BLS – SUPPORTO
VITALE DI BASE NELL’ADULTO
indice
3 Introduzione
5 Scopo ed obiettivo del BLS
6 Catena della sopravvivenza
7 Cenni di anatomia e fisiologia dell’apparato
cardio-respiratorio
11 BLS: principi generali
13 Morte cardiaca improvvisa e attacco cardiaco
14 BLS: la sequenza
33 BLS: problemi e soluzioni
35 BLS: ostruzioni delle vie aeree
38 Manovra di disostruzione per la vittima incoscente
39 BLS: aspetti Medico-Legali
40 BLS: situazioni specifiche
44 Algorittimo BLS Adulto (Livello Avanzato)
45 Algorittimo BLS Adulto (Livello Base)
Conforme al B.U.R T. N. 35 del 29.08.2007
29.8.2007 - BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE TOSCANA - N. 35
29.8.2007 - BOLLETTINO UFFICIALE DELLA REGIONE TOSCANA - N. 35
ALLEGATO “A”
a cura del Coordinamento delle Centrali Operative della Regione Toscana
ALLEGATO “B”
a cura del Coordinamento delle Centrali Operative della Regione Toscana
MANUALE N. 1 “A”
MANUALE N. 1 “B”
CORSO SUPPORTO VITALE DI BASE PER ESECUTORI “LAICI” (BLS)
CORSO SUPPORTO VITALE DI BASE E DEFIBRILLAZIONE PRECOCE (BLS-D) PER SANITARI
(PERSONALE VOLONTARIO SOCCORRITORE LIVELLO AVANZATO)
MANUALE N. 1 “A”
MANUALE N. 1 “B”
CORSO SUPPORTO VITALE DI BASE
PER ESECUTORI “LAICI” (BLS)
CORSO SUPPORTO VITALE DI BASE E
DEFIBRILLAZIONE PRECOCE (BLS-D) PER SANITARI
(PERSONALE VOLONTARIO SOCCORRITORE
LIVELLO AVANZATO)
• Volontari Soccorritori di Livello Base
• Laici (Cittadini, Corsi 626, ecc.)
• Volontari Soccorritori di Livello Avanzato
N.B. - I manuali N. 1 “A” e 1 “B” trattano anche la defibrillazione precoce
BLS-D e P-BLS-D non contemplata nel presente libretto. Tale materia sarà
oggetto di una futura pubblicazione.
SCOPO ED OBIETTIVO DEL BLS
La ragione e l’importanza della diffusione della cultura del BLS tra tutti i
cittadini e non semplicemente tra i sanitari è che una persona che ha perso
coscienza, non respira e non ha circolo non dà ossigeno al cervello subendo danni cerebrali che dopo qualche minuto diventano permanenti.
È improbabile che una ambulanza possa arrivare prima che questi danni
inizino e per questo appare fondamentale poter contare sull’erogazione
delle prime manovre di soccorso (e quindi del BLS) da parte degli astanti
in attesa dell’arrivo dell’ambulanza.
L’obiettivo del BLS è quello di prevenire il danno anossico cerebrale
(mancanza di O2) nella persona che non respira e non ha polso in attesa
dell’arrivo dei soccorsi avanzati (Advanced Life Support).
OBIETTIVO
DEL BLS
➯
PREVENIRE IL DANNO ANOSSICO
CEREBRALE
Tutte le fasi del soccorso extraospedaliero
sono esplicitate mediante la
“CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA”
5
CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA
Fig. 1
Il concetto fondamentale della catena è che, per avere la massima probabilità di salvare una persona in arresto cardiorespiratorio, ogni anello deve
essere attuato rapidamente in sequenza, in caso contrario, tutta la catena
sarà interrotta.
ALLAME precoce
RCP precoce
DEFIBRILLAZIONE precoce
ACLS precoce
Il primo anello della Catena prevede l’allertamento precoce del Sistema
d’emergenza seguito dall’esecuzione del Supporto Vitale di Base e dall’eventuale utilizzo di un defibrillatore automatico in attesa dell’arrivo dei
soccorsi avanzati.
Il denominatore comune di tutte le manovre della catena della sopravvivenza è, appunto, la precocità degli interventi: solo così è infatti possibile
restituire al paziente una piena funzionalità cerebrale e, di conseguenza,
una soddisfacente qualità di vita.
