NOTIZIARIO
A proposito eli " Italia nostra „ a Lecce di E. D'Ercole, pubblicato nel
Notiziario del n. 22.
Per errore materiale del tipografo, l'articolo di F. D'Ercole < Italia nostra ' riportato nel
n. 22 alle pagine 355. 356, 357 e 358, é stato privato del suo titolo e, pertanto è apparso
fuso e confuso con l'articolo « Un giornalista greco a Lecce ».
Per la precisione, « Italia nostra » cominciava a pag. 355, con il paragrafo « E fuori
»; il titolo doveva
dubbio che un centro storico ed i monumenti in esso esistenti per
perciò precedere codesto periodo.
La comunicazione viene fatta, oltre che per dovere giornalistico, anche perché i nostri
lettori possano meglio gustare il pezzo di F. D'Ercole, apprezzandone l'importanza ed il valore.
" ANDIAMO PER GROTTE „
da qualche giorno prima della « uscita » si avverte in giro agitazione e
indaffaramento: si prende nota dei partecipanti e dei mezzi di trasporto, si fa rifornimento di pile per le torce elettriche, si preparano cavi e scalette, martelli e
sacchi, carte topografiche e qualche genere di conforto.
Poi, arriva la data fissata. Si parte di buon mattino dal luogo d'appuntamento,
che quasi par di andare a scalare, bardati come siamo, il K-2 o il G-4.
Invece, il nostro è un « alpinismo alla rovescia », fatto un po' alla buona:
anziché pendii nevosi o ghiacciati, anziché vette dai confini eccelsi, anziché mari
candidi di nubi che limitano un cielo terso come nessun altro, ci attendono cunicoli
bui ed umidi, dove un silenzio che riesce persino assordante è rotto solo da un
rado stillicidio, da qualche cader di sassi verso il basso, da uno stridio acuto,
appena percettibile, di qualche rinolofo disturbato.
Ma a questo, non si pensa, quando si parte: si scherza, emozionati come a
quindici anni anche se ne hanno trenta o quaranta. Ci si infila in auto, e via,
verso l'avventura.
Giunti a destinazione, deve cercare la buca. Pare semplice: ma a trovarsi in
un terreno accidentato da massi calcarei, e ricoperto da una folta macchia mediterranea, si trova male, se non si è più che esperti del luogo, non dico un modesto
orifizio a livello del suolo, ma anche un ingresso di caverna sopraelevata.
Dopo due o tre scalate e altrettante discese a vuoto di costoni, grazie anche
alle informazioni degli indigeni, si trova finalmente « la buca ». Prima operazione,
è quella di rilevare il punto, con l'aiuto della bussola e della tavoletta al 25.000 della
zona, il che si fa coscienziosamente.
Ci si sgrava poi degli zaini e delle piccozze, dei cavi e delle scalette, delle
imbracature e delle giacche. Si mettono gli elmetti, chi indossa ancora pantaloni
« buoni » li cambia con una tuta o con calzonacci smessi, si carica la macchina fotografica, infine ci si ripartiscono i compiti secondo i piani prestabiliti.
Già
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Si è proprio impazienti di vedere cosa c'è, là dentro. Ed ecco che ci si presenta
una sala spaziosa, qualche rado pipistrello, e in fondo alla sala, quasi nascosto in
un angoletto, un piccolo, insignificante buco.
Per i ragazzi; la grotta è tutta lì: loro, nemmeno si rendono conto, se sono
alla prima uscita, che per uno speleologo il compito comincia proprio quando si
vede « un buco », un foro che quasi pare non possa lasciar passare un corpo umano.
Si dà una pulitina all'orifizio, liberandolo delle pietre che potrebbero cadervi
dentro quando ci saremo noi, e si cala per primo Francesco: sparisce dentro il foro
sassoso, fra il silenzio religioso degli allievi che non hanno mai vissuto esperienze
del genere, fin quando la luce della sua torcia si fa più debole e la sua voce
ovattata. Fisso allora un cavo di nailon a una querciola cresciuta all'ingresso della
grotta, mi pongo a tracollo l'altro estremo, do istruzioni ai ragazzi perché mi filino
la corda: « un colpo di fischietto vuol dire — ferma —, li avverto, due significa
— molla—, tre — tira — ». I ragazzi ripetono all'unisono, per significare che hanno
capito, ed io scendo.
Trovo appollaiato il Costantini in un piccolo anfratto, poco più in basso, intento
ad esaminare alcuni campioni di roccia. Qualche metro di profondità è stato sufficiente ad isolarci dall'atrio della grotta: né si odono più voci, né si vedono più luci.
