FINALITA’ Durante questi ultimi anni l'attenzione dei cittadini sui problemi della natura e degli animali è stata sollecitata dai mass media, dalla stampa, dalla convegnistica e dalle attività delle associazioni animaliste e ambientaliste su argomenti diversi e specifici, essenzialmente collegati al consumo delle carni, alla produzione di abbigliamento e al testaggio dei prodotti farmaceutici, al degrado biochimico ed elettromagnetico dell'ambiente. L'attenzione agli animali d'affezione è stata essenzialmente promossa in relazione alle leggi sul randagismo. La questione del genocidio occulto degli animali da macellazione, quanto i metodi di uccisione degli animali da pellicceria, sono problemi di una dimensione etica e finanziaria tale da dover essere spesso evasi dai centri d'informazione. Per quanto riguarda l'inquinamento ambientale e l'estinzione della fauna selvatica, si stanno verificando fenomeni di evitazione simmetrici a quelli dei grandi conflitti militari: fanno notizia i dettagli sulle stragi isolate, ma si ammutolisce di fronte alle deportazioni di massa e alla soppressione di intere etnie. Le prime vittime di questi complessi d'impotenza sono le stesse associazioni animaliste e ambientaliste, che spesso riescono ad organizzare centinaia di persone intorno alle sevizie di un singolo animale, ma non riescono a trovare soluzioni valide ai grandi problemi della sofferenza e del genocidio della fauna selvatica e degli animali da sperimentazione e da abbigliamento. In tal senso la cura per gli animali d'affezione è un problema perché, se di per sé è un fatto positivo (l'amore per un nostro fratello minore), nel complesso dei comportamenti sociali dimostra quanto sia radicata nella nostra specie la strumentalizzazione delle altre: gli animali che non servono, o sono in qualche modo dannosi, non sono degni di attenzione e di rispetto. A distanza di oltre un secolo dalle prime forme di associazionismo animalista europeo e a distanza di pochi anni da alcune iniziative di riflessione ed approfondimento in Italia, volte a verificare le disponibilità e le potenzialità del movimento animalista e ambientalista, riteniamo sia venuto il tempo di lavorare in modo coerente su argomenti di tipo prioritario, quali il riconoscimento dei diritti all'esistenza delle altre specie e la relazione interdisciplinare fra bioetica, scienza, filosofia e religione, in materia di rispetto della natura e delle sue componenti vitali. Questo per noi significa lavorare per una serie di confronti e di collaborazioni capaci di realizzare un disegno comune delle prospettive animaliste e ambientaliste, che potrebbero vedere impegnati i numerosi cultori di queste materie in maniera continuativa ed organica, quanto in senso “trasversale”. Con questo termine noi intendiamo un modo di porre i problemi e le loro soluzioni indipendentemente da qualsiasi pregiudizio politico e ideologico, ma anche al di là di forme di chiusura corporativa e/o istituzionale derivanti da pretese di monopolio dei contenuti scientifici, etici, filosofici o religiosi. Nei Paesi industrialmente avanzati si parla di 'trasversalità sociale' pro e contro quanto viene definito sommariamente globalismo, ma in Italia ed in altri Paesi del 1 Mediterraneo, il pluralismo delle componenti culturali ed etniche può essere il freno a processi di sviluppo anomali, fatti di impeti consumistici evolutisi negli ultimi venti anni a beneficio delle grandi concentrazioni finanziarie mitteleuropee e anglosassoni: in tal senso il globalismo verrebbe ad identificarsi con una rapida e progressiva distruzione delle componenti naturali dell'ecosistema. Le testimonianze asiatiche, africane e sudamericane di questi processi sono innumerevoli e note. La positività della presunta arretratezza dei Paesi dell'area mediterranea consiste nella loro disponibilità a confrontarsi con altre etnie senza pregiudizi di superiorità. Non ci illudiamo: altre culture, altre religioni, altre società di minoranza hanno sperato di aprire un dialogo con interlocutori più forti e sono state cancellate in epoche storiche diverse. Analogamente l'impegno ambientalista e animalista si è sempre scontrato con forti interessi costituiti, che impiegano ogni mezzo per evitare che se ne parli, se non - al più come un bizzarro fenomeno minoritario. Tuttavia la valenza etica e di difesa dei diritti fondamentali dei cittadini (in primo luogo quello alla salute, messo in serio pericolo dal dissesto ambientale, dagli allevamenti intensivi e dalla vivisezione una pratica pseudoscientifica che tuttora domina la ricerca medica) fa sperare nelle possibilità di convergenza fra gruppi politici e associazioni, che sono spesso divisi su questioni meno evidentemente legate all'interesse generale. A tale proposito va anche sottolineato che l'idea di rispetto dei diritti fondamentali vigenti e l'opportunità di un comportamento vegetariano ha radici storiche diverse e comuni a culture, etnie e religioni orientali e occidentali, sopravvissute in certi casi alle vicissitudini dei millenni. Per questi motivi abbiamo fiducia nelle capacità delle componenti animaliste e ambientaliste di diffondere e rafforzare i loro principi con forme di dialogo, confronto, informazione e se necessario aperta denuncia, già sperimentate o ancora inedite, che rendano sempre più omogenea la pratica quotidiana delle rivendicazioni. Un problema immediato è quello delle forze prioritarie di base con le quali lavorare, senza tacere gli errori e i limiti delle esperienze passate. Perugia, 3 ottobre 2002 Il Comitato promotore Antonella Pulci (Presidente W.W.F.-“Fondo Mondiale per la Natura”- dell'Umbria) Marco Mamone Capria (Facoltà di Matematica Università di Perugia) Sergio Revoyera Bovini (Presidente “Natura e Ambiente” Onlus Perugia) 2 Antonella Pulci Presidente WWF Umbria Presentazione del Convegno L'idea del WWF Umbria di organizzare questo Convegno insieme a LAV e LAC, è nata e maturata da alcune iniziative pensate dal Consigliere Regionale Carlo Ripa di Meana, che ringrazio pubblicamente per averci fornito il “là” all'avvio della nostra manifestazione. Abbiamo ragionato molto su come impostare questo evento, cercando di toccare vari aspetti: la spiritualità, ricordandoci che siamo in terra francescana e sicuramente San Francesco ha avuto un ruolo importante, ovviamente in ambito religioso, nel rivalutare l'essere “animale” in un periodo dove la Chiesa lo trascurava o addirittura lo negava; parleremo di nutrizione: quanti di noi in famiglia si sono sentiti dire da bambini: “…senza carne si diventa anemici”; e via che i medici consigliavano addirittura carne di cavallo; sentiremo interventi sulle lotte fatte dalle nostre Associazioni per problemi come la vivisezione, i combattimenti degli animali, gli aspetti giuridici della tutela degli stessi, su come ambientalismo ed animalismo hanno lavorato per vincere alcune battaglie anche importanti, ma sicuramente non ancora sufficienti. Abbiamo appreso con immensa gioia che finalmente la Camera rende merito alle richieste fatte, anche mediante petizioni, dai cittadini sulla legge per i maltrattamenti degli animali: ecco così la modifica dell'art. 727 del C.Penale, dove viene messo in chiaro che gli animali sono soggetti di diritto e non cose e pertanto colui che incrudelisce verso uno di loro rischia finalmente il carcere; basti pensare ai 350.000 animali abbandonati nel solo 2002 o ai milioni di animali destinati alla vivisezione. E' una vittoria che vede coinvolto in prima persona anche uno dei nostri Relatori, nonché Vice Presidente del WWF Nazionale, Maurizio Santoloci insieme agli amici della LAV. Le tante azioni legali per la tutela dell'ambiente e degli animali, perché “l'uno non esiste senza l'altro”, devono farci riflettere sulle crudeltà che l'uomo infligge loro nonché sul mancato rispetto del nostro (di animali ed uomini) mondo: “il pianeta terra”. Vedi in proposito la famosa questione Enichem, da cui abbiamo imparato che chi inquina non paga, al contrario di quanto recita l'art. 174 del Trattato UE. La perversione del profitto a tutti i costi uccide il mondo e noi siamo responsabili di ciò sotto il profilo sociale-morale-etico. La falsa globalizzazione ci pone di fronte ad un mondo di bambini che vivono in condizioni disumane; siamo sempre noi i responsabili e vediamo di non nasconderci dietro false concezioni come quella di dire: “ho mandato la mia offerta”, per salvarci l'anima se siamo religiosi o per sentirci socialmente assolti se siamo laici; bastano invece anche poche azioni 3 quotidiane per scongiurare il peggio. Ho ricevuto per regalo da mia cugina un libro il cui titolo è: “Ognuno può fare la differenza” di Julia Butterfly Hill; riporto due frasi, riprese anche da lei da altri autori ed inserite nel suo libro, che sono: “Noi dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere” di Mohandas K. Gandi e l'altra di Johan Wolfgang Goethe che dice: “Fai qualunque cosa tu possa fare, sogna quello che puoi, inizialo. L'audacia ha genialità, potere e magia. Comincia subito.” Viviamo, come scrive anche Michael Pollan, giornalista del “The New Jork Times Magazine” nello scritto “Il posto degli animali”, forme schizoidi verso di loro: li amiamo e li mangiamo, quindi affetto e brutalità. Il motivo che caratterizza questa forma, sempre per Pollan, è il seguente: “Il modo di vivere odierno, è che la vita di certi animali (il maiale, il manzo, ecc.) è uscita dalla nostra sfera visiva; quindi, tranne quelli domestici di affezione, tutti gli altri animali non figurano più nella nostra vita quotidiana”. Qui colgo l'occasione per ringraziare il Preside della Facoltà di Veterinaria di Perugia, Prof. Gaiti, ed anche il Prof. Rueca, che ci spiegheranno quale è il ruolo del veterinario, pregandoli di parlare anche della legge sull'obiezione di coscienza. Tornando a quanto dicevo prima, la carne che mangiamo proviene dal macellaio dove viene tagliata e confezionata in modo che il suo aspetto ricordi il meno possibile che si tratta di pezzi di animale. Cloniamo vergognosamente pecore, scimmie, anche esseri umani; la National Academy of Sciences (NAS) nel settembre del 2002, ha insediato una commissione speciale perché allarmata dalla manipolazione genetica di pesci e insetti: il rischio che questi potrebbero fuggire, metterebbe in pericolo le specie selvagge, ma ha considerato poco preoccupante la clonazione di animali da fattoria, considerando che le nuove tecniche riproducono gli animali già adulti senza alterazioni genetiche. Altri scienziati come il Dr. Harry Griffin del Roslin Institute scozzese, padre della prima clonazione, mette in guardia dai pericoli che potrebbero invece insorgere nell'utilizzo insensato e generalizzato di tecnologie sperimentali. Dobbiamo difendere la nostra biodiversità e noi del WWF su questo versante siamo sempre in prima linea; l'Italia non ha paragoni sotto il profilo della biodiversità: infatti ha avuto un riconoscimento dal censimento concluso presso l'Università di Roma per conto del Ministero dell'Ambiente dove è stata indicata la presenza di 57.421 specie di animali. Il WWF ha proposto e ripropone anche alla Regione Umbria di creare corridoi ambientali che salvaguardino alcune specie (che troviamo indicate nel censimento come specie rare) e che vivono appunto nella nostra Regione, come l'aquila e il lupo, offrendo nel contempo la possibilità di utilizzare una griglia tra i parchi o tra le aree protette, per poter creare uno stile di fruibilità turistico-ambientale da permettere di qualificare le zone rientranti in tale progetto come modello di vita, ecologicamente parlando, innovativo. Vorrei ricordare per ultimo la campagna di sensibilizzazione e la stessa petizione che il WWF Italia sta facendo per impedire la caccia nei parchi. Concludo ringraziando tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita di queste due giornate, auspicando che tutte le tesi esposte possano favorire un sereno, aperto e cordiale confronto senza frapporre integralismi di parte, ma cercando invece un varco per poi aprire a sinergie fattive e che possano essere prese ad esempio da altre Regioni. 4 MALTRATTAMENTO E UCCISIONE DI ANIMALI: UNA MODIFICA NORMATIVA ORMAI INEVITABILE. Di Maurizio Santoloci Magistrato Intervento parzialmente tratto da “Impronte” della LAV Le cronache quotidiane riportano ormai sempre più frequentemente casi di maltrattamenti ed uccisioni gratuite di animali; un segnale che denota da un lato un aumento paradossalmente progressivo di tale ignobile fenomeno e dall'altro un forse proporzionato sviluppo dell'interesse e della sensibilità della stampa e dell'opinione pubblica su questo problema. Al di là degli episodi di cronaca di maggiore gravità e che dunque riescono perfino a interessare il sistema informativo nazionale, si deve registrare un microcosmo polverizzato e quotidiano di forme di incrudelimento verso gli animali sommerso e silente a livello di mass media, ma comunque vivo e vitale nelle sue forme più deleterie. Detto fenomeno si articola non soltanto attraverso l'azione vandalica del privato in certo senso fine a se stessa, ma ormai ha assunto dimensioni che si sviluppano attraverso canali e meccanismi di tipo commerciale, industriale e criminale in senso stretto (fino alle più note attività di combattimenti tra cani per i quali si deve riservare un titolo argomentativo a parte). Dobbiamo nel contempo rilevare, con serenità, ma con estrema e coerente decisione, che il nostro ordinamento giuridico è totalmente impreparato ad affrontare questo fenomeno a livello di disciplina sanzionatoria (preventiva e repressiva). Va infatti ribadito che il nostro sistema penale non prevede una norma specifica contro il maltrattamento e le uccisioni gratuite degli animali. Deve essere infatti sottolineato che l'articolo 727 del Codice penale “contro il maltrattamento degli animali” non è una norma diretta alla tutela degli animali ma, paradossalmente, alla tutela del comune sentimento di pietà che ha o dovrebbe avere un eventuale essere umano presente all'incrudelimento su un animale. Non a caso il reato è inserito attualmente sotto il titolo delle “contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi”. Va inoltre evidenziato che, al di là della finalità specifica della norma (che risente dunque di un vizio genetico insuperabile) la previsione sanzionatoria non sortisce alcun effetto né deterrente né repressivo perché si tratta in realtà di una modestissima somma di denaro: da 1032,91 a 5164,56 euro. La pena è quindi soltanto pecuniaria e di fatto simbolica: è infatti oblazionabile, il che permette con il pagamento di una modestissima somma di evitare il processo, estinguendo così il reato. E poiché si prescrive in due anni, massimo tre, non da quando il reato è stato scoperto ma da quando è stato compiuto, ha 5 un effetto deterrente nullo, a causa dello svolgimento medio di un processo, successivo ai tre anni di tempo. Un reato così modesto non fornisce poi peraltro neppure strumenti investigativi idonei agli organi di polizia. Per poterlo applicare è inoltre necessaria una sincronia eccezionale di eventi che mettano assieme la sensibilità di chi denuncia, dell'organo di polizia che accerta e dell'organo giudicante. Alcune condotte inoltre, come l'uccisione del proprio animale, senza “maltrattamenti”, sono ancora addirittura lecite! L'articolo 638 del Codice penale poi, formulato negli anni '30 e recentemente passato di competenza al Giudice di Pace, mira a tutelare solamente il proprietario per il valore economico dell'animale allevato ed è peraltro attivabile solo su querela di parte. Il punto fondamentale di un problema di riforma di tale normativa è da ricercarsi tuttavia prima ancora che nella entità della pena in realtà nella costruzione giuridica della norma in questione. Infatti questa arcaica ed ormai superata tipologia di illecito non è diretta a tutelare gli animali in quanto esseri viventi e senzienti. Sia chiaro: non si va a ipotizzare o proporre una irrealista questione di “diritti soggettivi” degli animali o altrettanto irrealiste modifiche costituzionali per favorire l'evoluzione di principio sulla natura giuridica degli animali medesimi, ma è nostra intenzione, restando su un piano tecnico giuridico qualificato, proporre una forte e realmente rivoluzionaria qualificazione giuridica degli animali che devono essere considerati destinatari diretti della protezione normativa come esseri viventi e senzienti, posizione giuridica che oggi non esiste nella norma. Inutile quindi insistere per aumentare semplicemente le pene dell'attuale articolo 727 codice penale. Nessun aumento di pena per quanto forte potrà mai modificare la struttura genetica di tale reato che è e resterà sempre un articolo del codice non diretto a tutelare gli animali ma finalizzato a tutelare l'uomo, ed esattamente il sentimento di pietà umano. Finché resteremo ingessati dentro questo preistorico sistema normativo, tutte le modifiche saranno comunque viziate da tale presupposto e l'applicazione della norma continuerà ad essere metastaticamente limitata al livello giurisprudenziale. Infatti non riusciamo ad avere una importante presenza di sentenze che stabiliscono il diritto degli animali a non soffrire perché una norma del genere non esiste. In realtà, e non sembri paradossale vista la situazione, se fino ad oggi un certo filone della magistratura più sensibile ed attenta a questi problemi, ha pronunciato sentenze innovative sul maltrattamento ed uccisioni gratuite partendo dal presupposto del diritto degli animali a vivere e a non essere violentati in quanto esseri senzienti, accertando il concetto del maltrattamento dolore, questo costituisce una forzatura giurisprudenziale perché appunto queste sentenze hanno interpretato l'arcaico 727 c.p. in modo nuovo ed aderente alla realtà dei tempi e dei costumi. Ma proprio perché si tratta di forzature giurisprudenziali, non si può vivere di rendita su un sistema penale completamente distonico laddove la norma dice una cosa (limitata e vetusta) ed una parte della giurisprudenza dice una cosa diversa (attuale e moderna). Anche perché poi non tutta la giurisprudenza è sensibile e attualizzata e dunque registriamo anche i filoni di sentenze asetticamente aderenti alla norma vigente e dunque di totale insoddisfazione 6 sotto il profilo della tutela giuridica degli animali. E' dunque ormai il momento di adeguare la norma alla giurisprudenza più evoluta! Perché di fatto oggi la sensibilità pubblica, i costumi e l'evoluzione di parte dell'ordinamento dei giudici è molto più attuale e moderno della ormai improponibile formulazione dell'art. 727 c.p. atteso che si rende necessaria una norma che tuteli gli animali in via diretta in quanto esseri senzienti e capaci di soffrire. In questo senso e con queste finalità emotive e profondamente animaliste, ma canalizzate in un contesto di profonda scientificità professionale tecnico-giuridica, un gruppo di giuristi della LAV (nel quale ho avuto il piacere e l'onore di essere chiamato a lavorare) ha creato una proposta di modifica integrale di questa normativa. Attenzione: non una modifica del 727 o una ennesima riedizione più severa, né una utopistica proposta di norma che crea “diritti soggettivi” in capo agli animali, ma una seria e articolata proposta assolutamente realista nei contenuti e nelle pene per introdurre nel nostro ordinamento giuridico un articolo di legge teso a proteggere gli animali in quanto tali. Abolendo preventivamente sia l'ormai esausto 727 sia l'interfaccia ideologico e cioè l'art. 638 del medesimo codice penale che oggi, per coerenza con lo spirito della vecchia (ma tuttora vigente) normativa considera gli animali “cose” ed “oggetti” e non esseri viventi (si veda dunque che l'art. 638 del codice penale punisce il “danneggiamento” di un animale altrui e quindi al pari di un “danneggiamento” di un'autovettura o di uno stereo!). Questo ormai improponibile binomio normativo, che fino ad oggi ha sterilizzato ogni azione giuridica tesa a tutelare gli animali, va cancellato integralmente. Non modificato o aggiornato, ma cancellato per coerenza ideologica e sistematica. Il tutto va sostituito integralmente con una norma che partendo da presupposti, appunto, ideologici e sistematici opposti, e cioè la finalità di tutelare gli animali in quanto esseri viventi e senzienti, preveda poi coerentemente una serie di illeciti in gradazione sanzionatoria progressiva e con proporzionata severità. In questo senso e con queste finalità credo che l'iniziativa della LAV costituisca una vera proposta di evoluzione normativa radicale e fortemente significativa, al passo con i tempi e fonte di una vera innovazione giuridica che possa garantire da un lato una previsione normativa certa e chiara, e dall'altro anche la risoluzione di problemi di vera assurdità giuridica oggi esistenti. Tra questi ultimi, uno merita tra tanti la citazione: la confisca dell'animale sequestrato nelle mani del soggetto responsabile del reato di maltrattamento. Per il nostro ordinamento giuridico oggi questo animale maltrattato è una “cosa”, un “corpo di reato” inanimato. Dunque può essere restituito al soggetto che lo ha maltrattato dopo il pagamento dell'oblazione o del decreto penale di condanna! Oppure, nel migliore dei casi, per essere affidato definitivamente a volontari zoofili deve seguire la trafila burocratica delle “cose” sequestrate e confiscate: andare all'asta! La proposta LAV attualizza ed affronta anche questi problemi che sembrano marginali ma che in realtà sono frutto di una norma antica ed ormai desueta. Sembrerà paradossale, ma con l'attuale art. 727 la procedura per non restituire l'animale maltrattato al soggetto penalmente riconosciuto colpevole del maltrattamento se 7 padrone dell'animale medesimo è fonte di battaglie giudiziarie, spesso perse. Crediamo sia veramente ora di cambiare radicalmente la norma. L'iniziativa della LAV ed il “manifesto” di adesioni merita dunque l'adesione di tutti. 