Il titolo di questo libro e i colori di copertina
volutamente richiamano quelli del libro+CD
Nicola Arigliano. My name is Pasquale
Biografia per interviste
di Ernesto De Pascale e Michele Manzotti
con la discografia di Luciano Ceri
(Stampa Alternativa, 2003)
Le trascrizioni delle interviste contenute
tra i #Tribute di questo libro sono tratte
da uno speciale radiofonico andato in onda
su Controradio Firenze il 12 febbraio 2012
nel primo anniversario della scomparsa
di Ernesto De Pascale
© 2014 Editrice ZONA
edizione elettronica riservata
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My name is Ernesto
di Antonella De Pascale
con Antonello Anzani
ISBN 978-88–6438-478-8
© 2014 Editrice ZONA
Piazza Risorgimento 15 - 52100 Arezzo
telefono 338.7676020
segreteria telefonica 0575.081353
www.editricezona.it - [email protected]
ufficio stampa: Silvia Tessitore – [email protected]
progetto grafico: serafina [email protected]
si ringrazia per la collaborazione: CyPlanet srl
Stampa: Digital Team – Fano (PU)
Finito di stampare nel mese di luglio 2014
©MY
2014
Editrice
ZONA
NAME
IS ERNESTO
NO GURUelettronica
, NO METHOD, NO TEACHER
edizione
riservata
da un’idea di Antonella De Pascale
una storia a più voci di Antonello Anzani
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ZONA
INDICE
E come Essenza, di Antonella De Pascale
3
MY NAME IS ERNESTO
una storia a più voci di Antonello Anzani
13
Capitolo 1. Matteo
15
Tom Waits. Foreign Affairs, di Ernesto De Pascale
16
#Tribute. Quel che pochi sanno
Antonella De Pascale
21
#Tribute. Ernesto e io
Antonello Anzani
25
Capitolo 2. Ernesto
28
#Tribute. Da un’intervista radiofonica
a Bernardo Lanzetti
31
#Tribute. Un privilegio conoscerti
Dorothea Bruno
32
#Tribute. Attraversarsi a vicenda
David Matrisciano
33
Capitolo 3. Caffè Giurovich
35
Ashley Hutching, di Michele Manzotti
36
#Tribute. Hai fissato da Bob?
Michele Manzotti
40
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#Tribute. Con sicura maestria
Luigi Viva
41
Non per un dio ma nemmeno per gioco,
di Ernesto De Pascale
42
Capitolo 4. Blues italiano
43
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#Tribute. Deep into your eyes
Dario Lombardo
50
#Tribute. Da un’intervista radiofonica
a Gegè Telesforo
51
Capitolo 5. Controradio
53
#Tribute. No guru, no method, no teacher
Giulia Nuti
60
#Tribute. Da un’intervista radiofonica
ad Alessandro Bergonzoni
60
Capitolo 6. Verso il centro
62
#Tribute. Da un’intervista radiofonica
a Bruno Casini
72
#Tribute. La missione della radio
Roberto Terzani
76
MY NAME IS ERNESTO
Una storia per immagini
79
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Capitolo 7. On air
115
#Tribute. Di là dal vetro
Fabrizio Berti
118
#Tribute. Da un’intervista radiofonica
a Enzo Gentile
124
Capitolo 8. Giurovich again
126
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#Tribute. È andata in un altro modo
Paolo Boschi
136
#Tribute. Un’intervista mai trasmessa
Massimo Altomare
136
#Tribute. Sempre al mio fianco
Ernesto Bassignano
137
Capitolo 9. Mandela Forum
138
#Tribute. Un colpo di genio da maestro
Silvano Martini
144
#Tribute. Da un’intervista radiofonica
a Renzo Arbore
144
Capitolo 10. Tom Waits
146
#Tribute. Ernesto il performer
Franco Godi
153
#Tribute. Da un’intervista radiofonica
a Franco Godi
154
#Tribute. La passione di Ernesto
Massimo Ghiacci
155
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Capitolo 11. In treno
156
Grazie Ernesto,
di Alberto “Bobby Soul” De Benedetti
160
#Tribute. “Rimpianti? Nessuno”
Pierluigi Tabasso
166
#Tribute. Da un’intervista radiofonica
a Alberto “Bobby Soul” De Benedetti
167
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Capitolo 12. My name is
169
Nella notte
175
Ultimi messaggi in bottiglia
181
Ode a Ernesto, di Franco Carratori
182
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Il Popolo del Blues
183
E COME ESSENZA
di Antonella De Pascale
A pochi mesi dalla morte di Ernesto, l’ho sognato, viaggiava, era felice, si muoveva da un luogo all’altro allegramente indaffarato con i suoi
due telefoni e la scaletta degli impegni giornalieri scolpita nella mente. La
sua vita era un viaggio, ogni arrivo determinava nuove partenze, anche
se questo avveniva nella stessa giornata e nella stessa città dove aveva
deciso di tornare a vivere e lavorare, Firenze. Spesso durante il giorno, io
stessa lo rincorrevo da un luogo a un altro, magari semplicemente per un
caffè, o per portargli un libro arrivato al nostro vecchio indirizzo, ma lui
puntualmente mi rimandava l’appuntamento di luogo e ora. In questo
libro ho voluto raccontare una delle tante giornate di Ernesto in modo un
po’ particolare.