Si é detto solo in un budello naturale del sottosuolo, che da sassoso e calcareo
si è fatto argilloso-cittoloso e viscido. Lascia Cecco ai suoi armegii, non senza aver
catturato una bella dolicopola che gli affido per infilarla in un astuccetto, e parto
verso il basso.
Non vedo gli usuali aracnidi che popolano le pareti delle grotte asciutte, né vedo volare pipistrelli, né sento alcunché: ma aleggia come un senso di grande solitudine che affaccia (« beata solitudo sola beatitudo ») come hanno ragione, í monaci certosini!), un silenzio che pervade tutto, una oscurità completa che é squarciata
solo qua e là dalla mia torcia.
Io credo che in nessuna altra circostanza, non nel nuoto subacqueo, non nel
volo librato, o nell'alpinismo, o nell'esplorazione di una foresta vergine, ci si senta
cosi inseriti, così facenti parte di madre terra: una consapevolezza ovvia, forse, fatta di nulla, ma che serve a ridimensionare cose e fatti della superfice.
La grotta presenta un deciso andamento obliquo-verticale, che obbliga a sorreggersi al cavo e a sostare di quando in quando per l'osservazione: é quasi del tutto scomparsa la roccia compatta, che ha ceduto il luogo a ghiaie e a sabbie impastate da argilla. E' una formazione non scevra di rischi per un visitatore, a causa dell'eventualità di frane e smottamenti, ma non sono il solo né, purtroppo, il primo a
correre quest'alea. Certi numeri scritti alle pareti con nero fumo, e qualche orma,
mi dico che qualcuno ha già visitato con intenti scientifici il pozzo, e la mia discesa
perde quasi tutto il suo sapore.
Do un'ultima occhiata alla fuga di volte e di cunicoli, un ultimo sguardo ai blocchi viscidi che si sono staccati di recente dalle pareti, infine soffio tre fischi: « tira »
Francesco è sempre appolloiato nel suo nido: con gli occhiali sotto il candido elmetto, e col volto tirato, quasi ascetico, mi suscita l'immagine di un grosso uccellaio notturno. Gli passo intorno al torace il cavo che mi sono sfilato e prendo il suo
posto di osservazione mentre lui, a sua volta, scende in cerca del fondo.
GIUSEPPE GUERRINI
IL P. D. FRANCESCO ANDREU C. R. A LECCE
Con la riapertura al culto della chiesa dei Teatini di Lecce, per cui il magnifico tempio del Grimaldi è apparso nel suo primitivo splendore, si è tenuto con
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straordinaria solennità il settenario dei defunti che, grazie all'operosità dell'Arciconfraternita della Buona Morte e Orazione, costituisce forse la principale manifestazione religiosa nel detto tempio. Per la circostanza si è creduto opportuno
invitare un padre teatino a tenere la sacra predicazione. Il P. D. Francesco Andreu
C.R., nostro insigne collaboratore, non ha potuto nascondere la commozione nel
parlare dopo il silenzio di oltre mezzo secolo di voci teatine in quel sacro recinto
dove erano riecheggiate le voci forse di S. Andrea Avellino e, certo, dei due esimi
Tolosa, del ven. Vincenzo M. Morelli e del P. Raffaele M.' Persone, ultimo figlio del
Thiene, che la soppressione aveva ridotto alla semplice cura di custode del tempio.
La solennità del settenario deve lo splendore ed il concorso dei fedeli alla
celebrazione delle Quarantore che nel corsi del settenario richiamano i leccesi
alla frequenza di preghiere e santi sacramenti.
A chiudere il devoto settenario è intervenuto S. Ecc.za Mons. Francesco Minerva, Vescovo di Lecce, al cui interessamento si deve soprattutto la sollecita
riapertura dei « Teatini » dopo sei anni di restauri. Il Presule, che era accompagnato
dai canonici capitolari Mons. G. Starace e G. Morrone, ha presenziato al discorso
di chiusura e, dopo l'assoluzione al tumulo, ha impartito la benedizione eucaristica.
La sacra funzione è stata accompagnata, nella esecuzione musicale, dalla scuola
dei Francescani di Squinzano, mentre non meno riuscita era stata la parte musicale diretta dall'egregio Maestro Mazzotta.
Da parte della famiglia teatina vada l'espressione della più profonda riconoscenza a Mons. Vincenzo De Sane tis, Arcidiacono della Cattedrale, nonché Direttore
Spirituale dell'Arciconfraternita, il quale con giovanile entusiasmo ha saputo, per
lungo ordine di anni, tenere sempre desta e viva la devozione ai Santi dell'Ordine
Teatino in quella chiesa di cui egli è zelante Rettore. Un plauso non meno sentito
al Comm. O. Solombrino, e ai confratelli della detta Arciconfraternita che così alto
sanno tenere il prestigio del rinnovato tempio grimaldiano.