8 RELAZIONE AVV. GIAN LUCA LAURENZI - LEGALE FIDUCIARIO LAV UMBRIA Palazzo dei Priori di Perugia, Sala dei Notari, 18 gennaio 2003 Nella disamina dei casi concreti di tutela legale va dapprima fatta una precisazione quantomai importante al fine di comprendere alcuni dei casi che verranno trattati: l'Umbria, che ha dato i natali a S. Francesco, simbolo di Pace tra gli esseri viventi e di armonia tra tutte le creature, ha una casistica quantomai varia di maltrattamenti agli animali e vi è una certa resistenza da parte degli organismi pubblici alla tutela: gli animalisti sono visti come degli importuni. Proprio per questo, nonostante numerosi episodi in cui si è riusciti ad ottenere la tutela legale dei diritti degli animali, in questa sede si vogliono evidenziare due casi eclatanti di giustizia “negata”. LA FESTADELLA “PALOMBELLA” DI ORVIETO Nel giorno del Corpus Domini nella città di Orvieto si tiene un rito vecchio di secoli, risalente al XVI° secolo. Una colomba bianca (viva) viene legata con le ali aperte su di un telaio a forma di ruota nel quale sono posti anche numerosi petardi e viene fatta scorrere su di un cavo metallico posto a notevole altezza, il tutto a simboleggiare la discesa dello Spirito Santo. Dopo il rito la colomba (“palombella”) viene donata ad una coppia di novelli sposi che la devono custodire. Il fatto che per tale rito sia utilizzato un essere vivente sta provocando da alcuni anni una ribellione dei movimenti animalisti, dapprima, e poi da parte di personalità della scienza, cultura e dello spettacolo (ad es. Lea Massari e Margherita Hack), in quanto si sostiene che non snaturerebbe affatto il rito sostituire l'animale vivo con un simulacro. Non occorre dire che la festa del Corpus Domini ed il rito della “palombella” sono molto sentiti dalla popolazione di Orvieto. Nel 1998, parallelamente ad alcune manifestazioni di protesta tenutesi durante la festa, la LAV, il WWF ed altre associazioni animaliste presentarono, presso la locale Procura della Repubblica, formale denuncia nei confronti del Sindaco di Orvieto, del Vescovo di Orvieto e del Presidente dell'Opera del Duomo di Orvieto, sostenendo la violazione dell'art. 727 c.p. (maltrattamenti ad animali) in quanto legare un organismo piccolo e delicato come quello di una colomba, in una posizione innaturale, farlo scorrere su di un filo metallico, ma soprattutto, fargli scoppiare a pochi centimetri di distanza dei petardi e mortaretti, era (ed è) un vero e proprio maltrattamento. Tale nostra tesi era supportata da pareri di alcuni docenti dell'Università di Camerino, Trieste ed Udine. La nostra denuncia provocò un vero e proprio sommovimento popolare a sostegno della Festa; sommovimento alimentato anche da una campagna diffamatoria che voleva le associazione animaliste -ottuse e becere- pronte alla lotta per far abolire la 9 Festa, quando non è mai stato nelle intenzioni della LAV l'abolizione del rito, ma si è sempre chiesto e si continua a chiedere la semplice sostituzione dell'essere vivente con un simulacro inanimato. Con provvedimento del 22.01.1999, il Procuratore della Repubblica presso l'allora Pretura di Orvieto richiese al GIP l'archiviazione delle indagini sulla scorta di varie motivazioni. Premettendo che la fattispecie non s'inquadra in alcuna delle ipotesi previste e punite dall'art. 727 c.p., il PM iniziò la propria richiesta sottolineando che: «non sussiste, invero incrudelimento verso l'animale senza necessità e cioè la sottoposizione a crudeltà inutili, inflizione allo stesso di sofferenze al solo scopo di malvagità». Proseguì, poi, chiarendo che: «Circa lo stato della colomba dopo la cerimonia è emersa innanzitutto l'impossibilità di accertare eventuali stress e danno dalla stessa subito», affermando immediatamente dopo che, comunque la “palombella” non ha subito alcun danno soltanto perché era viva e vegeta. Dopo aver svolto delle valutazioni sul fatto che la sostituzione con un simulacro: «…avrebbe svuotato di ogni contenuto la festa stessa» e quindi, essendo la tradizione ben radicata si sarebbe potuto parlare di “necessità”, il PM si avventurò in valutazioni giuridiche affermando: «…mancherebbe, come manca, sempre l'elemento soggettivo dello stesso (reato) che necessita per tale condotta specifica (incrudelimento), per giurisprudenza e dottrina costanti (che, però, il PM si guarda bene dal citare) del dolo e cioè della coscienza e volontà di sottoporre l'animale a sofferenze per sfogo di malvagità o altro». Il macroscopico errore tecnico-giuridico del PM, al di là delle sue valutazioni personali non condivisibili, è quello che per avvalorare la richiesta di archiviazione parla di evidente mancanza del dolo in un reato contravvenzionale (art. 727 c.p.) per cui è indifferente, ai fini dell'accertamento, la sussistenza del dolo o della colpa: è sufficiente il solo fatto in sé, senza alcun rapporto con l'elemento soggettivo. La fattispecie di cui all'art. 727 c.p., infatti, è rubricata come reato contravvenzionale e per una parte della dottrina (Pannain, Saltelli-Romano, Altavilla, Battaglini e Maggiore) nelle contravvenzioni non occorre né dolo né colpa: non è necessario, cioè, che il fatto sia realizzato intenzionalmente e neppure che sia stato commesso per imprudenza o negligenza, basta che l'azione e/o omissione sia cosciente e volontaria. Per altra parte della dottrina, invece (Antolisei, Vannini, Musotto, Pagliaro, FiandacaMusco), con somma attenzione alla lettera del terzo capoverso dell'art. 42 c.p., escludendo l'azione cd. “incolpevole”, per la contravvenzione è necessaria almeno la colpa. La Corte di Cassazione sul punto specifico dell'art. 727 c.p. ha poi definitivamente chiarito che: «Il reato di maltrattamento di animali è integrato non solo da comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza nei confronti degli animali, ma anche da condotte che, pur non accompagnate dalla volontà di infierire su di essi, incidono, senza giustificazione, sulla sensibilità dell'animale producendo dolore; l'art. 727 c.p., infatti, tutela gli animali in quanto autonomi esseri 10 viventi, dotati di sensibilità psico-fisica e capaci di reagire agli stimoli del dolore» (Cass. Pen. 14.03.1990, c. Fenati). Il Pretore di Amelia, inoltre, con una sentenza esemplare ha mirabilmente delineato la fattispecie alla quale si riferisce l'art. 727 c.p.: «Il concetto di maltrattamento ed incrudelimento verso un animale può essere inteso ed individuato con riferimento al concetto di maltrattamento-dolore; gli animali, in quanto innegabilmente esseri viventi dotati di sensibilità fisica, reagiscono a tutte le modifiche che si verificano attorno a loro (contatti, temperatura, odori, suoni, luci, cibo, stress, eccitazione, trattamento) positivamente entro determinati limiti fisiologici; se questi limiti (soglia) vengono superati l'animale prova dolore e quindi reagisce in vario modo; il maltrattamentodolore è quindi una violazione delle leggi naturali o biologiche, fisiche e psichiche di cui l'animale è portatore; le categorie di maltrattamenti e sevizie possono essere fisiche (violenza gratuita di ogni tipo occasionale o abitudinaria, fame, sete, incrudelimenti nel campo del lavoro con fruste, pesi, finimenti, eccesso di fatica, impiego antifisiologico; mattazioni con mezzi dolorosi; attività sportive con animali come bersagli od oggetto di divertimento, etc...) genetiche o meccaniche (selezioni genetiche od interventi su cromosomi per ottenere prestazioni o produzioni animali anomale; costrizioni in condizioni di allevamento che ne impediscono la deambulazione o lo sviluppo delle ordinarie attività fisiche; forzature di alimentazione etc...); ambientali (costrizione in esasperate situazioni di cattività); superata la soglia della reattività al dolore e violate cioè le leggi biologiche naturali mediante maltrattamento-dolore, il reato di cui all'art. 727 c. p. può dirsi integrato.» (Pret. Amelia 07.10.1987 c. Cecchetti). Inoltre, precisa la Cassazione: «Sussistono gli estremi della contravvenzione di cui all'art. 727 c.p. (maltrattamenti di animali) nel caso di uccelli vivi legati per la coda mediante fili, strattonati per farli levare in volo breve con ricaduta; infatti, si infliggono a tali esseri viventi, dotati di sensibilità psico-fisica e capaci di sentire il dolore, ingiustificate gravi sofferenze, con offesa al sentimento comune di pietà verso gli animali» (Cass. Pen, III sez., 11.09.1995 c. Cattelan) La palombella, infatti, a differenza della fattispecie di cui alla sentenza citata, non è “semplicemente” legata viva, ma è anche circondata da petardi e fumogeni che le esplodono a pochi centimetri di distanza. Questi argomenti, insieme a molti altri, vennero inserite nell'atto di opposizione alla richiesta di archiviazione che redassi e presentai al Giudice delle Indagini Preliminari di Orvieto. Con provvedimento del 30.03.1999, accogliendo le tesi del PM, il GIP dispose l'archiviazione facendo proprio un precedente provvedimento nella stessa materia emesso dal Pretore di Orvieto nel 25.05.1988, sottolineando, con evidente arretratezza giuridica, viste anche le pronunce sopra e successive a quella data, che l'art. 727 c.p.: «…è diretto non tanto a salvaguardare l'incolumità degli animali, quanto a non suscitare negli uomini (…) gli istinti peggiori…», definendo la nostra denuncia: «…frutto, oltre che di una errata informazione, di una insensibilità fuori dal comune (…) nonostante siano state apportate delle modificazioni tali da ridurre, comunque, il turbamento (…) 11 derivante dallo scoppio di mortaretti» non precisando affatto, tra l'altro, quali fossero tali “modifiche”. La triste conclusione della vicenda è il sintomo della fortissima pressione ambientale subita dal PM e dal GIP di Orvieto, unita ad una personale ed evidente insensibilità degli stessi, che hanno fatto sì che, oltre a tutta la città, anche la Magistratura di Orvieto o, quantomeno, parte di essa, ignorando palesemente i principi generali del diritto e qualsiasi norma di buon senso e civiltà, si ergesse a difesa di un chiaro caso di maltrattamento censurato da tutto il mondo. AZIONE DI RESPONSABILITA' PROFESSIONALE NEI CONFRONTI DI UN VETERINARIO Nel 1998 una ragazza offertasi volontaria ricevette in affidamento dalla LAV un cucciolo di cane, razza Rottweiler, sesso femminile di nome Nessi, che era stata posta sotto sequestro dai Carabinieri di Frascati nell'ambito di operazioni contro i combattimenti dei cani. La cagna, inserita in un ambiente “normale” circondata da affetto e cure era cresciuta con un carattere mite ed affettuoso, nonostante le sevizie subite. Una mattina, probabilmente per seguire qualcuno di casa che usciva in auto, riuscì a fuggire dal giardino dove era custodita. Rintracciata immediatamente a pochi metri da casa, Nessi zoppicava vistosamente presentando un vistoso rigonfiamento in corrispondenza del garrese posteriore sinistro e, pertanto, veniva portata immediatamente presso uno studio veterinario. Il dottore effettuava una visita generica alla cagna diagnosticando una semplice contusione ed un versamento dove l'animale presentava il gonfiore. Il veterinario non ritenendo opportuno un esame radiografico, prescriveva un forte antidolorifico (Rimadyl) da somministrare a Nessi, non avvertendo la volontaria che tale medicinale andava assunto dalla cagna a stomaco pieno in quanto avrebbe potuto provocare danni alla mucosa gastrica di un animale che, seppur già di grossa taglia, era biologicamente ancora cucciolo. La volontaria pagò regolarmente la visita senza che il veterinario rilasciasse regolare ricevuta fiscale. La cagna Nessi fu portata il giorno successivo dal veterinario per un altro controllo. Il veterinario, pur se sollecitato continuava a non ritenere opportuno un esame radiografico, in quanto sosteneva non esserci frattura perché il dolore sarebbe stato insopportabile per il cane e visibile; sempre a suo dire, al massimo ci potevano essere delle microfratture che si sarebbero saldate nel giro di poche settimane spontaneamente. Sulla base di tale ulteriore diagnosi, il dottore invitò la volontaria ad avere pazienza e la esortò a far fare a Nessi delle lunghe passeggiate per, a suo dire, far riassorbire l'ematoma. La volontaria portò spontaneamente per i quattro Lunedì successivi Nessi dal 12 veterinario per controlli periodici. Nonostante, però, la volontaria si fosse attenuta alla lettera alle prescrizioni del veterinario, Nessi continuava ad essere claudicante, il gonfiore sul garrese posteriore sinistro si riduceva in larghezza, ma non in altezza e la cagna si mordeva continuamente la zona, tanto che aveva rasato completamente il pelo. Esposti tali fatti nel corso di un controllo, il dottore, continuando a sostenere ostinatamente la propria diagnosi di una semplice contusione, ritenne che la cagna si mordesse nella zona non perché provasse dolore, ma perché affetta da parassiti e prescrisse degli antiparassitari da somministrare a Nessi. Passate quattro settimane, visto che non si riscontravano miglioramenti e visto che tale strano gonfiore al tatto non sembrava un versamento, in quanto era molto più duro, la Sig.ra Marchetti pretese, anche con toni duri un esame radiografico, dal quale emerse che esisteva una lussazione dell'anca, e che quello che il veterinario aveva diagnosticato come un “versamento” non era altro che la testa del femore che sporgeva e quelli che per il convenuto erano “parassiti” non erano altro che i morsi che Nessi si dava per il fastidio. Purtroppo, dopo oltre un mese nel quale, su suggerimento del veterinario, Nessi aveva camminato a lungo, la lussazione non poteva più essere ridotta manualmente, ma soltanto chirurgicamente. Dopo essersi rivolta ad altro veterinario per curare, per quanto possibile, Nessi, la volontaria, anche sulla base del referto medico rilasciatole dal secondo, dal quale emergeva tutta la responsabilità del veterinario negligente, conveniva in giudizio davanti al Giudice di Pace, il veterinario negligente per sentirlo condannare al risarcimento dei danni. Nel giudizio si costituiva in adiuvandum all'attrice anche la LAV. Oltre che con documenti prodotti, per l'istruzione della causa venne richiesta la testimonianza di alcuni amici della volontaria che, a turno, l'avevano accompagnata dal negligente, oltre ad una consulenza tecnica d'ufficio, da parte di un veterinario indipendente dalle parti, al fine di verificare, senza ombra di dubbio, la sussistenza o meno della responsabilità del dottore. Appena formulate tali richieste istruttorie, assolutamente ordinarie in ogni processo civile, il Giudice ebbe da obiettare che tutte queste richieste -che avrebbero comportato una rispettabile attività istruttoria, per un semplice cane (!!!), gli parevano troppe. Riservandosi la decisione sull'ammissione delle richieste istruttorie, il Giudice sciolse la riserva non ammettendo tali richieste con la motivazione che fossero superflue e, nonostante avessimo reiterato più volte tali richieste, chiedendo al Giudice di tornare sui suoi passi, egli invitò le parti alla precisazione delle conclusioni, trattenendo la causa in decisione. La sentenza rigettò la nostra domanda con la motivazione che l'operato del dottore non appariva censurabile, non spiegando affatto, come un medico veterinario possa non accorgersi di una lussazione dell'anca (ipotesi tra le più semplici da diagnosticare) e non spiegando affatto i veri motivi per cui le prove richieste erano state ritenute 13 irrilevanti. Nonostante il suggerimento di proporre appello alla sentenza, la volontaria si dimostrò nauseata da tale episodio, preferendo non appellare. CONCLUSIONI Fortunatamente non tutti i giudici sono come quelli di cui vi ho appena narrato. Dalla mia esperienza e dai casi ora esposti ho potuto appurare che la maggior parte delle volte nelle quali si è ottenuta la tutela, in campo giudiziario, di una situazione di maltrattamento, è stato più per la sensibilità del singolo magistrato nei confronti dei movimenti animalisti, che per la tutela fornita dall'ordinamento. Di fatto l'ordinamento oggi vigente, assolutamente carente sul punto, permette tale discrezionalità da parte di ogni magistrato che non sia sensibile alla tutela dei diritti degli animali. Ritengo, quindi, che occorra un intervento legislativo volto ad escludere, per quanto possibile, il potere discrezionale dei magistrati, rendendo assolutamente vincolante ed abbastanza rigida l'obbligatorietà dell'azione penale e/o il risarcimento civile ed, accertata la penale e/o civile responsabilità dell'imputato, la condanna. L'approvazione del 15.1.2003, con larga maggioranza, da parte della Camera dei Deputati del progetto di Legge che riforma i reati nei confronti degli animali, è già di per sé una grande vittoria dei movimenti animalisti, anche perché tale approvazione è avvenuta con un larghissimo consenso “trasversale” ai partiti, ma, forse è brutto dirlo, potrebbe non essere ancora sufficiente. Al di là, infatti, dell'inasprimento delle pene, l'introduzione di nuovi delitti (fin'ora i reati contro animali erano, come abbiamo visto, delle semplici contravvenzioni) e della previsione più ampia e più specifica delle fattispecie sanzionabili, alla luce di quanto ora esposto, le norme forse avrebbero dovuto allargare il novero dei responsabili ed indicare con maggior precisione, una volta individuato il configurarsi del reato, una catena precisa di responsabilità e di soggetti imputabili. Nel progetto di introduzione dell'art. 623-quinquies, tanto per fare un esempio, sarebbe auspicabile che venisse prevista esplicitamente e senza possibilità discrezionale la punibilità anche di coloro che assistono (anche senza scommettere e/o favorirne l'organizzazione) ai combattimenti clandestini, proprio per stroncare alla radice il fenomeno. Si sente questa esigenza proprio per evitare per il futuro che chiunque chieda la tutela dei diritti degli animali sia trattato alla stregua di un importuno, affetto da patologia monomaniacale che chiede la tutela di un bene risibile, di un bene di secondo piano, di un bene di serie “B”. Non esiste giustizia di serie “B”, non esistono reati di serie “B”, deve esistere una nazione democratica che tutela nella stessa maniera ed efficientemente tutti gli esseri viventi a prescindere dalla specie. 14 ASPETTI NUTRIZIONALI E BIOETICI DELL'USO DI ALIMENTI DI ORIGINE ANIMALE NELL'ALIMENTAZIONE UMANA Dott. Franco Trinca Spec. in Scienza dell'Alimentazione Come Nutrizionista sensibile agli aspetti etici connessi all'alimentazione e che in passato ha fatto un'esperienza semi vegetariana (priva cioè di alimenti provenienti da animali uccisi quali carni e pesci) di circa due anni, la mia tesi è che la decisione di escludere del tutto o in parte dall'alimentazione i cibi di origine animale, passando ad una delle varianti di regime vegetariano, ancorché legittima ed ineccepibile, non trova il suo fondamento essenziale in motivazioni prettamente nutrizionali. Da questo punto di vista, il modello mediterraneo, inteso come mixer di cibi vegetali e cibi animali equilibrati in quantità, frequenza e rotazione, conferma la sua piena validità. Tale considerazione di tipo tecnico, nulla toglie non solo alla legittimità, ma perfino all'ammirazione che si deve verso scelte etiche che conducono ad eliminare dalla propria alimentazione i cibi derivanti dall'uccisione e/o dallo sfruttamento violento degli animali. Voglio però sottolineare che, la nobiltà di una scelta di questo genere, trova fondamento proprio nelle motivazioni etico-spirituali che possono condurre un essere umano a decidere di voler vivere senza infliggere ad altri esseri morte e sofferenza, più che in quelle di tipo nutrizionale. L'osservazione che in natura la catena alimentare e l'evoluzione delle specie si fondano sul cannibalismo obbligato, non giustifica in alcun modo le diffuse obiezioni razionalistiche che tendono a svilire la scelta vegetariana a moda inutile e innaturale. Infatti, la natura non è un meccanismo statico, bensì un processo in divenire, il cui senso spirituale può sfuggire solo ai razionalisti per fede, o agli ignoranti (in senso etimologico e non offensivo). Infatti, ad un'analisi più profonda, appare evidente come l'Uomo rappresenti lo stadio di risveglio della coscienza, di quell'energia preatomica manifestatasi con l'ormai famoso big-bang e successivamente assemblatasi (in virtù delle leggi fondamentali dell'Universo) in categorie sempre più complesse: atomi, molecole, aggregati macromolecolari, cellule, organismi pluricellulari semplici e complessi, fino all'uomo per l'appunto. A ciascuno degli stadi ricordati dell'evoluzione naturale, corrisponde una diversa capacità di interazione e coscienza delle leggi fondamentali dell'universo: non solo la termodinamica, la gravitazione, la meccanica quantistica, le leggi che permettono l'immagazzinamento dell'informazione in molecole autoreplicanti come il DNA e le 15 proteine, o che regolano la duplicazione della cellula, o quelle che permisero l'assemblaggio permanente di miliardi di cellule in colonie cellulari che decisero di fondersi in unità superiori, quali sono gli organismi pluricellulari; nel novero delle leggi fondamentali dell'universo bisogna includere anche quelle più filosofiche, come la conoscenza dell'ambiente circostante distinto dal sé, la coscienza dell'io e, finalmente, la coscienza del Bene e del Male, cioè l'etica. L'Uomo, quindi, cosciente da un lato della sofferenza propria e di quella altrui, come pure attratto irresistibilmente dalla dolcezza di una carezza o di un gesto di amicizia scambiato anche con un animale diverso da lui, avverte ineluttabilmente la contraddizione tra amare e far soffrire. In conclusione, come è naturale che un leone azzanni una gazzella senza provare la benché minima pietà, anzi con pieno senso di godimento e autorealizzazione, è altrettanto naturale che il superiore stadio di coscienza rappresentato dall'uomo, prima o poi, si interroghi sulla sofferenza connessa alla pratica della violenza e dell'uccisione di altri esseri viventi, necessaria per trasformarli in cibo. L'ultima cosa che mi sento di raccomandare a coloro che sono già dentro la scelta vegetariana, o a quelli che stanno prendendo consapevolezza del problema, ma non si sentono ancora pronti, è di non condannare ma perdonare sé stessi e gli altri per la possibile incoerenza, altrimenti violerebbero quella motivazione d'amore che sorregge una scelta così naturalmente rivoluzionaria. Sotto il profilo prettamente nutrizionale, consiglio di non improvvisare il regime vegetariano, specie nella forma vegana che esclude anche derivati del latte e uova; bensì di programmarlo attentamente con qualcuno di provata esperienza teorica e pratica, al fine di evitare alcune possibili carenze nutrizionali derivanti non dal vegetarianesimo in sé stesso, bensì dalla sua pratica non oculata. Mi riferisco in particolare ad oligoelementi come il ferro e lo zinco, allo jodio, a macrominerali come il calcio ed il fosforo, ad alcune vitamine del gruppo B, in particolare la B12, a diversi amminoacidi essenziali per la sintesi proteica, come ad esempio fenilalamina, metionina, triptofano, ecc.. Nell'impostare il regime vegetariano, raccomando di non fermarsi ai pur utili cereali, tanto meno nella forma raffinata industriale, ma di consumare regolarmente sufficienti razioni di legumi, compresa la soia, sia nella forma di legume tal quale, sia come derivati proteici; ovviamente ortaggi di tutti i tipi: insalate, carciofi, patate, spinaci, ecc…; la frutta fresca e quella oleosa come noci, mandorle, nocciole e simili, non dovrebbero mancare mai, come pure i semi: di girasole, sesamo, zucca, ecc. Alcuni alimenti non convenzionali come il lievito di birra, le scaglie di germe di grano, il polline, la pappa reale, le alghe sia di mare che di acqua dolce, perfino elementi naturali come argilla e rocce dolomitiche polverizzate, costituiscono senz'altro delle ottime fonti per l'integrazione di alcune delle possibili carenze sopraricordate. Tenendo conto di questi ed altri accorgimenti, la scelta vegetariana non potrà che fare bene al corpo e allo spirito di chi sceglie di praticarla. 16 ESSENZE Se fossi come pianta gambe non avrei per rincorrer prede, mani e braccia per ghermirle, nella faccia denti per strappar brandelli di vita e carne, né stomaco da saziare muscoli da accrescere sangue e organi cannibali. Non vorrei gli occhi che videro il terrore né orecchie che udirono grida strazianti. Terrei i pensieri mia essenza corpo spirituale che non uccide e pur si nutre, di sapienza e amore 17 18 Fabrizio Rueca Il concetto di violenza è strettamente legato al concetto di sofferenza, ma a differenza degli altri esseri viventi gli umani possono decidere in piena consapevolezza se causare sofferenza o no. I modelli di violenza nei confronti degli animali sono legati a tante forme, che vanno dalla vivisezione, ai circhi, agli zoo, agli allevamenti industriali, ecc.. in tutto ciò stranamente l'uomo sembra avere dei diritti e sempre la risposta ( “scientifica o economica”) pronta nel giustificare tali pratiche nel nome di un benessere collettivo dove nel nome di molti, pochi si ergono a difensori della specie umana, e diventa quindi indispensabile l'applicazione di pratiche nella maggior parte dei casi inutili e aberranti a volte senza senso nel bieco tentativo di giustificare tutto ciò, secondo il modello aristotelico dove;” il minore esiste per soddisfare gli scopi del maggiore, gli animali sussistono allo scopo di promuovere il bene degli esseri umani”. O secondo il modello cartesiano secondo cui gli animali sono paragonabili ad una macchina retta da principi meccanicistici che non prova né dolore né piacere ne nessuna altra cosa, addirittura priva di pensiero perché priva di coscienza appannaggio solo dell'uomo. Ma il concetto di violenza è ovviamente correlato al suo opposto, cioè al concetto di rispetto, sia per le persone che per gli animali e ciò si può ottenere solo tramite un processo di identificazione e di empatia con la consapevolezza che animali e uomini hanno un destino comune nella condivisione di un pianeta in cui la loro presenza è indispensabile oggi più che mai per mantenere in perfette condizioni di equilibrio tutta la biosfera. Ciò di cui non si tiene conto nella valutazione dei dati cosiddetti scientifici ottenuti dai vari esperimenti e studi è la non valutazione di alcuni parametri a mio parere di importanza fondamentale, primo fra tutti la differenza che esiste fra specie diverse e addirittura nell'ambito di alcune specie esistono anche delle differenze legate alle varie razze. Infatti esistono delle razze che hanno delle predisposizione a determinate malattie e a certi comportamenti che altri non hanno, essendo ciò frutto di lunghe selezioni ambientali che li hanno portati all'elaborazione di meccanismi di difesa e di protezione non paragonabili a quelli di altre specie o razze, credo pertanto che ciò sia anche valido nell'ambito della specie umana rapportata alle varie razze, a maggior ragione il meccanismo diventa ancora più complesso nella relazione o non relazione esistente tra specie diverse , dove è chiaro che l'essere umano è diverso da una cavia, da un cane, da una gallina, da una scimmia. Per cui spesso i risultati non coincidono, ed hanno bisogno di ulteriori verifiche sugli uomini con risultati catastrofici ( vedi Talidomite, amianto ecc.) Ambiente sociale, gruppo e individuo, Altre variabili concorrono a determinare ancora di più le differenze tra le varie categorie in oggetto e sono legati a degli aspetti che ancora più intrinsechi che sicuramente 19 alterano dati in esame e risposte: ambiente sociale ( territorio zone di caccia, riproduzione, tane ecc.) gruppo, (collettività socializzazione, gerarchie ecc.) individuo (personalità, comportamento, ecc.) sono delle prerogative importanti o per meglio dire vitali nell'ambito delle quali si sviluppano dei meccanismi intrinsechi legati al sistema PNEI ( psico-neuro-endocrino-immunologico) e dai quali dipende la stessa esistenza di qualsiasi soggetto perché fondamentali per l'elaborazione di dati da inserire nel proprio corredo genetico, e per far fronte alle esigenze quotidiane (fuga, difesa, riproduzione, sviluppo di anticorpi ecc..) negli animali da esperimento tutto ciò viene meno, perché o catturati nel proprio abitat naturale da cui vengono strappati a forza, o allevati in cattività, e costretti a vivere nel migliore dei casi all'interno di gabbie collettive o individuali dove la socializzazione non è una scelta ma una forzatura, dove i ritmi circadiani sono alterati, dove l'alimentazione è alterata e dove gli imput sono talmente violenti e veloci da non permettere al sistema biologico di elaborare delle risposte in tempi adeguati e di conseguenza un adattamento, tutte queste sono delle situazioni che portano ad una condizione patologica che tutti conosciamo con il nome di STRESS che non è solo un modo di dire ma una vera e propria indicazione di malattia con alterazione di parametri valutabili biochimicamente. Con il termine di stressore si intende infatti ogni tipo di stimolo di una determinata intensità, durata e frequenza in grado di raggiungere un valore soglia e di attivare la reazione di Selye. Non è importante il tipo di stressore ma le caratteristiche biofisiche dello stesso. 