APPUNTI E RIFLESSIONI IN OCCASIONE DELLA
PRESENTAZIONE DEL LIBRO:
‘LA LETTURA VELOCE E CREATIVA’
di Maurizio Barbarisi
ed. Gremese, Roma
evento tenutosi in data 26 maggio 2012 nella cornice degli Incontri letterari alle Giubbe Rosse di Firenze, a cura di Massimo Mori, con l’introduzione di Emiliano Ricci.
IL PERCHE’ DEL TITOLO DEL LIBRO
Come spesso accade, il titolo del libro viene imposto dall’e–
ditore o, quanto meno, è frutto di una esasperante negoziazione con lo stesso, tanto che sovente, per tutelarsi da un’even–
tuale opposizione intransigente sul punto dell’autore, l’editore
‘blinda’ il suo diritto di scelta facendolo diventare oggetto specifico di una clausola contrattuale. L’opzione dell’editore è quasi sempre infatti di natura materialistica, ed è riconoscibile dal
simbolo dell’euro che si può facilmente notare nel suo fundus
oculi; quella dell’autore è invece ingenua e romantica e ubbidisce
a un’idea di dare una coerenza tra ciò che affiora alla superficie
ed è immediatamente conoscibile dal pubblico e ciò che rimane
invece nascosto nelle profondità delle pagine, conoscibile solo
in seconda battuta dal lettore. Il conflitto, insomma, è inevitabile. Nello specifico, all’editore piaceva poco l’accenno alla scrittura creativa tanto da volerlo eliminare, ritenendolo evanescente, di poca presa sul pubblico e che invece era la sola ragione
per cui avevo scritto il libro. Lui voleva piuttosto porre unicamente l’accento sull’aspetto della lettura veloce e sulla memorizzazione del testo, anteponendo oltretutto al titolo la parola
‘Guida’, per cui suonava più o meno così: ‘Guida alla lettura veloce e alla memorizzazione del testo’.
Il che non solo tradiva lo spirito per il quale il libro era stato scritto, ma lo faceva anche assomigliare a una delle tante pubblicazioni di self training, tipo: guida alla felicità in poche lezioni, guida al successo sul lavoro, alle pizzerie economiche della città e via discorrendo. Non
ho assolutamente nulla, ovviamente, contro questo genere di libri, ne ho letti tanti anch’io,
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ma non era di certo, non questa volta, la categoria alla quale pensavo che il mio testo dovesse
appartenere.
Inoltre, a ben vedere, il testo è un tomo di quattrocento pagine travestito da libretto di
220. È, come si dice, un testo concettuoso, condensato, ad alto peso specifico di contenuto.
Sicché non parla solo di lettura veloce, né solo di memorizzazione del testo. Tratta piuttosto
anche di storia della lettura, del soggetto negletto e maltrattato della scrittura, vale a dire il
lettore; ma si occupa anche, in soldoni, del perché si legge, del piacere del leggere, della
lettura parallela, della prelettura, della lettura orientativa, del luogo ideale per leggere,
della scelta del libro, di come liberare la mente per favorire la lettura, del come si legge un libro, della lettura ad alta voce e di tanto tanto altro. Sicché, ed era una delle obbiezioni da me fatte da subito all’editore, appena venuto a sapere del titolo che voleva assegnare
al lavoro, il libro poteva essere comprato da chi era interessato solo ai due argomenti citati
nel tiolo mentre in realtà ne avrebbe trovati molti altri leggendo il libro, creando disorientamento. Ovvero, al contrario, potevano non essere comprato da chi sarebbe stato interessato
proprio ad altri profili e non necessariamente a quelli connessi alla lettura veloce e alla memorizzazione del testo.
In realtà il libro avrebbe dovuto chiamarsi, secondo me, ‘La lettura creativa’, tout court, come argomento assorbente che tutto ricomprende, o come mi è stato acutamente suggerito,
l’‘Arte del leggere’ che riassumeva in modo esaustivo in sé tutte le ragioni per le quali
l’avevo scritto.