Ho fortemente voluto e perseguito la realizzazione di un lavoro che
raccontasse mio fratello Ernesto nella sua essenza, e non che parlasse di
lui e di tutto ciò che ha fatto nella vita. Probabilmente carente, non dettagliato e privo di quella grande miniera di conoscenza musicale che è stata
la sua vita. Ma non di questo mi premeva raccontare, piuttosto del percorso umano di mio fratello, percorso che vado scoprendo ancora oggi,
raggiunta da messaggi di gratitudine e di stima nei suoi confronti da parte
di colleghi giornalisti, musicisti e di quei tanti che a lui riconoscono il
merito di averli stimolati, indirizzati, convinti. Il mistero è che tanti di loro
non hanno fatto in tempo neanche a incontrarlo.
Questo lavoro è stata dunque l’occasione, per me sorella, di esplorare un mondo sconosciuto, il mondo di mio fratello Ernesto De Pascale.
Ho chiesto aiuto a un amico, una persona che, come tante altre, lo
stimava e l’ha seguito per ben ventisei anni nelle sue attività e progetti:
Antonello Anzani, qui nel ruolo inconsueto di editor, Antonello, uno dei
tanti incontri di Ernesto, Antonello con cui ho condiviso la fatica della
costruzione e che ha saputo tessere il racconto per come io l’ho immaginato. Leggero, diretto, a volte rude, ma tenero. Spero che ciò che
abbiamo realizzato sia in grado di raccontare ciò che Ernesto era
e non solo quello che faceva, di immergervi nel racconto affettuoso
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e nei ricordi degli amici e di chi lo ha conosciuto.
Le persone menzionate e le storie riportate sono autentiche, anche se
– esclusivamente per mia scelta e mia personale fantasia – la vita di
Ernesto è stata trasformata in un romanzo. Così, dalla penna di Antonello
è nato il personaggio di Matteo L. che in una giornata di follia esplorerà
la vita e racconterà il “personaggio” Ernesto.
Ringrazio tutti per aver così generosamente contribuito a questo libro,
fornendoci, attraverso interviste, scritti e quant’altro, il materiale per raccontare questa storia. Abbiamo utilizzato tutto questo materiale plasmandolo e adattandolo alla forma e ai tempi della narrazione, cercando di non
toccare quelle emozioni e quell’affetto che tutti hanno riposto nelle loro
parole: abbiamo rispettosamente adattato i loro ricordi. In alcuni casi ci
siamo presi la libertà di far incontrare e comportare da amici persone
che probabilmente non si sono mai viste nella realtà. Speriamo non ce ne
vogliano, in fondo il loro mancato incontro è un puro dettaglio. Hanno
tutti fatto parte della vita di Ernesto. Il nostro privilegio è stato raccogliere queste parole e farle camminare insieme, in questo libro che è il romanzo di Ernesto.
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Grazie a tutti da parte mia, da parte nostra.
qualsiasi
riproduzione
Dunque,
buon viaggio.
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Dedico questo libro:
a mio padre Andrea,
che ci ha trasmesso valori etici,
morali e di grande onestà intellettuale;
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a mio fratello Ernesto,
che mi ha trasmesso l’importanza della cultura
come segno di unicità in qualsiasi ambito
della vita io avessi voluto operare;
a mia madre Costanza,
creativa inespressa, che mi ha trasmesso
gusto, eleganza e classe.
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Il coraggio è fatto di determinazione, di motivazione, di analisi obiettiva
del mercato e/o del territorio, il coraggio è fatto di ascolto, poi di saper
credere che il proprio sogno si possa realizzare. Ma il sogno deve avere
contorni definiti, reali, deve tenere in considerazione tutto e tutto avere una
cornice di realtà. In questi anni ho imparato il coraggio della verità,
colui che dice la verità si assume sempre un grosso rischio
e vive dentro di sé, spesso, un conflitto interno.
Sono arrivata a realizzare il mio sogno:
la biografia di mio fratello Ernesto, per come l’ho immaginata sin dall’inizio,
ora è qui, nelle vostre mani. L’intento che ci ha guidati in quest’opera
è quello di poter istituire due premi per giovani artisti emergenti del blues,
dai 19 ai 25 anni, e dar loro la possibilità di incidere il primo CD.
My name is Ernesto
una storia a più voci
di Antonello Anzani
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Rimpianti? Nessuno. Nessun rimpianto
perché poi scopri che una cosa bella vive anche da sola
e questa sensazione più volte mi appare chiara.
È come aver inciso un grande disco che adesso è di tutti.
Ernesto De Pascale
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CAPITOLO 1. MATTEO
Il treno scivola sui binari, nessun rumore all’interno. La metafora
del viaggio ne risente nel suo aspetto più romantico. Il caratteristico
rumore dei punti di giunzione, gli scarti laterali. Nulla, tutto calibrato e
ottimizzato. In fondo si chiama Freccia Rossa: Red Arrow, non c’è
niente da fare, in inglese appare più romantico. Parla di avventure, di
grandi spazi, di musica che esce dall’anima. Red Arrow, Broken
Arrow, Neil Young: mitico. Broken Arrow, quante località con questo
nome, una si trova poco distante una città che già dal nome è musica:
Tulsa, J. J. Cale. Quand’è che li ho sentiti la prima volta? Me ne sono
innamorato subito. Mi rivedo nella mia stanza da adolescente inquieto, in piena notte ad ascoltare quelle voci che mi raccontavano storie
e mi svelavano un mondo magico. Che nostalgia, e non solo dei miei
sedici anni. Era l’epoca di Rai Stereonotte, una religione più che una
trasmissione radio. Voci amiche e poi la voce amica più amica delle
altre, un po’ Lupo Solitario, il Wolfman Jack di American Graffiti.
