FINALITA’
Durante questi ultimi anni l'attenzione dei cittadini sui problemi della natura e degli
animali è stata sollecitata dai mass media, dalla stampa, dalla convegnistica e dalle
attività delle associazioni animaliste e ambientaliste su argomenti diversi e specifici,
essenzialmente collegati al consumo delle carni, alla produzione di abbigliamento e al
testaggio dei prodotti farmaceutici, al degrado biochimico ed elettromagnetico
dell'ambiente. L'attenzione agli animali d'affezione è stata essenzialmente promossa in
relazione alle leggi sul randagismo.
La questione del genocidio occulto degli animali da macellazione, quanto i metodi di
uccisione degli animali da pellicceria, sono problemi di una dimensione etica e
finanziaria tale da dover essere spesso evasi dai centri d'informazione.
Per quanto riguarda l'inquinamento ambientale e l'estinzione della fauna selvatica, si
stanno verificando fenomeni di evitazione simmetrici a quelli dei grandi conflitti militari:
fanno notizia i dettagli sulle stragi isolate, ma si ammutolisce di fronte alle deportazioni
di massa e alla soppressione di intere etnie. Le prime vittime di questi complessi
d'impotenza sono le stesse associazioni animaliste e ambientaliste, che spesso
riescono ad organizzare centinaia di persone intorno alle sevizie di un singolo animale,
ma non riescono a trovare soluzioni valide ai grandi problemi della sofferenza e del
genocidio della fauna selvatica e degli animali da sperimentazione e da abbigliamento.
In tal senso la cura per gli animali d'affezione è un problema perché, se di per sé è un
fatto positivo (l'amore per un nostro fratello minore), nel complesso dei comportamenti
sociali dimostra quanto sia radicata nella nostra specie la strumentalizzazione delle
altre: gli animali che non servono, o sono in qualche modo dannosi, non sono degni di
attenzione e di rispetto.
A distanza di oltre un secolo dalle prime forme di associazionismo animalista europeo e
a distanza di pochi anni da alcune iniziative di riflessione ed approfondimento in Italia,
volte a verificare le disponibilità e le potenzialità del movimento animalista e
ambientalista, riteniamo sia venuto il tempo di lavorare in modo coerente su argomenti
di tipo prioritario, quali il riconoscimento dei diritti all'esistenza delle altre specie e la
relazione interdisciplinare fra bioetica, scienza, filosofia e religione, in materia di
rispetto della natura e delle sue componenti vitali.
Questo per noi significa lavorare per una serie di confronti e di collaborazioni capaci di
realizzare un disegno comune delle prospettive animaliste e ambientaliste, che
potrebbero vedere impegnati i numerosi cultori di queste materie in maniera
continuativa ed organica, quanto in senso “trasversale”. Con questo termine noi
intendiamo un modo di porre i problemi e le loro soluzioni indipendentemente da
qualsiasi pregiudizio politico e ideologico, ma anche al di là di forme di chiusura
corporativa e/o istituzionale derivanti da pretese di monopolio dei contenuti scientifici,
etici, filosofici o religiosi.
Nei Paesi industrialmente avanzati si parla di 'trasversalità sociale' pro e contro quanto
viene definito sommariamente globalismo, ma in Italia ed in altri Paesi del
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Mediterraneo, il pluralismo delle componenti culturali ed etniche può essere il freno a
processi di sviluppo anomali, fatti di impeti consumistici evolutisi negli ultimi venti anni a
beneficio delle grandi concentrazioni finanziarie mitteleuropee e anglosassoni: in tal
senso il globalismo verrebbe ad identificarsi con una rapida e progressiva distruzione
delle componenti naturali dell'ecosistema.
Le testimonianze asiatiche, africane e sudamericane di questi processi sono
innumerevoli e note. La positività della presunta arretratezza dei Paesi dell'area
mediterranea consiste nella loro disponibilità a confrontarsi con altre etnie senza
pregiudizi di superiorità. Non ci illudiamo: altre culture, altre religioni, altre società di
minoranza hanno sperato di aprire un dialogo con interlocutori più forti e sono state
cancellate in epoche storiche diverse.
Analogamente l'impegno ambientalista e animalista si è sempre scontrato con forti
interessi costituiti, che impiegano ogni mezzo per evitare che se ne parli, se non - al più come un bizzarro fenomeno minoritario. Tuttavia la valenza etica e di difesa dei diritti
fondamentali dei cittadini (in primo luogo quello alla salute, messo in serio pericolo dal
dissesto ambientale, dagli allevamenti intensivi e dalla vivisezione una pratica
pseudoscientifica che tuttora domina la ricerca medica) fa sperare nelle possibilità di
convergenza fra gruppi politici e associazioni, che sono spesso divisi su questioni meno
evidentemente legate all'interesse generale.
A tale proposito va anche sottolineato che l'idea di rispetto dei diritti fondamentali vigenti
e l'opportunità di un comportamento vegetariano ha radici storiche diverse e comuni a
culture, etnie e religioni orientali e occidentali, sopravvissute in certi casi alle
vicissitudini dei millenni.
Per questi motivi abbiamo fiducia nelle capacità delle componenti animaliste e
ambientaliste di diffondere e rafforzare i loro principi con forme di dialogo, confronto,
informazione e se necessario aperta denuncia, già sperimentate o ancora inedite, che
rendano sempre più omogenea la pratica quotidiana delle rivendicazioni.
Un problema immediato è quello delle forze prioritarie di base con le quali lavorare,
senza tacere gli errori e i limiti delle esperienze passate.
Perugia, 3 ottobre 2002
Il Comitato promotore
Antonella Pulci (Presidente W.W.F.-“Fondo Mondiale per la Natura”- dell'Umbria)
Marco Mamone Capria (Facoltà di Matematica Università di Perugia)
Sergio Revoyera Bovini (Presidente “Natura e Ambiente” Onlus Perugia)
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Antonella Pulci
Presidente WWF Umbria
Presentazione del Convegno
L'idea del WWF Umbria di organizzare questo Convegno
insieme a LAV e LAC, è nata e maturata da alcune
iniziative pensate dal Consigliere Regionale Carlo Ripa di
Meana, che ringrazio pubblicamente per averci fornito il
“là” all'avvio della nostra manifestazione.
Abbiamo ragionato molto su come impostare questo
evento, cercando di toccare vari aspetti: la spiritualità,
ricordandoci che siamo in terra francescana e
sicuramente San Francesco ha avuto un ruolo
importante, ovviamente in ambito religioso, nel rivalutare
l'essere “animale” in un periodo dove la Chiesa lo trascurava o addirittura lo negava;
parleremo di nutrizione: quanti di noi in famiglia si sono sentiti dire da bambini: “…senza
carne si diventa anemici”; e via che i medici consigliavano addirittura carne di cavallo;
sentiremo interventi sulle lotte fatte dalle nostre Associazioni per problemi come la
vivisezione, i combattimenti degli animali, gli aspetti giuridici della tutela degli stessi, su
come ambientalismo ed animalismo hanno lavorato per vincere alcune battaglie anche
importanti, ma sicuramente non ancora sufficienti.
Abbiamo appreso con immensa gioia che finalmente la Camera rende merito alle richieste
fatte, anche mediante petizioni, dai cittadini sulla legge per i maltrattamenti degli animali:
ecco così la modifica dell'art. 727 del C.Penale, dove viene messo in chiaro che gli animali
sono soggetti di diritto e non cose e pertanto colui che incrudelisce verso uno di loro rischia
finalmente il carcere; basti pensare ai 350.000 animali abbandonati nel solo 2002 o ai
milioni di animali destinati alla vivisezione.
E' una vittoria che vede coinvolto in prima persona anche uno dei nostri Relatori, nonché
Vice Presidente del WWF Nazionale, Maurizio Santoloci insieme agli amici della LAV.
Le tante azioni legali per la tutela dell'ambiente e degli animali, perché “l'uno non esiste
senza l'altro”, devono farci riflettere sulle crudeltà che l'uomo infligge loro nonché sul
mancato rispetto del nostro (di animali ed uomini) mondo: “il pianeta terra”.
Vedi in proposito la famosa questione Enichem, da cui abbiamo imparato che chi inquina
non paga, al contrario di quanto recita l'art. 174 del Trattato UE.
La perversione del profitto a tutti i costi uccide il mondo e noi siamo responsabili di ciò sotto il
profilo sociale-morale-etico.
La falsa globalizzazione ci pone di fronte ad un mondo di bambini che vivono in condizioni
disumane; siamo sempre noi i responsabili e vediamo di non nasconderci dietro false
concezioni come quella di dire: “ho mandato la mia offerta”, per salvarci l'anima se siamo
religiosi o per sentirci socialmente assolti se siamo laici; bastano invece anche poche azioni
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quotidiane per scongiurare il peggio.
Ho ricevuto per regalo da mia cugina un libro il cui titolo è: “Ognuno può fare la differenza” di
Julia Butterfly Hill; riporto due frasi, riprese anche da lei da altri autori ed inserite nel suo
libro, che sono: “Noi dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere” di
Mohandas K. Gandi e l'altra di Johan Wolfgang Goethe che dice: “Fai qualunque cosa tu
possa fare, sogna quello che puoi, inizialo. L'audacia ha genialità, potere e magia. Comincia
subito.” Viviamo, come scrive anche Michael Pollan, giornalista del “The New Jork Times
Magazine” nello scritto “Il posto degli animali”, forme schizoidi verso di loro: li amiamo e li
mangiamo, quindi affetto e brutalità.
Il motivo che caratterizza questa forma, sempre per Pollan, è il seguente: “Il modo di vivere
odierno, è che la vita di certi animali (il maiale, il manzo, ecc.) è uscita dalla nostra sfera
visiva; quindi, tranne quelli domestici di affezione, tutti gli altri animali non figurano più nella
nostra vita quotidiana”. Qui colgo l'occasione per ringraziare il Preside della Facoltà di
Veterinaria di Perugia, Prof. Gaiti, ed anche il Prof. Rueca, che ci spiegheranno quale è il
ruolo del veterinario, pregandoli di parlare anche della legge sull'obiezione di coscienza.
Tornando a quanto dicevo prima, la carne che mangiamo proviene dal macellaio dove viene
tagliata e confezionata in modo che il suo aspetto ricordi il meno possibile che si tratta di
pezzi di animale. Cloniamo vergognosamente pecore, scimmie, anche esseri umani; la
National Academy of Sciences (NAS) nel settembre del 2002, ha insediato una
commissione speciale perché allarmata dalla manipolazione genetica di pesci e insetti: il
rischio che questi potrebbero fuggire, metterebbe in pericolo le specie selvagge, ma ha
considerato poco preoccupante la clonazione di animali da fattoria, considerando che le
nuove tecniche riproducono gli animali già adulti senza alterazioni genetiche.
Altri scienziati come il Dr. Harry Griffin del Roslin Institute scozzese, padre della prima
clonazione, mette in guardia dai pericoli che potrebbero invece insorgere nell'utilizzo
insensato e generalizzato di tecnologie sperimentali.
Dobbiamo difendere la nostra biodiversità e noi del WWF su questo versante siamo sempre
in prima linea; l'Italia non ha paragoni sotto il profilo della biodiversità: infatti ha avuto un
riconoscimento dal censimento concluso presso l'Università di Roma per conto del
Ministero dell'Ambiente dove è stata indicata la presenza di 57.421 specie di animali.
Il WWF ha proposto e ripropone anche alla Regione Umbria di creare corridoi ambientali
che salvaguardino alcune specie (che troviamo indicate nel censimento come specie rare)
e che vivono appunto nella nostra Regione, come l'aquila e il lupo, offrendo nel contempo la
possibilità di utilizzare una griglia tra i parchi o tra le aree protette, per poter creare uno stile
di fruibilità turistico-ambientale da permettere di qualificare le zone rientranti in tale progetto
come modello di vita, ecologicamente parlando, innovativo.
Vorrei ricordare per ultimo la campagna di sensibilizzazione e la stessa petizione che il
WWF Italia sta facendo per impedire la caccia nei parchi.
Concludo ringraziando tutti coloro che hanno contribuito alla riuscita di queste due giornate,
auspicando che tutte le tesi esposte possano favorire un sereno, aperto e cordiale
confronto senza frapporre integralismi di parte, ma cercando invece un varco per poi aprire
a sinergie fattive e che possano essere prese ad esempio da altre Regioni.
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MALTRATTAMENTO E UCCISIONE DI ANIMALI:
UNA MODIFICA NORMATIVA ORMAI INEVITABILE.
Di Maurizio Santoloci Magistrato
Intervento parzialmente tratto da “Impronte” della LAV
Le cronache quotidiane riportano ormai
sempre più frequentemente casi di
maltrattamenti ed uccisioni gratuite di animali;
un segnale che denota da un lato un aumento
paradossalmente progressivo di tale ignobile
fenomeno e dall'altro un forse proporzionato
sviluppo dell'interesse e della sensibilità della
stampa e dell'opinione pubblica su questo
problema.
Al di là degli episodi di cronaca di maggiore
gravità e che dunque riescono perfino a interessare il sistema informativo nazionale, si
deve registrare un microcosmo polverizzato e quotidiano di forme di incrudelimento
verso gli animali sommerso e silente a livello di mass media, ma comunque vivo e vitale
nelle sue forme più deleterie. Detto fenomeno si articola non soltanto attraverso
l'azione vandalica del privato in certo senso fine a se stessa, ma ormai ha assunto
dimensioni che si sviluppano attraverso canali e meccanismi di tipo commerciale,
industriale e criminale in senso stretto (fino alle più note attività di combattimenti tra cani
per i quali si deve riservare un titolo argomentativo a parte).
Dobbiamo nel contempo rilevare, con serenità, ma con estrema e coerente decisione,
che il nostro ordinamento giuridico è totalmente impreparato ad affrontare questo
fenomeno a livello di disciplina sanzionatoria (preventiva e repressiva).
Va infatti ribadito che il nostro sistema penale non prevede una norma specifica contro il
maltrattamento e le uccisioni gratuite degli animali.
Deve essere infatti sottolineato che l'articolo 727 del Codice penale “contro il
maltrattamento degli animali” non è una norma diretta alla tutela degli animali ma,
paradossalmente, alla tutela del comune sentimento di pietà che ha o dovrebbe avere un
eventuale essere umano presente all'incrudelimento su un animale. Non a caso il reato è
inserito attualmente sotto il titolo delle “contravvenzioni concernenti la polizia dei
costumi”.
Va inoltre evidenziato che, al di là della finalità specifica della norma (che risente dunque
di un vizio genetico insuperabile) la previsione sanzionatoria non sortisce alcun effetto
né deterrente né repressivo perché si tratta in realtà di una modestissima somma di
denaro: da 1032,91 a 5164,56 euro. La pena è quindi soltanto pecuniaria e di fatto
simbolica: è infatti oblazionabile, il che permette con il pagamento di una modestissima
somma di evitare il processo, estinguendo così il reato. E poiché si prescrive in due anni,
massimo tre, non da quando il reato è stato scoperto ma da quando è stato compiuto, ha
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un effetto deterrente nullo, a causa dello svolgimento medio di un processo, successivo
ai tre anni di tempo. Un reato così modesto non fornisce poi peraltro neppure strumenti
investigativi idonei agli organi di polizia. Per poterlo applicare è inoltre necessaria una
sincronia eccezionale di eventi che mettano assieme la sensibilità di chi denuncia,
dell'organo di polizia che accerta e dell'organo giudicante.
Alcune condotte inoltre, come l'uccisione del proprio animale, senza “maltrattamenti”,
sono ancora addirittura lecite!
L'articolo 638 del Codice penale poi, formulato negli anni '30 e recentemente passato di
competenza al Giudice di Pace, mira a tutelare solamente il proprietario per il valore
economico dell'animale allevato ed è peraltro attivabile solo su querela di parte.
Il punto fondamentale di un problema di riforma di tale normativa è da ricercarsi tuttavia
prima ancora che nella entità della pena in realtà nella costruzione giuridica della norma
in questione. Infatti questa arcaica ed ormai superata tipologia di illecito non è diretta a
tutelare gli animali in quanto esseri viventi e senzienti.
Sia chiaro: non si va a ipotizzare o proporre una irrealista questione di “diritti soggettivi”
degli animali o altrettanto irrealiste modifiche costituzionali per favorire l'evoluzione di
principio sulla natura giuridica degli animali medesimi, ma è nostra intenzione, restando
su un piano tecnico giuridico qualificato, proporre una forte e realmente rivoluzionaria
qualificazione giuridica degli animali che devono essere considerati destinatari diretti
della protezione normativa come esseri viventi e senzienti, posizione giuridica che oggi
non esiste nella norma.
Inutile quindi insistere per aumentare semplicemente le pene dell'attuale articolo 727
codice penale. Nessun aumento di pena per quanto forte potrà mai modificare la
struttura genetica di tale reato che è e resterà sempre un articolo del codice non diretto
a tutelare gli animali ma finalizzato a tutelare l'uomo, ed esattamente il sentimento di
pietà umano. Finché resteremo ingessati dentro questo preistorico sistema normativo,
tutte le modifiche saranno comunque viziate da tale presupposto e l'applicazione della
norma continuerà ad essere metastaticamente limitata al livello giurisprudenziale.
Infatti non riusciamo ad avere una importante presenza di sentenze che stabiliscono il
diritto degli animali a non soffrire perché una norma del genere non esiste.
In realtà, e non sembri paradossale vista la situazione, se fino ad oggi un certo filone
della magistratura più sensibile ed attenta a questi problemi, ha pronunciato sentenze
innovative sul maltrattamento ed uccisioni gratuite partendo dal presupposto del diritto
degli animali a vivere e a non essere violentati in quanto esseri senzienti, accertando il
concetto del maltrattamento dolore, questo costituisce una forzatura giurisprudenziale
perché appunto queste sentenze hanno interpretato l'arcaico 727 c.p. in modo nuovo
ed aderente alla realtà dei tempi e dei costumi. Ma proprio perché si tratta di forzature
giurisprudenziali, non si può vivere di rendita su un sistema penale completamente
distonico laddove la norma dice una cosa (limitata e vetusta) ed una parte della
giurisprudenza dice una cosa diversa (attuale e moderna). Anche perché poi non tutta
la giurisprudenza è sensibile e attualizzata e dunque registriamo anche i filoni di
sentenze asetticamente aderenti alla norma vigente e dunque di totale insoddisfazione
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sotto il profilo della tutela giuridica degli animali.
E' dunque ormai il momento di adeguare la norma alla giurisprudenza più evoluta!
Perché di fatto oggi la sensibilità pubblica, i costumi e l'evoluzione di parte
dell'ordinamento dei giudici è molto più attuale e moderno della ormai improponibile
formulazione dell'art. 727 c.p. atteso che si rende necessaria una norma che tuteli gli
animali in via diretta in quanto esseri senzienti e capaci di soffrire.
In questo senso e con queste finalità emotive e profondamente animaliste, ma
canalizzate in un contesto di profonda scientificità professionale tecnico-giuridica, un
gruppo di giuristi della LAV (nel quale ho avuto il piacere e l'onore di essere chiamato a
lavorare) ha creato una proposta di modifica integrale di questa normativa. Attenzione:
non una modifica del 727 o una ennesima riedizione più severa, né una utopistica
proposta di norma che crea “diritti soggettivi” in capo agli animali, ma una seria e articolata
proposta assolutamente realista nei contenuti e nelle pene per introdurre nel nostro
ordinamento giuridico un articolo di legge teso a proteggere gli animali in quanto tali.
Abolendo preventivamente sia l'ormai esausto 727 sia l'interfaccia ideologico e cioè
l'art. 638 del medesimo codice penale che oggi, per coerenza con lo spirito della
vecchia (ma tuttora vigente) normativa considera gli animali “cose” ed “oggetti” e non
esseri viventi (si veda dunque che l'art. 638 del codice penale punisce il
“danneggiamento” di un animale altrui e quindi al pari di un “danneggiamento” di
un'autovettura o di uno stereo!).
Questo ormai improponibile binomio normativo, che fino ad oggi ha sterilizzato ogni
azione giuridica tesa a tutelare gli animali, va cancellato integralmente. Non modificato
o aggiornato, ma cancellato per coerenza ideologica e sistematica. Il tutto va sostituito
integralmente con una norma che partendo da presupposti, appunto, ideologici e
sistematici opposti, e cioè la finalità di tutelare gli animali in quanto esseri viventi e
senzienti, preveda poi coerentemente una serie di illeciti in gradazione sanzionatoria
progressiva e con proporzionata severità.
In questo senso e con queste finalità credo che l'iniziativa della LAV costituisca una vera
proposta di evoluzione normativa radicale e fortemente significativa, al passo con i
tempi e fonte di una vera innovazione giuridica che possa garantire da un lato una
previsione normativa certa e chiara, e dall'altro anche la risoluzione di problemi di vera
assurdità giuridica oggi esistenti. Tra questi ultimi, uno merita tra tanti la citazione: la
confisca dell'animale sequestrato nelle mani del soggetto responsabile del reato di
maltrattamento. Per il nostro ordinamento giuridico oggi questo animale maltrattato è
una “cosa”, un “corpo di reato” inanimato. Dunque può essere restituito al soggetto che
lo ha maltrattato dopo il pagamento dell'oblazione o del decreto penale di condanna!
Oppure, nel migliore dei casi, per essere affidato definitivamente a volontari zoofili deve
seguire la trafila burocratica delle “cose” sequestrate e confiscate: andare all'asta!
La proposta LAV attualizza ed affronta anche questi problemi che sembrano marginali
ma che in realtà sono frutto di una norma antica ed ormai desueta. Sembrerà
paradossale, ma con l'attuale art. 727 la procedura per non restituire l'animale
maltrattato al soggetto penalmente riconosciuto colpevole del maltrattamento se
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padrone dell'animale medesimo è fonte di battaglie giudiziarie, spesso perse.
Crediamo sia veramente ora di cambiare radicalmente la norma. L'iniziativa della LAV
ed il “manifesto” di adesioni merita dunque l'adesione di tutti.
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RELAZIONE AVV. GIAN LUCA LAURENZI - LEGALE FIDUCIARIO LAV UMBRIA
Palazzo dei Priori di Perugia, Sala dei Notari, 18 gennaio 2003
Nella disamina dei casi concreti di tutela legale va dapprima fatta una precisazione
quantomai importante al fine di comprendere alcuni dei casi che verranno trattati:
l'Umbria, che ha dato i natali a S. Francesco, simbolo di Pace tra gli esseri viventi e di
armonia tra tutte le creature, ha una casistica quantomai varia di maltrattamenti agli
animali e vi è una certa resistenza da parte degli organismi pubblici alla tutela: gli
animalisti sono visti come degli importuni.
Proprio per questo, nonostante numerosi episodi in cui si è riusciti ad ottenere la tutela
legale dei diritti degli animali, in questa sede si vogliono evidenziare due casi eclatanti di
giustizia “negata”.
LA FESTADELLA “PALOMBELLA” DI ORVIETO
Nel giorno del Corpus Domini nella città di Orvieto si tiene un rito vecchio di secoli,
risalente al XVI° secolo.
Una colomba bianca (viva) viene legata con le ali aperte su di un telaio a forma di ruota
nel quale sono posti anche numerosi petardi e viene fatta scorrere su di un cavo
metallico posto a notevole altezza, il tutto a simboleggiare la discesa dello Spirito
Santo.
Dopo il rito la colomba (“palombella”) viene donata ad una coppia di novelli sposi che la
devono custodire.
Il fatto che per tale rito sia utilizzato un essere vivente sta provocando da alcuni anni una
ribellione dei movimenti animalisti, dapprima, e poi da parte di personalità della
scienza, cultura e dello spettacolo (ad es. Lea Massari e Margherita Hack), in quanto si
sostiene che non snaturerebbe affatto il rito sostituire l'animale vivo con un simulacro.
Non occorre dire che la festa del Corpus Domini ed il rito della “palombella” sono molto
sentiti dalla popolazione di Orvieto.
Nel 1998, parallelamente ad alcune manifestazioni di protesta tenutesi durante la festa,
la LAV, il WWF ed altre associazioni animaliste presentarono, presso la locale Procura
della Repubblica, formale denuncia nei confronti del Sindaco di Orvieto, del Vescovo di
Orvieto e del Presidente dell'Opera del Duomo di Orvieto, sostenendo la violazione
dell'art. 727 c.p. (maltrattamenti ad animali) in quanto legare un organismo piccolo e
delicato come quello di una colomba, in una posizione innaturale, farlo scorrere su di un
filo metallico, ma soprattutto, fargli scoppiare a pochi centimetri di distanza dei petardi e
mortaretti, era (ed è) un vero e proprio maltrattamento.
Tale nostra tesi era supportata da pareri di alcuni docenti dell'Università di Camerino,
Trieste ed Udine.
La nostra denuncia provocò un vero e proprio sommovimento popolare a sostegno
della Festa; sommovimento alimentato anche da una campagna diffamatoria che
voleva le associazione animaliste -ottuse e becere- pronte alla lotta per far abolire la
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Festa, quando non è mai stato nelle intenzioni della LAV l'abolizione del rito, ma si è
sempre chiesto e si continua a chiedere la semplice sostituzione dell'essere vivente
con un simulacro inanimato.
