CHIESE E SITI RELIGLIOSI
SANTO NICODEMO ABATE ( 900 - 990 )
Il luogo di nascita di San Nicodemo è stato in passato ed ancora oggi oggetto di lunghe controversie.
Nella nota n. i a pag. 57 del libro " Santi Eremiti italo - greci -grotte e chiese rupestri in Calabria" edito da
Rubettino. Si legge:
" II luogo di nascita di San Nicodemo fa oggetto di lunghe controversie. A. AGRESTA , vita di San Nicodemo
Abate dell'Ordine di San Basilio, Roma 1677 pag. 4 scrisse: San Nicodemo del Ziro detto anche di Mammola.
La nascita a Ciro viene anche affermata da G. Fiore da Cropani, "Della Calabria Illustrata", voi. II, Napoli
1743 pp. 62-66. Mons. A. Terminelli " Ciro patria di San Nicodemo Abate", in studi meridionali, XII 1979, pp
377-388; P. RUSSO, San Nicodemo, in Biblioteca Sanctorum, voi. IX - Roma 1989, col. 907; M. PRETTO, Santi
e Santità nella pietà popolare in Calabria, voi. I, Cosenza 1993 pp 283 ss. La stessa affermazione è ripetuta
in un atto pontificio emesso il 7 Dicembre 1737 al tempo di Clemente XII.
V. SCALETTA, Vita inedita di San Nicodemo di Calabria, Roma 1964, pag. 24 fissa la nascita del santo a Sieri
ad un chilometro di distanza dalla cima del monte S. Elia presso Palmi nella contrada chiamata Scrisi. La
stessa affermazione si riscontra in M. ARCO MAGRI', Vita di San Nicodemo di Kellerana, Roma-Atene 1968,
pp 39-55. La località Siero è ricordata in un miracolo di Sant'Elia Speleota avvenuto dopo la sua morte. ((
A noi piace ricordare che il Santo è nato a Ciro nel 900 e morto a Mammola nell'anno 990.
" I due paesi che maggiormente sono stati impegnati, e lo sono tuttora, nel culto di San Nicodemo, sono
Mammola e Ciro: due Comunità Cristiane che si riconoscono eredi non solo delle spoglie mortali del Santo,
ma anche custodi gelosi di una antica e costante tradizione basiliana, che ha ritenuto Ciro patria natale di
Nicodemo e Mammola patria di adozione" ( Mons. A. Terminelli.
Un Millennio dalla morte di Nicodemo Asceta Basiliano, Tazzi Editore.)
Per quanto riguarda la Sua vita, Vi proponiamo integralmente quanto G.Fiore ebbe a scrivere nel voi. II
Della Calabria Illustrata nel lontano 1743.
Lo scritto è tratto dall'opera " GIOVANNI FIORE DA CROPANI -DELLA CALABRIA ILLUSTRATA" tomo II PP 120126, opera curata da Ulderico Nisticò ed edita da Rubettino sotto gli auspici ed il contributo del " CREDITO
COOPERATIVO CENTRO CALABRIA - CROPANI"
SAN NICODEMO ABATE
Scrisse ultimamente di questo celebre santo l'abate d. Apollinare Agresta generai de' Basiliani, in un libretto
a parte, ed io da lui quanto basterà al dissegno del libro, rimettendo il leggitore al medesimo per il sopra
più. Nacque egli nell'oggidì Ziro, o pur Ciro, o veramente Ipsicrò, il medesimo che l'antica Cremissa, poi
Paterno, di che vedi me stesso nella Topografia di questo luogo1. E suoi genitori furono Theofano e Pania,
amendue per chiarezza di sangue e di religione de' più primi, li quali essendo per natura sterili, a forza di
voti e di prieghi ottennero dal Cielo con Nicodemo la sospirata prole circa li 900. Un figliuolo già parto del
Cielo2, perché dell'orazione, non potea avanzarsi agli anni, che per il Cielo; onde tosto che l'età potè
permetterlo, dipartendosi da' trattenimenti fanciulleschi, tutto si consagrò a quelli dello spirito, con ergere
altarini, su de' quali sagrificava tutto se medesimo ed i suoi affetti; soltanto tempo rubando loro, quanto gli