Perché questo libro nasceva dall’amore per la lettura, dall’esigenza di mettere su carta le mie
riflessioni, l’esigenza costante di chiedere alla lettura sempre di più. E con mia grande meraviglia, ogni volta che ho chiesto di più alla lettura, la lettura alla fine me l’ha dato. La lettura
non è infatti una superficie, ma una profondità. Non è solo carta su cui sono impressi dei caratteri, è una tridimensione, è un modo per esplorare se stessi e gli altri. E, come ho scritto
sul volantino della presentazione di oggi: un mondo aperto su un’infinità di mondi altri.
SCRITTURA CREATIVA E LIVELLI DI LETTURA
L’aggettivo ‘creativo’ suggerisce di per sé una mancanza di regole o un loro superamento totale. La nota distinzione tra invenzione, scoperta e creazione ci può aiutare però a capire.
Andiamo con ordine.
La scoperta. Si scopre un qualcosa che in realtà esiste in natura. Si suppone che esista, la si
cerca e, se si è fortunati, la si trova. In realtà a volte si scoprono cose che ci sono, che non si
pensava ci fossero, proprio mentre se ne cercava un’altra. Il tipico esempio è quello di Colombo che ha scoperto l’America, ma l’America c’era già, anche prima che lui e l’intero Occidente la scoprisse. In verità lui cercava l’India, un nuovo passaggio per l’India andando a
ovest cioè dalla parte opposta a quella dove si sapeva fosse l’India e ha scoperto l’America. È
il classico caso della serendipity. Si cerca una cosa se ne trova un’altra, ma sempre scoperta è.
L’invenzione è invece il trovare qualcosa di nuovo e dunque ha in sé il concetto di novità.
C’è un valore aggiunto da parte dell’inventore che scopre qualcosa da ciò che lui stesso mette
insieme, cose che però esistono di per sé in natura, ma non nella forma e nella composizione
poi inventata. La novità è il modo in cui cose, elementi, che non stanno naturalmente insie-
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me, vengono invece tra loro associate. Mi viene in mente, come esempio, quello della vulcanizzazione della gomma. Charles Goodyear si era semplicemente dimenticato della gomma
sulla sua stufa, scoprendo, con l’avvertire un odore terribile di bruciato provenire dalla sua
sala, un materiale molto più resistente e duttile del lattice fino allora conosciuto tanto da dare
poi origine ai suoi famosi pneumatici necessari per le vetture a scoppio che in quel periodo
andavano a costruire.
Poi c’è la creazione. La creazione non scopre qualcosa che già c’era, non inventa qualcosa di
nuovo partendo da cose che già c’erano. La creazione porta a esistenza qualcosa che non
c’era prima. A parte l’esempio del Creato per antonomasia, si crea una sinfonia, una opera
letteraria, un’opera pittorica. Prima non c’era ora è visibile sotto i nostri occhi e udibile alle
nostre orecchie.
E ritorniamo alla nostra lettura creativa. Sembra un ossimoro. Come è possibile creare qualcosa che c’è già? La scrittura è già lì sotto i nostri occhi. In realtà quello che si crea non è la
parola in sé, quello l’ha già fatto l’autore scrivendo. Noi dobbiamo fare piuttosto il nostro lavoro di lettore e il lettore, come l’autore, crea. Crea la scenografia del testo nella propria
mente quando s’immagina quanto l’autore descrive, crea nella sua testa il personaggio, lo vede, lo fa muovere, lo fa finanche interagire; ma il lettore crea anche quando va al di là del testo in sé, pensando e riflettendo sui livelli di lettura, sui collegamenti impliciti dello scrittore,
su quello che ha lasciato intendere, sulle atmosfere create, sui valori non solo denotativi della
parole, ma anche per quelli connotativi e di contesto. Una parola assume diversi significati a
seconda se è isolata o nell’insieme della frase in cui è inserita. Il testo è vivo, vive sfidando i
secoli, quando merita ovviamente come i classici, che i tempi siano sfidati; ma il testo vive
solo se il libro è aperto e letto e soprattutto se è letto con gli strumenti giusti per assaggiarlo,
sondarlo, gustarlo in tutte le sue sfaccettature. E il libro dà questi strumenti.
IL TEMPO DA DEDICARE ALLA LETTURA
Nel libro ho voluto distinguere il tempo del leggere e il tempo per leggere. Il primo ha che
fare con la velocità della lettura e in genere con le modalità tecniche di scorrimento degli occhi sullo scritto, il secondo con lo spazio temporale che si dedica alla lettura.