RICORDO DI TOMMASO NOBILE
La scomparsa di Tommaso Nobile, deceduto in Ostuni il 29 maggio 1964, ha addolorato profondamente tutti coloro che lo conobbero e lo stimarono.
Tommaso Nobile fu tra i più validi esponenti degli studi storici e letterari nel
Salento.
San Vito dei Normanni, che gli dette i natali, potrà ricordarlo con orgoglio,
come un anticonformista, un fine narratore, un elegante saggista, degno rievocatore
ed interprete dei sentimenti della sua gente, raccoglitore geloso delle memorie più
belle.
Chi lo avvicinò ebbe la certezza di aver conosciuto una personalità forte, animata da grande volontà e credente nel mondo della libertà spirituale.
Lavoratore tenace e continuo, conobbe, particolarmente, i vasti ed importanti
problemi della Scuola, dove sin dalla prima giovinezza insegnò e maturò la propria
esperienza, come professore e poi come Preside, nelle Scuole Medie, nel Ginnasio inferiore, nel Liceo Classico.
Ai giovani dedicò molti suoi scritti:
il dizionario di etimologia e di semàntica, dal titolo « La storia delle parole »; gli
« Appunti di linguistica dialettale »; i « Nomi popolari delle vie di Ostuni »; l'« Ortografia dialettale ».
Nella città incantevole di Ostuni visse e medito' a lungo, continuando il proprio
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idillio con la cultura umanistica, cultore e sostenitore della lingua madre, di ogni
manifestazione artistica e letteraria.
L'interessarono, anche i problemi umani, che indago' col senso piu' intimo della realtà e colloco' nella vera luce morale sempre critico, assetato di giustizia, d'amore per il bello e per il buono, fu di esempio come educatore, cittadino, amico e
padre affettuoso.
Il suo insegnamento vivo e palpitante, fu come la sua fede incrollabile nella traclucibilità del linguaggio spirituale, nelle verità cristiane dell'uomo e della storia.
GIUSEPPE MOSCARDINO
NOTIZIARIO DEL GRUPPO SPELEOLOGICO " P. DE LORENTIIS „
DI MAGLIE, a cura di Giuseppe Piscopo - Settembre 1964
Breve relazione circa lo scavo operato ed i referti fossili raccolti al
giacimento " Pietralaia „ in Taurisano.
Il giacimento ha inizio alla profondità di m. 1,50 c. ed è quindi sottoposto ad
una spessa coltre di terreno alluvionale del tutto privo di fossili.
Si procede nello scavo a strati con tagli dello spessore di cm. 10 ciascuno.
L'ultimo taglio — il 27° — non ci ha ancora mostrato la fine.
In tutto lo spessore fossilifero la fauna si presenta quanto mai abbondante,
ma molto uniforme, per la presenza di alcune specie che vi compaiono dall'inizio
e permangono fino all'ultimo taglio operato.
In ordine quantitativo ed a procedere dal I° strato vi si notano:
1) Equus caballus
2) Bos
3) Cervus (elaptus)
4) Equus Asinus Hydruntinus
5) Canis lupus (al 12° taglio)
6) Sus (al 15° taglio)
7) L'av. fauna compare soltanto verso il 24° taglio con qualche esemplare
probabilmente di falemfede.
Manufatti litici:
Negli strati superiori si nota una rilevante quantità di selci, dai colori e varietà più diverse; si tratta in realtà per la più gran parte di residui di lavorazione
e pochi utensili, quasi tutti rotti o comunque usurati.
Alcune punte di fogge diverse, ma sempre del tipo « La gravette »; vari raschiatoi su lama tra cui qualche grosso esemplare; qualche bulino d'angolo, una
punta peduncolata ed a tacca laterale del tipo Font-Robert.
Si continua nei tagli intermedi sempre con le stesse punte del tipo « La gravette »; vi compaiono alcune lame a dorso ribattuto e con troncature laterali (rettangolari); infine una punta « à crau ».
Man mano che si procede nei tagli i vari reperti litici accentuano sempre più
la loro fattura rudimentale, richiamandosi spesso a forme di tradizione musteriana; i residui di lavorazione diventano più scarsi; scompare anche la grande
varietà di selce mentre i pochi ma grossi esemplari reperiti (due grossi bulini,
una lama ed un grosso raschiatoio) sono di selce bionda.
Lo scavo è stato sospeso quando già tutto lasciava supporre si stesse per
giungere al musteriano.
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Osservazioni:
Si nota l'assenza assoluta di qualsiasi tipo di manufatti ossei; al contrario,
la frequenza di piccoli nuclei a « zampa di capra » che mi avvalorano sempre più
l'ipotesi che potessero essere stati adibiti a qualcosa.