Con provvedimento del 22.01.1999, il Procuratore della Repubblica presso l'allora
Pretura di Orvieto richiese al GIP l'archiviazione delle indagini sulla scorta di varie
motivazioni.
Premettendo che la fattispecie non s'inquadra in alcuna delle ipotesi previste e punite
dall'art. 727 c.p., il PM iniziò la propria richiesta sottolineando che: «non sussiste, invero
incrudelimento verso l'animale senza necessità e cioè la sottoposizione a crudeltà
inutili, inflizione allo stesso di sofferenze al solo scopo di malvagità».
Proseguì, poi, chiarendo che: «Circa lo stato della colomba dopo la cerimonia è emersa
innanzitutto l'impossibilità di accertare eventuali stress e danno dalla stessa subito»,
affermando immediatamente dopo che, comunque la “palombella” non ha subito alcun
danno soltanto perché era viva e vegeta.
Dopo aver svolto delle valutazioni sul fatto che la sostituzione con un simulacro:
«…avrebbe svuotato di ogni contenuto la festa stessa» e quindi, essendo la tradizione
ben radicata si sarebbe potuto parlare di “necessità”, il PM si avventurò in valutazioni
giuridiche affermando: «…mancherebbe, come manca, sempre l'elemento soggettivo
dello stesso (reato) che necessita per tale condotta specifica (incrudelimento), per
giurisprudenza e dottrina costanti (che, però, il PM si guarda bene dal citare) del dolo e
cioè della coscienza e volontà di sottoporre l'animale a sofferenze per sfogo di
malvagità o altro».
Il macroscopico errore tecnico-giuridico del PM, al di là delle sue valutazioni personali
non condivisibili, è quello che per avvalorare la richiesta di archiviazione parla di
evidente mancanza del dolo in un reato contravvenzionale (art. 727 c.p.) per cui è
indifferente, ai fini dell'accertamento, la sussistenza del dolo o della colpa: è sufficiente
il solo fatto in sé, senza alcun rapporto con l'elemento soggettivo.
La fattispecie di cui all'art. 727 c.p., infatti, è rubricata come reato contravvenzionale e per
una parte della dottrina (Pannain, Saltelli-Romano, Altavilla, Battaglini e Maggiore) nelle
contravvenzioni non occorre né dolo né colpa: non è necessario, cioè, che il fatto sia
realizzato intenzionalmente e neppure che sia stato commesso per imprudenza o
negligenza, basta che l'azione e/o omissione sia cosciente e volontaria.
Per altra parte della dottrina, invece (Antolisei, Vannini, Musotto, Pagliaro, FiandacaMusco), con somma attenzione alla lettera del terzo capoverso dell'art. 42 c.p.,
escludendo l'azione cd. “incolpevole”, per la contravvenzione è necessaria almeno la
colpa.
La Corte di Cassazione sul punto specifico dell'art. 727 c.p. ha poi definitivamente
chiarito che: «Il reato di maltrattamento di animali è integrato non solo da
comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza nei confronti
degli animali, ma anche da condotte che, pur non accompagnate dalla volontà di
infierire su di essi, incidono, senza giustificazione, sulla sensibilità dell'animale
producendo dolore; l'art. 727 c.p., infatti, tutela gli animali in quanto autonomi esseri
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viventi, dotati di sensibilità psico-fisica e capaci di reagire agli stimoli del dolore» (Cass.
Pen. 14.03.1990, c. Fenati).
Il Pretore di Amelia, inoltre, con una sentenza esemplare ha mirabilmente delineato la
fattispecie alla quale si riferisce l'art. 727 c.p.: «Il concetto di maltrattamento ed
incrudelimento verso un animale può essere inteso ed individuato con riferimento al
concetto di maltrattamento-dolore; gli animali, in quanto innegabilmente esseri viventi
dotati di sensibilità fisica, reagiscono a tutte le modifiche che si verificano attorno a loro
(contatti, temperatura, odori, suoni, luci, cibo, stress, eccitazione, trattamento)
positivamente entro determinati limiti fisiologici; se questi limiti (soglia) vengono
superati l'animale prova dolore e quindi reagisce in vario modo; il maltrattamentodolore è quindi una violazione delle leggi naturali o biologiche, fisiche e psichiche di cui
l'animale è portatore; le categorie di maltrattamenti e sevizie possono essere fisiche
(violenza gratuita di ogni tipo occasionale o abitudinaria, fame, sete, incrudelimenti nel
campo del lavoro con fruste, pesi, finimenti, eccesso di fatica, impiego antifisiologico;
mattazioni con mezzi dolorosi; attività sportive con animali come bersagli od oggetto di
divertimento, etc...) genetiche o meccaniche (selezioni genetiche od interventi su
cromosomi per ottenere prestazioni o produzioni animali anomale; costrizioni in
condizioni di allevamento che ne impediscono la deambulazione o lo sviluppo delle
ordinarie attività fisiche; forzature di alimentazione etc...); ambientali (costrizione in
esasperate situazioni di cattività); superata la soglia della reattività al dolore e violate
cioè le leggi biologiche naturali mediante maltrattamento-dolore, il reato di cui all'art.
727 c. p. può dirsi integrato.» (Pret. Amelia 07.10.1987 c. Cecchetti).
Inoltre, precisa la Cassazione: «Sussistono gli estremi della contravvenzione di cui
all'art. 727 c.p. (maltrattamenti di animali) nel caso di uccelli vivi legati per la coda
mediante fili, strattonati per farli levare in volo breve con ricaduta; infatti, si infliggono a
tali esseri viventi, dotati di sensibilità psico-fisica e capaci di sentire il dolore,
ingiustificate gravi sofferenze, con offesa al sentimento comune di pietà verso gli
animali» (Cass. Pen, III sez., 11.09.1995 c. Cattelan)
La palombella, infatti, a differenza della fattispecie di cui alla sentenza citata, non è
“semplicemente” legata viva, ma è anche circondata da petardi e fumogeni che le
esplodono a pochi centimetri di distanza.
Questi argomenti, insieme a molti altri, vennero inserite nell'atto di opposizione alla
richiesta di archiviazione che redassi e presentai al Giudice delle Indagini Preliminari di
Orvieto.
Con provvedimento del 30.03.1999, accogliendo le tesi del PM, il GIP dispose
l'archiviazione facendo proprio un precedente provvedimento nella stessa materia
emesso dal Pretore di Orvieto nel 25.05.1988, sottolineando, con evidente arretratezza
giuridica, viste anche le pronunce sopra e successive a quella data, che l'art. 727 c.p.:
«…è diretto non tanto a salvaguardare l'incolumità degli animali, quanto a non suscitare
negli uomini (…) gli istinti peggiori…», definendo la nostra denuncia: «…frutto, oltre che
di una errata informazione, di una insensibilità fuori dal comune (…) nonostante siano
state apportate delle modificazioni tali da ridurre, comunque, il turbamento (…)
11
derivante dallo scoppio di mortaretti» non precisando affatto, tra l'altro, quali fossero tali
“modifiche”.
La triste conclusione della vicenda è il sintomo della fortissima pressione ambientale
subita dal PM e dal GIP di Orvieto, unita ad una personale ed evidente insensibilità degli
stessi, che hanno fatto sì che, oltre a tutta la città, anche la Magistratura di Orvieto o,
quantomeno, parte di essa, ignorando palesemente i principi generali del diritto e
qualsiasi norma di buon senso e civiltà, si ergesse a difesa di un chiaro caso di
maltrattamento censurato da tutto il mondo.
AZIONE DI RESPONSABILITA' PROFESSIONALE NEI CONFRONTI DI UN
VETERINARIO
Nel 1998 una ragazza offertasi volontaria ricevette in affidamento dalla LAV un cucciolo
di cane, razza Rottweiler, sesso femminile di nome Nessi, che era stata posta sotto
sequestro dai Carabinieri di Frascati nell'ambito di operazioni contro i combattimenti dei
cani.
La cagna, inserita in un ambiente “normale” circondata da affetto e cure era cresciuta
con un carattere mite ed affettuoso, nonostante le sevizie subite.
Una mattina, probabilmente per seguire qualcuno di casa che usciva in auto, riuscì a
fuggire dal giardino dove era custodita.
Rintracciata immediatamente a pochi metri da casa, Nessi zoppicava vistosamente
presentando un vistoso rigonfiamento in corrispondenza del garrese posteriore sinistro
e, pertanto, veniva portata immediatamente presso uno studio veterinario.
Il dottore effettuava una visita generica alla cagna diagnosticando una semplice
contusione ed un versamento dove l'animale presentava il gonfiore. Il veterinario non
ritenendo opportuno un esame radiografico, prescriveva un forte antidolorifico
(Rimadyl) da somministrare a Nessi, non avvertendo la volontaria che tale medicinale
andava assunto dalla cagna a stomaco pieno in quanto avrebbe potuto provocare
danni alla mucosa gastrica di un animale che, seppur già di grossa taglia, era
biologicamente ancora cucciolo.
La volontaria pagò regolarmente la visita senza che il veterinario rilasciasse regolare
ricevuta fiscale.
La cagna Nessi fu portata il giorno successivo dal veterinario per un altro controllo. Il
veterinario, pur se sollecitato continuava a non ritenere opportuno un esame
radiografico, in quanto sosteneva non esserci frattura perché il dolore sarebbe stato
insopportabile per il cane e visibile; sempre a suo dire, al massimo ci potevano essere
delle microfratture che si sarebbero saldate nel giro di poche settimane
spontaneamente.
Sulla base di tale ulteriore diagnosi, il dottore invitò la volontaria ad avere pazienza e la
esortò a far fare a Nessi delle lunghe passeggiate per, a suo dire, far riassorbire
l'ematoma.
La volontaria portò spontaneamente per i quattro Lunedì successivi Nessi dal
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veterinario per controlli periodici.
Nonostante, però, la volontaria si fosse attenuta alla lettera alle prescrizioni del
veterinario, Nessi continuava ad essere claudicante, il gonfiore sul garrese posteriore
sinistro si riduceva in larghezza, ma non in altezza e la cagna si mordeva
continuamente la zona, tanto che aveva rasato completamente il pelo. Esposti tali fatti
nel corso di un controllo, il dottore, continuando a sostenere ostinatamente la propria
diagnosi di una semplice contusione, ritenne che la cagna si mordesse nella zona non
perché provasse dolore, ma perché affetta da parassiti e prescrisse degli
antiparassitari da somministrare a Nessi.
Passate quattro settimane, visto che non si riscontravano miglioramenti e visto che tale
strano gonfiore al tatto non sembrava un versamento, in quanto era molto più duro, la
Sig.ra Marchetti pretese, anche con toni duri un esame radiografico, dal quale emerse
che esisteva una lussazione dell'anca, e che quello che il veterinario aveva
diagnosticato come un “versamento” non era altro che la testa del femore che sporgeva
e quelli che per il convenuto erano “parassiti” non erano altro che i morsi che Nessi si
dava per il fastidio.
Purtroppo, dopo oltre un mese nel quale, su suggerimento del veterinario, Nessi aveva
camminato a lungo, la lussazione non poteva più essere ridotta manualmente, ma
soltanto chirurgicamente.
Dopo essersi rivolta ad altro veterinario per curare, per quanto possibile, Nessi, la
volontaria, anche sulla base del referto medico rilasciatole dal secondo, dal quale
emergeva tutta la responsabilità del veterinario negligente, conveniva in giudizio
davanti al Giudice di Pace, il veterinario negligente per sentirlo condannare al
risarcimento dei danni. Nel giudizio si costituiva in adiuvandum all'attrice anche la
LAV.
Oltre che con documenti prodotti, per l'istruzione della causa venne richiesta la
testimonianza di alcuni amici della volontaria che, a turno, l'avevano accompagnata dal
negligente, oltre ad una consulenza tecnica d'ufficio, da parte di un veterinario
indipendente dalle parti, al fine di verificare, senza ombra di dubbio, la sussistenza o
meno della responsabilità del dottore.
Appena formulate tali richieste istruttorie, assolutamente ordinarie in ogni processo
civile, il Giudice ebbe da obiettare che tutte queste richieste -che avrebbero comportato
una rispettabile attività istruttoria, per un semplice cane (!!!), gli parevano troppe.
Riservandosi la decisione sull'ammissione delle richieste istruttorie, il Giudice sciolse la
riserva non ammettendo tali richieste con la motivazione che fossero superflue e,
nonostante avessimo reiterato più volte tali richieste, chiedendo al Giudice di tornare
sui suoi passi, egli invitò le parti alla precisazione delle conclusioni, trattenendo la
causa in decisione.
La sentenza rigettò la nostra domanda con la motivazione che l'operato del dottore non
appariva censurabile, non spiegando affatto, come un medico veterinario possa non
accorgersi di una lussazione dell'anca (ipotesi tra le più semplici da diagnosticare) e
non spiegando affatto i veri motivi per cui le prove richieste erano state ritenute
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irrilevanti.
Nonostante il suggerimento di proporre appello alla sentenza, la volontaria si dimostrò
nauseata da tale episodio, preferendo non appellare.
CONCLUSIONI
Fortunatamente non tutti i giudici sono come quelli di cui vi ho appena narrato.
Dalla mia esperienza e dai casi ora esposti ho potuto appurare che la maggior parte
delle volte nelle quali si è ottenuta la tutela, in campo giudiziario, di una situazione di
maltrattamento, è stato più per la sensibilità del singolo magistrato nei confronti dei
movimenti animalisti, che per la tutela fornita dall'ordinamento.
Di fatto l'ordinamento oggi vigente, assolutamente carente sul punto, permette tale
discrezionalità da parte di ogni magistrato che non sia sensibile alla tutela dei diritti degli
animali.
Ritengo, quindi, che occorra un intervento legislativo volto ad escludere, per quanto
possibile, il potere discrezionale dei magistrati, rendendo assolutamente vincolante ed
abbastanza rigida l'obbligatorietà dell'azione penale e/o il risarcimento civile ed,
accertata la penale e/o civile responsabilità dell'imputato, la condanna.
L'approvazione del 15.1.2003, con larga maggioranza, da parte della Camera dei
Deputati del progetto di Legge che riforma i reati nei confronti degli animali, è già di per
sé una grande vittoria dei movimenti animalisti, anche perché tale approvazione è
avvenuta con un larghissimo consenso “trasversale” ai partiti, ma, forse è brutto dirlo,
potrebbe non essere ancora sufficiente.
Al di là, infatti, dell'inasprimento delle pene, l'introduzione di nuovi delitti (fin'ora i reati
contro animali erano, come abbiamo visto, delle semplici contravvenzioni) e della
previsione più ampia e più specifica delle fattispecie sanzionabili, alla luce di quanto ora
esposto, le norme forse avrebbero dovuto allargare il novero dei responsabili ed
indicare con maggior precisione, una volta individuato il configurarsi del reato, una
catena precisa di responsabilità e di soggetti imputabili.
Nel progetto di introduzione dell'art. 623-quinquies, tanto per fare un esempio, sarebbe
auspicabile che venisse prevista esplicitamente e senza possibilità discrezionale la
punibilità anche di coloro che assistono (anche senza scommettere e/o favorirne
l'organizzazione) ai combattimenti clandestini, proprio per stroncare alla radice il
fenomeno.
Si sente questa esigenza proprio per evitare per il futuro che chiunque chieda la tutela
dei diritti degli animali sia trattato alla stregua di un importuno, affetto da patologia
monomaniacale che chiede la tutela di un bene risibile, di un bene di secondo piano, di
un bene di serie “B”.
Non esiste giustizia di serie “B”, non esistono reati di serie “B”, deve esistere una
nazione democratica che tutela nella stessa maniera ed efficientemente tutti gli esseri
viventi a prescindere dalla specie.
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ASPETTI NUTRIZIONALI E BIOETICI DELL'USO DI ALIMENTI DI ORIGINE
ANIMALE NELL'ALIMENTAZIONE UMANA
Dott. Franco Trinca
Spec. in Scienza dell'Alimentazione
Come Nutrizionista sensibile agli aspetti etici
connessi all'alimentazione e che in passato ha
fatto un'esperienza semi vegetariana (priva
cioè di alimenti provenienti da animali uccisi
quali carni e pesci) di circa due anni, la mia tesi
è che la decisione di escludere del tutto o in
parte dall'alimentazione i cibi di origine
animale, passando ad una delle varianti di
regime vegetariano, ancorché legittima ed
ineccepibile, non trova il suo fondamento
essenziale in motivazioni prettamente
nutrizionali.
Da questo punto di vista, il modello mediterraneo, inteso come mixer di cibi vegetali e
cibi animali equilibrati in quantità, frequenza e rotazione, conferma la sua piena validità.
Tale considerazione di tipo tecnico, nulla toglie non solo alla legittimità, ma perfino
all'ammirazione che si deve verso scelte etiche che conducono ad eliminare dalla
propria alimentazione i cibi derivanti dall'uccisione e/o dallo sfruttamento violento degli
animali.
Voglio però sottolineare che, la nobiltà di una scelta di questo genere, trova fondamento
proprio nelle motivazioni etico-spirituali che possono condurre un essere umano a
decidere di voler vivere senza infliggere ad altri esseri morte e sofferenza, più che
in quelle di tipo nutrizionale.
L'osservazione che in natura la catena alimentare e l'evoluzione delle specie si fondano
sul cannibalismo obbligato, non giustifica in alcun modo le diffuse obiezioni razionalistiche
che tendono a svilire la scelta vegetariana a moda inutile e innaturale. Infatti, la natura non
è un meccanismo statico, bensì un processo in divenire, il cui senso spirituale può sfuggire
solo ai razionalisti per fede, o agli ignoranti (in senso etimologico e non offensivo).
Infatti, ad un'analisi più profonda, appare evidente come l'Uomo rappresenti lo stadio di
risveglio della coscienza, di quell'energia preatomica manifestatasi con l'ormai famoso
big-bang e successivamente assemblatasi (in virtù delle leggi fondamentali dell'Universo)
in categorie sempre più complesse: atomi, molecole, aggregati macromolecolari, cellule,
organismi pluricellulari semplici e complessi, fino all'uomo per l'appunto.
A ciascuno degli stadi ricordati dell'evoluzione naturale, corrisponde una diversa capacità
di interazione e coscienza delle leggi fondamentali dell'universo: non solo la
termodinamica, la gravitazione, la meccanica quantistica, le leggi che permettono
l'immagazzinamento dell'informazione in molecole autoreplicanti come il DNA e le
15
proteine, o che regolano la duplicazione della cellula, o quelle che permisero
l'assemblaggio permanente di miliardi di cellule in colonie cellulari che decisero di fondersi
in unità superiori, quali sono gli organismi pluricellulari; nel novero delle leggi fondamentali
dell'universo bisogna includere anche quelle più filosofiche, come la conoscenza
dell'ambiente circostante distinto dal sé, la coscienza dell'io e, finalmente, la coscienza del
Bene e del Male, cioè l'etica.
L'Uomo, quindi, cosciente da un lato della sofferenza propria e di quella altrui, come
pure attratto irresistibilmente dalla dolcezza di una carezza o di un gesto di amicizia
scambiato anche con un animale diverso da lui, avverte ineluttabilmente la
contraddizione tra amare e far soffrire.
In conclusione, come è naturale che un leone azzanni una gazzella senza provare la
benché minima pietà, anzi con pieno senso di godimento e autorealizzazione, è
altrettanto naturale che il superiore stadio di coscienza rappresentato dall'uomo, prima
o poi, si interroghi sulla sofferenza connessa alla pratica della violenza e dell'uccisione
di altri esseri viventi, necessaria per trasformarli in cibo.
L'ultima cosa che mi sento di raccomandare a coloro che sono già dentro la scelta
vegetariana, o a quelli che stanno prendendo consapevolezza del problema, ma non si
sentono ancora pronti, è di non condannare ma perdonare sé stessi e gli altri per la
possibile incoerenza, altrimenti violerebbero quella motivazione d'amore che sorregge
una scelta così naturalmente rivoluzionaria.
Sotto il profilo prettamente nutrizionale, consiglio di non improvvisare il regime
vegetariano, specie nella forma vegana che esclude anche derivati del latte e uova;
bensì di programmarlo attentamente con qualcuno di provata esperienza teorica e
pratica, al fine di evitare alcune possibili carenze nutrizionali derivanti non dal
vegetarianesimo in sé stesso, bensì dalla sua pratica non oculata.
Mi riferisco in particolare ad oligoelementi come il ferro e lo zinco, allo jodio, a
macrominerali come il calcio ed il fosforo, ad alcune vitamine del gruppo B, in
particolare la B12, a diversi amminoacidi essenziali per la sintesi proteica, come ad
esempio fenilalamina, metionina, triptofano, ecc..
Nell'impostare il regime vegetariano, raccomando di non fermarsi ai pur utili cereali,
tanto meno nella forma raffinata industriale, ma di consumare regolarmente sufficienti
razioni di legumi, compresa la soia, sia nella forma di legume tal quale, sia come derivati
proteici; ovviamente ortaggi di tutti i tipi: insalate, carciofi, patate, spinaci, ecc…; la
frutta fresca e quella oleosa come noci, mandorle, nocciole e simili, non dovrebbero
mancare mai, come pure i semi: di girasole, sesamo, zucca, ecc.
Alcuni alimenti non convenzionali come il lievito di birra, le scaglie di germe di grano, il
polline, la pappa reale, le alghe sia di mare che di acqua dolce, perfino elementi naturali
come argilla e rocce dolomitiche polverizzate, costituiscono senz'altro delle ottime fonti
per l'integrazione di alcune delle possibili carenze sopraricordate.
Tenendo conto di questi ed altri accorgimenti, la scelta vegetariana non potrà che fare
bene al corpo e allo spirito di chi sceglie di praticarla.
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ESSENZE
Se fossi come pianta
gambe non avrei
per rincorrer prede,
mani e braccia
per ghermirle,
nella faccia denti
per strappar brandelli
di vita e carne,
né stomaco da saziare
muscoli da accrescere
sangue e organi cannibali.
Non vorrei gli occhi
che videro il terrore
né orecchie che
udirono grida strazianti.
Terrei i pensieri
mia essenza
corpo spirituale
che non uccide
e pur si nutre,
di sapienza e amore
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18
Fabrizio Rueca
Il concetto di violenza è strettamente legato al concetto di sofferenza, ma a differenza
degli altri esseri viventi gli umani possono decidere in piena consapevolezza se
causare sofferenza o no.
I modelli di violenza nei confronti degli animali sono legati a tante forme, che vanno dalla
vivisezione, ai circhi, agli zoo, agli allevamenti industriali, ecc.. in tutto ciò stranamente
l'uomo sembra avere dei diritti e sempre la risposta ( “scientifica o economica”) pronta
nel giustificare tali pratiche nel nome di un benessere collettivo dove nel nome di molti,
pochi si ergono a difensori della specie umana, e diventa quindi indispensabile
l'applicazione di pratiche nella maggior parte dei casi inutili e aberranti a volte senza
senso nel bieco tentativo di giustificare tutto ciò, secondo il modello aristotelico dove;” il
minore esiste per soddisfare gli scopi del maggiore, gli animali sussistono allo scopo di
promuovere il bene degli esseri umani”. O secondo il modello cartesiano secondo cui gli
animali sono paragonabili ad una macchina retta da principi meccanicistici che non
prova né dolore né piacere ne nessuna altra cosa, addirittura priva di pensiero perché
priva di coscienza appannaggio solo dell'uomo.
Ma il concetto di violenza è ovviamente correlato al suo opposto, cioè al concetto di
rispetto, sia per le persone che per gli animali e ciò si può ottenere solo tramite un
processo di identificazione e di empatia con la consapevolezza che animali e uomini
hanno un destino comune nella condivisione di un pianeta in cui la loro presenza è
indispensabile oggi più che mai per mantenere in perfette condizioni di equilibrio tutta
la biosfera.
Ciò di cui non si tiene conto nella valutazione dei dati cosiddetti scientifici ottenuti dai
vari esperimenti e studi è la non valutazione di alcuni parametri a mio parere di
importanza fondamentale, primo fra tutti la differenza che esiste fra specie diverse e
addirittura nell'ambito di alcune specie esistono anche delle differenze legate alle varie
razze. Infatti esistono delle razze che hanno delle predisposizione a determinate
malattie e a certi comportamenti che altri non hanno, essendo ciò frutto di lunghe
selezioni ambientali che li hanno portati all'elaborazione di meccanismi di difesa e di
protezione non paragonabili a quelli di altre specie o razze, credo pertanto che ciò sia
anche valido nell'ambito della specie umana rapportata alle varie razze, a maggior
ragione il meccanismo diventa ancora più complesso nella relazione o non relazione
esistente tra specie diverse , dove è chiaro che l'essere umano è diverso da una cavia,
da un cane, da una gallina, da una scimmia. Per cui spesso i risultati non coincidono, ed
hanno bisogno di ulteriori verifiche sugli uomini con risultati catastrofici ( vedi
Talidomite, amianto ecc.)
