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030628SC_GBC1.pdf
data
28/06/2003
Contesto
SC
Relatore
GB Contri
Liv. revisione
Trascrizione
Lemmi
Conclusione
Paradiso
Nudità
Pornografia
Ordine
Lemmario
Vocazione
Lavoro
Facoltà imputativa
Guarigione
Competenza
Madonna
Sovranità
STUDIUM CARTELLO 2002-2003
IDEA DI UNA UNIVERSITÀ
ENCICLOPEDIA DEL PENSIERO DI NATURA
28 GIUGNO 2003
GIORNATA CONCLUSIVA
L’ORDINE GIURIDICO DEL LINGUAGGIO: FREUD E NOI
GIACOMO B. CONTRI
Prima di un’informazione, osservo — osservo io; ognuno poi avrà o non avrà la stessa inclinazione
osservativa — che tutti questi paradisi a me danno e hanno sempre dato un forte senso di pornografia, nel
significato anche più tecnico di questa parola, che si potrebbe riassumere nell’espressione: «Guardare ma
non toccare».
Un dantista che ho conosciuto e letto parecchi anni fa interpretava la dantesca “candida rosa” come
la vulva, come l’organo femminile. E se andate a vedere, o se avete visto, sul libretto distribuito da Il sole 24 ore, la Pala di Brera, Vergine con Bambino e santi di Piero della Francesca, vedrete che in alto c’è la
conchiglia, la famosa shell, la valva. Cambiate solo una vocale e ci siete.
Sul tavolo in fondo ci sono più cose. Comunque vi informo che Ballerini ha terminato in
collaborazione con Filippo Guidon, la traduzione parziale in inglese del Pensiero di natura. Comparirà da un
momento all’altro sul sito.
Sul tavolo troverete dei fascicoli, approntati da Glauco Genga, come pure la riedizione del piccolo
libro, ma libro, che è anche il primo articolo della nostra enciclopedia, L’angoscia, di Maria Delia Contri, in
riedizione, riveduta e corretta, nonché molto più bella.
Il dulcis in fundo è ciò con cui concludiamo l’anno in vista di aprire il nuovo, che è il libro L’ordine
giuridico del linguaggio. Per il momento, facciamo un breve intervallo, affinché abbiate il tempo di
acquistarlo.
Posso dare un titolo a quello che dirò. Posso intitolarlo Siamo qui.
In quello che dirò spero solo di riuscire a dare un’idea di conclusione e nuovo inizio. Sarebbe buona
cosa che la parola conclusione suonasse sempre e comunque “nuovo inizio”. È il significato del titolo
dell’opera di Freud sempre citata Analisi terminabile e analisi interminabile dove il terminare è la
conclusione per il nuovo inizio. Interminabile non significa: «Uffa! Non finisce mai!». Ancora, ancora e
ancora.
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L’ Ordine giuridico del linguaggio lo propongo come l’interminabile, per avere concluso. Lo
propongo addirittura come criterio di fine analisi, il passaggio all’ordine giuridico del linguaggio. In me è la
novità di quest’anno, dopo la scoperta delle teorie presupposte. E l’inferno delle teorie presupposte, del vero
imputato della nostra imputazione sfavorevole.
Il nuovo inizio rispetto a che cosa?
Uso un’espressione corrente, che uso perché la sento ricorrere, usare molto, da persone che vedo e
ascolto. Adesso che ci penso è un’espressione che ho usato anch’io anni fa, un’espressione corrente: «I
giochi sono fatti».
Già pensiero di natura, principio di piacere, inconscio, pulsione, ora ordine giuridico del linguaggio,
che poi vuol dire la lingua che finalmente impariamo a parlare. Ma forse non serve neanche per cogliere
questo essere avanti nell’analisi; ma nell’analisi diventa vistoso: non riusciamo a parlare italiano. Le nostre
frasi si spezzano, non sappiamo concludere il periodo, non perché abbiamo studiato male a scuola. In specie
le conversazioni amorose sono un prodigio di sgrammaticatura. Se ci facessero gli esami per quello che si
dicono gli innamorati, guardate che sono tutti bocciati. Esame di italiano, eh?, esame di grammatica. Fino a
quella tipica soluzione dell’innamoramento scatenato, psicosi — lo diceva già Freud questo —, che finisce
con il “ci-ci-ci” alla Giulietta e Romeo, ossia alla maniacalità linguistica — senza rendersene conto, eh? — o
al mutismo amoroso, al mutismo del guardarsi negli occhi e basta.