6
CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’APPARATO
CARDIO-RESPIRATORIO
Cuore, vasi (arterie e vene), sangue e polmoni sono strettamente interconnessi nello svolgere la loro funzione: nutrire tutti gli organi del nostro
corpo.
La fonte energetica delle nostre cellule è l’ossigeno (O2) che dall’aria ambiente, in cui è presente in una quota del 21%, arriva, con la VENTILAZIONE, agli alveoli polmonari tramite le VIE AEREE SUPERIORI (bocca,
naso, faringe, corde vocali) e tramite le VIE AEREE INFERIORI (la trachea
ed i bronchi principali). A livello degli alveoli che rappresentano le unità
funzionali del polmone, avviene lo scambio dei gas con il sangue proveniente dal cuore.
Infatti, il sangue che arriva al polmone è povero d’ossigeno e ricco di anidride carbonica CO2, perché proviene dai tessuti periferici che hanno
preso O2 e rilasciato CO2 e trova aria fresca, e quindi ricca di O2 e povera
di CO2: si realizza, così, l’ossigenazione del sangue e l’eliminazione con
il respiro della CO2. (Fig 2-3-4)
FARINGE
LARINGE
TRACHEA
BRONCHI
ALVEOLI
Fig. 2 - Apparato respiratorio
7
Fig. 3 - Alte vie aeree.
Fig. 4 - Fasi della respirazione: inspirazione ed espirazione.
Il sistema cardiovascolare, è paragonabile ad un sistema idraulico dove vi
è un liquido (SANGUE), un sistema di vasi (ARTERIE e VENE) e una
“pompa” (CUORE) che muove il sangue attraverso i vasi. (Fig. 5)
8
Fig. 5 - Schema dei principali vasi arteriosi e loro rapporti con il cuore.
Il cuore si occupa di fornire sangue ricco d’ossigeno (quello che torna dai
polmoni appena ossigenato) ai vari organi (anche a se stesso tramite le coronarie) mentre invia quello povero di O2 e ricco di CO2 verso i polmoni
dove deve riossigenarsi.
Questo accade ad ogni battito
cardiaco. (Fig. 6-7-8)
Fig. 6 - Rappresentazione schematica del funzionamento dell’apparato
cardiorespiratorio: l’ossigeno che
entra nei polmoni tramite la respirazione passa in circolo nel sangue arterioso e viene inviato tramite il cuore
ai vari organi.
La CO2 passa dalla periferia al sangue e quindi ai polmoni dove viene
eliminata.
9
Fig. 7 - Apparato cardiorespiratorio
Fig. 8 - Cuore e vasi coronarici deputati al
nutrimento del miocardio
Il principale organo che risente in modo drammatico dell’ipossia (diminuzione della disponibilità d’ossigeno) è l’encefalo: dopo circa 4-5 minuti di
mancanza completa di O2, si hanno danni cerebrali che progressivamente
alterano permanentemente le funzioni del nostro sistema nervoso (coscienza, memoria, linguaggio, movimento ecc.).
(Fig. 9)
Fig. 9 - L’encefalo è l’organo che per
primo subisce i danni dell’ipossia.
Dopo circa 5 minuti di arresto cardiaco
vi sono i primi danni irreversibili.
Il significato della Supporto Vitale di Base è, quindi, quello di
prevenire il danno anossico
cerebrale (e non, almeno nella
fase del BLS, di far ripartire il
cuore), nell’attesa dell’arrivo di
soccorsi avanzati che cercheranno anche di ottenere la ripresa del circolo spontaneo.
10
BLS: PRINCIPI GENERALI
Il Basic Life Support è un algoritmo (sequenza logica e coordinata di manovre) che deve essere applicato dai soccorritori ogni qualvolta si trovino
di fronte ad un soggetto che:
➢ Ha perso coscienza
➢ Ha una ostruzione delle vie aeree o è in arresto respiratorio
➢ È in arresto cardiaco ( assenza di segni di circolo )
Si tratta di manovre semplici che possono essere eseguite senza alcuno
strumento o con l’utilizzo di mezzi aggiuntivi (per esempio dai soccorritori
di una ambulanza).
Queste manovre sono le stesse in ogni parte del mondo: sapere applicare la sequenza del BLS significa, quindi, parlare tutti la stessa lingua.
