Giornale Studentesco del Liceo Scientifico A. Einstein
Via Luigi Sturzo 5
64100 Teramo
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Anno VI - Numero IV - Maggio 
Anno VI - Numero  - Maggio 
L A VOCE
Editoriali
La vita ha ucciso un sogno
ancora quando fino a poco
tempo fa pensavo di vivere in un piccolo Eden, un’isola felice lontana da
ogni disastro naturale. Poi, crescendo, tutto è diventato piú reale, ma mai avrei osato
immaginare che tanta distruzione e morte
avrebbero potuto sconvolgere la mia regione, l’Abruzzo. Sotto le macerie de L’Aquila, il  Aprile, è rimasta una piccola
parte di tutti noi, perché lí in via XX Settembre, in via Sant’Andrea, in viale Duca
degli Abruzzi, a causa di quel maledetto
terremoto abbiamo perso amici e parenti,
o semplicemente persone di cui non avevamo mai sentito parlare, ma che abbiamo
considerato fratelli dopo quelle drammatiche ore. L’Aquila era una città universitaria, e quasi trentamila studenti frequentavano il prestigioso ateneo cittadino, cosí
i ragazzi sono stati i piú colpiti in questa
R
tragedia. Proprio come in una lista di caduti di guerra, le nuove generazioni hanno
pagato il prezzo piú alto, uccisi non da fucili e pallottole, ma da soffitti, pareti e tetti. Erano molti i teramani che riempivano
la città durante tutto l’anno, tantissimi dal
nostro liceo. Tra questi ce ne sono cinque
che hanno perso la vita: Lorenzo Ciní, Gabriele Di Silvestre, Federica Moscardelli,
Andrea Puliti e Serena Scipioni.
Il nostro pensiero, oramai a quasi due
mesi di distanza da quella tragica notte, deve andare a loro, che sono stati privati di
un futuro, di una vita fatta di momenti indimenticabili e momenti difficili, ma sempre e comunque una vita che doveva essere vissuta. Siete stati privati di un sogno,
ingiustamente. . . ma rimarrete sempre nei
nostri cuori!
ICORDO
Gianmarco Ferreo
Ad Andrea, Federica, Gabriele, Lorenzo e Serena perché la
morte che toglie quasi tutto ci lasci almeno qualche ricordo
OI ADULTI ,
come persone e insegnanti, costretti dall’età e dalle vicissitudini della vita a sopportare
con compostezza il dolore e ad insegnare ad esprimerlo con pacatezza, in questo
evento profondamente devastante che ha
colpito la nostra terra, i nostri amici, i nostri alunni, vogliamo andare oltre il consueto comunicare e seguire e manifestare
flussi di pensieri e sentimenti tumultuosi
che da piú settimane ci fanno soffrire.
ha prodotto morti assurde ed impensate
che colgono, tra gli altri, giovani vite all’inizio del loro percorso, che hanno lasciato vuoto e sofferenza nelle famiglie e nelle
comunità.
Tutto è stato sconvolto e, nel senso piú
profondo della parola, nulla sarà come
prima.
La morte ci ha strappato affetti cari,
parenti, amici, giovani, rapporti umani
consolidati.
Il primo sentimento percepito è l’increNon la morte letteraria di Foscolo o
dulità nei confronti di quanto accaduto che quella filosofica di Epicureo, che con bel-
N

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Editoriali
le parole e fluidi ragionamenti insegniamo
nelle nostre aule, addolcita dai sorrisi e dalle parole dei ragazzi che sanno che è tanto
lontana da risultare inesistente, ma quella
vera, dal volto terribile che non conosce
ragione, dettata dal fato, dall’imponderabile, da non so cosa vogliamo chiamare con
qualsiasi nome.
è contagioso, sia quello legato all’esuberanza dell’amicizia e dell’amore che quello ancora piú coinvolgente profuso nella ricerca e nell’apprendimento; pensare che in
molti tutto questo è stato spento è inaccettabile per la mente e per il cuore. E infine
come dimenticare la beffa della sorte, che
non cancella le responsabilità legate alla
mancanza di sicurezza e rispetto per la vita
altrui, che li ha visti morire in case che dovevano essere custodi non solo degli sforzi e dei sacrifici legati allo studio ma anche dei loro giovani corpi aperti alla vita e
al mondo. Non si può morire a vent’anni,
non si può morire cosí, per il terremoto e
per le scellerate scelte degli umani.