Ambiente sociale, gruppo e individuo,
Altre variabili concorrono a determinare ancora di più le differenze tra le varie categorie
in oggetto e sono legati a degli aspetti che ancora più intrinsechi che sicuramente
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alterano dati in esame e risposte: ambiente sociale ( territorio zone di caccia,
riproduzione, tane ecc.) gruppo, (collettività socializzazione, gerarchie ecc.) individuo
(personalità, comportamento, ecc.) sono delle prerogative importanti o per meglio dire
vitali nell'ambito delle quali si sviluppano dei meccanismi intrinsechi legati al sistema
PNEI ( psico-neuro-endocrino-immunologico) e dai quali dipende la stessa esistenza di
qualsiasi soggetto perché fondamentali per l'elaborazione di dati da inserire nel proprio
corredo genetico, e per far fronte alle esigenze quotidiane (fuga, difesa, riproduzione,
sviluppo di anticorpi ecc..) negli animali da esperimento tutto ciò viene meno, perché o
catturati nel proprio abitat naturale da cui vengono strappati a forza, o allevati in
cattività, e costretti a vivere nel migliore dei casi all'interno di gabbie collettive o
individuali dove la socializzazione non è una scelta ma una forzatura, dove i ritmi
circadiani sono alterati, dove l'alimentazione è alterata e dove gli imput sono talmente
violenti e veloci da non permettere al sistema biologico di elaborare delle risposte in
tempi adeguati e di conseguenza un adattamento, tutte queste sono delle situazioni
che portano ad una condizione patologica che tutti conosciamo con il nome di STRESS
che non è solo un modo di dire ma una vera e propria indicazione di malattia con
alterazione di parametri valutabili biochimicamente.
Con il termine di stressore si intende infatti ogni tipo di stimolo di una determinata
intensità, durata e frequenza in grado di raggiungere un valore soglia e di attivare la
reazione di Selye. Non è importante il tipo di stressore ma le caratteristiche biofisiche
dello stesso.
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Lo stress è benefico per la conservazione di qualsiasi specie, ( eustress ) ma, può
mutarsi in malefico con danni irreversibili fino a condurre a morte l'organismo, si parla
in questo caso di distress ovvero di una alterazione quantitativa nel senso della durata,
frequenza ed intensità dello stressore che perde le caratteristiche qualitative, infatti
ogni stressore superata la soglia innesca un meccanismo fisiologico irreversibile
A fronte a dei fenomeni di stress si ha una fase di allarme con attivazione prevalente
del simpatico che mette in moto tutta una serie di meccanismi legati prevalentemente
all'Ipotalamo ; Ipofisi ; Midollare surrenale, che servono a fronteggiare determinate
situazioni di pericolo, a cui fa seguito una risposta di rilassamento con ripristino delle
funzioni fisiologiche dapprima a livelli più bassi, poi si normalizzano.
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Fase d'allarme- aumento dell'acido lattico- grassi-zucchero-fattori dell coaugulazione
del sangue-catecolamine-diminuzione della resistenza elettrica cutanea-attivazione
del simpatico-aumento del tono muscolare-aumento del cortisolo-aumento delle
catecolamine-aumento della vigilanza-aumento del metabolismo-aumento della
temperatura cutanea ritmo beta.
Fase di ripresa-prevalenza del parasimpatico-riduzione delle catecolamine e del
cortisolo-diminuzione del tono muscolare-ritmo alfa-diminuzione del metabolismodiminuzione della temperatura cutanea-diminuzione della vigilanza-aumento della
resistenza cutanea all'elettricità.
Quindi di fronte a delle situazioni di stress avremo:
Reazione di Seyle-morte oppure-adattamento entro un certo limite di tempo, fase di
esaurimento e morte. Distress quando il meccanismo dello stress risulta alterato
quantitativamente.
Tutto ciò porta ad una riflessione, ( al di là di un fatto etico e morale su cui non possono
esserci discussioni di sorta a riguardo, sul fatto di non infliggere nessun tipo di
sofferenza, al di là delle differenze sostanziali che esistono tra la varie specie che
portano a delle risposte diverse in seguito alla somministrazione di determinate
sostanze rendendo discutibili o del tutto non validi risultati dopo mesi e mesi di inutili
sofferenze inflitte,) che gli animali che vengono utilizzati per queste pseudo ricerche
scientifiche sono in condizioni di distress continuo e pertanto in uno stato patologico
costante determinato da uno stato costante di allarme che altera quantitativamente il
meccanismo fisiologico dello stress, pertanto questo è un altro dei motivi per i quali ci si
pone una domanda; quanto possono essere attendibili dei risultati in queste
condizioni?
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DALLA “SVOLTA” ECOLOGICA ALLA “MATURITÀ” AMBIENTALE
Alessandra Radicioni
Il dibattito etico sulle questioni ambientali, il
complesso equilibrio che regola rapporti, ruoli
e finalità, sta portando oggi ad una radicale
trasformazione culturale. Questo si avverte
dalla necessità di ridisegnare la mappa dei
nostri rapporti con ciò che ci circonda; dal
bisogno di recuperare, al di là di facili
romanticismi, il mondo naturale. Senza
retorica, però, s'impone anche il dovere della
responsabilità delle proprie azioni. E di
riconoscersi con umiltà “parte di un tutto”, da custodire e preservare. Per evitare
un'interpretazione fuorviante del problema è auspicabile costruire adesso un'etica
ambientale che trasporti valori utilitaristici, pragmatici ed economici, fondamentali nella
nostra cultura, da una sfera pretenziosamente antropocentrica ad una più
organicamente ecocentrica.
Oggi si avverte la sensazione del “passaggio” da uno stato di crisi ad uno di allerta. La
cultura ambientale si diffonde in effetti sempre più ma la crisi ambientale perdura e si
aggrava. Da cosa deriva tale contraddizione? Sono troppo deboli le risposte che diamo
alla crisi? O troppo forti gli interessi contrari all'ecologia? Per rispondere dobbiamo
coltivare ora la possibilità preziosa di costruire nuovi modelli teorici e pratici in relazione
al mondo naturale. A tale fine, però, (per riottenere un solido equilibrio tra ambiente e
uomo, sovente turbato), forse è necessario muoversi nella maniera più articolata
possibile, seguendo una logica interdisciplinare trasversale, senza cadere nei limiti
derivanti dalla creazione di una disciplina autonoma. Risulta necessario un globale
capovolgimento e riequilibrio ecosistemico prima di tutto a livello mentale. Il discorso si
sposta quindi da un piano particolaristico ad uno più propriamente etico ed educativo,
con finalità collettive ed universali. Coloro che si sono interessati più o meno
attivamente all'ambiente hanno per lo più applicato a questo problema una visione
tradizionale dell'etica che è sostanzialmente antropocentrica, nel senso che la natura è
apprezzata ed apprezzabile solo nella misura in cui è strumentalmente preziosa per
l'uomo. Ma oggi, a distanza di tempo, si avvertono i limiti, in parte devastanti, di una
simile cultura, poiché l'uomo ha perso la propria legittimità e fatica a rimpiazzarla. Nel
contempo, questo nuovo atteggiamento offre una positiva chiave di lettura della realtà
circostante, una nuova considerazione di noi stessi, dell'altro, della natura, degli
animali. Entrano in crisi le visioni soggettivistiche, l'immagine della natura come luogo
di dominio, la considerazione delle altre forme di vita come subalterne alla propria. Il
discorso si orienta in definitiva verso la rivalutazione della diversità. Intesa come
varietà. Diversità animali, diversità biologiche, complessità ecosistemiche, diversità
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culturali, etniche sono oggi a pieno titolo il perno attorno a cui ruotano le domande sulla
realtà. Il confronto con la natura, con gli animali, ci spinge alla rivalutazione del nostro
passato e della nostra stessa identità, ponendo interrogativi che necessitano di
categorie di elaborazione diverse. L'uomo scopre improvvisamente l'immane tragedia
degli animali, l'urlo insostenibile dell'ambiente, lo svilimento del convivere sociale, e
contemporaneamente scopre il dovere di una responsabilità nei confronti del proprio
passato e del proprio futuro, del pianeta Terra, della natura in ogni sua forma.
Tuttavia, la grave crisi dell'antropocentrismo apre anche strade che spesso si
dimostrano parziali e insufficienti con il rischio di riproporre, semplicemente
capovolgendoli, gli stessi errori storici del passato. Fra cui quello di limitare la questione
al contenimento delle azioni umane, al rispetto dei doveri nei confronti della natura. Con
il rischio di proporre una soluzione unilaterale a questioni che sono invece complesse,
come il rapporto uomo-natura, l'animalità, la naturalità. Le nostre valutazioni non
possono pertanto prescindere da un concetto più articolato di etica, che non è un
corpus normativo, ma un legame dialettico con la realtà. L'etica ambientale diventa
quindi uno strumento utile ad inquadrare in una prospettiva globale e sistemica
problemi, quali quelli relativi all'ambiente, che hanno la loro peculiarità, appunto,
nell'essere problemi globali, sistemici, complessi. Il punto cruciale è forse questo: non
si può rispondere al complesso con il semplice e l'isolato. L'elaborazione di una nuova
etica del vivente può avvenire solo attraverso il superamento della frammentazione del
sapere, dell'isolatezza delle discipline, della parzialità delle strategie. Solo in virtù di un
superamento dell'antinomia tra atteggiamenti scientifici e atteggiamenti emotivi e, cioè,
tra scienza e coscienza. Attraverso l'accettazione della diversità come ricchezza. Sotto
questa unità, che è poi un auspicio, possiamo superare lo scisma schizofrenico fra la
teoria e la pratica, fra la conoscenza della natura e l'abitare nel mondo naturale. Ci
occorre, in definitiva, un'etica ambientale a tutto tondo e propositiva, perché dalla
“svolta ecologica” si riesca a passare, finalmente, alla “maturità” dell'ecologia. Alla
consapevolezza che l'uomo è solo una porzione del mondo naturale. Mentre a lui spetta
l'arduo compito di determinare per sé e per gli altri esseri viventi il “bello” o il “cattivo”
tempo. Una responsabilità che, se usata correttamente, è già di per sé una forma di
energia.
24
Carlo Ripa di Meana
Roma, 17 Gennaio 2003
A fronte di una notevole e positiva evoluzione nella coscienza collettiva degli italiani sul
tema dei diritti degli animali, purtroppo in Italia, dopo il fecondo periodo dei primi anni
'90, poco si è fatto.
Dal 1991 al 1993 abbiamo avuto: l'approvazione della legge quadro sulle aree naturali
protette, della legge quadro contro il randagismo, quella di recepimento della
Convenzione di Washington contro il commercio degli animali esotici, la riforma (in
senso restrittivo) della legge sulla caccia, la legge sull'obiezione di coscienza alla
vivisezione, la riforma per estensione e precisazione del reato dell'art. 727 del codice
penale sui maltrattamenti degli animali. Dopo di ciò, quasi il nulla!
Nei cinque anni di governo dell'Ulivo, un solo atto legislativo: il decreto legislativo del
2001 che vieta l'allevamento degli animali da pelliccia dal 2004 in poi.
In Umbria, invece, nei due anni e mezzo appena trascorsi della presente legislatura
regionale, la sola legge regionale pro animali approvata è stata quella contro le esche
avvelenate, da me presentata e votata, infine, dal Consiglio regionale non senza alcuni
emendamenti peggiorativi.
Con l'attuale governo Berlusconi, in poco più di un anno abbiamo avuto, invece, il
decreto Sirchia sulla pet terapy, e contro il commercio delle pellicce di cane e di gatto, la
legge in favore della distribuzione degli avanzi delle mense in favore dei ricoveri di
animali bisognosi, la legge che trasforma da contravvenzione a reato penale il
maltrattamento degli animali ed i combattimenti tra cani (approvato dalla Camera dei
Deputati, e tutt'ora in discussione al Senato).
A compensare malamente tutto ciò, purtroppo abbiamo avuto le numerosissime
facilitazioni della caccia alle specie protette e all'interno delle aree naturali protette,
approvata, o in via di approvazione, sia da parte della maggioranza del Polo nel
Parlamento della Repubblica, che della maggioranza di Centrosinistra nel Consiglio
regionale dell'Umbria, entrambi bene allineati a favore delle lobby venatorie e contro i
nostri amici animali.
Ricordo come, non più tardi di ieri, tutti i giornali locali riportavano la notizia della scelta
delle provincie di Perugia e Terni di reintrodurre la caccia al fringuello, pur abolita fin dal
1994, con D.P.C.M. dell'allora Presidente del Consiglio Ciampi, e come questa mattina
stessa è in corso presso la Sala della Partecipazione della Provincia di Perugia
l'assemblea di protesta degli agricoltori biologici umbri per la mancata attuazione della
legge sulle mense scolastiche biologiche e di qualità dove, invece, attraverso una
davvero positiva attuazione si sarebbero potuti e dovuti trovare ulteriori spazi anche
all'alimentazione vegetariana, e contro lo storno dei contributi dall'agricoltura biologica
in favore dell'agricoltura chimica, deciso dalla nostra Giunta regionale con revisione del
Piano di sviluppo rurale dell'Umbria 2000/2006, non più tardi del febbraio scorso.
Un quadro sconfortante a fronte di ben altre sensibilità che vediamo, invece, in altre
25
parti d'Europa: solo per fare qualche esempio, in Svezia il divieto di allevamento di
animali da pelliccia esiste ormai da anni, così come in Belgio il divieto della pesca con
esche vive, in Inghilterra troviamo un'ampia normativa in favore dell'alimentazione
vegetariana e biologica, in Germania abbiamo, invece, una normativa venatoria tra le
più restrittive del mondo.
Proprio in questo contesto diventa quindi importante il convegno seminariale da voi
organizzato oggi: come momento di approfondimento e rilancio, anche in Umbria, di
questi temi e di queste sensibilità, allo scopo di ritrovare l'impegno dei primi anni '90 e,
soprattutto, per respingere le pressioni dei Nuovi Barbari della caccia indiscriminata,
degli avvelenamenti, delle speculazioni e dello sfruttamento dei nostri amici animali, ma
anche, e soprattutto, per far crescere insieme alla sensibilità anche la consapevolezza
e la cultura di una diversa e possibile positiva convivenza tra gli animali, noi e
l'ambiente!
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SALUTO DELLA LAV UMBRIA
Graziella Gori
Ore 9.00 del 19 Gennaio 2003
Buongiorno…
Non lasciamoci trarre in inganno dalla se pur
deliziosa immagine del nostro volantino che
ritrae un uomo, un cane e un gatto immersi
nella natura: questo convegno abbraccia tutte
le specie animali, compresa la donna.
Ironica provocazione a parte, se mi è
concesso, vorrei occupare il tempo a mia
disposizione per soffermarmi con voi sulla
materia di questo incontro.
Chi sono gli animali? Perché viviamo sotto lo
stesso tetto, il cielo, con tutte le nostre differenze? Quali sono i diritti delle varie specie
compresa quella umana?
L'argomento merita una nostra partecipazione emotiva, tocca la radice profonda della
nostra visione del mondo, ci spinge a fare esercizio della libertà, a considerare la
possibilità di scegliere in base ai valori di cui siamo portatori e portatrici, ad essere
protagoniste e protagonisti della storia, sia quella personale che quella collettiva.
Secoli di educazione antropocentrica ci hanno reso ottusi, insegnato la sopraffazione,
indirizzato al possesso, abituato all'egoismo tanto che nessuna vita, inclusa quella
umana, ha valore se non per creare profitto.
In nome dell'antropocentrismo si praticano la vivisezione e l'ingegneria genetica che
per interessi personali, economici e in nome dell'umanità inducono dolore immenso in
milioni di creature, creano esseri viventi malati, deformi, privi di vita autonoma.
Sempre in quest'ottica, è stata avviata la zootecnia artificiale, dove esseri senzienti
ridotti a macchine per creare profitto conoscono l'inferno prima ancora del mattatoio.
Si ricordi, invece, che anche Kant diceva che la crudeltà nei confronti degli animali
predispone a comportamenti analoghi nei confronti dei nostri simili.
Come non accorgerci noi, oggi, che questo concetto è largamente praticato all'interno
della nostra specie?
Ma c'è un'altra storia, anche questa vecchia di secoli come la lotta fra il bene e il male,
una storia fatta di bellezza, una storia fatta da due fattori inscindibili: intelligenza e
sensibilità. Una storia fatta da cuori vicini, lontanissimi anni luce dalla visione cartesiana
secondo cui gli animali non soffrono essendo macchine programmate per essere
usate.
Un'altra storia che non rifiuta le enormi potenzialità della scienza né quelle della tecnica
ma che non trova alcuna valida ragione per entrare nel vortice del delirio
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dell'onnipotenza.
Di questa storia fanno parte anche i movimenti animalisti per i diritti di tutti gli esseri
senzienti che, ispirati dai principi filosofici secondo cui ogni essere dotato di sensibilità
ha diritto alla vita. Alla non sofferenza e ad essere considerato soggetto, chiedono che
dopo la condanna del razzismo e del sessismo, la società civile condanni anche lo
specismo in nome del quale si commettono e si ammettono crimini contro il valore
intrinseco della vita.
Oggi, l'etica può gioire: questa storia è entrata di diritto nelle aule parlamentari e in
quelle giudiziarie.
A questo proposito vorrei porre un interrogativo sul concetto di protezione, là dove
questa parola significa in particolare un uso più o meno regolato di alcuni animali al fine
di proteggerne altri. Faccio un esempio. Nella Repubblica del 20 dicembre 2002, a
proposito del decreto Sirchia al punto in cui il decreto prevede anche una tassa sul
benessere degli animali da compagnia, si legge: “il 5 % di quanto guadagnato con gli
animali deve essere utilizzato per la tutela del loro benessere”. Ciò significa, se non
vado errata, accettare corse, gare, giochi di animali in manifestazioni di vario tipo per
ricavarne un guadagno da reinvestire per il benessere di altri. Questo meccanismo mi
vede profondamente contraria.
Nel dare la parola agli interventi, sento l'umile dovere di lasciare agli atti di questo
convegno una riflessione per una concreta realizzazione del pensiero antispecista.
In campo sociale e animalista si fa sempre più forte la richiesta di un adeguamento del
linguaggio al pensiero filosofico, nonché istituzionale e legislativo, che riconosce agli
altri animali la loro specificità di esseri senzienti quindi soggetti e non oggetti.
Una contraddizione, quella linguistica, che induce, se non ad una involuzione del
rapporto fin qui raggiunto fra l'animale umano e l'animale non umano, alla volontà di
dominio nei confronti dei soggetti più deboli.
Sul piano pratico, l'adeguamento del linguaggio al piano teorico ed etico, risulterebbe di
fondamentale importanza al nostro agire quotidiano concedendo, soprattutto alle
nuove generazioni, gli strumenti per una vera e propria interrelazione fra le specie.
Con la dovuta moderazione, la nostra sollecitazione ad una riflessione in questo senso,
è quindi volta a dare alle differenze fra le specie la medesima dignità e il medesimo
diritto a vivere in libertà e in pace sotto lo stesso tetto, il cielo.
Mi sembra che da questo punto possa partire un saluto animalista per il futuro.
Vi ringrazio.
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LE COMPONENTI EVOLUTIVE DELLA SPIRITUALITÀ ANIMALE
Sergio Revoyera Bovini
Il valore della vita animale
Tornare indietro, all'origine delle relazioni che
hanno legato il genere umano all'ambiente
naturale e agli altri esseri viventi con “scienza e
coscienza”, non è facile, perché si tratta di un
percorso di oltre tre milioni di anni.
Il primo “homo erectus” a noi noto, che cercò di
vedere meglio e di più nella savana, è una
giovane australopiteca africana nominata
Lucy, che rappresenta un capostipite
antichissimo, già in grado di muoversi su due
piedi ancora prensili, senza l'aiuto delle mani.
Ma sembra che altri resti più antichi di “afarensis” testimoniano gli esordi oltre cinque
milioni di anni fa, sconvolgendo le idee sul processo evolutivo umano di nemmeno
mezzo secolo fa.
Noi non sappiamo come possano essersi evoluti i nostri antenati sotto il profilo psichico
e somatico durante archi di tempo così lunghi e come possano essere avvenuti la loro
diffusione e il loro adattamento sui diversi continenti. Abbiamo solo la certezza che negli
anni più vicini a noi (15.000/100.000 anni fa) i bisogni primari dei nostri antenati fossero
soddisfatti nelle già strutturate nicchie ecologiche in modo semplice, al di là delle
complicazioni estetiche e tecnologiche del nostro tempo. I recenti scavi della Pineta di
Isernia potrebbero spostare indietro queste valutazioni di 600.000 anni.
Il neolitico è dunque di ieri e venne la cultura, la lingua parlata e scritta con suoni e segni
articolati fra loro. La parola è magica, serve a scambiare le idee e comunicare i
sentimenti, fissandoli in modo durevole sulla pietra, sull'argilla, sulla pelle essiccata al
sole di altri animali.
Questi eventi sono stati però preceduti dalla nostra capacità di distinguere le cose e di
separare la coscienza dell'io da quella della natura esterna, dall'esistenza dell'altro e
del tutto. Dalla ulteriore evoluzione di questi pensieri-sensazioni possiamo intuire la
nascita della spiritualità, l'esistenza degli spiriti buoni e cattivi, fonti simboliche e
inesauribili delle nostre speranze e delle nostre paure: i primi culti, le prime religioni,
legati ad una lunga esperienza critica dei gruppi umani, dove le necessità della
sopravvivenza hanno pur condizionato lo spirito e l'intelletto sotto le diverse latitudini
del mondo.
Tant'è che già agli albori delle civiltà scritte e parlate noi possiamo rilevare profonde
differenze di culto, di tecnologia, di organizzazione sociale fra etnia ed etnia, fra tribù e
tribù. Nel nostro secolo i pigmei africani e gli aborigeni australiani (in questi anni in via di
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estinzione come tante altre specie senzienti di animali) vivono tranquillamente senza
ruote e senza fuoco, mentre nei paesi industrializzati l'energia dell'atomo e i volatili di
ferro sembrano a molti di noi assolutamente insostituibili.
Partiamo allora dalla raccomandazione pratica (e dal principio etico e filosofico) di non
farsi impressionare dalle apparenze e dal protagonismo dei nostri simili, vicini di tempo
e di casa, perché è assai probabile che le spinte emotive espresse con grida e gesti
nella savana, per l'uccisione di una preda, siano sostanzialmente quelle delle trincee,
degli stadi e delle piazze ai giorni nostri.
La spiritualità nell'idea di evoluzione
Nonostante le premesse, prive o quasi di formalismi, l'idea di spiritualità richiede alcune
precisazioni, considerate le divergenze fra teologie monoteiste e spiritualismi animisti e
panteistici; l'idea della necessità del rispetto fra gli esseri viventi e del loro uguale diritto
all'esistenza non riguarda in genere i principi fondamentali delle religioni monoteiste e
comunque il problema è spesso superato da incombenze di carattere politico e sociale
legate ai rapporti fra Stati e Chiese.
Dobbiamo quindi sopperire a due esigenze parallele: 1) cercare una definizione
universalistica della spiritualità, per quanto possibile autonoma dai dogmi; 2) non
perdere di vista la concreta evoluzione degli esseri viventi attraverso le specifiche
vicende genetiche.
I dogmatismi non riguardano solo le fedi religiose, ma spesso sono impliciti nel
linguaggio corrente e sottintendono valori culturali assunti a priori: civiltà e cultura sono
termini equivalenti? Ancora: civiltà e progresso sono sinonimi? In caso affermativo,
esistono dei limiti a tali affermazioni? Infine: quali conseguenze attribuire all'uso
singolare e plurale di queste parole?
Non è una questione grammaticale parlare di cultura o di culture, di civiltà complessiva
o di civiltà diverse. Negli ultimi decenni abbiamo potuto registrare incompatibilità
evidenti fra religioni e culture diverse, a volte divise da un semplice tratto di confine, ma
separate da costumi e tradizioni sicuramente lesivi dei principi sanciti sulla carta a
livello internazionale.
In molti intellettuali è nata l'idea che le popolazioni umane abbiano percorso un
itinerario certamente lungo, ma insufficiente a incidere sulla natura predatoria e
carnivora della specie, che spesso manifesta la sua aggressività ed un latente
cannibalismo attraverso sevizie, persecuzioni e genocidi di massa che le tecnologie
moderne aiutano ad amplificare in efficacia e crudeltà.
Mi associo pienamente a questa idea, aggiungendo che l'indifferenza per la vita
animale ed il cinismo con cui trattiamo ogni giorno le inermi creature che hanno
percorso i secoli insieme a noi sono indici precisi della nostra profonda barbarie
interiore.
Prende comunque forma una prima idea di spiritualità in senso evolutivo e relativistico,
densa di contraddizioni e contrapposizioni, dove ogni gruppo afferma spesso in modo
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perentorio la sua verità. Ma cosa ne è stato durante tanto tempo e nei grandi eventi della
storia dei Popoli dell'idea di spiritualità? Le parole ed i concetti che oggi usiamo quanto
corrispondono, sotto l'aspetto semiologico dei contenuti, alle emozioni, ai sentimenti, ai
timori e alla felicità del nostro passato?
E ancora: gli animali senzienti avrebbero potuto evolvere liberamente e diversamente
in nostra assenza, nel senso che non si sono evoluti perché abbiamo modificato
l'ambiente naturale fino a bloccarli?
Se ci limitiamo al nostro tempo diciamo dal periodo paleoindustriale ad oggi una cosa
è certa: il possesso e la concentrazione delle tecnologie e delle risorse finanziarie
genera svolte economico-politiche e terremoti ambientali dei quali siamo solo
parzialmente coscienti. La conflittualità è così elevata e le spinte predatorie sono così
forti da far passare inosservati (o rimovibili dalla memoria collettiva) eventi criminali
come la macellazione animale o catastrofici come le guerre e lo sterminio di intere etnie
umane.