Se siamo l’unico soccorritore in uno scenario, dovremo qualificarci agli
astanti e, con gentilezza ma con decisione, dovremo ottenere lo spazio
necessario per intraprendere immediatamente la sequenza BLS.
In presenza di due soccorritori (come sempre accade in ambulanza) dovremo decidere chi farà le valutazioni del BLS (1° soccorritore, Team
Leader) e chi, si posizionerà al torace scoprendolo, pronto per un eventuale massaggio cardiaco (2° soccorritore). Il secondo soccorritore potrà
aiutare il primo nell’allineamento del paziente e andando a prendere il pallone autoespansibile e la bombola dell’ossigeno.L’allertamento del 118, in
ambulanza potrà avvenire via radio o via telefono.
L’algoritmo del BLS è un algoritmo rigido: nessun punto può essere invertito rispetto agli altri e non si deve procedere ai punti successivi
se la fase a monte non è stata eseguita correttamente!
Il BLS prevede una sequenza logica di AZIONI ognuna delle quali deve
essere preceduta da una appropriata VALUTAZIONE.
VALUTAZIONE
➯
11
AZIONE
L’obiettivo del BLS è quello di prevenire l’arresto cardiaco nel soggetto
che non ha attività respiratoria e il danno anossico cerebrale nel soggetto
che non respira e non ha attività cardiaca mediante:
- il pronto riconoscimento
- il precoce allertamento del 118
- il precoce supporto del respiro e del circolo.
OBIETTIVO
DEL BLS
➯
PREVENIRE IL DANNO
ANOSSICO CEREBRALE
Come abbiamo già accennato, il danno anossico cerebrale comincia dopo
4-5 minuti dall’arresto respiratorio e si aggrava progressivamente col perdurare dell’ipossia.
Inoltre l’arresto respiratorio determina, dopo circa 4-8 minuti, l’arresto cardiaco (anche il cuore, senza ossigeno, si danneggia).
Il BLS è, quindi, il mezzo per salvare l’encefalo, in attesa dell’arrivo dei
soccorsi avanzati ALS (Advanced Life Support).
CAUSE DI ARRESTO RESPIRATORIO:
- arresto cardiaco (determina arresto respiratorio)
- ostruzione delle vie aeree da parte della lingua (persona incosciente)
- ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo
- overdose (eroina, morfina, barbiturici, ecc.)
- annegamento, folgorazione
- trauma
CAUSE DI ARRESTO CARDIACO:
Primitive (cause cardiache):
- infarto miocardico
- aritmie
- altre malattie cardiache
Secondarie (cause non cardiache): - arresto respiratorio (dopo 4-8 min.)
- gravi emorragie
- traumi
12
MORTE CARDIACA IMPROVVISA E ATTACCO CARDIACO
La morte cardiaca improvvisa rappresenta una delle più importanti e frequenti emergenze mediche dei paesi industrializzati, così frequente da
aver spinto American Heart Association ad inserirla nel corso di BLS.
Essa si definisce come:
CESSAZIONE BRUSCA ED INATTESA DELLE ATTIVITÀ CIRCOLATORIA E RESPIRATORIA IN PAZIENTI CON O SENZA MALATTIA CARDIACA NOTA, CON O SENZA SEGNI PREMONITORI.
Per cercare di trattarla precocemente ed efficacemente, si devono conoscere i segni e i sintomi della patologia che spesso precede, talvolta solo
di pochi minuti, la morte cardiaca improvvisa: l’attacco cardiaco.
L’attacco cardiaco è un quadro clinico che può essere dato da molte patologie cardiache tra le quali l’infarto miocardio. L’infarto miocardico non
equivale quindi all’attacco cardiaco, ma rappresenta una parte degli attacchi cardiaci.
Ogni persona certificata BLS deve quindi conoscere i segni e i sintomi
dell’attacco cardiaco perché in presenza di uno o più di questi sintomi
deve mettere in atto la sequenza del BLS allertando il 118 e rimanendo
con la persona pronto a proseguire, se necessario, la sequenza nel caso
di compromissione di uno o più parametri vitali.