La morte che non ha mai senso, ci rende di fronte a questa ancora piú muti ed
infelici.
Ricordarvi significherà nel tempo non
solo mantenervi nel cuore ma richiedere fino allo sfinimento, quando il clamore dell’evento sarà attutito che vi sia resa piena
giustizia.
Perché giammai, chi muore giovane è
caro agli dei.
E poi il dolore profondo che, tra noi, ci
siamo comunicati al rientro a scuola, con
accenti forti e personali, quasi non riuscissimo a vedere oltre, ma restassimo imprigionati dentro la paura di non farcela piú a
rincominciare. Desideriamo, per attenuare
questa lacerazione, ricordare quanti, incontrati nelle varie esperienze delle nostre vite, non ci sono piú ed in particolare i nostri
ex-alunni, giovani universitari periti nella
tragica notte del terremoto aquilano.
Li rivediamo, quelli che abbiamo conosciuto personalmente e quelli che abbiamo
incontrato occasionalmente, belli, scherzosi, felici di essere quello che erano, ragazzi,
con la vita in mano ed un infinito futuro negli occhi, con l’entusiasmo che solo quella
età sa dare. L’entusiasmo dei ragazzi, si sa,
Anna D’Ermes (insegnante)
In Memoriam
L UIS B ORGES scriveva, in una
lontana poesia che al morto noi vivi
“come ladroni” “tutto gli derubiamo, /
non gli lasciamo né un colore né una sillaba”. Questo numero speciale de L A VOCE
è nato, nelle mie intenzioni, subito dopo il
concitato e terribile  aprile  con lo
scopo di restituire, in parte, la voce a chi
non l’ha piú. Ho chiesto ad alunni vecchi
e nuovi, a insegnanti di dare testimonianza
dinnanzi alle bare, alle croci, alle lacrime.
J
Il poeta William Butler Yeats sosteneva
che, nel lutto, a noi non spetta razionalizzare o comprendere, ma solo “mormorare nome su nome, / come una mamma nomina
il figlio” al calar della sera. Ma subito aggiungeva che non era di notte che parlava,
ma di morte (“No, no, not night but death”)
affinché fosse chiaro che non si trattava di
celia poetica. E allora, sotto voce, Andrea,
Federica, Gabriele, Lorenzo, Serena. . .
ORGE
Nando Cozzi

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L A VOCE
Testimonianze
Le scaloppine della mensa
da Iolanda e la birra all’Obelix.
Quella domenica eravamo tutti a L’Aquila, noi matematici, perché il nuovo orario prevedeva la lezione di Geometria II,
l’indomani alle :.
Nel weekend che era appena passato,
Giacomo e Nicola erano rimasti nel capoluogo, nella speranza di riuscire a studiare
insieme per l’esame di Analisi rimandato
troppo a lungo. Noi altri, uno dopo l’altro,
eravamo tornati nelle nostre case in affitto quella sera, con la valigia quasi vuota,
visto che si avvicinavano le vacanze di Pasqua. Avevamo deciso di non uscire, domenica, perché il parziale di Algebra era
imminente e le nostre uscite serali troppo
frequenti. Nell’ultimo periodo Giacomo e
Iolanda ci avevano rimproverati spesso a
tal proposito: uscire di meno e studiare di
piú!. Ma Alberto e Nicola, meno ligi al
loro dovere di studenti, dopo la scossa di
quella sera avevano proposto di incontrarci tutti a Piazza Duomo, per precauzione,
anche se nessuno di noi avvertiva un reale
pericolo.
C’era stata una scossa discretamente
forte, lunedí  marzo, nel pomeriggio,
che aveva generato uno stato d’ansia diffuso e aveva riempito le piazze principali.
‘Niente di preoccupante o anomalo, L’Aquila è zona sismica e scosse di questo genere si avvertono ogni anno’, ci avevano
detto dei vigili.
Cominciava a farsi tardi, quella domenica, e intorno alle due di notte abbiamo
deciso di tornare a casa; probabilmente le
scosse non erano finite, ma prima o poi bi-
’ AVETE SENTITA ?’ È il messaggio
che ricevo sul cellulare subito dopo una scossa di terremoto, intorno alle : di domenica  aprile. Il mittente è Nicola; avrà fatto il suo solito invio multiplo a Giacomo, Mattia, Iolanda,
Alberto e me, come è solito fare quando
vuole dare una stessa notizia a tutti, comprese le deboli scosse che nella settimana
precedente si erano sentite ogni giorno.