Dal punto di vista tipologico il giacimento in oggetto si differenzia sostanzialmente dalla Romanelli e da Ugento e sembra appartenga all'ultimo periodo
del Pal. superiore al Perifordiano che viene così ad essere rappresentato in Puglia
nella forma più completa ed in tutti gli strati.
DIFESA DELLE BELLEZZE ARTISTICHE, IN GALLIPOLI, AGLI INIZI
DEL NOSTRO SECOLO
GALLIPOLI
oppure : A PROPOSITO DI UN ALBERGO IN
Il problema del rapporto tra tradizioni e modernità, o meglio, tra la salvaguardia del patrimonio artistico in genere e le esigenze della tecnica progressiva. ha assunto oggi degli aspetti sorprendenti e senza meno appassionati.
Si tratta di questioni che vengono dibattute un po' dovunque in Italia e che
trovano da una parte coloro i quali desiderarono che le testimonianze del passato,
proprio per la loro precipua funzione di ammonizione ed educazione de gli uomini
moderni, non vengano trascurate se non del tutto soffocate; dall'altra, invece, coloro che sostengono la necessità di una visione più realistica della vita, anche se ciò
debba condurre al sovvertimento di qui valori tradizionali, culturali, di quei motivi,
insomma, che hanno caratterizzato la storia di un determinato ambiente.
Il problema diviene, poi, più acuto e gravido di suggestione significativo, sol
che da un piano genericamente culturale e spirituale si passi ad un piano di pratico sviluppo che, molto spesso, trova la sua attuazione o attraverso il travagliato
bisogno di chiarire le ragioni del proprio vivere o attraverso norme legislative che
si fondano sul giudizio e soggettività degli uomini.
E' un aspetto quanto mai difficile che assume carattere morale e sociale insieme e che, se non si può porre e risolvere con la imposizione di formule e canoni,
non può d'altra parte essere soffocato da coloro che si dimostrano piuttosto svelti o intraprendenti. Ogni nuova espressione, perciò, deve essere attentamente e ser enamente esaminata, con profonda competenza, prima che si formuli un qualsiasi
giudizio, poiché se vogliano inquadrare tutto ciò nella dizione « problema d'arte »,
ebbene, questo deve educare, elevare e, principalmente, affratellare nel canto universale delle armonie architettoniche.
I concetti precedentemente esposti, in verità, hanno costituito sempre un immenso trava gio interiore in cui si sono viste egregiamente impegnate e tormentate larghe schiere di appassionati e di cultori.
E vorrei, a tal proposito, ricordare la vibrata protesta che, agli inizi di questo
secolo, vide celebri artisti del tempo ergersi unanimi a difesa della integrità architettonica di Piazza Erbe, in Verona. Si trattava di uomini quali Angelo Dall'Oca
Bianca, Domenico Trentacoste, Hans von Bartels, Leonardo Bistolfi, Pietro Canonica, Aristide Sartorio, Giuseppe Casciaro, Arturo Dazzi, Giulio Pagliano ed altri notissimi.
Si, anche il nostro pittore Giulio Pagliano, il quale allora risiedeva abitualmente
in Venezia, essendo stato invitato ad eseguire alcuni lavori di pittura decorativa nel
Castelli di Wagensberg in Austria, per conto di S. A. S. la Granduchessa di Meck472
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lemburg Schwerin, cugina di S. M. l'Imperatrice Augusta Vittoria di Germania.
Anche in quel tempo, perciò, i paradossi o il calcolo trovavano vigile contrasto
nella logica e nella saggezza.
E, tanto per occuparci di cose che riguardano il nostro ambiente, vorrei ricor•
dare, inoltre, come un problema analogo a quello di Verona doveva sorgere di lì a
poco anche qui, in Gallipoli, dove per la ristretezza del luogo abitato, nonché per u
na certa timidezza, se non secolare riluttanza, ad espandersi al « Borgo », s'era alterata di molto la originale fisionomia architettonica della nostra insulare vecchia
Città.
Si propugnava, infatti, la costruzione di un albergo, da elevarsi a ridosso del
Castello Angioino e precisamente di quel « Mercato coverto », con la costruzione del
quale, in precedenza (si vede che aveva vinto il paradiso!), si era del tutto soffocata la facciata centrale dell'inespugnabile maniero.
Dualismo, allora, contrasti e polemiche, che trovano fertile esplicazione anche
nel campo politico, serpeggiarono un pò dovunque ed a lungo tennero desta l'attenzione della cittadina la quale. per la verità, guardava a tutto ciò un pò distaccata
come ad una questione puramente accademia.