Segni e sintomi di allarme per attacco cardiaco
• Dolore o peso retrosternale
• Possibile irradiazione del dolore a:
- Braccio sinistro
- Spalle
- Epigastrio (bocca dello stomaco)
- Mandibola
• Altri sintomi:
- Sudorazione, nausea e dispnea (sensazione di difficoltà respiratoria)
• Insorgenza:
- Sotto sforzo, stress emotivo ma anche a riposo
13
BLS: LA SEQUENZA
“ABC” della Rianimazione Cardiopolmonare
La sequenza del BLS viene anche detta ABC della rianimazione cardiopolmonare. Questo per indicare che le manovre che seguono sono la parte
più elementare (l’ABC, appunto) del soccorso ma anche perché la sequenza, come vedremo più avanti, si articola in tre punti fondamentali che
sono indicati come A, B e C:
AIRWAY
(pervietà vie aeree)
BREATHING
(respirazione)
CIRCULATION
(circolo)
Ogni punto del BLS inizia con una valutazione dalla quale dipendono
azioni che sono logica conseguenza di essa. Il concetto di VALUTAZIONE
➢ AZIONE è un concetto fondamentale nel BLS: non si esegue alcuna
azione che non derivi direttamente da una valutazione.
VALUTAZIONI
➞
Stato di coscienza
Presenza di respiro
Presenza di segni
di circolo
}
➞
azione
azioni
Tab. 1 - Valutazioni dei tre punti del BLS
14
A
{
(Airway)
B (Breathing)
C (Circulation)
BLS: RIPARTIZIONE DEI RUOLI
Viste le unità presenti sul territorio, nel caso di ambulanza con professionista a bordo (medico e/o infermiere), il team leader è ovviamente il professionista. Nel caso, invece di ambulanza di primo soccorso con
equipaggio di soli volontari di cui almeno 2 di livello avanzato, la ripartizione dei ruoli nell’algoritmo del BLS è la seguente :
Primo soccorritore:
• Valutazione dello stato coscienza.
• Ispezione della bocca.
• Iperestensione della testa.
• GAS e segni di circolo.
• Si posiziona alla testa ed esegue le ventilazioni.
• Posiziona la cannula di Guedel.
Secondo soccorritore:
• Contatta il 118.
• Prepara il materiale (Ambu, maschere, O2 e cannula)
• Esegue le compressioni toraciche.
15
A (AIRWAY - VIE AEREE)
II primo punto del BLS è il punto A (vie aeree) ed inizia con una valutazione.
Valutazione dello stato di coscienza ➢ si esegue toccando e chiamando
il paziente.
Nel caso che il paziente sia cosciente, il soccorritore dovrà porre alcune
semplici domande (cosa si sente, presenza di dolore, malattie importanti)
e riferirle al 118
➢ Nel caso di perdita di coscienza,
se il soccorritore “Laico“ si trova in un luogo pubblico,
deve gridare per chiedere aiuto agli astanti e incaricarli poi di allertare
il 118 continuando la sequenza del BLS
(Fig. 10 A, 10 B).
Il soccorritore “Laico” che si trovasse da solo (ovverosia senza
altre persone che possano avvertire la Centrale Operativa) senza un
telefono cellulare, deve continuare la sequenza del BLS finendo il
punto A e passando poi al punto B valutando anche la presenza del
l’attività respiratoria e dei segni di circolo e solo a quel momento dovrà
abbandonare la vittima per chiamare i soccorsi.
➢ Nel caso della squadra di un’ambulanza ordinaria,
l’autista avverte subito il 118 della perdita di coscienza
(andando anche a prendere l’ossigeno e il pallone di autoespansibile)
mentre i soccorritori continuano la sequenza (Fig. 11-12).
16
Signore, signore
mi sente
Chiamate
il 1.1.8.
Fig. 10 A - Valutazione della coscenza
Fig. 10 B - Chiamata di aiuto e allertamento
del 118.
Fig. 11 - Allineamento su piano rigido
Fig. 12 - Scopertura del torace
17
Fig. 14 - Rimozione di
un corpo estraneo in
bocca: tecnica con
dito ad uncino
Fig. 13 - Apertura ed ispezione della bocca
Fig. 15 - Rimozione
manuale di liquidi dal
cavo orale
18
Apertura delle vie aeree ➢ (Soccorritore Avanzato) volta ad escludere
la presenza di corpi estranei in bocca (bocconi di cibo, protesi dentarie dislocate, vomito) o eventualmente, a rimuoverli se facilmente raggiungibili.
I soccorritori devono sempre controllare la pervietà delle vie aeree mediante l’ispezione del cavo orale.
Si esegue con il pollice ed il medio posti sulle due arcate dentarie e successivamente separati come per aprire un borsellino (la manovra viene
detta appunto a borsellino).