Non ci conosciamo da molto, noi sei:
veniamo da città diverse, abbiamo storie
disparate, ma una passione che ci accomuna e che ci ha portati a scegliere lo stesso
Corso di Laurea in Matematica.
Abituàti probabilmente all’idea comune
del matematico mingherlino e senza muscoli, con camicia e bretelle, occhiali spessi e qualche brufolo di troppo, rimarreste
molto sorpresi nel conoscere Mattia, il latin lover, o Giacomo, ottimo giocatore di
poker. Che dire poi dello stravagante Nicola, serio e posato a lezione, ma cosí vivace e attivo con gli amici? O Iolanda, la
ragazza un po’ pettegola che però è sempre
pronta a dare il consiglio giusto! Infine Alberto, che mingherlino lo è davvero, ma di
carattere ne ha da vendere. . .
Proprio un bel gruppo, quello formatosi
tra queste sei matricole: da ottobre abbiamo imparato a conoscere i pregi reciproci, grazie a discussioni e incomprensioni,
abbiamo accettato i rispettivi difetti. Da
semplici compagni di studio a cui chiedere
delucidazioni sulla forma canonica di Jordan, siamo diventati amici davanti alle scaloppine della mensa, le pizze a domicilio
‘L

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Testimonianze
sognava tornare a letto! Io, poi, ero molto
scettica e sarei tornata volentieri a dormire. Le mie coinquiline, invece, erano abbastanza inquiete: ‘Roby che ne dici se dormo vestita, cosí se devo scappare non scendo in pigiama?’ mi aveva chiesto Ilaria; io
l’avevo tranquillizzata e c’eravamo messe
finalmente sotto le coperte.
Quello che è successo un’ora dopo è cosa nota: sisma di magnitudo . della scala
Richter.
Non saprei dire quanto è durato: mi è
sembrata un’eternità da lí sotto la scrivania, mentre urlavo e sentivo un fortissimo
rumore. La porta, a un metro da me, era
aperta e affacciava sulla cucina: i mobili erano caduti a terra riversando tutto ciò
che contenevano e il lampadario oscillava
in modo spaventoso. Senza perdere tempo,
finita la scossa, abbiamo preso il cappotto,
sceso le scale in fretta e corso per la strada piena di macerie che ancora tremavano
sotto i nostri piedi.
Tutta la notte siamo rimaste in una piazza nelle vicinanze, e solo dopo vari minuti abbiamo iniziato a realizzare con piú lucidità cosa ci era successo, mentre il telefono continuava insistentemente a ricevere chiamate e messaggi. Dopo aver tranquillizzato parenti e amici da Teramo ho
sentito, uno dopo l’altro, Nicola, Giacomo, Mattia, Iolanda, Alberto, e tutti gli altri amici e conoscenti che quella notte potevano essere a L’Aquila. Stavamo tutti
bene.
Un resoconto chiaro e, purtroppo, molto piú tragico delle mie aspettative, l’ho
avuto solo quando sono riuscita a tornare
a casa, in tv: uno scenario di distruzione e morte, di cui si è parlato tanto, forse
troppo.
A ognuno di noi, scampati alla tragedia,
nei giorni successivi è toccato fare il bilancio della propria vita, la perdita di affetti,
certezze e il grande punto interrogativo sul
futuro: il secondo semestre interrotto, proprio la settimana prima dei parziali; la sospensione delle lezioni, chissà per quanto
tempo. Non è facile pensare ad un nuovo inizio, dato che le sedi universitrie sono
state gravemente colpite dal sisma.
Io, Nicola, Giacomo, Mattia, Iolanda e
Alberto siamo stati fortunati; pur sapendo
che quello che ci aspetta è difficile, abbiamo capito che il nostro rapporto, almeno
quello, è forte, e che il terremoto non l’ha
sgretolato, anzi l’ha fortificato. Quello che
dovremo affrontare è ben diverso dalle scaloppine della mensa, le pizze da Iolanda e
la birra all’Obelix, ma nel nostro piccolo
riusciremo a riconquistare la normalità.
Ad esempio qualche giorno fa abbiamo
saputo che le lezioni riprenderanno a breve, in un’altra sede, ad Avezzano. È solo un piccolo progresso ed è una soluzione
provvisoria per la fine dell’anno accademico; non è ancora programmato niente per i
prossimi anni, ma la reazione dell’Università è un chiaro incoraggiamento per tutta
la città dell’Aquila.