20 Lo stress è benefico per la conservazione di qualsiasi specie, ( eustress ) ma, può mutarsi in malefico con danni irreversibili fino a condurre a morte l'organismo, si parla in questo caso di distress ovvero di una alterazione quantitativa nel senso della durata, frequenza ed intensità dello stressore che perde le caratteristiche qualitative, infatti ogni stressore superata la soglia innesca un meccanismo fisiologico irreversibile A fronte a dei fenomeni di stress si ha una fase di allarme con attivazione prevalente del simpatico che mette in moto tutta una serie di meccanismi legati prevalentemente all'Ipotalamo ; Ipofisi ; Midollare surrenale, che servono a fronteggiare determinate situazioni di pericolo, a cui fa seguito una risposta di rilassamento con ripristino delle funzioni fisiologiche dapprima a livelli più bassi, poi si normalizzano. 21 Fase d'allarme- aumento dell'acido lattico- grassi-zucchero-fattori dell coaugulazione del sangue-catecolamine-diminuzione della resistenza elettrica cutanea-attivazione del simpatico-aumento del tono muscolare-aumento del cortisolo-aumento delle catecolamine-aumento della vigilanza-aumento del metabolismo-aumento della temperatura cutanea ritmo beta. Fase di ripresa-prevalenza del parasimpatico-riduzione delle catecolamine e del cortisolo-diminuzione del tono muscolare-ritmo alfa-diminuzione del metabolismodiminuzione della temperatura cutanea-diminuzione della vigilanza-aumento della resistenza cutanea all'elettricità. Quindi di fronte a delle situazioni di stress avremo: Reazione di Seyle-morte oppure-adattamento entro un certo limite di tempo, fase di esaurimento e morte. Distress quando il meccanismo dello stress risulta alterato quantitativamente. Tutto ciò porta ad una riflessione, ( al di là di un fatto etico e morale su cui non possono esserci discussioni di sorta a riguardo, sul fatto di non infliggere nessun tipo di sofferenza, al di là delle differenze sostanziali che esistono tra la varie specie che portano a delle risposte diverse in seguito alla somministrazione di determinate sostanze rendendo discutibili o del tutto non validi risultati dopo mesi e mesi di inutili sofferenze inflitte,) che gli animali che vengono utilizzati per queste pseudo ricerche scientifiche sono in condizioni di distress continuo e pertanto in uno stato patologico costante determinato da uno stato costante di allarme che altera quantitativamente il meccanismo fisiologico dello stress, pertanto questo è un altro dei motivi per i quali ci si pone una domanda; quanto possono essere attendibili dei risultati in queste condizioni? 22 DALLA “SVOLTA” ECOLOGICA ALLA “MATURITÀ” AMBIENTALE Alessandra Radicioni Il dibattito etico sulle questioni ambientali, il complesso equilibrio che regola rapporti, ruoli e finalità, sta portando oggi ad una radicale trasformazione culturale. Questo si avverte dalla necessità di ridisegnare la mappa dei nostri rapporti con ciò che ci circonda; dal bisogno di recuperare, al di là di facili romanticismi, il mondo naturale. Senza retorica, però, s'impone anche il dovere della responsabilità delle proprie azioni. E di riconoscersi con umiltà “parte di un tutto”, da custodire e preservare. Per evitare un'interpretazione fuorviante del problema è auspicabile costruire adesso un'etica ambientale che trasporti valori utilitaristici, pragmatici ed economici, fondamentali nella nostra cultura, da una sfera pretenziosamente antropocentrica ad una più organicamente ecocentrica. Oggi si avverte la sensazione del “passaggio” da uno stato di crisi ad uno di allerta. La cultura ambientale si diffonde in effetti sempre più ma la crisi ambientale perdura e si aggrava. Da cosa deriva tale contraddizione? Sono troppo deboli le risposte che diamo alla crisi? O troppo forti gli interessi contrari all'ecologia? Per rispondere dobbiamo coltivare ora la possibilità preziosa di costruire nuovi modelli teorici e pratici in relazione al mondo naturale. A tale fine, però, (per riottenere un solido equilibrio tra ambiente e uomo, sovente turbato), forse è necessario muoversi nella maniera più articolata possibile, seguendo una logica interdisciplinare trasversale, senza cadere nei limiti derivanti dalla creazione di una disciplina autonoma. Risulta necessario un globale capovolgimento e riequilibrio ecosistemico prima di tutto a livello mentale. Il discorso si sposta quindi da un piano particolaristico ad uno più propriamente etico ed educativo, con finalità collettive ed universali. Coloro che si sono interessati più o meno attivamente all'ambiente hanno per lo più applicato a questo problema una visione tradizionale dell'etica che è sostanzialmente antropocentrica, nel senso che la natura è apprezzata ed apprezzabile solo nella misura in cui è strumentalmente preziosa per l'uomo. Ma oggi, a distanza di tempo, si avvertono i limiti, in parte devastanti, di una simile cultura, poiché l'uomo ha perso la propria legittimità e fatica a rimpiazzarla. Nel contempo, questo nuovo atteggiamento offre una positiva chiave di lettura della realtà circostante, una nuova considerazione di noi stessi, dell'altro, della natura, degli animali. Entrano in crisi le visioni soggettivistiche, l'immagine della natura come luogo di dominio, la considerazione delle altre forme di vita come subalterne alla propria. Il discorso si orienta in definitiva verso la rivalutazione della diversità. Intesa come varietà. Diversità animali, diversità biologiche, complessità ecosistemiche, diversità 23 culturali, etniche sono oggi a pieno titolo il perno attorno a cui ruotano le domande sulla realtà. Il confronto con la natura, con gli animali, ci spinge alla rivalutazione del nostro passato e della nostra stessa identità, ponendo interrogativi che necessitano di categorie di elaborazione diverse. L'uomo scopre improvvisamente l'immane tragedia degli animali, l'urlo insostenibile dell'ambiente, lo svilimento del convivere sociale, e contemporaneamente scopre il dovere di una responsabilità nei confronti del proprio passato e del proprio futuro, del pianeta Terra, della natura in ogni sua forma. Tuttavia, la grave crisi dell'antropocentrismo apre anche strade che spesso si dimostrano parziali e insufficienti con il rischio di riproporre, semplicemente capovolgendoli, gli stessi errori storici del passato. Fra cui quello di limitare la questione al contenimento delle azioni umane, al rispetto dei doveri nei confronti della natura. Con il rischio di proporre una soluzione unilaterale a questioni che sono invece complesse, come il rapporto uomo-natura, l'animalità, la naturalità. Le nostre valutazioni non possono pertanto prescindere da un concetto più articolato di etica, che non è un corpus normativo, ma un legame dialettico con la realtà. L'etica ambientale diventa quindi uno strumento utile ad inquadrare in una prospettiva globale e sistemica problemi, quali quelli relativi all'ambiente, che hanno la loro peculiarità, appunto, nell'essere problemi globali, sistemici, complessi. Il punto cruciale è forse questo: non si può rispondere al complesso con il semplice e l'isolato. L'elaborazione di una nuova etica del vivente può avvenire solo attraverso il superamento della frammentazione del sapere, dell'isolatezza delle discipline, della parzialità delle strategie. Solo in virtù di un superamento dell'antinomia tra atteggiamenti scientifici e atteggiamenti emotivi e, cioè, tra scienza e coscienza. Attraverso l'accettazione della diversità come ricchezza. Sotto questa unità, che è poi un auspicio, possiamo superare lo scisma schizofrenico fra la teoria e la pratica, fra la conoscenza della natura e l'abitare nel mondo naturale. Ci occorre, in definitiva, un'etica ambientale a tutto tondo e propositiva, perché dalla “svolta ecologica” si riesca a passare, finalmente, alla “maturità” dell'ecologia. Alla consapevolezza che l'uomo è solo una porzione del mondo naturale. Mentre a lui spetta l'arduo compito di determinare per sé e per gli altri esseri viventi il “bello” o il “cattivo” tempo. Una responsabilità che, se usata correttamente, è già di per sé una forma di energia. 24 Carlo Ripa di Meana Roma, 17 Gennaio 2003 A fronte di una notevole e positiva evoluzione nella coscienza collettiva degli italiani sul tema dei diritti degli animali, purtroppo in Italia, dopo il fecondo periodo dei primi anni '90, poco si è fatto. Dal 1991 al 1993 abbiamo avuto: l'approvazione della legge quadro sulle aree naturali protette, della legge quadro contro il randagismo, quella di recepimento della Convenzione di Washington contro il commercio degli animali esotici, la riforma (in senso restrittivo) della legge sulla caccia, la legge sull'obiezione di coscienza alla vivisezione, la riforma per estensione e precisazione del reato dell'art. 727 del codice penale sui maltrattamenti degli animali. Dopo di ciò, quasi il nulla! Nei cinque anni di governo dell'Ulivo, un solo atto legislativo: il decreto legislativo del 2001 che vieta l'allevamento degli animali da pelliccia dal 2004 in poi. In Umbria, invece, nei due anni e mezzo appena trascorsi della presente legislatura regionale, la sola legge regionale pro animali approvata è stata quella contro le esche avvelenate, da me presentata e votata, infine, dal Consiglio regionale non senza alcuni emendamenti peggiorativi. Con l'attuale governo Berlusconi, in poco più di un anno abbiamo avuto, invece, il decreto Sirchia sulla pet terapy, e contro il commercio delle pellicce di cane e di gatto, la legge in favore della distribuzione degli avanzi delle mense in favore dei ricoveri di animali bisognosi, la legge che trasforma da contravvenzione a reato penale il maltrattamento degli animali ed i combattimenti tra cani (approvato dalla Camera dei Deputati, e tutt'ora in discussione al Senato). A compensare malamente tutto ciò, purtroppo abbiamo avuto le numerosissime facilitazioni della caccia alle specie protette e all'interno delle aree naturali protette, approvata, o in via di approvazione, sia da parte della maggioranza del Polo nel Parlamento della Repubblica, che della maggioranza di Centrosinistra nel Consiglio regionale dell'Umbria, entrambi bene allineati a favore delle lobby venatorie e contro i nostri amici animali. Ricordo come, non più tardi di ieri, tutti i giornali locali riportavano la notizia della scelta delle provincie di Perugia e Terni di reintrodurre la caccia al fringuello, pur abolita fin dal 1994, con D.P.C.M. dell'allora Presidente del Consiglio Ciampi, e come questa mattina stessa è in corso presso la Sala della Partecipazione della Provincia di Perugia l'assemblea di protesta degli agricoltori biologici umbri per la mancata attuazione della legge sulle mense scolastiche biologiche e di qualità dove, invece, attraverso una davvero positiva attuazione si sarebbero potuti e dovuti trovare ulteriori spazi anche all'alimentazione vegetariana, e contro lo storno dei contributi dall'agricoltura biologica in favore dell'agricoltura chimica, deciso dalla nostra Giunta regionale con revisione del Piano di sviluppo rurale dell'Umbria 2000/2006, non più tardi del febbraio scorso. Un quadro sconfortante a fronte di ben altre sensibilità che vediamo, invece, in altre 25 parti d'Europa: solo per fare qualche esempio, in Svezia il divieto di allevamento di animali da pelliccia esiste ormai da anni, così come in Belgio il divieto della pesca con esche vive, in Inghilterra troviamo un'ampia normativa in favore dell'alimentazione vegetariana e biologica, in Germania abbiamo, invece, una normativa venatoria tra le più restrittive del mondo. Proprio in questo contesto diventa quindi importante il convegno seminariale da voi organizzato oggi: come momento di approfondimento e rilancio, anche in Umbria, di questi temi e di queste sensibilità, allo scopo di ritrovare l'impegno dei primi anni '90 e, soprattutto, per respingere le pressioni dei Nuovi Barbari della caccia indiscriminata, degli avvelenamenti, delle speculazioni e dello sfruttamento dei nostri amici animali, ma anche, e soprattutto, per far crescere insieme alla sensibilità anche la consapevolezza e la cultura di una diversa e possibile positiva convivenza tra gli animali, noi e l'ambiente! 26 SALUTO DELLA LAV UMBRIA Graziella Gori Ore 9.00 del 19 Gennaio 2003 Buongiorno… Non lasciamoci trarre in inganno dalla se pur deliziosa immagine del nostro volantino che ritrae un uomo, un cane e un gatto immersi nella natura: questo convegno abbraccia tutte le specie animali, compresa la donna. Ironica provocazione a parte, se mi è concesso, vorrei occupare il tempo a mia disposizione per soffermarmi con voi sulla materia di questo incontro. Chi sono gli animali? Perché viviamo sotto lo stesso tetto, il cielo, con tutte le nostre differenze? Quali sono i diritti delle varie specie compresa quella umana? L'argomento merita una nostra partecipazione emotiva, tocca la radice profonda della nostra visione del mondo, ci spinge a fare esercizio della libertà, a considerare la possibilità di scegliere in base ai valori di cui siamo portatori e portatrici, ad essere protagoniste e protagonisti della storia, sia quella personale che quella collettiva. Secoli di educazione antropocentrica ci hanno reso ottusi, insegnato la sopraffazione, indirizzato al possesso, abituato all'egoismo tanto che nessuna vita, inclusa quella umana, ha valore se non per creare profitto. In nome dell'antropocentrismo si praticano la vivisezione e l'ingegneria genetica che per interessi personali, economici e in nome dell'umanità inducono dolore immenso in milioni di creature, creano esseri viventi malati, deformi, privi di vita autonoma. Sempre in quest'ottica, è stata avviata la zootecnia artificiale, dove esseri senzienti ridotti a macchine per creare profitto conoscono l'inferno prima ancora del mattatoio. Si ricordi, invece, che anche Kant diceva che la crudeltà nei confronti degli animali predispone a comportamenti analoghi nei confronti dei nostri simili. Come non accorgerci noi, oggi, che questo concetto è largamente praticato all'interno della nostra specie? Ma c'è un'altra storia, anche questa vecchia di secoli come la lotta fra il bene e il male, una storia fatta di bellezza, una storia fatta da due fattori inscindibili: intelligenza e sensibilità. Una storia fatta da cuori vicini, lontanissimi anni luce dalla visione cartesiana secondo cui gli animali non soffrono essendo macchine programmate per essere usate. Un'altra storia che non rifiuta le enormi potenzialità della scienza né quelle della tecnica ma che non trova alcuna valida ragione per entrare nel vortice del delirio 27 dell'onnipotenza. Di questa storia fanno parte anche i movimenti animalisti per i diritti di tutti gli esseri senzienti che, ispirati dai principi filosofici secondo cui ogni essere dotato di sensibilità ha diritto alla vita. Alla non sofferenza e ad essere considerato soggetto, chiedono che dopo la condanna del razzismo e del sessismo, la società civile condanni anche lo specismo in nome del quale si commettono e si ammettono crimini contro il valore intrinseco della vita. Oggi, l'etica può gioire: questa storia è entrata di diritto nelle aule parlamentari e in quelle giudiziarie. A questo proposito vorrei porre un interrogativo sul concetto di protezione, là dove questa parola significa in particolare un uso più o meno regolato di alcuni animali al fine di proteggerne altri. Faccio un esempio. Nella Repubblica del 20 dicembre 2002, a proposito del decreto Sirchia al punto in cui il decreto prevede anche una tassa sul benessere degli animali da compagnia, si legge: “il 5 % di quanto guadagnato con gli animali deve essere utilizzato per la tutela del loro benessere”. Ciò significa, se non vado errata, accettare corse, gare, giochi di animali in manifestazioni di vario tipo per ricavarne un guadagno da reinvestire per il benessere di altri. Questo meccanismo mi vede profondamente contraria. Nel dare la parola agli interventi, sento l'umile dovere di lasciare agli atti di questo convegno una riflessione per una concreta realizzazione del pensiero antispecista. In campo sociale e animalista si fa sempre più forte la richiesta di un adeguamento del linguaggio al pensiero filosofico, nonché istituzionale e legislativo, che riconosce agli altri animali la loro specificità di esseri senzienti quindi soggetti e non oggetti. Una contraddizione, quella linguistica, che induce, se non ad una involuzione del rapporto fin qui raggiunto fra l'animale umano e l'animale non umano, alla volontà di dominio nei confronti dei soggetti più deboli. Sul piano pratico, l'adeguamento del linguaggio al piano teorico ed etico, risulterebbe di fondamentale importanza al nostro agire quotidiano concedendo, soprattutto alle nuove generazioni, gli strumenti per una vera e propria interrelazione fra le specie. Con la dovuta moderazione, la nostra sollecitazione ad una riflessione in questo senso, è quindi volta a dare alle differenze fra le specie la medesima dignità e il medesimo diritto a vivere in libertà e in pace sotto lo stesso tetto, il cielo. Mi sembra che da questo punto possa partire un saluto animalista per il futuro. Vi ringrazio. 28 LE COMPONENTI EVOLUTIVE DELLA SPIRITUALITÀ ANIMALE Sergio Revoyera Bovini Il valore della vita animale Tornare indietro, all'origine delle relazioni che hanno legato il genere umano all'ambiente naturale e agli altri esseri viventi con “scienza e coscienza”, non è facile, perché si tratta di un percorso di oltre tre milioni di anni. Il primo “homo erectus” a noi noto, che cercò di vedere meglio e di più nella savana, è una giovane australopiteca africana nominata Lucy, che rappresenta un capostipite antichissimo, già in grado di muoversi su due piedi ancora prensili, senza l'aiuto delle mani. Ma sembra che altri resti più antichi di “afarensis” testimoniano gli esordi oltre cinque milioni di anni fa, sconvolgendo le idee sul processo evolutivo umano di nemmeno mezzo secolo fa. Noi non sappiamo come possano essersi evoluti i nostri antenati sotto il profilo psichico e somatico durante archi di tempo così lunghi e come possano essere avvenuti la loro diffusione e il loro adattamento sui diversi continenti. Abbiamo solo la certezza che negli anni più vicini a noi (15.000/100.000 anni fa) i bisogni primari dei nostri antenati fossero soddisfatti nelle già strutturate nicchie ecologiche in modo semplice, al di là delle complicazioni estetiche e tecnologiche del nostro tempo. I recenti scavi della Pineta di Isernia potrebbero spostare indietro queste valutazioni di 600.000 anni. Il neolitico è dunque di ieri e venne la cultura, la lingua parlata e scritta con suoni e segni articolati fra loro. La parola è magica, serve a scambiare le idee e comunicare i sentimenti, fissandoli in modo durevole sulla pietra, sull'argilla, sulla pelle essiccata al sole di altri animali. Questi eventi sono stati però preceduti dalla nostra capacità di distinguere le cose e di separare la coscienza dell'io da quella della natura esterna, dall'esistenza dell'altro e del tutto. Dalla ulteriore evoluzione di questi pensieri-sensazioni possiamo intuire la nascita della spiritualità, l'esistenza degli spiriti buoni e cattivi, fonti simboliche e inesauribili delle nostre speranze e delle nostre paure: i primi culti, le prime religioni, legati ad una lunga esperienza critica dei gruppi umani, dove le necessità della sopravvivenza hanno pur condizionato lo spirito e l'intelletto sotto le diverse latitudini del mondo. Tant'è che già agli albori delle civiltà scritte e parlate noi possiamo rilevare profonde differenze di culto, di tecnologia, di organizzazione sociale fra etnia ed etnia, fra tribù e tribù. Nel nostro secolo i pigmei africani e gli aborigeni australiani (in questi anni in via di 29 estinzione come tante altre specie senzienti di animali) vivono tranquillamente senza ruote e senza fuoco, mentre nei paesi industrializzati l'energia dell'atomo e i volatili di ferro sembrano a molti di noi assolutamente insostituibili. Partiamo allora dalla raccomandazione pratica (e dal principio etico e filosofico) di non farsi impressionare dalle apparenze e dal protagonismo dei nostri simili, vicini di tempo e di casa, perché è assai probabile che le spinte emotive espresse con grida e gesti nella savana, per l'uccisione di una preda, siano sostanzialmente quelle delle trincee, degli stadi e delle piazze ai giorni nostri. La spiritualità nell'idea di evoluzione Nonostante le premesse, prive o quasi di formalismi, l'idea di spiritualità richiede alcune precisazioni, considerate le divergenze fra teologie monoteiste e spiritualismi animisti e panteistici; l'idea della necessità del rispetto fra gli esseri viventi e del loro uguale diritto all'esistenza non riguarda in genere i principi fondamentali delle religioni monoteiste e comunque il problema è spesso superato da incombenze di carattere politico e sociale legate ai rapporti fra Stati e Chiese. Dobbiamo quindi sopperire a due esigenze parallele: 1) cercare una definizione universalistica della spiritualità, per quanto possibile autonoma dai dogmi; 2) non perdere di vista la concreta evoluzione degli esseri viventi attraverso le specifiche vicende genetiche. I dogmatismi non riguardano solo le fedi religiose, ma spesso sono impliciti nel linguaggio corrente e sottintendono valori culturali assunti a priori: civiltà e cultura sono termini equivalenti? Ancora: civiltà e progresso sono sinonimi? In caso affermativo, esistono dei limiti a tali affermazioni? Infine: quali conseguenze attribuire all'uso singolare e plurale di queste parole? Non è una questione grammaticale parlare di cultura o di culture, di civiltà complessiva o di civiltà diverse. Negli ultimi decenni abbiamo potuto registrare incompatibilità evidenti fra religioni e culture diverse, a volte divise da un semplice tratto di confine, ma separate da costumi e tradizioni sicuramente lesivi dei principi sanciti sulla carta a livello internazionale. In molti intellettuali è nata l'idea che le popolazioni umane abbiano percorso un itinerario certamente lungo, ma insufficiente a incidere sulla natura predatoria e carnivora della specie, che spesso manifesta la sua aggressività ed un latente cannibalismo attraverso sevizie, persecuzioni e genocidi di massa che le tecnologie moderne aiutano ad amplificare in efficacia e crudeltà. Mi associo pienamente a questa idea, aggiungendo che l'indifferenza per la vita animale ed il cinismo con cui trattiamo ogni giorno le inermi creature che hanno percorso i secoli insieme a noi sono indici precisi della nostra profonda barbarie interiore. Prende comunque forma una prima idea di spiritualità in senso evolutivo e relativistico, densa di contraddizioni e contrapposizioni, dove ogni gruppo afferma spesso in modo 30 perentorio la sua verità. Ma cosa ne è stato durante tanto tempo e nei grandi eventi della storia dei Popoli dell'idea di spiritualità? Le parole ed i concetti che oggi usiamo quanto corrispondono, sotto l'aspetto semiologico dei contenuti, alle emozioni, ai sentimenti, ai timori e alla felicità del nostro passato? E ancora: gli