Nel caso sia necessario rimuovere un corpo solido, si deve passare il dito
indice a uncino facendola scorrere lungo la parete della guancia fino a passare dietro il corpo estraneo stesso in modo da non spingerlo più profondamente.
Nel caso di liquidi, sarà sufficiente ruotare la testa di lato e farli defluire (il
BLS si applica a persone non vittime di trauma), o utilizzare se disponibile,
l’aspiratore di secreti avendo cura di aspirare solo fino a dove possiamo
vedere e non spingendoci più in profondità per il rischio di stimolare i riflessi
del paziente. (Fig. 13-16)
Apertura delle vie aeree ➢ (Soccorritore Laico) si effettua un controllo
visivo della bocca solo se si sospetta una ostruzione da corpo estraneo,
altrimenti si salta questo passaggio e si procede.
Fig. 16 - Rimozione di
liquidi con aspiratore
di secreti (solo Soc.
Livello Avanzato).
19
TRACHEA
➝
➝
➝
➞
LINGUA
➞
Pervietà delle vie aeree ➢ quando una persona perde coscienza, il rilassamento dei muscoli del corpo coinvolge anche la lingua che tende a cadere all’indietro provocando l’ostruzione delle vie aeree. (Fig. 17)
La persona supina, priva di coscienza quindi non può respirare anche se
non è in arresto respiratorio.
La manovra che permette di garantire nuovamente la pervietà (cioè la libertà) delle vie aeree nel paziente non traumatizzato, è la manovra di
iperestensione della testa e sollevamento del mento
(le dita poste sulla parte ossea del mento sollevano il mento stesso). (Fig. 18 A-B)
Nel caso di sospetto trauma, il sanitario può utilizzare il sollevamento della
mandibola. (Fig. 20)
ESOFAGO
Fig. 18 A - Iperstensione della testa e sollevamento del mento: la lingua torna in posizione normale
➞
Fig. 17 - Ostruzione delle vie aeree:
nel paziente privo di coscienza cade indietro e ostruisce le vie aeree
➞
Fig. 18 B - Iperestensione della testa e sollevamento del mento
Fig. 20 - Sollevamento della mandibola per
l’apertura delle vie aerre da parte del personale sanitario, nel trauma
20
B - (BREATHING - RESPIRAZIONE) + C (CIRCOLO)
Il secondo punto del BLS viene eseguito solo se completato efficacemente
il primo ed inizia anche esso con una valutazione.
Valutazione della respirazione si esegue mantenendo la pervietà delle
vie aeree e avvicinandosi alla bocca del paziente. (Fig. 21)
Guardando
Ascoltando
Sento (per 10 secondi)
Fig. 21 - Valutazione del respiro:
G.A.S. per 10 secondi
Nel caso che la respirazione sia presente ed efficace, il soccorritore
dovrà mantenere la pervietà delle vie aeree in quanto il paziente è incosciente, somministrare ossigeno ad alti flussi (10-12 lit./min.) e ricontrollare
i parametri vitali ogni minuto in attesa dell’arrivo dell’ambulanza ALS.
Qualora il soccorritore fosse solo, nell’impossibilità di ricevere aiuto da altri,
dopo la valutazione del respiro dovrà abbandonare la vittima per andare a
chiamare i soccorsi.
Se il paziente è in arresto respiratorio o la respirazione sembra non essere
efficace, devono essere valutati i segni di circolo (movimenti o tosse).
Se questi non sono presenti il paziente deve essere considerato in arresto
cardiorespiratorio e, pertanto, si dovrà immediatamente cominciare il massaggio cardiaco esterno.
21
Fig. 22 - Punto di repere per il M.C.E
si pone il calcagno di una mano al
centro del torace in corrispondenza
dello sterno.
Incrociando le due mani si sollevano
le dita dal torace per evitare compressioni sulle coste.
Se l’attività cardiaca è
presente, saremo di
fronte ad un paziente in
arresto respiratorio
ma non cardiaco e
quindi dovremo continuare a ventilarlo con
12 insufflazioni al minuto (quindi 1 insufflazione ogni 5 secondi)
ricontrollando ogni minuto i parametri vitali a ritroso, ovvero
C + B ➢ A in quanto un paziente in arresto respiratorio potrebbe comunque
andare dopo poco anche in arresto
cardiaco, oppure potrebbe riprendere
una respirazione spontanea.