Per quanto ci riguarda, beh, in men che
non si dica Mattia farà decine di conquiste
tra le ragazze di Avezzano, Giacomo vincerà altri tornei di poker, Nicola si perderà
in chiacchiere fino alle tre di notte e poche ore dopo sarà lí in anticipo, a seguire
attentamente le lezioni di Fisica, Alberto
sarà ancora preso in giro per la sua altezza e Iolanda tornerà a spettegolare un po’
su ognuno di loro! Io, magari, imparerò
a cucinare scaloppine anche piú buone di
quelle della mensa!
E forse la nostra piccola esperienza sarà
da esempio per qualcosa di piú grande.

Roberta Giancroce
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L A VOCE
Il boato
— occhi spalancati sul
soffitto, un grande boato, pochi attimi per precipitarsi fuori dal letto, un unico pensiero
in testa in quei venti secondi di terrore: “È
la fine”.
Sento ancora le urla delle mie amiche;
le cerco, attraversata dal terrore piú totale, incontro solo lo sguardo di Domenica,
nascosta sotto la scrivania dinanzi a me.
È caos intorno. Libri e mobili che rovinano a terra, il muro si sfalda alzando nubi
di polvere, il pavimento sembra sprofondare sotto i nostri piedi, le pareti si restringono verso di me, ed io che cerco con tutte le
mie forze di tenermi aggrappata al piede
della scrivania.
 secondi interminabili. . .
Il boato cessa. . . pian piano mi alzo, cerco gli occhiali schiacciati dal comodino rivoltato a terra, forse ancora sconvolta non
mi rendo conto dei gesti che compio, li
afferro. . . e di corsa in cucina, i mobili a
terra su di un tappeto di cocci rotti; cerco
di aprire il portone bloccato da macerie e
detriti, riesco solo grazie all’aiuto del mio
vicino, è salvo.
Ecco una nuova scossa! Abbasso lo
sguardo a terra e vedo un grande solco nel
pavimento, poi subito la corsa per le scale,
vetri e calcinacci ovunque, finalmente sia-
mo fuori. . . ma l’incubo non è finito. Qui
lo spettacolo sembra essere ancor piú irreale. . . buio e polvere ovunque, come fosse
nebbia densa, punge i polmoni, aria irrespirabile, sento grida intorno a me, non
ho nemmeno il tempo di aver paura, tutti corrono, anche noi, verso lo spiazzo piú
vicino, lontani il piú possibile dai palazzi
semidistrutti.
Raggiungiamo la piazza. Pian piano si
riempie; le persone rimaste bloccate in casa si affacciano alle finestre implorando
aiuto. Dal convitto vengono fuori ragazzi feriti, rivoli di sangue descrivono volto
e braccia, e sono solo lacrime quelle che
ora ci rigano il viso.
Piazza Palazzo, sono le :45, la corsa
frenetica è finita, solo ora ci rendiamo conto che della casa vicino al bar non rimane
che un cumulo di pietre; gli uomini si precipitano a scavare a mani nude, i primi soccorsi non tardano ad arrivare, ambulanze,
vigili del fuoco, protezione civile. . . il suono confuso di miriadi di sirene coprono le
urla ed il silente rumore della paura. Difficile credere ai nostri occhi, a tutto ciò che
sta accadendo, il piú reale degli incubi. . .
Mi siedo a terra, abbraccio le mie amiche,
piango assieme a loro, attendendo un’alba
che non cancellerà mai ciò che ho vissuto.
3:32
Ilaria Narcisi
Ciao Dottore
D OTTORE, questa è una lettera
aperta dedicata a te e voglio ricordarti cosí: col sorriso sulle labbra, sempre pronto alla battuta e sempre cordiale
C
e affettuoso con tutti. Nonostante tutti i
problemi e le difficoltà che stavi vivendo
non ti ho mai visto triste, anzi eri tu a infondere l’allegria nelle altre persone. Eri,
IAO

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Testimonianze
sei e resterai un ragazzo speciale. Da te
ho imparato molte cose sulla vita, su come comportarsi davanti alle difficoltà e su
come andare avanti. Da tre anni stavi con
un’altra fantastica persona, Arianna, la tua
fidanzata e penso che se qualcuno ha visto
le foto, anche sul gruppo che ho creato per
voi su facebook (Lorenzo Ciní & Arianna
Pacini), il vostro amore si commenti da solo. Eravate e sarete una coppia fantastica:
grazie dei bei momenti trascorsi insieme.