Bisogna anche riconoscere che non tutte e non sempre le comunità umane hanno
avuto rapporti strumentali e di sopraffazione con gli altri esseri viventi. Già nelle
rappresentazioni rupestri si sono volute riconoscere forme nascenti di riflessione e di
culto per gli animali, o comunque forme di attenzione e sana soggezione per le forze
della natura.
Durante e dopo la seconda guerra mondiale i danni provocati all'ecosistema terrestre
dalla radiazione nucleare, dall'uso dei prodotti chimici e dalla conflittualità delle grandi
potenze, furono evidenti in un solo decennio e spinsero i pionieri dell'ambientalismo ad
un lavoro di osservazione e di ricerca di grandi proporzioni, che dette i primi risultati in
breve tempo sul terreno del recupero storico delle informazioni e della divulgazione dei
risultati critici a livello di massa.
Sul rapporto interspecie, compreso quello fra genere umano ed altri animali, oggi
abbiamo a disposizione una quantità di fonti cognitive; numerose pubblicazioni italiane
richiamano a fondo testo autori e testi stranieri, prevalentemente in lingua “occidentale”
(francese, inglese, tedesco, russo, spagnolo e lingue affini); certamente un limite alla
conoscenza è costituito dalle difficoltà interpretative offerte dalle maggiori lingue
orientali (indu, cinese, giapponese, dialetti indonesiani, etc.), per le loro caratteristiche
ideografiche, spesso non assimilabili agli alfabeti analitici occidentali.
E' certo imbarazzante ripercorrere in modo sintetico le vicende dell'umanità in rapporto
alle specie senzienti e alla natura in generale, perché questo significa parlare male di sé
stessi senza reticenze o infingimenti.
In antiche etnie il rispetto e la cura per gli animali erano coltivati con attenzione e forme
di culto complesse, che nel caso del Giainismo ancora sopravvivono dopo 3.500 anni,
in alcune parti dell'India.
La tradizione Karmica del Buddismo spinge da secoli le anime verso la spiritualità
animale e Budda riconosce i non umani come esseri completi in grado di ospitare gli
umani nella loro forma, prima della liberazione completa. Nel bene e nel male.
Al Bramino Sundarika Baradvaja, Budda raccomandò di amare tutti i viventi prima di
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bagnarsi nell'acqua dove lui si bagnava, perché gli stolti “si lavano in molti luoghi senza
mai purificare il loro cuore”.
E' noto il rispetto degli animali nella religione egizia, dove alcune specie rivestirono
valori divini. Non mancarono polemiche filosofiche e conflitti sociali con i Greci e con gli
Ebrei, che lamentavano la lapidazione di chi uccideva animali sacri.
Peraltro i massacri di animali in occasione di celebrazioni civili e religiose furono
oggetto di denuncia da parte di filosofi e sacerdoti, di parte pagana quanto di parte
cristiana, e solo dopo l'Editto di Costantino, che statizzò di fatto la religione cristiana, si
pervenne, durante i Concili e le altre riunioni vescovili, alla epurazione delle “scritture
apocrife”, cioè alla eliminazione della parte di scritture dei padri della Chiesa, che
sancivano il rispetto degli animali e ne difendevano l'integrità.
Un grande progetto smarrito (o forse definitivamente estinto) fu quello ecumenico ed
apostolico sorto nel primo secolo del secondo millennio dell'E.V. (anni 900 1300 d. Cr.)
in Europa.
Numerose minoranze laiche e religiose alimentarono in questo periodo storico,
significativo per la nascita dello Stato moderno, una serie di esperienze di vita
associativa comunitaria, ispirate al rispetto della natura, alla semplicità dei costumi e
alla libertà di pensiero, che dovevano significare attenzione alle azioni concrete di vita
quotidiana. Valori da difendere anche a costo di estremi sacrifici.
Anche in questa direzione la letteratura degli ultimi venti anni ha sviluppato analisi
interessanti, anche se a volte osteggiate in sede editoriale dalle autorità politiche e
religiose di maggior peso istituzionale.
La tradizione di difesa e rispetto dei nostri fratelli pelosi e pennuti nelle umbre contrade
è fatta risalire a Francesco di Assisi, l'attività del quale è generalmente narrata in modo
apologetico, quasi che l'apostolo fosse avulso dai tempi e dai luoghi che vedono la sua
esistenza mortale. In realtà Francesco (Fransisco) è un giovane di madre francese e
nel periodo della sua esistenza (e dei suoi movimenti in tutta Europa, fino in Inghilterra)
trova consensi e sostegno alla sua predicazione in ambienti già predisposti, sotto il
profilo sociale e religioso, ad accettare i suggerimenti e il metodo di vita che lui propone.
A questo punto il discorso si allunga e sotto certi aspetti è inedito, perché si collega alla
tradizione apostolica dei padri della chiesa e a quella manichea orientale, come ai culti
bogomili balcanici, che concorrono alla formazione di pratiche e istituzioni religiose
caratteristiche della cultura occitanica di allora.
L'attuale Francia mediterranea, la Spagna nord orientale, la Germania e l'Italia del nord
alpino hanno vocazioni religiose e sociali particolari, poi definite valdesi, catare,
albigesi, apostoliche, tutte consonanti con la predicazione francescana originale.
Lo stesso Francesco, osteggiato e perseguitato dalla Chiesa romana, difeso con
cautela e circospezione da qualche vescovo, fra cui Guido di Assisi, si salvò dall'eresia
con il silenzio sulle malefatte dei Papi (Innocenzo terzo in particolare), che avevano a
cuore le spedizioni crociate in Terra Santa e quindi un orientamento necessariamente
aggressivo, che non poteva tollerare a lungo il pacifismo delle comunità occitaniche e le
loro “scomuniche”.
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La caparbietà di Francesco a predicare modestia e povertà, senza mancare di rispetto
all'autorità ecclesiastica (il “Signor Papa”), salvò in parte la predicazione e consentì poi
la sopravvivenza ai Frati Minimi e ai Minori (gli Spirituali), dopo che alla sua morte le
autorità vaticane ebbero ordinato la distruzione degli scritti autografi di Francesco e la
loro trascrizione riassuntiva. Andò male agli eretici (Catari e Valdesi e non solo a loro)
quando rifiutarono il pentimento e l'espiazione. Anche se la storia non è fatta di dubbi a
posteriori, c'è da chiedersi se non fosse stata più utile alla nostra cultura e alla civiltà
europea una maggiore flessibilità di sopravvivenza da parte di tante anime oneste,
mandate ai roghi nella logica accentratrice dei poteri di allora e di sempre.
Soffermarci sul problema della spiritualità animale e sul modo con cui può essere letta
la sua genesi attraverso i secoli, richiede una definizione estensiva di valenza
ecumenica e panteistica, dove per spiritualità è da intendere il modo specifico e
soggettivo con cui ogni essere vivente stabilisce un rapporto con le energie vitali che lo
circondano e che percorrono l'ambiente. Forze fisiche e metafisiche in cui è immerso il
sensibile, variamente fruite dall'individuo in funzione delle dinamiche ambientali
amiche e nemiche, ma anche in funzione della sua disponibilità e sensibilità autonome,
che lo separano dall'esterno spirituale col quale cercano un'intesa ed una
identificazione, mai casuali queste ultime.
Un'analogia efficace, di tipo scientifico, possiamo trovarla nel fenomeno ondulatorio
della luce (ricca di frequenze percepibili e non rilevabili dall'occhio), in viaggio nello
spazio cosmico.
Mancando un'atmosfera (spazio vuoto) o mancando la percezione visiva (la vista), i
fotoni percorrono ad elevata velocità l'universo senza essere intercettati nella loro
fisicità (lo spazio cosmico ci appare buio e senza stelle). In tal senso i filosofi affermano
che Dio ha bisogno dell'uomo e in modo ancor più generalizzato direi che lo spirito ha
bisogno della vita: della vita e della presenza di tutti gli esseri viventi, esseri senzienti
nel senso di una loro capacità di entrare, a loro modo, in contatto con la sfera metafisica
e ultrasensibile. Questa prerogativa è assurdo e immodesto per la specie umana
assegnarla a sé stessa, escludendo gli altri esseri viventi dal grande carma cosmico.
Nella grande cornice dell'esistenza comune è assurdo riconoscere ad un solo ospite
dell'universo una spiritualità privilegiata ed esclusiva.
Bruscamente Goethe rispose a Falk nel 1813: “Non conosciamo che gangli, lobi di
cervello; dell'essenza del cervello non conosciamo quasi nulla. Come possiamo
pretendere di conoscere Dio? …ho definito l'uomo il primo colloquio che la natura ebbe
con Dio. Non ho ragione di non credere che questo colloquio su altri pianeti si svolga in
modo più sublime, profondo e intelligente.”
Da Voltaire a Nietzsche: l'emarginazione della spiritualità aliena.
Abbiamo cercato di dire che il percorso del rispetto per gli animali è tortuoso e
contraddittorio nella storia della filosofia e delle religioni, perché spesso è stato
interrotto da eventi conflittuali gravissimi, che hanno portato alla distruzione o
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all'esaurimento di intere etnie, com'è stato in occidente alla fine del Medio Evo con la
religione catara e con le culture occitaniche (Francia, Spagna, Italia, Austria e
Germania). Interi percorsi storici sono stati distrutti durante la formazione degli Stati
moderni e delle grandi religioni monoteiste che li hanno accompagnati. Sul piano
filosofico le contestazioni tuttavia non sono mai mancate.
F.M.A. Voltaire difese efficacemente il sentimento di rispetto per gli animali con il buon
senso e con un richiamo di origine latina: “Deus est anima brutorum” (Dio è l'anima dei
bruti), un'idea di coincidenza, fra il divino e il naturale, comune a molte tradizioni
occidentali e simile al “vox Populi vox Dei”, di tradizione cattolica. Dunque dalla
omertosa idea cartesiana dell'animale-macchina siamo lontani già nel XVIII secolo.
L'emozione ecumenica e panteistica di Voltaire poteva destare scandalo. “La nostra
idea del bene e del male è costruita nel nostro interesse… Del resto dimentichiamo di
commuoverci per la morte spaventosa degli animali serviti in tavola. I bambini che
vedono scannare un pollo piangono la prima volta e ridono la seconda. I risultati della
macellazione, esposti nei negozi e nelle cucine, non ci sembrano un male, ma una
benedizione divina, per la quale nelle preghiere ringraziamo il Signore dei nostri delitti.
Eppure esiste qualche cosa di peggiore del nutrirsi di cadaveri?… In nessun Concilio,
Assemblea della Chiesa o Accademia si è mai denunciata questa grande carneficina
come un male da evitare”.
A distanza di oltre un secolo Nietzsche non esitò a denunciare il recondito utilitarismo
del nostro amore per gli animali e la nostra indifferenza per la sorte dei non umani
“inutili”, con alcune riflessioni spregiudicate che vale la pena di richiamare.
Nietzsche osserva che il nostro comportamento diventa “morale” con gli animali
quando entrano in gioco forme di relazione improntate a utilità o danno per l'uomo.
Quando manca questa forma strumentale di attenzione per gli altri animali, allora
l'uomo manca nei loro confronti di ogni senso di responsabilità. Le affermazioni di
Nietzsche hanno toni duri e preannunciano quei trasporti affettivi per gli animali
aggiogati che nell'ultima parte della sua vita saranno giudicati segno di stranezza; in
particolare i suoi monologhi (o dialoghi?) con i cavalli di città.
Testualmente: “…Uccidiamo e feriamo per esempio gli insetti … senza pensarci … e già
le nostre delicatezze verso fiori e piccoli animali sono quasi sempre micidiali”.
“Tutto brulica e formicola intorno a noi e noi schiacciamo, senza volerlo, ma anche
senza fare attenzione, un vermiciattolo o un piccolo insetto alato … Se gli animali ci
recano danno cerchiamo in ogni modo di distruggerli, e i mezzi sono abbastanza
crudeli, senza che noi lo vogliamo espressamente: è la crudeltà della distrazione.”
“Se essi servono a qualche cosa, allora li sfruttiamo: sino a che una maggiore
accortezza non ci insegna che determinati animali rendono molto con un trattamento
diverso, cioè con la cura e l'allevamento. Solo allora nasce la responsabilità.”
In poche righe Nietzsche sfiora poi efficacemente altre impostazioni storiche del
problema, commentando: “… chi nella comunità si accorge di una trasgressione, teme
il danno indiretto per sé: e noi temiamo per la bontà della carne, dell'agricoltura e dei
mezzi di trasporto”.
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Nietzsche continua “sul filo nero” della morale e delle religioni: “Nasce così un inizio di
giudizi e sentimenti morali, e la superstizione vi aggiunge il meglio. Con sguardi, suoni e
movimenti alcuni animali stimolano l'uomo a immaginarsi in essi, e alcune religioni
insegnano a vedere in certi casi la dimora dell'anima di uomini e déi nell'animale: per
questo in genere consigliano nei rapporti con gli animali una più nobile cautela, e
addirittura un timore reverenziale”. “Su questo punto il cristianesimo si è notoriamente
dimostrato una religione povera e arretrata”.
Non sembra che in queste parole possa trovarsi una “negazione dell'esistenza
dell'anima degli animali” di tipo cartesiano, ma certamente l'idea di un'anima “diversa”
da quella umana (una coscienza “altra”, cioè aliena), che avrebbe un pregio sicuro:
quello di rifiutare l'immedesimazione possessiva ed antropocentrica dell'uomo
nell'animale e in tutto ciò che lo circonda, a suo uso e consumo, quasi che la realtà
naturale, delle piante, degli animali e delle cose potesse essere penetrata e conosciuta
(conquistata) attraverso un processo di osmosi spirituale a senso unico.
In questa ottica il problema dei diritti degli animali alla vita e alla non sofferenza (divieto
di genocidio e di tortura) diventano meglio risolvibili sotto il profilo giurisprudenziale e
legislativo. Non una dignità naturale riconosciuta agli esseri viventi “che assomigliano
all'uomo” e potrebbero avere una sofferenza ed un pensiero simili a lui, ma il rispetto e
l'attenzione per i membri di una comunità terrestre degli esseri viventi che non possano
e non debbano prescindere dal rispetto delle diversità entro i limiti della reciprocità e
della responsabilità.
Non si tratta di impedire al gatto di mangiare il topo, ma di una moderazione fatta di
regole che impediscano lo sterminio dei gatti o dei topi nel rispetto dei gatti e dei topi, nei
limiti della loro condizione esistenziale non umana e nei limiti discreti di quella umana.
Gli eventi magici di coesione sociale e di comprensione reciproca sono in realtà le
chiavi di lettura della nostra condizione naturale, sono i ponti per la comprensione dei
nostri cugini e fratelli senzienti, variopinti ospiti della Terra ai quali stiamo negando il
diritto alla sopravvivenza.
Dobbiamo dare una cornice planetaria al Grande Circo, dove i protagonisti possano
mantenere la loro identità, i loro colori, i loro profumi, ma forse non siamo in grado di
percepire a fondo i numerosi timbri di un'orchestra dove vorremmo strumenti e musicisti
in nostra completa soggezione. Non basta infatti il colpo d'occhio d'una sola religione,
d'una filosofia o d'una scienza, per circoscrivere tanti avvenimenti dai parametri
polivalenti e osmotici, ottiche mutevoli da una generazione all'altra, da una civiltà ad
altre.
Appiattire le diversità, globalizzare le necessità, può diventare un suicidio collettivo in
questa evoluzione-involuzione dalle oscillazioni violente, a volte palesi a volte occulte,
dove assistiamo in pochi decenni alla nascita e all'estinzione di intere civiltà, di culture,
etnie, specie animali, che non rivedremo più. La moderazione e la modestia sono
diventate beni indispensabili come la pazienza, virtù rare di fronte a frammenti di
notizie in espansione, all'interno di letture incerte e aggressive di valori e di percorsi,
dove nell'età binaria gli errori possono essere fatali, ma la gestione coordinata di
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memorie materiali può svelarci nuove dimensioni fisiche e spirituali.
In una “fin de siècle” non ancora conclusa, penetrata senza pudore nel terzo millennio,
l'istinto di conservazione è subito cerimonia di evitazione della conoscenza, rifiuto dei
perché, dei come e quando: un inizio millennio frastornato dall'arroganza tecnologica e
dalle minacce dei poteri militari, dove gli eventi si dimostrano fonti di verità
particolarmente scabrose per la penna e per la sicurezza fisica di chi la usa in una
lettura libera del quotidiano e del sociale.
Riferimenti bibliografici
Il linguaggio degli animali Stephen Hart Oscar Mondadori
L'animale e l'uomo John Goldberg Enciclopedie Pratiche Sansoni
Animali estinti Vinzenz Ziswiler Oscar Mondadori
Le origini dell'umanità Richard Leakey Super Bur Scienza
La nostra specie Marvin Harris Super Bur Scienza
Vivisezione o scienza Pietro Croce Calderini Edagricole
Il progetto Grande Scimmia Paola Cavalieri e Petr Singer Theoria Ed.
Zooantropologia Roberto Marchesini Red Edizioni
Il bivio genetico Gianni Tamino Ed. Ambiente
Etologia applicata Riccardo Groppali Calderini Edagricole
Per un codice degli animali A.Mannucci e M.C.Tallacchini Ed. Giuffrè coll. Derive
Gli animali non umani Valerio Pocar Libri del Tempo/Laterza
Animali e spiritualità Nicholas J.Saunders E D T
Animali terapia dell'anima Giovanni Ballarini Fondazione I.Z. e Z. Brescia
Post-human Roberto Marchesini Boringhieri Saggi Scienze
Ripensare la vita Petr Singer Il Saggiatore
L'imperatrice nuda Hans Ruesch Ed. CIVIS
Le bestie che mi hanno fatto uomo Michel Klein Ed. Sonzogno
Sperimentazione animale e psiche Stefano Cagno Ed. Cosmopolis
Il pensiero animale Colin Allen e Marc Bekoff Ed. Dynamie
Mente e linguaggio degli animali Felice Cimatti Ed. Carocci
I diritti degli animali Alessandro Arrigoni Ed. Cosmopolis
Natura e pedagogia Roberto Marchesini Ed. Theoria
Etica e diritti degli animali Luisella Battaglia Ed. Laterza
Storia comparata delle religioni Giovanni Magnani Cittadella Ed.
La non violenza nella cultura indiana Maria L.Tornotti Cittadella Ed.
I manichei Rudolph Steiner Ed. Antroposofica Milano
Il Giainismo Carlo Della Casa Bollati Boringhieri Ed.
I Catari e la civiltà mediterranea Simone Weil Ed. Marietti
I Catari Malcom Lambert Ed. Piemme
San Francesco di Assisi Jacques Le Goff Ed. Laterza GLF
Teologia animale Andrew Linzey Ed. Cosmopolis
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Dal velo di Iside al mistero del Graal Paolo Lo Pane Ed. BESA
L'intelligenza degli animali Plutarco Gino Ditadi Ed, ISONOMIA
Viaggio nel Buddismo Zen Gianpietro Sono Fazion Cittadella Ed.
La religione della natura David Donnini Ed. Macro
Contro la caccia e il mangiar carne Lev Tolstoj Ed. ISONOMIA
Genealogia della morale Friedrich W. Nietzsche Tascabili Newton I° e II° voll.
Nera luce Luigi Lombardi Vallauri Ed. Le Lettere
Biocentrismo Franco Libero Manco Nuova Impronta Ed.
Animali Nuovo Millennio? Alessandro Arrigoni/Viviana Ribezzo Ed. Cosmopolis
Zoomafia Ciro troiano Ed. Cosmopolis
Gli animali soffrono, il profeta denuncia Coll. Il Profeta n° 15 Vita Universale Das Wort.
Il Giainismo Claudia Pastorino e Massimo Tettamanti Ed. Cosmopolis
Antroposofia e protezione dell'animale Heidi Weber Ed. Novalis
La religione dei Catari Jean Duvernoy Ed. Mediterranee
I filosofi e gli animali Gino Ditadi Ed. ISONOMIA I e II voll.
Fra Dolcino e gli Apostolici tra eresia, rivolta e roghi C. Mornese e G. Buratti Ed.
Derive-Approdi
Un mondo in via di estinzione Paola Desai Articolo de “il Manifesto” 22/05/02
Per F.M.Voltaire: “Il faut prendre parti” in Oevres, Paris 1959 pag. 427 e seg.
B. Muller Hill, i filosofi e l'essere vivente, Ed. Garzanti, pag. 249 e seg.
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TROOG WILDLIFE FOUNDATION
QG : Alfa-Centauri 3003-15-12
TWF : POLITICA DI TEST SUGLI UOMINI
Daly Nandini
La missione del TWF
La missione del TWF, come associazione
protezionistica, è di arrestare il degrado
dell'ambiente naturale del pianeta e di
costruire un futuro nel quale i TROOG vivano in
armonia con la natura, conservando la
diversità biologica del mondo, assicurando che
l'uso di risorse rinnovabili sia sostenibile, e
promuovendo la riduzione dell'inquinamento e
del consumo di spreco.
Il TWF considera che il continuo uso di sostanze chimiche sulla cui sicurezza esistono
pochi o nessun dato, sia una delle maggiori minacce potenziali al benessere delle
presenti e future generazioni di TROOG, degli uomini e degli animali selvaggi in tutto il
mondo. Il TWF ha lavorato per più di un millennio per mettere fine all'insidiosa minaccia
alla diversità biologica rappresentata da sostanze chimiche persistenti,
bioaccumulative e tossiche, i cui pericoli sono noti o fortemente sospettati, e per
comprendere meglio le sempre più visibili minacce rappresentate da sostanze
chimiche che disgregano il sistema endocrino (endocrine disprupting chemical EDCs).
Lo sfondo
E' un fatto indiscutibile che migliaia di sostanze chimiche sono state immesse
nell'atmosfera, nell'acqua, o vendute in prodotti per il consumo nonostante valutazioni
di sicurezza assolutamente inadeguate. Per esempio, dei 2.600 chimici di più vasta
produzione nell'UI (Universo Intero), il 21 % non ha nessun dato sulla sicurezza, e il 65
% ha dati sulla sicurezza al di sotto del minimo richiesto dalle autorità dell'OECD del UI
(1).
Tra le 2.863 sostanze chimiche prodotte in quantità di più di mezzo milione di kg per
anno negli Universali Stati Uniti, meno di un quarto è stato testato per vedere se
possono causare effetti cronici sulla salute, solo il 15 % è stato testato per effetti sulla
riproduzione, e solo 12 sostanze chimiche sono state testate per determinare se
possano causare problemi neurologici nei TROOGidini. Questo significa che tutti noi
TROOG i nostri bambini, gli uomini e gli animali selvatici siamo a rischio in un enorme
esperimento chimico incontrollato.
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C'è urgente bisogno di una gestione efficace di prodotti chimici pericolosi per
proteggere i TROOG, gli uomini e gli animali selvatici. Il TWF patrocina la sistematica
valutazione della sicurezza dei prodotti chimici per questo scopo.
Sfortunatamente, per tante sostanze chimiche esistono dati insufficienti per rendere
possibili una completa valutazione sulla sicurezza. Ulteriori test sono dunque necessari
per dare migliori informazioni a chi gestisce i rischi e per migliorare la conoscenza
scientifica di minacce tossiche emergenti come la disgregazione del sistema
endocrino.
Il TWF è coinvolto nel dibattito sui test sugli uomini perché, mentre ci opponiamo a
qualsiasi test sugli uomini non necessario, siamo costretti a riconoscere che convalidati
metodi alternativi di test non esistono ancora per individuare certe forme di tossicità, in
particolare quella di “endocrine disruption”. Noi crediamo che metodi senza impiego di
uomini, studi epidemiologici TROOGhiani, e studi sul campo della vita umana e animale
selvatica dovrebbero essere usati il più possibile per fornire dati sulla sicurezza delle
sostanze chimiche. In ogni modo, finché una gamma completa di alternative non
umane non possa essere sviluppata e convalidata, l'uso di alcuni test sugli uomini sono
ancora necessari se vogliamo proteggere noi stessi, gli uomini, la vita selvatica e le
generazioni future dai potenziali effetti dannosi di sostanze chimiche usate
quotidianamente.
Il TWF è soprattutto preoccupato dalla minaccia alla vita selvatica e umana e ai TROOG
rappresentata dalle EDC (endocrine disrupting chemicals). Le EDC sono sostanze
chimiche che hanno la capacità di interferire con il normale funzionamento degli ormoni
naturali, anche a livelli molto bassi di esposizione. Esistono sempre maggiori prove e un
crescente riconoscimento che gli EDC stanno minacciando i TROOG e popolazioni di
molte specie in tutto il mondo, e che rappresentano un pericolo per la vita sulla terra.
E' stato dimostrato che popolazioni di uomini, mammiferi, uccelli, pesci, crostacei e
rettili soffrono di una o più delle seguenti patologie: danni al cervello, cancro, morte
prematura, problemi riproduttivi (inclusa incapacità di raggiungere la maturità
sessuale), sviluppo abnorme di organi riproduttivi, difetti congeniti, disfunzioni della
tiroide, grave indebolimento del sistema immunitario, e cambiamenti comportamentali.