Quella voce della notte aveva un nome: Ernesto De Pascale. Era il
mondo analogico, niente Facebook, Twitter eccetera, le persone dovevi conoscerle sul serio, le foto le vedevi solo sul giornale. Tutto era
più magico, più indefinito. Le storie che Ernesto (a forza di ascoltarlo
finivi per pensare di essergli amico) raccontava con la sua caratteristica cadenza fiorentina ci tenevano inchiodati ai brani che proponeva. Poi niente più Sterenotte, poi finì tutto. Peccato.
– Lei si ferma a Firenze? – mi chiede la signora seduta di fronte a me,
siamo nei posti centrali della carrozza, ci sono i tavolini fra i sedili contrapposti, sul tavolino ho sparso: i miei giornali, un paio di riviste musicali,
ovviamente, un libro, gli occhiali, lo smartphone, il tablet, insomma è come
se pensassi di prenderci la residenza, in questo vagone.
– Sì... – speriamo si accontenti, ho voglia di stare per conto mio, ma il
treno a volte rende incontenibili.
– Cosa va a farci di bello: lavoro, turismo? – avrei voglia di diventare
scostante e volgare, ma poi cedo alla buona educazione e mi limito a
rispondere.
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– Vado a un concerto, stasera, un grande artista americano – rispondo con un sorriso forzato.
– È un appassionato di musica?
No, è puro masochismo, verrebbe da rispondere, ma poi, al solito mi
escono altre parole.
– La seguo fin da ragazzo, mi ci ha fatto appassionare un giornalista
che seguivo molto alla radio – dico facendo finta di credere che alla
signora interessi qualcosa.
– È mai stato prima a Firenze? – continua implacabile.
– No, è la prima volta, per questo ho deciso di arrivare molto prima
del concerto, vorrei girare un po’, e poi sa, quel giornalista che le dicevo
vive a Firenze, mi piacerebbe riuscire a incontrarlo, farci due chiacchiere, sono più di vent’anni che ci penso... quando ho visto che c’era questo
concerto, non so perché, ho collegato le due cose e ho deciso di provarci,
al più mi manderà al diavolo.
– Ma non credo, da come ne parla sembra una persona dotata di grande personalità, magari gli fa piacere. Non crede? – mi sorride come volesse consolarmi di quella che sa già essere un’amara delusione. Le sue parole risuonano nelle mie orecchie come un “non ci pensare proprio”.
– Sono andato a scovare anche degli articoli suoi, su quest’artista –
dico prendendo un giornale di qualche anno fa – anzi se non le dispiace
vorrei leggerlo – facendo chiaramente intendere di non voler essere più
disturbato.
– Prego, s’immagini – fa la signora tuffando il viso tra le pagine di un
romanzo rosa, quelli che si comprano in stazione all’inizio di un viaggio.
Io prendo il giornale e m’immergo nella lettura.
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TOM WAITS, FOREIGN AFFAIRS
DI ERNESTO DE PASCALE
Tom Waits, che a 35 anni si lamenta ancora dei propri dannati
problemi con l’alcool, ha la ferma convinzione che Los Angeles
sia rimasta negli anni: “Una bagnarola carica di rifiuti dell’esercito della salvezza”. Tutta la vita di Tom Waits non sembra altro
che una collana di aneddoti uno dietro l’altro, in fila; come perle.
Tom risiede ormai da lungo tempo al Tropicana Hotel in Sunset
Boulevard dove una volta divideva le sue poche cose con la nota
cantante losangelina Rickie Lee Jones. “Ci siamo lasciati – dice –
perché lei voleva la metà dei soldi che vincevo ai cavalli per sé!!”.
E nonostante il dramma d’amore Waits ha composto per lei una
delle sue più belle ballate: Burma-shave.
Tom è un personaggio simpatico allo sguardo, con un pizzetto
che lo fa sembrare un folletto e una coppola perennemente calata
sugli occhi. Così racconta la sua gioventù: “A 9 anni scimmiottavo
sul pianoforte le smorfie di Ray Charles, a 15 mi ero già stancato
del rock & roll e a 18 anni aspettavo davanti gli studi Universal
qualcuno che avesse bisogno di questa brutta faccia per comparsa. Mi ricordo che una volta Francis Ford Coppola mi guardò a
lungo e se ne andò, eppure non ero ancora nessuno. Chissà, se
avessimo fatta amicizia forse non sarei mai neanche diventato un
musicista, perché la musica è solo una parte di tante sensazioni
che vivo di seguito”.
Continua a ruota libera Tom Waits: “Al liceo mi piacevano
le ragazzine secchine o slavate che ti fanno fare delle figure
poco piacevoli. Poi, quando cominciai a frequentare i locali notturni i miei gusti si spostarono verso un tipo di donna più abbondante e compiacente. L’importante – e questo lo scoprii presto
e da solo – era non tornare a casa in solitudine, perché il blues,
la tristezza cioè, è sempre dietro l’angolo”. Le canzoni di Tom
sono, non solo piene di immagini reali, ma di personaggi che
forse oggi lo stanno ancora maledicendo, come ad esempio la
“Muriel” che lo sorreggeva nei momenti duri: “Muriel ora te ne
sei andata ma ti aspetterò al solito bar...” (da Foreign Affairs).
“Sono orgoglioso di poter affermare che Hollywood non è Los
Angeles e che se la popolazione sta lentamente diminuendo, è
perché non vi sono personaggi all’altezza di quelli di una volta,
che la possono popolare”.