Nonostante nelle nostre comitive io fossi
il piú piccolo non mi hai mai fatto sentire
da solo. Eri sempre pronto a coinvolgermi
e a scambiare una battuta con me. . . Mi
mancherai. . .
Grazie di tutto, sono stato davvero fortunato nella mia vita a incontrare UNA PERSONA COME TE. Mi hai lasciato un vuoto dentro, un vuoto che cerco di colmare
con i bellissimi ricordi che ho con te: le
estati insieme, le cene, le partite a pallavolo, il tuo sport. Non riesco ancora a crederci che non ti rivedrò mai piú, che non
rivedrò piú il tuo sorriso, che non ci sarai
piú tu, con la solita voglia di vivere. Avresti dovuto discutere la laurea il  aprile,
ma il destino beffardo, che con te e con
la tua vita ha scherzato un po’ troppo, ha
voluto che tu non la discutessi mai quella tesi; anche se quel giorno però c’era una
laurea anche per te, alla memoria, ad honorem. Adesso caro Dottore, voglio dedicarvi questa frase del tuo, anzi del vostro Biagio Antonacci, uno dei cantanti preferiti da
te e Arianna. . . “sono le cose piú belle a far
brillare le stelle”, infatti da quella maledetta notte del terremoto forse siete proprio tu
a Arianna a farle brillare. Ho sperato fino
all’ultimo dopo quella notte, in cui non si
avevano piú notizie di voi, che foste salvi
da qualche parte. Avevo anche promesso
che sarei andato a piedi a san Gabriele se
vi avessero trovati vivi, ma il fato, purtroppo non ha voluto questo. Mi mancherai. . .
mi mancherete
CIAO LOLLO, CIAO ARI.
Andrea Bonomo
Per Andrea Puliti
ricordarti cosí, con affetto e
struggente nostalgia, mentre ti avvii,
alla fine della scuola dell’obbligo, in
preparazione agli studi liceali, alle tue prime lezioni di latino, con curiosità ed un
po’ di timore per il futuro che appena intuisci: la sintassi è salda, la determinazione
forte, l’insegnante amica, ma la timidezza
proprio tanta. Ti ho prestato, per svolgere gli esercizi il mio libro di bambina, ritrovato chissà dove e rammento ancora la
commozione provata mentre ti illustravo le
pagine nello scorgere la mia grafia, le mie
correzioni.
V
ORREI ,
Ed io, con un misto di severità e di apprensione ti indicavo le prime vie, i primi scogli, ti aprivo con mia grande soddisfazione i primi varchi verso una lingua
sconosciuta; non c’è infatti gioia piú grande per un insegnante dell’iniziare qualcuno ad uno studio mai prima intrapreso, nel
suscitare curiosità mai prima avvertite.
Il bambino che avevo visto giocare per
anni nel giardino della sua casa era arrivato
al liceo.
E poi i tre anni trascorsi insieme, nella
nostra scuola come insegnante ed alunno,
le raccomandazioni fatte prima di entrare

Anno VI - Numero  - Maggio 
L A VOCE
in classe: “Ricordati di darmi del lei, non
chiamarmi per nome, non dimenticare che
ora sono la tua professoressa. . . ” Provavi un piacere istintivo, varcato il cancello
della scuola, mentre ci avviavamo a raggiungere la macchina per tornare a casa ad
instaurare il nostro antico rapporto, scandito dal tu, molto piú sciolto e diretto, dove
eravamo quelli di sempre.
Ancora, come amica ed insegnante, non
ho iniziato a “fare il lutto”, non mi rassegno a pensarti perduto, mi ribello al pensiero della tua sorte, al dolore di tua madre e tuo padre che sembra diventare ogni
giorno piú profondo.
Il giorno in cui ho saputo della tua morte, è durissimo scrivere “tua morte”, ho
pianto fino a notte dicendomi che era assurdo tutto, niente aveva senso, quasi incapace di comprendere gli eventi, inconsolabile. Quando torno da scuola e passo davanti
al cancello della tua casa ti cerco immediatamente con gli occhi sul prato, sotto gli
ulivi mentre giochi a pallone da solo.
E sempre mi torna in mente quel giorno
d’estate di qualche anno fa quando, lungo
una mia passeggiata, ti sorpresi a giocare a
palla con tua sorella Paola in giardino e da
lontano vi gridai: “Come siete belli!” Un
po’ sconcertati dalla mia esclamazione mi
invitaste ad entrare.