animali senzienti avrebbero potuto evolvere liberamente e diversamente in nostra assenza, nel senso che non si sono evoluti perché abbiamo modificato l'ambiente naturale fino a bloccarli? Se ci limitiamo al nostro tempo diciamo dal periodo paleoindustriale ad oggi una cosa è certa: il possesso e la concentrazione delle tecnologie e delle risorse finanziarie genera svolte economico-politiche e terremoti ambientali dei quali siamo solo parzialmente coscienti. La conflittualità è così elevata e le spinte predatorie sono così forti da far passare inosservati (o rimovibili dalla memoria collettiva) eventi criminali come la macellazione animale o catastrofici come le guerre e lo sterminio di intere etnie umane. Bisogna anche riconoscere che non tutte e non sempre le comunità umane hanno avuto rapporti strumentali e di sopraffazione con gli altri esseri viventi. Già nelle rappresentazioni rupestri si sono volute riconoscere forme nascenti di riflessione e di culto per gli animali, o comunque forme di attenzione e sana soggezione per le forze della natura. Durante e dopo la seconda guerra mondiale i danni provocati all'ecosistema terrestre dalla radiazione nucleare, dall'uso dei prodotti chimici e dalla conflittualità delle grandi potenze, furono evidenti in un solo decennio e spinsero i pionieri dell'ambientalismo ad un lavoro di osservazione e di ricerca di grandi proporzioni, che dette i primi risultati in breve tempo sul terreno del recupero storico delle informazioni e della divulgazione dei risultati critici a livello di massa. Sul rapporto interspecie, compreso quello fra genere umano ed altri animali, oggi abbiamo a disposizione una quantità di fonti cognitive; numerose pubblicazioni italiane richiamano a fondo testo autori e testi stranieri, prevalentemente in lingua “occidentale” (francese, inglese, tedesco, russo, spagnolo e lingue affini); certamente un limite alla conoscenza è costituito dalle difficoltà interpretative offerte dalle maggiori lingue orientali (indu, cinese, giapponese, dialetti indonesiani, etc.), per le loro caratteristiche ideografiche, spesso non assimilabili agli alfabeti analitici occidentali. E' certo imbarazzante ripercorrere in modo sintetico le vicende dell'umanità in rapporto alle specie senzienti e alla natura in generale, perché questo significa parlare male di sé stessi senza reticenze o infingimenti. In antiche etnie il rispetto e la cura per gli animali erano coltivati con attenzione e forme di culto complesse, che nel caso del Giainismo ancora sopravvivono dopo 3.500 anni, in alcune parti dell'India. La tradizione Karmica del Buddismo spinge da secoli le anime verso la spiritualità animale e Budda riconosce i non umani come esseri completi in grado di ospitare gli umani nella loro forma, prima della liberazione completa. Nel bene e nel male. Al Bramino Sundarika Baradvaja, Budda raccomandò di amare tutti i viventi prima di 31 bagnarsi nell'acqua dove lui si bagnava, perché gli stolti “si lavano in molti luoghi senza mai purificare il loro cuore”. E' noto il rispetto degli animali nella religione egizia, dove alcune specie rivestirono valori divini. Non mancarono polemiche filosofiche e conflitti sociali con i Greci e con gli Ebrei, che lamentavano la lapidazione di chi uccideva animali sacri. Peraltro i massacri di animali in occasione di celebrazioni civili e religiose furono oggetto di denuncia da parte di filosofi e sacerdoti, di parte pagana quanto di parte cristiana, e solo dopo l'Editto di Costantino, che statizzò di fatto la religione cristiana, si pervenne, durante i Concili e le altre riunioni vescovili, alla epurazione delle “scritture apocrife”, cioè alla eliminazione della parte di scritture dei padri della Chiesa, che sancivano il rispetto degli animali e ne difendevano l'integrità. Un grande progetto smarrito (o forse definitivamente estinto) fu quello ecumenico ed apostolico sorto nel primo secolo del secondo millennio dell'E.V. (anni 900 1300 d. Cr.) in Europa. Numerose minoranze laiche e religiose alimentarono in questo periodo storico, significativo per la nascita dello Stato moderno, una serie di esperienze di vita associativa comunitaria, ispirate al rispetto della natura, alla semplicità dei costumi e alla libertà di pensiero, che dovevano significare attenzione alle azioni concrete di vita quotidiana. Valori da difendere anche a costo di estremi sacrifici. Anche in questa direzione la letteratura degli ultimi venti anni ha sviluppato analisi interessanti, anche se a volte osteggiate in sede editoriale dalle autorità politiche e religiose di maggior peso istituzionale. La tradizione di difesa e rispetto dei nostri fratelli pelosi e pennuti nelle umbre contrade è fatta risalire a Francesco di Assisi, l'attività del quale è generalmente narrata in modo apologetico, quasi che l'apostolo fosse avulso dai tempi e dai luoghi che vedono la sua esistenza mortale. In realtà Francesco (Fransisco) è un giovane di madre francese e nel periodo della sua esistenza (e dei suoi movimenti in tutta Europa, fino in Inghilterra) trova consensi e sostegno alla sua predicazione in ambienti già predisposti, sotto il profilo sociale e religioso, ad accettare i suggerimenti e il metodo di vita che lui propone. A questo punto il discorso si allunga e sotto certi aspetti è inedito, perché si collega alla tradizione apostolica dei padri della chiesa e a quella manichea orientale, come ai culti bogomili balcanici, che concorrono alla formazione di pratiche e istituzioni religiose caratteristiche della cultura occitanica di allora. L'attuale Francia mediterranea, la Spagna nord orientale, la Germania e l'Italia del nord alpino hanno vocazioni religiose e sociali particolari, poi definite valdesi, catare, albigesi, apostoliche, tutte consonanti con la predicazione francescana originale. Lo stesso Francesco, osteggiato e perseguitato dalla Chiesa romana, difeso con cautela e circospezione da qualche vescovo, fra cui Guido di Assisi, si salvò dall'eresia con il silenzio sulle malefatte dei Papi (Innocenzo terzo in particolare), che avevano a cuore le spedizioni crociate in Terra Santa e quindi un orientamento necessariamente aggressivo, che non poteva tollerare a lungo il pacifismo delle comunità occitaniche e le loro “scomuniche”. 32 La caparbietà di Francesco a predicare modestia e povertà, senza mancare di rispetto all'autorità ecclesiastica (il “Signor Papa”), salvò in parte la predicazione e consentì poi la sopravvivenza ai Frati Minimi e ai Minori (gli Spirituali), dopo che alla sua morte le autorità vaticane ebbero ordinato la distruzione degli scritti autografi di Francesco e la loro trascrizione riassuntiva. Andò male agli eretici (Catari e Valdesi e non solo a loro) quando rifiutarono il pentimento e l'espiazione. Anche se la storia non è fatta di dubbi a posteriori, c'è da chiedersi se non fosse stata più utile alla nostra cultura e alla civiltà europea una maggiore flessibilità di sopravvivenza da parte di tante anime oneste, mandate ai roghi nella logica accentratrice dei poteri di allora e di sempre. Soffermarci sul problema della spiritualità animale e sul modo con cui può essere letta la sua genesi attraverso i secoli, richiede una definizione estensiva di valenza ecumenica e panteistica, dove per spiritualità è da intendere il modo specifico e soggettivo con cui ogni essere vivente stabilisce un rapporto con le energie vitali che lo circondano e che percorrono l'ambiente. Forze fisiche e metafisiche in cui è immerso il sensibile, variamente fruite dall'individuo in funzione delle dinamiche ambientali amiche e nemiche, ma anche in funzione della sua disponibilità e sensibilità autonome, che lo separano dall'esterno spirituale col quale cercano un'intesa ed una identificazione, mai casuali queste ultime. Un'analogia efficace, di tipo scientifico, possiamo trovarla nel fenomeno ondulatorio della luce (ricca di frequenze percepibili e non rilevabili dall'occhio), in viaggio nello spazio cosmico. Mancando un'atmosfera (spazio vuoto) o mancando la percezione visiva (la vista), i fotoni percorrono ad elevata velocità l'universo senza essere intercettati nella loro fisicità (lo spazio cosmico ci appare buio e senza stelle). In tal senso i filosofi affermano che Dio ha bisogno dell'uomo e in modo ancor più generalizzato direi che lo spirito ha bisogno della vita: della vita e della presenza di tutti gli esseri viventi, esseri senzienti nel senso di una loro capacità di entrare, a loro modo, in contatto con la sfera metafisica e ultrasensibile. Questa prerogativa è assurdo e immodesto per la specie umana assegnarla a sé stessa, escludendo gli altri esseri viventi dal grande carma cosmico. Nella grande cornice dell'esistenza comune è assurdo riconoscere ad un solo ospite dell'universo una spiritualità privilegiata ed esclusiva. Bruscamente Goethe rispose a Falk nel 1813: “Non conosciamo che gangli, lobi di cervello; dell'essenza del cervello non conosciamo quasi nulla. Come possiamo pretendere di conoscere Dio? …ho definito l'uomo il primo colloquio che la natura ebbe con Dio. Non ho ragione di non credere che questo colloquio su altri pianeti si svolga in modo più sublime, profondo e intelligente.” Da Voltaire a Nietzsche: l'emarginazione della spiritualità aliena. Abbiamo cercato di dire che il percorso del rispetto per gli animali è tortuoso e contraddittorio nella storia della filosofia e delle religioni, perché spesso è stato interrotto da eventi conflittuali gravissimi, che hanno portato alla distruzione o 33 all'esaurimento di intere etnie, com'è stato in occidente alla fine del Medio Evo con la religione catara e con le culture occitaniche (Francia, Spagna, Italia, Austria e Germania). Interi percorsi storici sono stati distrutti durante la formazione degli Stati moderni e delle grandi religioni monoteiste che li hanno accompagnati. Sul piano filosofico le contestazioni tuttavia non sono mai mancate. F.M.A. Voltaire difese efficacemente il sentimento di rispetto per gli animali con il buon senso e con un richiamo di origine latina: “Deus est anima brutorum” (Dio è l'anima dei bruti), un'idea di coincidenza, fra il divino e il naturale, comune a molte tradizioni occidentali e simile al “vox Populi vox Dei”, di tradizione cattolica. Dunque dalla omertosa idea cartesiana dell'animale-macchina siamo lontani già nel XVIII secolo. L'emozione ecumenica e panteistica di Voltaire poteva destare scandalo. “La nostra idea del bene e del male è costruita nel nostro interesse… Del resto dimentichiamo di commuoverci per la morte spaventosa degli animali serviti in tavola. I bambini che vedono scannare un pollo piangono la prima volta e ridono la seconda. I risultati della macellazione, esposti nei negozi e nelle cucine, non ci sembrano un male, ma una benedizione divina, per la quale nelle preghiere ringraziamo il Signore dei nostri delitti. Eppure esiste qualche cosa di peggiore del nutrirsi di cadaveri?… In nessun Concilio, Assemblea della Chiesa o Accademia si è mai denunciata questa grande carneficina come un male da evitare”. A distanza di oltre un secolo Nietzsche non esitò a denunciare il recondito utilitarismo del nostro amore per gli animali e la nostra indifferenza per la sorte dei non umani “inutili”, con alcune riflessioni spregiudicate che vale la pena di richiamare. Nietzsche osserva che il nostro comportamento diventa “morale” con gli animali quando entrano in gioco forme di relazione improntate a utilità o danno per l'uomo. Quando manca questa forma strumentale di attenzione per gli altri animali, allora l'uomo manca nei loro confronti di ogni senso di responsabilità. Le affermazioni di Nietzsche hanno toni duri e preannunciano quei trasporti affettivi per gli animali aggiogati che nell'ultima parte della sua vita saranno giudicati segno di stranezza; in particolare i suoi monologhi (o dialoghi?) con i cavalli di città. Testualmente: “…Uccidiamo e feriamo per esempio gli insetti … senza pensarci … e già le nostre delicatezze verso fiori e piccoli animali sono quasi sempre micidiali”. “Tutto brulica e formicola intorno a noi e noi schiacciamo, senza volerlo, ma anche senza fare attenzione, un vermiciattolo o un piccolo insetto alato … Se gli animali ci recano danno cerchiamo in ogni modo di distruggerli, e i mezzi sono abbastanza crudeli, senza che noi lo vogliamo espressamente: è la crudeltà della distrazione.” “Se essi servono a qualche cosa, allora li sfruttiamo: sino a che una maggiore accortezza non ci insegna che determinati animali rendono molto con un trattamento diverso, cioè con la cura e l'allevamento. Solo allora nasce la responsabilità.” In poche righe Nietzsche sfiora poi efficacemente altre impostazioni storiche del problema, commentando: “… chi nella comunità si accorge di una trasgressione, teme il danno indiretto per sé: e noi temiamo per la bontà della carne, dell'agricoltura e dei mezzi di trasporto”. 34 Nietzsche continua “sul filo nero” della morale e delle religioni: “Nasce così un inizio di giudizi e sentimenti morali, e la superstizione vi aggiunge il meglio. Con sguardi, suoni e movimenti alcuni animali stimolano l'uomo a immaginarsi in essi, e alcune religioni insegnano a vedere in certi casi la dimora dell'anima di uomini e déi nell'animale: per questo in genere consigliano nei rapporti con gli animali una più nobile cautela, e addirittura un timore reverenziale”. “Su questo punto il cristianesimo si è notoriamente dimostrato una religione povera e arretrata”. Non sembra che in queste parole possa trovarsi una “negazione dell'esistenza dell'anima degli animali” di tipo cartesiano, ma certamente l'idea di un'anima “diversa” da quella umana (una coscienza “altra”, cioè aliena), che avrebbe un pregio sicuro: quello di rifiutare l'immedesimazione possessiva ed antropocentrica dell'uomo nell'animale e in tutto ciò che lo circonda, a suo uso e consumo, quasi che la realtà naturale, delle piante, degli animali e delle cose potesse essere penetrata e conosciuta (conquistata) attraverso un processo di osmosi spirituale a senso unico. In questa ottica il problema dei diritti degli animali alla vita e alla non sofferenza (divieto di genocidio e di tortura) diventano meglio risolvibili sotto il profilo giurisprudenziale e legislativo. Non una dignità naturale riconosciuta agli esseri viventi “che assomigliano all'uomo” e potrebbero avere una sofferenza ed un pensiero simili a lui, ma il rispetto e l'attenzione per i membri di una comunità terrestre degli esseri viventi che non possano e non debbano prescindere dal rispetto delle diversità entro i limiti della reciprocità e della responsabilità. Non si tratta di impedire al gatto di mangiare il topo, ma di una moderazione fatta di regole che impediscano lo sterminio dei gatti o dei topi nel rispetto dei gatti e dei topi, nei limiti della loro condizione esistenziale non umana e nei limiti discreti di quella umana. Gli eventi magici di coesione sociale e di comprensione reciproca sono in realtà le chiavi di lettura della nostra condizione naturale, sono i ponti per la comprensione dei nostri cugini e fratelli senzienti, variopinti ospiti della Terra ai quali stiamo negando il diritto alla sopravvivenza. Dobbiamo dare una cornice planetaria al Grande Circo, dove i protagonisti possano mantenere la loro identità, i loro colori, i loro profumi, ma forse non siamo in grado di percepire a fondo i numerosi timbri di un'orchestra dove vorremmo strumenti e musicisti in nostra completa soggezione. Non basta infatti il colpo d'occhio d'una sola religione, d'una filosofia o d'una scienza, per circoscrivere tanti avvenimenti dai parametri polivalenti e osmotici, ottiche mutevoli da una generazione all'altra, da una civiltà ad altre. Appiattire le diversità, globalizzare le necessità, può diventare un suicidio collettivo in questa evoluzione-involuzione dalle oscillazioni violente, a volte palesi a volte occulte, dove assistiamo in pochi decenni alla nascita e all'estinzione di intere civiltà, di culture, etnie, specie animali, che non rivedremo più. La moderazione e la modestia sono diventate beni indispensabili come la pazienza, virtù rare di fronte a frammenti di notizie in espansione, all'interno di letture incerte e aggressive di valori e di percorsi, dove nell'età binaria gli errori possono essere fatali, ma la gestione coordinata di 35 memorie materiali può svelarci nuove dimensioni fisiche e spirituali. In una “fin de siècle” non ancora conclusa, penetrata senza pudore nel terzo millennio, l'istinto di conservazione è subito cerimonia di evitazione della conoscenza, rifiuto dei perché, dei come e quando: un inizio millennio frastornato dall'arroganza tecnologica e dalle minacce dei poteri militari, dove gli eventi si dimostrano fonti di verità particolarmente scabrose per la penna e per la sicurezza fisica di chi la usa in una lettura libera del quotidiano e del sociale. Riferimenti bibliografici Il linguaggio degli animali Stephen Hart Oscar Mondadori L'animale e l'uomo John Goldberg Enciclopedie Pratiche Sansoni Animali estinti Vinzenz Ziswiler Oscar Mondadori Le origini dell'umanità Richard Leakey Super Bur Scienza La nostra specie Marvin Harris Super Bur Scienza Vivisezione o scienza Pietro Croce Calderini Edagricole Il progetto Grande Scimmia Paola Cavalieri e Petr Singer Theoria Ed. Zooantropologia Roberto Marchesini Red Edizioni Il bivio genetico Gianni Tamino Ed. Ambiente Etologia applicata Riccardo Groppali Calderini Edagricole Per un codice degli animali A.Mannucci e M.C.Tallacchini Ed. Giuffrè coll. Derive Gli animali non umani Valerio Pocar Libri del Tempo/Laterza Animali e spiritualità Nicholas J.Saunders E D T Animali terapia dell'anima Giovanni Ballarini Fondazione I.Z. e Z. Brescia Post-human Roberto Marchesini Boringhieri Saggi Scienze Ripensare la vita Petr Singer Il Saggiatore L'imperatrice nuda Hans Ruesch Ed. CIVIS Le bestie che mi hanno fatto uomo Michel Klein Ed. Sonzogno Sperimentazione animale e psiche Stefano Cagno Ed. Cosmopolis Il pensiero animale Colin Allen e Marc Bekoff Ed. Dynamie Mente e linguaggio degli animali Felice Cimatti Ed. Carocci I diritti degli animali Alessandro Arrigoni Ed. Cosmopolis Natura e pedagogia Roberto Marchesini Ed. Theoria Etica e diritti degli animali Luisella Battaglia Ed. Laterza Storia comparata delle religioni Giovanni Magnani Cittadella Ed. La non violenza nella cultura indiana Maria L.Tornotti Cittadella Ed. I manichei Rudolph Steiner Ed. Antroposofica Milano Il Giainismo Carlo Della Casa Bollati Boringhieri Ed. I Catari e la civiltà mediterranea Simone Weil Ed. Marietti I Catari Malcom Lambert Ed. Piemme San Francesco di Assisi Jacques Le Goff Ed. Laterza GLF Teologia animale Andrew Linzey Ed. Cosmopolis 36 Dal velo di Iside al mistero del Graal Paolo Lo Pane Ed. BESA L'intelligenza degli animali Plutarco Gino Ditadi Ed, ISONOMIA Viaggio nel Buddismo Zen Gianpietro Sono Fazion Cittadella Ed. La religione della natura David Donnini Ed. Macro Contro la caccia e il mangiar carne Lev Tolstoj Ed. ISONOMIA Genealogia della morale Friedrich W. Nietzsche Tascabili Newton I° e II° voll. Nera luce Luigi Lombardi Vallauri Ed. Le Lettere Biocentrismo Franco Libero Manco Nuova Impronta Ed. Animali Nuovo Millennio? Alessandro Arrigoni/Viviana Ribezzo Ed. Cosmopolis Zoomafia Ciro troiano Ed. Cosmopolis Gli animali soffrono, il profeta denuncia Coll. Il Profeta n° 15 Vita Universale Das Wort. Il Giainismo Claudia Pastorino e Massimo Tettamanti Ed. Cosmopolis Antroposofia e protezione dell'animale Heidi Weber Ed. Novalis La religione dei Catari Jean Duvernoy Ed. Mediterranee I filosofi e gli animali Gino Ditadi Ed. ISONOMIA I e II voll. Fra Dolcino e gli Apostolici tra eresia, rivolta e roghi C. Mornese e G. Buratti Ed. Derive-Approdi Un mondo in via di estinzione Paola Desai Articolo de “il Manifesto” 22/05/02 Per F.M.Voltaire: “Il faut prendre parti” in Oevres, Paris 1959 pag. 427 e seg. B. Muller Hill, i filosofi e l'essere vivente, Ed. Garzanti, pag. 249 e seg. 37 38 TROOG WILDLIFE FOUNDATION QG : Alfa-Centauri 3003-15-12 TWF : POLITICA DI TEST SUGLI UOMINI Daly Nandini La missione del TWF La missione del TWF, come associazione protezionistica, è di arrestare il degrado dell'ambiente naturale del pianeta e di costruire un futuro nel quale i TROOG vivano in armonia con la natura, conservando la diversità biologica del mondo, assicurando che l'uso di risorse rinnovabili sia sostenibile, e promuovendo la riduzione dell'inquinamento e del consumo di spreco. Il TWF considera che il continuo uso di sostanze chimiche sulla cui sicurezza esistono pochi o nessun dato, sia una delle maggiori minacce potenziali al benessere delle presenti e future generazioni di TROOG, degli uomini e degli animali selvaggi in tutto il mondo. Il TWF ha lavorato per più di un millennio per mettere fine all'insidiosa minaccia alla diversità biologica rappresentata da sostanze chimiche persistenti, bioaccumulative e tossiche, i cui pericoli sono noti o fortemente sospettati, e per comprendere meglio le sempre più visibili minacce rappresentate da sostanze chimiche che disgregano il sistema endocrino (endocrine disprupting chemical EDCs). Lo sfondo E' un fatto indiscutibile che migliaia di sostanze chimiche sono state immesse nell'atmosfera, nell'acqua, o vendute in prodotti per il consumo nonostante valutazioni di sicurezza assolutamente inadeguate. Per esempio, dei 2.600 chimici di più vasta produzione nell'UI (Universo Intero), il 21 % non ha nessun dato sulla sicurezza, e il 65 % ha dati sulla sicurezza al di sotto del minimo richiesto dalle autorità dell'OECD del UI (1). Tra le 2.863 sostanze chimiche prodotte in quantità di più di mezzo milione di kg per anno negli Universali Stati Uniti, meno di un quarto è stato testato per vedere se possono causare effetti cronici sulla salute, solo il 15 % è stato testato per effetti sulla riproduzione, e solo 12 sostanze chimiche sono state testate per determinare se possano causare problemi neurologici nei TROOGidini. Questo significa che tutti noi TROOG i nostri bambini, gli uomini e gli animali selvatici siamo a rischio in un enorme esperimento chimico incontrollato. 