Un’affermazione che racchiude tanta tristezza. Così continua
Tom, specificando quanto sopra accennato: “Rickie Lee Jones è
stata una delle ultime poche grandi donne in circolazione. Abbiamo
avuti molti problemi insieme, alcuni li abbiamo superati altri sono
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stati talmente insormontabili che non abbiamo potuto fare a meno di
litigare fino a separarci. Adesso lei sta con un altro, un giovincello,
un ricco sfondato. Ecco quali sono i giovani di Hollywood, rammolliti
che non valgono un centesimo bucato”. Una volta Tom Waits, stanco delle mille domande di un intervistatore particolarmente noioso
così lo liquidò, rimandandolo alla redazione del «Los Angeles Times»:
“Vai in giro a dire a tutte le belle donne, che Tom Waits le aspetta
tutte le sere al temine del suo spettacolo. Per loro non ho mai sonno.
E se dovessi essere andato via, dici loro che mi aspettino dinanzi
l’entrata dell’hotel Tropicana. Il portiere le lascerà entrare senza
fare storie”. Tom Waits è veramente un personaggio da film, uno di
quelli che non molla e vive una leggenda, la sua leggenda, attimo
dopo attimo, rendendola sempre più affascinante e reale.1
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Grande! Mi sembra di sentirne la voce, mentre leggo. Mi guardo intorno, vorrei condividere questo momento ma vedo solo volti di persone
assorte nei propri pensieri. La signora di fronte a me è ancora intenta alla
lettura. Guardo fuori mentre la “voce dal nulla” annuncia il prossimo
arrivo nella stazione di Firenze Santa Maria Novella. Metallica, fredda
impersonale, la voce dal nulla mi riporta alla realtà. Mi alzo, prendo la
borsa dal portabagagli (sono sempre più stretti, questi portabagagli!), ripongo le mie masserizie e mi avvicino al portello della carrozza. Confesso, sono un po’ emozionato. Per il concerto tanto atteso o per la decisione di incontrare De Pascale? Una bella lotta. Sceso dal treno mi avvio
verso uno dei bar della stazione, ho bisogno di un caffè. Mi accoglie una
musica familiare e una voce ancor più familiare parla del concerto di
stasera. Chissà perché quando ascoltiamo la radio abbiamo sempre la
sensazione che chi parla si rivolga direttamente solo a noi.
La voce la conosco bene, anche se sono anni che non la sento più tanto
spesso, ma non c’è dubbio chi parla è Ernesto De Pascale, ne sono certo!
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1. Tratto da un appunto di Ernesto De Pascale per una possibile trasmissione su
Tom Waits, forse andata in onda. I brani di Tom Waits richiamati in scaletta sono:
Burma-shave (in Foreign Affairs); Ol’55 (in Closing Time); Fumblin’ with the blues
(in Heart of Saturday Night); Opening montage (colonna sonora di Un sogno
lungo un giorno - One from the heart); Jersey girl (in Heartattack and vine).
Non poteva non essere coinvolto! Un momento, di che radio si tratta?
Magari loro sanno come rintracciarlo.
– Scusi come si chiama la radio che stiamo ascoltando? – mi rivolgo
alla cassiera.
– Controradio – mi risponde svogliata.
– Un caffè – mi affretto a dire, magari vedendo che consumo non mi
manda maledizioni. Vado verso il banco e benedicendo la tecnologia prendo lo smartphone, sì il segnale c’è. Una veloce ricerca e mi appare il link al
sito di Controradio, clicco su contatti, ecco l’indirizzo e i numeri di telefono,
un fantastico copia incolla e lo trasferisco nelle note. Bevo il caffè. Uscendo dal bar digito il numero trovato e aspetto con la pancia in subbuglio.
Sento una voce:
– Pronto, Controradio – ecco, mo’ che dico?
– Buongiorno, mi scusi. Avrei bisogno di un’informazione – sindrome
PaoloVillaggio, secchezza delle fauci.
– Mi dica pure – la voce è cortese.
– Mi chiamo Matteo L., potrei parlare con Ernesto De Pascale? – lo
dico tutto d’un fiato prima che mi penta.
– Mi dispiace – ecco ora so di essere veramente a Firenze, la cadenza è inequivocabile – Ernesto non c’è.
– Sa come potrei fare per rintracciarlo? Avrei bisogno di parlagli – il
tono della mia voce deve trasmettere l’ansia di una situazione di vita o di
morte, perché mi sento rispondere:
– Non saprei che dirle, ma aspetti, le passo Fabrizio che le saprà dare
delle indicazioni senz’altro. – Vorrei darle un bacio.
– Pronto – una voce maschile interrompe i miei pensieri, deve essere
Fabrizio.
– Pronto mi chiamo Matteo L., avrei bisogno di incontrare Ernesto –
mi preparo alla trafila di domande: perché, percome eccetera.
– Guarda, io lo vedo sicuramente più tardi perché facciamo la trasmissione insieme – mi fa lui di getto.
– Il Popolo del Blues! – dico istintivamente, sono preparato.
– Esatto, la conosci? – mi chiede Fabrizio.
– L’ho sentita qualche volta in podcast o in streaming, non vivo a
Firenze – dico quasi vergognoso.
– Sei un musicista? – mi fa lui incuriosito.
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– Un appassionato, seguo Ernesto dai tempi di Stereonotte – il tremore sta passando, mi sento più tranquillo e sicuro – sono a Firenze per Tom
Waits e ho pensato di fare un saluto a Ernesto – facendo intendere una
conoscenza che non c’è.
– Guarda, se vuoi – mi fa – puoi vedere al Caffè Giurovich, in pratica
è il suo ufficio, ti conviene farci una scappata così magari lo incontri e
mangi anche qualcosa di buono.