convenne impiegarlo all'acquisto dell'umane lettere sotto la disciplina d'un venerabile sacerdote per nome
Galatone. Ed avvegnaché questo fosse il minor tempo, non per quello non si profittò a maraviglia, divenuto
in poca età ed in minor tempo perfetto in tutte quasi le discipline ed arti liberali con anche le divine, quanto
potea convenirsi ad un giovane del secolo. Ma più accrebbe li studii della perfezione cristiana, con la
frequente visita delle chiese ed essercizio giornales delle confessioni e communioni; ond'è che ne veniva
nella bocca di tutti, prognosticandolo ciascheduno qual poi divenne. Fra le sue molte virtù di quell'età non
fu dell'ultime quella dell'ubbidienza, la dirò cieca, a' suoi genitori, maestri e confessori, come se d'allora
avesse voluto addestrarsi all'altra religiosa e monastica, così come avvenne.
Fioriva di quel tempo abate di molta santità nel sagro cenobio detto di S. Mercurio non lungi da Palmi s.
Fantino basiliano, che poi morto gli lasciò sempre vivo il suo nome /onde con la fama della santità si traeva
dietro da quasi tutta la Calabria e la Sicilia, o per consultarlo negli affari più importanti, o per averlo
intercessore ne' casi più disperati, le turbe de' popoli; e fra queste una tal volta molti del Ziro, l'uno de'
quali egli fu il giovane Nicodemo. Nicodemo, tosto che vidde quell'uomo celebre alla fama; e 'i riconobbe
superiore alle trombe di quella, ne rimase come rapito a se medesimo, alla casa ed alla patria, ed obligato
al santo ed al suo cenobio, sicché senza frapparvi tempo cominciò a negoziarne il ricevimento. Fu per l'una
e per l'altra volta ributtato, com'è costume de' religiosi, per con ciò farne pruove, e vedere se la chiamata
venisse dal Cielo. Alla per fine ricevuto e vestito del sagro abito, non è possibile raccontarne il contento del
cuore e l'accrescimento delle virtù portate dal secolo*- Logorato dalla vecchiaia, e fatto in pezzi quel primo
abito, non volle usarne altro o del medesimo panno o di qualunque altra maniera; miafattosene uno di pelli
d'animali, né più lungo che oltrepassasse il ginocchio, quello usò sempre che visse, sempre con piede
ignudo e capo scoverto. La terra sol coverta di poche paglie, questa fa l'ordinario suo letto, ove prendeva
quel leggierissimo sonno, era scarsamente bastante a tenerlo in vita.
Di cibo non occorre favellarne; poiché non erano che castagne, che lupini, che ghiande ed altri frutti secchi,
molti de' quali ridotti in polvere con frumento silvestre formavano il pane di che si serviva in quei giorni ne'
quali si cibava; essendo che i più erano quelli ne' quali non gustava cosa alcuna; e le talora gli veniva offerta
cosa da regalarne la sensualità, egli così la seccava o al sole o al fuoco, che si rendeva acconcia più alla
mortificazione ch'ai gusto. Nel bere oltrepassò ogni credenza, perché non solo mai assaggiò vino, ma né pur
acqua, sol dissetandosi con quei brodi, dove s'erano bollite le castagne od altro amareggiante frutto. Per
prova di quanto potesse patire un corpo umano, l'està non cercava la frescura degli alberi; dissi poco,
perché allargandosi il più potesse si esponeva a caldi raggi del sole quando erano più focosi; ma nell'inverno
fuggendo ogni ristoro di fuoco, ed anche del semplice riparo del coverto, usciva al di fuori ignudo bersaglio
delle grandini, de' venti e delle pioggie e delle nevi; onde più d'una volta ne fu ritrovato mezzo spirante.
