essere offerta in futuro anche ai cittadini extracomunitari, con modalità da
definire.
La valenza formativa dei tirocini si concretizza nell’elaborazione di un progetto
relativo al percorso di stage che chiarisca obiettivi e modalità di svolgimento
«assicurando, per gli studenti, il raccordo con i percorsi formativi svolti presso le
strutture di provenienza». Le attività svolte nel corso dei tirocini di formazione e
orientamento possono avere valore di credito formativo.
Il decreto attuativo stabilisce inoltre la durata massima dell’esperienza di stage; tale
durata è variabile in relazione alla tipologia di utenza:
• non superiore ai 4 mesi per gli stages di orientamento degli studenti della
secondaria superiore;
• non superiore ai 12 mesi per gli studenti universitari e per gli iscritti ai corsi di
formazione superiore;
• fino a 24 mesi per le utenze svantaggiate.
Per quanto riguarda la copertura assicurativa dei tirocinanti, questa è a carico dei
soggetti promotori. Un successivo decreto del ministero del Lavoro dovrà stabilire le
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Inoltre, viene ampliato il panorama dei soggetti che possono essere coinvolti in
esperienze di stage, sia in qualità di promotori, sia come aziende ospitanti, sia come
utenti:
Capitolo 6
128
procedure per il rimborso alle aziende ospitanti del centro-nord degli oneri relativi ad
assicurazioni, vitto e alloggio dei tirocinanti provenienti dal Mezzogiorno.
L’analisi delle esperienze di tirocinio realizzate nello scorso anno 1997 evidenzia in
primo luogo l’intensa attività delle agenzie per l’impiego come soggetti promotori;
ancora poco significativo invece è il numero degli stages promossi dagli uffici del
lavoro. La maggioranza degli stages riguarda i giovani; in particolare si tratta di
un’opportunità offerta ai diplomati ed ai laureati.
Anche le università stanno incrementando l’attività di promozione di tirocini,
attraverso la costituzione di appositi uffici stage, preposti all’attivazione di tirocini
rivolti a studenti, laureandi e laureati. Rilevante è il caso dell’università L. Bocconi di
Milano dove i tirocini realizzati per gli studenti del quarto anno e del primo e secondo
anno fuori corso hanno valore di credito formativo e possono sostituire un esame del
piano di studi.
Le esperienze di tirocinio si stanno diffondendo anche negli istituti di istruzione
superiore, in particolare per gli studenti delle ultime classi di istituti tecnici e
professionali; non mancano però esperienze realizzate per alunni di istituti magistrali
e licei. Anche per gli istituti superiori sono in corso alcune sperimentazioni che
attribuiscono valore di credito formativo allo stage in sede di esame di maturità.
Bisogna infine ricordare che il nuovo ordinamento degli IPS del 1994 ha reso
obbligatorio lo stage di 300 ore nel biennio post qualifica.
6.3.5. Lo sviluppo del sistema di certificazione
L’introduzione di un sistema nazionale di certificazione rappresenta uno degli
obiettivi strategici dell’innovazione del sistema formativo italiano.
Su questa tematica una rilevante innovazione viene introdotta dal regolamento
attuativo dell’articolo 17 della legge 196/97 (in corso di approvazione). Tale
regolamento infatti promuove la costituzione di un sistema nazionale di certificazione
delle competenze professionali.
L’obiettivo è assicurare l’omogeneità delle certificazioni su tutto il territorio nazionale
ed il loro riconoscimento in sede di Unione europea.
Secondo il regolamento, il ministero del Lavoro dovrà formulare le proposte relative
ai criteri ed alle modalità di certificazione delle competenze acquisite nell’ambito del
sistema di formazione professionale.
Per «competenze professionali certificabili» si considerano le competenze che
costituiscono patrimonio conoscitivo ed operativo degli individui ed il cui insieme
organico costituisce una qualifica o una figura professionale. Tali competenze
vengono certificate dalle regioni.
Al fine di documentare il curriculum formativo e le competenze acquisite viene inoltre
istituito il libretto formativo del cittadino; su tale libretto saranno annotati anche i
crediti formativi. Infatti, sulla base di specifiche intese tra i ministeri interessati e le
regioni, le competenze professionali certificate possono essere riconosciute anche ai
fini del conseguimento di un titolo di studio o dell’inserimento in un percorso
scolastico.
Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Su questa materia è stata condotta negli ultimi anni, in ambito ISFOL, una consistente
attività di elaborazione di nuovi modelli e di sperimentazione sia con le regioni che
con il ministero della Pubblica istruzione.