– Puoi darmi l’indirizzo? o come si fa ad arrivarci dalla stazione? –
chiedo speranzoso, ormai sono lanciatissimo come un novello Indiana Jones.
– L’indirizzo – pausa, sta probabilmente cercando – viale don Minzoni,
poi il Caffè lo vedi... Come andarci ti conviene chiedere lì vicino.
– Grazie, sei stato gentilissimo, grazie di nuovo, ciao – come fargli
capire che emozione mi ha dato?
– Ciao, ciao – e si interrompe la comunicazione.
Mi guardo intorno, vedo un vigile, provo a chiedere. Mi indica una fermata d’autobus, devo prendere il numero 1, poi scendere e fare un pezzo a
piedi. Mi dà indicazioni precise, anche su come procurarmi il biglietto. Poi il
caos. Ecco la parola giusta per descrivere Firenze in quell’aria fresca di
primo mattino. Invasa da turisti sciamanti che per le vie del centro la riempiono di parole e risate, scattando foto quasi a ogni singola pietra. Intorno a me
tutti hanno fretta, o almeno così sembra, sono come un fiume in piena che
travolge ciò che incontra. Eccomi alla fermata dell’autobus. Come si chiama
questa piazza? Voglio fissare tutti i particolari di quest’avventura. Eccola lì, la
targa: Largo Alinari, la grande dinastia di fotografi, dovrei farci un salto,
magari un’altra volta. Finalmente arriva il bus, sono a bordo. Quando vado in
una città nuova, che non ho mai visto, mi piace mescolarmi con la gente del
luogo e il posto più intimo è proprio l’autobus. A volte fin troppo intimo, e
allora preferisco andare a piedi. Conto le fermate e domando ai vicini, per
scendere nel posto giusto. Mi accorgo che sto muovendomi, per così dire,
all’antica: chiedo alle persone, eppure ho due navigatori in borsa. Però così è
più piacevole. Piazza della Libertà, ci sono. I motori accesi riempiono l’aria di
un cupo rimbombo, marmitte roventi rigurgitano gas quando le vetture aspettano ferme ai semafori, pronte al balzo per riprendere la corsa. Devo andare
di là, sì. Ed eccomi in viale don Minzoni. Laggiù, l’insegna del Caffè Giurovich.
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DA UN’INTERVISTA RADIOFONICA
A BERNARDO LANZETTI
[musicista e cantautore]
#TRIBUTE
Bernardo, cominciamo dal tuo ricordo di Ernesto, da come vi
siete conosciuti?
Allora, guarda, mi è stato dato il contatto da Gigi Cavalli Cocchi, che
è mio collega, sia prima coi Mangala Vallis e attualmente con i C.C.L.R.
Io avevo elaborato due lavori particolari, uno era un CD di blues e l’altro
un tributo a Bob Dylan, e mi è stato consigliato per la serietà e per la
competenza. Effettivamente, io ricordo la volta che ci siamo incontrati,
c’eri anche tu la prima volta che ci siamo visti. E, niente, diciamo, quasi
subito mi sono accorto che era una persona preparatissima, ma nel tempo che poi è seguito ha continuato a sorprendermi e devo dire che è la
persona più rock che io abbia mai conosciuto, cioè nel senso di “rock”
come cultura. Ha approfondito tutti gli aspetti, mentre di solito la gente si
ferma alla copertina del disco, a ascoltare la canzone. Lui è sempre
andato più in profondità a vedere cosa c’era dietro le quinte. E un giorno
gli ho detto “come fai a essere così?”, mi dice “ho studiato” (ride. N.D.S).
E quindi è stato veramente, veramente forte da questo punto di vista. E
poi abbiamo avuto modo di lavorare insieme, lui sempre presente. Lo
cerchi e se non può risponderti, poi ti richiama.
Diciamo, nell’ambiente era senz’altro una figura singolare e unica. L’ambiente, diciamo, della musica, dei promotori legati alla musica, è piuttosto improvvisato e piuttosto amatoriale in fondo, anche se,
magari, ci sono dei soldi implicati e, invece, lui aveva una serietà e
una nobiltà, rispetto all’arte, che dalla musica che lui andava a trattare io ne ho avuto benefici enormi. Devo dire che sono stato parecchio
male, un paio di mesi, dopo la sua scomparsa e ho fatto fatica a riprendermi, perché per la prima volta avevo trovato veramente un
fratello di sangue, per quanto riguarda gli aspetti, diciamo, di una cultura, se vogliamo dire, del ’900 traghettata nel nuovo millennio.
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E, diciamo, questa collaborazione poi anche dal punto di vista
produttivo si è trasformata in una collaborazione fruttuosa.
Non solo, ma, secondo me, lui continua a collaborare con me, pur non
essendo qua, diciamo, su questo pianeta, perché è incredibile che nell’ultimo
anno io abbia avuto modo di percorrere una strada sempre in discesa e quindi
io, dentro al mio cuore, gli sarò sempre grato. Ogni volta che mi succede
qualcosa, una telefonata improvvisa da Londra, un articolo così entusiasta
sul mio lavoro, penso sempre che sia stato un qualcosa preparato da Ernesto.
Grazie mille, Bernardo.
Oh, perbacco, potrei dirne ancora tante, però, devo dire, vorrei chiudere dicendo che mi manca tantissimo.