Il paradiso naturalmente, quel paradiso.
È la catastrofe dell’amore, che chiamiamo innamoramento, che poi si ritrova come odio; ma è inutile
che io ridica questo, che è anche ripreso nel libro. Torniamo alla grande terna freudiana da cui è nata la
psicoanalisi: la critica dell’innamoramento, dell’ipnosi, della psicologia delle masse. È una terna. È il
disordine, non giuridico, del linguaggio.
È il disordine che è costituito da quel coacervo disordinato che è l’insieme ammucchiato, che è
l’ammucchiata delle teorie presupposte. Leggerete l’introduzione a questo riguardo.
Si tratta di passaggio dai giochi fatti, intendasi “mal fatti”, specialmente ma non solo la
psicopatologia, ossia questi nostri disastri della vita quotidiana, alla riapertura dei giochi, con da parte mia
anche il ripudio della parola “giocare”: niente teoria dei giochi.
Secondo me John Nash era matto perché ha cercato di scrivere l’amore in termini di strategie, di
teoria dei giochi. In qualche punto del libro risulta la frase: «L’amore fallito è una strategia riuscita». Spero
che vi falliscano le strategie.
Ma sto solo dando nomi un po’ insoliti a ciò che ricorreva già, con grande chiarezza peraltro, in
Freud: i giochi sono cominciati bene, niente affatto chiusi, con l’Edipo o complesso edipico, che noi
incontriamo pochissimo, perché lo incontriamo nel suo disastro, non nel suo essere la via maestra, il primo
ordine giuridico del linguaggio. E tanto più universale in quanto è assolutamente non riconducibile alla
famiglia. Freud esplicita il disastro della patologia: inizia con Vernichtung, con l’annullamento, la
nullificazione del complesso edipico; usa anche la parola Zerstärung, che è proprio la distruzione dovuta alle
bombe che cadono e distruggono tutto.
Avere qualificato il pensiero di natura come pensiero del Padre designa la ricostituzione, la riapertura
dei diciamoli pure “giochi”, sotto la stessa insegna, ma dopo, a termini completamente rinnovati, dell’Edipo.
Una volta avevo suggerito una delle tante espressioni linguistiche che si possono trovare: «Mia
madre mi ha fatto dispiacere mio padre». Potrebbe benissimo essere accaduto a pari merito con mio padre.
Nella catastrofe non esiste la distinzione dei sessi. L’errore è asessuato. Ma identico chiamarlo l’amore
presupposto. L’amore presupposto è il nemico dell’amore, il nemico dell’Edipo. L’amore implica sempre i
sessi. Dipende da come li implica. La cosa interessante è che non è via pornografia. Adamo ed Eva la sera
vestivano l’abito da sera.
Ho appena visto Eva su una rivista: era Naomi Campbell. Io adoro Naomi Campbell, non solo
l’unico. Sfilata, di sera, con un perfetto abito da sera: il bikini più vertiginoso che abbia mai visto in tutta la
mia vita, ma è una figura che non dà la minima idea pornografica. Eppure vi assicuro, il top, due striscioline
color carne che a malapena coprivano i capezzoli, e un vero e proprio tanga che… non ho mai visto dei
francobolli così piccoli, insomma. Guardate che l’idea è quella di abito da sera. Non c’era la minima idea di
pornografia.
Beh, bisogna anche essere brave per sapere dare un’immagine di questa specie. Da un’immagine di
questa specie si capisce che cosa uno ha nella testa, il suo pensiero di natura o meno.
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Bisogna essere avanti perché quel disturbo dell’ideazione che è l’idea di nudità si sia ridotta in noi.
Lo dicevo l’altra volta. L’idea di nudità è un disturbo dell’ideazione, è un’idea di troppo, come la sessualità,
etc. È un’idea disturbante, perché di troppo. È un’idea estranea, come si dice un corpo estraneo, un proiettile
nel corpo.
Vi consiglio di prendere il libro in mano, un po’ come a scuola.