Contemplando solvente quanto per suo amore s'era degnato patire il Dio della gloria, però affine di
mostrarsene grato, ora si stringeva le mani con aspre funi, imitandolo legato fra quei sagrileghi ministri, ora
si disciplinava^ con tanta furia che col sangue delle vene bagnava la terra, accompagnandolo flagellato alla
colonna e quando sembravagli che le mani fossero più stanche, si legava a qualche vecchio tronco,
1 Orò, che altri dicono Ziro; Paolo Mero/o Cerre,o Ciré ed altri con greca voce Ipsycrò
2
Periodo oscuro: si intende che per l'età avanzata dai genitori la nascita di Nicodemo fu miracolosa
Giornaliero
La cultura laica
acciocché la mordacità delle formiche incavandogli le carni facessero6 le parti de' flagelli; ora intessendo
corone di spine se le metteva e rimetteva in capo con ricuoprirne di sangue la faccia, riamandolo coronato
di spine; ora bendatisi gli occhi con ruvido panno per mortificazione della vista l'accompagnava fra questi
scherzi giudaichi?. E come se tutto il raccontato stato fosse poco, com'egli era in confronto alle
ardentissime brame ch'egli avea di patire, con licenza del suo maestro ed abate Fantino e de' compagni e
condiscepoli s. Giovanni, s. Luca, s. Zaccaria e s Filareto, con altri del medesimo spirito, ma in qualità di
superiore e di maestro, lasciato quel cenobio, si rinselvò oltre più in un orrido bosco del monte Cellerano lo
avesse egli operato nell'orridezza di questa selva, quanta rigida stata fosse la penitenza che vi avesse fatto,
quanti gli essercizi delle mortificazioni e macerazioni della carne, sol sei sanno ed egli che li patì e Dio che
l'aiutò. Or che faceva l'Inferno? dormiva forse sonnacchioso nulla pensando del servo del Signore? Anzi
dalle prime ore, ch'il vidde già vestito del sagro abito, cominciò le sue batterie8 con le suggestioni,
mettendogli in mente le commodità lasciate nella casa paterna, i legittimi diletti quali averebbe potuto
avere con una moglie di suo gusto, la difficoltà che li soprastava in quella nuova vita e li pericoli a' quali
s'esponeva; né veggendo di operare a dissegno, perocché il risoluto giovane tutto ciò aveva prima ben
maturato con la sua mente, riordinò una più il pericolosa batteria, rappresentandogli che non per tanto egli
si era profittato nella virtù come molt'altri; onde ne sarebbe stato senza dubbiezza condannato dall'eterno
giudice al fuoco. Né perciò profittando, perché Nicodemo con saggia risposta se gli dichiarò, che molto si
compiacevano degl'avanzi de' compagni^ e che nel rimanente Iddio era signore della sua vita. Pertanto
risolse uscire all'aperta in campagna; così addunque smascherandosi sotto finte larve di leoni, di cignali, e
d'altre crudeli fiere, prese ad infestarlo con muggiti, con istridi e con altro persuaso di doverlo almeno
fugare da quel monte, altre volte consagrato da' suoi idolatri al suo culto. E nientemeno accorgendosi non
far né pur piccola breccia nel cuor di diamante del santo, sempre più intrepido, quanto più atterrito, volle
venir all'ultime con quella battaglia, dove è rara la vittoria de' cristiani, cioè con le lusinghe del senso.