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#T
UN PRIVILEGIO CONOSCERTI
Dorothea
edizione
Bruno [insegnante]
elettronica riservata
RIBUTE
La mattina del 13 febbraio 2011 ero nel mio studio davanti al computer con il cellulare pronto per chiamare una certa persona. Un amico. Il
mio amico Ernesto De Pascale. Era il suo compleanno. Anche l’anno
prima lo avevo chiamato. Ero stata la seconda, non me ne voglia l’autrice di questa meravigliosa storia, a fargli gli auguri. Sua madre soltanto
era arrivata prima di me! Che onore, pensai e che piacere. Ma il piacere
di fare gli auguri a un amico è normale.
Era sempre un piacere parlare con Ernesto. In quei pochi minuti ci si
raccontavano le nostre cose, stringevamo le nostre vite in poche frasi,
stando attenti a dirsi il più possibile, io sempre con la paura di rubargli il
tempo. Lui, invece, incuriosito come sempre, mi chiedeva cosa facevo e
io raccontavo, gli spiegavo. Non era facile perché temevo il suo commento e il suo giudizio. Ma poi sentivo il sorriso nelle sue parole. Come
quando gli chiedevo se sapesse niente di una notizia che per me era
un’anteprima. E lui sorrideva sornione. Sapeva già tutto. E vedendo la
mia piccola delusione sorrideva ancora di più e si continuava a parlare.
Indagava sulla mia attività, mi faceva domande. E io imparavo.
Ho imparato molto da Ernesto De Pascale. Prima di tutto il rispetto
che ci è dovuto come esseri umani e che dobbiamo a nostra volta nella
professione di ufficio stampa o di operatore nell’organizzazione degli eventi.
Il rigore nelle cose del lavoro come della vita. Il tempo è importante
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e non va sprecato. La precisione nel delineare un concetto. Trovavo,
quello che mi diceva, sempre giusto e io ne facevo un mio intimo modello di riferimento. Quando lavoravo con lui, Bruno Casini, autore insieme a lui del libro, e Michele Manzotti, alla stesura del secondo volume di Anni di Musica, lo temevo. Avevo capito che detestava l’approssimazione, il pressapochismo di chi si accontenta. Per esempio,
Ernesto detestava i puntini di sospensione che io amavo usare spesso.
E ci sto molto attenta a non usarne più. Aveva ragione. I puntini di
sospensione denotano mancanza di autorevolezza di chi scrive e sono
irrispettosi nei confronti di chi legge. “Mi piace come lavori. Ho visto
quello che fai e mi piace”, mi aveva detto dopo una delle riunioni in via
Niccolini con tutto lo staff del libro. Una delle poche persone che mi
abbiano apprezzato in tutta la mia vita. Diventammo amici.
La mattina del 13 febbraio ero sulla sua pagina Facebook con il suo
numero, pronta a chiamarlo. Leggendo gli auguri che ormai dalla mezzanotte arrivano dagli amici me ne colpì uno, quello di un amico e collega
comune, Stefano, che diceva così: “Un privilegio conoscerti”. Ciao
Ernesto. Che strano, perché scrivere questo, pensai e guardai gli altri
messaggi. Il cellulare era pronto con il suo numero. A poco a poco tutto
fu chiaro. Google confermò quello che non avrei proprio mai voluto sapere. Era successo nella notte del suo compleanno.
Il mio amico Ernesto non mi avrebbe risposto più. Ma c’è sempre
nelle cose che faccio, nel lavoro e nella vita. Nelle relazioni con gli uomini che sono sempre più difficili. Ernesto resta una voce che mi mette in
guardia. E un punto di riferimento. Anche adesso mi sembra che da
dietro la spalla destra legga quello che scrivo. Spero gli piaccia. Grazie
Ernesto, un vero privilegio conoscerti.
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ATTRAVERSARSI A VICENDA
# TRIBUTE
David Matrisciano [musicista]
Ci siamo attraversati a vicenda, come del resto accade tra anime
vaganti. Qualche briciola del suo sorriso sornione e il suo elevato rigore
tecnico e artistico hanno formato un mix di elettriche pulsioni, scatenando
la mia profonda stima nei suoi riguardi.
Tu, dallo sguardo tenero e placcato di severità, mi hai sottratto ad
attimi di vacua banalità per dirigermi verso lidi fascinosi fatti di musica
allo stato puro, la stessa musica che t’ha forgiato e t’ha reso più forte.
Ernesto, ti sono riconoscente per l’humus che mi hai generosamente
donato, e su cui ho piantato lacrime felici (con te tra i protagonisti).
Avrei voluto conoscere meglio te, ma ho finito per “accontentarmi”
della tua essenza.
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NO GURU, NO METHOD, NO TEACHER
# TRIBUTE
Giulia Nuti [musicista, giornalista]
Con Ernesto accanto, e grazie a Ernesto, per la prima volta mi sono
seduta dietro il microfono di una radio, ho ascoltato un disco per recensirlo, ho intervistato qualcuno. Mi ha coinvolto in tutto e per tutto in quella
sua avventura e marchio che era – ed è – Il Popolo del Blues, che tutt’oggi vive attraverso il sito internet www.ilpopolodelblues.com, il programma radio su Controradio che va in onda il sabato sera dalle 21.00
alle 22.30 e la domenica pomeriggio alle 15.30 alle 17.30, e tutte le diverse attività che coinvolgono le persone che gli erano più vicine.
Verrebbe da definirlo maestro per tutte le cose che mi ha insegnato,
dal punto di vista pratico e umano. La definizione, tuttavia, non gli sarebbe piaciuta per niente. Non voleva essere maestro di nessuno. Anzi, si
affrettava a correggere chiunque lo apostrofasse, seppur scherzosamente,
in tal modo. Molti sono coloro che ricordano Ernesto ancora oggi per ciò
che da lui hanno appreso, eppure il suo motto in materia, preso in prestito
da Van Morrison e che aveva scelto di riportare anche all’interno del
libretto del suo primo album solista, Morning Manic Music, parlava
molto chiaro: no guru, no method, no teacher.