Prima di parlare del primo preferisco chiarire alcune cose del secondo. Sento molto spesso
dire, che tra i molti motivi per cui non si legge, c’è quello della mancanza di tempo. È tutto
(apparentemente) vero (a parte il fatto che faccia molto chic dirlo): le nostre vite sono convulse, spesso si è divisi tra mille impegni il lavoro, la famiglia, la palestra, gli amici. Dico delle
banalità, ne sono sicuro. In realtà l’affermare che non si ha del tempo per leggere è la spia di
un altro problema più basilare, più profondo, non è la percezione esatta del problema. La ragione ultima della pretesa mancanza di tempo è in realtà che dal leggere non si trae abbastanza piacere. In altre parole non si legge nel modo corretto. Se traessimo una gratificazione, un
benessere psicologico tangibile, per quella vocazione naturale alla ricerca edonistica che è
propria dell’essere umano raggiungere ciò che lo soddisfa intimamente, saremmo portati a
trovare senza apparente sforzo uno spazio temporale per garantirci di star meglio. L’istinto di
sopravvivenza è sicuramente un richiamo primordiale, che garantisce la nostra stessa replicazione e la nostra permanenza in vita. E la ricerca del piacere, ugualmente, è una pulsione
complanare all’istinto di sopravvivenza. Sembra un discorso finanche sproporzionato ed ec-
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cessivo per chi vuol parlare solo di lettura, ma in realtà non è così. Non esiste solo il piacere
che garantisce la sopravvivenza fisica, esiste anche il piacere che permette la nostra sopravvivenza e perpetuazione intellettuale, il nostro rinnovamento dell’essere e dell’esserci
che passa attraverso la conoscenza del mondo che, guarda caso, non avviene solo attraverso
l’esperienza di vita, ma anche attraverso il filtro della lettura. Esiste la pulsione irrefrenabile
del tendere a star meglio, del sentirsi bene, in pace con se stessi e il mondo che ci circonda. Si
cerca la compagnia della gente che ci piace, il cibo che ci soddisfa, il film che ci interessa. Se
capissimo che la lettura ci può dare la soddisfazione non solo di divertirci ma anche di farci
sentire migliori, in presa diretta con il mondo che ci circonda, troveremmo il modo e il tempo per dedicarvicisi; se comprendessimo davvero che la lettura ha il compito di straniarci dalla routine di tutti i giorni, di portarci in un mondo altro, che ha il potere di farci sognare, di
spostare le nostre credenze e il nostro punto di vista, facendoci pensare a quello che non abbiamo mai pensato, se capissimo che ha il potere di metterci in contatto con la parte migliore
di noi aiutandoci a esprimerla in modo da farci stare meglio non solo con noi stessi, ma anche con gli altri, ecco, allora ne sono sicuro che non faremmo nessuna difficoltà a trovarvi
del tempo da dedicarle. E questo libro cerca di insegnare tutto questo.
TEMPO E LETTURA. GLI INFINITI INVISIBILI PERCORSI
Tempo e lettura sono due tematiche su cui si potrebbe parlare all’infinito. Basterebbe solo
parlare del tempo in sé come concetto per non finirla mai. Aristotele diceva che il tempo
non esiste se non convenzionalmente, perché è l’uomo che l’ha inventato numerandolo e
quantificandolo. Non esiste il passato perché non c’è più, non esiste il futuro perché non è
ancora. Esiste il presente, che è però solo una separazione tra il passato e il futuro. E
l’istante, quello che stiamo vivendo noi, adesso, in questo momento, in bilico tra il passato e
il futuro è solo il momento di passaggio del futuro che si fa passato, lo percepiamo solo perché stiamo vivendo. In realtà l’istante non esiste perché implica un movimento e appena vi è
movimento si sconfina o nel presente o nel passato che abbiamo visto, non esistono.
Per fortuna il tempo narrativo è meno paradossale, tuttavia non meno variegato.
C’è il tempo della trama. Vale a dire il tempo storico in cui la trama stessa è calata (medioevo, rivoluzione francese, attualità).