39 C'è urgente bisogno di una gestione efficace di prodotti chimici pericolosi per proteggere i TROOG, gli uomini e gli animali selvatici. Il TWF patrocina la sistematica valutazione della sicurezza dei prodotti chimici per questo scopo. Sfortunatamente, per tante sostanze chimiche esistono dati insufficienti per rendere possibili una completa valutazione sulla sicurezza. Ulteriori test sono dunque necessari per dare migliori informazioni a chi gestisce i rischi e per migliorare la conoscenza scientifica di minacce tossiche emergenti come la disgregazione del sistema endocrino. Il TWF è coinvolto nel dibattito sui test sugli uomini perché, mentre ci opponiamo a qualsiasi test sugli uomini non necessario, siamo costretti a riconoscere che convalidati metodi alternativi di test non esistono ancora per individuare certe forme di tossicità, in particolare quella di “endocrine disruption”. Noi crediamo che metodi senza impiego di uomini, studi epidemiologici TROOGhiani, e studi sul campo della vita umana e animale selvatica dovrebbero essere usati il più possibile per fornire dati sulla sicurezza delle sostanze chimiche. In ogni modo, finché una gamma completa di alternative non umane non possa essere sviluppata e convalidata, l'uso di alcuni test sugli uomini sono ancora necessari se vogliamo proteggere noi stessi, gli uomini, la vita selvatica e le generazioni future dai potenziali effetti dannosi di sostanze chimiche usate quotidianamente. Il TWF è soprattutto preoccupato dalla minaccia alla vita selvatica e umana e ai TROOG rappresentata dalle EDC (endocrine disrupting chemicals). Le EDC sono sostanze chimiche che hanno la capacità di interferire con il normale funzionamento degli ormoni naturali, anche a livelli molto bassi di esposizione. Esistono sempre maggiori prove e un crescente riconoscimento che gli EDC stanno minacciando i TROOG e popolazioni di molte specie in tutto il mondo, e che rappresentano un pericolo per la vita sulla terra. E' stato dimostrato che popolazioni di uomini, mammiferi, uccelli, pesci, crostacei e rettili soffrono di una o più delle seguenti patologie: danni al cervello, cancro, morte prematura, problemi riproduttivi (inclusa incapacità di raggiungere la maturità sessuale), sviluppo abnorme di organi riproduttivi, difetti congeniti, disfunzioni della tiroide, grave indebolimento del sistema immunitario, e cambiamenti comportamentali. I’Universale Program on Chemical Safelty sponsorizzato dalla UMS ha recentemente completato una rassegna esaustiva della letteratura scientifica disponibile su EDC (2). Il rapporto, pubblicato nell'agosto 2003, concluse che esistono massicce prove che la vita selvatica è stata negativamente colpita dall'esposizione alle EDC, e che cambiamenti nelle tendenze della salute umana, in certe aree, come nel minore numero di spermatozooi, nell'incremento di cancri collegati agli ormoni, nei cambiamenti dei rapporti nelle nascite, e nell'arrivo prematuro della pubertà femminile, sono sufficienti a destare preoccupazione. Mentre manca ancora la prova di meccanismi causali diretti, il rapporto sottolineò la forte plausibilità che le tendenze negative della salute dei TROOG sono collegate a queste sostanze chimiche. Un esempio di un EDC che ha causato un massiccio impatto ambientale e tributyltin (TBT), TBT è ampiamente usato come una vernice anti-sporco, anti-aderente nelle 40 chiglie delle navi ed è stato scoperto che mascolinizza “dog-whelks” di sesso femminile. Come risultato, i “dog-whelks” colpiti sono incapaci di riprodursi e la loro popolazione è stata decimata in tutto il mondo. Il TWF patrocina lo sviluppo di screening test per le EDC cosicché i pericoli di composti come il TBT possano essere identificati prima che ne sia autorizzato l'uso e per prevenire simili disastri ecologici nel futuro. Il TWF e le alternative ai test sugli uomini Il TWF sostiene lo sviluppo di test che non impiegano gli uomini e crede che ci sia urgente bisogno di sostituire, ridurre e raffinare l'uso degli uomini in test chimici. I passi significativi fatti nella scienza biomedica rendono ora possibile lo sviluppo di metodi di test alternativi. Il TWF è consapevole che i test sugli uomini possono fornire solo indicazioni sulla tossicità dei TROOG e che i metodi che impiegano gli uomini non sono stati necessariamente convalidati secondo gli attuali metodi di convalida. Ci sono quindi ragioni scientifiche ed etiche per cui i test sugli uomini dovrebbero essere ridotti al minimo o eliminati in favore di filtri e test senza uomini là dove ciò sia possibile e non appena ciò sia scientificamente appropriato. • Il TWF si impegna a promuovere alternative ai test sugli uomini e a ridurre l'uso degli uomini da laboratorio. Per esempio: in Europa, il TWF ha lavorato accanto alle organizzazioni che si prefiggono il benessere degli uomini, inclusa l'Universal Society for the Prevention of Cruelty to Humans e il Galassia Group for Human Welfare spingendo pubblicamente a che i governi aumentino in modo significativo i fondi per alternative ai test sugli uomini. • Negli Universali Stati Uniti, il TWF fornisce consigli alla U.S.U. Environmental Protection Agency insieme ai rappresentanti delle organizzazioni per il benessere umano per convalidare procedure di filtro e test con e senza l'impiego di uomini proposte per le ECD. • Il TWF ha richiesto che i test di sicurezza abbiano la priorità e siano ordinati, inizialmente concentrandosi su metodi senza l'uso di uomini, sulla persistenza e la bioaccumulazione, sui dati esistenti, sui modelli computerizzati (QSAR), e sulle tecniche in vitro. • Il TWF ha insistito per una maggiore apertura e condivisione dei dati, per ridurre al minimo i test fotocopia, e per gradualmente eliminare le sostanze chimiche e bioaccumulative senza la necessità di test di tossicità (3). • Il TWF ha sollecitato il governo del U.U.K. ad accelerare la procedura per accettare e convalidare metodi alternativi attualmente disponibili. 41 Il TWF aspetta con impazienza il giorno in cui generazioni di TROOG, uomini e animali selvatici sono protetti dalle minacce chimiche e i test sugli uomini sono confinati ai libri di storia. Fino ad allora il TWF crede che in assenza di effettive alternative convalidate, un limitato uso di test sugli uomini è ancora necessario per aiutare ed assicurare la duratura protezione degli uomini, degli animali selvatici e della nostra gente di tutto l'Universo. TWF QG Alfa-Centauri. 3002-12-20 Note: 1) Troog A., H. van der Troog, (2999) Public Availability of Data on E.Unvrs. High Production Volume Chemicals. U.C. Jont Research Centre. Institute for Troggs' Healt and Consumer Protection. 2) Global Assessment of the State-of-the-Science of Endocrine Disruptors (3002) Universal Programme Chemical Safety, U.H.O.,Alfa-Centauri. 3) A New E.U. (Entire Universe) Chemical Policy-Some Key Arguments (3001). A cura della redazione. L’intervento di Nandini, religiosa di tradizioni indù e di origine statunitense, vuole mettere in evidenza le contraddizioni animaliste ed ambientaliste della nostra epoca in chiave polemica e futurista richiamando ipotetiche situazioni dei tempi a venire secondo uno specchio della realtà odierna. 42 LEGA PER L'ABOLIZIONE DELLA CACCIA (ONLUS) Carlo Consiglio La caccia poteva essere giustificata quando era legata alla sussistenza. Oggi però nei paesi sviluppati tale giustificazione non regge più in quanto viene praticata quasi esclusivamente per puro divertimento. Da 70 anni a questa parte, scienziati compiacenti hanno formulato teorie scientifiche tendenti a dimostrare che la caccia sia compatibile, e perfino utile o necessaria, per la conservazione delle specie o degli ecosistemi. Tra queste teorie si annoverano quelle della curva sigmoide, della compensazione e della predazione. Queste teorie non sono state per lo più confermate dalle verifiche sul campo, ad eccezione di quella della curva sigmoide, la quale però implica una riduzione delle popolazioni naturali a grandezze all'incirca della metà dei valori “naturali”. Anche l'asserzione che la caccia sia necessaria per ridurre la grandezza di popolazioni di animali “nocivi” è mistificante, sia perché molti animali asseriti nocivi sono in realtà utili, sia perché esistono metodi alternativi per evitare o ridurre i danni. In tutto il mondo si assiste ad una progressiva limitazione della caccia attraverso leggi sempre più restrittive, che limitano i luoghi e i tempi della caccia e l'elenco delle specie cacciabili. Il cantone di Ginevra in Svizzera e la Regione di Bruxelles in Belgio hanno addirittura vietato totalmente la caccia. Anche in Italia si è assistito ad un progressivo ridimensionamento della caccia. Il vecchio testo unico del 1939 permetteva la caccia a tutte le specie, eccetto quelle elencate in una lista di specie protette. La caccia era consentita dall'ultima domenica di agosto al 31 marzo. Con la legge del 1977 fu creata per la prima volta una lista di specie cacciabili, e tutte le altre furono considerate protette. La legge del 1992 ridusse ulteriormente l'elenco delle specie cacciabili, e limitò la caccia al periodo dalla terza domenica di settembre al 31 gennaio. Il numero dei cacciatori si è andato progressivamente riducendo, dai 2.370.024 del 1974 agli 801.156 del 2000. Si può capire che questa riduzione della caccia ha avuto conseguenze negative sull'attività delle fabbriche di armi e munizioni, ed ha provocato una reazione da parte di una lobby molto potente che ha cercato di influenzare il Parlamento ed i governi regionali perché la caccia fosse incrementata. Così, proprio mentre la Camera dei Deputati ha approvato il 15 gennaio una proposta di legge che aumenta le pene per il maltrattamento di animali domestici, la situazione degli animali selvatici è oggi tutt'altro che rosea. Già il Parlamento ha inserito nella legge sulla caccia il nuovo articolo 19 bis, un articolo incostituzionale che consente alle Regioni di attuare le deroghe alla direttiva 43 comunitaria sulla conservazione degli uccelli selvatici. Inoltre giacciono alla Camera 9 proposte di legge, di cui 8 presentate dalla maggioranza ed una dall'opposizione, tutte tendenti ad incrementare la caccia ampliando l'elenco delle specie cacciabili, prolungando il periodo di caccia fino alla fine di febbraio e depenalizzando i reati venatori. Al Senato si attende invece la discussione del disegno di legge Brusco, tendente a consentire la caccia nei parchi nazionali, parchi regionali e riserve naturali, con la sola eccezione delle riserve integrali. Se si pensa che le più antiche aree protette in Italia, quali i Parchi d'Abruzzo e del Gran Paradiso, datano dagli anni 1920, si comprende che questo disegno di legge, se approvato, ci riporterebbe indietro di 80 anni, introducendo il caos in luoghi che sono dei veri santuari della natura, dove gli animali, non essendo più da tempo disturbati, hanno acquistato una tale confidenza con l'uomo che talora si lasciano persino toccare. La situazione è gravissima e richiede un grande sforzo da parte degli ambientalisti e degli animalisti che devono collaborare per raggiungere lo scopo di interesse comune. Il 30 gennaio si terranno conferenze stampa delle associazioni in tutte le Regioni italiane per illustrare la situazione; nei prossimi giorni verrà richiesto a tutti i parlamentari italiani di sottoscrivere una petizione per il ritiro totale ed immediato delle 9 proposte di legge alla Camera e di impegnarsi a votare contro di esse nel caso che vengano discusse; sui siti internet delle principali associazioni verrà pubblicata una lista bianca dei parlamentari che sottoscriveranno la petizione e l'impegno ed una lista nera di quelli che rifiuteranno o che non risponderanno. A livello comunitario, la caccia è soprattutto regolamentata dalla direttiva 79/409/CEE del 1979 sulla conservazione degli uccelli selvatici. Questa direttiva fissa un elenco delle specie cacciabili e vieta la caccia alle restanti specie, inoltre vieta la caccia durante la nidificazione, la riproduzione e la dipendenza degli uccelli e durante la migrazione verso i luoghi di riproduzione. Per la maggior parte degli uccelli, la migrazione inizia già a febbraio, pertanto la caccia deve essere chiusa entro il 31 gennaio, anche perché la mortalità causata dalla caccia in autunno ed all'inizio dell'inverno potrebbe essere in parte compensata da una diminuzione della mortalità naturale invernale, mentre la caccia esercitata dopo la metà dell'inverno uccide solo dei riproduttori. L'Italia è stata già condannata quattro volte dalla Corte di Giustizia per violazioni della direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici, e precisamente l/8 luglio 1987, il 17 gennaio 1991 (due volte) ed il 17 maggio 2001. Inoltre, la commissaria europea Margot Wallstrom ha iniziato una nuova procedura d'infrazione contro l'Italia per la cattiva regolamentazione delle deroghe, inviando una lettera di messa in mora al ministro Renato Ruggiero il 20 ottobre 2001. Questa procedura potrebbe portare ad una nuova condanna dell'Italia. Un'altra procedura d'infrazione contro l'Italia è stata iniziata dalla Commissione il 18 ottobre 2002 per la caccia di uccelli migratori nel mese di febbraio nelle Regioni Sardegna e Puglia. Di fronte a questa situazione di sfascio totale e di totale arrendevolezza degli uomini politici a livello sia nazionale che regionale, alle richieste di una lobby che rappresenta 44 appena l'1 %della popolazione, un argine importante è costituito dalla magistratura. Alcune associazioni, e specialmente la LAC, il WWF, la LIPU, la LAV e gli Amici della Terra, si rivolgono spesso alla magistratura per far annullare gli atti amministrativi regionali contrari alle leggi nazionali ed alla normativa comunitaria, riuscendo spesso ad ottenerne la sospensione e l'annullamento. Importanti sono anche le sentenze della Corte Costituzionale, come quella del 20 dicembre 2002 che ha dichiarato che la competenza sulla fauna, e quindi sui principi fondamentali che regolano la caccia, rimane allo Stato, anche dopo la riforma del titolo V della Costituzione. Un nuovo strumento per la tutela della legalità contro lo strapotere delle Regioni e delle Provincie si sta diffondendo in questi ultimi tempi con il sequestro preventivo degli animali selvatici che provvedimenti amministrativi, ma anche legislativi da parte delle Regioni, dichiarino illegalmente cacciabili. Il primo passo in questa direzione è stato compiuto dal P.M. di Trento, dott. Mario Giardina, a seguito dell'autorizzazione all'abbattimento di 791 camosci in periodo diverso da quello stabilito dalla legge nazionale sulla caccia. Il dott. Giardina il 16 agosto 2002 sequestrò i camosci allo stato libero ed il sequestro fu convalidato dal GIP il successivo 24 agosto, purtroppo però il TAR non accolse il ricorso del PAN-EPPAA contro il calendario venatorio. Il secondo caso riguarda l'area della Riserva Naturale del Lago di Vico, che fu sequestrata dal Sostituto Procuratore di Viterbo Dott. Stefano D'Arma il 4 settembre 2002 per impedire gli interventi di abbattimento di cinghiali, autorizzati dal Direttore del Dipartimento Ambiente della Regione Lazio senza il prescritto parere dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica. Il sequestro fu convalidato dal GIP di Viterbo, dott. Rita Cialoni, il 13 settembre 2002. Il 13 settembre il GIP di Belluno, Dott. Antonella Coniglio, su richiesta della LAC, sequestrò tutti gli uccelli delle specie storno, fringuello, cormorano, peppola, passero, passera mattugia e tortora dal collare orientale, esistenti allo stato libero nel territorio della Provincia di Belluno, per impedirne l'abbattimento autorizzato dalla legge regionale n. 7/2002, ma protetti dalla legge nazionale e dalla normativa comunitaria. Purtroppo gli uccelli furono dissequestrati dal Tribunale del Riesame il 2 ottobre 2002. Il quarto caso riguarda il sequestro di tutti gli uccelli delle specie passero, passera mattugia, storno, fringuello e peppola, che si trovino stabilmente o temporaneamente nel territorio di tutta la Regione Lombardia, disposto dal Pubblico Ministero di Cremona il 25 ottobre 2002, per impedirne l'abbattimento consentito dalla Legge regionale n. 18 del 2002 ma vietato dalla legge nazionale e dalla normativa comunitaria; tale sequestro il 2 novembre 2002 non è stato convalidato dal GIP Dott. Pierpaolo Beluzzi, il quale tuttavia ha confermato che tali uccelli restano protetti, che la legge regionale che ne autorizza l'abbattimento è illegittima e che il giudice deve disapplicarla. Più recentemente anche le Regioni Lazio, Umbria e Abruzzo hanno emesso provvedimenti che consentono il prelievo venatorio di specie di uccelli protetti dalla legge nazionale e dalla direttiva comunitaria sulla conservazione degli uccelli selvatici. La Regione Lazio con delibera della Giunta n. 1591 del 22 novembre ha consentito alle Provincie di autorizzare il prelievo in deroga dello storno, di cui finora hanno approfittato 45 almeno le Provincie di Roma, Rieti, Viterbo e Frosinone con atti che sono inapplicabili perché lo storno è protetto dalla legge nazionale n. 157 del 1992 e dalla direttiva comunitaria n. 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici, ed il suo prelevamento è penalmente sanzionato. La delibera regionale prevede un abbattimento massimo di 20 esemplari giornalieri per ogni cacciatore, ed essendo i cacciatori del Lazio circa 60.000, ed essendovi nel periodo consentito dalla delibera 27 giornate di caccia, il numero teorico di capi abbattuti a livello regionale sarebbe di 20x27x60.000 = 32.400.000, e cioè una vera carneficina! La LAC ai primi di gennaio ha presentato esposti-denuncia alle Procure della Repubblica di Roma, Viterbo e Rieti, chiedendo che vengano sequestrati tutti gli storni presenti stabilmente o temporaneamente nel territorio di rispettiva competenza. La Regione Umbria con legge approvata il 9 dicembre 2002 ha consentito la caccia del fringuello, passera mattugia, passera d'Italia, storno e cormorano, tutte specie protette dalla legge nazionale e dalla direttiva europea; conseguentemente, le due provincie di Perugia e Terni il 16 gennaio hanno predisposto le determine dirigenziali dando il via alla caccia al fringuello dal 18 al 30 gennaio 2003. Il 7 gennaio scorso la LAC e il WWF avevano richiesto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Terni il sequestro preventivo di tutti gli esemplari di uccelli delle specie fringuello, passera mattugia, passera d'Italia, storno e cormorano, presenti stabilmente o in transito nel territorio della Regione Umbria, allo scopo di evitare la strage; ma finora non si ha notizia che la magistratura sia intervenuta. Inoltre la LAC il 17 dicembre scorso si è rivolta alla Commissione Europea, inviando copia della leggina umbra e chiedendo che tale documento venga allegato al dossier della procedura d'infrazione contro l'Italia n. 2001/2211 per violazione della direttiva 79/409/CEE, attualmente all'esame della Commissione stessa. Il 28 dicembre la Giunta regionale dell'Abruzzo ha approvato all'unanimità la deliberazione n. 1201 con la quale si autorizza la caccia allo storno dal 1° al 30 gennaio 2003, da parte di tutti i cacciatori iscritti negli ATC abruzzesi. La deliberazione consente di abbattere 15 storni al giorno con un massimo di 150 storni a cacciatore per l'intero periodo. Poiché i cacciatori abruzzesi sono 14.919 (dati ISTAT per il 2000), il numero di storni che si possono teoricamente abbattere è di 2.237.850. La deliberazione è stata emessa nonostante il parere contrario dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, ed ha come pretesto la necessità di “prevenire gravi danni alle colture”, ignorando i grandi benefici arrecati dagli storni all'agricoltura attraverso la distruzione di insetti dannosissimi come la mosca olearia e l'ifantria. La LAC si è rivolta al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dell’Aquila, chiedendo il sequestro preventivo di tutti gli storni esistenti stabilmente o temporaneamente sul territorio della Regione Abruzzo. 46 DIRITTI DEGLI ANIMALI: ETICA E RESPONSABILITA’ Bruno Fedi Perché da secoli o addirittura millenni l'uomo si diverte ad aizzare un animale contro l'altro in nome dello sport, spesso attratto dalla possibilità di fare scommesse e perché, sempre in nome dello sport, si praticano caccia e pesca? Perché l'odiosa prigionia e l'assurda dolorosissima morte degli animali da pelliccia? Perché le sanguinose corride e tauromachie, i palii, la caccia alla volpe, i combattimenti tra galli? Perché le enormi sofferenze procurate agli animali in nome di una falsa scienza? Perché l'indiscriminato abbandono di cani e gatti da parte di crudeli ed egoisti proprietari quando i loro amici a quattro zampe sono divenuti un peso ingombrante? Perché la macellazione rituale? Perché lo sfruttamento degli animali nei circhi e negli zoo-lager, nonché il loro penoso utilizzo nelle feste religiose e popolari? Perché gli orribili trasporti degli animali da macello, gli strazianti viaggi della morte nei quali ha già inizio l'agonia di quegli innocenti? Quanti paesi hanno dimostrato di aver raggiunto un vero livello di civiltà stendendo e approvando una carta dei diritti degli animali e leggi a difesa degli stessi dalle crudeltà umane e stabilendo pene adeguate per chi maltratta, sevizia e sfrutta gli animali? Come conciliare il concetto di sacralità della vita, i propositi originali di Dio di delegare all'uomo la gestione pacifica di tutte le creature viventi e di fornire come alimentazione frutti della terra per l'uomo ed erbe verdi per gli animali (1) propositi che escludono ogni forma di crudeltà verso gli animali con il concedere poi di trarre vantaggio dagli stessi uccidendoli per il proprio nutrimento e per il vestiario? (2) Con le prime leggi date agli israeliti Dio insegnò ad avere cura e rispetto per gli animali. Comandò di riportare qualsiasi animale disperso al suo proprietario e di aiutare gli animali in difficoltà (Esodo 23-4,5); gli animali, come gli uomini, dovevano beneficiare del riposo del sabato (Esodo 23,12) e c'erano leggi che stabilivano il giusto modo di trattare gli animali che venivano usati per lavori di fatica, al fine di evitarne lo sfruttamento (Deuteronomio 22-10;25-4); insegnò che gli animali sono esseri senzienti e non semplici oggetti “usa e getta”; Egli esalta “il giusto che ha cura dell'anima del suo animale domestico”(3) e cerca di conoscerne i bisogni. San Francesco, chiamando “fratello” e “sorella” tutti gli elementi della natura e le altre creature, aveva avuto la consapevolezza che gli animali hanno un'anima e che devono godere di diritti come gli umani: è la visione TEOCENTRICA che mette l'animale uomo alla pari con gli altri animali non umani nel grande abbraccio dell'amore divino: è infatti nella simpatia universale che sono presenti quella umiltà e quell'amore per la verità che 47 consentono di riconoscere la propria piccolezza e contingenza di fronte a Dio e al creato. Purtroppo l'esasperata affermazione nel mondo occidentale della visione ANTROPOCENTRICA iniziata con Aristotele, ereditata dalla filosofia scolasticotomistica, poi da quella cartesiana e giunta al culmine col Positivismo, che affermò il diritto legittimo e assoluto che l'uomo dovesse dominare la natura per mezzo della scienza -, non fece altro che inculcare il concetto che gli animali sono esseri senza “status morale”, irrazionali e destinati ad essere schiavizzati, non meritevoli di nessuna carità da parte dell'uomo-padrone. Ci troviamo di fronte al fraintendimento, alla errata interpretazione del concetto di “dominio” contenuto nella Genesi come “dispotismo”, potere assoluto.(4) E' evidente che il dibattito sulla posizione che deve occupare l'uomo nel creato sta acquistando, agli inizi del Terzo Millennio, sempre maggiore importanza e sta diventando, seppure lentamente, un tema “sentito” anche in ambito religioso. Non sono ancora molti, infatti, gli eventi di cui si ha notizia perché purtroppo non fa ancora “notizia” nei quali esponenti del mondo religioso e della cultura teologico-filosofica hanno fatto sentire la propria voce affrontando il problema dei diritti dei non-umani. Nel marzo dello scorso anno, a Fano, si è tenuto un convegno sul tema del rapporto uomini-natura-animali nella cultura ebraica e cristiana, nel quale è intervenuto il Vescovo Monsignor Tomassetti e nel quale argomento di meditazione principale è stato la centralità o meno dell'uomo nell'Universo. Nella discussione è stata diffusamente illustrata la tesi antropocentrica (Aristotele, Stoici, Cartesio), in virtù della quale l'uomo si è ritenuto in potere e dovere di dominare le specie inferiori di vita, per passare quindi a Plutarco, il filosofo che per primo ha posto il problema etico nei confronti degli animali, l'obbligo da parte dell'uomo di rispettarli e di averne cura. Tale sensibilità quasi sempre derisa alla luce dell'antropocentrismo sembra oggi aver recuperato un'ampia diffusione: filosofi, teologi, ricercatori, scienziati… si parla sempre più spesso di BIOETICA, della necessità di rispettare tutte le forme di vita e non solo, ma anche di recuperarne l'esempio da parte dell'uomo; basti pensare a quanto può insegnare alla nostra specie l'etologia! La relatrice, Prof.ssa Battaglia, ha infatti posto l'accento sulla ormai inevitabile costituzione di un'etica della responsabilità verso gli esseri più deboli. Solo attraverso essa l'uomo potrà mostrarsi degno del ruolo che la natura gli ha riservato. Dal punto di vista religioso, Emanuelle Marie cattolica riproponendo i passi della Genesi, sottolineava la centralità sì dell'uomo nel creato, ma per realizzare il disegno divino di un Cosmo equilibrato ed armonioso finalizzato al bene. In pratica, se il razionale non si coniuga col morale… Precedentemente, in un'intervista rilasciata ad un noto settimanale femminile dopo lo scandalo dei polli alla diossina e dei vitelli gonfiati con gli ormoni, il Card. Ersilio Tonini, Arcivescovo della Diocesi di Ravenna-Cervia, dichiarava giunta l'ora di dire basta alla manipolazione sconsiderata della natura da parte dell'uomo per trarne profitto; che gli 48 animali devono vivere in armonia con l'ordine delle cose e denunciava lo sfruttamento degli allevamenti intensivi per ricavare maggiori guadagni abbassando i costi. Successivamente lo stesso Card. Tonini si è espresso contro il fenomeno dell'abbandono dei cani, esempio della crudeltà, della sconsideratezza e della viltà dell'uomo: un atto abominevole che offende Dio. Ora possiamo dire che in un mondo divenuto più consapevole e spirituale sono maturati i tempi della presa di coscienza da parte dell'uomo che egli non può continuare a generare sofferenza ad altri esseri per evolversi; l'alibi del progresso non regge più in un'epoca dove le risorse planetarie si stanno esaurendo e la natura si sta ribellando a secoli e secoli di abusi e devastazioni. Se ancora sussistono molti problemi, questi non possono essere risolti attraverso la sofferenza! Anche tutte le sperimentazioni non porteranno mai a qualcosa di positivo se sono basate sul sopruso e sulla sopraffazione di altri esseri indifesi. E' sostanzialmente questo il messaggio del movimento Vita Universale, nuovo “strumento fondamentale per meditare e per giungere alla conoscenza di se stessi nella nostra epoca”.