Nel caso di arresto respiratorio, il soccorritore laico non esegue alcuna
valutazione al punto C ma passa direttamente alle compressioni toraciche.
Fig. 23 - Posizione perpendicolare
del corpo sul torace nel MC.E. Compressione di 1/2 - 1/3 dello spessore
del torace per eseguire il massaggio
cardiaco esterno
Il soccorritore sanitario esegue il
controllo dei segni di circolo per non
più di 10 secondi. I segni di circolo
sono definiti come movimenti del paziente o tosse a seguito della ventilazione artificiale.
Se non vengono osservati, è verosimile che vi sia anche un arresto cardiaco e quindi si devono cominciare le
compressioni toraciche.
22
Compressioni toraciche (circolo)
Una volta accertato l’arresto cardiaco, occorre cercare il punto per iniziare
il massaggio cardiaco. Il punto di repere del massaggio cardiaco esterno
MCE, si trova ponendo al centro del torace in corrispondenza dello sterno
il calcagno della mano e su di essa si pone l’altra mano incrociando le dita
in modo da sollevarle dal torace. (Fig. 22).
Per l’esecuzione di un MCE efficace, il soccorritore deve posizionarsi in
modo che le braccia siano perpendicolari allo sterno e che i gomiti non si
pieghino durante la fase di compressione.
La compressione ed il rilasciamento devono durare lo stesso tempo 1:1.
Il fulcro del movimento sono le anche, non le spalle. (Fig. 23)
Il torace si deve abbassare di 1/2 - 1/3 del suo spessore (circa 4 - 5 cm
nell’adulto medio) e questo è l’unico strumento per valutare la forza delle
compressioni in relazione alle dimensioni fisiche del paziente.
Il soccorritore/i deve/devono alternare 30 compressioni e 2 insufflazioni.
Si devono erogare circa 100 compressioni al minuto.
Nel massaggio cardiaco le mani non devono essere sollevate dal punto di
compressione: se questo accade, dobbiamo ricercare il punto corretto.
Non interrompere mai la rianimazione cardiopolmonare a meno di:
➢
Arrivo di un defibrillatore automatico esterno (DAE)
➢
Comparsa di segni di circolo (movimenti, tosse)
➢
Ripresa di attività respiratoria
➢
Arrivo dei soccorsi avanzati
➢
Esaurimento fisico dei soccorritori
23
Fig. 24 A - Respirazione bocca-bocca: naso
“pinzato” tra indice e pollice mentre si mantiene la pervietà delle vie aeree
Fig. 24 B - Respirazione bocca-bocca: si
appoggia la bocca e si eroga una insufflazione lenta e profonda mentre si osserva il
movimento del torace
Fig. 26 - Ventilazione con Pocket Mask: la
maschera viene tenuta con due mani a C
per garantire la migliore tenuta
Fig. 25 - Si “rilascia” il naso per favorire la
espirazione
24
Gasping (respiro agonico): è una modalità di respirazione inefficace,
spesso durante le prime fasi dell’arresto cardiorespiratorio, che rapidamente si trasforma in apnea.
Caratterizzato da rumori respiratori russanti senza effettivo scambio di aria.
È necessario fare attenzione a non scambiare questa possibile situazione
con una modalità respiratoria efficace o con una ostruzione delle vie aeree.
Quest’ultima può causare un respiro russante che cessa al momento in
cui viene iperestesa la testa. Il paziente in gasping deve essere trattato
come un paziente in arresto respiratorio.
Se vi è un dubbio che il paziente
abbia una respirazione efficace o meno,
deve essere attuata la ventilazione artificiale.
Respirazione
Se il soccorritore non ha ausili per la ventilazione, si procede alla respirazione bocca - bocca. (Fig. 24 A-B, 25)
Questo tipo di ventilazione è sconsigliato ogni volta che vi sia a disposizione un mezzo aggiuntivo.
Un ausilio importante è la cosiddetta Pocket Mask che evita il contatto diretto soccorritore - vittima. (Fig. 26)
25
Fig. 27 - Sistema pallone autoespandibile
reservoir - ossigeno
Fig. 28 A - Ventilazione con pallone di
Ambu e O2: nota la
posizione delle mani
nell’insufflazione. il
torace si solleva,
segno di ventilazione efficace
Fig. 28 B - Espirazione: il pallone deve
essere lasciato riespandersi completamente e il torace deve
riabbassarsi
26
Il personale dell’ambulanza, deve utilizzare un pallone autoespansibile
collegato ad una fonte d’ossigeno (10-12 lit./min.).