Era logico, perciò che il nostro Pagliano si inserisse, con il suo autorevole giudizio, ín questa discusione riguardante direttamente la sua città natale, e non solo
per quella innata vocazione che lo portava alla difesa dell'arte e del paesaggio in
genere, ma anche perchè conosceva l'alto valore educativo, come accennavo in sul
principio, di quelle testimonianze del passato, come ad esempio, per Gallipoli particolarmente, di quel vetusto Rivellino, mirabile fortezza invidiata da italiani e stranieri e che in quel tempo, anche il noto architetto ed archeologo tedesco Ebhardt,
era venuto da Berlino a studiare, « ammirato ed entusiasta » per incarico di S. M.
l'Imperatore di Germania, Guglielmo II0.
Ed il nostro Artista così, allora, ebbe ad affermare a difesa della integrità delle
nostre bellezze artistiche:
« A proposito dell'Albergo da erigersi sul Mercato coverto rispondo brevemente
e subito.
Penso che, appena dal Castello andarono via le ultime baionette borboniche,
bisognava abbandonare il vecchio edificio al sonno fatto di gloria e di ricordi; e, volendo dargli una seconda vita, adattar le sale a museo storico e di cose pratiche,
come si fa in altre città per simili edifici. La contaminazione cominciò invece lenta
e continua fino agli alloggi delle guardie di finanza, istallati in alcune bene allineate casette bianche a forma di latte di petrolio, accoccolate mostruosamente sugli
spalti con visibile e gravissima alterazione delle linee architettoniche della mole
superba.
I Gallipolini, o per indifferenza o per ignoranza, non fiatarono; chi poteva preoccuparsi del vecchio castello? Ed in grazia di questo disinteressamento da parte
della cittadinanza, inferiore perciò (e di quanto!) alle cittadinanze di tutte altre
città d'Italia, che difendono e discutono il loro patrimonio di arte e di bellezza
perché lo sanno germe di educazione, a Gallipoli si è fatto scempio del bello che
era rimasto e che avremmo dovuto saper rispettare.
Noi non abbiamo il mare piccolo interrato ed il Rivellino raso al suolo perché
non so più quando, vi fu penuria di denaro nelle casse del Comune e tale penuria
(mai tanto benedetta) valse a difendere, per la bellezza del nostro paese, lo scenario più fascinatore di Gallipoli, che un'altra penuria: quella del buon gusto, a mio
avviso ben più grave della prima, stava per distruggere. E quando nel 1908, o
circa, pendevan le trattative tra il Comune e l'ing. Arnaldo Franco per l'impianto
della luce elettrica, non ricordo più quale consigliere... esteta proponeva l'erezione
dell'officina elettrica.., sul Rivellino!
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Era il colmo dell'ignoranza!
Per fortuna nostra il Comm. Corrado Ricci venne a Gallipoli, trovò il Rivellino tra i più belli ed originali per la prospettiva a cerchio e non a sperone, come
sono mol i altri, e volle rispettato il secolare edificio; così la paura di un probabile
avvilimento dell'edificio è ormai tramontata e provvidenziale è stato il veto del
Governo allo sparo dei razzi dall'interno della fabbrica.
Il Castello, molto più adattabile del Rivellino a nuove sistemazioni, non essendo
monumento nazionale, dovette subire l'obbrobrio soffocante degli edifici che lo
attorniano. TI Governo centrale, a corto di quattrini, non ebbe nessuna voglia di
ficcarsi in un ginepraio di spese per ridare ai torrioni eleganti e maestosi la bellezza della loro linea antica e, visto che la città disconosceva le proprie bellezze,
abbandonò la mole al Demanio e... tanti saluti!
Ora, però, non sarebbe più possibile uno sconcio come il mercato coperto (che
é poi caro-viveri) attaccato al castello in obbedienza ad una ultima legge che sottopone al giudizio di competenti, non del parere di certo delle commissioni di edili
succedutesi a Gallipoli, tutti i progetti erigendi in vicinanza di antichi edifici. A
parte, quindi, le disposizioni di legge che io non voglio in questa faccenda invocare
penso che il Castello non debba ulteriormente essere deformato colla costruzione
di nuovi edifici e perciò neppure del progettato albergo.
Nella protesta che io ho firmato a Verona si legge un brano che io ripeto: « Dobbiamo insegnare a tutti quelli che ancora non lo comprendono come i contorni singolari di una contrada, di una piazza, di una città sono cose sacre alla storia e vannon religiosamente rispettate, come si rispettano i quadri e le statue e i monumenti
no religiosamente rispettate, come si rispettano i quadri e le statue e i monumenti
dei nostri più grandi maestri ».
Perchè non si pensò lo stesso quando si commise lo scempio del ponte?
Il Barone Bacile, gran gentiluomo e dotto archeologo, non mise più piede a Gai
lipoli per non subire la vista del ponte assassinato (è la vera parola) e privo delle
grottesche che lo adornavano meravigliosamente.
