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scheda tecnica
titolo originale:
durata:
nazionalità:
anno:
Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street
117 minuti
USA
2007
regia:
TIM BURTON
soggetto:
CHRISTOPHER BOND,
STEPHEN SONDHEIM,
HUGH WHEELER
sceneggiatura:
JOHN LOGAN
produzione:
DREAMWORKS SKG, MACDONALD/PARKES PRODUCTIONS,
WARNER BROS. PICTURES, THE ZANUCK COMPANY
DARIUSZ WOLSKI
CHRIS LEBENZON
CHAS JARRETT,
JASON LEINSTER
DANTE FERRETTI
COLLEEN ATWOOD
BRANI TRATTI DAL MUSICAL DI STEPHEN SONDHEIM
fotografia:
montaggio:
effetti:
scenografia:
costumi:
musiche:
interpreti:
JOHNNY DEPP (SWEENEY TODD), HELENA BONHAM CARTER
(SIGNORINA LOVETT), ALAN RICKMAN (JUDGE TURPIN), SACHA BARON
COHEN (SIGNOR ADOLFO PIRELLI), LAURA MICHELLE KELLY (LUCY),
TIMOTHY SPALL (BEATLE BAMFORD)
TIM BURTON
(TIMOTHY WILLIAM BURTON)
Tim Burton deve essere molto soddisfatto del suo ruolo nella storia della settima arte. Al
contrario del resto dei registi hollywoodiani, è uno che è riuscito a crearsi una nicchia tutta
sua, fatta di parabole gentili e malinconiche, di universi personalissimi e visionari, con uno
stile sofisticato e assolutamente inconfondibile, nonché contaminato dalle atmosfere
espressioniste dei classici dell'horror del passato (quelli della Hammer tanto per intenderci)
che ogni tanto colora con i suoi pastelli ultrakitch. Anche noi facciamo parte di quel
microcosmo solo all'apparenza così minaccioso. Ne facciamo parte nel momento in cui
sentiamo che le parole dei personaggi che animano i suoi film sono le stesse che sentiamo
noi nel momento di massima solitudine e di estrema incomprensione.
Il senso di incompiutezza di Edward mani di forbice quando ripete «Non mi ha finito» e
quella promessa nuziale che non rimane proprio in mente di fronte alla sposa umana (e
non cadavere) sono momenti che universalmente attraversiamo tutti: il lutto e la perdita
della persona che più ami e che interrompe bruscamente un cammino fatto assieme, e poi
quel senso di incomunicabilità del sentimento umano di fronte a chi sai che presto o tardi
andrà via. Sfugge tutto. Il cinema di questo autore per primo elude la realtà urbana e
racconta un mondo interiore che si fa esteriore, un mondo "introverso", nel quale lui
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stesso si rifugiava da bambino asociale quale era. Tim Burton è accattivante proprio per
questo: non ci si può non ritrovare in almeno uno dei suoi personaggi.
Ed è esattamente questo ciò che lui vuole fare, partire dalla diversità per renderci tutti
uguali, senza deludere mai le aspettative e costruendo storie che sono al servizio di un
unico sentimento: l'amore vero. Burton ama e rispetta tutti, i vivi e i morti, i mostri e i
normali. Non bisogna lasciarsi trarre in inganno da quel suo aspetto veramente subdolo, è
un professionista assoluto del cinema. Guardi un suo film e ti chiedi come faccia a fare
tutto e così bene. La risposta è più facile di quel che si creda: perché possiede un talento
che forse nemmeno lui sa di avere. Perché sposa il bianco e il nero (colori che ama
moltissimo) con delle imponenti scenografie di stampo espressionista e miscela il tutto con
delle partiture musicali da Oscar. Il prodotto è un cinema profondo e profondamente
personale, per animi sensibili e romantici, autenticamente favolistica, con quel tocco di
inatteso e una lieve e palpabile ironia che non incrina, ma fa volare... il più delle volte,
sopra una scopa.
Nato e cresciuto al blocco 2000 di Evergreen Street, guarda caso proprio vicino al Valhalla
Cemetary, figlio di un impiegato al Burbank Parks e al Recreation Department e di una
commessa in un piccolo negozio di articoli da regalo, Tim Burton passa la sua infanzia
recluso in casa, appassionandosi ai cartoni animati e ai vecchi film dell'orrore, soprattutto
quelli interpretati da Vincent Price. Il suo talento artistico esplode proprio tra le mura
domestiche, quando la società che si occupava dello smaltimento dei rifiuti locali indice un
concorso per disegnare dei manifesti per l'azienda. Lui vince quel concorso e tutta Burbank
è tappezzata dai suoi disegni per un anno intero. È il primo contatto fra il suo mondo e la
realtà.
Dopo aver studiato alla Providencia Elementary School della sua città, si diverte, negli anni
liceali, a girare cortometraggi con la sua Super8 (primo fra questi è The Island of
Doctor Agor, 1971) e, grazie a una borsa di studio, frequenta il corso di animazione
presso il California Institute of the Arts dal 1979 al 1980, venendo poi assunto come
animatore alla Disney. A 21 anni, ha già firmato alcuni cortometraggi d'animazione: Stalk
of the Celery (1979) e Doctor of Doom (1979). Disegnatore di Red e Toby
nemiciamici (1981) e della pellicola fantascientifica Tron (1982), nonché regista del
bizzarro Luau (1982) e della versione televisiva di Hansel and Gretel (1982), dopo aver
gettato le basi concettuali per Taron e la pentola magica (1985), sarà però rimosso
dall'incarico di animatore nel momento in cui firmerà i sei minuti animati in bianco e nero
del gotico Vincent, omaggio al suo attore preferito il già menzionato Price, e i 27 minuti
di live-action di Frankenweenie (1984): troppo personali per il conformismo imperante e
tutto buoni sentimenti e manfrine della Disney.
A salvarlo la fortuna, nella personificazione di Pee-Wee Herman (Paul Reubens), star
televisiva per bambini (oggi in declino dopo uno scandalo pornografico), che rimase
folgorato dall'intensità surreale del suo stile e gli propose la regia di un lungometraggio
sulle sue avventure. Il film Pee-Wee's Big Adventure (1985) ebbe uno straordinario
successo e fece diventare Burton incredibilmente popolare. L'anno successivo, dopo aver
diretto un episodio (The Jar) di Al
f
r
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esent
a… (1986), venne incaricato
di realizzare La mosca con Michael Keaton (uno dei suoi primi attori feticcio) come
protagonista, ma fece marcia indietro all'ultimo momento e il regista canadese David
Cronenberg prese le redini del progetto al posto suo. Passò quindi a un episodio del serial
Storie incredibili (1987) e, dopo aver rifiutato molte proposte, decise di creare qualcosa
di originale e di unico. Nasce così Beetlejuice –Spiritello porcello (1988), sempre con
Michael Keaton come interprete principale che divise il set non solo con Alec Baldwin,
Geena Davis e Winona Ryder, ma anche con Sylvia Sidney e Jeffrey Jones, altri suoi attori
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feticcio. Questa atipica e divertente ghost-story consolidò la fama di Tim Burton a
Hollywood e questo successo professionale combaciò con quello privato con il matrimonio
con Lena Gieseke nel 1989, dalla quale però divorziò nel 1991.