L’utilizzo dell’ossigeno collegato con il pallone autoespansibile è da considerarsi obbligatorio ogni volta sia a disposizione.
La ragione è data dal netto incremento della percentuale di ossigeno erogata con l’ausilio della bombola rispetto al pallone da solo.
L’associazione di pallone-reservoir-ossigeno incrementa in maniera esponenziale la percentuale di O2 erogata. (Fig. 27)
Deve perciò essere utilizzato il complesso pallone-reservoir-O2 ogni qualvolta sia possibile.
Sistema
% ossigeno
erogata
Pallone
autoespansibile
21%
Pallone
O2 (10-12 l/min)
40-50%
Pallone-reservoir
O2
80-90%
Tab. 2 - percentuali di ossigeno erogate durante ventilazione artificiale con pallone
autoespansibile.
Tecnica di ventilazione con sistema pallone-maschera facciale:
la maschera facciale deve essere della misura adeguata, per permettere
la perfetta tenuta della stessa e l’efficace ventilazione del paziente.
La maschera deve essere tenuta con la mano sinistra con il pollice e l’indice che la abbracciano a “C” mentre le altre tre dita aperte a ventaglio,
ancorano la mandibola garantendo l’iperestensione della testa.
La mano destra circonda il pallone e, gentilmente lo schiaccia.
(Fig. 28 A-B)
27
Le insufflazioni devono essere lente e profonde (circa 1.5 secondi) con
uguale durata dell’inspirazione e dell’espirazione (quantità 500/600 ML).
Questo aspetto è molto importante perché insufflazioni troppo brusche o
violente saranno sicuramente inefficaci e provocheranno facilmente distensione gastrica, con rischio di rigurgito.
La quantità d’aria da insufflare non è standardizzabile perché dipende dalla
corporatura dei pazienti; pertanto, si devono eseguire insufflazioni sufficienti a far sollevare il torace.
La mancanza del sollevamento del torace (ventilazione non efficace),
ci deve far pensare ad un nostro errore e quindi dobbiamo riposizionare
la testa e la maschera (della corretta misura) aderente al volto e riprovare
due nuove insufflazioni. Successivamente al termine della seconda seguenza, 30 compressioni toraciche.
Se anche questo secondo tentativo fallisce (soprattutto se percepiamo un
pallone rigido, teso, senza “spifferi” dalla maschera) dobbiamo sospettare
un’ostruzione delle vie aeree e passare al protocollo per la loro disostruzione, ricordarsi di riguardare in bocca ogni minuto (3 cicli) prima delle
nuove insufflazioni. Spesso, l’evento è testimoniato (parenti, astanti), ed
è quindi possibile sospettarlo fin dal nostro arrivo.
28
Ventilazione difficile: la manovra di ventilazione è la più tecnica di tutte
quelle del BLS: pazienti edentuli, obesi, con il mento sfuggente o con la
barba possono risultare difficili da ventilare.
Nel caso in cui le prime due ventilazioni risultino inefficaci, dobbiamo
rimettersi in discussione, riposizionando meglio la maschera, iperestendendo meglio la testa e riprovare due nuove insufflazioni (dopo le seconde
trenta compressioni).
Nel caso che anche queste siano inefficaci (il torace non si solleva) dobbiamo pensare ad una ostruzione da corpo estraneo.
Dobbiamo però distinguere l’origine dell’inefficacia delle ventilazioni
tra quella da ostruzione da corpo estraneo, in cui la sensazione è quella
di un pallone “duro” che non si lascia spremere, senza alcuna perdita di
aria dalla maschera, e quella per ragioni anatomiche che portano ad una
effettiva incapacità di ventilare per una difficoltà a fare aderire la maschera
o iperestendere la testa che danno una sensazione di perdita di aria dalla
maschera, senza pallone duro e non comprimibile.
In questa ultima tipologia di ventilazione difficile, che rappresenta la più
frequente causa di ventilazione inefficace, ovviamente non è indicata alcuna manovra di disostruzione, ma possono risultare di grande utilità alcuni accorgimenti.