Sotto gli alberi, voi due insieme, con lo
sfondo dei vasi dai fiori colorati di vostra
madre, eravate belli, sí molto belli.
Studioso, desideroso di sapere della storia anche cose inusuali, silenzioso in quel
tuo posto vicino alla finestra, che hai sempre scelto nell’avvicendamento delle aule,
quasi a chiedere protezione, sempre con lo
stesso compagno vicino.
Ci incontravamo casualmente, ogni tanto, durante il tempo dell’università, lungo l’unica strada del nostro paese; ogni
volta ti spronavo ad essere piú veloce negli studi e altrettanto puntualmente ti raccomandavo di non dimenticare, pur nella
pratica delle discipline scientifiche, la filosofia, quanto ti avevo insegnato e avevamo discusso, quanto, io dicevo, ti potesse
servire, come riflessione per vivere.
Anna D’Ermes (insegnante)
A Lorenzo e Arianna
L ORE ’ ”. Era cosí che ti salutavo ogni volta che ti incontravo. E la tua risposta, immancabilmente accompagnata da uno splendido
sorriso, mi rendeva felice, al settimo cielo.
“C
momento.
Anche prima che ti conoscessi sei stato
per me un punto di riferimento, un esempio, una persona speciale . . . Cosí come lo
era la tua Arianna, la tua meravigliosa fidanzata, la stella piú bella del cielo. E pensare che l’ho conosciuta proprio parlando
di te.
Da quel giorno il nostro rapporto è diventato sempre piú bello. Spesso ci incontravamo di sabato, alle partite della tua
squadra di pallavolo, il Montorio Volley.
IAO
I miei ricordi sono oggi nitidi e distinti.
Tu e Arianna ne siete i protagonisti. Ogni
giorno uno nuovo mi solletica la mente.
Tra quelli che custodisco piú gelosamente
nel mio cuore c’è senza dubbio il giorno
in cui ti ho visto per la prima volta. Ero
piccolina, ma ricordo perfettamente quel

Anno VI - Numero  - Maggio 
Testimonianze
E adesso, mentre scrivo, penso ai baci e
ai sorrisi che io e lei ci scambiavamo affettuosamente, alle chiacchierate e alle mille
risate. . .
Mi mancano tantissimo, mi manca
Arianna.
Il vuoto che avete lasciato è grandissimo, il pensiero costante e la vostra immagine scorrono nella mia mente come in un
film.
È un dolore immenso, misto a tanta rabbia, perché quelli che come me vi
hanno conosciuti sanno che non doveva
succedere, non è giusto!
Nonostante sia già passato un mese da
quella maledetta notte, non c’è stato un
giorno in cui non abbia pensato a voi.
Mi piace pensare che adesso tra tutti gli
angeli voi siete i piú belli . . .
Mi piace pensare che adesso siete
ancora piú felici e innamorati . . .
Mi piace pensare ai vostri indimenticabili sorrisi . . .
Il vostro amore, la vostra presenza mi
hanno riempito la vita e attraverso gli
indelebili ricordi di voi continueranno a
farlo.
Vorrei scrivere tante cose, centinaia di
pensieri mi affollano la mente, ma so
che non vi dimenticherò mai anzi continuerete a vivere nel mio cuore. . . PER
SEMPRE. . .
Vi voglio bene.
Danila Migliozzi
Cara Federica
F EDERICA, Qui seduta alla mia
scrivania, sembra quasi inutile cercare di tirare fuori dalla mia testa
quei pensieri tanto tormentati per poterti
scrivere questa lettera. . .
Il vero problema è che la nostra conoscenza risale quasi alla mia infanzia e
i miei ricordi sono molto sbiaditi, forse
troppo per poterselo perdonare: solo flash
sconnessi di quei pochi momenti (sempre
troppo pochi!) passati con te.
“La tendopoli mi ha cambiato la vita,
credetemi!”, è questo quello che mi angoscia piú di ogni altra cosa: ciò che mi dicesti un giorno (lo ripetevi a chiunque te
lo chiedesse, data la tua grande fede) e che
io non volli ascoltare. Piú volte ci avevi
proposto di seguirti nel tuo cammino e noi,
dopo aver considerato per un po’ l’idea, la
scartavamo sempre. Ma dovrei elencare
molte altre occasioni perse per poter go-
C
dere del tuo sorriso: il servizio, il gruppo
Tend, il volontariato della Croce Bianca. . .