Grande amico e spesso collaboratore del compositore Danny Elfman (a lui affida la colonna
sonora di ogni suo film), accetta l'idea di portare sullo schermo il film di Batman, che
firma nel 1989. Keaton presta il volto all'uomo pipistrello, mentre il diabolico Jack
Nicholson offre il suo ghigno malefico al Joker; oggetto del contendere sarà non solo una
dark Gotham City, ma anche il cuore della bella di turno, Kim Basinger. Il film è campione
di incassi al box office e Burton viene riconfermato per il sequel del film Batman –Il
ritorno (1992), dove l'eroe dei fumetti dovrà vedersela nientemeno che con Pinguino
(Danny DeVito) e Catwoman (Michelle Pfeiffer). La fila dei suoi attori feticcio si allarga con
Christopher Walken che qui è il perfido sindaco di Gotham.
Il vero capolavoro, quello che entrerà di diritto nella storia del cinema è però tratto da un
suo libro, "Morte malinconica del bambino ostrica e altri racconti", e si tratta del
commovente Edward mani di forbice (1990), dove scopriamo l'outsider Johnny Depp
nelle vesti di una "creatura pinocchiesca" costruita da un vecchio scienziato (Price) che
però muore prima di dargli le mani, lasciandolo con dieci forbici al posto delle dita. Nel
momento in cui la creatura verrà adottata da una famiglia locale e cercherà di inserirsi nel
mondo dei "normali" emergerà la crudeltà dell'uomo che spingerà alla fuga il
"manidiforbice", con un rimando al Frankenstein di Whale che è più che una citazione.
Una favola che mise in luce il talento grafico di Burton, quel misto di tenerezza e assurdità
che resero il suo cinema universalmente poetico e a noi conosciuto.
Fidanzato con l'attrice Lisa Marie dal 1992 al 2001 (che utilizzò sovente per piccole parti
nei suoi film), nel 1992 si presta anche come interprete nella pellicola di Cameron Crowe
Singles, accanto a Bridget Fonda e Campbell Scott, ma mentre lavorava a un
documentario su Vincent Price dal titolo Conversations with Vincent, progetto a lui
carissimo, l'attore muore. Stranamente, per un singolare gioco del destino, si ripete la
stessa immagine che vediamo in Edward mani di forbice: lo scienziato che ha creato il
"mostro" muore prima di aver terminato qualcosa. Addolorato per la perdita, Burton si
immerge nel lavoro e nel 1993 sforna un piccolo gioiello dell'animazione stop-motion: Tim
Burton's the Nightmare Before Christmas. Si investe anche come produttore,
finanziando progetti stop-motion come: Crociera fuori programma (1994) di Adam
Resnick e James e la pesca gigante (1996) di Henry Selick.
Nel 1994 dirige Johnny Depp (con il quale stringerà una grandissima amicizia e un proficuo
sodalizio artistico) nella biografia di colui che è reputato il peggior regista della storia del
cinema, Ed Wood, mentre due anni dopo firma la commedia fantascientifica Mars
attacks! con un cast veramente stellare. Membro della giuria del Festival di Cannes del
1997, abbandona l'idea di dirigere Superman con Nicolas Cage, e rende omaggio a Mario
Bava, Price, Roger Corman e Barbara Steele firmando Il mistero di Sleepy Hollow
(1999), stregonesca storia del cavaliere senza testa. Poi, dopo il corto The World of
Stainboy (2000) e dopo aver firmato la storia del film tv Lost in Oz, passa al remake di
un classico della fantascienza Planet of Apes –Il pianeta delle scimmie (2001), sul
cui set conoscerà la sua nuova compagna, la lugubre attrice inglese Helena Bonham
Carter, dalla quale avrà il suo primo figlio Billy Ray, nato a Londra nel 2003. Helena sarà
presente anche in altre sue pellicole: il fiabesco Big Fish – Le storie di una vita
incredibile (2003), Charlie e la fabbrica di cioccolato (2005, ottimo remake di Willy
Wonka e la fabbrica di cioccolato) e doppierà il sorprendente La sposa cadavere di Tim
Burton (2005), nel ruolo della protagonista. La sposa cadavere, in particolare, sarà una
delle perle più luminose della filmografia di Burton: la grazia, il malinconico amore, la
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voglia di amare che emergono da quel film traspaiono puri e immacolati, nonostante sia
una storia che tratti il rapporto impossibile fra una morta e un vivente, tanto è vero che
sarà nominato all'Oscar come miglior film animato dell'anno.
Dopo aver diretto il video Bones (2006) del gruppo rock The Killers, firma Sweeney
Todd (2007), musical grottesco su un barbiere assassino raccogliendo nel cast i suoi due
più grandi amori: Johnny Depp e Helena Bonham Carter. A questo punto, nonostante la
giovane età, il Festival di Venezia gli rende omaggio conferendogli il Leone d'Oro alla
carriera che lo incastonerà fra i miti del cinema. Ma francamente, non avevamo dubbi che
sarebbe finito in quella categoria. Non ha mai avuto risultati poco lusinghieri, Tim Burton.
Il suo cinema è sempre stato al centro dell'attenzione di critici e pubblico facendolo
emergere come un'icona del cinema dark alternativo, fatato e visionario. È un gradevole
enfant prodige di Hollywood, ma ripetiamo un poeta malinconico e struggente che ha
cantato e ha dato voce al bisogno di amore di esclusi e incompresi con impareggiabile
dolcezza. È come se con ogni suoi film, questo tenebroso punk geniale e fortunato,
prendesse la mano dello spettatore e rinnovasse una promessa che suona grossomodo
così: «Con questa mano dissipo i tuoi affanni. Il tuo calice non sarà mai vuoto, perché io
sarà il tuo vino. Con questa candela illuminerò il tuo cammino nelle tenebre. Con questo
anello ti chiedo di essere mio». A noi non resta che dire di sì e sperare, ardentemente, che
questo amore vero non abbia mai fine. (tratto da MyMovies.it)
Filmografia:
ALADDIN AND HIS WONDERFUL LAMP
[1986] Regia
BATMAN [1989]
Regia
FRANKENWEENIE [1984]
Regia, Soggetto
THE ISLAND OF DOCTOR AGOR
Attori, Regia, Sceneggiatura
[1971]
THE JAR [1986]
BATMAN - IL RITORNO [1992]
Regia
Regia
BEETLEJUICE - SPIRITELLO PORCELLO
[1988] Regia, Soggetto (non accreditato)
BIG FISH - LE STORIE DI UNA VITA
INCREDIBILE [2003]
Regia
LUAU [1982]
Attori, Regia, Sceneggiatura, Soggetto
MARS ATTACKS! [1996]
Regia
IL MISTERO DI SLEEPY HOLLOW [1999]
Regia
DOCTOR OF DOOM [1979]
Attori, Regia, Sceneggiatura, Soggetto
NIGHTMARE
[1993]
BEFORE
CHRISTMAS
Soggetto
ED WOOD [1994]
Regia
EDWARD MANI DI FORBICE
Regia, Soggetto
[1990]
LA FABBRICA DI CIOCCOLATO
[2005]
Regia
PEE-WEE'S BIG ADVENTURE
Regia
[1985]
PLANET OF THE APES - IL PIANETA
DELLE SCIMMIE [2001] Regia
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LA SPOSA CADAVERE [2005]
Regia
STALK OF THE CELERY [1979]
Regia, Sceneggiatura
SWEENEY TODD - IL DIABOLICO
BARBIERE DI FLEET STREET
[2007]
VINCENT [1982]
Regia, Sceneggiatura, Scenografia, Soggetto
THE WORLD OF STAINBOY [2000]
Regia, Sceneggiatura, Soggetto
Regia
La parola ai protagonisti
Tim Burton
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C'è un legame tra i rasoi di Sweeney e le forbici di Edward?