Ma c’è il tempo della narrazione. Il punto di vista di chi racconta. Si può raccontare una
storia del passato come fosse presente. Ma si può raccontare del presente, come fosse passato, se l’autore narra dal futuro.
C’è poi il tempo dedicato alla lettura da parte del lettore, vale a dire il tempo dedicato al
leggere, che può essere frazionato nel tempo o speso in un’unica soluzione, ma può anche
essere tempo affrettato come quello che si esprime nella prelettura, come quando si compra
il libro e ci si vuole sincerare che ci possa piacere. Ma c’è anche il tempo del recupero con
la rilettura o postlettura, dove l’approccio con il libro cambia perché non si fa più la conoscenza di una persona che può diventare nostro amico, ma è un rivedere il vecchio amico
non più incontrato da diverso tempo, di talché, nella conversazione che si può avere con lo
stesso, attraverso la rilettura, ci si confronta, accorgendosi di quanto siamo rimasti gli stessi
ovvero al contrario di quanto siamo cambiati rispetto a un testo oggettivamente immobile.
C’è il tempo dell’assimilazione, del rimuginare sulla parola, sul farla propria nel concetto
che esprime. Nel rivivere l’atmosfera creata dal leggere.
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C’è poi il tempo oggettivo. Un libro scritto nel passato, può diventare a oggi desueto nei
suoi contenuti, finanche sorpassato, tanto da non saperci dire più nulla. Ma può anche diventare un classico per saper dire sempre cose nuove a dispetto del tempo che passa, per la sua
capacità intrinseca di narrare cose senza tempo a generazioni di persone ancora da venire.
Il tempo, come si può vedere, quindi, entra ed esce dal libro, creando infiniti meandri e infiniti percorsi, per i quali non esiste un’unica sicura direzione.
PERCHE’ LEGGERE VELOCEMENTE
Verrebbe da chiedersi, ma perché devo ingegnarmi a leggere velocemente se a me piace leggere lentamente gustandomi quello che leggo. È un’osservazione che, di per sé, non fa una
grinza. Come ognuno ha il suo passo, ha il suo respiro, ha la sua cadenza nel parlare, così ha
il suo ritmo nel leggere. Punto. Come direbbe Baricco.
In realtà la questione va vista in una diversa ottica. Leggere velocemente, e il libro ne spiega i rudimenti, le tecniche e gli esercizi per imparare agevolmente a farlo, è semplicemente
uno strumento. In altre parole non si deve imparare a leggere velocemente per dover sempre leggere decine e decine di pagine al minuto, qualunque cosa leggo, dalla lista della spesa al
trattato scientifico, dal depliant del prontopizza al romanzo di Tolstoj. Se voglio godermi una
bella giornata di sole faccio una passeggiata, non mi chiudo in un carro armato e mi inerpico
per una strada di campagna, se voglio andare al mare per il week end non ci vado correndo
vestito da footing, o almeno non lo faccio se sono sano di mente. La padronanza della tecnica della lettura veloce permette di acquisire in poco tempo dati che si ha necessità di acquisire in poco tempo. Come per esempio dare una scorsa rapida a una relazione prima di sentirla
esporre da altri o in vista di una sua valutazione se meriti o meno di essere letta. Per dare una
lettura rapida a un quotidiano o un depliant, ma anche, perché no, per leggere un romanzo.
La lettura veloce può servire anche solo per leggere meglio, per aumentare il proprio ritmo
senza strafare e gustandosi ugualmente quello che si legge; può servire molto, per esempio,
nelle preletture. Per saggiare velocemente un testo alla ricerca del punto che ci interessa,
mappando il testo stesso in pochissimo tempo. La lettura veloce non è una condanna, è solo
un mezzo per rendere performante la lettura di qualsiasi tipo al fine di spremere dalla stessa
tutto quello che ci può dare. È evidente quindi che se voglio leggere e rileggere una poesia
potrò e dovrò farlo lentamente. Perché la lettura veloce non è un obbligo.
Occorre poi far attenzione a quello che di buono la tecnica della lettura veloce comunque dà.