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DA UN’INTERVISTA RADIOFONICA
AD ALESSANDRO BERGONZONI
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[comico, scrittore, autore e attore di teatro]
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Siamo qui per Ernesto
De Pascale Blues Revue in compagnia di AlesRIBUTE
sandro Bergonzoni, celebre attore italiano e caro amico di Ernesto, con il
quale ha condiviso numerose esperienze comuni, tra cui ricordo un divertentissimo cortometraggio, se non sbaglio. Buonasera Alessandro.
Ciao, buonasera. Certo, sì, un corto che è andato al Festival Torino
Giovani e si chiamava Chi ha ucciso il maiale?, un’operazione
pionieristica, che comunque ci ha dato la possibilità di pensare insieme a
un momento cinematografico, e che sarà, diciamo così, il piccolo piedistallo per un film futuro che farò nel 2013.
Quindi, diciamo, con Ernesto avete condiviso tante cose: l’amicizia e l’umorismo, mi sembra di capire.
Ma guarda, sicuramente abbiamo condiviso anche delle spallate. La
spallata che cos’è? È una specie di vicinanza di colpo che ci si dà quando uno
racconta la storia a un altro. Lui mi raccontava la musica, insieme a Riccardo
Rodolfi, perché erano esperti, me la traducevano. E io gli davo la spallata un
po’ nell’arte, gli davo la spallata un po’ nel tema del teatro. E alle volte si
chiacchierava e si andava a cercare quello che c’era sotto la neve, quello
che c’era sotto la terra, la roba sepolta. Il piacere era quello di andare a
vedere quello che non si guardava ed Ernesto era un buono speleologo.
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Avevate quindi anche un background comune, diciamo. In qualche modo il vostro lato artistico si incontrava.
Ma certamente, perché avevamo un cordone ombelicale che ci univa e
ci teneva. E allora io penso che esista la possibilità di pensare le persone
anche quando queste persone sembra non lavorino più, non producano più,
non pensino più. Io credo che allora si seminò, e allora si va a vedere anche
che cosa si è seminato. È un gioco. Non deve fare né paura, né terrore, né
rendere infantili: è un gioco. E tutte le cose sono fatte di questo.
È VIETATA
Senti, qualsiasi
hai qualche episodioriproduzione
particolare che ti ricordi insieme a
Ernesto che vorresti condividere con gli altri ascoltatori?
guarda, io non amo la metodica, di
non amo
i ricordi intesi file
nel senso
oMacondivisione
questo
televisivo, radiofonico o giornalistico. Però sicuramente una cosa che mi ha
fatto e che mi lasciò divertito fu quando facemmo quest’intervista insieme a
senza autorizzazione
Maria Cassi, a Firenze, dove Ernesto, c’era un pezzo anche su internet, non
faceva altro che ridere e non faceva altro che guardarmi in una condizione
esasperata di abbandono,dell’editore
perché non riusciva più a risalire l’intervista e nemmeno a quello che doveva dire. Allora mi piaceva questa sua apnea; sembrava
che fosse completamente sommerso dall’acqua.
Grazie mille Alessandro.
Buon lavoro, grazie. Chiamatemi quando volete. Ciao Ernesto, ciao.
My name is Ernesto
una storia per immagini
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È ANDATA IN UN ALTRO MODO
#TRIBUTE
Paolo Boschi [presidente Apogeo a Firenze,
scrittore e analista d’arte contemporanea]
Poi, come succede nella vita, è andata in un altro modo. Così, fra i
miei ricordi di Ernesto c’è tutta la musica che mi ha raccontato, i dibattiti,
la naja, i Lightshine e, se ci penso, il fatto che ogni volta che l’ho visto
usciva da qualche parte. Come è uscito di scena troppo presto, e di tante
cose che si diceva di fare insieme c’è rimasta almeno una jam mostruosa
in cui rappava e rideva.
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#T
Uedizione
N’INTERVISTA MAI
elettronica
TRASMESSA
riservata
RIBUTE
Massimo Altomare [ musicista, cantante, autore e produttore]
Penso che Ernesto, così come ha vissuto, con la voracità che lo portava a interessarsi di mille cose e la velocità che imprimeva alle sue cose,
allo stesso modo ha voluto andarsene. Per lui la vita è (non a caso uso il
presente) qualcosa da bruciare in fretta e senza preoccuparsi delle conseguenze. Non riusciva fare solo una cosa, a concentrarsi su un’unica
fase.
Quello che mi manca di Ernesto è senz’altro un livello di comunicazione che era determinato da un a nostra affinità dovuta al suo essere
profondamente artista, prima che critico e giornalista e dalla mia sensibilità verso le persone creative. Mi manca la qualità dei nostri discorsi, una
visione della vita in qualche modo cinica e pragmatica che lo ha portato,
ritengo, anche a delle rinunce per la sua autonomia. Una persona non
asservita.
La sua grande cultura musicale così precisa, riusciva sempre a dirmi le cose che mi necessitavano in quel momento. Una fonte inesauribile. Da questo punto rivista mi ha dato molto e mi manca molto. Mi
dispiace non abbia avuto quanto meritava, avrebbe dovuto avere mezzi
più importanti e sufficienti a realizzare le cose che aveva in testa, lo
avrebbe meritato.