Ond'è, che rapportandoli all'immaginativa quante donne veduto avea per l'addietro, quanto belle, tanto
lusinghiere, e tutte con gesti, e provocamenti10 lascivi, con ciò prese ad infocarne il senso, e ad accenderne
il cuore. Conobbe il santo il pericolo della battaglia, ed implorato prima l'aiuto dell'arcangiolo s. Michele, e
quindi tagliate infascetti alcune pungentissime uniche, se ne dilacerò così le carni, che cambiato il fuoco
della concupiscenza in quell'acerbissimo tormento, gli convenne gittarsi in un freddo fiume per ismorzarne
gli ardori; onde rimasto vincitore, consagrò all'arcangiolo un suo oratorio in rendimento di grazie. Così
addunque rimasti perdenti tutti quei demoni, non ardirono mai più per l'avvenire d'infestarlo. Anzi lor se
n'accagionò un timore così fiero, ch'all'udirne o il nome o la voce imperiosa, tosto si fuggivano da corpi
ossessi, come lo dimostrano li molti casi seguiti nella persona, singolarmente di quattro, lungamente
travagliati da quelli senza rimedio.
E già che ci è caduto in filo il raccordo d'alcune grazie compartite dal Cielo a' suoi prieghi a bisognevoli, egli
vuoi qui supporsi che la sua miracolosa intercessione anche si stese a ciechi, a sordi, a muti, a zoppi e
somiglianti; avvegnaché non ne sappiamo i particolari, toltici non saprei o se dalla negligenza di que' primi
padri o se dalla voracità del tempo, non ce n'è rimasto altro raccordo di quello ce ne reca la fama. Quanto
più Nicodemo cercava l'ombre delle selve per vivere solo conosciuto a Dio, tanto più Iddio lo rimetteva su 'i
candeliero della publica luce; onde avvenne sì che molti rapiti dal suo grido gli furono a' piedi,
supplicandolo riceverli per discepoli. Niegollo11 egli, sotto giustificato pretesto ch'ancor fosse giovane, non
illuminato così ch'esser possa guida d'altri, rimettendoli in sua vece al cenobio archimandritale di S.
Mercurio12 sotto alla disciplina non pure del santo abate Fantino, ma d'altri molti venerabili monaci che ivi
servivano con grand'essemplarità al Signore. Ma però replicando quelli le suppliche fino a protestargli la
propria perdita^ , costrinsero il santo ad accettarli per suoi discepoli. Gli riceve, e per tanto riconoscendosi
vie più obligato allo studio delle virtù per la
5
Si frustava
Concordanza a senso come in latino
7
E' una sorta di"lmitazione ci Cristo", in verità molto cruenta e grottesca che dovrebbe riprodurre la flagellazione,la coronazione
di spine e il dileggio del Signore prima della Crocifissione. Al di là dei particolari truculenti i tormenti qui attribuiti al Santo sono la
via mistica di annientamento del corpo e di compiacimento a Dio.
8
Metafora militare d'artiglieria: iniziò a colpire
9
I loro progressi spirituali
10
Provocazioni, seduzioni
11
Lo negò
12
L'Archimandrita è un igumeno ( abate ) che ha sotto di sé più cenobi
6
13
Pare di capire: affacciandosi il timore di perdere l'anima
buona educazione di quelli, quanto più insegnava con la lingua, tanto più operava con la mano.
Ammaestrava i suoi figliuoli sì nelle leggi del proprio istituto, ch'erano parimenti della perfezione, sì
nell'intendimento delle Sagre Scritture, punto dimenticandosi del costumato rigore1*. Fra suoi essercizi
soleva per ogni giorno trarsi dentro ad una selva, e quivi dall'ora di prima fino a quella di terza essercitarsi
nell'orazione, ora mentale, ora vocale, recitando i Salmi di Davide, quali molto gì'erano tenaci nella
memoria; e per qualche tempo ancora applicarsi all'essercizio degl'inchini e delle genuflessioni, che sempre
accompagnava con lagrime e con sospiri. Altre volte or con l'un de' discepoli ed ora con altro si portava a
cimiteri de' morti, per veder non solo, ma e per favellare ancora con quell'ossa, così come favellava con
tante lagrime agli occhi, che costringeva anche a piangerne i compagni; e più d'una volta prendendo in
mano alcuno di quell'ossa: 'Eh, dicevagli, tu non fosti del corpo umano? Dove sono i piaceri che ti
solleticavano al male? Dove le soddisfazioni, per le quali n'offendeste il Cielo? Deh, parla a noi, e raccontaci
la pena ch'oggidì ne patisci'. Colloqui, quali detti da lui con molta tenerezza di cuore, impietosivano le
orecchie e bagnavano di lagrime gli occhi.