La parola “vocazione”. È al cuore di quello che ho da dire oggi. Nell’ultima pagina, il passo di Freud
che ho letto la volta scorsa, della lettera a Pfister:
Non so se lei ha indovinato l’intimo legame tra l’ ‘Analisi laica’/’La questione dell’analisi laica’,
1926/ e l’‘Illusione’/’il futuro di un’illusione’, 1927/. Nella prima voglio difendere l’analisi dai medici,
nell’altra dai preti [1]. Vorrei consegnarla a uno stato o ordine /Stand/ [2] di curatori d’anime
secolari /o laici, weltlich/ che non hanno bisogno di essere medici e possono non essere preti. [3]
Subito dopo il commento:
Dunque Freud è il fondatore di un Ordine.
Noi stiamo rilanciando l’idea e vorrei che ricominciassimo un nuovo anno anzitutto alla luce
dell’avere una vocazione e dell’appartenere a un Ordine.
Allora distinzione, professione, vocazione, etc. Un compito può essere militante; una vocazione non
è militante. Il resto lo potete leggere.
Dunque, a quest’Ordine corrisponde un lavoro.
Distinguiamo fra compito, militante, anche se non sempre, e atto. Il concetto di atto, sarà una delle
parole del seguito di questo libro, credo senza troppo ottimismo che potete già immaginare che fra tre mesi
sarà il doppio.
Anzi, una delle questioni aperte per un lavoro come questo è: se esistano limiti lessicali o no a un
ordine giuridico come questo. Che sia infinito o non sia infinito. Il diritto dello stato è finito: potete
benissimo considerare i codici come un lemmario dall’A alla Z i cui c’è contratto, reato, furto, etc. Tutta una
serie di parole. Il lemmario giuridico è limitato: non esiste, per esempio, la parola mangiare.
Il nostro lemmario implica la parola mangiare. Freud l’ha chiamata pulsione. Senza pensiero di
natura o ordine giuridico del linguaggio, voi non mangiate, siete anoressici. In un punto cercavo di
rispondere a questa domanda: ma a cosa serve il pensiero di natura o l’inconscio? Serve a mangiare. È la
prima cosa da capire: che serve a mangiare, sennò non si mangia, si muore di fame come nell’anoressia più
grave. O tutte le psicopatologie del mondo. O la salute, aut la salute. A cosa serve il pensiero di natura? Non
è una teoria: serve a mangiare.
Con l’interessante aggiunta che è tutto terra-terra, non terra-cielo. Non c’è il mangiare a terra e il
cielo del pensare. E il nostro pensare nel pensiero di natura non è di livello minore di quello di Parmenide o
di Platone o di Cartesio. Per carità! Io capisco che ci voglia una vita per tirare queste conclusioni. Io ci ho
messo una vita, e adesso non so neanche quanto ne avrò ancora e non è molto importante per me. Diciamo
che anch’io ricomincio, che i giochi sono meno fatti di quanto lo fossero per me cinque anni fa, un anno fa o
cinquant’anni fa. Anche per me l’ordine giuridico del linguaggio — espressione, giustamente, un po’ astratta
— fa nuovo inizio.
Per questo avevo scritto una lettera dicendo che volevo usare il tempo dell’estate per lasciarmi
muovere i pensieri in testa.
E vedremo.
Ma in ogni caso è l’idea di un Ordine. Di persone operanti a un ordine, ordine giuridico del
linguaggio che è anche un’offerta al mondo: poi c’è chi ci si mette e c’è chi non ci si mette. Dopotutto è
sempre stato valido il detto: «Molti sono i chiamati, ma pochi sono gli eletti». Vale anche per noi, come
valeva per quei tempi là.
La nostra facoltà imputativa — imputativa a pollice verso — ma con la grande precisazione che nel
nostro diritto, che non chiamerei neppure penale, ma in ogni caso — non so mai trovare un aggettivo giusto
— diciamo critico, non c’è distinzione fra giudizio e sanzione. La sanzione è tutta assorbita sul giudizio; non
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ci sono prigioni. E ciò in cui il nostro giudizio — decenni di esperienza dell’analisi lo dicono — proprio è
duro ad applicarsi — si chiama resistenza — è alle teorie presupposte nell’altro.