Va infatti disgiunta la tecnica dalla velocità. Posso leggere con la tecnica della lettura veloce e
andare piano, proprio perché la lettura veloce insegna, come la lettura ad alta voce, a leggere
meglio. Per far capire di cosa parlo, cercherò di chiarire su cosa si basa la lettura veloce e qual
è la differenza con la lettura tradizionale. La piccola ma enorme differenza tra l’una e l’altra
sta nel fatto che quando leggiamo in modo tradizionale compitiamo quello che leggiamo.
Facciamo cioè risuonare in noi le sillabe delle parole lette (alcuni muovono persino le labbra).
In realtà questa è una (inutile) perdita di tempo. Il cervello attraverso l’occhio legge già di suo
in termini di frazioni di secondo. In altri termini succede che noi leggiamo due volte, con il
cervello, in un attimo (e questo consentirebbe di per sé la piena comprensione del testo) e
una seconda volta compitando la parola, che altro non è se non una ripetizione di quanto già
letto. Noi leggiamo silenziosamente pressoché alla stessa velocità in cui leggeremmo ad alta
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voce, perché così ci è stato insegnato dai nostri genitori o a scuola quando ancora eravamo
piccoli. La parola in verità va riconosciuta e compresa e non materialmente letta nell’ac–
cezione tradizionale. Va letta al centro della parola stessa e non sillaba per sillaba. Allenandosi, ma vi assicuro con il minimo sforzo, si potrà leggere in mezzo a due/tre parole, fino a diventare molto braci e leggere a metà pagina scorrendola in senso verticale e comprendendo
ogni cosa.
La tecnica della lettura veloce dunque può essere adottata, per paradosso, anche per
leggere lentamente, perché ‘pulisce’ la nostra lettura, la libera da un’abitudine arcaica, facilita, ed è questa una delle risorse della lettura veloce, la concentrazione. È un po’ quello
che accade per il processore di un computer, con la sua parte logica: il processore, la CPU, il
cervello della macchina, che lavora in termini di nanosecondi. È più il tempo in cui la CPU
passa a far niente (a parte il refresh continuo del monitor e altre funzioni) che quello che impiega per processare dati immessi in input (anche se poi la CPU, ma qui andiamo nello specifico dell’informatica in realtà è sempre in attesa che succeda qualcosa. È come se continuamente dicesse ‘è successo qualcosa? è successo qualcosa?’ Poi si fa un clic da qualche parte e il pc è
tutto contento di processare l’evento e quello che ha determinato, dopodiché sempre in nanosecondi si mette di nuovo in attesa chiedendosi: ‘è successo qualcosa? è successo qualcosa’?)
Questo paragone perché? Perché il cervello fa la stessa cosa o qualcosa di similare. In un nanosecondo, perché le informazioni nel nostro cervello viaggiano alla velocità della luce, cioè
a 300.000 chilometri al secondo, individua e riconosce e capisce la parola e poi non fa più
nulla, aspetta che noi facciamo qualcos’altro. Sicché mentre voi compitate, tra una pausa e
l’altra della compitazione, che è lenta, pensa ad altro. Pensa a uno dei tanti pensieri possibili,
come il pensiero laterale di default, quello che procede libero, per proprie associazioni insondabili; in altre parole si distrae, cosa che va a detrimento della profonda comprensione del
testo. La lettura veloce viaggia in assonanza con la sua velocità di apprendimento, è in presa
diretta con quello che sta facendo o meglio gli si avvicina molto. In altre parole con la tecnica
della lettura veloce, anche se si può leggere piano, si leggerà meglio perché diminuisce la possibilità di distrarsi.
SVUOTARE LA MENTE
Uno degli ostacoli più seri sulla strada della buona lettura è il benessere mentale e fisico. Se
non si sta bene con se stessi perché c’è qualcosa che ci preoccupa o ci angustia, o si ha mal di
testa o non si sta comunque bene, quasi sicuramente non si leggerà, a meno che la lettura
non abbia una funzione terapeutica di per sé: sulla biblioterapia, e sulla funzione ‘medicamentosa’ di certi tipi di lettura è dedicato un apposito capitolo del libro.