(5) Della necessità di una nuova etica, di una nuova civiltà i cui fondamenti non siano né lo sfruttamento disumano dell'uomo né quello bestiale degli animali, parla anche il prof. Gino Ditadi, secondo il quale “l'ammuffita cultura del sacrificio del sangue che rende possibile la conciliazione deve essere lasciata al suo contesto."”6) La tecnica e la scienza possono assolvere oggi a un compito liberatorio prosegue Ditadi : una civiltà nella quale non si massacrino gli uomini in guerra e non si divorino cadaveri di animali è a portata di mano… basta allungarla… ma… con energia! Altra voce che si leva a denuncia della nostra attuale società distruttiva fondata sulla reificazione di esseri viventi è quella del prof. Bruno Fedi: “imporre sofferenze non può in alcun modo essere considerato un atto morale. La biologia, l'etologia, la genetica e l'antropologia hanno chiarito che far soffrire sono atti di distruttività.”(7) Ancora riguardo ai diritti degli animali e ai nostri doveri nei loro confronti, così si pronuncia il prof. Thomas Regan, il quale, esattamente venti anni fa, pubblicando una “summa” di tutte le problematiche animaliste, (8) si consacrava il teorizzatore di veri e propri diritti attribuibili agli animali, in quanto aventi valore intrinseco(9): “L'errore di fondo è nel sistema che ci permette di considerare queste creature come nostre cose, disponibili per noi, per essere mangiate, o manipolate chirurgicamente, o fruttate in campo sportivo o commerciale”. A conclusione, considero fondamentale esporre il pensiero di Albert Schweitzer, una delle più illustri personalità della scienza e della spiritualità contemporanee; medico, teologo, filosofo, storico, musicologo, premio Nobel per la Pace nel 1592, dedicò mezzo secolo della sua lunga vita (morì a 90 anni nel 1965) all'opera missionaria in Africa. La sua levatura morale e spirituale si rivela dall'impegno che egli mise nel difendere i diritti sia degli umani che dei non-umani. Il rispetto per la vita che è anche il titolo della sua famosa opera tradotta in varie lingue è la risposta alla domanda che l'uomo si pone sul rapporto reciproco tra sé e la natura. Le sue straordinarie parole sono ancora oggi fonte di nutrimento spirituale di speranza 49 per tutti coloro che, al di là di ogni ostacolo e barriera ideologico-storico-politico-socialeeconomico-culturale-scientifica, superando contrarietà di ogni natura e scetticismo, proseguono il proprio cammino sulla strada dell'evoluzione spirituale e continuano le proprie nobili battaglie a favore della Vita e della Pace per un mondo migliore. “E' destino di ogni verità di essere oggetto di derisione quando viene proclamata per la prima volta. Un tempo era considerato folle supporre che gli uomini di colore fossero realmente degli esseri umani e dovessero venir trattati come tali. Ciò che era un tempo follia è diventato una verità riconosciuta. Oggi si considera esagerato dichiarare che il costante rispetto per ogni forma di vita è la seria esigenza di un'etica razionale. __________________________________ (1)Cfr. GENESI 1.29 “Ecco io vi do ogni pianta che fa seme su tutta la superficie della Terra e ogni albero fruttifero che fa seme: questi vi serviranno per cibo. E a tutti gli animali della Terra e a tutti gli uccelli del cielo e a tutto ciò che sulla Terra si muove e che ha in sé anima vivente io do l'erba verde per cibo…” (2)Sono la Caduta e il Diluvio i grandi Eventi che hanno segnato la fine dell'esistenza pacifica e paradisiaca in armonia coi dettami divini e l'inizio di quella parassitica, che ha condannato l'umanità a vivere nell'odio e nella sofferenza e ad esercitare lo sfruttamento e la sopraffazione. (Cfr. GENESI 9.3) (3)Cfr. PROVERBI 12.10 (4)Per il vero significato della parola cfr. A. LINZEY “Teologia animale I diritti animali nella prospettiva teologica” Edizioni Cosmopolis Torino, 1998, pagg. 75-76, dove fa capire che l'uomo deve seguire l'esempio di Cristo comportandosi con generosità ed umiltà nei confronti dei deboli e degli indifesi”. Se noi ci chiediamo come dobbiamo esercitare il dominio datoci da Dio sui non-umani, non dobbiamo guardare oltre l'esempio morale di Gesù, cioè un potere espresso con la massima umiltà e di una forza espressa con la compassione. Se l'amore generoso e sacrificale è la caratteristica della vera disciplina, allora dobbiamo chiederci quali argomenti abbiamo per poter escludere gli animali da questo appropriato esercizio di responsabilità cristiana.” In sostanza abbiamo un obbligo morale di essere generosi coi nostri fratelli minori, obbligo che aumenta in proporzione al grado di debolezza dei soggetti in questione. L'unico diritto che ci è consentito di esercitare è quello di servire e non solo, ma occorre altresì che diveniamo strumenti per la liberazione di tutti gli esseri oppressi e sofferenti, sempre seguendo l'esempio di Gesù, immolatosi per redimere e liberare l'umanità. Così San Paolo auspicava la rinascita della Creazione riconciliata attraverso la liberazione (dalla “schiavitù della decadenza”) e il divenire da parte degli uomini agenti dello Spirito liberatore di Dio in Cristo. E' questa la via per giungere ad un nuovo ordine morale mondiale. Sempre in Linzey troviamo “…nessun essere umano può avere ragione di pretendere possesso assoluto sugli animali, per la semplice ragione che solo Dio possiede la creazione. Gli animali non esistono semplicemente per noi, né ci appartengono. Essi esistono principalmente per Dio e Gli appartengono (…). Non abbiamo diritto ad 50 appropriarci indebitamente di ciò che appartiene a Dio.” (pag. 159). (5)Si legga la pubblicazione “Gli animali soffrono: il Profeta denuncia”, testo scioccante, ma indispensabile per il recupero del pensiero “cristiano” delle origini, un aggettivo il cui significato, come viene spiegato metaforicamente, è andato perso “a causa del movimento troppo intenso dell'elica che spinge la nave dello stato del culto pagano, la cui ciurma arruola tutti coloro che sono deboli nel proprio modo di pensare.”(p.88). (6)G.DITADI “Cristianesimo e mondo animale”, Istituto Italiano di Bioetica Quaderni di Bioetica, gennaio 1998. (7)Il tema è ampiamente trattato in B.FEDI “La ragione e il cuore La ricerca del successo attraverso la distruttività” Ed. ATRA AG STG. (8)T:REGAN, The Case forAnimal Rights, 1983 Diritti Animali, Garzanti, Milano 1990. (9)Con tale teorizzazione Regan superava quella di Peter Singer il filosofo che nel 1972 con Animal Liberation avviò il dibattito contemporaneo sui diritti degli animali in particolare la prospettiva utilitarista, ritenendola inadeguata a tutelare gli animali in tutte le circostanze , in quanto troppo legata al calcolo utilitaristico dei maggiori benefici per l'uomo e quindi alla visione antropocentrica. Ma verrà il tempo in cui la gente si meraviglierà che la razza umana abbia impiegato tanto tempo a riconoscere che l'offesa alla vita per mancanza di riflessione è incompatibile con la vera etica.” Oggi il suo messaggio sembra essere stato ereditato da uno dei più eminenti uomini di scienza del nostro tempo, l'oncologo Umberto Veronesi, che così scrive: “Lo specismo connota nei riguardi degli animali un atteggiamento non dissimile da quello tipico del razzismo nei riguardi delle altre razze umane. Così se centocinquanta anni fa, che un bianco uccidesse o torturasse un negro senza ragione poteva sembrare un fatto complessivamente accettabile nella morale corrente di allora, oggi che un essere umano uccida un animale non umano senza ragione, è per la maggioranza degli uomini un fatto accettabilissimo.” 51 52 GLI ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI E LA PRODUZIONE ALIMENTARE Stefano Dumontet Dipartimento di Produzione Vegetale, Università della Basilicata Introduzione Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura può essere ricondotto a pochi, benché antitetici, assunti fondamentali patrimonio di due soli ed opposti schieramenti. Da una parte troviamo i sostenitori dell'applicazione delle nuove tecnologie genetiche in agricoltura, mentre dall'altra si dispongono gli oppositori di tale progetto. I sostenitori, autorevolmente rappresentati da Richard Dawkins, affermano che sarebbe un delitto contro l'intera umanità “voltare le spalle alla scienza” e far prevalere, nello scegliere le prossime strategie di gestione delle risorse agricole, un approccio precategoriale improntato a superficialità e superstizione e caratterizzato da scelte emozionali che condurrebbero inesorabilmente verso la barbarie culturale ed il disastro sociale. Sull'opposto versante troviamo coloro i quali accusano, più o meno consapevolmente, un intero modello di sviluppo, ed insieme a questo l'atteggiamento acritico degli scienziati che approvano e difendono scelte ipertecnologiche non sostenibili. L'aspro dibattito, generato da questi punti di vista opposti ed irriducibili l'uno all'altro, porta immediatamente il terreno dello scontro su di un palcoscenico più vasto di quello rappresentato dall'agricoltura e dalle sue pratiche, ed investe in pieno le stesse basi su cui poggiano la legittimazione della scienza e della tecnica. I fautori degli OGM in realtà difendono la supremazia dell'apparato tecnico-scientifico occidentale e, con questo, la loro stessa posizione di preminenza in seno alla compagine sociale. Gli oppositori delle istanze propugnate dagli scienziati esprimono, anche se a volte vagamente, un crescente disagio nei confronti di una scienza che si avverte solo accidentalmente e sporadicamente connessa ai bisogni della gente. Una scienza che obbedisce a regole e leggi dettate da un apparato economico e produttivo che ha più volte dimostrato di aver in spregio sia il destino dei singoli che quello di intere collettività. Se affrontata sotto questo aspetto, l'analisi della questione ci porterebbe molto lontano dall'agricoltura e dai suoi problemi e finirebbe per diluirsi in una disamina del ruolo della scienza nella società occidentale, nella valutazione del suo impatto generale, nell'esame della sua dipendenza dall'economia, per passare all'analisi del sostegno dato da questa al paradigma industriale occidentale, e allo studio della contrapposizione tra scienza ed ideologia. In questo modo ci si allontanerebbe dal tema ristretto scelto come oggetto di questa relazione e se ne mancherebbe l'obiettivo. E' ovvio considerare come gli aspetti appena citati convivano tutti nella problematica 53 che affrontiamo, benché, a mio avviso, alcuni di questi abbiano tale carattere di preminenza da rendere opportuna una loro dettagliata analisi. Probabilmente il dibattito sugli OGM è su di una falsa strada. Chiamare in causa la scienza in questo dibattito è assolutamente fuori luogo. La scienza, o per meglio dire la tecnologia genetica, ha un ruolo del tutto secondario ed a volte assolutamente marginale. E questo sia nel senso dell'autonomia della ricerca che in quello dell'autonomia della sua funzione sociale. L'ottimizzazione dei flussi di materia ed energia nella coltivazione di specie vegetali o nell'allevamento di animali è sempre stato lo scopo primo dell'agricoltura. Le moderne tecniche di ingegneria genetica cercano di “migliorare” fin dove è possibile la filiera produttiva contribuendo a realizzare quelle economie di scala che hanno permesso di ridurre la spesa alimentare delle famiglie europee dal 40 al 14 % del loro reddito in una trentina d'anni. Tale risultato è dovuto all'aver traslato, senza nessuna mediazione, la cultura di un comparto industriale che produce beni inanimati alla gestione di organismi viventi. Le drammatiche notizie sugli effetti degli alimenti così ottenuti occupano permanentemente le prime pagine dei quotidiani. Bisognerà tentare di spiegare che il termine 'migliorare' non è neutro, ma assume significati e valenze diverse in funzione del contesto in cui si applica. 'Migliorare' avrà un significato per l'agricoltore africano, un altro per il consumatore occidentale, un altro ancora per le multinazionali della chimica e delle biotecnologie ed uno ancora diverso per un agricoltore statunitense della corn belt. Se volessimo tentare di trovare un punto di incontro tra i tanti, e spesso contrastanti, significati di questo termine in funzione della definizione del prodotto finale delle “migliorate” filiere produttive, potremmo forse essere d'accordo nel riconoscere che un alimento dovrebbe avere come prerogativa principale quella di essere gradevole al gusto ed alla vista ed essere capace di soddisfare, in sinergia con altri alimenti in una dieta bilanciata, le necessità nutrizionali dell'uomo e degli animali di allevamento. Ed è proprio in questo senso che bisognerebbe riconoscere che gli alimenti non sono migliorabili. Dodicimila anni di agricoltura hanno permesso di ottenere materie prime che riescono a fornire tutto ciò di cui il metabolismo dell'uomo ha bisogno. Parimenti, dodicimila anni di cultura delle colture agrarie hanno portato alla definizione di canoni di preparazione degli alimenti che ne esaltano l'appetibilità e ne conservano le proprietà nutrizionali. Ciò di cui la filiera agroalimentare ha oggi bisogno è spesso espresso in termini contraddittori. I giganti delle biotecnologie si trovano a dover produrre tenendo contemporaneamente presenti diverse strategie commerciali. La prima, di natura fordista, e come tale di solito confinata a produzioni a bassa tecnologia ed a basso valore raggiunto dall'evoluzione del moderno paradigma tecnico-economico, guarda alla massimizzazione delle rese ed alla globalizzazione delle produzioni per ottenere la più ampia economia di scala (è singolare osservare come l'applicazione di modernissime tecnologie di biologia molecolare consenta di ottenere prodotti ipertecnologici ad alto valore aggiunto, che vengono commercializzati secondo leggi di 54 mercato apparentemente obsolete). La seconda mira a ricavare specifiche nicchie di mercato per prodotti alimentari modificati secondo le mutevoli esigenze dei consumatori. La terza mira all'accentramento del sapere e del potere di controllo in pochissime mani, in modo da ottenere posizioni di predominio in un campo altamente strategico come quello dell'alimentazione. Ciò che è in gioco, dunque, non è la sopravvivenza della ricerca scientifica minacciata da un integralismo culturale oscurantista, ma è la libertà di poter gestire organismi viventi in agricoltura senza dover sottostare alle imposizioni dei giganti delle biotecnologie. In altri termini, è in gioco la libertà di scelta e l'autonomia dei coltivatori e la libertà di scelta e l'autonomia dei consumatori. Forse è anche in gioco la libertà tout court. La ricerca scientifica in questa complessa vicenda ha, come dicevamo, un ruolo estremamente marginale dal punto di vista decisionale, ma un ruolo strategico dal punto di vista funzionale. Tale ruolo strategico è però gestito completamente al di fuori della comunità scientifica, anche se i protagonisti della ricerca sembrano non accorgersene. Infatti, mentre i ricercatori difendono il risultato tecnologico delle loro ricerche e l'applicazione in agricoltura del loro sapere contro i loro detrattori, non fanno altro che legittimare il loro completo asservimento a logiche che utilizzano strumentalmente la scienza ed indirizzano il suo immenso potere di modificare la natura verso l'imperialismo commerciale. Le statistiche Secondo l'International Service for the Acquisition of Agri-BiotechApplications (ISAAA) l'area globale seminata con OGM è cresciuta di oltre 30 volte ed è passata dai 1.7 milioni di ettari nel 1996 a 52.6 milioni di ettari nel 2001. Questa tecnologia è di quasi esclusiva pertinenza di una singola impresa, è stata sviluppata per 4 coltivazioni di maggior interesse industriale e riguarda quasi esclusivamente 2 caratteristiche delle colture. Per riassumere: - Un'azienda (Monsanto) controlla il 91% dell'area mondiale seminata ad OGM nel 2001 - Due caratteristiche genetiche (tolleranza agli erbicidi e resistenza Bt agli insetti) rappresentano la quasi totalità dell'area seminata ad OGM (77% tolleranza agli erbicidi, 15% B.T. e 8% entrambe le caratteristiche) - Tre paesi (USA, Argentina e Canada) hanno il 98% dell'area coltivata con OGM (USA 68%, Argentina 22%, Canada 6% e Cina 3%) - Quattro sono le specie OGM coltivate: soia (63%), mais (19%), cotone (13%), canola (5%) rappresentano il 100% delle OGM coltivate nel 2001 - Cinque Gene Giants (Pharmacia-Monsanto, DuPont, Sygenta, Bayer, Dow) dominano il mercato OGM. 55 La “Terminator Technology” Una delle tecnologie più innovative nel campo degli OGM, ma anche più preoccupanti, è stata quella ribattezzata “terminator technology” dalla Rural Advancemente Foundation International (RAFI) un'organizzazione statunitense-canadese che ha a cuore i problemi degli agricoltori del mondo ed in particolare di quelli più poveri. Si tratta, in breve, di rendere sterili i semi attraverso un'intelligente tecnica di biologia molecolare. L'agricoltore compra dunque dei semi che si svilupperanno normalmente in una pianta (il raccolto è così assicurato), ma i semi di questa nuova pianta non saranno in grado di svilupparsi (la proprietà intellettuale è così protetta dalla copia non autorizzata). Nessun agricoltore può dunque usare i semi che produce per riseminarli ed ottenere un successivo raccolto. Vi sono varie versioni di questa tecnologia che prevedono l'induzione della germinabilità, ed altre caratteristiche industriali o nutrizionali, grazie ad un prodotto chimico, venduto dalla stessa ditta che commercializza il seme, che funziona da attivatore di alcuni geni e permette lo sviluppo del seme fino a divenire pianta adulta o l'espressione di specifiche caratteristiche. I semi di questa nuova pianta rimangono comunque sterili e non sono suscettibili di attivazione. Vi sono numerosi brevetti per questo tipo di modificazioni genetiche che vengono chiamate Genetic Use Restriction Technologies (GURTs, “Tecnologie di restrizione a uso genetico”). Queste tecnologie permettono la modificazione genetica di piante per renderle sensibili ad un induttore chimico in grado di attivare o disattivare geni che codificano per tratti specifici della pianta, compresa la vitalità dei semi e la resistenza a parassiti e malattie. Il controllo della ditta produttrice dei semi si allunga molto al di là del momento dell'acquisto e determina una completa sudditanza dell'agricoltore. Riportiamo di seguito alcune interessanti dichiarazioni di scienziati e eticisti riguardo questa tecnologia: - William Muir, professore di Animal Sciences alla Purdue University “the downside of the [Terminator] technology is minor in comparison to the potential benefits.” - Paul Thompson, bioeticista e professore alla Purdue University: “The important thing that is being overlooked is that incorporating the [Terminator] gene is a good strategy for limiting the environmental impact of genetically modified plants.”. La seconda riflessione di Thompson rileva quanto sia critica la questione dell'accettazione della Terminator technology: “My speculation is that making a seed sterile goes against some basic sense of what's right.” - Willard Phelps, portavoce ufficiale del Dipartimento dell'Agricoltura americano (USDA), durante un'intervista a New Scientist (29 Marzo 1998) dichiara a proposito della Terminator technology: “Our system is a way of self-policing the unauthorized use for American technology. It's similar to copyright protection.”, mentre in un'altra occasione dice: The [Terminator] technology is designed “to increase the value of proprietary seed owned by US seed companies and to open up new markets in Second and Third World countries.” 56 - Melvin J. Oliver, biologo molecolare all'USDA ed inventore della Terminator technology dichiara nel marzo 1998: “My main interest is the protection of American technology. Our mission is to protect US agriculture, and to make us competitive in the face of foreign competition. Without this , there is no way of protecting the technology [patented seed].” - Nel 1998, Harry Collins, Vice Presidente del Dipartimento Technology Transfer della Delta & Pine Land, promosse la tecnologia “Terminator” con queste parole: “The centuries old practice of farmer saved seed is really a gross disadvantage to third world farmers who inadvertently become locked into obsolete varieties.” (da un articolo intitolato “New Technology and Modernizing World Agriculture.” che fu distribuito dallo stesso Collins al meeting FAO, tenutosi a Roma nel 1998). La contaminazione del mais messicano indigeno: una storia esemplare Se queste sono le premesse che hanno guidato la sperimentazione e le strategie di commercializzazione degli OGM, quella che segue è una illuminante storia di cosa succede quando gli OGM vengono rilasciati nell'ambiente. Nell'autunno del 2001 fu riscontrata in Messico la contaminazione delle varietà indigene di mais da parte di geni provenienti da coltivazioni di mais GM. Bisogna considerare che il Messico è una delle più importanti aree di differenziazione primaria vegetale del mondo e rappresenta un serbatoio inestimabile di germoplasma vegetale. La scoperta della contaminazione da OGM è frutto del lavoro di controllo dell'Istituto Nazionale di Ecologia (INE) messicano che fa parte del Ministero dell'Ambiente. L'INE insieme alla Commissione Messicana sulla Biodiversità (CONABIO) intraprese subito studi approfonditi. Due ricercatori americani dell'Università californiana di Berkley, David Quist and Ignacio Chapela, confermarono i risultati dell'indagine ed inviarono un articolo a Nature. La farsa che segue la diffusione della notizia della contaminazione può essere così riassunta: ATTO 1° - La negazione La prima risposta della comunità scientifica internazionale all'annuncio del governo messicano circa la contaminazione del mais indigeno fu di assoluto diniego. Lo studio doveva essere sbagliato perché la contaminazione genetica è virtualmente impossibile. L'invio del risultato della ricerca a Nature desta comunque qualche imbarazzo. ATTO 2° - la manovra diversiva Parte una feroce campagna di discredito ai danni dei due ricercatori di Berkley. Nel contempo si esprimono dubbi sulla validità della metodologia adottata dai due ricercatori. Nonostante tutto ciò l'articolo che dimostra la contaminazione viene pubblicato su Nature nel novembre 2001. 