Erika ha ammazzato sua madre perché non ha giudicato la teoria presupposta in sua madre. Non perché l’ha
giudicata. Perché la sanzione è sillogistica; è un po’ come se girasse in aria per un po’ ma viene il momento
in cui precipita. E alla lettera, a chi la tocca la tocca. Non è toccata alla madre di Erika: è toccata ad Erika, è
piombata su di lei e passerà la vita in galera. È la sanzione che le è toccata per avere mancato lei la sanzione,
il giudizio.
Più normalmente il nostro mancare il giudizio, anzitutto sui nostri maggiori, non solo la mia solita
madre, per nostra fortuna non è sanzionato dal finire in prigione, ma è sanzionato dall’angoscia. Ma la
sanzione c’è sempre. Con la stessa inesorabilità — vedi angoscia — con cui nel sillogismo aristotelico si
conclude che allora Socrate è mortale. Non accade che non vi sia almeno questa conclusione, oppure altra
conclusione. Premiale, profittevole. È importante questo punto del sillogismo. Anche questo mi è venuto in
mente soltanto l’estate scorsa. Che toglie dai nostri cervelli — dalla nostra cultura sa Dio quanto ci vorrà;
mai credo — la solita domanda. E sono stati fatti convegni su questa domanda e libri e libri, con tanto di
psicoanalisti da una parte e filosofi della scienza dall’altra. Fuori le prove, Freud! Dacci le prove
dell’inconscio, della rimozione, etc. Naturalmente prove di carattere ordinariamente scientifico, il solito
laboratorio.
Ma se è un sillogismo — di un’altra specie da quello aristotelico, ma un sillogismo — è ridicolo chiedere le
prove. Qualsiasi filosofo si vergognerebbe a chiedere ad Aristotele: «Dacci le prove del sillogismo». Dove
sta il sillogismo? Sta nel neurone? Sta scritto nei libri? Sta scritto nel cuore dell’umanità? È una domanda
ridicola. Vero che poi si può discettare in che misura è nei cervelli di ciascuno, ma a nessuno verrebbe in
mente di chiedere le prove dell’esistenza del sillogismo. Non ci sono prove da dare dell’esistenza
dell’inconscio o del pensiero di natura.
Leggerete voi l’ Introduzione, che poi il mondo delle teorie presupposte sono il vaso di Pandora;
sono loro il simbolico di Lacan, etc. L’ordine del nemico. L’ordine del Super-io, etc.
A questo lavoro — prima dicevo: «Molti sono i chiamati» — può dedicarsi ognuno dei presenti.
Basta fare la prova.
Ma intanto con una scoperta della propria competenza che, ahimè, anche quando siamo gravemente malati
abbiamo esercizio di competenza: è un esercizio di competenza. Con il che poi siamo sempre lì a professare:
«Io non so…», «non posso…», «non sono capace…». Poi appena si va a vedere come è costruita la propria
patologia si vede che razza di dee Kalì siamo, con tre braccia per parte, nella costruzione del patologico
come simbolico. L’idea della dea Kalì non mi sembra molto male. Indaffarati da questa costruzione.
Dispendiosi.
Si tratta solo di cambiare l’orientamento alla competenza. La guarigione è il cambiamento di orientamento a
una competenza che è già esercitata.
A costo di prendere una piega forse non immediatamente correlata come passaggio logico senza
lacune in mezzo e anche perché cerco di atterrare… No, atterrare non mi piace. Non c’è il volo.
Sto scrivendo un pezzo da aggiungere sulla Madonna, in quanto direttamente e giuridicamente
connesso con tutto questo, con l’ordine del linguaggio, il pensiero di natura…
Perché? Perché solo recentemente mi sono accorto che ci ho messo vent’anni ad accorgermi di una
cosa. Sarà stato quindici o venti anni fa che mi sono accorto che la Madonna, stando alle definizioni, alle
narrazioni, ai dogmi, cattolici in questo caso — ai protestanti non va la Madonna. C’è il più grande rispetto;
la Madonna è anche una delle quattro donne che hanno ufficialmente ottenuto il rispetto dell’Islam, insieme
ad altre tre. Non si tratta nel protestantesimo di rigetto con infamia, della Madonna. Semplicemente è
rifiutato l’onore degli altari, anzi, del primo altare fra gli altari — sarà anche vero che quel mistificatore di
Dante, «Vergine Madre figlia del tuo Figlio», d’accordo, per la proprietà transitiva, essendo il Figlio uguale
al Padre, Figlia del Padre è figlia del Figlio. E fin qui va bene. Logica elementare. Madre di Dio: benissimo.