Me ne sono reso conto soltanto durante le riprese, prima non ci aveva pensato. La
differenza è che l'uso di uno strumento di morte ha due scopi opposti. Sweeney se
ne serve per sete di vendetta.
L'impressione è che l'horror nel film superi lo humour...
Capita che non tutti ridano del mio humour. Ma io trovo il personaggio di Sweeney
tragicamente buffo, e mi diverte il suo rapporto con la vedova Lovett, lei gli canta
parole d'amore, lui non l'ascolta e parla d'altro, vivono sotto lo stesso tetto eppure
non comunicano: non è la rappresentazione di tanti normali rapporti di coppia? Io
ne conosco parecchi e questo riferimento alla "normalità" in un horror per me è
divertente.
Non crede che Sweeney Todd sia privo di speranza, più nero degli altri suoi film?
Forse se lo avessimo fatto dieci anni fa sarebbe stato diverso. Con gli anni che
passano e le esperienze vissute, tutto diventa più complicato, si cerca di più nella
propria interiorità e si scopre la malinconia, il senso della perdita, è più facile
sentirsi tristi. Alcuni dicono che c'è troppo sangue nel film, è vero, ma non è
realistico, ha una funzione catartica, rappresenta lo sfogo dell'odio e della vendetta
che anima il protagonista.
La realtà di oggi, l'America in guerra influenza il suo stato d'animo meno incline alla
speranza?
No, anche se non sono indenne dalle notizie tragiche del mondo. Il mio approccio al
cinema è più emozionale, parte dal livello del subconscio, mai da una riflessione
politica. Gli elementi politici, se ci sono, vengono fuori dopo. Per me Sweeney Todd
è una favola e, come tutte le favole che attingono alle emozioni umane, resistono ai
secoli, hanno sempre un rapporto con l'attualità.
Anche nella sequenza in cui i londinesi con allegra inconsapevolezza mangiano carne
umana?
C'è un detto americano che si può tradurre "mangia se non vuoi essere mangiato".
È molto in uso in America, a Hollywood in particolare.
Personalmente che rapporto ha con la vendetta?
Non è un argomento gradevole e se ne parla poco, non sta bene. Ma penso che sia
uno dei sentimenti - sia pure repressi - più conosciuti dal genere umano, fin da
bambini. Se a scuola sei vittima di un bullo o subisci un'ingiustizia non sogni
vendette feroci? Nella vita c'è chi poi si vendica emergendo in un lavoro, in uno
sport e chi invece si esprime facendo cose orribili. Ma la cosa peggiore è quando un
paese si vendica contro un altro paese.
Il barbiere italiano Pirelli è Sacha Baron Cohen: come l'ha scelto?
Ho visto "Ali G." e "Borat" e lo trovo irresistibile, Gli ho chiesto un provino ed è
arrivato con in mano il libretto delle canzoni di "Il violinista sul tetto! Le sapeva
tutte, le ha cantate tutte: credo sia stato il provino più lungo della storia del
cinema.
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Tra le Nomination di Sweeney Todd ci sono Johnny Depp e Dante Ferretti. Ha parlato con
loro?
Ho scritto e-mail a entrambi. Dante ha lavorato con Fellini, è stato essenziale al
film, con le sue scenografie ha ispirato i personaggi. L'omaggio non è solo a
Gelsomina della Masina, ma a tutto Fellini. Per Dante le Nomination sono
un'abitudine, ne ha avute tantissime, ma è bello perché è contento, sempre
entusiasta come fosse la prima che riceve. So che anche Johnny è molto contento,
ma conosco abbastanza il suo carattere, so quanto è timido e riservato e so che
dentro di sé c'è l'ansia di un pensiero, "mio dio, mi toccherà proprio andarci".
Con la nuova versione di Nightmare before Christmas lei ha cominciato ad usare il 3D. Ha
voglia di continuare?
Assolutamente sì, è stata una scoperta meravigliosa, credo che aiuti il pubblico
smaliziato di oggi a tornare indietro nel tempo, a ritrovare gli stupori infantili. Ho un
paio di progetti in 3D, ma è prematuro parlarne, non c'è ancora niente di definito.
Nei suoi film c'è in genere un protagonista contro: la società, il potere, la prepotenza, la
cattiveria... Quanto c'è di lei?
C'è sempre un collegamento tra me e i miei personaggi, trovo elementi di
identificazione con loro, con il loro carattere introverso, la solitudine, talvolta la
rabbia. Non sono asociale, ma non è un caso che sia andato via da Los Angeles, da
"quella" società, dalla follia del business. Fuori da Los Angeles è più facile
concentrarsi sul cinema e basta.
Le recensioni
Marzia Gandolfi –Mymovies.it
Benjamin Barker, aka Sweeney Todd, è un barbiere sanguinario in cerca di vendetta. Benjamin
Barker è un uomo realizzato e smisuratamente felice. È un barbiere eccellente, un padre affettuoso
e un marito devoto. Accusato e condannato ingiustamente dal giudice Turpin, Barker viene
deportato lontano da Londra. Diversi anni dopo, mutato il nome in Sweeney Todd, il barbiere torna
a chiedere soddisfazione all'uomo che gli ha "usurpato" la vita, insediando il suo talamo e
crescendo la sua prole. Affittata una bottega in Fleet Street, Sweeney Todd affila i rasoi e torna ad
esercitare la professione del barbiere. Turpin e gli ignari avventori scopriranno che la vendetta per
Mr.Todd è un piatto da servire caldo, cotto e sfornato. All'origine di un film di Tim Burton c'è quasi
sempre un disegno. Questo disegno è spesso la raffigurazione di un personaggio che è insieme
creativo e distruttivo e che ha bisogno per agire di protesi meccaniche o di oggetti che alterano la
sua capacità fisica. Se le mani di forbice di Edward sono l'esteriorizzazione simbolica della sua
incapacità interiore di toccare, se gli occhiali di Ichabod esprimono il tentativo di un razionalista di
'vedere meglio' un avversario senza testa, i rasoi di Sweeney Todd sono "gadget da guerra"
mutuati da Batman per vendicare la perdita delle persone amate. Come l'eroe pipistrello di Bob
Kane, il barbiere gotico di un anonimo autore inglese (probabilmente più di uno) indossa una
"maschera" e ha una personalità divisa, dissociazione risolta con l'espediente della duplice identità:
Batman/Wayne, Todd/Barker. Diversamente dal mostruoso e incolore personaggio letterario,
assassino senza ragione, il protagonista di Burton è prossimo al barbiere musicale di Stephen
Sondheim. Sweeney Todd si muove alla volta di Londra introdotto, anticipato e avvolto dalla
musica, da un'aria che disegna il paesaggio acustico della sua anima, desiderosa di esorcizzare la
realtà tragica attraverso il canto. Sweeney Todd è un musical ma non si esaurisce nel musical. La
sua dimensione musicale non è sovrimposta forzatamente alla storia ma come nell'opera è
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costitutivamente innestata nel protagonista, dal quale si dipana una linea melodica struggente, un
requiem che spaventa perché carico di sventure e presagi. Il diabolico barbiere di Fleet Street
nasce dal buio melodrammatico di un ouverture e a quel buio ritorna, cercando, e finendo sempre
per perderla, la conciliazione con il dolore. Il mostro consapevole della propria origine è
interpretato dal pallore sagomato di Johnny Depp nel quale convivono, senza risolversi, l'anima
diurna e quella notturna. Il suo Figaro sanguinario è una combinazione di oscurità e luce, un dandy
malinconico e risentito che cerca ostinatamente di vendicarsi, finendo per trasformarsi in
un'omicida psicopatico quanto il suo irriducibile nemico, senza il quale, del resto, non esisterebbe.