129
L’obiettivo che ci si pone è quello di sviluppare meccanismi di certificazione flessibili
ed in grado di consentire il passaggio tra i diversi sistemi, adottando il modello delle
unità capitalizzabili.
L’idea base è quella di definire un «repertorio di competenze» che copra l’insieme
delle attività su cui si basano le professioni, distinguendo tra competenze di base,
tecnico-professionali e trasversali. Su questa tematica, ed in particolare sull’approccio
di analisi e progettazione per competenze, il dibattito scientifico ed il dibattito
istituzionale — sia sul piano nazionale che su quello internazionale — sono
particolarmente sviluppati.
Occorre inoltre sottolineare come questa articolazione di competenze sia stata già
recepita dal decreto del ministero del Lavoro del giugno 1996 relativo all’applicazione
dei criteri di trasparenza delle certificazioni (attestato unico di qualifica), oggi in
sperimentazione presso tutte le regioni.
L’approccio centrato sulle competenze e la loro articolazione in unità formative
capitalizzabili cambia radicalmente il rapporto tra formazione ed individuo. Lo stesso
insieme di competenze, infatti, è raggiungibile anche per altra via (esperienza
lavorativa, curricoli formativi diversi ecc.).
Diviene, in tal modo, possibile riconoscere ai singoli il possesso di saperi, conoscenze,
abilità in modo indipendente da come essi li hanno acquisiti e dalla qualifica
professionale propria, dando senso e valore anche alle esperienze compiute solo
parzialmente (per esempio, i corsi abbandonati dopo un periodo di frequenza).
Disporre di standard minimi di competenza comuni a tutti gli attori del sistema
educativo, formativo e del lavoro consente di riconoscere e certificare ad ogni
individuo il possesso di crediti formativi, con un duplice risultato:
• flessibilizzazione del percorso formativo, attraverso la sua articolazione in una
sequenza temporalmente non rigida di unità capitalizzabili, ognuna delle quali
acquisibile e «patrimonializzabile» attraverso una pluralità di agenzie formative,
autonome ma fra loro raccordate dalla comune condivisione degli standard minimi;
• adozione di una pedagogia fortemente centrata sul soggetto che deve apprendere
(anziché sul docente primo «portatore di conoscenza»), a partire dal
riconoscimento del sapere da esso già posseduto e dalla definizione negoziale degli
obiettivi dell’apprendimento (quali unità e quale percorso per raggiungere
l’obiettivo formativo individuale).
La certificazione centrata sulle competenze rappresenta inoltre un passaggio
«storico» necessario per operare un decisivo salto di qualità e passare dalla
certificazione dei percorsi frequentati a quella delle competenze «effettivamente
acquisite».
Ciò richiama l’attenzione su un altro importante obiettivo di sistema che è la
costruzione di un sistema di certificazione le cui finalità, definite chiaramente
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Su questa ipotesi ed articolazione di competenze si fonda dunque la proposta di unità
formative capitalizzabili che rappresenta un nuovo approccio per la progettazione
della formazione e la certificazione delle competenze.
Capitolo 6
130
dall’accordo per il lavoro, sono volte a garantire proprio la permeabilità e
integrazione dei sistemi e la massima capitalizzazione delle esperienze individuali e
professionali, comunque acquisite; processo ormai avviato nei diversi paesi
dell’Unione europea.
Appare dunque ormai acquisito che debba esistere una istanza nazionale, per la
costruzione di un repertorio di standard formativi e unità capitalizzabili, quale
riferimento per leggere, con una logica coerente e omogenea, i diversi segmenti di
esperienza formativa/scolastica: tale riferimento omogeneo sarà la base sulla quale
fondare il riconoscimento dei crediti e rendere concretamente realizzabile la
circolarità tra i sistemi.
Nella costruzione degli standard formativi sarà essenziale armonizzare il più possibile
tale progettazione con l’esperienza consolidatasi in questi anni nelle diverse regioni in
termini di definizione dei progetti tipo, di ordinamenti didattici e quant’altro, nella
scuola e nell’università in termini di «curricoli» e «programmi» relativi a specifici
itinerari o diplomi o corsi di laurea.