Non è proprio il caso, quindi, di parlare di « vandali nuovi »; a Gallipoli il terreno più fertile in tutti i tempi.
GIULIO PAGLIANO
Sin qui l'opinione, ma anche amara constatazione sulla faciloneria delle azioni, del nostro caro artista.
Non poteva certamente la sua attestazione essere trascurata; anzi, il partito
politicamente avverso ai dirigenti le cose cittadine di quel tempo, la sostenne in pie.
no, ampliandola e chiarendola in tal modo:
« Il pittore Sig. Giulio Pagliano, professore di disegno nella scuola comunale
d'Arte applicata all'industria, con la sua filippica eloquente contro i vandali vecchi
e nuovi, dà, a nostro gran sollazzo, il colpo di grazia agli attuali Signori del Comune
per le loro gesta contro l'estetica, l'arte e la storia.
Siamo completamente d'accordo col Sig. Pagliano, tanto più che anche le
vecchie deturpazioni sono da imputarsi ai soliti Attila, dell'opera dei quali gli
attuali amministratori sono i continuatori diretti e scrupolosi. Dobbiamo solo chiarire alcuni rilievi fatti, nella sua lettera, per non far nascere qualche malinteso.
l - Quando si doveva fare in Gallipoli l'impianto elettrico municipalizzato
si stabilì l'ubicazione della centrale in un locale comunale al Borgo (Magazzino
Anastasio) e non altrove (leggere, fra l'altro, la relazione dell'amministrazione
comunale di quel tempo, relatore l'avv. Niccolò Coppola).
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2 - L'ampliamento del Ponte fu opera indispensabile giacché la costruzione
della carrettiera, fra questa ed il ponte istesso, aveva creato un lurido, fetido ed
immondo guazzo, fornite di ogni malattia.
D'altronde quel che del Ponte è veramente ed autenticamente bello trovasi
dal lato del Rivellino, e fu proprio da quel lato che si idearono, da altri e non
dai nostri certamente, le deturpazioni col noto progetto dei magazzini di deposito
etc. etc. (Leggere l'opuscolo: Acqua sana ed Opere pubbliche).
Del resto a che indugiare ancora? La cittadinanza di Galliploi, pari a quelle
d'altrove nell'amore all'arte, anzi a moltissime superiore, sa già perfettamente da
qual parte siano i « vandali vecchi e quelli nuovi ».
Ed a questo punto la polemica si poté considerare chiusa: l'albergo « Soave »
(per celia, così chiamato) non fu costruito; le astrusità avevano ceduto il passo
alla strada dei sensi, fatti rivivere da un Maestro del gusto e della tradizione,
qual'era il nostro Pagliano.
In seguito, a distanza di circa mezzo secolo, i Gallipolini sarebbero stati investiti da problemi quasi identici.
Ma Giulio Pagliano non era più tra noi.
OLIVIERO CATALDINI
IL SALUTO DELLA PRESIDENTESSA DELLA SOCIETÀ SPELEOLOGICA
GRECA ANNA PETROCHMO IN APERTURA DEI LAVORI DEL
CONGRESSO SPELEOLOGICO ITALO-GRECO.
Atene, 9 e 10 settembre 1964
Signori colleghi, Signore e Signori,
esprimo il mio immenso piacere e la gioia degli altri speleologi di Grecia
per la realizzazione del Congresso italo-greco di speleologia, la cui iniziativa si deve
al Presidente del Gruppo Speleologico Salentino « P. De Lorentiis » ed ai suoi
membri. Il desiderio di collaborazione, mediante scambio di conferenze e di opinioni sui temi relativi alla speleologia nella nostra terra, è stato accolto da noi
con entusiasmo. Per questo abbiamo fatto tutto il possibile per dimostrarci degni
di questo onore.
L'invito degli amici italiani in un primo momento fu problematico a causa
del breve tempo a nostra disposizione, anche la stagione poco propizia: infatti sono
assenti molti nostri studiosi, colleghi e collaboratori, i quali si trovano chi all'estero chi in vacanza. Con tutto ciò siamo riusciti a preparare un programma che se
difetterà nell'assieme, tuttavia non avrà molte mancanze.
Lo Stato Greco ci è molto vicino; ha approvato in pieno l'idea dell'incontro
e ci è venuto in aiuto, per cui sentiamo il dovere di porgerGli il nostro grazie
di cuore.
La Grecia come terra carsica soprattutto è ricca di grotte di diversa grandezza e di vario interesse scientifico, turistico ecc., quindi era naturale che non
poteva mancare chi, da molti anni, ne iniziasse la ricerca, lo studio, la diffusione.
Sfortunatamente, però, ci sono state lunghe e molte interruzioni data la posizione
geografica del nostro Paese per le continue minaccie di aggressioni armate; motivo per cui la Grecia si trova in ritardo in questo settore di studi rispetto ai
progressi fatti da altri Stati di Europa.