I’Universale Program on Chemical Safelty sponsorizzato dalla UMS ha recentemente
completato una rassegna esaustiva della letteratura scientifica disponibile su EDC (2).
Il rapporto, pubblicato nell'agosto 2003, concluse che esistono massicce prove che la
vita selvatica è stata negativamente colpita dall'esposizione alle EDC, e che
cambiamenti nelle tendenze della salute umana, in certe aree, come nel minore
numero di spermatozooi, nell'incremento di cancri collegati agli ormoni, nei
cambiamenti dei rapporti nelle nascite, e nell'arrivo prematuro della pubertà femminile,
sono sufficienti a destare preoccupazione. Mentre manca ancora la prova di
meccanismi causali diretti, il rapporto sottolineò la forte plausibilità che le tendenze
negative della salute dei TROOG sono collegate a queste sostanze chimiche.
Un esempio di un EDC che ha causato un massiccio impatto ambientale e tributyltin
(TBT), TBT è ampiamente usato come una vernice anti-sporco, anti-aderente nelle
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chiglie delle navi ed è stato scoperto che mascolinizza “dog-whelks” di sesso femminile.
Come risultato, i “dog-whelks” colpiti sono incapaci di riprodursi e la loro popolazione è
stata decimata in tutto il mondo. Il TWF patrocina lo sviluppo di screening test per le
EDC cosicché i pericoli di composti come il TBT possano essere identificati prima che
ne sia autorizzato l'uso e per prevenire simili disastri ecologici nel futuro.
Il TWF e le alternative ai test sugli uomini
Il TWF sostiene lo sviluppo di test che non impiegano gli uomini e crede che ci sia
urgente bisogno di sostituire, ridurre e raffinare l'uso degli uomini in test chimici. I passi
significativi fatti nella scienza biomedica rendono ora possibile lo sviluppo di metodi di
test alternativi. Il TWF è consapevole che i test sugli uomini possono fornire solo
indicazioni sulla tossicità dei TROOG e che i metodi che impiegano gli uomini non sono
stati necessariamente convalidati secondo gli attuali metodi di convalida. Ci sono
quindi ragioni scientifiche ed etiche per cui i test sugli uomini dovrebbero essere ridotti
al minimo o eliminati in favore di filtri e test senza uomini là dove ciò sia possibile e non
appena ciò sia scientificamente appropriato.
• Il TWF si impegna a promuovere alternative ai test sugli uomini e a ridurre l'uso degli
uomini da laboratorio. Per esempio: in Europa, il TWF ha lavorato accanto alle
organizzazioni che si prefiggono il benessere degli uomini, inclusa l'Universal Society
for the Prevention of Cruelty to Humans e il Galassia Group for Human Welfare
spingendo pubblicamente a che i governi aumentino in modo significativo i fondi per
alternative ai test sugli uomini.
• Negli Universali Stati Uniti, il TWF fornisce consigli alla U.S.U. Environmental
Protection Agency insieme ai rappresentanti delle organizzazioni per il benessere
umano per convalidare procedure di filtro e test con e senza l'impiego di uomini
proposte per le ECD.
• Il TWF ha richiesto che i test di sicurezza abbiano la priorità e siano ordinati,
inizialmente concentrandosi su metodi senza l'uso di uomini, sulla persistenza e la
bioaccumulazione, sui dati esistenti, sui modelli computerizzati (QSAR), e sulle
tecniche in vitro.
• Il TWF ha insistito per una maggiore apertura e condivisione dei dati, per ridurre al
minimo i test fotocopia, e per gradualmente eliminare le sostanze chimiche e
bioaccumulative senza la necessità di test di tossicità (3).
• Il TWF ha sollecitato il governo del U.U.K. ad accelerare la procedura per accettare e
convalidare metodi alternativi attualmente disponibili.
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Il TWF aspetta con impazienza il giorno in cui generazioni di TROOG, uomini e animali
selvatici sono protetti dalle minacce chimiche e i test sugli uomini sono confinati ai libri
di storia. Fino ad allora il TWF crede che in assenza di effettive alternative convalidate,
un limitato uso di test sugli uomini è ancora necessario per aiutare ed assicurare la
duratura protezione degli uomini, degli animali selvatici e della nostra gente di tutto
l'Universo.
TWF QG Alfa-Centauri. 3002-12-20
Note:
1) Troog A., H. van der Troog, (2999) Public Availability of Data on E.Unvrs. High
Production Volume Chemicals. U.C. Jont Research Centre. Institute for Troggs'
Healt and Consumer Protection.
2) Global Assessment of the State-of-the-Science of Endocrine Disruptors (3002)
Universal Programme Chemical Safety, U.H.O.,Alfa-Centauri.
3) A New E.U. (Entire Universe) Chemical Policy-Some Key Arguments (3001).
A cura della redazione.
L’intervento di Nandini, religiosa di tradizioni indù e di origine statunitense, vuole
mettere in evidenza le contraddizioni animaliste ed ambientaliste della nostra epoca in
chiave polemica e futurista richiamando ipotetiche situazioni dei tempi a venire
secondo uno specchio della realtà odierna.
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LEGA PER L'ABOLIZIONE DELLA CACCIA (ONLUS)
Carlo Consiglio
La caccia poteva essere giustificata quando
era legata alla sussistenza. Oggi però nei
paesi sviluppati tale giustificazione non regge
più in quanto viene praticata quasi
esclusivamente per puro divertimento.
Da 70 anni a questa parte, scienziati
compiacenti hanno formulato teorie
scientifiche tendenti a dimostrare che la caccia
sia compatibile, e perfino utile o necessaria,
per la conservazione delle specie o degli
ecosistemi. Tra queste teorie si annoverano
quelle della curva sigmoide, della compensazione e della predazione. Queste teorie
non sono state per lo più confermate dalle verifiche sul campo, ad eccezione di quella
della curva sigmoide, la quale però implica una riduzione delle popolazioni naturali a
grandezze all'incirca della metà dei valori “naturali”. Anche l'asserzione che la caccia
sia necessaria per ridurre la grandezza di popolazioni di animali “nocivi” è mistificante,
sia perché molti animali asseriti nocivi sono in realtà utili, sia perché esistono metodi
alternativi per evitare o ridurre i danni.
In tutto il mondo si assiste ad una progressiva limitazione della caccia attraverso leggi
sempre più restrittive, che limitano i luoghi e i tempi della caccia e l'elenco delle specie
cacciabili. Il cantone di Ginevra in Svizzera e la Regione di Bruxelles in Belgio hanno
addirittura vietato totalmente la caccia.
Anche in Italia si è assistito ad un progressivo ridimensionamento della caccia. Il
vecchio testo unico del 1939 permetteva la caccia a tutte le specie, eccetto quelle
elencate in una lista di specie protette. La caccia era consentita dall'ultima domenica di
agosto al 31 marzo. Con la legge del 1977 fu creata per la prima volta una lista di specie
cacciabili, e tutte le altre furono considerate protette. La legge del 1992 ridusse
ulteriormente l'elenco delle specie cacciabili, e limitò la caccia al periodo dalla terza
domenica di settembre al 31 gennaio. Il numero dei cacciatori si è andato
progressivamente riducendo, dai 2.370.024 del 1974 agli 801.156 del 2000.
Si può capire che questa riduzione della caccia ha avuto conseguenze negative
sull'attività delle fabbriche di armi e munizioni, ed ha provocato una reazione da parte di
una lobby molto potente che ha cercato di influenzare il Parlamento ed i governi
regionali perché la caccia fosse incrementata. Così, proprio mentre la Camera dei
Deputati ha approvato il 15 gennaio una proposta di legge che aumenta le pene per il
maltrattamento di animali domestici, la situazione degli animali selvatici è oggi tutt'altro
che rosea. Già il Parlamento ha inserito nella legge sulla caccia il nuovo articolo 19 bis,
un articolo incostituzionale che consente alle Regioni di attuare le deroghe alla direttiva
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comunitaria sulla conservazione degli uccelli selvatici. Inoltre giacciono alla Camera 9
proposte di legge, di cui 8 presentate dalla maggioranza ed una dall'opposizione, tutte
tendenti ad incrementare la caccia ampliando l'elenco delle specie cacciabili,
prolungando il periodo di caccia fino alla fine di febbraio e depenalizzando i reati
venatori. Al Senato si attende invece la discussione del disegno di legge Brusco,
tendente a consentire la caccia nei parchi nazionali, parchi regionali e riserve naturali,
con la sola eccezione delle riserve integrali.
Se si pensa che le più antiche aree protette in Italia, quali i Parchi d'Abruzzo e del Gran
Paradiso, datano dagli anni 1920, si comprende che questo disegno di legge, se
approvato, ci riporterebbe indietro di 80 anni, introducendo il caos in luoghi che sono dei
veri santuari della natura, dove gli animali, non essendo più da tempo disturbati, hanno
acquistato una tale confidenza con l'uomo che talora si lasciano persino toccare.
La situazione è gravissima e richiede un grande sforzo da parte degli ambientalisti e
degli animalisti che devono collaborare per raggiungere lo scopo di interesse comune.
Il 30 gennaio si terranno conferenze stampa delle associazioni in tutte le Regioni
italiane per illustrare la situazione; nei prossimi giorni verrà richiesto a tutti i
parlamentari italiani di sottoscrivere una petizione per il ritiro totale ed immediato delle 9
proposte di legge alla Camera e di impegnarsi a votare contro di esse nel caso che
vengano discusse; sui siti internet delle principali associazioni verrà pubblicata una lista
bianca dei parlamentari che sottoscriveranno la petizione e l'impegno ed una lista nera
di quelli che rifiuteranno o che non risponderanno.
A livello comunitario, la caccia è soprattutto regolamentata dalla direttiva 79/409/CEE
del 1979 sulla conservazione degli uccelli selvatici. Questa direttiva fissa un elenco
delle specie cacciabili e vieta la caccia alle restanti specie, inoltre vieta la caccia
durante la nidificazione, la riproduzione e la dipendenza degli uccelli e durante la
migrazione verso i luoghi di riproduzione. Per la maggior parte degli uccelli, la
migrazione inizia già a febbraio, pertanto la caccia deve essere chiusa entro il 31
gennaio, anche perché la mortalità causata dalla caccia in autunno ed all'inizio
dell'inverno potrebbe essere in parte compensata da una diminuzione della mortalità
naturale invernale, mentre la caccia esercitata dopo la metà dell'inverno uccide solo dei
riproduttori. L'Italia è stata già condannata quattro volte dalla Corte di Giustizia per
violazioni della direttiva sulla conservazione degli uccelli selvatici, e precisamente l/8
luglio 1987, il 17 gennaio 1991 (due volte) ed il 17 maggio 2001.
Inoltre, la commissaria europea Margot Wallstrom ha iniziato una nuova procedura
d'infrazione contro l'Italia per la cattiva regolamentazione delle deroghe, inviando una
lettera di messa in mora al ministro Renato Ruggiero il 20 ottobre 2001. Questa
procedura potrebbe portare ad una nuova condanna dell'Italia.
Un'altra procedura d'infrazione contro l'Italia è stata iniziata dalla Commissione il 18
ottobre 2002 per la caccia di uccelli migratori nel mese di febbraio nelle Regioni
Sardegna e Puglia.
Di fronte a questa situazione di sfascio totale e di totale arrendevolezza degli uomini
politici a livello sia nazionale che regionale, alle richieste di una lobby che rappresenta
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appena l'1 %della popolazione, un argine importante è costituito dalla magistratura.
Alcune associazioni, e specialmente la LAC, il WWF, la LIPU, la LAV e gli Amici della
Terra, si rivolgono spesso alla magistratura per far annullare gli atti amministrativi
regionali contrari alle leggi nazionali ed alla normativa comunitaria, riuscendo spesso
ad ottenerne la sospensione e l'annullamento.
Importanti sono anche le sentenze della Corte Costituzionale, come quella del 20
dicembre 2002 che ha dichiarato che la competenza sulla fauna, e quindi sui principi
fondamentali che regolano la caccia, rimane allo Stato, anche dopo la riforma del titolo
V della Costituzione.
Un nuovo strumento per la tutela della legalità contro lo strapotere delle Regioni e delle
Provincie si sta diffondendo in questi ultimi tempi con il sequestro preventivo degli
animali selvatici che provvedimenti amministrativi, ma anche legislativi da parte delle
Regioni, dichiarino illegalmente cacciabili. Il primo passo in questa direzione è stato
compiuto dal P.M. di Trento, dott. Mario Giardina, a seguito dell'autorizzazione
all'abbattimento di 791 camosci in periodo diverso da quello stabilito dalla legge
nazionale sulla caccia. Il dott. Giardina il 16 agosto 2002 sequestrò i camosci allo stato
libero ed il sequestro fu convalidato dal GIP il successivo 24 agosto, purtroppo però il
TAR non accolse il ricorso del PAN-EPPAA contro il calendario venatorio. Il secondo
caso riguarda l'area della Riserva Naturale del Lago di Vico, che fu sequestrata dal
Sostituto Procuratore di Viterbo Dott. Stefano D'Arma il 4 settembre 2002 per impedire
gli interventi di abbattimento di cinghiali, autorizzati dal Direttore del Dipartimento
Ambiente della Regione Lazio senza il prescritto parere dell'Istituto Nazionale per la
Fauna Selvatica. Il sequestro fu convalidato dal GIP di Viterbo, dott. Rita Cialoni, il 13
settembre 2002. Il 13 settembre il GIP di Belluno, Dott. Antonella Coniglio, su richiesta
della LAC, sequestrò tutti gli uccelli delle specie storno, fringuello, cormorano, peppola,
passero, passera mattugia e tortora dal collare orientale, esistenti allo stato libero nel
territorio della Provincia di Belluno, per impedirne l'abbattimento autorizzato dalla legge
regionale n. 7/2002, ma protetti dalla legge nazionale e dalla normativa comunitaria.
Purtroppo gli uccelli furono dissequestrati dal Tribunale del Riesame il 2 ottobre 2002. Il
quarto caso riguarda il sequestro di tutti gli uccelli delle specie passero, passera
mattugia, storno, fringuello e peppola, che si trovino stabilmente o temporaneamente
nel territorio di tutta la Regione Lombardia, disposto dal Pubblico Ministero di Cremona
il 25 ottobre 2002, per impedirne l'abbattimento consentito dalla Legge regionale n. 18
del 2002 ma vietato dalla legge nazionale e dalla normativa comunitaria; tale sequestro
il 2 novembre 2002 non è stato convalidato dal GIP Dott. Pierpaolo Beluzzi, il quale
tuttavia ha confermato che tali uccelli restano protetti, che la legge regionale che ne
autorizza l'abbattimento è illegittima e che il giudice deve disapplicarla.
Più recentemente anche le Regioni Lazio, Umbria e Abruzzo hanno emesso
provvedimenti che consentono il prelievo venatorio di specie di uccelli protetti dalla
legge nazionale e dalla direttiva comunitaria sulla conservazione degli uccelli selvatici.
La Regione Lazio con delibera della Giunta n. 1591 del 22 novembre ha consentito alle
Provincie di autorizzare il prelievo in deroga dello storno, di cui finora hanno approfittato
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almeno le Provincie di Roma, Rieti, Viterbo e Frosinone con atti che sono inapplicabili
perché lo storno è protetto dalla legge nazionale n. 157 del 1992 e dalla direttiva
comunitaria n. 79/409/CEE sulla conservazione degli uccelli selvatici, ed il suo
prelevamento è penalmente sanzionato. La delibera regionale prevede un
abbattimento massimo di 20 esemplari giornalieri per ogni cacciatore, ed essendo i
cacciatori del Lazio circa 60.000, ed essendovi nel periodo consentito dalla delibera 27
giornate di caccia, il numero teorico di capi abbattuti a livello regionale sarebbe di
20x27x60.000 = 32.400.000, e cioè una vera carneficina!
La LAC ai primi di gennaio ha presentato esposti-denuncia alle Procure della
Repubblica di Roma, Viterbo e Rieti, chiedendo che vengano sequestrati tutti gli storni
presenti stabilmente o temporaneamente nel territorio di rispettiva competenza.
La Regione Umbria con legge approvata il 9 dicembre 2002 ha consentito la caccia del
fringuello, passera mattugia, passera d'Italia, storno e cormorano, tutte specie protette
dalla legge nazionale e dalla direttiva europea; conseguentemente, le due provincie di
Perugia e Terni il 16 gennaio hanno predisposto le determine dirigenziali dando il via
alla caccia al fringuello dal 18 al 30 gennaio 2003. Il 7 gennaio scorso la LAC e il WWF
avevano richiesto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Terni il sequestro
preventivo di tutti gli esemplari di uccelli delle specie fringuello, passera mattugia,
passera d'Italia, storno e cormorano, presenti stabilmente o in transito nel territorio
della Regione Umbria, allo scopo di evitare la strage; ma finora non si ha notizia che la
magistratura sia intervenuta.
Inoltre la LAC il 17 dicembre scorso si è rivolta alla Commissione Europea, inviando
copia della leggina umbra e chiedendo che tale documento venga allegato al dossier
della procedura d'infrazione contro l'Italia n. 2001/2211 per violazione della direttiva
79/409/CEE, attualmente all'esame della Commissione stessa.
Il 28 dicembre la Giunta regionale dell'Abruzzo ha approvato all'unanimità la
deliberazione n. 1201 con la quale si autorizza la caccia allo storno dal 1° al 30 gennaio
2003, da parte di tutti i cacciatori iscritti negli ATC abruzzesi. La deliberazione consente
di abbattere 15 storni al giorno con un massimo di 150 storni a cacciatore per l'intero
periodo. Poiché i cacciatori abruzzesi sono 14.919 (dati ISTAT per il 2000), il numero di
storni che si possono teoricamente abbattere è di 2.237.850. La deliberazione è stata
emessa nonostante il parere contrario dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, ed
ha come pretesto la necessità di “prevenire gravi danni alle colture”, ignorando i grandi
benefici arrecati dagli storni all'agricoltura attraverso la distruzione di insetti
dannosissimi come la mosca olearia e l'ifantria. La LAC si è rivolta al Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale dell’Aquila, chiedendo il sequestro preventivo di tutti gli
storni esistenti stabilmente o temporaneamente sul territorio della Regione Abruzzo.
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DIRITTI DEGLI ANIMALI: ETICA E RESPONSABILITA’
Bruno Fedi
Perché da secoli o addirittura millenni l'uomo
si diverte ad aizzare un animale contro l'altro in
nome dello sport, spesso attratto dalla
possibilità di fare scommesse e perché,
sempre in nome dello sport, si praticano caccia
e pesca? Perché l'odiosa prigionia e l'assurda
dolorosissima morte degli animali da pelliccia?
Perché le sanguinose corride e tauromachie, i
palii, la caccia alla volpe, i combattimenti tra
galli? Perché le enormi sofferenze procurate
agli animali in nome di una falsa scienza?
Perché l'indiscriminato abbandono di cani e gatti da parte di crudeli ed egoisti
proprietari quando i loro amici a quattro zampe sono divenuti un peso ingombrante?
Perché la macellazione rituale? Perché lo sfruttamento degli animali nei circhi e negli
zoo-lager, nonché il loro penoso utilizzo nelle feste religiose e popolari? Perché gli
orribili trasporti degli animali da macello, gli strazianti viaggi della morte nei quali ha già
inizio l'agonia di quegli innocenti?
Quanti paesi hanno dimostrato di aver raggiunto un vero livello di civiltà stendendo e
approvando una carta dei diritti degli animali e leggi a difesa degli stessi dalle crudeltà
umane e stabilendo pene adeguate per chi maltratta, sevizia e sfrutta gli animali?
Come conciliare il concetto di sacralità della vita, i propositi originali di Dio di delegare
all'uomo la gestione pacifica di tutte le creature viventi e di fornire come alimentazione
frutti della terra per l'uomo ed erbe verdi per gli animali (1) propositi che escludono ogni
forma di crudeltà verso gli animali con il concedere poi di trarre vantaggio dagli stessi
uccidendoli per il proprio nutrimento e per il vestiario? (2)
Con le prime leggi date agli israeliti Dio insegnò ad avere cura e rispetto per gli animali.
Comandò di riportare qualsiasi animale disperso al suo proprietario e di aiutare gli
animali in difficoltà (Esodo 23-4,5); gli animali, come gli uomini, dovevano beneficiare
del riposo del sabato (Esodo 23,12) e c'erano leggi che stabilivano il giusto modo di
trattare gli animali che venivano usati per lavori di fatica, al fine di evitarne lo
sfruttamento (Deuteronomio 22-10;25-4); insegnò che gli animali sono esseri senzienti
e non semplici oggetti “usa e getta”; Egli esalta “il giusto che ha cura dell'anima del suo
animale domestico”(3) e cerca di conoscerne i bisogni.
San Francesco, chiamando “fratello” e “sorella” tutti gli elementi della natura e le altre
creature, aveva avuto la consapevolezza che gli animali hanno un'anima e che devono
godere di diritti come gli umani: è la visione TEOCENTRICA che mette l'animale uomo
alla pari con gli altri animali non umani nel grande abbraccio dell'amore divino: è infatti
nella simpatia universale che sono presenti quella umiltà e quell'amore per la verità che
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consentono di riconoscere la propria piccolezza e contingenza di fronte a Dio e al
creato.
Purtroppo l'esasperata affermazione nel mondo occidentale della visione
ANTROPOCENTRICA iniziata con Aristotele, ereditata dalla filosofia scolasticotomistica, poi da quella cartesiana e giunta al culmine col Positivismo, che affermò il
diritto legittimo e assoluto che l'uomo dovesse dominare la natura per mezzo della
scienza -, non fece altro che inculcare il concetto che gli animali sono esseri senza
“status morale”, irrazionali e destinati ad essere schiavizzati, non meritevoli di nessuna
carità da parte dell'uomo-padrone.
Ci troviamo di fronte al fraintendimento, alla errata interpretazione del concetto di
“dominio” contenuto nella Genesi come “dispotismo”, potere assoluto.(4)
E' evidente che il dibattito sulla posizione che deve occupare l'uomo nel creato sta
acquistando, agli inizi del Terzo Millennio, sempre maggiore importanza e sta
diventando, seppure lentamente, un tema “sentito” anche in ambito religioso. Non sono
ancora molti, infatti, gli eventi di cui si ha notizia perché purtroppo non fa ancora
“notizia” nei quali esponenti del mondo religioso e della cultura teologico-filosofica
hanno fatto sentire la propria voce affrontando il problema dei diritti dei non-umani.
Nel marzo dello scorso anno, a Fano, si è tenuto un convegno sul tema del rapporto
uomini-natura-animali nella cultura ebraica e cristiana, nel quale è intervenuto il
Vescovo Monsignor Tomassetti e nel quale argomento di meditazione principale è stato
la centralità o meno dell'uomo nell'Universo.
Nella discussione è stata diffusamente illustrata la tesi antropocentrica (Aristotele,
Stoici, Cartesio), in virtù della quale l'uomo si è ritenuto in potere e dovere di dominare le
specie inferiori di vita, per passare quindi a Plutarco, il filosofo che per primo ha posto il
problema etico nei confronti degli animali, l'obbligo da parte dell'uomo di rispettarli e di
averne cura.
Tale sensibilità quasi sempre derisa alla luce dell'antropocentrismo sembra oggi aver
recuperato un'ampia diffusione: filosofi, teologi, ricercatori, scienziati… si parla sempre
più spesso di BIOETICA, della necessità di rispettare tutte le forme di vita e non solo,
ma anche di recuperarne l'esempio da parte dell'uomo; basti pensare a quanto può
insegnare alla nostra specie l'etologia!
La relatrice, Prof.ssa Battaglia, ha infatti posto l'accento sulla ormai inevitabile
costituzione di un'etica della responsabilità verso gli esseri più deboli. Solo attraverso
essa l'uomo potrà mostrarsi degno del ruolo che la natura gli ha riservato. Dal punto di
vista religioso, Emanuelle Marie cattolica riproponendo i passi della Genesi,
sottolineava la centralità sì dell'uomo nel creato, ma per realizzare il disegno divino di
un Cosmo equilibrato ed armonioso finalizzato al bene. In pratica, se il razionale non si
coniuga col morale…
Precedentemente, in un'intervista rilasciata ad un noto settimanale femminile dopo lo
scandalo dei polli alla diossina e dei vitelli gonfiati con gli ormoni, il Card. Ersilio Tonini,
Arcivescovo della Diocesi di Ravenna-Cervia, dichiarava giunta l'ora di dire basta alla
manipolazione sconsiderata della natura da parte dell'uomo per trarne profitto; che gli
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animali devono vivere in armonia con l'ordine delle cose e denunciava lo sfruttamento
degli allevamenti intensivi per ricavare maggiori guadagni abbassando i costi.
Successivamente lo stesso Card. Tonini si è espresso contro il fenomeno
dell'abbandono dei cani, esempio della crudeltà, della sconsideratezza e della viltà
dell'uomo: un atto abominevole che offende Dio.