Appare inoltre acquisito che il sistema di certificazione non possa che essere nazionale
ed omogeneo e che, una volta che la certificazione o di competenze e/o di percorso
formativo abbia avuto luogo, possa consentire all’individuo di divenire titolare di un
«credito» potenziale e quindi di poter richiedere che tali competenze gli siano
«accreditate»:
• nell’ambito dello stesso sistema formativo (consentendogli di abbreviare un
itinerario formativo, altrimenti previsto come più lungo);
• nell’ambito di un altro sistema formativo, senza dovere «ricominciare» da capo il
proprio itinerario ad ogni passaggio, ma mettendo in valore le competenze e la
formazione già acquisite e certificate;
• nell’ambito del rapporto tra sistema formativo e lavoro (ad esempio,
consentendogli di avere un riconoscimento delle competenze anche parziali
maturate, ad esempio, nei contratti di formazione-lavoro e nell’apprendistato), ma
anche, viceversa, consentendogli di mettere in valore, e quindi di razionalizzare ed
ottimizzare, il proprio itinerario formativo. Lo strumento del libretto formativo
individuale, richiamato anche dalla proposta di riforma dei cicli scolastici del
ministero della Pubblica istruzione, dovrebbe in questa prospettiva divenire la vera
«carta di identità» di ciascun individuo. A questo strumento fanno già riferimento
diverse sperimentazioni regionali e in alcune regioni esso è già recepito nella
normativa per la formazione professionale (citiamo ad esempio il «passaporto
formativo» della provincia di Bolzano; il «libretto formativo personale» della
regione Lazio; il libretto personale di certificazione professionale delle regioni
Liguria e Molise; il libretto formativo individuale della regione Piemonte; il libretto
professionale della regione Veneto; il «libretto individuale» in sperimentazione
nella provincia di Trento; altre sperimentazioni sono in avvio in altre regioni ed in
numerosi centri di formazione.
Riportiamo di seguito una tabella riassuntiva relativa alle modalità innovative di
certificazione vigenti a livello locale.
Curriculum formativo
e professionale dell’allievo
Indicazione degli ambiti
professionali in cui il soggetto
ha operato professionalmente
e descrizione delle
materie/discipline del corso
Passaporto
formativo
Portfolio
(strumento
utilizzato, ma non
regolamentato)
Bolzano
Riferimenti
legislativi/normativi
e/o progettuali
Tutte le attività
formative
Si tratta di uno
strumento «di fatto»,
che non ha quindi uno
specifico riferimento
normativo
Piano triennale per la
f.p. in Alto Adige
1996-1998
Progetto
«Realizzazione di un
raccordo sistematico
fra formazione
di base e continua»
Percorsi in alternanza Non sono stati
di 400 ore rivolti
indicati specifici
ai giovani disoccupati riferimenti normativi
Corsi
Non sono stati
di riqualificazione
indicati specifici
per operatori della FP riferimenti normativi
Ambito
di applicazione
Utilizzo «di fatto»
Corsi per apprendisti
senza riconoscimento nel settore
formale
alberghiero (lingua
tedesca)
Progettuale
Utilizzato in via
sperimentale
Utilizzato in via
sperimentale
Stadio
di implementazione
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Giudizi sui risultati raggiunti
dal soggetto nei diversi segmenti
del percorso
Libretto formativo
Basilicata
Percorso formativo del soggetto
Contenuti
Libretto formativo
Denominazione
Abruzzo
Regione/
Provincia
autonoma
Tabella 6.1 Modalità innovative di certificazione a livello locale
Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
131
Lazio
EmiliaRomagna
Regione/
Provincia
autonoma
Libretto formativo
dell’allievo
Descrizione di eventuali esperienze Adottato dal 1992
lavorative
Informazioni relative ad ulteriori
corsi di formazione (denominazione,
durata, anno, ente gestore)
Obiettivi del corso
Aree di intervento
Formatori
Giudizi per aree di intervento
(articolati in teoria, pratica, stage)
Ore di corso
Ore di assenza
Giudizio globale espresso in termini
di: velocità di apprendimento,
velocità e precisione nell’esecuzione,
capacità di lavorare in gruppo,
disponibilità ad accettare
suggerimenti/proposte, capacità
di organizzare le proprie attività
Dichiarazione di conformità del
Strumento in corso
corso frequentato con gli standard di applicazione
formativi regionali, per il successivo
accesso all’esame di abilitazione
(e relativo attestato di frequenza
individuale)
Attestato
di conformità
agli standard
formativi regionali
Strumenti
in adozione
con le direttive
1997-1999
Stadio
di implementazione
Tipo di corso
Requisiti di accesso
Contenuti
Competenze acquisite
Contenuti
Certificato
di competenza
(e certificato
di competenza
superiore)
Denominazione
Delibera di giunta 1997
Riferimenti
legislativi/normativi
e/o progettuali
Esteso a tutti i corsi
di formazione
Delibera giunta
regionale 3904
del 14 maggio 1996
Attività formative
Delibera di giunta
per dirigenti e operai e di consiglio
previste nell’ambito
del piano «Amianto»
(legge 257)
Sperimentazione
in alcuni corsi
post laurea
Ambito
di applicazione
132
(segue)
Capitolo 6
Curriculum formativo
dell’individuo, con riferimento
esclusivo al sistema di f.p.