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La sua grande capacità di mettere insieme team vincenti, su progetti
che precorrevano i tempi: il rhythm’n’blues di Hypnodance, lo spettacolo
Il grande Fred su Buscaglione, e tutti gli altri che ha fatto nel tempo,
Arigliano, a esempio. Sono la dimostrazione di una grande propensione a
mettere insieme le persone e le risorse giuste per progetti importanti e
interessanti. Esattamente quello che fa un grande produttore.
Mi sarebbe piaciuto che oggi avesse dei successori, ma ho sempre
avuto la sensazione che lui stesso non è stato mai interessato. L’ultima
volta che ci siamo visti fu in occasione del mio disco del 2010, alla fine di
gennaio 2011 lui volle fare un’intervista per la sua trasmissione Il Popolo
del Blues, che però non passò mai né sono mai riuscito ad avere. Fu
quello il nostro ultimo momento insieme.
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#T
SEMPRE AL MIO FIANCO
RIBUTE
Ernesto Bassignano [cantautore, giornalista,
conduttore rediofonico e produttore]
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Ho avuto pochi omonimi e tantomeno appassionati e capaci come De
Pascale. Ogni volta che ho avuto bisogno d’un complice puro e onesto e
spassionato l’ho trovato al mio fianco. Come me Ernestone era musico,
produttore, talent scout e cantautore. Come me dedicava alla buona cultura più di metà della sua vita ammazzandosi di fatica fisica e mentale.
Di tutti gli esperti di canzone d’autore era il più esperto. Non ha mollato
mai fino a poche ore dal momento in cui si è esaurito. Ciao amico mio,
ciao complice inesausto. Non so gli altri ma io ti avrò sempre al mio
fianco.
ULTIMI MESSAGGI IN BOTTIGLIA
Ho sempre ammirato la tua determinazione, per la tua vita, per quello
che dovevi fare, e la tua correttezza verso te stesso e verso gli altri. Tu
dicevi sempre tutto quello che pensavi, senza pensare a quello che comportava, tu hai vissuto una bellissima vita, hai fatto quello che volevi fare,
la musica. Vivevi per il tuo lavoro e per la tua musica, come i tuoi viaggi,
New York, l’America, Londra. La radio era quello che ti apparteneva di
più, tu eri in quell’attimo importante per il mondo e davi agli altri tutte le
tue conoscenze. Ma era anche bello vederti al pianoforte suonare. Hai
fatto una bella vita, breve, ma intensa. [Laura Mauric]
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Ascoltare un vecchio brano e non poterne condividere con te il piacere è uno di quegli attimi in cui verrebbe la voglia di buttare tutto per aria,
caro Ernie. Ma so che tu non lo vorresti e stringiamo i denti, e andiamo
avanti seguendo la traccia e il rigore che hai lasciato. Avanti sempre,
avanti comunque. Music will kee. Buon compleanno dal tuo Capone Bros
minore, c’è chi ha scritto che il rock and roll è bello perché ti fa sentire
come se fossi sempre alle superiori, questa è l’esatta sensazione che ho
sempre avuto nel vivere questi anni con te, ci rivedremo da qualche parte, intanto che tu metti un disco di Doris Duke, io porto una bottiglia di
sidro bello fresco. [Giovanni de Liquori]
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Si conclude, per ora, questo breve pezzo di viaggio, dove tutti voi,
personaggi e interpreti, avete ascoltato, rincorso, amato Ernesto. Voi amici,
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colleghi, ascoltatori occasionali,
musicisti, avete saputo cogliere il senso
profondo che attraverso la musica lui vi voleva trasmettere, “vivete solo
e comunque in nome della vostra Passione: la musica”. Ernesto rimane
tra di noi con la sua energia, con tutto quello che ha fatto per poter
lasciare dentro a ognuno un messaggio: Anima Soul, Work in Project. La
radio è accesa, è notte e molti di noi forse sono già pronti ad ascoltare
una nuova puntata. Il nuovo programma di Ernesto è su una nuova frequenza, sintonizzatevi. [Antonella De Pascale]
Ideato da Ernesto De Pascale, il programma Il Popolo del Blues nasce nel 1995 per le frequenze di Controradio Firenze, a seguito delle
incessanti richieste a tornare ai microfoni da parte dei più fedeli ascoltatori di RaiStereonotte, la storica trasmissione di cui Ernesto è stato tra i
conduttori più amati, distinguendosi appunto per la predilezione del blues.
In breve tempo, Il Popolo del Blues è divenuto un vero e proprio marchio
di fabbrica, le cui attività sono cresciute in vari campi, rispecchiando
l’ecletticità del suo fondatore.
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Il Popolo del Blues continua a essere un programma radiofonico, in
senza
autorizzazione
onda su Controradio
Firenze
il sabato dalle 21 alle 22.30 e la domenica
dalle 15.30 alle 17.30, condotto da Fabrizio Berti, Michele Manzotti e
Giulia Nuti [FM 93,6 +dell’editore
98.9 - www.controradio.it].
Il Popolo del Blues è oggi un’associazione culturale - composta da
Laura Mauric, Antonella De Pascale, Michele Manzotti, Fabrizio Berti,
Giulia Nuti, Giovanni de Liguori, Piero Ferretti - che si occupa di custodire l’archivio di Ernesto, divulgarne i contenuti e valorizzare tutte le attività legate alla sua figura.
Il Popolo del Blues è anche una testata giornalistica on line www.ilpopolodelblues.com - e un’etichetta discografica, e si occupa di
uffici stampa e comunicazione musicale [Premio Piero Ciampi di Livorno, Porretta Soul Festival, Torrita Blues Festival, Esoteric Recordings].
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My name is Ernesto