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La nostra Società Speleologica è stata fondata nel 1950 e benché giovanissima
ha operato miracoli. Ne registra infatti 3500 grotte, di cui 1500 esplorate, il tutto
a iniziativa e spese private. Sette delle predette grotte sono già sistemate. La prima
si trova in Epiro, al villaggio di Pèrama, vicino Giannina, una delle migliori dei
Balcani. La seconda è chiamata Alepotrìpa di Dirò a Mani, preistorica, con ritrovamenti di grande valore scientifico (domani sera saranno presentati alcuni inserti. I reperti saranno esposti nel Museo dell'Istituto Speleologico di Atene, che
sarà intitolato alla memoria di Giovanni Petrochilo (marito dell'attuale presidentessa) primo studioso di quella regione. Lo scopo dell'istituto sarà la sistemazione
di tutti i reperti fossili delle grotte con annesso laboratorio chimico, biblioteca,
pernottamento e pranzo gratuiti per gli scienziati e gli studiosi della materia.
La terza grotta è quella di CU-M(1a con fiume sotterraneo, vicino ad Alepotrìpa.
(Un breve film presenterà l'esplorazione).
La quarta e la quinta grotta si trovano nell'isola di Cefalonia, a Dragorati
e sono di una magnifica acustica; in seguito si potranno dare dei concerti.
L'altra è Melissanì con lago navigabile e colori meravigliosi.
La sesta è Kutukì in Peonia, nell'Attica, già sistemata, grazie all'iniziativa della
Federazione Escursionisti di Grecia e con l'appoggio della S.SP.G.
La settima, anche questa sistemata, si trova a Dromanda di Giannina, in
Epiro. E' caratteristica per i tre successivi livelli del fiume sotterraneo, le cui
acque oggi escono come una sorgente e irrigano i villaggi che sono intorno.
Molto presto avranno inizio i lavori di sistemazione di altre interessanti
grotte nell'isola di Creta, Calcide, Atene, di interesse preistorico, scientifico e
internazionale.
La Società Speleologica Greca si sente orgogliosa di continuare le esplorazioni
speleologiche, perché grazie all'attività dei suoi membri ha contribuito, contribuisce
e contribuirà allo sviluppo dell'economia nazionale. Il governo greco avendo rico
nosciuto i grandi servizi offerti dalla S.SP.G., dopo la morte del suo fondatore
Giovanni Petrochilo (avvenuta nel febbraio 1960) sin dal 1962 sta finanziando la
stessa Società, allo scopo di incoraggiare i suoi studi, le sue esplorazioni e le
sue ricerche.
Nell'esprimere a tutti i presenti, in particolar modo agli studiosi italiani, il
nostro vivo ringraziamento, prego di essere indulgenti se noteranno difetti nella
nostra organizzazione.
Signori Colleghi italiani, benvenuti.
Secondo il programma, il primo oratore è il dott. Mario Moscardino, seguirà
il dott. Paraskevaidis. Domani sera continueranno i lavori con le conferenze del
dott. Angiolino Cotardo e di chi vi parla che concluderà.
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CONFERENZA SULLA LIBERTÀ DI STAMPA
DI MARIO MOSCARDINO
Con la prevista partecipazione di numeroso e qualificato pubblico gallipolino e leccese, nei saloni dello Jolli Hotel di Gallipoli, si è tenuto l'atteso incontro di cultura, organizzato dalla locale Sezione della Società di Storia Patria, con la collaborazione dell'Associazione Provinciale della Stampa.
Fra le autorità intervenute : il Prefetto Macciotta, il Provveditore agli Studi, il Sindaco, il Pretore, il Comandante i C.C, la Guardia di Finanza e numerosi altri funzionari di
vari Uffici Provinciali e Locali.
Mario Moscardino, Presidente dell'Associazione Provinciale della Stampa, presentato
dal prof. Barbino, ha parlato fra la più viva attenzione, sul tema : « La libertà di stampa
nella storia della dottrina e nella legislazione ».
Dopo aver trattato dell'attualità dell'argomento richiamandosi alle dichiarazioni del
Concilio Ecumenico, alle più recenti del Santo Padre e del Presidente della Repubblica,
l'oratore si è addentrato nell'esame critico - giuridico che ha caratterizzato nel tempo
l'alterna vicenda del duello esterno fra libertà di stampa e intervento della legge o del
Principe.
Molti i riferimenti, innumerevoli le citazioni, convincenti le argomentazioni che partono da un punto fermo quello che la dignità della persona umana è sacra, sicchè vanno
tutelati tutti i contrassegni naturali ed essenziali di questa dignità, da cui la difesa della
civiltà cristiana per prima delle facoltà spirituali, dell'intelligenza e della volontà di cui
l'esterna libertà è una delle più alte manifestazioni.