Sarebbe bastato un po’ piú di tempo, prima
della fine di quest’anno, per poter avere il
piacere di “lavorare” con te!
Ma nonostante queste occasioni perse,
Fede, nonostante il fatto che forse nemmeno ricordavi piú di essere stata la mia
catechista, io mi sono sempre ricordata di
te, ti ammiravo e ti consideravo un modello. . . E sempre continuerò a farlo! Questo
perchè mi sembra cosí difficile incontrare
persone cosí ferme e convinte dei propri
ideali che mi è altrettanto difficile poterle
dimenticare.
Sai Fede. . . Qualche giorno fa la nostra
professoressa parlava di te, di Lorenzo, di
noi e del grande dono della vita; lei voleva
invitarci a viverla pienamente, dandole un
senso: tu sei riuscita veramente a lasciare
una traccia sul mondo! Sei stata capace di
ARA

Anno VI - Numero  - Maggio 
L A VOCE
farmi credere in quelle tue parole cosí piene di speranza, hai dato tutta la vita agli
altri! Cosa potrei dirti di piú se non “grazie”? Grazie! Grazie di tutto! Perchè conoscere persone come te rende il mondo
un posto piú abitabile, un luogo dove c’è
veramente amore!
Di solito dopo la scomparsa di qualcuno, il falso buonismo delle persone le porta a dire sempre grandissime cose sul conto del defunto in questione, anche se forse
sono solo bugie. . . Però Fede quello che
è stato detto su di te è proprio tutto vero: il tuo sorriso illuminava davvero e la
tua forza realmente dava forza a chi ti era
vicino!
Il pensiero che tu non abbia potuto vive-
re tutta la tua vita, che hai amato con forza
incontrastata, mi fa sprofondare perché sono certa che avresti realizzato qualcosa di
grande. . . Ma so che di miracoli tu ne hai
fatti: sei riuscita ad aprire nel mio cuore
e in quello di molti altri uno spiraglio di
speranza per un mondo migliore.
Non posso che esserti grata per questo!
Con questi pensieri volevo provare a salutarti come si deve, farti sapere che anche
io seguirò le tue orme, ma in questi casi
le parole sono difficili da gestire.. So che
capirai. . .
Grazie Fede!
“Nel deserto della mia vita Signore, hai
voluto piantare la tua tenda“. Grazie.
Alpix
L’Abruzzo tra orgoglio e dignità
sono venuta a conoscenza
della possibilità di scrivere un articolo sul terremoto, ho pensato subito di parlare dell’orgoglio della popolazione abruzzese. Avrei voluto scrivere un articolo che descrivesse il nostro essere forti
e determinati nel voler rimettere in piedi
un’intera città distrutta, ripartendo da zero
e facendoci forza a vicenda.
E invece sono qui davanti ad un computer da ore e tutto ciò che sono riuscita a
scrivere l’ho cancellato in breve tempo.
Ho sentito dire in un film “Per essere
un bravo giornalista, devi scrivere quello
che sai”. Eccovi quello che so: l’uomo
non può nulla di fronte a ciò che di piú
devastante ha in serbo per noi la natura.
Ciò che possiamo fare è solamente
andare avanti.
Perché il popolo abruzzese è fatto cosí: il popolo abruzzese è dignità, il popolo
Q
UANDO

abruzzese è orgoglio, il popolo abruzzese
è voglia di ricominciare, il popolo abruzzese è voglia di ricostruire una vita che gli è
stata tolta con la forza, il popolo abruzzese
è amore verso la propria terra, la propria
gente, la propria famiglia.
Ed è proprio questa forza straordinaria
che accomuna e unisce tutti gli abruzzesi
che ci spinge a ripartire.
Non come se nulla fosse successo. Perché qualcosa di molto grande è successo.
E non lo dimenticheremo facilmente, oserei dire che non lo dimenticheremo affatto, ma questo ci ricorderà costantemente il
perché del duro lavoro, il perché della fatica, il perché delle energie impiegate per costruire una città migliore di quella che non
ha retto alla devastante forza della Natura.
Nel nostro piccolo, noi possiamo solamente impegnarci affinché stragi del genere non si ripetano. D’altronde, il futuro
Anno VI - Numero  - Maggio 
Testimonianze
siamo noi.
Ci costruiremo i nostri bei castelli di carta per poi vederli crollare alla prima folata
di vento? No.