Ora possiamo dire che in un mondo divenuto più consapevole e spirituale sono maturati
i tempi della presa di coscienza da parte dell'uomo che egli non può continuare a
generare sofferenza ad altri esseri per evolversi; l'alibi del progresso non regge più in
un'epoca dove le risorse planetarie si stanno esaurendo e la natura si sta ribellando a
secoli e secoli di abusi e devastazioni. Se ancora sussistono molti problemi, questi non
possono essere risolti attraverso la sofferenza! Anche tutte le sperimentazioni non
porteranno mai a qualcosa di positivo se sono basate sul sopruso e sulla sopraffazione
di altri esseri indifesi. E' sostanzialmente questo il messaggio del movimento Vita
Universale, nuovo “strumento fondamentale per meditare e per giungere alla
conoscenza di se stessi nella nostra epoca”.(5) Della necessità di una nuova etica, di
una nuova civiltà i cui fondamenti non siano né lo sfruttamento disumano dell'uomo né
quello bestiale degli animali, parla anche il prof. Gino Ditadi, secondo il quale
“l'ammuffita cultura del sacrificio del sangue che rende possibile la conciliazione deve
essere lasciata al suo contesto."”6)
La tecnica e la scienza possono assolvere oggi a un compito liberatorio prosegue
Ditadi : una civiltà nella quale non si massacrino gli uomini in guerra e non si divorino
cadaveri di animali è a portata di mano… basta allungarla… ma… con energia!
Altra voce che si leva a denuncia della nostra attuale società distruttiva fondata sulla
reificazione di esseri viventi è quella del prof. Bruno Fedi: “imporre sofferenze non può
in alcun modo essere considerato un atto morale. La biologia, l'etologia, la genetica e
l'antropologia hanno chiarito che far soffrire sono atti di distruttività.”(7)
Ancora riguardo ai diritti degli animali e ai nostri doveri nei loro confronti, così si
pronuncia il prof. Thomas Regan, il quale, esattamente venti anni fa, pubblicando una
“summa” di tutte le problematiche animaliste, (8) si consacrava il teorizzatore di veri e
propri diritti attribuibili agli animali, in quanto aventi valore intrinseco(9): “L'errore di
fondo è nel sistema che ci permette di considerare queste creature come nostre cose,
disponibili per noi, per essere mangiate, o manipolate chirurgicamente, o fruttate in
campo sportivo o commerciale”.
A conclusione, considero fondamentale esporre il pensiero di Albert Schweitzer, una
delle più illustri personalità della scienza e della spiritualità contemporanee; medico,
teologo, filosofo, storico, musicologo, premio Nobel per la Pace nel 1592, dedicò mezzo
secolo della sua lunga vita (morì a 90 anni nel 1965) all'opera missionaria in Africa. La
sua levatura morale e spirituale si rivela dall'impegno che egli mise nel difendere i diritti
sia degli umani che dei non-umani.
Il rispetto per la vita che è anche il titolo della sua famosa opera tradotta in varie lingue
è la risposta alla domanda che l'uomo si pone sul rapporto reciproco tra sé e la natura.
Le sue straordinarie parole sono ancora oggi fonte di nutrimento spirituale di speranza
49
per tutti coloro che, al di là di ogni ostacolo e barriera ideologico-storico-politico-socialeeconomico-culturale-scientifica, superando contrarietà di ogni natura e scetticismo,
proseguono il proprio cammino sulla strada dell'evoluzione spirituale e continuano le
proprie nobili battaglie a favore della Vita e della Pace per un mondo migliore.
“E' destino di ogni verità di essere oggetto di derisione quando viene proclamata per la
prima volta. Un tempo era considerato folle supporre che gli uomini di colore fossero
realmente degli esseri umani e dovessero venir trattati come tali. Ciò che era un tempo
follia è diventato una verità riconosciuta. Oggi si considera esagerato dichiarare che il
costante rispetto per ogni forma di vita è la seria esigenza di un'etica razionale.
__________________________________
(1)Cfr. GENESI 1.29 “Ecco io vi do ogni pianta che fa seme su tutta la superficie della
Terra e ogni albero fruttifero che fa seme: questi vi serviranno per cibo. E a tutti gli
animali della Terra e a tutti gli uccelli del cielo e a tutto ciò che sulla Terra si muove e che
ha in sé anima vivente io do l'erba verde per cibo…”
(2)Sono la Caduta e il Diluvio i grandi Eventi che hanno segnato la fine dell'esistenza
pacifica e paradisiaca in armonia coi dettami divini e l'inizio di quella parassitica, che ha
condannato l'umanità a vivere nell'odio e nella sofferenza e ad esercitare lo
sfruttamento e la sopraffazione. (Cfr. GENESI 9.3)
(3)Cfr. PROVERBI 12.10
(4)Per il vero significato della parola cfr. A. LINZEY “Teologia animale I diritti animali
nella prospettiva teologica” Edizioni Cosmopolis Torino, 1998, pagg. 75-76, dove fa
capire che l'uomo deve seguire l'esempio di Cristo comportandosi con generosità ed
umiltà nei confronti dei deboli e degli indifesi”. Se noi ci chiediamo come dobbiamo
esercitare il dominio datoci da Dio sui non-umani, non dobbiamo guardare oltre
l'esempio morale di Gesù, cioè un potere espresso con la massima umiltà e di una forza
espressa con la compassione. Se l'amore generoso e sacrificale è la caratteristica della
vera disciplina, allora dobbiamo chiederci quali argomenti abbiamo per poter escludere
gli animali da questo appropriato esercizio di responsabilità cristiana.” In sostanza
abbiamo un obbligo morale di essere generosi coi nostri fratelli minori, obbligo che
aumenta in proporzione al grado di debolezza dei soggetti in questione. L'unico diritto
che ci è consentito di esercitare è quello di servire e non solo, ma occorre altresì che
diveniamo strumenti per la liberazione di tutti gli esseri oppressi e sofferenti, sempre
seguendo l'esempio di Gesù, immolatosi per redimere e liberare l'umanità. Così San
Paolo auspicava la rinascita della Creazione riconciliata attraverso la liberazione (dalla
“schiavitù della decadenza”) e il divenire da parte degli uomini agenti dello Spirito
liberatore di Dio in Cristo.
E' questa la via per giungere ad un nuovo ordine morale mondiale.
Sempre in Linzey troviamo “…nessun essere umano può avere ragione di pretendere
possesso assoluto sugli animali, per la semplice ragione che solo Dio possiede la
creazione. Gli animali non esistono semplicemente per noi, né ci appartengono. Essi
esistono principalmente per Dio e Gli appartengono (…). Non abbiamo diritto ad
50
appropriarci indebitamente di ciò che appartiene a Dio.” (pag. 159).
(5)Si legga la pubblicazione “Gli animali soffrono: il Profeta denuncia”, testo scioccante,
ma indispensabile per il recupero del pensiero “cristiano” delle origini, un aggettivo il cui
significato, come viene spiegato metaforicamente, è andato perso “a causa del
movimento troppo intenso dell'elica che spinge la nave dello stato del culto pagano, la
cui ciurma arruola tutti coloro che sono deboli nel proprio modo di pensare.”(p.88).
(6)G.DITADI “Cristianesimo e mondo animale”, Istituto Italiano di Bioetica Quaderni di
Bioetica, gennaio 1998.
(7)Il tema è ampiamente trattato in B.FEDI “La ragione e il cuore La ricerca del
successo attraverso la distruttività” Ed. ATRA AG STG.
(8)T:REGAN, The Case forAnimal Rights, 1983 Diritti Animali, Garzanti, Milano 1990.
(9)Con tale teorizzazione Regan superava quella di Peter Singer il filosofo che nel
1972 con Animal Liberation avviò il dibattito contemporaneo sui diritti degli animali in
particolare la prospettiva utilitarista, ritenendola inadeguata a tutelare gli animali in tutte
le circostanze , in quanto troppo legata al calcolo utilitaristico dei maggiori benefici per
l'uomo e quindi alla visione antropocentrica.
Ma verrà il tempo in cui la gente si meraviglierà che la razza umana abbia impiegato
tanto tempo a riconoscere che l'offesa alla vita per mancanza di riflessione è
incompatibile con la vera etica.”
Oggi il suo messaggio sembra essere stato ereditato da uno dei più eminenti uomini di
scienza del nostro tempo, l'oncologo Umberto Veronesi, che così scrive:
“Lo specismo connota nei riguardi degli animali un atteggiamento non dissimile da
quello tipico del razzismo nei riguardi delle altre razze umane. Così se centocinquanta
anni fa, che un bianco uccidesse o torturasse un negro senza ragione poteva sembrare
un fatto complessivamente accettabile nella morale corrente di allora, oggi che un
essere umano uccida un animale non umano senza ragione, è per la maggioranza degli
uomini un fatto accettabilissimo.”
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GLI ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI
E LA PRODUZIONE ALIMENTARE
Stefano Dumontet
Dipartimento di Produzione Vegetale, Università della Basilicata
Introduzione
Il dibattito sugli organismi geneticamente modificati (OGM) in agricoltura può essere
ricondotto a pochi, benché antitetici, assunti fondamentali patrimonio di due soli ed
opposti schieramenti.
Da una parte troviamo i sostenitori dell'applicazione delle nuove tecnologie genetiche
in agricoltura, mentre dall'altra si dispongono gli oppositori di tale progetto.
I sostenitori, autorevolmente rappresentati da Richard Dawkins, affermano che
sarebbe un delitto contro l'intera umanità “voltare le spalle alla scienza” e far prevalere,
nello scegliere le prossime strategie di gestione delle risorse agricole, un approccio precategoriale improntato a superficialità e superstizione e caratterizzato da scelte
emozionali che condurrebbero inesorabilmente verso la barbarie culturale ed il disastro
sociale.
Sull'opposto versante troviamo coloro i quali accusano, più o meno consapevolmente,
un intero modello di sviluppo, ed insieme a questo l'atteggiamento acritico degli
scienziati che approvano e difendono scelte ipertecnologiche non sostenibili.
L'aspro dibattito, generato da questi punti di vista opposti ed irriducibili l'uno all'altro,
porta immediatamente il terreno dello scontro su di un palcoscenico più vasto di quello
rappresentato dall'agricoltura e dalle sue pratiche, ed investe in pieno le stesse basi su
cui poggiano la legittimazione della scienza e della tecnica. I fautori degli OGM in realtà
difendono la supremazia dell'apparato tecnico-scientifico occidentale e, con questo, la
loro stessa posizione di preminenza in seno alla compagine sociale. Gli oppositori delle
istanze propugnate dagli scienziati esprimono, anche se a volte vagamente, un
crescente disagio nei confronti di una scienza che si avverte solo accidentalmente e
sporadicamente connessa ai bisogni della gente. Una scienza che obbedisce a regole
e leggi dettate da un apparato economico e produttivo che ha più volte dimostrato di
aver in spregio sia il destino dei singoli che quello di intere collettività.
Se affrontata sotto questo aspetto, l'analisi della questione ci porterebbe molto lontano
dall'agricoltura e dai suoi problemi e finirebbe per diluirsi in una disamina del ruolo della
scienza nella società occidentale, nella valutazione del suo impatto generale,
nell'esame della sua dipendenza dall'economia, per passare all'analisi del sostegno
dato da questa al paradigma industriale occidentale, e allo studio della
contrapposizione tra scienza ed ideologia. In questo modo ci si allontanerebbe dal tema
ristretto scelto come oggetto di questa relazione e se ne mancherebbe l'obiettivo.
E' ovvio considerare come gli aspetti appena citati convivano tutti nella problematica
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che affrontiamo, benché, a mio avviso, alcuni di questi abbiano tale carattere di
preminenza da rendere opportuna una loro dettagliata analisi.
Probabilmente il dibattito sugli OGM è su di una falsa strada. Chiamare in causa la
scienza in questo dibattito è assolutamente fuori luogo. La scienza, o per meglio dire la
tecnologia genetica, ha un ruolo del tutto secondario ed a volte assolutamente
marginale. E questo sia nel senso dell'autonomia della ricerca che in quello
dell'autonomia della sua funzione sociale.
L'ottimizzazione dei flussi di materia ed energia nella coltivazione di specie vegetali o
nell'allevamento di animali è sempre stato lo scopo primo dell'agricoltura. Le moderne
tecniche di ingegneria genetica cercano di “migliorare” fin dove è possibile la filiera
produttiva contribuendo a realizzare quelle economie di scala che hanno permesso di
ridurre la spesa alimentare delle famiglie europee dal 40 al 14 % del loro reddito in una
trentina d'anni. Tale risultato è dovuto all'aver traslato, senza nessuna mediazione, la
cultura di un comparto industriale che produce beni inanimati alla gestione di organismi
viventi. Le drammatiche notizie sugli effetti degli alimenti così ottenuti occupano
permanentemente le prime pagine dei quotidiani.
Bisognerà tentare di spiegare che il termine 'migliorare' non è neutro, ma assume
significati e valenze diverse in funzione del contesto in cui si applica. 'Migliorare' avrà un
significato per l'agricoltore africano, un altro per il consumatore occidentale, un altro
ancora per le multinazionali della chimica e delle biotecnologie ed uno ancora diverso
per un agricoltore statunitense della corn belt.
Se volessimo tentare di trovare un punto di incontro tra i tanti, e spesso contrastanti,
significati di questo termine in funzione della definizione del prodotto finale delle
“migliorate” filiere produttive, potremmo forse essere d'accordo nel riconoscere che un
alimento dovrebbe avere come prerogativa principale quella di essere gradevole al
gusto ed alla vista ed essere capace di soddisfare, in sinergia con altri alimenti in una
dieta bilanciata, le necessità nutrizionali dell'uomo e degli animali di allevamento. Ed è
proprio in questo senso che bisognerebbe riconoscere che gli alimenti non sono
migliorabili. Dodicimila anni di agricoltura hanno permesso di ottenere materie prime
che riescono a fornire tutto ciò di cui il metabolismo dell'uomo ha bisogno. Parimenti,
dodicimila anni di cultura delle colture agrarie hanno portato alla definizione di canoni di
preparazione degli alimenti che ne esaltano l'appetibilità e ne conservano le proprietà
nutrizionali.
Ciò di cui la filiera agroalimentare ha oggi bisogno è spesso espresso in termini
contraddittori. I giganti delle biotecnologie si trovano a dover produrre tenendo
contemporaneamente presenti diverse strategie commerciali. La prima, di natura
fordista, e come tale di solito confinata a produzioni a bassa tecnologia ed a basso
valore raggiunto dall'evoluzione del moderno paradigma tecnico-economico, guarda
alla massimizzazione delle rese ed alla globalizzazione delle produzioni per ottenere la
più ampia economia di scala (è singolare osservare come l'applicazione di
modernissime tecnologie di biologia molecolare consenta di ottenere prodotti
ipertecnologici ad alto valore aggiunto, che vengono commercializzati secondo leggi di
54
mercato apparentemente obsolete).
La seconda mira a ricavare specifiche nicchie di mercato per prodotti alimentari
modificati secondo le mutevoli esigenze dei consumatori. La terza mira
all'accentramento del sapere e del potere di controllo in pochissime mani, in modo da
ottenere posizioni di predominio in un campo altamente strategico come quello
dell'alimentazione.
Ciò che è in gioco, dunque, non è la sopravvivenza della ricerca scientifica minacciata
da un integralismo culturale oscurantista, ma è la libertà di poter gestire organismi
viventi in agricoltura senza dover sottostare alle imposizioni dei giganti delle
biotecnologie. In altri termini, è in gioco la libertà di scelta e l'autonomia dei coltivatori e
la libertà di scelta e l'autonomia dei consumatori. Forse è anche in gioco la libertà tout
court.
La ricerca scientifica in questa complessa vicenda ha, come dicevamo, un ruolo
estremamente marginale dal punto di vista decisionale, ma un ruolo strategico dal
punto di vista funzionale. Tale ruolo strategico è però gestito completamente al di fuori
della comunità scientifica, anche se i protagonisti della ricerca sembrano non
accorgersene. Infatti, mentre i ricercatori difendono il risultato tecnologico delle loro
ricerche e l'applicazione in agricoltura del loro sapere contro i loro detrattori, non fanno
altro che legittimare il loro completo asservimento a logiche che utilizzano
strumentalmente la scienza ed indirizzano il suo immenso potere di modificare la natura
verso l'imperialismo commerciale.
Le statistiche
Secondo l'International Service for the Acquisition of Agri-BiotechApplications (ISAAA)
l'area globale seminata con OGM è cresciuta di oltre 30 volte ed è passata dai 1.7
milioni di ettari nel 1996 a 52.6 milioni di ettari nel 2001. Questa tecnologia è di quasi
esclusiva pertinenza di una singola impresa, è stata sviluppata per 4 coltivazioni di
maggior interesse industriale e riguarda quasi esclusivamente 2 caratteristiche delle
colture.
Per riassumere:
- Un'azienda (Monsanto) controlla il 91% dell'area mondiale seminata ad OGM nel
2001
- Due caratteristiche genetiche (tolleranza agli erbicidi e resistenza Bt agli insetti)
rappresentano la quasi totalità dell'area seminata ad OGM (77% tolleranza agli
erbicidi, 15% B.T. e 8% entrambe le caratteristiche)
- Tre paesi (USA, Argentina e Canada) hanno il 98% dell'area coltivata con OGM (USA
68%, Argentina 22%, Canada 6% e Cina 3%)
- Quattro sono le specie OGM coltivate: soia (63%), mais (19%), cotone (13%), canola
(5%) rappresentano il 100% delle OGM coltivate nel 2001
- Cinque Gene Giants (Pharmacia-Monsanto, DuPont, Sygenta, Bayer, Dow)
dominano il mercato OGM.
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La “Terminator Technology”
Una delle tecnologie più innovative nel campo degli OGM, ma anche più preoccupanti,
è stata quella ribattezzata “terminator technology” dalla Rural Advancemente
Foundation International (RAFI) un'organizzazione statunitense-canadese che ha a
cuore i problemi degli agricoltori del mondo ed in particolare di quelli più poveri.
Si tratta, in breve, di rendere sterili i semi attraverso un'intelligente tecnica di biologia
molecolare. L'agricoltore compra dunque dei semi che si svilupperanno normalmente
in una pianta (il raccolto è così assicurato), ma i semi di questa nuova pianta non
saranno in grado di svilupparsi (la proprietà intellettuale è così protetta dalla copia non
autorizzata). Nessun agricoltore può dunque usare i semi che produce per riseminarli
ed ottenere un successivo raccolto.
Vi sono varie versioni di questa tecnologia che prevedono l'induzione della
germinabilità, ed altre caratteristiche industriali o nutrizionali, grazie ad un prodotto
chimico, venduto dalla stessa ditta che commercializza il seme, che funziona da
attivatore di alcuni geni e permette lo sviluppo del seme fino a divenire pianta adulta o
l'espressione di specifiche caratteristiche. I semi di questa nuova pianta rimangono
comunque sterili e non sono suscettibili di attivazione.
Vi sono numerosi brevetti per questo tipo di modificazioni genetiche che vengono
chiamate Genetic Use Restriction Technologies (GURTs, “Tecnologie di restrizione a
uso genetico”). Queste tecnologie permettono la modificazione genetica di piante per
renderle sensibili ad un induttore chimico in grado di attivare o disattivare geni che
codificano per tratti specifici della pianta, compresa la vitalità dei semi e la resistenza a
parassiti e malattie. Il controllo della ditta produttrice dei semi si allunga molto al di là del
momento dell'acquisto e determina una completa sudditanza dell'agricoltore.
Riportiamo di seguito alcune interessanti dichiarazioni di scienziati e eticisti riguardo
questa tecnologia:
- William Muir, professore di Animal Sciences alla Purdue University “the downside of
the [Terminator] technology is minor in comparison to the potential benefits.”
- Paul Thompson, bioeticista e professore alla Purdue University: “The important thing
that is being overlooked is that incorporating the [Terminator] gene is a good strategy
for limiting the environmental impact of genetically modified plants.”. La seconda
riflessione di Thompson rileva quanto sia critica la questione dell'accettazione della
Terminator technology: “My speculation is that making a seed sterile goes against
some basic sense of what's right.”
- Willard Phelps, portavoce ufficiale del Dipartimento dell'Agricoltura americano
(USDA), durante un'intervista a New Scientist (29 Marzo 1998) dichiara a proposito
della Terminator technology: “Our system is a way of self-policing the unauthorized
use for American technology. It's similar to copyright
protection.”, mentre in
un'altra occasione dice: The [Terminator] technology is designed “to increase the
value of proprietary seed owned by US seed companies and to open up new markets
in Second and Third World countries.”
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- Melvin J. Oliver, biologo molecolare all'USDA ed inventore della Terminator
technology dichiara nel marzo 1998: “My main interest is the protection of American
technology. Our mission is to protect US agriculture, and to make us competitive in the
face of foreign competition. Without this , there is no way of protecting the technology
[patented seed].”
- Nel 1998, Harry Collins, Vice Presidente del Dipartimento Technology Transfer della
Delta & Pine Land, promosse la tecnologia “Terminator” con queste parole: “The
centuries old practice of farmer saved seed is really a gross disadvantage to third
world farmers who inadvertently become locked into obsolete varieties.” (da un
articolo intitolato “New Technology and Modernizing World Agriculture.” che fu
distribuito dallo stesso Collins al meeting FAO, tenutosi a Roma nel 1998).
La contaminazione del mais messicano indigeno: una storia esemplare
Se queste sono le premesse che hanno guidato la sperimentazione e le strategie di
commercializzazione degli OGM, quella che segue è una illuminante storia di cosa
succede quando gli OGM vengono rilasciati nell'ambiente.
Nell'autunno del 2001 fu riscontrata in Messico la contaminazione delle varietà
indigene di mais da parte di geni provenienti da coltivazioni di mais GM. Bisogna
considerare che il Messico è una delle più importanti aree di differenziazione primaria
vegetale del mondo e rappresenta un serbatoio inestimabile di germoplasma vegetale.
La scoperta della contaminazione da OGM è frutto del lavoro di controllo dell'Istituto
Nazionale di Ecologia (INE) messicano che fa parte del Ministero dell'Ambiente. L'INE
insieme alla Commissione Messicana sulla Biodiversità (CONABIO) intraprese subito
studi approfonditi. Due ricercatori americani dell'Università californiana di Berkley,
David Quist and Ignacio Chapela, confermarono i risultati dell'indagine ed inviarono un
articolo a Nature.
La farsa che segue la diffusione della notizia della contaminazione può essere così
riassunta:
ATTO 1° - La negazione
La prima risposta della comunità scientifica internazionale all'annuncio del governo
messicano circa la contaminazione del mais indigeno fu di assoluto diniego. Lo studio
doveva essere sbagliato perché la contaminazione genetica è virtualmente
impossibile.
L'invio del risultato della ricerca a Nature desta comunque qualche imbarazzo.
ATTO 2° - la manovra diversiva
Parte una feroce campagna di discredito ai danni dei due ricercatori di Berkley. Nel
contempo si esprimono dubbi sulla validità della metodologia adottata dai due
ricercatori. Nonostante tutto ciò l'articolo che dimostra la contaminazione viene
pubblicato su Nature nel novembre 2001.
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ATTO 3° - l'ambiguità
Il quartier generale dell'International Maize and Wheat Improvement Centre
(CIMMYT), il più importante istituto al mondo per gli studi sul mais la cui missione è
quella di eradicare la povertà e conservare la biodiversità, non prende azioni serie per
definire il livello di contaminazione del mais indigeno e rifiuta di confermare tale
contaminazione. L'istituto assicura che la sua collezione di mais non è contaminata.
Il CIMMYT dipende fortemente da finanziamenti americani e da tecnologie di proprietà
dell'industria biotech.
Indirettamente il CIMMYT riconosce la gravità della situazione perché interrompe la
raccolta di mais indigeno per evitare che materiale genetico proveniente da mais GM
possa contaminare le sue collezioni.
ATTO 4° - la tattica dilatoria
La pressione esercitata a livello internazionale dà i suoi frutti. Nature infatti scrive “In the
light of discussions and the diverse advice received, Nature has concluded that the
evidence available is not sufficient to justify the publication of the original paper.”
Intanto, mentre i ricercatori dibattono dottamente sulla bontà delle metodologie, i
contadini messicani continuano ad avere i loro campi contaminati da mais GM.
Il governo messicano promuove due studi indipendenti sulla questione i cui risultati
dovrebbero essere inviati a Nature. La FAO ed il Consultative Group on International
Agricultural Research, il più importante organismo mondiale di ricerca agricola da cui
dipende anche il CMMYT, non si pronunciano perché aspettano i risultati del governo
messicano.
ATTO 5° - le pressioni internazionali
Nel World Food Summit a Roma: la contaminazione delle colture da specie GM non è in
agenda
Nel World Summit on Sustainable Development a Johannesburg: l'insostenibilità
dell'agricoltura nell'era della contaminazione da OGM non è in agenda
I lavori delle due istituzioni messicane sulla contaminazione del mais indigeno sono
respinti da Nature. I commenti di due referee alla stampa sono:
referee 1) la contaminazione del mais indigeno è un fatto tanto ovvio che non vale la
pena pubblicare la notizia
referee 2) gli studi sono difettosi ed imperfetti e non dimostrano in maniera convincente
la contaminazione
Il quotidiano messicano La Jornada pubblica il 22 ottobre un articolo dal titolo “Nature
se niega a publicar estudio sobre transgénicos” a firma di Angelica Enciso and Andres
Morales.