La Londra tenebrosa e vittoriana di Dante Ferretti è il riflesso architettonico del protagonista, è una
città deliberatamente artificiale, ricostruita in studio e sprofondata nel nero fotografico di Dariusz
Wolski. Se Batman è il guardiano dell'ordine civile, che veglia sulla sua città, Sweeney Todd è un
disadattato che produce caos e violenza, spargendo sangue senza risparmio nella bottega di Fleet
Street. In Sweeney Todd c'è tutto Burton: c'è la fatale attrazione verso quanto di più oscuro,
malato e innominabile rende il mondo più affascinante di una fiaba. C'è la cartoonizzazione della
messa in scena, la stilizzazione espressionistica e la deformazione grottesca, c'è lo stupore e
l'insensatezza, il terrore e il cattivo odore della civiltà e del mondo degli adulti, ancora una volta
contrapposto a quello dei fanciulli, c'è la vertigine e la violenta epifania. C'è la maschera di Johnny
Depp, che invece di azzerare la performance dell'attore "messo in musica", libera il suo talento
interpretativo: famelico, pericoloso e selvaggio. Un attore totale che non lascia mai nulla
inespresso, anche se doloroso, anche se incolmabile.
Massimo Lastrucci - Ciak, marzo 2008
Che il dio del cinema ci conservi Tim Burton! In un panorama di produzioni nella quasi totalità
omologate, predigerite, programmate, il cineasta dall'immaginario dark brilla per originalità,
coerenza e rifiuto di ogni accomodamento commerciale. Fa sempre un film suo, sia che affronti un
soggetto originale, un cartoon o un adattamento, come nel caso del musical dallo Sweeney Todd
di Stephen Sondheim. «Un Oliver! girato da Eli Roth» ha chiosato una rivista inglese (Total Rim).
Paragone involontariamente ingiusto, perché questo horror in costume, grondante sangue,
romanticismo e vendetta, possiede la forza trascinante delle storie estreme e uniche, costruito con
la consueta maniacale cura burtoniana dei dettagli (che godimento lo spettacolo di quelle strade
affollate, il realismo significativo degli arredamenti, gli oggetti-dettaglio: la sedia trappola, i rasoi
argentati, la caldaia vomitante fuoco). E gli attori, costretti tra il set, il trucco (incredibili le
pettinature) e il recitar cantando, estraggono il meglio da sé, a cominciare da un Johnny Depp
sublimemente torvo e magnetico anche quando canta (e come è intonato!).
Lorenzo Macello - XL, febbraio 2008
Anche non sapendo cosa vai a vedere, dopo due minuti cominci a sospettare. Poi al terzo vedi
Depp conciato strano e non hai più dubbi: è Tim Burton. Come Fellini, ha uno stile forte,
riconoscibile e Depp è il suo Mastroianni. Ma anche Fellini e Mastroianni non hanno fatto sempre
centro. Dopo aver sperimentato con fantasy, supereroi, animazione e molto altro, Burton prende
spunto da uno spettacolo teatrale degli anni Settanta e si cimenta nel musical. Siamo a Londra
nell'Ottocento. Depp, dopo anni di galera immeritata, torna per vendicarsi del mondo intero. Lo
aiuta la pasticcera Helena Bonham Carter - la Giulietta Masina di Burton - facendogli aprire una
barberia sopra il suo negozio. Favore che lui ricambia fornendole i cadaveri con cui arricchire i
dolci. Si comincia col barbiere rivale Sacha Baron Cohen, esilarante, e non ci si ferma più. In
perfetto stile western baffi, barba e zac, gola squarciata. E giù sangue, tanto sangue, troppo
sangue. Perché le prime tre volte è orrore. Fino alla sesta è metafora. Si arriva alla decima che è
parodia ma dopo, come per calci e combattimenti nei film orientali o in Kill Bill, è solo ripetitività.
Messa in scena strepitosa, piani sequenza degni del miglior videogioco, scenografie cupe e
suggestive - Dante Ferretti - e attori che cantano per davvero. Per Depp sono finiti gli aggettivi:
bello, bravo, trasformista, coraggioso e autoironico. E ora canta anche abbastanza bene. Ma forse
il problema è proprio qui. Perché il musical è un genere troppo forte e oscura tutto il resto.
Quando il 70% del film è cantato, e con musiche classiche da orchestrona di 70 elementi,
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rimangono poco Burton e poco Depp. O per dirla più banale e diretta, se non ti piacciono i thriller
puoi appassionarti a Shini
ng,mas
enont
ipi
ac
c
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onoimus
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al
… Cis
ar
àunmot
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v
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pure tra i generi ci ha passeggiato parecchio, a fare un musical non ci ha mai pensato.