Poi aggiungete voi tutto quello che volete aggiungere. Ma è del tutto ovvio che per prima cosa è una figlia
che ha sposato suo Padre. Sposa di suo Padre. Legittima. Salvo che Cristo sia un figlio bastardo. Sapete cosa
vuol dire bastardo: il padre l’ha riconosciuto, ma non c’è una donna legittimamente coniugata con questo
padre che di quel figlio sia la madre. Quindi, in altri tempi — l’ho già segnalato più volte — non era neanche
un insulto come è oggi. Era un termine tecnico. Bastardo d’Orleans, il duca d’Orleans: non era duca, ma un
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aristocratico d’alto bordo, che in Shakespeare è chiamato con questo nome dai suoi pari. E nessuno si sogna
di offenderlo o sentirsi offeso.
Allora, abbiamo l’apoteosi dell’incesto. In cielo, eh, in cielo! Non l’ho detto io: l’hanno detto i sacri
testi. È sicuramente la sposa di suo Padre. Eh già! Ma in venti secoli non l’ha detto nessuno. È a capire
questo che ho impiegato vent’anni. Mi sono detto: ma perché non l’ha detto nessuno? È il dato di
osservazione mi si è ingigantito. Come vedete per dire ciò che sto dicendo non occorre avere fatto studi
teologici, patristici, mistici, esegetici. Non occorre niente: basta avere gli occhi aperti e le orecchie aperte.
Come sempre, patti chiari e amicizia lunga. Non è una faccenda di studi. Ma perché? Perché questa
ovvietà non è mai stata sottolineata. Anzi, la frase di Dante serve a metterci una pietra sopra. Così osannata
in quanto figlia del suo figlio, non c’è più bisogno di lasciare lavorare il pensiero in un’altra direzione, ossia
quella primaria.
È anche chiaro che non poteva essere, questa non sottolineatura, anzi questa non esplicitazione, non
ovvia esplicitazione, non poteva dipendere dal timore di una qualche idea di compromissione sessuale, per
l’ovvia ragione che il Padre non ha un corpo; quindi il motivo di questa censura non può essere il timore di
disseminare nei fedeli cristiani l’idea di una qualche impurità dei corpi, perché a buon conto Dio Padre per
definizione è senza un corpo. Quindi i rapporti sessuali non potevano esserci in ogni caso. Dunque, non era
per questa ragione.
Eh già! È stata per venti secoli in atto la proibizione del complesso edipico, in quanto complesso
edipico non è il pensiero che il padre e la figlia hanno dei rapporti sessuali.
Freud insiste moltissimo su questo. Insiste sull’essere una relazione preferenziale tenera, via maestra.
Ritroviamo nel caso della Madonna un caso piuttosto ingente — venti secoli non sono poco e riguardante
l’umanità anche al di fuori del mondo cristiano — di proibizione dell’incesto, di distruzione del complesso
edipico, in quanto via maestra e non in quanto implicante alcunché di concupiscente, per usare la celebre
parola. Se volete sapere che cos’è la proibizione del complesso edipico guardate cosa non è stato detto sulla
Madonna.
A questo punto io trovo semplicemente che i protestanti, nel rifiutare una certa specie di ossequio
alla Madonna, hanno semplicemente tratto le debite conseguenze: se non era una sposa, dopo tutto era una
pia donna, magari la prima delle pie donne, ma niente di più che una pia donna. Senza la sovranità in senso
tecnico, la sposa del sovrano è la sovrana, non si vede perché tributare un tale omaggio a questa personaggio.
E questi hanno tirato le conclusioni.
Con il che poi è subentrata dappertutto l’idea che esisterebbero due amori: l’amore materno e
l’amore paterno. Fatti i due amori è l’amore presupposto. La distinzione dei due amori farà giocare l’uno
contro l’altro.