Ebbe gran lume da vedere fra gli oscuri del futuro le cose dell'avvenire; e se ne raccontano gli essempi,
quando ad un cavaliero non molto distante, qual si avea rubato la moglie d'un uomo della plebe, e corretto
da lui che la restituisca, ma senza profitto, predisse la morte, la quale gli avvenne la mattina seguente
all'infruttuoso correggimento, ch'era del Sabato Santo: quando uscendo di casa una tagliente spada scesa
visibile dal ciclo gli troncò lo stame dell'indegna vita. Ad una cerva qual danneggiava l'orto de' suoi monaci,
come minacciandola le disse che più non tornasse ivi, poiché ci averebbe lasciata la vita; e così fu: poiché da
li a pochi giorni, tratta dalla dolcezza de'pascoli, essendovi ritornata, restò misera preda d'un cotal
animalaccio silvestre non conosciuto né mai più o veduto o che potè vedersi: per argomento che era stato
come ministro di Dio per la verità delle parole del santo.
Veniva di quei tempi la Calabria infestata da' Saraceni, quali occupavano la Sicilia; n'erano spesse le
scorrerie, e per lo più sempre ricche o di robe o di persone. Ora circa il 970, viaggiando il santo dal suo
monasterio ad un castello vicino, s'abbattè in alcuni di quei barbari, quali tosto legandolo lo conducevano
insieme con altri cristiani ad una città vicina di lor dominio; ma in tanto sedutisi presero a ristorarsi,
rallegrandosi della preda. Allora il santo, alzate le mani al cielo e la mente al suo Dio, snodando la lingua
supplicò con caldiprieghi la libertà e sua e de' compagni. Se ne risero i barbari; ma non già Iddio, poiché
venuti i nemici alle mani tra di loro per la divisione della preda fatta, e con ciò rimasti quasi tutti morti,
poterono i prigionieri mettersi in libertà. Avvenimento di cui portatane la fama per quasi tutta la Calabria,
se ne portò un altro non dissomigliante. Alcuni della città di Bisignano, camminando per loro affari, vennero
in mano de' Saraceni; così addunque essendo menati ad alcune navi per valicarli nella Sicilia, come furono
al lido, disse l'uno, come animando gli altri, che sperassero nell'intercessione dell'abate Nicodemo, e
supplichevolmente l'invocassero, perché avendo altre volte liberato se medesimo ed alcuni altri dal
medesimo pericolo, poteva senza dubbiezza ancor essi liberare. Così fecero tutti; ed ecco che tosto si
viddero disciolti a vista de' barbari, ed indi dato animo al cuore e forza al piede per fuggirsene. Fuggirono, e
tosto involati agli occhi de' Saraceni, salvarono la vita; onde non ingrati al gran beneficio, si portarono in
distanza di molte miglia a' piedi del santo, dal quale benedetti, si ricondussero nella loro patria, sempre
glorificando Iddio nel suo beatissimo servo Nicodemo. Ma tuttavia ribollendo le scorrerie saraceniche nella
Calabria, singolarmente nelle parti abitate dal santo, come più prossime alla Sicilia, onde che ne rovinavano
le abitazioni, e con loro anche i sagri monasteri basiliani; pertanto veggendo il venerabile abate che più non
poteva servirsi il Signore in quei luoghi con la quiete qual si dovea, perciò ripartiti i suoi discepoli ne'
monasteri meno pericolosi, egli con altri pochi si ricoverò in un monasterio del medesimo Ordine due miglia
distante dalla città di Gerace, ove con molta carità venne ricevuto da' santi Antonio e leiunio.