Ma se si volesse leggere e non lo si potesse fare per un impedimento fisico o psichico, si può
sicuramente far qualcosa per svuotare la mente e predisporsi alla lettura. È evidente, infatti,
che se non ci si sente di leggere e non si sta bene, e per giunta non ci va, una buona dormita
o un vecchio film con John Whayne andrà altrettanto bene. Ma se invece a leggere non vorremmo rinunciare, ci sono molti esercizi che possono essere facilmente praticati e che permettono di staccare da se stessi, di prendere per un po’ le distanze dalla propria vita stressante. Staccare la spina non è difficile, occorre solo capire come si fa. A volte è solo un problema di trovare il nostro interruttore e spegnerlo. Una volta trovato sarà facile farvi ri-
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corso, ogni qualvolta se ne avrà bisogno. Gli esercizi descritti nel libro sono tutti semplici ed
efficaci, non necessitano di un particolare training o di preparazione apposita e si imparano
facilmente anche da soli.
MA ALLORA, PERCHE’ SI LEGGE?
Le motivazioni della lettura sono le più varie. Verrebbe da dire ‘non è importante il perché si legge,
purché si legga’. Certo è vero. Però acquisire consapevolezza del perché si fanno le cose, aiuta
a farle meglio, a saperle governare e gestire, a pilotarle là ove si vorrebbe andare, senza che
l’attività in sé avvenga a caso, ancorché in modo naturale e spontaneo. Acquisire consapevolezza e subito dopo la tecnica (questo discorso può però essere applicato a qualunque nostra
attività mentale o fisica) non deve apparire una preordinazione fredda che mortifica la creatività. È una critica per esempio che mi sono sentito più volte muovere in relazione al lavoro
da me fatto per la scrittura creativa, il libro (il Corso di BlogWriting, Appunti in tema di scrittura creativa per blog letterari) il cui contenuto si trova in posizione speculare a questo lavoro. Là si parlava di scrittura creativa, qui di lettura creativa. La tecnica, da alcune persone, è
vissuta come un momento di mortificazione della creatività vista nella sua accezione romantica. Questo si scontra però con la cruda realtà delle cose: tutti i grandi scrittori, anche del
passato, trattano se stessi come impiegati della scrittura. Si alzano la mattina, alcuni fanno colazione e poi si mettono a scrivere da una certa ora a un’altra, tutti i giorni, nello stesso luogo
come fossero in ufficio, come se evadessero delle pratiche o aggiustassero, che so, un televisore. Perché la creatività è solo una scintilla, spesso scocca quando siamo sotto la doccia o si
sta parlando con la fidanzata o la moglie o ci si mette a tavola; poi c’è tutto un lavoro enorme
di costruzione, di mille stesure, di ricerca di congruenza, di logicità, applicando le strategie
narrative, il lavoro sulla forma che non finisce mai. Scrivere è una faticaccia perché, come ho
scritto nel libro, ciò che si scrive con fatica, si legge con facilità.
Quindi: consapevolezza; la disciplina pensata, la tecnica acquisita sono preziosi alleati non
solo per la scrittura, ma anche per la lettura, dove peraltro il lavoro è meno complicato e
quindi più facilmente disciplinabile. La tecnica è fondamentale. I grandi scrittori dicono:
imparatela bene, a memoria, come fosse un’ave maria e poi discostatevene, ma sempre con consapevolezza.
Dunque perché si legge? Per provare emozioni, per condividere idee, per farsene di nuove,
per confrontarle, ma anche per cambiarle, per rafforzarle, per conoscere, per divertirsi, per
imparare, per conoscersi, per riconoscersi, per non sentirsi soli e per mille altri motivi. La lettura è anche un codice per intelligere il mondo, per cercare di rendercelo comprensibile, ma
nello stesso tempo è anche un rifugio dal mondo stesso, per assentarcene per una pausa, costruendo un nostro fortino di parole, un luogo altro, un pensatoio per fermarsi a riflettere.
Il capire perché si legge è dunque collegato alla metodologia della ottimizzazione. Perché sapere e infinitamente meglio che ignorare, perché consente di orientarsi e di procedere nella
giusta direzione.
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LA RIPARTENZA (RESTART READING).
Innanzitutto la ripartenza in lettura non è la rilettura. La rilettura è una nuova lettura
svolta quando la precedente è stata del tutto ultimata. Può anche avvenire a distanza di tempo e serve per approfondire la precedente lettura per coglierne significati e dettagli che possono essere sfuggiti alla prima lettura.