ATTO 6° - la mistificazione
Alcuni sostenitori delle biotecnologie incoscientemente affermano che “se” la
contaminazione del mais messicano è una realtà, le biotecnologie hanno aumentato la
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diversità genetica e donato gratuitamente delle caratteristiche positive alle piante
indigene.
Al seguito delle polemiche sulla contaminazione in Messico, alcuni paesi africani
esprimono forti preoccupazioni circa la presenza di OGM negli aiuti alimentari USA. La
risposta degli americani può essere così riassunta: “beggars can't be choosers”
I governi africani sono accusati di voler volontariamente affamare i propri cittadini.
Pressioni da parte del governo e delle industrie biotech americane sono esercitate su
FAO, OMS e World Food Program per spingere i governi africani ad accettare gli aiuti
alimentari GM. Una battaglia “morale” si scatena contro i dispotici governanti africani e
sull'urgenza di aiutare gli affamati.
ATTO 7° - il contenimento
Più di un anno dopo la scoperta della contaminazione
! il governo messicano è stato capace di pubblicizzare i risultati dei suoi ricercatori
! non si conosce nulla sulla situazione della contaminazione al di fuori dei due Stati
studiati
! nessuna regolamentazione è stata varata
! né il governo, né la FAO, né il CGIAR hanno promosso ulteriori studi
! nessuna informazione è disponibile sulle strategie per evitare la contaminazione delle
banche del germoplasma
! nessuno studio è stato intrapreso per monitorare la situazione di altre colture indigene
! niente è stato fatto per controllare, e nemmeno per monitorare, il flusso di materiale
genetico contenuto in semi modificati importati dal Messico ed il suo impatto sulle
specie coltivate indigene
Conclusioni
Quest'articolo tenta di mettere in luce le implicazioni di carattere politico ed economico
sottese agli OGM e tenta, altresì, di non ridurre il problema delle modificazioni
genetiche di organismi di interesse agricolo ad una lotta tra scienziati progressisti ed
oppositori luddisti.
In definitiva, la scienza non ha che un ruolo ancillare in questo processo. Non si può
nemmeno invocare la “purezza” e l'assenza di valori della ricerca scientifica, da
contrapporre all'uso scorretto o deviato delle applicazioni tecnologiche. Nel caso delle
biotecnologie sono infatti gli interessi economici che guidano la scienza verso traguardi
predeterminati e resi commercialmente remunerativi grazie a politiche e trattati
internazionali che precedono le scoperte scientifiche.
E' su queste premesse che si tenta di negare ai cittadini il diritto di negoziare
l'utilizzazione della tecnologia e dell'attività scientifica. Su queste basi si vorrebbe
negare alla politica, come massima espressione della razionalizzazione delle
dinamiche sociali, il diritto di mediare e di assumersi la responsabilità di scelte che
riguardano anche l'azione degli scienziati.
59
Perché ostinarsi a non voler pervenire a scelte condivise, scendendo sul terreno della
prassi insieme alle forze che su questo terreno si esprimono? Perché voler chiudere la
scienza in una cittadella e comportarsi come si trattasse di un presidio militare
assediato, al cui soccorso si accetta solo l'intervento del capitale?
Il motivo è naturalmente strumentale. Tutti gli sforzi delle aziende alimentari e
biotecnologiche, come di molti dei governi occidentali, sono orientati a far accettare,
come se fosse un reale progresso, la più grande centralizzazione in mani private delle
più potenti tecnologie della vita che mai l'uomo abbia mai messo a punto.
60
LA VIVISEZIONE COME FRODE SCIENTIFICA
Marco Mamone Capria*
1. Che nella scienza possano verificarsi frodi
come in altre attività professionali è emerso
con più forza all'attenzione degli studiosi da
una ventina d'anni. A questo proposito si può
citare come particolarmente significativa la
pubblicazione, da parte di una delle case
editrici più prestigiose a livello mondiale, di un
libro intitolato Traditori della verità Frode e
inganno nella scienza.1 In quest'opera si
discutono una serie di casi di frode avvenuti nel
corso della storia della scienza, e in particolare di quella recente, e si cerca di
abbozzare un quadro teorico che spieghi come mai essi non siano semplici incidenti di
percorso, ma inevitabili conseguenze di come oggi la ricerca scientifica è organizzata e
finanziata.
2. Il caso delle scienze biomediche, i cui praticanti sono costantemente sotto temibili
pressioni socio-economiche, è sicuramente esemplare. Non a caso gli autori del libro
sopra citato, e altri che li hanno preceduti o seguiti in quello che è diventato un fortunato
filone di ricerca, si sono concentrati soprattutto su di esse.
Che il desiderio di portare beneficio all'umanità sia la ragione principale che ha
determinato la scelta professionale della maggior parte degli scienziati biomedici attuali
è una ipotesi priva di valore. Se fosse anche approssimativamente vera, avremmo visto
una presenza molto più massiccia di tali scienziati nella diffusione presso il pubblico di
nozioni di medicina preventiva già da tempo acquisite. Per citare un fatto abbastanza
noto, tra l'80% e il 90% di tutti i tumori sono provocati da cause note e sulle quali si
potrebbe intervenire; ciò è noto da almeno una trentina di anni. Ma, tutto al contrario, la
continua 'fuga' dai laboratori biomedici di notizie false circa supposte “scoperte
decisive” sulla cura del cancro, contribuisce a rendere ciechi i cittadini rispetto alle
gravissime responsabilità politiche che impediscono tuttora una seria opera di
rimozione delle cause note delle patologie. Il fatto è che la prevenzione a livello sociale
e individuale aiuta poco la ricerca di laboratorio a prosperare. Invece quegli stessi
ricercatori non mancheranno all'appello quando si tratterà di chiedere ai cittadini e ai
loro rappresentanti politici un volume maggiore di finanziamenti “per la ricerca” o una
maggiore “libertà di ricerca” per se stessi e i propri colleghi.
3. Queste considerazioni, che si potrebbero documentare in dettaglio senza troppe
difficoltà, servono a chiarire preliminarmente che l'accusa mossa a una buona parte
della comunità biomedica, di aver adottato da un paio di secoli una metodologia
61
pseudoscientifica, non ha nulla di intrinsecamente inverosimile. In particolare non può
essere respinta a priori sulla base dell'attribuzione di un livello etico particolarmente
elevato ai membri di tale comunità.
Sgomberato il campo da questo possibile pregiudizio, esamineremo ora, sia pure nelle
grandi linee, se la vivisezione (cioè della sperimentazione invasiva sugli animali a
scopo di estrapolare insegnamenti di interesse medico)2 si configuri o no come un buon
esempio di pratica di ricerca fraudolenta e deleteria. La mia tesi in accordo con
l'argomentata convinzione di molti illustri studiosi3 è che la risposta a tale quesito sia
nettamente positiva.
Nel complesso ci sono svariate ragioni che giustificano un netto rifiuto della vivisezione
sia sul piano individuale (contestazione e obiezione di coscienza) che su quello
collettivo (abolizione).
4. La prima e più evidente delle ragioni ha a che fare con l'etica più che con la scienza,
ed è la sofferenza che la vivisezione causa agli animali da laboratorio. I vivisettori
replicano di solito che tali sofferenze sono in realtà trascurabili, e che, quando c'è
qualche dubbio al riguardo, agli animali viene per precauzione praticata l'anestesia.
Lasciamo perdere la falsità, provata già in innumerevoli casi, di quest'affermazione sul
semplice piano fattuale. Ma sono i vivisettori le migliori autorità per giudicare delle
sofferenze degli animali? Una semplice riflessione, rafforzata da quanto verremo
dicendo, è sufficiente a convincerci di no.
In effetti già la sola condizione di detenzione è fonte di sofferenza per l'animale,
rinchiuso in spazi ristretti, soggetto a condizioni di luce e alimentari che ne alterano
bioritmi e fisiologia, limitato nella sua socialità ecc. Ormai è noto che gli animali da
laboratorio (per esempio, i roditori) sviluppano comportamenti stereotipati che sono
sintomo di “cervelli anormali”, come riconosciuto recentemente anche sulla stampa
scientifica ufficiale.4 Il fatto che di ciò i vivisettori non si fossero accorti per secoli (o si
fossero ben guardati dal rivelarlo), mostra la loro scarsa attitudine a penetrare la
psicologia animale (o un'inveterata e in effetti tradizionale propensione alla
menzogna).
Ipocrisia a parte, è in effetti plausibile che i vivisettori siano induriti dalla loro stessa
pratica nei riguardi della psicologia degli animali in cui impiantano elettrodi, che
avvelenano con sostanze tossiche, che sottopongono a sforzi estenuanti, a cui
trapiantano organi di altri animali ecc. ecc. Qui veniamo a una seconda ragione per
rifiutare la vivisezione: la desensibilizzazione che essa opera ai danni delle persone
che la praticano, e che non può non avere conseguenze sul loro equilibrio emotivo e
morale. Questo aspetto non può essere lasciato solo alla discrezione e alla coscienza
del singolo ricercatore, perché ha conseguenze anche nell'ambito pubblico. Infatti
quelle stesse persone sono spesso incaricate, nelle vesti di medici o di esperti
governativi, di prendere decisioni che possono influenzare il benessere dei loro simili.
Quando ciò accade questi ultimi farebbero dunque bene a preoccuparsi.
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5. Le considerazioni precedenti sono a volte accettate, sebbene malvolentieri, dai più
onesti fra gli stessi vivisettori, ma non per questo essi ritengono, di solito, di dover
ripudiare ciò che fanno. La risposta che hanno pronta è: anche se gli animali da
laboratorio soffrono, forse che la loro sofferenza dovrebbe contare più di quella degli
esseri umani malati che la vivisezione permette di curare? Dovremmo come recita un
noto slogan vivisezionista sperimentare farmaci e terapie su un bambino piuttosto che
su un cane?
Prima di rispondere a questo argomento è doveroso ricordare che in ogni epoca c'è
stato chi ha sostenuto, nobilmente, che gli animali non dovrebbero essere sottoposti a
sevizie neppure se da ciò il genere umano potesse ripromettersi grandi benefici. Tali
persone sono però una minoranza, che si contrappone alle tante più persone che
hanno accettato e accettano che si provochino grosse quantità di dolore umano in
nome degli interessi della parte dell'umanità di cui sono membri con guerre,
sfruttamento, colonizzazione ecc. È difficile che queste persone prendano molto a
cuore la sorte dei cani (e dei gatti) deportati nei laboratori di vivisezione. Magari alcuni di
quei cani (o gatti) li hanno abbandonati proprio loro sul ciglio di una strada.
Ma la disputa sulla moralità della vivisezione non si esaurisce nell'inutile appello che
una minoranza sensibile e coinvolta rivolge a una maggioranza cinica o distratta. In
effetti, e questo è un punto sul quale non si insisterà mai abbastanza, i presunti benefici
che la vivisezione avrebbe arrecato allo sviluppo delle terapie mediche sono inesistenti,
e anzi, peggio che inesistenti. Pertanto l'antitesi “un cane oppure un bambino” si fonda
su un presupposto falso.
6. In questo c'è un importante parallelismo con la questione alimentare. Molti autori
pretendono che l'uccisione di animali a scopo alimentare è una triste necessità, perché
senza il loro apporto nutritivo l'organismo umano deperirebbe. Ora, se questo fosse
vero, ci troveremmo di fronte a una grave contraddizione tra il nostro impulso vitale e la
solidarietà verso gli altri animali. La linea di pensiero che si rifà, più o meno
velatamente, al cattolicesimo è naturalmente del tutto soddisfatta di questo esito, in
quanto confermerebbe i limiti della capacità di fare il bene proprio della natura umana
dopo il peccato originale.
Ma questo edificio ideologico si fonda su un presupposto scientifico che è
semplicemente falso. Infatti chiunque può eliminare la carne dalla propria
alimentazione. E, contrariamente a quanto parecchi nutrizionisti insinuano, non è vero
che il vegetariano debba avvalersi della costante consulenza di esperti, o di chissà quali
accortezze, se vuole evitare gravi errori alimentari. Al contrario, è molto più a rischio il
mangiatore di carne, come ormai è noto da decenni e come testimonia l'alta
percentuale di malattie (obesità, diabete, tumori ecc.) causate anche
dall'alimentazione tra la popolazione 'onnivora'.
Insomma, i grandi benefici del mangiar carne per la salute sono immaginari. L'antitesi
“la vita di un vitello oppure la salute di un bambino” si fonda anch'essa su un
presupposto falso.
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7. Tornando alla vivisezione, essa è una pratica che con la scienza e con i benefici che
siamo abituati ad attribuire al progresso di questa ha ben poco a che fare.
Per esempio, sperimentare un farmaco su un topo non dà indicazioni adeguate sul
comportamento di quel farmaco nell'uomo, o in qualsiasi altra specie diversa dal topo (e
anche all'interno della stessa specie sono necessarie molte cautele prima di poter
enunciare conclusioni d'ordine generale). Quando di quel farmaco si somministra la
prima dose a un uomo, tutti gli esperimenti sugli animali eseguiti in precedenza non
bastano a dare la minima rassicurazione sull'esito. La prima dose a un uomo è né più né
meno che un nuovo esperimento. La pretesa che grazie alle prove su animali si
sarebbero evitati e si eviterebbero rischi all'uomo è quindi falsa. Ma non
'semplicemente' falsa.
Infatti ciò che è avvenuto innumerevoli volte, è stato che i risultati della sperimentazione
sugli animali, non solo non hanno corrisposto a quello che si è poi constatato nell'uomo,
ma sono stati così dissimili che, nella misura in cui li si è presi come 'indicativi', essi
hanno messo in serio pericolo la salute delle persone. Citerò un esempio tra le centinaia
possibili, uno dei più famosi, in modo che anche il lettore non specialista possa
facilmente controllare quanto da me detto.
8. Il talidomide, che ha provocato 12.000 nascite di bambini focomelici (1957-1962), era
stato propagandato dalle aziende produttrici come “innocuo come una zolletta di
zucchero” e “tranquillante innocuo, adatto soprattutto alle gestanti”. Le prove su animali
non avevano dato alcuna anticipazione del rischio di malformazioni nei feti (cioè del suo
potere teratogeno). I vivisezionisti hanno tentato in tutti i modi di scusare questa
imperdonabile catastrofe sanitaria, con il numero insufficiente di prove su animali
effettuate all'epoca: oggi essi dicono una cosa del genere non potrebbe succedere.
Per confutare questa difesa d'ufficio non occorre entrare nei particolari di che cosa
avevano fatto le ditte farmaceutiche prima della messa in vendita del prodotto. Basta
dire che dopo la catastrofe fu fatto ogni sforzo per ottenere una conferma vivisezionista
della capacità teratogena del talidomide: ebbene, si riuscì a trovarla solo in un caso tra
decine e decine di specie e razze. Ciò significa che, anche dopo essere stati messi
sull'avviso circa ciò che dovevano trovare, e con tutto il tempo per fare prove su tipi
diversi di animali, i vivisettori non riuscirono a trovare una conferma se non in modo
sporadico e ambiguo.
Ma talora si replica appunto questo è il progresso che abbiamo fatto: non ci limitiamo
più a una o due specie, ma vagliamo il potenziale tossico del farmaco su tutta una
schiera di specie e razze. L'implicazione di questa risposta è che se il farmaco viene
riscontrato teratogeno su almeno un ceppo di una specie animale, esso non viene
nemmeno passato alla fase clinica, mentre se non viene riscontrato teratogeno ciò
rassicura sulla sua innocuità per donne incinte e feti.
Anche questo è un falso. E stavolta per convincersene non bisogna andare più lontano
dell'armadietto dei medicinali, e leggere qualche foglietto illustrativo. Alla voce sulla
64
somministrazione alle gestanti si trovano frasi come la seguente, del tutto tipica, che
traggo dal foglietto relativo a un farmaco per il trattamento delle affezioni respiratorie:
“Anche se gli studi teratologici condotti con FLUIMUCIL® sugli animali non hanno
evidenziato alcun effetto teratogeno, tuttavia come per gli altri farmaci, la
somministrazione nel corso della gravidanza e durante l'allattamento va effettuata solo
in caso di effettiva necessità e sotto il diretto controllo del medico”.5 E, per quanto
riguarda l'altra possibilità (quella di dati positivi sugli animali) basta osservare anche
qui cito uno tra i tanti esempi che la vitamina C è teratogena in cavie, topi e ratti, ma il
foglietto illustrativo di una sua confezione in Italia non teme di riportare tra le indicazioni:
“Profilassi e terapia della carenza di vitamina C (gravidanza, allattamento,
alimentazione artificiale dei lattanti, tendenza alle emorragie per fragilità capillare)”.6
In conclusione nemmeno le case farmaceutiche prendono sul serio i risultati degli
esperimenti di vivisezione che pure eseguono e finanziano. La spiegazione che danno
per questa curiosa incoerenza è ancora quella fornita dal direttore di un importante
laboratorio farmaceutico nel 1964: “Gli studi su animali si fanno per ragioni legali, non
per ragioni scientifiche. Il valore predittivo di tali studi per l'uomo è privo di senso il che
significa che la nostra ricerca può essere priva di senso”.7
A completare il quadro è importante notare che nessuno, né tra gli scienziati né tra gli
industriali farmaceutici coinvolti nello scandalo del talidomide, fu colpito dalla minima
punizione personale per questo crimine di massa. Non c'è dubbio che se le
responsabilità dell'adozione di una metodologia pseudoscientifica fossero state
riconosciute adeguatamente in sede legale in quell'occasione, i vivisettori sarebbero
stati costretti a un ripensamento della loro attività con immediate conseguenze
pratiche.
9. Bisogna infatti dire che dell'inaffidabilità della loro metodologia i vivisettori sono ormai
largamente consapevoli, come si vede dal fatto che, nel dare notizia di scoperte
presentate come pietre miliari della medicina, si premurano di regola di dichiarare,
congiuntamente, che prima di arrivare a risultati utili sull'uomo si tratta di aspettare
ancora qualche anno… e naturalmente l'afflusso di nuovi ingenti finanziamenti.
Nessuno poi informa il pubblico, qualche anno dopo, su quante di queste profezie si
siano avverate, ma la risposta è semplice: nessuna, a meno che una contemporanea o
precedente sperimentazione sull'uomo non abbia indirizzato ad hoc l'interpretazione
delle in ogni caso irrilevanti e pretestuose 'verifiche' su animali.
Di più, l'uso degli animali per ottenere prove di tossicità o non tossicità di sostanze o
agenti sull'uomo è stato uno degli strumenti preferiti dall'industria chimica per inondare
l'ambiente di sostanze e agenti presentati come 'innocui' ma che sono poi risultati
dannosi e a volte letali sull'uomo. Sono le prove su cani, roditori, conigli che sono servite
a 'dimostrare' per decenni che il fumo di tabacco non poteva provocare cancro al
polmone. Infatti esso non lo provoca in nessuno degli animali di laboratorio. Ma
nell'uomo sì. Per decenni la controverità fornita dalla vivisezione ha servito a dovere gli
sforzi delle multinazionali del tabacco a che non venissero approvate leggi anti-fumo. In
65
particolare vale la pena notare che solo l'anno scorso (2002) la International Agency for
Research on Cancer ha ufficialmente inserito il fumo passivo tra i cancerogeni, mentre
era almeno dalla fine degli anni 1930 che gli studiosi, fondandosi sull'evidenza clinica
ed epidemiologica, l'avevano classificato come tale.
Se si pensa che si il tumore ai polmoni è considerato oggi la prima causa di morte per
tumore, e che la stima di vittime arriva a circa un milione all'anno in tutto il mondo, è
evidente che questo solo esempio basterebbe a squalificare definitivamente la
vivisezione se si considerasse la questione con equanimità.
10. Ma la vivisezione è veramente un problema che ci riguarda? O viene effettuata poco
e lontano da noi così poco da non contare più molto, e così lontano che le nostre
critiche non possono toccarla? La verità, purtroppo, contraddice sia l'una che l'altra
illazione. Solo all'Università di Perugia ogni anno migliaia di animali (di prefernza ratti,
topi e conigli, ma non solo) vengono utilizzati per 'ricerche mediche'.
Per dare un esempio di quello che si fa, cito un esperimento attualmente in corso,
intitolato “Effetto dell'allenamento sui sistemi antiossidanti e studio dell'effetto protettivo
svolto da sostanze farmacologicamente attive sullo stress ossidativo indotto
dall'esercizio fisico”. Il lettore ingenuo potrebbe pensare che si tratti di un esperimento
privo di rischi condotto con la partecipazione di atleti volontari... E invece no: esso viene
effettuato su ratti, i quali vengono costretti a “diversi tipi di allenamento” su “un rullo di
7cm di diametro adeguatamente studiato per consentire la presa dell'animale”, e gli
sperimentatori aspettano a ogni prova finché, estenuati, “i ratti cadono sopra la lamina
posta al di sotto del rullo”. L'istante di caduta dà “il tempo di resistenza dell'animale”,
dopodiché questo è ucciso, dissanguato e diversi suoi tessuti sono sottoposti ad
analisi... Non entro nei dettagli dell'insensatezza scientifica di questo esperimento,
anche perché l'ho fatto come membro del Comitato Etico Universitario di Perugia,
presentando per iscritto le mie critiche (gennaio 2001).8 Ciò che però penso che
chiunque possa apprezzare senza dover entrare in questioni tecniche è che è assurdo
qualificare questi esercizi crudeli come un esperimento che causa “Poca o nessuna”
sofferenza. Eppure tale è la definizione datane dallo stesso responsabile del progetto
sperimentale, e questa definizione è stata accettata dagli altri membri del Comitato
(una quindicina, quasi tutti universitari e di diverse facoltà), che hanno approvato il
progetto.
Penso che questo esempio sia sufficiente a provare che non c'è molto che il cittadino
possa sperare dall'autoregolamentazione degli scienziati, universitari e no. Spetta a lui
esigere da questi un comportamento in linea sia con la razionalità scientifica, sia con il
rispetto verso gli animali (uomini compresi), sia con le responsabilità giuridiche
connesse allo spacciare come “risultato scientifico” qualcosa che non lo è.
Il punto è che di queste cose il grande pubblico non sa praticamente nulla. Non sa nulla
degli esperimenti che si eseguono talvolta a pochi metri da casa propria, e non sa che i
comitati etici, che dovrebbero rappresentare il migliore giudizio espresso nell'attuale
momento storico dalla nostra società, danno le loro certificazioni a praticamente
66
qualsiasi cosa venga loro sottoposta da un 'collega'.9 Per ulteriori esempi italiani il
lettore può far riferimento a un sito Internet più volte censurato, e che ha il merito di
elencare, anche con nomi e cognomi, vari esempi di ricerche al tempo stesso stupide e
crudeli che vengono svolte nei laboratori italiani in larga misura, va sottolineato, a
spese dei contribuenti.10
11. In conclusione la vivisezione ha una sola funzione per la quale si è rivelata
veramente insostituibile: fuorviare le scelte della sanità pubblica e permettere
l'avvelenamento (farmaceutico, alimentare, ambientale) dei cittadini per tempi molto
più lunghi e in modi più svariati di quanto metodi realmente scientifici di indagine
permetterebbero. Chi vuole fare ricerca per il bene dell'umanità non ha nulla da perdere
rinunciando alla vivisezione, se non una inesauribile fonte di errori deleteri.
A questo riguardo ricordo che in Italia vige una legge che permette di fare obiezione di
coscienza alla sperimentazione animale la n. 413 del 1993. È una legge anch'essa
censurata, e lo è da quegli stessi organismi e autorità che, per legge, dovrebbero
divulgarne il contenuto presso studenti e tecnici. Essa è uno strumento preziosissimo la
cui origine si deve proprio alla crescente consapevolezza tra gli operatori del settore
delle informazioni che ho qui rapidamente sintetizzato. Farvi ricorso è la maniera
migliore per alimentare in sé e negli altri quel rispetto per gli altri esseri senzienti senza il
quale va presto in rovina anche il rispetto per i nostri simili; per avviarsi allo studio
scientifico della medicina e della biologia; e per mettersi nelle condizioni di dare un
contributo reale alla tutela della salute umana attraverso le proprie ricerche.
Riferimenti
BROAD, W., WADE N. 1982: Betrayers of the Truth. Fraud and Deceit in Science,
Oxford University Press.
CROCE P. 2000: Vivisezione o scienza [1981], Calderini Edagricole.
KNIGHT J. 2001: “Animal data jeopardized by life behind bars”, Nature, 412: 669.
MAMONE CAPRIA M. 2000: “Informazione medica: aspetti epistemologici e di
comunicazione di massa”, Bollettino SFI, NS n. 171, pp. 32-51.
RUESCH H. 1989: Imperatrice nuda [1976], CIVIS.
1
Dipartimento di Matematica, Università di Perugia, Italia. “Gli animali, noi e
l'ambiente”, 18-19 gennaio 2003, Sala dei Notari, Perugia.
Broad, Wade 1982.
2
Alcuni autori insistono nel volere che il termine “ vivisezione” (non la pratica stessa!) sia
abolito, in favore di quello di “sperimentazione animale”. In realtà si può sperimentare
su animali non umani anche per ragioni diverse da quella di far progredire la medicina
umana; mettere tutto sotto la stessa etichetta mi sembra utile soprattutto alla causa
della disinformazione.