Francesco Alò - Rolling Stone, Febbraio 2008
È tornato il figlio di Walt Disney e Robert Smith. Ma il dark capitalista Tim Burton non è stato mai
scaraventato nelle fogne come il disgraziato pinguino di uno dei suoi capolavori, Batman - Il
ritorno. Negli anni è diventato un cineasta sempre più potente, solare e borghese. L'ossessione del
rifare e del rifarsi è ormai diventata una poetica sistematica. Soggetti originali bye bye. Burton,
ormai, rilegge e riadatta. O altri o se stesso. Postmoderno? Post mortem? Stavolta il dispensatore
di popcorn espressionisti ha preso un soggetto noto come la leggenda metropolitana del barbiere
assassino Sweeney Todd per portare al cinema il musical del 1979 firmato Stephen Sondheim e
Hugh Wheeler che il diabolico Sweeney facevano soffrire, cantare e, ovviamente, sgozzare. Da
Broadway a Hollywood, tradizione vecchia come il cucco tornata in auge negli ultimi cinque anni
grazie al successone Chicago passando per il mezzo flop Il fantasma dell'opera, il flop The
Producers e il nuovo trionfo Hairspray. Dunque Burton fa un musical per la prima volta e
soprattutto Johnny Depp canta. In una putrida Londra ottocentesca che avrebbe inorridito Charles
Dickens, il barbiere Benjamin Barker torna dopo 15 anni di esilio australiano per vendicarsi del
giudice Turpin (Alan Rickman), il quale in passato gli ha rubato moglie e figlia distruggendogli la
vita. I capelli sono diventati più lunghi, il pallore è spettrale e una ciocca bianca simboleggia il
trauma subito. Ora si fa chiamare Sweeney Todd, riapre il suo negozio, ritrova gli affilati rasoi,
uccide un collega italiano (Sacha Baron Cohen, sempre più attore e meno Borat) borbotta frasi
tetre, intona canti di morte e grazie all'aiuto dalla locandiera dagli occhioni neri Mrs. Lovett (Helena
Bonham Carter) progetta il grande piano: far fuori i benpensanti londinesi per poi offrirli
letteralmente in pasto alla città in succulente tortine rustiche. Si sgozza, si macina e si serve in
tavola. Il giudice, nei piani di Sweeney, sarebbe il dessert. Le splendide canzoni di Sondheim
permettono a Depp e alla Bonham Carter di non dover urlare a squarciagola. Sono riflessioni a
voce alta, confessioni di sogni e previsioni di tragedie. Cantato e parlato si sposano a meraviglia e
quando Sweeney si rinchiude nel sottotetto con finestra obliqua per aprire le gole dell'orribile casta
cittadina, prevaricatrice e moralmente immonda come la nostra attuale classe politica, riusciamo a
sentire più di un'eco di Edward mani di forbice, in cui Depp si nascondeva al buio di una stanza
molto simile per evitare che la gente vedesse le lame al posto delle dita. Ma se Edward voleva
combattere quell'aspetto apparentemente pauroso, Sweeney sceglie invece di sprofondare
nell'abisso della vendetta diventando, come ogni personaggio tragico, una macchina di morte
anche contro il proprio volere. Ne pagheranno le conseguenze tutte le persone a lui vicine,
comprese forse anche quella figlia e quella moglie che Sweeney pensava di aver perso. Il musical
più sanguinoso della storia del cinema, Alan Rickman ancora cattivo perfetto, lo sgozzamento
come un colpo di pennello, Depp finalmente dannato dopo le eccentricità troppo simpatiche degli
ultimi anni e un finale in crescendo dove tutti quelli che devono morire... Muoiono senza pietà. E il
sangue piove leggero, ma con costanza, sui volti dei suoi protagonisti. Come fosse un infernale
pioggia londinese.
Roberto Escobar - Il Sole-24 Ore, 9 marzo 2008
«Gli uomini mangiano gli uomini », canta Johnny Depp nei panni dell'assassino vendicatore di
Sweeney Todd ( Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street, Usa e Gran Bretagna, 2007,
116'). Così, d'accordo con Mrs. Lovett (Helena Bonham Carter), decide di trarne profitto. Subito, i
loro pasticci alla carne diventano i più richiesti di Fleet Street, e di tutta Londra. Che la materia
prima venga dalle natiche grasse di un prete, o che venga da quelle indigeste di un avvocato, i
clienti ne sono entusiasti. È una favola nera e insieme è un apologo realistico e triste, il film che
Tim Burton e lo sceneggiatore John Logan hanno tratto da un musical di Hugh Wheeler e Stephen
Sondheim. In esso si racconta di Benjamin Barker, giovane barbiere, e del giudice Turpin (Alan
Rickman), che per aver per sé la sua bella moglie lo condanna alla deportazione in Australia.
Tutt'attorno c'è una Londra ottocentesca lurida e buia –grazie alla scenografia di Dante Ferretti e
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alla fotografia di Dariusz Wolski –,che ricorda quella di Charles Dickens. Quel che manca, rispetto
ai suoi grandi romanzi, è il finale ottimistico e felice. Fuggito dalla galera e tornato in patria,
Benjamin è deciso a vendicarsi. Mutato il nome in Sweeney Todd (stranamente simile al tedesco
Tod, morte), l'ormai maturo barbiere affila i suoi molti rasoi con il manico d'argento. Il sangue
scorrerà, e insieme scorreranno le miserie e le malvagità che fanno del mondo un enorme slum, un
fetido bassofondo. È repellente l'umanità raccontata da Burton. Lo è in questo film molto più che
nei suoi altri. In quelli, per lo più, alla miseria morale degli uomini e delle donne normali viene
contrapposta la ricchezza spaesante delle creature mostruose che stanno tra vita e morte, tra
ordine e disordine. La loro ambiguità, il loro passare repentino dal sorriso al ghigno, e di nuovo dal
ghigno al sorriso, è un segno e una speranza. Il mondo non è condannato a restare prigioniero di
se stesso, così suggerisce la speranza. Da qualche parte, protetta nell'ombra ed evocata dai brividi
della paura e dell'angoscia, sta una possibilità di fuga e di mutamento. Negli slum di Sweeney
Todd invece non ci sono mostri. Mostruoso non è il giudice Turpin, né lo è l'untuoso Bamford
(Timothy Spall), il suo servile cancelliere (in inglese beadle, che suona quasi come beetle,
scarafaggio). La loro malvagità è univoca, "normalmente" avida e cinica. E avido e cinico è anche
Adolfo Pirelli (Sacha Baron Cohen), finto barbiere italiano, e realissimo regista e imprenditore della
credulità popolare. Quanto poi a Benjamin/Sweeney, la sua mania sanguinaria è molto più
razionale che ambigua. Preso nel buio del suo odio, si trasforma infatti in un assassino per così
dire taylorista, preoccupato dei tempi di lavorazione e della produttività. Meglio, diventa uno
sterminatore di massa ante litteram. Basta osservarlo mentre progetta e costruisce la "macchina"
che gli consentirà di massimizzare il prodotto del suo orrido lavoro: una poltrona da barbiere
capace di scaricar cadaveri direttamente nelle cucine sotterranee della sua socia in affari. In fondo,
il problema di Sweeney è tecnologico al pari di quello che dovranno affrontare un secolo dopo i
burocrati nazisti della soluzione finale: uccidere uomini e donne in quantità industriale, e smaltirne
la "carne". Infatti, con un'immagine tanto esplicita che solo la cattiva coscienza può fraintenderla,
la regia mostra più d'una volta il fumo denso e scuro che esce dagli alti camini della cucina di Mrs.
Lovett. A parte una vecchia pazza, in Fleet Street nessuno ammette di sentirne la puzza, proprio
come più tardi avverrà nelle città e nei paesi confinanti con i campi di sterminio. Indisturbato, e
anzi confortato dal successo, il lavoro di Sweeney e di Mrs. Lovett procede senza sosta: la "carne"
precipita nelle cucine, il sangue esplode dalle teste che battono sul cemento, il forno brucia, la
produzione si somma alla produzione (magari anche a costo di far bere gin ai bambini, per
sfruttarne il lavoro). Insomma, l'equilibrio sembra raggiunto, e con soddisfazione di tutti, a parte le
vittime, che però sono trascurabili per definizione. Non c'è dunque nemmeno un barlume di luce,
nella Londra di Burton? Per la verità, gli ottimisti più cocciuti confidano nella storia d'amore che
corre parallela a quella di morte. Ma quando l'happy ending sembra raggiunto, quando il giovane
Anthony (Jamie Campbell Bower) dice alla sua Johanna (Jayne Wisener) che ora possono
realizzare i loro sogni, lei gli risponde che non fa mai sogni, e che ha solo incubi. Gli uomini
mangiano gli uomini, appunto, e lo stesso fanno con le loro speranze.