Se volete sapere che cos’è l’ordine simbolico del linguaggio, guardate questo esempio: è l’amore
presupposto assunto in cielo, dato per assunto in cielo e glorificato come conflitto o comunque distinzione
fra l’amore materno, la maternità, e l’amore paterno.
Notate che per quello che sto dicendo, io non correrò mai il rischio di essere bruciato
dall’inquisizione. Io corro il rischio di venire beatificato. So benissimo cosa sto dicendo.
Vi invito tutti al mio processo di beatificazione. Ci vorrà un pochino, ma…
Anzi, dato che ho preso questa strada lasciatemi dire un’ultima cosa. In fin dei conti so che riguarda
un argomento su cui alcuni si sono interrogati, stando oltretutto questa fissa/non fissa, che è il riferirsi spesso
al pensiero di Cristo preso esclusivamente come pensiero, come si dice il pensiero di Platone, di Aristotele,
etc., e con la mia solita tiritera sulla miscredenza, etc.
Ma in fin dei conti, tenuto conto che dopo tutto noi se guardiamo la nostra rosa di nomi, nomi autorevoli, alla
fin fine se andate a vedere abbiamo un grande mazzo di ebrei: Freud, Kelsen, Gesù Cristo — peraltro
sottolineato: ora non riprendo in che cosa sottolineo che Cristo era ebreo, e anche Freud; credo di avere già
scritto qualcosa al riguardo — e rilevantissimamente.
Qualcuno potrebbe anche chiedersi… alcuni hanno anche pensato che sia una banda di cattolici,
magari ciellini, oppure, se si va un po’ vedere, magari qui si va dalla parte dell’ebreo. Una specie di
conversione di massa dell’ultimo momento verso il X secolo, mi pare, in una certa regione slava.
Alla domanda se io considero cattolico o ebraico o chissà quale mix dei due — non siamo ridicoli,
manteniamo la distinzione — io non risponderei. Rilevo la ragione per cui non risponderei. Nulla a che
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vedere con astuzia e neanche una più onesta prudenza. Perché io ho molto rispetto per l’autorità cattolica e
l’autorità ebraica e io non ne faccio parte. Io sono un laico e basta!
Se mi avventurassi a rispondere a questa domanda, dall’una o dall’altra parte una qualche autorità di
quelle parti mi potrebbe dire che sono un corruttore dell’ortodossia, perché mi permetto di qualificare come
cattolico un qualche cosa che l’autorità di quelle parti non considera cattolico, né considera ebraico. Mi
direbbero: «Giù le mani!» e avrebbero ragione.
Io, semplicemente, faccio un lavoro con tutti i termini e gli attributi che il rigore in questo lavoro
consente di assegnare a tale lavoro e alle sue conclusioni. Semmai — permettetemi di dirlo così, intanto o
non lo farò o non avrebbe conseguenze — ma piuttosto io scriverei una lettera al papa e una lettera al
rabbino, presentando sia tutti i materiali, mandandogli la password del sito, poi magari con un foglietto che
riassume tutto tanto non leggerebbero niente e quindi bisogna fare un riassunto rapido, per chiedere: «Scusi,
mi dica lei se questo è cattolico, ebraico o qualcosa d’altro ancora. L’autorità è lei, non sono io». Io continuo
per la mia strada, perché nella sua autorità non potrebbe neanche venirle in mente di impedire la mia strada;
o si autocontraddirebbe se cercasse di impedire la mia strada. Ma se valuta cattolico o ebraico ciò che
andiamo dicendo, la valutazione è sua. A ognuno la sua parte.
Volevo riprendere tante cose, sulla nevrosi, sulla psicosi. Qualcosa ho detto la volta scorsa.
Come economisti, il nostro non è un pensiero — e questo è un salto all’estremo opposto — di
carattere distributivo, di distribuzione dei beni. L’accento non è sul donativo: timeo danaos e dona ferentes,
hanno detto i troiani un po’ troppo tardi quando ormai gli avevano distrutto la Città. Una delle porcherie del
linguaggio è il celebre detto: «A caval donato non si guarda in bocca». A caval donato gli si apre la bocca
tanto così! E se i miei genitori mi avessero detto che mi hanno donato la vita… Questa me l’hanno
risparmiata; altre no, ma insomma…
Il lavoro, l’atto… Perché no?, per qualcuno è anche compito; se io ho scritto un libro, ho anche
svolto un compito. Rifiuto di averlo fatto da militante. Il concetto giuridico di atto è un pasticcio in tutta la
filosofia giuridica. Sono anni che ne leggo e ho dovuto capire che lo stesso giurista non sa venirne a capo.