La ripartenza è solo uno strumento di lettura che accompagna la prima lettura per poterla effettuare nel modo più soddisfacente. C’è un momento della prima lettura in cui si ha come la
sensazione che l’autore abbia predisposto sul tavolo tutte le carte narrative che intende giocare. I personaggi ci sono pressoché tutti, la trama è impostata, l’ambientazione pure. Manca lo
sviluppo della trama. Si può fare l’esempio di un sasso buttato per aria. Per quanto
all’inizio salga in dipendenza della forza che gli abbiamo impresso, ci sarà un momento, quello immediatamente precedente alla sua ricaduta, in cui il sasso sembrerà fermo. Di lì, da quel
momento in cui il testo, per poche righe, appare ‘fermo’ si può scorrere velocemente
all’indietro le pagine lette per fissare bene a mente (e qui rimando alle pagine del libro che
parlano della memorizzazione) quei personaggi la cui definizione nella nostra testa non era
stata precisa, per recuperare qualche dettaglio che ci era sfuggito, per focalizzare alcuni aspetti che non ci erano chiari. Riprendendo in mano in questo modo le redini del testo sarà possibile godersi maggiormente il viaggio intrapreso, senza tema di fare confusioni o di cadere in
qualche equivoco di lettura: in altre parole sarà possibile capire meglio.
MEMORIA E LETTURA
La lettura e la memoria della lettura devono andare di pari passo, dove la memoria ha senza
dubbio una funzione servente della lettura. Ma la memoria che entra in gioco nella lettura è
proteiforme.
C’è innanzitutto la memoria di servizio che consente di comprendere, mentre si legge, dove
il lettore si trova rispetto alla storia e permette lo svolgimento sotto gli occhi del lettore della
trama. La storia non potrebbe dipanarsi se il lettore non serbasse traccia del passato, di quanto cioè è stato già raccontato e letto. Sarebbe come immettere acqua in un lavandino senza
essersi ricordati di mettere il tappo.
La memoria è anche quella di breve durata. Quella che consente, per tutta la durata del libro, di trattenere le linee principali della storia e dei personaggi che in essa si muovono al fine consentire il frazionamento dei tempi di lettura e il raccordo tra una sessione e l’altra anche a distanza di tempo. Anche qui, senza memoria, nel tempo intercorrente tra una volta
all’altra che riprendo il libro in mano, non avrei più traccia nella mente di quanto letto, i contorni degli elementi fondamentali del libro andrebbero persi o si sfilaccerebbero aprendo alle
confusioni di senso, al debordamento dei piani tra le diverse storie, al falso apparentamento
tra le caratteristiche dei diversi personaggi. È come se prendessimo appunti su un immaginario block notes e a quegli appunti facessimo riferimento per non perderci. Il libro, sotto questo specifico profilo, suggerisce tecniche di memorizzazione per trattenere il più possibile
nella memoria breve quanti più dati sono necessari non solo per la comprensione della storia,
ma anche per la comprensione dei diversi livelli di lettura.
E poi c’è la memoria di lunga durata. Quella memoria che entra in funzione a libro chiuso
e che è quella che del libro ci rimane nel tempo. Sono gli echi delle parole, dei concetti, delle
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idee, dell’atmosfera che rimane come una sensazione calda, avvolgente. Se la cultura è ciò
che si ottiene sottraendo da tutto quello che si è letto e ragionato quello che si è dimenticato,
si comprende quale ruolo fondamentale ha il ricordo, la stratificazione del proprio sapere.
Infine c’è la memoria che più mi piace: la memoria di interiorizzazione. Il libro entra a far
parte così tanto del nostro vissuto da divenire tutt’uno. Noi siamo anche quello che abbiamo letto, quando filtrato dalla nostra esperienza e dalla cultura a sua volta originata
da altri libri. Perché la lettura struttura non solo la nostra conoscenza ma anche il nostro modo di vivere la conoscenza, di interpretarla, di farla propria. Ecco così che il
mattone acquistato singolarmente per costruire qualcosa, una volta che sia stato utilizzato per
l’edificazione di una casa, diventa indistinguibile dal tutto, è parte del prodotto e non saremmo più in grado di separarlo. Il libro (e per libro intendo dire una frase, un concetto, un’idea
in quello contenuti) non è più solo oggetto di un ricordo, ma siamo direttamente noi. Come
fosse cibo; il cibo una volta mangiato non c’è più: si è fatto carne, sangue, cellule, pensiero.