57 ATTO 3° - l'ambiguità Il quartier generale dell'International Maize and Wheat Improvement Centre (CIMMYT), il più importante istituto al mondo per gli studi sul mais la cui missione è quella di eradicare la povertà e conservare la biodiversità, non prende azioni serie per definire il livello di contaminazione del mais indigeno e rifiuta di confermare tale contaminazione. L'istituto assicura che la sua collezione di mais non è contaminata. Il CIMMYT dipende fortemente da finanziamenti americani e da tecnologie di proprietà dell'industria biotech. Indirettamente il CIMMYT riconosce la gravità della situazione perché interrompe la raccolta di mais indigeno per evitare che materiale genetico proveniente da mais GM possa contaminare le sue collezioni. ATTO 4° - la tattica dilatoria La pressione esercitata a livello internazionale dà i suoi frutti. Nature infatti scrive “In the light of discussions and the diverse advice received, Nature has concluded that the evidence available is not sufficient to justify the publication of the original paper.” Intanto, mentre i ricercatori dibattono dottamente sulla bontà delle metodologie, i contadini messicani continuano ad avere i loro campi contaminati da mais GM. Il governo messicano promuove due studi indipendenti sulla questione i cui risultati dovrebbero essere inviati a Nature. La FAO ed il Consultative Group on International Agricultural Research, il più importante organismo mondiale di ricerca agricola da cui dipende anche il CMMYT, non si pronunciano perché aspettano i risultati del governo messicano. ATTO 5° - le pressioni internazionali Nel World Food Summit a Roma: la contaminazione delle colture da specie GM non è in agenda Nel World Summit on Sustainable Development a Johannesburg: l'insostenibilità dell'agricoltura nell'era della contaminazione da OGM non è in agenda I lavori delle due istituzioni messicane sulla contaminazione del mais indigeno sono respinti da Nature. I commenti di due referee alla stampa sono: referee 1) la contaminazione del mais indigeno è un fatto tanto ovvio che non vale la pena pubblicare la notizia referee 2) gli studi sono difettosi ed imperfetti e non dimostrano in maniera convincente la contaminazione Il quotidiano messicano La Jornada pubblica il 22 ottobre un articolo dal titolo “Nature se niega a publicar estudio sobre transgénicos” a firma di Angelica Enciso and Andres Morales. ATTO 6° - la mistificazione Alcuni sostenitori delle biotecnologie incoscientemente affermano che “se” la contaminazione del mais messicano è una realtà, le biotecnologie hanno aumentato la 58 diversità genetica e donato gratuitamente delle caratteristiche positive alle piante indigene. Al seguito delle polemiche sulla contaminazione in Messico, alcuni paesi africani esprimono forti preoccupazioni circa la presenza di OGM negli aiuti alimentari USA. La risposta degli americani può essere così riassunta: “beggars can't be choosers” I governi africani sono accusati di voler volontariamente affamare i propri cittadini. Pressioni da parte del governo e delle industrie biotech americane sono esercitate su FAO, OMS e World Food Program per spingere i governi africani ad accettare gli aiuti alimentari GM. Una battaglia “morale” si scatena contro i dispotici governanti africani e sull'urgenza di aiutare gli affamati. ATTO 7° - il contenimento Più di un anno dopo la scoperta della contaminazione ! il governo messicano è stato capace di pubblicizzare i risultati dei suoi ricercatori ! non si conosce nulla sulla situazione della contaminazione al di fuori dei due Stati studiati ! nessuna regolamentazione è stata varata ! né il governo, né la FAO, né il CGIAR hanno promosso ulteriori studi ! nessuna informazione è disponibile sulle strategie per evitare la contaminazione delle banche del germoplasma ! nessuno studio è stato intrapreso per monitorare la situazione di altre colture indigene ! niente è stato fatto per controllare, e nemmeno per monitorare, il flusso di materiale genetico contenuto in semi modificati importati dal Messico ed il suo impatto sulle specie coltivate indigene Conclusioni Quest'articolo tenta di mettere in luce le implicazioni di carattere politico ed economico sottese agli OGM e tenta, altresì, di non ridurre il problema delle modificazioni genetiche di organismi di interesse agricolo ad una lotta tra scienziati progressisti ed oppositori luddisti. In definitiva, la scienza non ha che un ruolo ancillare in questo processo. Non si può nemmeno invocare la “purezza” e l'assenza di valori della ricerca scientifica, da contrapporre all'uso scorretto o deviato delle applicazioni tecnologiche. Nel caso delle biotecnologie sono infatti gli interessi economici che guidano la scienza verso traguardi predeterminati e resi commercialmente remunerativi grazie a politiche e trattati internazionali che precedono le scoperte scientifiche. E' su queste premesse che si tenta di negare ai cittadini il diritto di negoziare l'utilizzazione della tecnologia e dell'attività scientifica. Su queste basi si vorrebbe negare alla politica, come massima espressione della razionalizzazione delle dinamiche sociali, il diritto di mediare e di assumersi la responsabilità di scelte che riguardano anche l'azione degli scienziati. 59 Perché ostinarsi a non voler pervenire a scelte condivise, scendendo sul terreno della prassi insieme alle forze che su questo terreno si esprimono? Perché voler chiudere la scienza in una cittadella e comportarsi come si trattasse di un presidio militare assediato, al cui soccorso si accetta solo l'intervento del capitale? Il motivo è naturalmente strumentale. Tutti gli sforzi delle aziende alimentari e biotecnologiche, come di molti dei governi occidentali, sono orientati a far accettare, come se fosse un reale progresso, la più grande centralizzazione in mani private delle più potenti tecnologie della vita che mai l'uomo abbia mai messo a punto. 60 LA VIVISEZIONE COME FRODE SCIENTIFICA Marco Mamone Capria* 1. Che nella scienza possano verificarsi frodi come in altre attività professionali è emerso con più forza all'attenzione degli studiosi da una ventina d'anni. A questo proposito si può citare come particolarmente significativa la pubblicazione, da parte di una delle case editrici più prestigiose a livello mondiale, di un libro intitolato Traditori della verità Frode e inganno nella scienza.1 In quest'opera si discutono una serie di casi di frode avvenuti nel corso della storia della scienza, e in particolare di quella recente, e si cerca di abbozzare un quadro teorico che spieghi come mai essi non siano semplici incidenti di percorso, ma inevitabili conseguenze di come oggi la ricerca scientifica è organizzata e finanziata. 2. Il caso delle scienze biomediche, i cui praticanti sono costantemente sotto temibili pressioni socio-economiche, è sicuramente esemplare. Non a caso gli autori del libro sopra citato, e altri che li hanno preceduti o seguiti in quello che è diventato un fortunato filone di ricerca, si sono concentrati soprattutto su di esse. Che il desiderio di portare beneficio all'umanità sia la ragione principale che ha determinato la scelta professionale della maggior parte degli scienziati biomedici attuali è una ipotesi priva di valore. Se fosse anche approssimativamente vera, avremmo visto una presenza molto più massiccia di tali scienziati nella diffusione presso il pubblico di nozioni di medicina preventiva già da tempo acquisite. Per citare un fatto abbastanza noto, tra l'80% e il 90% di tutti i tumori sono provocati da cause note e sulle quali si potrebbe intervenire; ciò è noto da almeno una trentina di anni. Ma, tutto al contrario, la continua 'fuga' dai laboratori biomedici di notizie false circa supposte “scoperte decisive” sulla cura del cancro, contribuisce a rendere ciechi i cittadini rispetto alle gravissime responsabilità politiche che impediscono tuttora una seria opera di rimozione delle cause note delle patologie. Il fatto è che la prevenzione a livello sociale e individuale aiuta poco la ricerca di laboratorio a prosperare. Invece quegli stessi ricercatori non mancheranno all'appello quando si tratterà di chiedere ai cittadini e ai loro rappresentanti politici un volume maggiore di finanziamenti “per la ricerca” o una maggiore “libertà di ricerca” per se stessi e i propri colleghi. 3. Queste considerazioni, che si potrebbero documentare in dettaglio senza troppe difficoltà, servono a chiarire preliminarmente che l'accusa mossa a una buona parte della comunità biomedica, di aver adottato da un paio di secoli una metodologia 61 pseudoscientifica, non ha nulla di intrinsecamente inverosimile. In particolare non può essere respinta a priori sulla base dell'attribuzione di un livello etico particolarmente elevato ai membri di tale comunità. Sgomberato il campo da questo possibile pregiudizio, esamineremo ora, sia pure nelle grandi linee, se la vivisezione (cioè della sperimentazione invasiva sugli animali a scopo di estrapolare insegnamenti di interesse medico)2 si configuri o no come un buon esempio di pratica di ricerca fraudolenta e deleteria. La mia tesi in accordo con l'argomentata convinzione di molti illustri studiosi3 è che la risposta a tale quesito sia nettamente positiva. Nel complesso ci sono svariate ragioni che giustificano un netto rifiuto della vivisezione sia sul piano individuale (contestazione e obiezione di coscienza) che su quello collettivo (abolizione). 4. La prima e più evidente delle ragioni ha a che fare con l'etica più che con la scienza, ed è la sofferenza che la vivisezione causa agli animali da laboratorio. I vivisettori replicano di solito che tali sofferenze sono in realtà trascurabili, e che, quando c'è qualche dubbio al riguardo, agli animali viene per precauzione praticata l'anestesia. Lasciamo perdere la falsità, provata già in innumerevoli casi, di quest'affermazione sul semplice piano fattuale. Ma sono i vivisettori le migliori autorità per giudicare delle sofferenze degli animali? Una semplice riflessione, rafforzata da quanto verremo dicendo, è sufficiente a convincerci di no. In effetti già la sola condizione di detenzione è fonte di sofferenza per l'animale, rinchiuso in spazi ristretti, soggetto a condizioni di luce e alimentari che ne alterano bioritmi e fisiologia, limitato nella sua socialità ecc. Ormai è noto che gli animali da laboratorio (per esempio, i roditori) sviluppano comportamenti stereotipati che sono sintomo di “cervelli anormali”, come riconosciuto recentemente anche sulla stampa scientifica ufficiale.4 Il fatto che di ciò i vivisettori non si fossero accorti per secoli (o si fossero ben guardati dal rivelarlo), mostra la loro scarsa attitudine a penetrare la psicologia animale (o un'inveterata e in effetti tradizionale propensione alla menzogna). Ipocrisia a parte, è in effetti plausibile che i vivisettori siano induriti dalla loro stessa pratica nei riguardi della psicologia degli animali in cui impiantano elettrodi, che avvelenano con sostanze tossiche, che sottopongono a sforzi estenuanti, a cui trapiantano organi di altri animali ecc. ecc. Qui veniamo a una seconda ragione per rifiutare la vivisezione: la desensibilizzazione che essa opera ai danni delle persone che la praticano, e che non può non avere conseguenze sul loro equilibrio emotivo e morale. Questo aspetto non può essere lasciato solo alla discrezione e alla coscienza del singolo ricercatore, perché ha conseguenze anche nell'ambito pubblico. Infatti quelle stesse persone sono spesso incaricate, nelle vesti di medici o di esperti governativi, di prendere decisioni che possono influenzare il benessere dei loro simili. Quando ciò accade questi ultimi farebbero dunque bene a preoccuparsi. 62 5. Le considerazioni precedenti sono a volte accettate, sebbene malvolentieri, dai più onesti fra gli stessi vivisettori, ma non per questo essi ritengono, di solito, di dover ripudiare ciò che fanno. La risposta che hanno pronta è: anche se gli animali da laboratorio soffrono, forse che la loro sofferenza dovrebbe contare più di quella degli esseri umani malati che la vivisezione permette di curare? Dovremmo come recita un noto slogan vivisezionista sperimentare farmaci e terapie su un bambino piuttosto che su un cane? Prima di rispondere a questo argomento è doveroso ricordare che in ogni epoca c'è stato chi ha sostenuto, nobilmente, che gli animali non dovrebbero essere sottoposti a sevizie neppure se da ciò il genere umano potesse ripromettersi grandi benefici. Tali persone sono però una minoranza, che si contrappone alle tante più persone che hanno accettato e accettano che si provochino grosse quantità di dolore umano in nome degli interessi della parte dell'umanità di cui sono membri con guerre, sfruttamento, colonizzazione ecc. È difficile che queste persone prendano molto a cuore la sorte dei cani (e dei gatti) deportati nei laboratori di vivisezione. Magari alcuni di quei cani (o gatti) li hanno abbandonati proprio loro sul ciglio di una strada. Ma la disputa sulla moralità della vivisezione non si esaurisce nell'inutile appello che una minoranza sensibile e coinvolta rivolge a una maggioranza cinica o distratta. In effetti, e questo è un punto sul quale non si insisterà mai abbastanza, i presunti benefici che la vivisezione avrebbe arrecato allo sviluppo delle terapie mediche sono inesistenti, e anzi, peggio che inesistenti. Pertanto l'antitesi “un cane oppure un bambino” si fonda su un presupposto falso. 6. In questo c'è un importante parallelismo con la questione alimentare. Molti autori pretendono che l'uccisione di animali a scopo alimentare è una triste necessità, perché senza il loro apporto nutritivo l'organismo umano deperirebbe. Ora, se questo fosse vero, ci troveremmo di fronte a una grave contraddizione tra il nostro impulso vitale e la solidarietà verso gli altri animali. La linea di pensiero che si rifà, più o meno velatamente, al cattolicesimo è naturalmente del tutto soddisfatta di questo esito, in quanto confermerebbe i limiti della capacità di fare il bene proprio della natura umana dopo il peccato originale. Ma questo edificio ideologico si fonda su un presupposto scientifico che è semplicemente falso. Infatti chiunque può eliminare la carne dalla propria alimentazione. E, contrariamente a quanto parecchi nutrizionisti insinuano, non è vero che il vegetariano debba avvalersi della costante consulenza di esperti, o di chissà quali accortezze, se vuole evitare gravi errori alimentari. Al contrario, è molto più a rischio il mangiatore di carne, come ormai è noto da decenni e come testimonia l'alta percentuale di malattie (obesità, diabete, tumori ecc.) causate anche dall'alimentazione tra la popolazione 'onnivora'. Insomma, i grandi benefici del mangiar carne per la salute sono immaginari. L'antitesi “la vita di un vitello oppure la salute di un bambino” si fonda anch'essa su un presupposto falso. 63 7. Tornando alla vivisezione, essa è una pratica che con la scienza e con i benefici che siamo abituati ad attribuire al progresso di questa ha ben poco a che fare. Per esempio, sperimentare un farmaco su un topo non dà indicazioni adeguate sul comportamento di quel farmaco nell'uomo, o in qualsiasi altra specie diversa dal topo (e anche all'interno della stessa specie sono necessarie molte cautele prima di poter enunciare conclusioni d'ordine generale). Quando di quel farmaco si somministra la prima dose a un uomo, tutti gli esperimenti sugli animali eseguiti in precedenza non bastano a dare la minima rassicurazione sull'esito. La prima dose a un uomo è né più né meno che un nuovo esperimento. La pretesa che grazie alle prove su animali si sarebbero evitati e si eviterebbero rischi all'uomo è quindi falsa. Ma non 'semplicemente' falsa. Infatti ciò che è avvenuto innumerevoli volte, è stato che i risultati della sperimentazione sugli animali, non solo non hanno corrisposto a quello che si è poi constatato nell'uomo, ma sono stati così dissimili che, nella misura in cui li si è presi come 'indicativi', essi hanno messo in serio pericolo la salute delle persone. Citerò un esempio tra le centinaia possibili, uno dei più famosi, in modo che anche il lettore non specialista possa facilmente controllare quanto da me detto. 8. Il talidomide, che ha provocato 12.000 nascite di bambini focomelici (1957-1962), era stato propagandato dalle aziende produttrici come “innocuo come una zolletta di zucchero” e “tranquillante innocuo, adatto soprattutto alle gestanti”. Le prove su animali non avevano dato alcuna anticipazione del rischio di malformazioni nei feti (cioè del suo potere teratogeno). I vivisezionisti hanno tentato in tutti i modi di scusare questa imperdonabile catastrofe sanitaria, con il numero insufficiente di prove su animali effettuate all'epoca: oggi essi dicono una cosa del genere non potrebbe succedere. Per confutare questa difesa d'ufficio non occorre entrare nei particolari di che cosa avevano fatto le ditte farmaceutiche prima della messa in vendita del prodotto. Basta dire che dopo la catastrofe fu fatto ogni sforzo per ottenere una conferma vivisezionista della capacità teratogena del talidomide: ebbene, si riuscì a trovarla solo in un caso tra decine e decine di specie e razze. Ciò significa che, anche dopo essere stati messi sull'avviso circa ciò che dovevano trovare, e con tutto il tempo per fare prove su tipi diversi di animali, i vivisettori non riuscirono a trovare una conferma se non in modo sporadico e ambiguo. Ma talora si replica appunto questo è il progresso che abbiamo fatto: non ci limitiamo più a una o due specie, ma vagliamo il potenziale tossico del farmaco su tutta una schiera di specie e razze. L'implicazione di questa risposta è che se il farmaco viene riscontrato teratogeno su almeno un ceppo di una specie animale, esso non viene nemmeno passato alla fase clinica, mentre se non viene riscontrato teratogeno ciò rassicura sulla sua innocuità per donne incinte e feti. Anche questo è un falso. E stavolta per convincersene non bisogna andare più lontano dell'armadietto dei medicinali, e leggere qualche foglietto illustrativo. Alla voce sulla 64 somministrazione alle gestanti si trovano frasi come la seguente, del tutto tipica, che traggo dal foglietto relativo a un farmaco per il trattamento delle affezioni respiratorie: “Anche se gli studi teratologici condotti con FLUIMUCIL® sugli animali non hanno evidenziato alcun effetto teratogeno, tuttavia come per gli altri farmaci, la somministrazione nel corso della gravidanza e durante l'allattamento va effettuata solo in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo del medico”.5 E, per quanto riguarda l'altra possibilità (quella di dati positivi sugli animali) basta osservare anche qui cito uno tra i tanti esempi che la vitamina C è teratogena in cavie, topi e ratti, ma il foglietto illustrativo di una sua confezione in Italia non teme di riportare tra le indicazioni: “Profilassi e terapia della carenza di vitamina C (gravidanza, allattamento, alimentazione artificiale dei lattanti, tendenza alle emorragie per fragilità capillare)”.6 In conclusione nemmeno le case farmaceutiche prendono sul serio i risultati degli esperimenti di vivisezione che pure eseguono e finanziano. La spiegazione che danno per questa curiosa incoerenza è ancora quella fornita dal direttore di un importante laboratorio farmaceutico nel 1964: “Gli studi su animali si fanno per ragioni legali, non per ragioni scientifiche. Il valore predittivo di tali studi per l'uomo è privo di senso il che significa che la nostra ricerca può essere priva di senso”.7 A completare il quadro è importante notare che nessuno, né tra gli scienziati né tra gli industriali farmaceutici coinvolti nello scandalo del talidomide, fu colpito dalla minima punizione personale per questo crimine di massa. Non c'è dubbio che se le responsabilità dell'adozione di una metodologia pseudoscientifica fossero state riconosciute adeguatamente in sede legale in quell'occasione, i vivisettori sarebbero stati costretti a un ripensamento della loro attività con immediate conseguenze pratiche. 9. Bisogna infatti dire che dell'inaffidabilità della loro metodologia i vivisettori sono ormai largamente consapevoli, come si vede dal fatto che, nel dare notizia di scoperte presentate come pietre miliari della medicina, si premurano di regola di dichiarare, congiuntamente, che prima di arrivare a risultati utili sull'uomo si tratta di aspettare ancora qualche anno… e naturalmente l'afflusso di nuovi ingenti finanziamenti. Nessuno poi informa il pubblico, qualche anno dopo, su quante di queste profezie si siano avverate, ma la risposta è semplice: nessuna, a meno che una contemporanea o precedente sperimentazione sull'uomo non abbia indirizzato ad hoc l'interpretazione delle in ogni caso irrilevanti e pretestuose 'verifiche' su animali. Di più, l'uso degli animali per ottenere prove di tossicità o non tossicità di sostanze o agenti sull'uomo è stato uno degli strumenti preferiti dall'industria chimica per inondare l'ambiente di sostanze e agenti presentati come 'innocui' ma che sono poi risultati dannosi e a volte letali sull'uomo. Sono le prove su cani, roditori, conigli che sono servite a 'dimostrare' per decenni che il fumo di tabacco non poteva provocare cancro al polmone. Infatti esso non lo provoca in nessuno degli animali di laboratorio. Ma nell'uomo sì. Per decenni la controverità fornita dalla vivisezione ha servito a dovere gli sforzi delle multinazionali del tabacco a che non venissero approvate leggi anti-fumo. In 65 particolare vale la pena notare che solo l'anno scorso (2002) la International Agency for Research on Cancer ha ufficialmente inserito il fumo passivo tra i cancerogeni, mentre era almeno dalla fine degli anni 1930 che gli studiosi, fondandosi sull'evidenza clinica ed epidemiologica, l'avevano classificato come tale. Se si pensa che si il tumore ai polmoni è considerato oggi la prima causa di morte per tumore, e che la stima di vittime arriva a circa un milione all'anno in tutto il mondo, è evidente che questo solo esempio basterebbe a squalificare definitivamente la vivisezione se si considerasse la questione con equanimità. 10. Ma la vivisezione è veramente un problema che ci riguarda? O viene effettuata poco e lontano da noi così poco da non contare più molto, e così lontano che le nostre critiche non possono toccarla? La verità, purtroppo, contraddice sia l'una che l'altra illazione. Solo all'Università di Perugia ogni anno migliaia di animali (di prefernza ratti, topi e conigli, ma non solo) vengono utilizzati per 'ricerche mediche'. Per dare un esempio di quello che si fa, cito un esperimento attualmente in corso, intitolato “Effetto dell'allenamento sui sistemi antiossidanti e studio dell'effetto protettivo svolto da sostanze farmacologicamente attive sullo stress ossidativo indotto dall'esercizio fisico”. Il lettore ingenuo potrebbe pensare che si tratti di un esperimento privo di rischi condotto con la partecipazione di atleti volontari... E invece no: esso viene effettuato su ratti, i quali vengono costretti a “diversi tipi di allenamento” su “un rullo di 7cm di diametro adeguatamente studiato per consentire la presa dell'animale”, e gli sperimentatori aspettano a ogni prova finché, estenuati, “i ratti cadono sopra la lamina posta al di sotto del rullo”. L'istante di caduta dà “il tempo di resistenza dell'animale”, dopodiché questo è ucciso, dissanguato e diversi suoi tessuti sono sottoposti ad analisi... Non entro nei dettagli dell'insensatezza scientifica di questo esperimento, anche perché l'ho fatto come membro del Comitato Etico Universitario di Perugia, presentando per iscritto le mie critiche (gennaio 2001).8 Ciò che però penso che chiunque possa apprezzare senza dover entrare in questioni tecniche è che è assurdo qualificare questi esercizi crudeli come un esperimento che causa “Poca o nessuna” sofferenza. Eppure tale è la definizione datane dallo stesso responsabile del progetto sperimentale, e questa definizione è stata accettata dagli altri membri del Comitato (una quindicina, quasi tutti universitari e di diverse facoltà), che hanno approvato il progetto. Penso che questo esempio sia sufficiente a provare che non c'è molto che il cittadino possa sperare dall'autoregolamentazione degli scienziati, universitari e no. Spetta a lui esigere da questi un comportamento in linea sia con la razionalità scientifica, sia con il rispetto verso gli animali (uomini compresi), sia con le responsabilità giuridiche connesse allo spacciare come “risultato scientifico” qualcosa che non lo è. Il punto è che di queste cose il grande pubblico non sa praticamente nulla. Non sa nulla degli esperimenti che si eseguono talvolta a pochi metri da casa propria, e non sa che i comitati etici, che dovrebbero rappresentare il migliore giudizio espresso nell'attuale momento storico dalla nostra società, danno le loro certificazioni a praticamente 66 qualsiasi cosa venga loro sottoposta da un 'collega'.9 Per ulteriori esempi italiani il lettore può far riferimento a un sito Internet più volte censurato, e che ha il merito di elencare, anche con nomi e cognomi, vari esempi di ricerche al tempo stesso stupide e crudeli che vengono svolte nei laboratori italiani in larga misura, va sottolineato, a spese dei contribuenti.10 11. In conclusione la vivisezione ha una sola funzione per la quale si è rivelata veramente insostituibile: fuorviare le scelte della sanità pubblica e permettere l'avvelenamento (farmaceutico, alimentare, ambientale) dei cittadini per tempi molto più lunghi e in modi più svariati di quanto metodi realmente scientifici di indagine permetterebbero. Chi vuole fare ricerca per il bene dell'umanità non ha nulla da perdere rinunciando alla vivisezione, se non una inesauribile fonte di errori deleteri. A questo riguardo ricordo che in Italia vige una legge che permette di fare obiezione di coscienza alla sperimentazione animale la n. 413 del 1993. È una legge anch'essa censurata, e lo è da quegli stessi organismi e autorità che, per legge, dovrebbero divulgarne il contenuto presso studenti e tecnici. Essa è uno strumento preziosissimo la cui origine si deve proprio alla crescente consapevolezza tra gli operatori del settore delle informazioni che ho qui rapidamente sintetizzato. Farvi ricorso è la maniera migliore per alimentare in sé e negli altri quel rispetto per gli altri esseri senzienti senza il quale va presto in rovina anche il rispetto per i nostri simili; per avviarsi allo studio scientifico della medicina e della biologia; e per mettersi nelle condizioni di dare un contributo reale alla tutela della salute umana attraverso le proprie ricerche. Riferimenti BROAD, W., WADE N. 1982: Betrayers of the Truth. Fraud and Deceit in Science, Oxford University Press. CROCE P. 2000: Vivisezione o scienza [1981], Calderini Edagricole. KNIGHT J. 2001: “Animal data jeopardized by life behind bars”, Nature, 412: 669. MAMONE CAPRIA M. 2000: “Informazione medica: aspetti epistemologici e di comunicazione di massa”, Bollettino SFI, NS n. 171, pp. 32-51. RUESCH H. 1989: Imperatrice nuda [1976], CIVIS. 1 Dipartimento di Matematica, Università di Perugia, Italia. “Gli animali, noi e l'ambiente”, 18-19 gennaio 2003, Sala dei Notari, Perugia. Broad, Wade 1982. 