Ebbe Nicodemo un altro motivo di abbandonar il suo cenobio di Cellerana, e fu perché, assai famoso in
quello, veniva del continuo onorato da quei popoli a lui ricorrendo, come a comune refugio in quelle
universali calamità, e per tanto egli per {sfuggirsene e gli applausi e l'inquietitudine, venne nell'accennato
motivo di partenza. Ma perché ancora quivi cominciava, conforme all'esser conosciuto per veduta, così
come lo era per l'addietro per fama, ed in conseguenza ad esser applaudito con mirabili concorsi di popoli;
perciò preso congedo da quei santissimi ospiti, ed oltre passando in paesi poco abitati, ritrovato un monte
tre miglia distante dalla terra di Mammola, di sua soddisfazione, quivi raffermò il suo pellegrinare.
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Suppongo qui un qualche errore per il più logico: ammaestrava i suoi figliuoli sì nelle leggi del proprio istituto, punto
dimenticandosi del consumato rigore, sì nell'intendimento delle Sagre Scritture, ch'erano parimenti delia perfezione
Non potè abitarvi all'intuito sconosciuto; sicché, visitato da alcuni del paese, venne animato a stabilirvisi
per sempre con lafabrica d'un sagro monasterio, cosi come avvenne con l'opera de' suoi monaci e con gli
aiuti de' suoi devoti.
Ora in questo nuovo monasterio, come se per allora incominciasse l'essercizio della perfezione, non è egli
agevole il raccontare l'ammirabile istituto del vivere del sant'uomo e de' suoi discepoli, il salmeggiare nel
coro, l'assistere a' divini sacrifici, l'orare a Dio col segreto dell'orazione mentale, l'impiegarsi agli essercizi
manuali, ed a gara a' più umili, l'aiutare i prossimi non solo ne' bisogni spirituali, ma ne' corporali ancora.
Opere tutte che, diffondendone la fama in tutt'i luoghi convicini, si traevano addosso gli applausi di tutti, e
li concorsi e frequenti e numerosi. Non mancando N. S. Iddio di vie più autenticare la santità del suo servo
con la soscrizione de' miracoli. Fra questi si racconta ch'essendovi all'intorno un cignale, quanto più
smisurato di corpo, tanto più terribile nello aspetto, e per l'uno e per l'altro fatto sicuro da' pericoli,
giornalmente uscendo dal suo bosco danneggiava tutto ciò gl'incontrava tra piedi. Il danno era grande,
perché giornale, e più grandi le lagrime degl'infelici contadini. Rapportato il tutto al santo, mentr'egli una
tal volta solo camminava per quei boschi, eccogli agli occhi la bestia, che, stimandolo uno della plebe
nemica, si era mossa ad investirlo. Allora il servo del Signore con voce imperiosa le comandò che deposta la
fierezza si lasciasse legare. Così ordinò il santo abate, così ubbidì la bestia; onde leggiermente legata
confimi, avvegnaché molto stretta dal comando del servo di Dio, di suo ordine venne portata ad gentiluomo
amorevole di quel monasterio, che se ne servì nelle nozze di una sua figliuola15.
Finalmente avendo Nicodemo cotanto egregiamente combattuto nella palestra di questo mondo, e perciò
volendolo al di pari coronare nella gloria il Sovrano Giudice, risolse di chiamarlo a sé, mandandogliene
l'avviso per mezzo d'un gran calore come dì febre. Si avvide della chiamata il buon atleta, onde munitesi
prima co' sagramenti della Chiesa, e poi chiamati a sé tutti i suoi monaci, fé loro una veementissima
essortazione al profitto delle virtù ed all'osservanza della professione monastica, ascoltandolo tutti ad occhi
piangenti. Quindi rivoltatosi con la faccia al cielo depositò l'anima sua felicissima in mano di quegli angioli
che molti16 di loro erano scesi per accompagnala all'Empireo a 25 marzo circa il 990 e 91 dell'età sua.