È per mezzo del pensiero, dice l'oratore, che l'uomo irradia intorno a sè la luce del
suo spirito, dona impulso con una potenzialità indefinita di sviluppo, ai più alti fattori
della civiltà e del progresso, si distacca, quindi, col suo progredire, dalla massa statica
degli altri esseri e li domina, impremendovi l'orma incancellabile del suo genio.
La distinzione del pensiero in atto interno ed atta esterno porta a dimostrare la
non vincolabilità e la infrenabilità dei primi da cui per essi la libertà assoluta, almeno
sotto alcuni riflessi; libertà relativa per gli atti esterni, invece, per l'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui, per il rispetto della verità sostanziale
dei fatti, per l'osservanza sempre - come suprema esigenza - dei doveri imposti dalla lealtà
e dalla buona fede.
Sorge così l'istanza di conoscere l'ultima legge sull'argomento che regola la disciplina e la professione del giornalista di cui all'art. 2 della legge 3 febbraio 1963, n. 69.
La strada percorsa sul duro campo della libertà di stampa, balza dalla comparazione
dell'art. 2 precitato ed il testo del « Quarto Potere » del lontano 1865 dello Stivanello, progresso enorme è da registrare, anche se alcune restrizioni alla libertà sono previste non
già per il diritto degli altri, ma per la riconosciuta convenienza di ottenere con forze riunite o per sacrificio di riunite libertà ciò che dalle maggioranze possa ritenersi il meglio
nell'interesse dei più.
Occorre sempre ricordare, comunque, ha continuato Mario Moscardino, e non sarà
mai sufficiente, per prevenire i pericoli che si corrono quando una conquista faticosamente
raggiunta entra nella consuetudine della vita quotidiana, perchè allora può accadere che
l'uomo dimentichi a poco a poco che si tratti di un fine ideale raggiunto da difendere,
lasciandosi decadere per « doloroso istinto o iniquità (le] fato ».
Dopo avere accennato alle conseguenze del fatatismo classico, del determinismo fisico,
fisiologico, sociologico e psicologico, nonchè ad altri errori filosofici contro il libero arbitrio, la conversazione ha affermato come postulato, la libertà dell'uomo non solo come facoltà interna, ma come uno dei più sacri attributi esterni della persona umana, così come
nella Sacra Scrittura, in Paolo, in Agostino, in Tommaso.
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Trattato quindi il tema della libertà sotto il profilo psicologico e sotto il profilo etico,
dalla definizione data da S. Tommaso della libertà « Liberi»; est vis, elettiva mediorum
serrato ordine ad linem » l'oratore è passato a trattare dell'atto libero che si fonda sulla
conformità ad una 1101111a, la quale deve emanare dalla retta ragione che indica le leggi
superiori del vero e del bene alle quali l'uomo sente che deve conformarsi, evitando la
scelta del male e del non vero, da cui la perfezione del libero arbitrio e della razionalità.
Dalla naturale inclinazione al male della volontà e dell'intelligenza, la necessità di
norme esplicite che riescano ad impedire le deviazioni e gli abusi della libertà.
Confortato dalle affermazioni di Leone XIII, di Benedetto Croce e di tanti altri maestri del pensiero, senza preclusione di tendenza e di orientamenti, Mario Moscardino la sua
profonda e appassionata conversazione, che la libertà politica va sempre congiunta alla
legge politica, la quale è per la società ciò che la ragione è per l'individuo, perchè allo
Stato e all'individuo determina i rispettivi diritti e doveri.
Se il pensiero come atto interno è incoercibile da qualsiasi norma esterna, come atto
esterno, per la sua grande influenza sugli altri e per il suo potente riflesso sociale, va
logicamente soggetto a leggi di origine naturale o positiva, divina o umana, ecclesiastica
o civile.
Con le parole dell'On. Saragat, nuovo Capo dello Stato, infine, Mario Moscardino ha
chiuso il suo discorso, in difesa vigilante e consapevole di questa sfera naturale e legittima
della libertà di parola e di stampa che risiede nel bene e nel vero.
Diritto dell'uomo ad esprimere il proprio pensiero anche della stampa inviolabile,
perciò, anche se non assoluto perchè limitato per la stessa sua ultima essenza, (la verità
e da giustizia che nell'attività sociale e esterna debbono essere determinate dall'autorità
pubblica. Contemporanemente difesa del diritto anche contro l'abuso intemperante dei cittadini e contro la censura tirannica del potere sovrano, l'uno e l'altra da considerarsi
ugualmente disordini di quell'armonia sociale, che le leggi debbono tutelare e la libertà
prom uovere.
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