2 Alcuni autori insistono nel volere che il termine “ vivisezione” (non la pratica stessa!) sia abolito, in favore di quello di “sperimentazione animale”. In realtà si può sperimentare su animali non umani anche per ragioni diverse da quella di far progredire la medicina umana; mettere tutto sotto la stessa etichetta mi sembra utile soprattutto alla causa della disinformazione. 3 Vedi Ruesch 1989, Croce 2000; altri riferimenti e collegamenti si trovano sul sito www.antivivisezione.it. 67 4 Knight 2001. Il principio attivo di questo farmaco è la N-acetilcisteina. 6 A conferma dello stato prescientifico della medicina attuale, basti dire che in Francia la stessa multinazionale del farmaco scrive nel foglietto illustrativo dello stesso prodotto: “Questo medicamento sarà utilizzato durante la gravidanza solo su consiglio del vostro medico. Se scoprite di essere incinta durante il trattamento, consultate un medico, perché solo lui può giudicare della necessità di proseguire. L'utilizzazione della vitamina C è da evitare durante l'allattamento” (cfr. Mamone Capria 2000; corsivi miei). 7 Dr. J. D. Callagher, direttore di Ricerca Medica ai Laboratori Lederle; dichiarazione pubblicata sul prestigioso Journal of American Medical Association (cit. in Ruesch 1991, p. 253). 8 Sia per questa ragione, sia per non isolare artificiosamente un solo 'colpevole' quando molti di più sarebbero da citare, non riporto il nome del responsabile del progetto. 9 Chi non osserva questa regola implicita può vedersi arrivare, come è accaduto al sottoscritto, una lettera del presidente del comitato in cui lo si è minacciato di “informare come invero vari colleghi mi hanno da tempo chiesto il suo Preside, ed il Consiglio [di Facoltà], di tale comportamento ostruzionistico, profondamente nocivo per il buon funzionamento [sic!] del Comitato” (lettera del 13 giugno 2001). Ovviamente ho reso immediatamente pubblica la lettera e in particolare ne ho data immediata comunicazione al mio Preside oltre che, successivamente, al Garante dell'Università di Perugia. Purtroppo né gli altri membri del Comitato, né le altre autorità da me informate hanno ritenuto la gravità del caso meritevole di un dibattito pubblico. Di conseguenza ho da allora cessato di presenziare alle sedute del Comitato, per non avallare una maniera di gestire il dissenso (per non dire dell'approvazione dei progetti sperimentali) che mi sembra tutto fuorché conforme all'etica. 10 Il sito è www.laboratoricriminali.net. 5 68 LA LEGISLAZIONE REGIONALE NEL QUADRO DELLA PROTEZIONE DEGLI ANIMALI E DELL'AMBIENTE Paolo Brocchi La tematica oggetto di trattazione richiede una brevissima disamina preliminare relativa al nuovo impianto di cui all'art. 117 Cost., ovvero ai rapporti tra lo Stato e le Regioni nell'estrinsecazione del potere legislativo, alla luce della riforma di cui alla legge costituzionale n. 3/2001. Le principali novità della riforma La legge costituzione n. 3 del 18 ottobre 2001, pubblicata nella G.U. del 24.10.2001 ed entrata in vigore il successivo 9 novembre, ha riformato e riformulato gran parte del titolo V della Costituzione, intitolato “Le Regioni, le Province, i Comuni”. La riforma, intende consentire l'affermazione di una organizzazione pubblica di tipo federalista nella quale allo Stato spettano solamente i compiti essenziali che non possono essere soddisfacentemente svolti dalle Regioni e dagli enti locali. Tale finalità viene sostanzialmente perseguita attraverso l'esatta individuazione delle materie soggette alla disciplina della legge dello Stato, il riconoscimento della potestà legislativa regionale in tutte le altre, nonché mediante la soppressione dei tradizionali controlli sull'operato delle Regioni e di Comuni e Province. La potestà legislativa statale risulta così distinta in esclusiva e concorrente. Solamente lo Stato può adottare leggi nelle materie di legislazione esclusiva, quali la politica estera, i rapporti internazionali dello Stato, l'immigrazione, i rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose, la difesa e le Forze Armate, la sicurezza dello Stato, le leggi elettorali, l'ordine pubblico e la sicurezza, la cittadinanza, lo stato civile e le anagrafi, la giurisdizione e le norme processuali. Nelle materie di legislazione concorrente, invece, allo Stato compete la determinazione dei principi fondamentali mentre la disciplina di dettaglio spetta alle leggi regionali. Rappresentano materie di legislazione concorrente, tra le altre, quelle relative al commercio con l'estero, alla tutela ed alla sicurezza del lavoro, alle professioni, al governo del territorio, alle grandi reti di trasporto e navigazione, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali ed alla promozione ed organizzazione delle attività culturali. Le materie che non rientrano tra quelle espressamente enumerate e attribuite allo Stato, secondo il criterio della competenza esclusiva o concorrente, sono soggette alla potestà legislativa delle Regioni (art. 117, comma IV: “Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”). La situazione delineata dalla recente riforma costituzionale é dunque, in sintesi, la 69 seguente: - materie espressamente riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117, comma II): possono essere disciplinate solamente con legge dello Stato; - materie, espressamente previste, di legislazione concorrente (art. 117, comma III): allo Stato compete la determinazione dei principi fondamentali, mentre alle Regioni spetta l'adozione, nel rispetto dei principi statali, della legislazione di dettaglio; - materie non rientranti né tra quelle riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, né tra quelle di legislazione concorrente, in quanto non comprese nelle relative enumerazioni: la riforma attribuisce la potestà legislativa alle Regioni (art. 117, comma IV). La mancanza di norme transitorie ha determinato rilevanti problemi applicativi sin dal giorno dell'entrata in vigore della riforma. Molte leggi statali, infatti, sono apparse scarsamente compatibili con il nuovo criterio di riparto. La considerazione delle conseguenze derivanti dall'applicazione della riforma, secondo il significato reso palese dalla formulazione letterale, ha indotto parte degli studiosi a verificare differenti possibilità di lettura. Si é così rilevato che le nuove norme costituzionali in nessuna parte vietano allo Stato di legiferare nelle materie che l'applicazione del criterio residuale rimette alla disciplina regionale. Le leggi così adottate, o vigenti all'atto di entrata in vigore della riforma, avrebbero carattere cedevole rispetto a quelle regionali. La loro applicabilità sarebbe cioé condizionata dall'assenza, nella singola Regione, di leggi regionali disciplinanti la stessa materia. L'interpretazione non intende solamente negare l'automatica incostituzionalità di gran parte delle leggi statali per effetto dell'entrata in vigore della riforma ed impedire quindi il prodursi di un blocco istituzionale dalle conseguenze imprevedibili, ma persegue anche l'obiettivo di evitare l'eccessiva frammentazione derivante dalla vigenza di venti differenti normative in molti importanti settori. Si ritiene infatti che i principi desumibili dalla legislazione statale vigente od adottata successivamente all'entrata in vigore della riforma, seppure riferita ad ambiti neppure parzialmente riservati alla competenza dello Stato, vincolerebbero comunque le Regioni. Ciò a tutela della indivisibilità ed unitarietà dell'ordinamento. La Costituzione, tuttavia, mediante l'enumerazione delle materie di legislazione concorrente, prevede espressamente gli ambiti per i quali lo Stato stabilisce i principi fondamentali. L'interpretazione, pertanto, in questa parte, potrebbe anche non ritenersi condivisibile. In ogni caso, si diceva, che molte leggi statali sono apparse scarsamente compatibili con il nuovo criterio di riparto. Tale é il caso, solo per ricordare alcuni esempi, del Testo Unico in materia di enti locali, della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, della legislazione in materia di lavori pubblici e dei Testi unici sugli espropri ed in materia edilizia. Ed é soprattutto relativamente alla materia edilizia che emergono le principali implicazioni avute riguardo alle tematiche che ci troviamo a discutere in questa sede: ovvero quelle sulla tutela dell'ambiente e, conseguentemente, sulla tutela e protezione degli animali. 70 Orbene, con riguardo alla protezione degli animali, ogni valutazione forse dovrebbe ad oggi essere sospesa in attesa della definitiva approvazione del disegno di legge (licenziato dalla Camera ed ora approdato al Senato) sulla introduzione nel Codice Penale sostanziale del Titolo XII-bis sui cc.dd. “Delitti contro gli animali”, che comporterà, come é noto, un notevolissimo inasprimento delle fattispecie sanzionatorie in tutti i casi di incrudelimento, o, anche, solamente, di detenzione od utilizzo degli animali in condizioni o secondo modalità incompatibili con la loro natura. A questo proposito si ricorda la previsione, non solo della pena detentiva, sub specie di reclusione, ma, altresì, di multe per svariate decine di migliaia di euro. Quanto alla tutela dell'ambiente, non possiamo non soffermarci su una questione che al momento si segnala come meritevole di un qualche interesse non solo da parte degli addetti ai lavori: intendiamo riferirci alla tematica dei cc.dd. abusi edilizi alla luce delle problematiche sollevate a seguito dell'emanazione di talune sentenze di merito, che hanno negato in radice la perdurante possibilità, da parte delle Pubbliche Amministrazioni, di fare luogo a procedure sanzionatorie amministrative e penali a fronte di reati edilizi. Il presunto vuoto normativo interesserebbe tra l'altro non solo la legislazione statale, ma, anche, per quanto ci riguarda, la normativa regionale umbra. Non é poi certo compito mio rimarcare e sottolineare lo stretto legame che esiste tra il governo del territorio, la tutela dell'ambiente e, in ultima analisi, la salvaguardia degli animali, nonché di tutti gli altri esseri viventi. Orbene, la materia che attiene, propriamente, al rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie risulta disciplinata dal combinato disposto del T.U. 380/2001 e della L. 443/2001, nota, quest'ultima, anche come legge Lunardi. Già peraltro il contemperamento e la parziale sovrapposizione di questi due testi di legge ha dato luogo e probabilmente fornirà ancora occasione per ampi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali. In questa sede ci si intende invece soffermare su di una curiosa vicenda che ha interessato il D.P.R. 6.6.2001, n. 380, la quale sta creando non poche difficoltà agli interpreti. Il citato T.U. per l'edilizia, D.P.R. 6.6.2001, n. 380 é entrato in vigore il 1° gennaio 2002 ed é rimasto in vigore per i primi nove giorni del medesimo anno 2002, prima di subire una serie di proroghe. A tale riguardo v'é chi sostiene che tale meccanismo ha avuto l'effetto di abolire le contravvenzioni previste dall'art. 20, L. 47/85, con l'evidente conseguenza, per la quale, nei processi che si celebrano oggi a fronte di illeciti edilizi perpetrati dagli imputati il Giudice dibattimentale dovrebbe assolvere gli stessi perché il fatto “...non é più previsto dalla legge come reato...”. Invero, le regole sul c.d. favor rei in sede penale costringerebbero i Magistrati a tenere conto dell'effetto abrogativo maturato nei primi giorni del 2002. Orbene, a fronte, pertanto di una ipotetica contravvenzione circa l'intervenuta integrazione a titolo esemplificativo - della fattispecie di cui all'art. 20, 1° comma, lett. c), L. 47/85, il Giudice dovrebbe affrontare e risolvere la problematica giuridica derivante dall'incidenza sulla materia del T.U. sull'edilizia. Il provvedimento in questione 71 doveva entrare in vigore il il 1° gennaio 2002. E in effetti a tale data il T.U. é entrato in vigore. Ma lo stesso ha avuto vita breve. Invero, con la L. 463/2001 si é stabilita una prima proroga dell'entrata in vigore. A questo differimento ne sono seguiti altri (D.L. 122/02 L. 185/02), tanto che il termine attualmente previsto é quello del 1° luglio 2003. Eppure il T.U. é rimasto in vigore per i primi nove giorni dell'anno 2002. A tale riguardo va sottolineato che tra le disposizioni del T.U. di cui é stato disposto il differimento c'é anche l'art. 20 della L. 47/1985. Tra gli effetti realizzati c'é l'abrogazione delle disposizioni incriminatrici in materia edilizia: “....l'entrata in vigore dell'articolo 136 del Testo Unico per l'edilizia (in quei nove giorni del gennaio 2002) ha abrogato l'articolo 20 della legge 47/1985....” (cfr. sentenza Trib. Ivrea, 3.7.2002, n. 447). Tra l'altro, rileva quel Giudice di Ivrea, nei cc.dd. provvedimenti di proroga, nulla si é disposto circa la disciplina da applicare nelle more dell'entrata in vigore del T.U. e, inoltre, gli stessi non hanno in alcun modo ripristinato l'efficacia della normativa nel frattempo abrogata. A questo punto, serenamente, quello stesso Giudice prende atto dell'abrogazione intervenuta e, in base all'art. 2, comma 2, del Codice Penale (abolitio criminis) assolve l'imputato, il quale aveva realizzato un capannone industriale senza concessione edilizia. Tale conseguenza potrebbe davvero risultare necessitata, anche se é evidente che non era questo l'effetto voluto dal Legislatore. Cionondimeno il principio di legalità in materia penale vieta di punire il reo, ove non ricorra una espressa e vigente disposizione incriminatrice: “...In assenza di un dato formale positivo di fonte legislativa, in ossequio al principio di legalità, non é possibile pervenire a un giudizio di continuità del tipo di illecito sanzionato...” (cfr. sentenza, cit.), ancorché non vi sia dubbio che il T.U. ripeta puntualmente la disposizione incriminatrice. - La portata della citata pronuncia esplica tuttavia effetti anche nei giudizi amministrativi. Vediamo in quale modo. - L'argomentazione sostenuta dal Giudice richiama il c.d. principio di legalità. Orbene, tra le disposizioni della L. 47/1985 abrogata dal T.U. per l'edilizia troviamo anche gli articoli 7 e seguenti, i quali notoriamente riguardano le sanzioni edilizie amministrative (demolizioni, ripristini e sanzioni pecuniarie). Anche per gli illeciti amministrativi vale il principio di legalità (cfr. art. 1, L. 689/1981), con le stesse conseguenze del settore penale e cioé il venire meno del potere sanzionatorio dei comuni, per quanto ad esempio attiene alle cc.dd. ordinanze di demolizione. - Tra l'altro, la carenza di potere in capo all'Ente, a seguito dell'abrogazione espressa di norme di legge, é rilevabile ex officio in ogni stato e grado di un eventuale giudizio. Né in Umbria sembrano soccorrere le leggi regionali, dato che nelle varie disposizioni vigenti (L.R. 53/1974; L.R. 26/1989; L.R. 6/1991; L.R. 28/1995; L.R. 31/1997), non sembra rinvenirsi disciplina alcuna relativamente ai procedimenti sanzionatori attivabili in materia edilizia. Il precedente rappresentato dalla menzionata sentenza del Tribunale di Ivrea non sembra, a quanto pare, isolato, dato che anche il Tribunale di S. Maria Capua Vetere si é recentemente pronunciato sulla tematica delle cc.dd. ricostruzioni, prive di titolo edilizio, a seguito di pregressa demolizione di manufatti, rilevandone la sopravvenuta 72 irrilevanza almeno sotto il profilo penale. Urge un intervento chiarificatore del legislatore. Non bastano i pronunciamenti di contrario avviso, pur autorevoli, perché emanati dalla Corte di Cassazione, ovvero le altre sentenze di merito, quale quella, altrettanto recente, del Tribunale di Grosseto. Siamo in presenza, come detto, di una tematica di grande respiro con implicazioni talmente estese e diffuse da interessare, di fatto, ogni aspetto del nostro vivere quotidiano, allorché ci troviamo ad entrare in relazione dialettica con il territorio che ci circonda. 73 74 NOI E GLI ANIMALI Guerrino Giorgetti Si sta instaurando una coscienza nuova nell'uomo, il quale comincia a capire che la natura non è una sua proprietà, ma qualcosa di cui fa parte. E in conseguenza sta nascendo un rapporto nuovo con gli animali: più rispettoso, più obiettivo. Che cosa sta sradicando atteggiamenti che resistevano da millenni? C'è un padrone nel Creato? Mai come oggi è stato riscontrato, in Italia, così vivo interesse per gli animali. Esso è particolarmente evidente fra la popolazione che ha meno di cinquant'anni ed in particolar modo in quell'età compresa tra i quindici ed i venti. Ciò, è stato spiegato, non è legato alla maturità e perciò ad un minor slancio emotivo, né all'entusiasmo tipico dell'età giovanile, né all'acuirsi del degrado ambientale. La maggior attenzione per gli animali viene prevalentemente ascritta al contesto sociale in cui sono vissute le popolazioni esaminate. Chi attualmente ha superato i 50 anni, si è formato con una cultura aggressiva, ha subìto una guerra, ha vissuto gli anni duri della ricostruzione, ha lottato per la ripresa economica. In un ambiente permeato da uno spietato antagonismo, l'individuo si è collocato di fronte all'animale con uno spirito di competizione o di indifferenza. Le nuove generazioni hanno, con gli animali, un rapporto più sereno, rispettoso, obiettivo. A creare questo maggior rispetto non hanno contribuito molto né la scuola, né le istituzioni religiose, né la classe politica. La scuola ha fatto poco e quel poco è dovuto alle iniziative dei singoli insegnanti che hanno supplito ai programmi ministeriali con il loro impegno e la loro sensibilità. La religione cattolica, purtroppo, ha sempre mostrato indifferenza verso gli animali e poca attenzione alla loro sofferenza. Questo atteggiamento ha le sue radici nel principio biblico dell'uomo padrone del Creato. “Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza; domini sopra i pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra tutti i rettili …” “Prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate …” “… riempite la terra e incutete paura e terrore a tutti gli uccelli del cielo. Essi sono dati in vostro potere” (Genesi 1,26; 1,28; 9,1; 9,3). Ci sono state nel Cristianesimo figure meravigliose come San Francesco, che hanno parlato di fratellanza fra le creature. Ma sono state rare. Ancora oggi, la Chiesa come tale, e la maggior parte del clero, non si oppongono né alla caccia, né alla corrida come spettacolo: atteggiamenti tutt'altro che benevoli nei confronti degli animali. Nella cattolicissima Spagna, in ogni arena, c'è una cappella dove il torero invoca la benedizione divina prima di cimentarsi con il toro. I cacciatori hanno un Santo protettore 75 e ottengono la benedizione sacerdotale. Il disinteresse della classe politica, almeno fino a poco tempo fa, non ha bisogno di essere illustrato. Gli zoo, i circhi, la protezione dell'ambiente, la vivisezione hanno interessato pochissimo i legislatori e gli uomini di governo. Oggi però le violenze sugli animali incominciano a suscitare più sdegno che tolleranza. La caccia come “sport”, gli zoo, i serragli dei circhi e la corrida come spettacoli, la vivisezione e gli allevamenti impietosi come normale prassi, sono comportamenti che a molti appaiono inammissibili. Si sta instaurando una coscienza nuova nell'uomo e un nuovo rapporto con gli animali. Il merito di ciò va sia alla scienza, che pone tutti gli esseri viventi su un uguale piano, sia ai divulgatori scientifici, che hanno diffuso le conoscenze e le immagini di una Natura meravigliosa in tutti i suoi aspetti. Si comincia a capire che la natura non è una nostra proprietà, ma qualcosa di cui facciamo parte; che l'uomo, grazie al progresso, porta una grave responsabilità, perché è in grado di alterare gli equilibri e di distruggerli, ma anche di proteggerli; che l'animale non è un essere inferiore, incapace di comprendere e di soffrire. Il concetto cartesiano degli animali come “macchine che non pensano e non sentono”, dopo aver giustificato per secoli i massacri provocati dalla caccia e le crudeltà della vivisezione, è entrato in crisi. Avere pietà e comprensione per gli animali, considerarli nostri fratelli, e come tali titolari di diritti, non ci deve far vergognare. La scienza tende sempre più ad accostare gli animali all'uomo; le distinzioni sfumano: rappresentano il nostro passato. Rifiutare simili concetti vuol dire negare l'evidenza dei fatti. Com'è stato superato il concetto tolemaico della centralità della terra nell'universo, così occorre superare il principio della primogenitura dell'uomo nella Natura. Non è un declassamento, ma il riconoscimento di una verità scientifica, che comporta un maggior rispetto per tutto il Creato. Fino a pochi anni fa, l'uomo “civile” considerava “selvagge” le popolazioni più primitive, e i suoi approcci erano dettati da curiosità e da motivazioni spesso ben poco altruistiche. Poi è arrivata l'etnologia. “L'etnologo”, dice Paolo Caruso, “vuole essere il contrario dell'esploratore. Mentre l'esploratore andava fra i selvaggi animato da zelo missionario, per portare fra quella gente i valori della sua civiltà, l'etnologo si reca fra loro per imparare, da questo contatto, qualcosa sulla propria civiltà, non meno che sulla loro: qualcosa sugli uomini.” Alla stessa maniera l'uomo comincia oggi ad accostarsi agli animali: per capire meglio se stesso. Perciò la caccia, non avendo più senso come necessità alimentare, non può essere tollerata in un paese civile, come “sport”; e “sport” non sono le corride. Non si tratta infatti di lotte e competizioni, perché i contendenti hanno armi ineguali e la possibilità di vittoria è solo da una parte. Un uccello che si posa vicino a un capanno o vola o si leva a portata di tiro di un cacciatore, che possibilità ha di sopravvivere? 76 Uno stambecco, immobile su di una roccia, inquadrato nel cannocchiale di una carabina ad alta precisione, che probabilità ha di salvarsi? Il toro non uscirà mai vivo dall'arena. Quando vi entra è già condannato; se combatte bene, può solo prolungare la propria agonia. La sola abilità dei praticanti di questi “sport” consiste nell'abilità di uccidere. I vinti debbono dar spettacolo con la propria morte. Oggi le corride e la caccia sono ancora più assurde che in passato. Il toro combatte senza gagliardia. E' mansueto perché convive con l'uomo e gli si affeziona durante l'allevamento. Quando lo mandano nell'arena non riesce a capire perché deve cercare di incornare un tizio che sventola uno straccio rosso. Una cosa analoga succede con la caccia. Nei periodi in cui è chiusa, l'animale si abitua all'uomo, durante i periodi di scarsità trova da mangiare vicino ai centri abitati. Insomma, vive sicuro e protetto. Addirittura molta selvaggina viene allevata dall'uomo, e poi immessa sul terreno libero. Passano i mesi e ogni diffidenza dell'animale scompare. Come può sapere che un certo giorno inizierà contro di lui una guerra senza quartiere? Vengono delimitati territori in cui l'animale non può essere infastidito e lì convive con l'uomo. Come può sapere che tutto questo cessa al di là di un cartello? Per gli uccelli non esistono né frontiere né nazioni, eppure basta superare un valico, un mare e non trovano più misericordia. Gli animali, che non fanno differenza fra i giorni della settimana, non potranno mai capire perché un giorno (il lunedì) non ci siano cacciatori in giro e un altro (la domenica) ce ne sia uno dietro a ogni albero. Gli storni, i merli sono diventati abitatori delle nostre città, vivono fra gli uomini. Come possono sapere che gli stessi uomini, in campagna, li accolgono a fucilate? “Le pavoncelle sono meravigliosi uccelli migratori, con il dorso e le ali nere, il petto bianco. Nidificano in primavera, nel Nord Europa (Belgio, Olanda …). Fanno il nido in terra. Un tempo, in quei Paesi, le uova venivano razziate dall'uomo. Oggi, però, costa meno allevare galline ovaiole e le pavoncelle possono covare tranquillamente. Non vengono cacciate, anche perché la loro carne non è eccellente. Vivono a terra, si nutrono di insetti e di vermi. Hanno scoperto che dietro a una macchina che ara è facile trovare da mangiare, perciò si avvicinano e si lasciano avvicinare dai trattori. In Italia la caccia alla pavoncella è largamente praticata e “gli sportivi”, per vincere la diffidenza delle pavoncelle, si avvicinano ai branchi sopra macchine agricole. La legge che regolamenta la caccia (periodi di caccia chiusa, silenzi venatori durante la settimana, zone di rispetto) le normative dei vari Paesi, gli atteggiamenti ineguali degli uomini rendono gli animali ancor più indifesi, pregiudicano la loro naturale sospettosità. Nello “sport” della caccia non solo non si compete ad armi pari, ma è stata ormai tolta alle vittime l'unica arma di difesa: la diffidenza. Gli sforzi dei protezionisti, l'amore e il rispetto che si stanno diffondendo nei riguardi degli animali, saranno vani finché esisterà uno “sportivo” che si chiama cacciatore. 77