Fulvio Caprara - Lo Specchio, Marzo 2008
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e se ne è scoperta un'altra, nuova e più affascinante. Nei capelli perennemente arruffati, negli abiti
sempre scuri, nell'attenzione con cui contempla la dedizione dei fan e le lodi dei giornalisti. Dove
nascono i sogni di Tim Burton, dove è nascosto il mistero del regista più visionario e creativo del
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riflesso di suggestioni, di paure, malinconie che in qualche modo hanno attraversato la vita di
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reatura si chiama Sweeney Todd e nasce dal celebre musical di Stephen
Sondheim, i protagonisti sono le due persone più importanti della vita di Tim Burton, l'amicocomplice Johnny Depp, la moglie Helena Bonham Carter. Lo scenografo è Dante Ferretti, il
maestro premio Oscar che ha dato corpo ai sogni dei più grandi, Fellini, Scorsese, Pasolini, Cavani,
Gilliam. Dentro questa specie di culla, fatta di affetti profondi e stima incondizionata, Burton ha
inventato un universo livido che fa da sfondo alla storia di Sweeney Todd, il barbiere di Fleet Street
che, dopo essere stato ingiustamente condannato dal viscido giudice Turpin (Alan Rickman),
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riemerge come un incubo vendicatore nei bassifondi della Londra vittoriana. «Quando fai un film
lavori insieme a un sacco di gente. La mia passione di regista sta proprio in questo, entrare in tutti
gli aspetti della lavorazione. La cosa più importante è sentire che tutti partecipano. Stavolta, con
Sweeney Todd, c'è stato anche l'incontro con la musica di Sonheim, che mi ha toccato nel
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un appassionato di musical e non avevo mai sentito parlare di Stephen Sondheim, ma il poster
dello spettacolo mi colpì. Andai a vederlo. Accidenti! Ci tomai altre due volte». Da allora è passata
una vita. Di successi e incontri fondamentali, come quello con Johnny Depp: «Tra noi c'è una
connessione profonda che stupisce anche me. E si è stabilita appena ci siamo conosciuti! Quando
comincio a pensare a un film, mando subito la sceneggiatura a Johnny, e puntualmente entrambi,
senza averne discusso prima, senza neanche esserci visti, facciamo gli stessi commenti.
Incredibile». Eppure, per Sweeney Todd, Johnny Depp ha dovuto affrontate, superandola a pieni
voti, la prova del canto, proprio come è toccato a Helena Bonham Carter che, durante le riprese,
ha scoperto di aspettare un bambino: «Stare sul set, con Trm da una parte e Johnny dall'altra, mi
ha fatto sentire come se fossi a casa». La sua Mrs. Lovett, pasticcera sanguinaria perdutamente
innamorata del barbiere assetato di vendetta, «è un essere assolutamente amorale, pieno di vita e
di entusiasmo, un po' come una sopravvissuta. Tanto lei è entusiasta, tanto Sweeney è depresso»,
nota Burton. Al suo personaggio il regista ha aggiunto parecchie sfumature: «Ne ho ampliato le
qualità umane, la sua è la parte più creativa dello show». Anche quello con Dante Ferretti è un
equilibrio fatto di poche parole e molte idee, fantasie che diventano disegni e poi strutture, legno,
chiodi, colla: «Parliamo molto poco e comunque mai con riferimenti specifici. Quando dico
qualcosa, Dante comincia a disegnare». Da tutto questo capirsi e sentirsi vicini nel profondo,
germogliano le immagini dei film e ogni volta Tini Burton le paragona con le sue visioni di
partenza: «Il risultato finale è quasi sempre molto vicino, da un punto di vista visuale, a quello che
avevo ideato, però non e mai esattamente uguale. La mia speranza, forse la cosa che più di tutte
mi spinge ad andare avanti, è proprio raggiungere il massimo della somiglianza, non mi fermerò
fino a quando non l'avrò ottenuta». Le tecnologie che stanno rivoluzionando il linguaggio
cinematografico in modo sempre più radicale non sono poi così importanti: «Ho iniziato a fare
questo mestiere con tecniche molto diverse, mi piace conservare un po' dei vecchi metodi di
lavoro, fare film all'antica dove da qualche parte sul set c'è sempre qualcuno che sta dipingendo
un cielo blu». La cosa migliore, secondo Burton, è «mettere l'arte in rapporto con la tecnologia;
utilizzare i nuovi metodi va bene, ma vedere sullo sfondo un dipinto fatto a mano continuerà
sempre a creare un'atmosfera irripetibile». Il vero effetto speciale resta il suo sguardo, capace ogni
volta di reinventare la realtà: «Ho viaggiato molto, una delle cose belle di questo lavoro è appunto
la possibilità di girare il mondo, cosa che mi rende migliore come regista, ma soprattutto come
persona». E viaggiando succedono cose strane: «Quando ho visto per la prima volta la Gioconda,
sono rimasto un po' deluso, ne avevo sentito parlare talmente tanto... Non so, forse me l'aspettavo
più grande. Comunque è sempre eccitante vedere le cose con i propri occhi. Anche se poi la realtà
è diversa dalle attese, l'esperienza diretta resta Fondamentale». Pesano anche i sogni e si
tenderebbe a pensare che le notti del regista di Bigfish e del Mistero di Sleepy Hollow, della Sposa
cadavere e di Eduard mani di forbice siano magnifici girotondi popolati da creature fantastiche,
storie mai sentite, colori, disegni, forme. E invece Tini Burton, con la sua aria allegra da chimico
dell'immaginario, confessa: «Il mio incubo ricorrente è molto banale, sogno sempre di essere in
ritardo e di non riuscire ad arrivare in tempo per entrare a scuola».
Piera Detassis - Panorama, 28 febbraio 2008
Tim Burton non s'è fatto intimorire dal successo del musical Sweeney Todd, ancora in scena dopo
il debutto nel 1979: ha tolto dialoghi, canzoni, personaggi e ridotto di un'ora la durata. Il barbiere
ex galeotto Sweeney Todd ritorna dopo 17 anni a Londra, dove l'adorata moglie allora era stata
rapita e violentata dal giudice corrotto (un magnifico Alan Rickman). Johnny Depp alias Sweeney
ha l'odio e lo spavento disegnato nella frezza bianca dei capelli folti e scuri, il buio della notte è
attraversato dalla cinepresa di Burton che corre all'impazzata, in un colore desaturato fino al
bianconero (magnifica fotografia di Dariusz Wolski) che ha in sé l'odore acre del carbone, dello
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smog, della rivoluzione industriale. Todd scopre che il giudice vuole ora sposare sua figlia e riapre
bottega solo per poter aprire la gola con il suo rasoio a tutti i clienti trasformandoli in saporite torte
di carne grazie alla complicità della signora Lovett (Helena Bonham Carter, nella foto con Depp).