Riconoscimento di crediti
«ad personam» (rispetto
alle iniziative di f.p.) sulla base di
esperienze formative o lavorative
precedenti. Articolazione interna:
• titoli scolastici
• esperienze di stage o di lavoro
(con esame di accertamento)
Libretto formativo
individuale
Certificazione
dei crediti
Piemonte
Esteso a tutti
gli allievi dei corsi
di formazione
professionale
Esteso a tutti
gli allievi dei corsi
di formazione
professionale
Ambito
di applicazione
Strumento già
adottato, sta
progressivamente
di fatto sostituendo
il libretto formativo
Utilizzato anche nei
corsi di primo livello
Strumento già
Principalmente
adottato, in via
adottato nei corsi
di utilizzo più ridotto post qualifica
a favore
della certificazione
dei crediti
Progettuale
Progettuale
(il modello specifico
di libretto deve
essere adottato
dalla giunta regionale
con sua delibera)
Stadio
di implementazione
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Natura del corso e durata
Competenze acquisite
Informazioni relative ad
eventuali altri corsi di formazione
Libretto
di certificazione
Molise
Carriera scolastica precedente
e titoli conseguiti
Natura del corso, durata e materie
di insegnamento
Caratteristiche e durata
del tirocinio
Risultati intermedi e finali
delle prove d’esame
Informazioni relative ad ulteriori
corsi di formazione
Contenuti
Libretto personale
di certificazione
professionale
Denominazione
Liguria
Regione/
Provincia
autonoma
LR 63/95
(e successiva
delibera applicativa
sugli standard
formativi)
LR 63/95
LR 10/1995
LR 52/1993
Riferimenti
legislativi/normativi
e/o progettuali
(segue)
Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
133
Giudizio (sufficiente, insufficiente, Strumento già
buono, ottimo) in relazione
adottato (a fini
alle seguenti dimensioni:
didattici)
• competenze e capacità
professionali;
• conoscenze professionali;
• autonomia e capacità di
integrazione in situazioni operative;
• motivazione ed interesse
professionale;
• esperienza di partecipazione
allo stage
Scheda personale
di valutazione
(strumento ai fini
didattici)
Biennio integrato
f.p./istruzione
scolastica
(4 corsi serali)
Ambito
di applicazione
Delibera giunta
provinciale
del 21 marzo 1997
Piano regionale
triennale 1997-1999
per la f.p. — Indicazioni
per lo sviluppo
di un sistema
di certificazione
dei crediti nella f.p.
Riferimenti
legislativi/normativi
e/o progettuali
Terzi anni del nuovo Delibera giunta
percorso sperimentale provinciale
della formazione
del gennaio 1997
di base
In corso
Tutti i corsi,
di elaborazione
dal giugno 1997
il «formato» specifico
Percorso formativo del soggetto,
con la specificazione
delle competenze acquisite
e con giudizio allegato
(solo su richiesta dell’individuo)
Tipologia corsuale
Denominazione dell’intervento
formativo
Durata (ore)
Competenze acquisite
(descrizione sintetica)
Contenuti
Tipo e modalità di valutazione
Tipo di certificazione rilasciata
Indicazioni di giudizio finale
Libretto formativo
In sperimentazione
(provincia di Prato)
Stadio
di implementazione
Trento
Contenuti
Certificazione
dei crediti
Denominazione
Toscana
Regione/
Provincia
autonoma
134
(segue)
Capitolo 6
Libretto
professionale
Denominazione
Stadio
di implementazione
Azioni formative iniziali e continue Progettuale
Conoscenze e competenze
progressivamente acquisite
Livelli di professionalità
successivamente conseguiti
Contenuti
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Veneto
Regione/
Provincia
autonoma
Tutte le attività
formative
Ambito
di applicazione
LR 10/1990
LR 10/1991
Riferimenti
legislativi/normativi
e/o progettuali
(segue)
Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
135
Capitolo 6
136
Altre sperimentazioni sono in corso all’interno del ministero della Pubblica istruzione,
in particolare per quanto riguarda gli istituti tecnici e professionali.