3
Vedi Ruesch 1989, Croce 2000; altri riferimenti e collegamenti si trovano sul sito
www.antivivisezione.it.
67
4
Knight 2001.
Il principio attivo di questo farmaco è la N-acetilcisteina.
6
A conferma dello stato prescientifico della medicina attuale, basti dire che in Francia la
stessa multinazionale del farmaco scrive nel foglietto illustrativo dello stesso prodotto:
“Questo medicamento sarà utilizzato durante la gravidanza solo su consiglio del vostro
medico. Se scoprite di essere incinta durante il trattamento, consultate un medico,
perché solo lui può giudicare della necessità di proseguire. L'utilizzazione della
vitamina C è da evitare durante l'allattamento” (cfr. Mamone Capria 2000; corsivi miei).
7
Dr. J. D. Callagher, direttore di Ricerca Medica ai Laboratori Lederle; dichiarazione
pubblicata sul prestigioso Journal of American Medical Association (cit. in Ruesch
1991, p. 253).
8
Sia per questa ragione, sia per non isolare artificiosamente un solo 'colpevole' quando
molti di più sarebbero da citare, non riporto il nome del responsabile del progetto.
9
Chi non osserva questa regola implicita può vedersi arrivare, come è accaduto al
sottoscritto, una lettera del presidente del comitato in cui lo si è minacciato di “informare
come invero vari colleghi mi hanno da tempo chiesto il suo Preside, ed il Consiglio [di
Facoltà], di tale comportamento ostruzionistico, profondamente nocivo per il buon
funzionamento [sic!] del Comitato” (lettera del 13 giugno 2001). Ovviamente ho reso
immediatamente pubblica la lettera e in particolare ne ho data immediata
comunicazione al mio Preside oltre che, successivamente, al Garante dell'Università di
Perugia. Purtroppo né gli altri membri del Comitato, né le altre autorità da me informate
hanno ritenuto la gravità del caso meritevole di un dibattito pubblico. Di conseguenza
ho da allora cessato di presenziare alle sedute del Comitato, per non avallare una
maniera di gestire il dissenso (per non dire dell'approvazione dei progetti sperimentali)
che mi sembra tutto fuorché conforme all'etica.
10
Il sito è www.laboratoricriminali.net.
5
68
LA LEGISLAZIONE REGIONALE NEL QUADRO DELLA PROTEZIONE
DEGLI ANIMALI E DELL'AMBIENTE
Paolo Brocchi
La tematica oggetto di trattazione richiede una
brevissima disamina preliminare relativa al
nuovo impianto di cui all'art. 117 Cost., ovvero
ai rapporti tra lo Stato e le Regioni
nell'estrinsecazione del potere legislativo, alla
luce della riforma di cui alla legge
costituzionale n. 3/2001.
Le principali novità della riforma
La legge costituzione n. 3 del 18 ottobre 2001,
pubblicata nella G.U. del 24.10.2001 ed entrata in vigore il successivo 9 novembre, ha
riformato e riformulato gran parte del titolo V della Costituzione, intitolato “Le Regioni, le
Province, i Comuni”. La riforma, intende consentire l'affermazione di una
organizzazione pubblica di tipo federalista nella quale allo Stato spettano solamente i
compiti essenziali che non possono essere soddisfacentemente svolti dalle Regioni e
dagli enti locali. Tale finalità viene sostanzialmente perseguita attraverso l'esatta
individuazione delle materie soggette alla disciplina della legge dello Stato, il
riconoscimento della potestà legislativa regionale in tutte le altre, nonché mediante la
soppressione dei tradizionali controlli sull'operato delle Regioni e di Comuni e Province.
La potestà legislativa statale risulta così distinta in esclusiva e concorrente. Solamente
lo Stato può adottare leggi nelle materie di legislazione esclusiva, quali la politica
estera, i rapporti internazionali dello Stato, l'immigrazione, i rapporti tra la Repubblica e
le confessioni religiose, la difesa e le Forze Armate, la sicurezza dello Stato, le leggi
elettorali, l'ordine pubblico e la sicurezza, la cittadinanza, lo stato civile e le anagrafi, la
giurisdizione e le norme processuali. Nelle materie di legislazione concorrente, invece,
allo Stato compete la determinazione dei principi fondamentali mentre la disciplina di
dettaglio spetta alle leggi regionali. Rappresentano materie di legislazione concorrente,
tra le altre, quelle relative al commercio con l'estero, alla tutela ed alla sicurezza del
lavoro, alle professioni, al governo del territorio, alle grandi reti di trasporto e
navigazione, alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali ed alla promozione ed
organizzazione delle attività culturali.
Le materie che non rientrano tra quelle espressamente enumerate e attribuite allo
Stato, secondo il criterio della competenza esclusiva o concorrente, sono soggette alla
potestà legislativa delle Regioni (art. 117, comma IV: “Spetta alle Regioni la potestà
legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione
dello Stato”).
La situazione delineata dalla recente riforma costituzionale é dunque, in sintesi, la
69
seguente:
- materie espressamente riservate alla legislazione esclusiva dello Stato (art. 117,
comma II): possono essere disciplinate solamente con legge dello Stato;
- materie, espressamente previste, di legislazione concorrente (art. 117, comma III):
allo Stato compete la determinazione dei principi fondamentali, mentre alle Regioni
spetta l'adozione, nel rispetto dei principi statali, della legislazione di dettaglio;
- materie non rientranti né tra quelle riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, né
tra quelle di legislazione concorrente, in quanto non comprese nelle relative
enumerazioni: la riforma attribuisce la potestà legislativa alle Regioni (art. 117,
comma IV).
La mancanza di norme transitorie ha determinato rilevanti problemi applicativi sin dal
giorno dell'entrata in vigore della riforma. Molte leggi statali, infatti, sono apparse
scarsamente compatibili con il nuovo criterio di riparto.
La considerazione delle conseguenze derivanti dall'applicazione della riforma,
secondo il significato reso palese dalla formulazione letterale, ha indotto parte degli
studiosi a verificare differenti possibilità di lettura. Si é così rilevato che le nuove norme
costituzionali in nessuna parte vietano allo Stato di legiferare nelle materie che
l'applicazione del criterio residuale rimette alla disciplina regionale. Le leggi così
adottate, o vigenti all'atto di entrata in vigore della riforma, avrebbero carattere
cedevole rispetto a quelle regionali. La loro applicabilità sarebbe cioé condizionata
dall'assenza, nella singola Regione, di leggi regionali disciplinanti la stessa materia.
L'interpretazione non intende solamente negare l'automatica incostituzionalità di gran
parte delle leggi statali per effetto dell'entrata in vigore della riforma ed impedire quindi il
prodursi di un blocco istituzionale dalle conseguenze imprevedibili, ma persegue anche
l'obiettivo di evitare l'eccessiva frammentazione derivante dalla vigenza di venti
differenti normative in molti importanti settori. Si ritiene infatti che i principi desumibili
dalla legislazione statale vigente od adottata successivamente all'entrata in vigore
della riforma, seppure riferita ad ambiti neppure parzialmente riservati alla competenza
dello Stato, vincolerebbero comunque le Regioni. Ciò a tutela della indivisibilità ed
unitarietà dell'ordinamento. La Costituzione, tuttavia, mediante l'enumerazione delle
materie di legislazione concorrente, prevede espressamente gli ambiti per i quali lo
Stato stabilisce i principi fondamentali. L'interpretazione, pertanto, in questa parte,
potrebbe anche non ritenersi condivisibile.
In ogni caso, si diceva, che molte leggi statali sono apparse scarsamente compatibili
con il nuovo criterio di riparto. Tale é il caso, solo per ricordare alcuni esempi, del Testo
Unico in materia di enti locali, della disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze
della Pubblica Amministrazione, della legislazione in materia di lavori pubblici e dei
Testi unici sugli espropri ed in materia edilizia.
Ed é soprattutto relativamente alla materia edilizia che emergono le principali
implicazioni avute riguardo alle tematiche che ci troviamo a discutere in questa sede:
ovvero quelle sulla tutela dell'ambiente e, conseguentemente, sulla tutela e protezione
degli animali.
70
Orbene, con riguardo alla protezione degli animali, ogni valutazione forse dovrebbe ad
oggi essere sospesa in attesa della definitiva approvazione del disegno di legge
(licenziato dalla Camera ed ora approdato al Senato) sulla introduzione nel Codice
Penale sostanziale del Titolo XII-bis sui cc.dd. “Delitti contro gli animali”, che
comporterà, come é noto, un notevolissimo inasprimento delle fattispecie
sanzionatorie in tutti i casi di incrudelimento, o, anche, solamente, di detenzione od
utilizzo degli animali in condizioni o secondo modalità incompatibili con la loro natura. A
questo proposito si ricorda la previsione, non solo della pena detentiva, sub specie di
reclusione, ma, altresì, di multe per svariate decine di migliaia di euro.
Quanto alla tutela dell'ambiente, non possiamo non soffermarci su una questione che
al momento si segnala come meritevole di un qualche interesse non solo da parte degli
addetti ai lavori: intendiamo riferirci alla tematica dei cc.dd. abusi edilizi alla luce delle
problematiche sollevate a seguito dell'emanazione di talune sentenze di merito, che
hanno negato in radice la perdurante possibilità, da parte delle Pubbliche
Amministrazioni, di fare luogo a procedure sanzionatorie amministrative e penali a
fronte di reati edilizi. Il presunto vuoto normativo interesserebbe tra l'altro non solo la
legislazione statale, ma, anche, per quanto ci riguarda, la normativa regionale umbra.
Non é poi certo compito mio rimarcare e sottolineare lo stretto legame che esiste tra il
governo del territorio, la tutela dell'ambiente e, in ultima analisi, la salvaguardia degli
animali, nonché di tutti gli altri esseri viventi.
Orbene, la materia che attiene, propriamente, al rilascio di concessioni ed
autorizzazioni edilizie risulta disciplinata dal combinato disposto del T.U. 380/2001 e
della L. 443/2001, nota, quest'ultima, anche come legge Lunardi. Già peraltro il
contemperamento e la parziale sovrapposizione di questi due testi di legge ha dato
luogo e probabilmente fornirà ancora occasione per ampi dibattiti dottrinali e
giurisprudenziali.
In questa sede ci si intende invece soffermare su di una curiosa vicenda che ha
interessato il D.P.R. 6.6.2001, n. 380, la quale sta creando non poche difficoltà agli
interpreti.
Il citato T.U. per l'edilizia, D.P.R. 6.6.2001, n. 380 é entrato in vigore il 1° gennaio 2002
ed é rimasto in vigore per i primi nove giorni del medesimo anno 2002, prima di subire
una serie di proroghe. A tale riguardo v'é chi sostiene che tale meccanismo ha avuto
l'effetto di abolire le contravvenzioni previste dall'art. 20, L. 47/85, con l'evidente
conseguenza, per la quale, nei processi che si celebrano oggi a fronte di illeciti edilizi
perpetrati dagli imputati il Giudice dibattimentale dovrebbe assolvere gli stessi perché il
fatto “...non é più previsto dalla legge come reato...”. Invero, le regole sul c.d. favor rei in
sede penale costringerebbero i Magistrati a tenere conto dell'effetto abrogativo
maturato nei primi giorni del 2002.
Orbene, a fronte, pertanto di una ipotetica contravvenzione circa l'intervenuta
integrazione a titolo esemplificativo - della fattispecie di cui all'art. 20, 1° comma, lett.
c), L. 47/85, il Giudice dovrebbe affrontare e risolvere la problematica giuridica
derivante dall'incidenza sulla materia del T.U. sull'edilizia. Il provvedimento in questione
71
doveva entrare in vigore il il 1° gennaio 2002. E in effetti a tale data il T.U. é entrato in
vigore. Ma lo stesso ha avuto vita breve. Invero, con la L. 463/2001 si é stabilita una
prima proroga dell'entrata in vigore. A questo differimento ne sono seguiti altri (D.L.
122/02 L. 185/02), tanto che il termine attualmente previsto é quello del 1° luglio 2003.
Eppure il T.U. é rimasto in vigore per i primi nove giorni dell'anno 2002. A tale riguardo va
sottolineato che tra le disposizioni del T.U. di cui é stato disposto il differimento c'é
anche l'art. 20 della L. 47/1985. Tra gli effetti realizzati c'é l'abrogazione delle
disposizioni incriminatrici in materia edilizia: “....l'entrata in vigore dell'articolo 136 del
Testo Unico per l'edilizia (in quei nove giorni del gennaio 2002) ha abrogato l'articolo 20
della legge 47/1985....” (cfr. sentenza Trib. Ivrea, 3.7.2002, n. 447). Tra l'altro, rileva
quel Giudice di Ivrea, nei cc.dd. provvedimenti di proroga, nulla si é disposto circa la
disciplina da applicare nelle more dell'entrata in vigore del T.U. e, inoltre, gli stessi non
hanno in alcun modo ripristinato l'efficacia della normativa nel frattempo abrogata. A
questo punto, serenamente, quello stesso Giudice prende atto dell'abrogazione
intervenuta e, in base all'art. 2, comma 2, del Codice Penale (abolitio criminis) assolve
l'imputato, il quale aveva realizzato un capannone industriale senza concessione
edilizia. Tale conseguenza potrebbe davvero risultare necessitata, anche se é evidente
che non era questo l'effetto voluto dal Legislatore. Cionondimeno il principio di legalità
in materia penale vieta di punire il reo, ove non ricorra una espressa e vigente
disposizione incriminatrice: “...In assenza di un dato formale positivo di fonte legislativa,
in ossequio al principio di legalità, non é possibile pervenire a un giudizio di continuità
del tipo di illecito sanzionato...” (cfr. sentenza, cit.), ancorché non vi sia dubbio che il
T.U. ripeta puntualmente la disposizione incriminatrice.
- La portata della citata pronuncia esplica tuttavia effetti anche nei giudizi
amministrativi. Vediamo in quale modo.
- L'argomentazione sostenuta dal Giudice richiama il c.d. principio di legalità. Orbene,
tra le disposizioni della L. 47/1985 abrogata dal T.U. per l'edilizia troviamo anche gli
articoli 7 e seguenti, i quali notoriamente riguardano le sanzioni edilizie
amministrative (demolizioni, ripristini e sanzioni pecuniarie). Anche per gli illeciti
amministrativi vale il principio di legalità (cfr. art. 1, L. 689/1981), con le stesse
conseguenze del settore penale e cioé il venire meno del potere sanzionatorio dei
comuni, per quanto ad esempio attiene alle cc.dd. ordinanze di demolizione.
- Tra l'altro, la carenza di potere in capo all'Ente, a seguito dell'abrogazione espressa di
norme di legge, é rilevabile ex officio in ogni stato e grado di un eventuale giudizio.
Né in Umbria sembrano soccorrere le leggi regionali, dato che nelle varie disposizioni
vigenti (L.R. 53/1974; L.R. 26/1989; L.R. 6/1991; L.R. 28/1995; L.R. 31/1997), non
sembra rinvenirsi disciplina alcuna relativamente ai procedimenti sanzionatori attivabili
in materia edilizia.
Il precedente rappresentato dalla menzionata sentenza del Tribunale di Ivrea non
sembra, a quanto pare, isolato, dato che anche il Tribunale di S. Maria Capua Vetere si
é recentemente pronunciato sulla tematica delle cc.dd. ricostruzioni, prive di titolo
edilizio, a seguito di pregressa demolizione di manufatti, rilevandone la sopravvenuta
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irrilevanza almeno sotto il profilo penale.
Urge un intervento chiarificatore del legislatore.
Non bastano i pronunciamenti di contrario avviso, pur autorevoli, perché emanati dalla
Corte di Cassazione, ovvero le altre sentenze di merito, quale quella, altrettanto
recente, del Tribunale di Grosseto.
Siamo in presenza, come detto, di una tematica di grande respiro con implicazioni
talmente estese e diffuse da interessare, di fatto, ogni aspetto del nostro vivere
quotidiano, allorché ci troviamo ad entrare in relazione dialettica con il territorio che ci
circonda.
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NOI E GLI ANIMALI
Guerrino Giorgetti
Si sta instaurando una coscienza nuova
nell'uomo, il quale comincia a capire che la
natura non è una sua proprietà, ma qualcosa di
cui fa parte. E in conseguenza sta nascendo un
rapporto nuovo con gli animali: più rispettoso,
più obiettivo. Che cosa sta sradicando
atteggiamenti che resistevano da millenni? C'è
un padrone nel Creato?
Mai come oggi è stato riscontrato, in Italia, così
vivo interesse per gli animali. Esso è
particolarmente evidente fra la popolazione che ha meno di cinquant'anni ed in
particolar modo in quell'età compresa tra i quindici ed i venti.
Ciò, è stato spiegato, non è legato alla maturità e perciò ad un minor slancio emotivo, né
all'entusiasmo tipico dell'età giovanile, né all'acuirsi del degrado ambientale. La
maggior attenzione per gli animali viene prevalentemente ascritta al contesto sociale in
cui sono vissute le popolazioni esaminate.
Chi attualmente ha superato i 50 anni, si è formato con una cultura aggressiva, ha
subìto una guerra, ha vissuto gli anni duri della ricostruzione, ha lottato per la ripresa
economica. In un ambiente permeato da uno spietato antagonismo, l'individuo si è
collocato di fronte all'animale con uno spirito di competizione o di indifferenza. Le nuove
generazioni hanno, con gli animali, un rapporto più sereno, rispettoso, obiettivo.
A creare questo maggior rispetto non hanno contribuito molto né la scuola, né le
istituzioni religiose, né la classe politica. La scuola ha fatto poco e quel poco è dovuto
alle iniziative dei singoli insegnanti che hanno supplito ai programmi ministeriali con il
loro impegno e la loro sensibilità. La religione cattolica, purtroppo, ha sempre mostrato
indifferenza verso gli animali e poca attenzione alla loro sofferenza.
Questo atteggiamento ha le sue radici nel principio biblico dell'uomo padrone del
Creato. “Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza; domini sopra i pesci del
mare e sugli uccelli del cielo, sugli animali domestici, su tutte le fiere della terra e sopra
tutti i rettili …” “Prolificate, moltiplicatevi e riempite il mondo, assoggettatelo e dominate
…” “… riempite la terra e incutete paura e terrore a tutti gli uccelli del cielo. Essi sono
dati in vostro potere” (Genesi 1,26; 1,28; 9,1; 9,3).
Ci sono state nel Cristianesimo figure meravigliose come San Francesco, che hanno
parlato di fratellanza fra le creature. Ma sono state rare. Ancora oggi, la Chiesa come
tale, e la maggior parte del clero, non si oppongono né alla caccia, né alla corrida come
spettacolo: atteggiamenti tutt'altro che benevoli nei confronti degli animali. Nella
cattolicissima Spagna, in ogni arena, c'è una cappella dove il torero invoca la
benedizione divina prima di cimentarsi con il toro. I cacciatori hanno un Santo protettore
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e ottengono la benedizione sacerdotale.
Il disinteresse della classe politica, almeno fino a poco tempo fa, non ha bisogno di
essere illustrato. Gli zoo, i circhi, la protezione dell'ambiente, la vivisezione hanno
interessato pochissimo i legislatori e gli uomini di governo.
Oggi però le violenze sugli animali incominciano a suscitare più sdegno che tolleranza.
La caccia come “sport”, gli zoo, i serragli dei circhi e la corrida come spettacoli, la
vivisezione e gli allevamenti impietosi come normale prassi, sono comportamenti che a
molti appaiono inammissibili.
Si sta instaurando una coscienza nuova nell'uomo e un nuovo rapporto con gli animali.
Il merito di ciò va sia alla scienza, che pone tutti gli esseri viventi su un uguale piano, sia
ai divulgatori scientifici, che hanno diffuso le conoscenze e le immagini di una Natura
meravigliosa in tutti i suoi aspetti.
Si comincia a capire che la natura non è una nostra proprietà, ma qualcosa di cui
facciamo parte; che l'uomo, grazie al progresso, porta una grave responsabilità, perché
è in grado di alterare gli equilibri e di distruggerli, ma anche di proteggerli; che l'animale
non è un essere inferiore, incapace di comprendere e di soffrire.
Il concetto cartesiano degli animali come “macchine che non pensano e non sentono”,
dopo aver giustificato per secoli i massacri provocati dalla caccia e le crudeltà della
vivisezione, è entrato in crisi.
Avere pietà e comprensione per gli animali, considerarli nostri fratelli, e come tali titolari
di diritti, non ci deve far vergognare. La scienza tende sempre più ad accostare gli
animali all'uomo; le distinzioni sfumano: rappresentano il nostro passato. Rifiutare
simili concetti vuol dire negare l'evidenza dei fatti.
Com'è stato superato il concetto tolemaico della centralità della terra nell'universo, così
occorre superare il principio della primogenitura dell'uomo nella Natura. Non è un
declassamento, ma il riconoscimento di una verità scientifica, che comporta un maggior
rispetto per tutto il Creato.
Fino a pochi anni fa, l'uomo “civile” considerava “selvagge” le popolazioni più primitive,
e i suoi approcci erano dettati da curiosità e da motivazioni spesso ben poco
altruistiche. Poi è arrivata l'etnologia. “L'etnologo”, dice Paolo Caruso, “vuole essere il
contrario dell'esploratore. Mentre l'esploratore andava fra i selvaggi animato da zelo
missionario, per portare fra quella gente i valori della sua civiltà, l'etnologo si reca fra
loro per imparare, da questo contatto, qualcosa sulla propria civiltà, non meno che sulla
loro: qualcosa sugli uomini.”
Alla stessa maniera l'uomo comincia oggi ad accostarsi agli animali: per capire meglio
se stesso.
Perciò la caccia, non avendo più senso come necessità alimentare, non può essere
tollerata in un paese civile, come “sport”; e “sport” non sono le corride.
Non si tratta infatti di lotte e competizioni, perché i contendenti hanno armi ineguali e la
possibilità di vittoria è solo da una parte.
Un uccello che si posa vicino a un capanno o vola o si leva a portata di tiro di un
cacciatore, che possibilità ha di sopravvivere?
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Uno stambecco, immobile su di una roccia, inquadrato nel cannocchiale di una
carabina ad alta precisione, che probabilità ha di salvarsi? Il toro non uscirà mai vivo
dall'arena. Quando vi entra è già condannato; se combatte bene, può solo prolungare la
propria agonia.
La sola abilità dei praticanti di questi “sport” consiste nell'abilità di uccidere. I vinti
debbono dar spettacolo con la propria morte.
Oggi le corride e la caccia sono ancora più assurde che in passato. Il toro combatte
senza gagliardia. E' mansueto perché convive con l'uomo e gli si affeziona durante
l'allevamento. Quando lo mandano nell'arena non riesce a capire perché deve cercare
di incornare un tizio che sventola uno straccio rosso. Una cosa analoga succede con la
caccia.
Nei periodi in cui è chiusa, l'animale si abitua all'uomo, durante i periodi di scarsità trova
da mangiare vicino ai centri abitati. Insomma, vive sicuro e protetto. Addirittura molta
selvaggina viene allevata dall'uomo, e poi immessa sul terreno libero. Passano i mesi e
ogni diffidenza dell'animale scompare. Come può sapere che un certo giorno inizierà
contro di lui una guerra senza quartiere?
Vengono delimitati territori in cui l'animale non può essere infastidito e lì convive con
l'uomo. Come può sapere che tutto questo cessa al di là di un cartello? Per gli uccelli
non esistono né frontiere né nazioni, eppure basta superare un valico, un mare e non
trovano più misericordia.
Gli animali, che non fanno differenza fra i giorni della settimana, non potranno mai
capire perché un giorno (il lunedì) non ci siano cacciatori in giro e un altro (la domenica)
ce ne sia uno dietro a ogni albero.
Gli storni, i merli sono diventati abitatori delle nostre città, vivono fra gli uomini. Come
possono sapere che gli stessi uomini, in campagna, li accolgono a fucilate?
“Le pavoncelle sono meravigliosi uccelli migratori, con il dorso e le ali nere, il petto
bianco. Nidificano in primavera, nel Nord Europa (Belgio, Olanda …). Fanno il nido in
terra. Un tempo, in quei Paesi, le uova venivano razziate dall'uomo. Oggi, però, costa
meno allevare galline ovaiole e le pavoncelle possono covare tranquillamente. Non
vengono cacciate, anche perché la loro carne non è eccellente. Vivono a terra, si
nutrono di insetti e di vermi. Hanno scoperto che dietro a una macchina che ara è facile
trovare da mangiare, perciò si avvicinano e si lasciano avvicinare dai trattori.
In Italia la caccia alla pavoncella è largamente praticata e “gli sportivi”, per vincere la
diffidenza delle pavoncelle, si avvicinano ai branchi sopra macchine agricole.
La legge che regolamenta la caccia (periodi di caccia chiusa, silenzi venatori durante la
settimana, zone di rispetto) le normative dei vari Paesi, gli atteggiamenti ineguali degli
uomini rendono gli animali ancor più indifesi, pregiudicano la loro naturale sospettosità.
Nello “sport” della caccia non solo non si compete ad armi pari, ma è stata ormai tolta
alle vittime l'unica arma di difesa: la diffidenza.
Gli sforzi dei protezionisti, l'amore e il rispetto che si stanno diffondendo nei riguardi
degli animali, saranno vani finché esisterà uno “sportivo” che si chiama cacciatore.
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