Depp è come sempre un freak meraviglioso, capace di dare sangue e cattiveria alle liriche (non
memorabili) del film più cupo e sanguinario del maestro Burton, disegnato con il nerofumo da
Dante Ferretti. Composizione da virtuoso, almeno una canzone da ricordare (la «colorata» By the
Sea della Bonham Carter), velocità e finale con crescendo di horror estremo, stilizzato nel sangue
denso rosso che sporca le inquadrature. Un mondo senza sbocco e, bizzarramente bello quanto
ripetitivo, un po' noioso. Nella grandiosità del cinema di Burton, per la prima volta, un dubbio.
Alberto Crespi - l'Unità, 22 febbraio 2008
Sarà una coincidenza, ma in questo week-end il sangue scorre a fiumi: in Non è un paese per
vecchi Javier Bardem ammazza decine di persone con un fucile ad aria compressa, il nuovo Rambo
ha il body-count, la conta dei morti più esorbitante della storia del cinema, e in Sweeney Todd
Johnny Depp usa il rasoio come una mannaia. Ispirato a un musical di Stephen Sondheim, il film di
Tim Burton conferma la fascinazione del cinema per i bassifondi londinesi: dai tempi di Jack lo
Squartatore (altro personaggio con il quale Depp si è cimentato) i serial-killer hanno quel certo non
so che, se agiscono nelle brume di Whitechapel. Si apre proprio con un inno «dark» alla capitale
britannica: «Ho visto il mondo ma non ho mai visto nulla come Londra», cantano sia il giovane
marinaio idealista che sogna le luci della grande città, sia l'ex barbiere che torna per fare vendetta.
Sweeney Todd/ Beniamin Barker aveva una moglie e una figlia, ma il perfido giudice Turpin l'ha
rinchiuso in galera e gliele ha portate via. Barker, in attesa di uccidere Turpin, apre un salone da
barbiere sopra la locanda di Mrs. Lovett, dove si mangiano «i peggiori pasticci di carne di Londra».
I due, ben presto, ottimizzano: lui ammazza, lei trita i cadaveri e la qualità della sua cucina,
guarda un po', migliora. Nonostante la forma-musical, il film è una tetra metafora del capitalismo
come cannibalismo, una versione cantata della Modesta proposta di Jonathan Swift (che invitava
gli irlandesi, per scongiurare in un sol colpo fame e sovrappopolazione, a mangiare i propri
bambini). Le musiche non sono memorabili, non uscirete canticchiando una canzone ma sarete
sommersi da un flusso sinfonico qua e là ripetitivo. Depp è bravo ma Helena Bonham-Carter e Alan
Rickman gli rubano la scena, mentre Sacha Baron Cohen si esibisce in un cameo grottesco ed
efficace.
Francesco Bolzoni - Avvenire, 22 febbraio 2008
Tim Burton, regista di culto presso i cinefili per film come Ed Wood, due Batman, BigFish, La
fabbrica di cioccolato, La sposa cadavere, non cessa mai di stupire. E con lui il sorprendente attore
Johnny Depp (sei film insieme). L'ultima favola nera della coppia, Sweeney Todd - Il diabolico
barbiere di Fleet Street, è atrocemente bello. Il nucleo narrativo è di un nero più spesso del nero,
come del resto nei racconti dei fratelli Grimm che a lungo vennero narrati ai bambini. Una storia
terribile, dunque, articolata su un telaio di immagini di rara creatività, personalissima, sebbene sia
ricavata da un musical di Stephen Sondheim e Hugh Wheeler (gli attori alternano il canto alla
parola e l'espediente mai disturba). In un porto minacciato dalle nebbie arriva una nave dalle
ampie vele. Non vi sbarcano Frankenstein o il vampiro Dracula che Burton considera degli
"incompresi" come il suo Sweeney Todd (un Johnn Depp dal viso assorto, una ciocca bianca nei
capelli), l'uomo che, anni prima, benché innocente, era stato condannato da un giudice invaghitosi
della sua bella consorte. Torna in una Londra oscura, sporca e affollata che non ha nulla da
spartire con gli scenari posticci di tanti film dell'orrore che pure invadono gli schermi. È una
Londra, come in bianco e nero, inventata sapientemente da Dante Ferretti (candidato all'Oscar,
così come Depp) e, all'inizio del racconto, scoperta nei suoi vicoli putridi da un carrello velocissimo
che precede il reduce delle prigioni (a contrasto i colori tenui, dolcissimi dei ricordi di Todd o dei
sogni di Nellie Lovett, Helena Bonham Carter, bravissima). Todd vuole vendicarsi del torto subito,
della fine della moglie e della figlioletta. La sua volontà di vendetta si sposa con l'innamoramento
di un marinaio e di una ragazza, Johanna, che il tutore (il giudice che condannò Todd) tiene
segregata in casa (un risvolto romantico intelligentemente contrapposto alla orrida storia del
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barbiere). I contorni della poetica di Tim Burton sono delimitati dall'horror, dall'umorismo e da una
leggera patina di tenerezza che investe, oltre ai due innamorati, perfino il barbiere maledetto, il
quale nella sua bottega taglia la testa ai clienti, e la perfida Nellie ne tritura i corpi preparando
focacce che fanno impazzire mezza Londra. Quello che viene raccontato nel film non è
riassumibile, non è adatto ad anime candide o a spettatori che da tempo non vanno al cinema. Nel
finale, per fortuna, un trovatello - una sorta di non innocente angelo vendicatore - fa pagare il fio
al diabolico barbiere. Ma, bisogna riconoscerlo, tutto è reso da una scrittura di incredibile
creatività. Tutto vi è amalgamato: le parole e i versi della canzoni, una Londra ottocentesca e una
nevrosi assoluta, i continui colpi di scena. E tutto tende a un "segno" moderno, come inatteso,
sempre sorprendente. Tim Burton dice che il cinema è un forma dispendiosa di psicoterapia.
Analizza sogni che, talvolta, assomigliano a incubi. Saprà mai liberarsene, il geniale regista?