Per converso, mantiene un suo valore specifico anche l’oblio, il diritto di disperdere ciò che
non è ritenuto rilevante per la nostra cultura, il diritto a non trattenere e a rilasciare nel flusso
delle cose ciò che non vogliamo portarci dietro, nel nostro zaino virtuale o nel nostro kit di
sopravvivenza. Una sorta di autodifesa, la non memoria, per ciò che riteniamo inutile.
C’È DAVVERO UN LUOGO IDEALE PER LEGGERE?
No, ovviamente no. Il luogo ottimale è quello che si dimostra neutro rispetto alla lettura. È
quello che la sorregge, ma che, nello sprofondarsi dell’attività del leggere, si annulla. È quel
luogo che, nel momento magico in cui si è ‘dentro’, il libro sparisce, così come si annulla il
libro e dove rimaniamo solo noi e quello che stiamo leggendo senza più accorgerci che lo
stiamo facendo. Quindi qualunque luogo va bene, purché abbia queste caratteristiche di neutralità, e non ‘entri’, nella lettura, come fonte di disturbo.
LA LETTURA AD ALTA VOCE
È quella che consente alla lettura di diventare veicolo di comunicazione sociale. La lettura
cessa di diventare una pratica silenziosa, per diventare espressione di condivisione.
È fondamentale per la crescita dei figli, per il momento d’intimità che si crea, ma è anche, più
in là negli anni, un momento di confronto tra gli adulti.
Chi legge ad alta voce, migliora fortemente la comprensione del testo. Perché prima di comunicarla ad altri deve necessariamente profondamente comprenderla e metabolizzarla.
LA LETTURA E IL SILENZIO
Anche il silenzio è legato a filo doppio con la lettura. Nella lettura silenziosa, il silenzio è addirittura il luogo in cui s’immerge la lettura tradizionale rendendola possibile ed esaltandola.
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È la colonna sonora della scansione delle parole nella nostra mente. Il silenzio è essenziale, a
ben vedere, perché è quello che separa le parole tra loro, le rende comprensibili a chi le legge.
Il silenzio è ‘non suono’ che ha una sua valenza precisa, come in musica, non è solo
assenza, ha una sua valenza e significato e ha una sua voce, basta saperla ascoltare. È il rispetto di ciò che è scritto, perché lo valorizza e lo rende evidente, come la carta bianca può fare per lo scritto.
IL PRIMATO DELLA LETTURA SULLA SCRITTURA
Anche se non è pensabile la lettura senza scrittura e viceversa (la circolarità in questo caso è
infinita, anzi è proprio il cerchio, se ci si pensa bene, che simboleggia l’infinito perché non vi
è un inizio o una fine e ciascun punto è allo stesso tempo inizio e fine), la lettura ha senza
dubbio il primato sulla scrittura. Si impara prima a leggere e poi a scrivere. Questo avviene già in età scolastica, ma anche prima. Sarebbe, infatti, più complicato imparare a scrivere ciò che non viene prima compreso nella sua essenza. Prima si riconosce il segno poi lo si
riproduce sulla carta, sulla lavagna.
Del resto era così anche per i nostri antenati che ancora non conoscevano la scrittura. Impararono, per la loro stessa sopravvivenza, prima a leggere i segnali della natura e le tracce degli
animali e poi a comunicare con segni per avvertire i compagni di quegli stessi pericoli.
Ma anche in età adulta si dovrebbe leggere tanto prima di voler scrivere (anche poco).
Scrive indubbiamente meglio chi ha letto tanto, come proprio solido background culturale.
Perché i primi insegnanti sono gli stessi autori che hanno scritto di più e meglio di noi ed è
sempre meglio cominciare dalle testimonianze lasciate dagli altri prima di avventurarsi sul
terreno difficile della comunicazione scritta.
© Maurizio Barbarisi
Firenze, 26 maggio 2012
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