Chissà che non sia a partire dal primo diritto che se ne viene a capo.
Ma in ogni caso, già indicato in altri momenti — vedrete gli eserghi all’inizio del libro — il lavoro
dell’ordine giuridico del linguaggio, alla portata di ogni mano e di ogni lingua qui presente, dopo che i giochi
sono riaperti — fine dei giochi fatti e fatti precocissimamente, a 5, 6, 7 anni, facciamo 10 proprio ad andare
lontano, che vuol dire a giochi chiusi — la meta — e poi uno può essere pigro e non assumersi compiti:
benissimo. Vada per la pigrizia. Io per natura non sono mai stato un pigro, non lo sono. A volte sì, ma
normalmente no. A chi la tocca la tocca, non è rilevante — il lavoro è un lavoro di bonifica, l’opera è
un’opera di bonifica, di bonifica del linguaggio, che poi è la principale delle nostre attività.
La frase di Freud: «È un compito di civiltà come la bonifica delle paludi dello Zuydersee» su in
Olanda, tanti anni fa.
Nello stesso contesto di eserghi avevo voluto prendere il salmo 11: «A labiis dolosis libera nos»,
liberaci dalle labbra dolose — notevole, eh! Notevole che il traduttore latino ha tradotto con “dolose”; in
traduzioni più recenti la parola “dolose” è scomparsa, un po’ come quando ci veniva fatto osservare che il De
mendacio di Sant’Agostino è stato tradotto “la bugia” anziché “la menzogna”. O già nel libro della Genesi:
ogni cosa avrebbe dovuto portare il nome che l’uomo le avrebbe dato. La creazione della natura è una
banalità. «Che qualcuno», dice Dio, «Adamo ed Eva, si occupi di debanalizzare la natura!» È una banalità ed
è soprattutto frigida, specialmente frigida: la natura non conosce desiderio sessuale.
E poi ancora quella frase di Freud che sta ringraziando gli inglesi perché dopo essere riuscito ad
uscire dall’area europea di dominio nazista, arriva a Londra e allora comincia a parlare bene della perfida
Albione, senza dire che è perfida, ma poi ridice che è perfida, perché mentre è lì a ringraziare la libertà, la
generosità, etc., degli inglesi che gli hanno consentito non solo di essere libero fisicamente, ma anche di
essere nuovamente libero di: «parlare, scrivere» — e va bene — e poi dice: «quasi quasi stavo per dire
pensare». Eh, no! Fino al pensare, neanche l’Inghilterra!
Non aspiro a fare l’abate e quindi non vi lascio con la benedizione. La battuta è sciocca solo a metà.
Ha un lato che mi riguarda. Per il resto, gli auguri per tutti. Io vi suggerisco di averlo in mano questa estate,
anche per lanciare idee, proposte.
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Buone vacanze e fin da settembre arriverà qualcosa di scritto per tutti.
Il brindisi è innanzitutto in onore del libro. Allora se volete, con auguri e saluti.
Mariella suggerisce che uno potrebbe fare Dio, invece che l’abate… In effetti dovremmo fare una
discussione una volta se uno che si prende per Dio possa essere soltanto matto. Se esista solo come delirio,
perché dopo tutto all’inizio del libro della Genesi sta scritto che furono fatti «a immagine e somiglianza».
NOTE
[1] Notate che lui è un medico e sta scrivendo a un prete. Non gli importa assolutamente niente.
[2] Letteralmente “stato”, come si dice “stato di vita”: questa è un’estensione traduttiva da parte mia.
“Ordine”, come si dice “ordine religioso”, ma non religioso, nel senso non della specie degli ordini
religiosi. Una vocazione, dunque.
[3] Giacomo B. Contri, L’ordine giuridico del linguaggio, Sic Edizioni 2003, pag. 274
© Studium Cartello – 2007
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28/06/2003 - SC - trascrizione