Natalino Buzzone - Il Secolo XIX, 21 febbraio 2008
Joseph Conrad ha tracciato una sua ideale mappa della magmatica Londra ai tempi della Regina
Vittoria: «C'era lì abbastanza spazio per collocarvi qualsiasi storia, abbastanza profondità per
qualsiasi passione, abbastanza verità per qualsiasi scenario». E "Nessun posto è come Londra"
canta il sublime Johnny Depp aprendo, dalla tolda di una nave appena attraccata, "Sweeney Todd"
il musical di Stephen Sondheim che la magia ossessionante del tocco di Tim Burton ha ora
trasformato nel folgorante film di una fiaba crudele da grand guignol visionario (da domani nelle
sale). Nelle strade, nei vicoli, nel formicaio puzzolente e tremendo di una metropoli che non
perdona, dove Charles Dickens ha spinto l'avventura di Oliver Twist, Burton suggella il suo modello
d'orrore immaginativo assemblando "Il conte di Montecristo", "Edward Mani di Forbice", "Dracula",
Jack lo sventratore, la leggenda del barbiere Benjamin Barker e la sua vendetta contro il turpe
giudice Turpin che lo ha condannato alla prigione e all'esilio per sottrargli la bella, ingenua moglie
e la figlioletta. Come Edmond Dantes, Barker ritorna sotto falsa identità, quella di Sweeney Todd, e
consuma la sua tragica rivalsa con l'aiuto della signorina Lovett, la locandiera in grado di
trasformare i corpi dei clienti insaponati e sgozzati in carne trita per i suoi succulenti tortini. Orfani
che perdono l'innocenza, improvvise rivelazioni, disturbanti psicopatologie, beffardo cannibalismo,
incursioni al manicomio, passioni tradite, sentimenti paterni, istinto materno e la speranza che sta
nel cognome e nell'amore di un giovane marinaio. Tim Burton crea un universo fiabesco dominato
e attraversato dall'orrore, bagnato di un sangue che zampilla come la partitura della colonna
sonora che passa dalla lama dei rasoi d'argento massiccio agli ingranaggi di una poltrona
ribaltabile che trasporta i cadaveri nel sottobottega della drogheria, nelle viscere di una Londra che
un'altra genialità, a firma di Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, ha ricostruito a simbolo di un
fetido realismo, quasi che le illustrazioni corrusche dei libri di lettura si fossero imparentate con il
bianco & nero dei classici horror dell'Universal, in un seppiato che tende al colore delle tenebre,
ritrovando lucente cromatismo solamente nei ricordi o quando l'emoglobina straripa dai colli
maciullati. Del musical risalta davvero perfetta per un cinema che sembra prodigiosamente
ricavato da quella cosa di cui sono fatti gli incubi impastata con l'eterea e sconcertante architettura
della nuvole. "Sweeney Todd" è una sinfonia che pare estrarre (ed astrarre) dal magistero
narrativo di Dickens il Male senza preoccuparsi del Bene: Todd e la Lovett, Turpin e il sadico
scaccino-bargello Bramford sono i simulacri di una medesima vocazione all'abisso in un mondo che
per l'irrefrenabile tagliagole non è altro che un gigantesco e vorticoso gorgo pieno di sterco. Esiste
soltanto lo spazio per le imprese di un mister Hyde che non potrà più tornare il buon dottore:
anche Benjamin Barker ha compiuto la sua impresa sacrilega che gli impedisce tutto se non la
dissolvenza nell'autodistruzione. Il talento di Tim Burton cesella un capolavoro di fantasia spettrale,
di musicalità rutilante in cui le canzoni non spezzano mai l'azione e il racconto, ma lo offrono al
ciuffo bianco dell'interpretazione di Johnny Depp, ormai il perfetto e irrinunciabile alter ego del
regista, capace di metamorfizzare il dolore e la follia del protagonista in una mimica facciale che
con il lampo degli occhi elargisce la virulenta fascinazione di Sweeney Mani di Rasoio. Helena
Bonham Carter è una dark lady da lucidarsi le pupille nella sua vertigine da folletto del cinema
muto, gravida di cinismo e di innamoramento e ancora riflesso inappagato di una città dedita ad
un capitalismo avido come i canini di un vampiro. Alan Rickman è un Vincent Price di altrettanta
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diabolicità irredenta, Timothy Spall è l'orco subdolo con il bastone a punta di lancia, Sacha Baron
un figaro italiano e cialtrone, Jamie Campbell Bower ha la dedizione dell'innamorato perso e Ed
Sanders possiede il visetto triste dell'orfanello della nemesi finale. "Sweeney Todd" colpisce e
spaventa nell'incrocio tra pazzia e mitologia della normalità quotidiana di un'Inghilterra di serial
killer scatenati, mentre lascia completamente ammirati per la stilizzazione suprema che Tim Burton
imprime al suo oratorio grandguignolesco, alla sua operetta con morale feroce, ai suoi personaggi
luciferini, alla melanconia struggente di un'esistenza fuggita via. C'è l'afflato dell'eroe romantico
nella disperazione di Sweeney Todd deciso ad affrontare la tempesta della vita a fendenti rasoiate.
Roberta Ronconi - Liberazione, 22 febbraio 2008
Siamo in una Londra ottocentesca più oscura e piovigginosa di quanto l'abbiate mai vista. Nel suo
porto sta per attraccare una fatiscente nave sulla cui prua cantano in duetto un giovane di belle
speranze e un uomo che le speranze le ha perse tutte. E' il nostro demoniaco barbiere Sweeney
Todd (Johnny Depp) di ritorno a casa dopo essere evaso da una prigione australiana che lo ha
ridotto ad un morto vivente. L'incipit dell'ultimo film di Tim Burton è un perfetto compendio
dell'intero film-musical Sweeney Todd . E subito il tocco del maestro del lato oscuro delle favole è
deciso e netto come e più che nei lavori precedenti. Tim Burton si impossessa di una leggenda
anglosassone forse ispirata ad una lontanissima realtà che racconta di un barbiere che assassinò
160 clienti nella Londra del 18mo secolo. Nessuno oggi sa se quel barbiere sia mai esistito
veramente. Certo è che la sua storia è sulle scene inglesi già da fine Ottocento, diventata poi
musical nel 1979 per mano del compositore Stephen Sondheim (unico vincitore nel suo campo ad
aver vinto un Oscar, un Tony, un Emmy, un Grammy e un Pulitzer) e dello scrittore Hugh Wheleer.
Sulla scena di Broadway, nei panni del barbiere e della sua amica pasticcera, Len Cariou e Angela
Landsbury. Ma nelle mani di Burton, lo strano musical dalle tinte horror che aveva avvinto un
costante pubblico di assetati di sangue (tra cui Burton ragazzino) si trasforma nella tragedia
d'amore di un serial killer dall'anima sofferente. Quando era ancora un giovane pieno di speranze,
Todd infatti viveva a Londra con la sua bella moglie e la loro piccola bambina. Moglie così bella da
attrarre le brame del perfido giudice Turpin (Alan Rickman) che, aiutato dallo sgherro Beadle
(Timothy Spall), concupisce la giovane con l'inganno rendendola quindi folle. Todd rinchiuso in una
lontana galera, la piccola trasformata in figlioccia, il giudice si gode la sua malvagità senza che
nessuno abbia nulla da rimproverargli. Passano dieci anni prima che Todd riesca a fuggire dal buco
profondo in cui Turpin l'ha gettato e a tornare a Londra con l'unico scopo di vendicarsi con il
sangue di chi gli ha rubato l'anima. Ad affiancarlo nell'impresa, la giovane e disillusa vedova Mrs
Lovett (Helena Bonham Carter) che da buona commerciante saprà far fruttare la follia omicida del
suo nuovo amico. Il sangue gronda come pianto dalle gole dei clienti, le lame vibrano come dita
nelle mani del barbiere. Tim Burton non perde mai la concentrazione, il lato oscuro e violento della
vita nel suo musical diventa frutto di una inconsolabile sofferenza. Nonostante la zeppola, Depp
(per il suo Todd in corsa agli Oscar) canta roco e digrignante con tutta la forza che ha. E ancora
più sorprendente Helena Bonham Carter che di Mrs Lovett fa un profilo ricchissimo di sfumature. I
duetti cantati tra i due sono da storia del musical. Le scenografie sono di Dante Ferretti. Il risultato
è sorprendente e, tra una gola tagliata e un'altra, persino ci si commuove.
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