Tali sperimentazioni sono condotte con l’assistenza tecnica dell’ISFOL, che ha
sviluppato una significativa linea di ricerca in questo settore e che sta accompagnando
sia molte sperimentazioni regionali, sia quelle nazionali.
6.3.6. L’accreditamento delle strutture formative
Già la legge quadro 845/78 aveva individuato alcuni requisiti per le strutture che
erogano attività di formazione professionale: essere senza scopo di lucro; disporre di
strutture e attrezzature idonee; garantire il controllo delle attività; applicare per il
personale il contratto collettivo nazionale di categoria; rendere pubblico il bilancio
annuale. Tali requisiti sembravano sufficienti a garantire ex ante l’affidabilità del
soggetto gestore e la qualità di un intervento formativo quasi esclusivamente tarato
per un’utenza di giovanissimi e quindi dalla forte valenza educativa oltre che
professionalizzante.
Nel corso degli anni Ottanta l’ampliamento dell’utenza di riferimento ha indotto un
ripensamento di alcuni di quei requisiti. In particolare, il nuovo interesse per la
formazione di secondo livello prima e per la formazione continua poi ha fatto venire
meno la necessità della mancanza di scopo di lucro nei soggetti che si candidano a
gestire attività formative per puntare esclusivamente sulla capacità di
«professionalizzazione».
Negli ultimi anni l’adozione generalizzata di procedure concorsuali in sede di
valutazione ex ante per l’affidamento delle attività, come richiesto per l’utilizzo delle
risorse europee, ha spostato l’attenzione dal soggetto proponente al progetto
proposto. Conseguentemente si è dovuta registrare l’incapacità di alcuni soggetti a
realizzare le attività in maniera conforme al progetto ed è quindi emersa la necessità
di un controllo preventivo sull’affidabilità delle strutture.
Sulla scia di quanto avveniva nella realtà aziendale, nel corso degli anni ’90 si è diffusa
l’applicazione anche alle attività di carattere formativo di modelli di certificazione che
fanno riferimento al corpus normativo ISO 9000.
Anche l’articolo 17 della legge 196/97 si è fatto carico dell’esigenza di controllo
dell’affidabilità delle strutture formative ed ha indicato la via dell’accreditamento,
ossia della predisposizione di una sorta di «short list» delle strutture formative cui
affidare le attività. Il decreto attuativo collegato all’articolo citato delinea un modello
di accreditamento imperniato su cinque indicatori:
1) capacità logistiche e strutturali;
2) situazione economica;
3) disponibilità di competenze professionali impegnate in attività di direzione,
amministrazione, docenza, coordinamento, analisi, progettazione e valutazione
dei fabbisogni, orientamento;
4) livelli di efficacia ed efficienza raggiunti nelle attività precedentemente realizzate;
5) interrelazioni maturate con il sistema sociale e produttivo presente sul territorio.
Entro sei mesi dall’entrata in vigore del regolamento, il ministro del Lavoro, d’intesa
con la conferenza Stato-regioni, definirà «i requisiti minimi ed i criteri di valutazione
delle sedi operative ai fini dell’accreditamento»; successivamente le regioni
avvieranno le procedure per selezionare le strutture formative.
Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Tutte le strutture pubbliche e private, indipendentemente dalla loro natura giuridica,
possono chiedere di essere accreditate per svolgere attività di formazione
professionale e di orientamento; restano esclusi dall’obbligo di accreditamento i
datori di lavoro che intendono realizzare attività formative per i propri dipendenti.
137
Il regolamento collegato all’articolo 17 della legge 196/97 prevede inoltre una
procedura semplificata per l’attribuzione dell’accreditamento agli enti già certificati
ISO 9001, i quali devono dimostrare il possesso dei soli requisiti relativi ai livelli di
efficacia ed efficienza raggiunti nelle precedenti esperienze e alle interrelazioni col
sistema economico locale.
Per le strutture formative di nuova costituzione, le regioni dovranno accertare solo il
possesso dei requisiti strutturali e la dotazione di risorse umane e finanziarie.
C a p i t o l o 6 — Te n d e n z e , p r o s p e t t i v e e i n n o v a z i o n i
Il modello di accreditamento delineato è molto vicino a quello già adottato dalla
regione Emilia-Romagna, dove si prevede di poter pubblicare entro il settembre 1999
il primo elenco di soggetti accreditati.
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Tendenze, prospettive e innovazioni