Rimase il suo corpo come di taluno qual dolcemente dorme, non bruttato dì pallido colore, anziché
arricchito d'un glorioso lume, che ben l'additava abitatore del Paradiso; ed in cotal sembiante la durò non
solo per quel tempo, ma per altro più lungo ancora fin dentro la sepoltura. Piangevano in tanto li suoi
figliuoli, scorgendosi privi d'un maestro cotanto caro. Concorreva la gente da tutt'i luoghi convicini,
mescolando con quelle de' monaci le proprie lacrime, querelandosi1? di rimaner soli ed abbandonati; ma
poi tutti glorificavano Iddio nel suo beato servo; sicché accrebbero e di lagrime e di lodi il suo funerale, qual
riuscì assai glorioso, e ben adeguato al merito del santo abate defonto. Giacquero le preziose reliquie in
questo monasterio fino all'anno 1500 o alquanto dopo; quando per l'insolenza della gente di campagna non
potendolo più abitare i monaci18 , e però trasferitisi nella chiesa di S. Biagio non lungi dalla terra di
Mammola e grangia1^ del monasterio medesimo, con esso loro trasferirono l'impreziabile20 tesoro con
l'assistenza dell'uno e l'altro21 clero di tutta la Diocesi di Gierace, e concorso di tutt'i popoli d'amendue i
sessi, Antonio cardinal Carafa abate commendatario22 v'ottenne indulgenza plenaria per il giorno terzo di
Pasqua di Resurrezione; e l'altro della sua festa, qual si solennizza a' 12 marzo, non potendosi celebrare li
25, che fu quello della sua morte, come che per lo più avvenente nella Settimana Santa. Questo porporato
principe23 vie più accendendosi nella divozion del santo, ordinò che da fondamenti se gli fabrichi una
sontuosa chiesa, con in fronte il suo glorioso nome, così come, principiata dal 1583, fa compiuta nel 1588, e
l'anno sudetto a 16 ottobre consagrata da monsignor Ottaviano Pasqua2* vi furono trasferite le reliquie del
santo con più pompa che l'altra volta dal monasterio alla chiesa di S. Biagio, aprendovi anche perciò i tesori
di S. Chiesa papa Sisto V, con una piena indulgenza; quali reliquie vennero riposte dentro l'aitar maggiore,
eccetto il capo, qual si adora dentro una mezza statua di rame indorata. La moltitudine de' suoi miracoli ed
antichi e giornali2^ trasse, e si trae dietro la divozione di molti popoli, singolarmente della terra di
Mammola, che se lo scelse protettore a' 14 marzo del 1638.
lb
II Curatore dì questo libro si permette l'irriverente considerazione che il lupo di Gubbio subì sorte meno infelice
Sintassi semplificata, viva nel dialetto, per : di cui molti
17
Latinismo: lamentandosi
18
Forse intende che i contadini non lavoravano più le terre del Monastero
19
Una fattoria e conventino, dipendente da una grande abbazia
20
Senza prezzo, inistimabile
21
Secolare e regolare
22
Dal basso medioevo molti conventi e relativi beni vennero dati in "commenda "a prelati e persino a laici 231 Cardinali sono i
principi della Chiesa, ma Antonio era anche Carafa, famiglia principesca
16
24
25
Vescovo di Gerace
Quotidiani; ma qui significa piuttosto odierno
Nilo monaco Vita del santo. Paolo Gualtieri lib. 2 Vite de santi. Apollinare Agresta, Vita di lui.
A cura della Redazione
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