Ci costruiremo delle botti di ferro dove
tenere in salvo ciò che abbiamo di piú sacro al mondo: l’amore dei nostri cari. Ci
costruiremo delle scuole sicure dove istruire i nostri stessi figli ad amare la vita e a
non sprecarne nemmeno un momento. Ci
costruiremo i nostri posti di lavoro, dove
tutto ciò che faremo sarà dare un valore a
ciò che ci circonda.
A lungo ci hanno dipinto come una regione fantasma, la regione da “ripiastrellare” per dare piú spazio alle altre. In questo
ultimo mese, però, tutti si sono ricreduti,
scoprendo una popolazione che dà sempre
il 100%, che non si ferma davanti a niente, che si chiude nella propria dignità, alla
riscoperta di quei valori che l’inarrestabile frenesia della società contemporanea ha
inevitabilmente accantonato.
Jules
Immota Manet
’I MMOTA M ANET che, motto cittadino, prima passava quasi inosservato
agli occhi degli Aquilani e di chi a
L’Aquila ci viveva suona adesso tanto beffardo e surreale. Poco interessano i dibattiti intorno al suo significato, alla sua origine, alla sigla PHS che lo accompagna,
ora che non c’è piú. Mi piace fantasticare
che i sopravvissuti al sisma del 1703 l’avessero adottato come simbolo della loro
riscossa, come incitamento alla ripartenza,
alla rinascita. . . ma questo renderebbe la
situazione ancor piú paradossale.
L’Aquila era bellissima: monumenti,
chiese, piazze, giardini, Medioevo. Una
mia professoressa la definí un gioiello
dell’Italia centrale, purtroppo poco conosciuta all’estero cosí come in patria. . . e
verrebbe ora da commentare che forse
sarebbe stato meglio che rimanesse cosí.
Non c’era studente cui non piacesse: i
disagi erano molti, la vita per un universitario non era certo facile e il clima era rigido oltre ogni immaginazione, è vero, ma
nessuno, che io sappia, la ricorda senza nostalgia. L’Aquila, fatta di luoghi che, piú o
L
meno devastati, sono infinitamente lontani nel tempo e nello spazio: una firma del
professore sul libretto in un’aula di Coppito, un aperitivo allo Student, un concerto in piazza Duomo, le feste nelle case di
amici, un pomeriggio a prendere il sole a
Collemaggio, il karaoke al Diva. Sono certo che anche Andrea, Federica, Gabriele,
Lorenzo e Serena la amassero.
L’Aquila era piena di entusiasmo, di vita, ed è stato tutto spazzato via in trenta
secondi. Il terremoto non si è portato via
solo la vita di trecento persone: ha sconvolto le vite di chiunque ci abitasse o ne
avesse a che fare piú o meno direttamente, come nessun giornale potrà mai raccontare. Andare nelle zone colpite, vedere i
militari che presiedono il centro, la gente
nelle tende blu, le case squarciate, le serrande abbassate provoca una fitta al cuore
per chi l’ha conosciuta prima.
È allora che torna in mente l’Immota
Manet, ed è allora che si sente il bisogno
di reagire: si vuole e si può ricominciare anche stavolta, ma c’è bisogno di uno
sforzo da parte di tutti. Chiunque può fa-

re qualcosa, mandare un’offerta, regalare
beni di prima necessità, aiutare nei campi:
non si pensi che l’emergenza sia cessata,
non si dimentichi quanto accaduto, perché
è adesso, adesso che l’attenzione dei media si è affievolita, che tutti quegli sfollati
— le telecamere non ci sono piú, ma loro
sí- hanno maggiormente bisogno di aiuto.
ro a chi ora davvero non ce l’ha piú, è per
chi ha visto i sogni e i sacrifici di una vita
sgretolarsi in una notte. Davvero L’Aquila vuole rialzarsi, davvero vuole che l’Immota Manet dia la carica per l’ennesima
riscossa, davvero i suoi cittadini e chi l’abitava vogliono ricostruirla: diamoci da fare, confermiamo di essere quegli Abruzzesi che tanto hanno commosso il mondo
È doveroso farlo, è per Andrea, Fede- e dimostriamo che non è solo retorica la
rica, Gabriele, Lorenzo, Serena e tutti gli nostra.
altri, nostri coetanei!, è per ridare un futuAndrea Cameli
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Maggio 2009 - Liceo Scientifico "Albert Einstein" – Teramo