29
È consigliato il posizionamento di una cannula oro-faringea: può essere inserita APPENA POSSIBILE in completa sicurezza nella persona
priva di coscienza e senza la presenza di riflessi faringei. Questa, spesso
risolve in modo estremamente efficace la difficoltà ventilatoria mantenendo
comunque l’iperestensione della testa.
Essa deve essere posizionata con cautela e delicatezza, scegliendo la misura adeguata mediante misurazione della stessa dalla rima buccale al
lobo dell’orecchio in modo che abbracci la lingua nella sua parte concava
e contribuisca alla pervietà delle vie aeree. (Fig. 29) L’iperestensione della
testa deve comunque essere garantita durante le insufflazioni.
Tecnica di ventilazione a due soccorritori: una tecnica alternativa che
può essere utile nel caso di difficoltosa tenuta della maschera (mento sfuggente, barba, soggetti obesi) è quella a due soccorritori in cui il soccorritore
alla testa si occupa di fare aderire con due mani “a C” la maschera mentre
un secondo soccorritore esegue l’insufflazione. (Fig. 31)
Fig. 29
A
B
➝
➝
LINGUA
VIE AEREE
C
D
EPIGLOTTIDE
➝
30
Fig 29 - Misurazione delle dimensioni corrette per la cannula. Distanza tra rima buccale e
lobo dell’orecchio.
B - Cannula corretta in sede: la lingua si mantiene più facilmente in posizione facilitando
la pervietà delle vie aeree e la ventilazione.
C - Cannula troppo lunga: la base della cannula appoggia sull’epiglottide determinando
una ostruzione della cannula stessa e quindi una ventilazione difficoltosa.
D - Cannula troppo corta: la fine della cannula solleva la base della lingua peggiorando
l’ostruzione da parte di quest’ultima.
Fig. 30 A-B-C
A
B
Fig. 30 - Manovra di inserimento della cannula oro-faringea:
C
A - scelta la cannula di misura corretta,
B - si apre la bocca e si inserisce al contrario la cannula fino a che la sua base non
tocca il palato;
C - a questo punto si prosegue l’inserimento
ruotando contemporaneamente di 180° la
cannula in modo che la parte concava si
trovi in basso, a contatto della lingua.
Fig. 31 - Ventilazione con pallone autoespansibile: tecnica a due soccorritori. Il
soccorritore alla testa tiene con due mani
la maschera aderente al volto mentre un
secondo soccorritore si occupa di spremere il pallone.
Fig. 31
31
CAMBIO SOCCORRITORE
Quando il soccorritore al massaggio si sente stanco, finite le compressioni,
deve chiedere il cambio con la formula “alla prossima cambio!”, quindi
dare le ultime 30 compressioni, aspettare le ultime due ventilazioni e poi
andare alla testa. Il soccorritore alla testa, deve andare al massaggio, ponendosi dal lato libero del paziente (in pratica, dal lato opposto a quello
precedentemente utilizzato dall’altro soccorritore per massaggiare).
Mai scavalcare il corpo della vittima! Il soccorritore al massaggio riparte
con i cicli. Un’altra tecnica di cambio è quella che vede il soccorritore al
massaggio chiedere il cambio alla fine delle compressioni, poi al ciclo successivo eseguire 15 compressioni; il secondo soccorritore che nel frattempo si sarà portato di fianco al
Alla prossima
paziente, eseguirà le restanti 15 mentre
cambio
il primo si posizionerà alla testa per le
ventilazioni. È fortemente consigliato
chiedere cambio circa ogni due minuti (circa 5 cicli) in modo da mantenere
la massima efficienza del massaggio
cardiaco (circa 20% rispetto alla funzione
cardiaca normale). Se si nota la comparsa di segni di circolo, dovremo rivalutare la presenza del respiro: se esso non
è presente, dovremo assistere la ventilazione con 12 insufflazioni al minuto
(una ogni 5 secondi) ricontrollando i parametri vitali ogni minuto. Alla ricomparsa del respiro, dobbiamo mantenere la pervietà delle vie aeree,
somministrare O2 con maschera facciale 10-12 lit./min. e sorvegliare i parametri vitali (è sempre possibile un nuovo arresto respiratorio o cardiorespiratorio). Molto importante è l’utilizzo dell’ossigeno sia che il paziente
privo di coscienza respiri spontaneamente sia, a maggior ragione, che il
paziente sia in arresto respiratorio. Pertanto, l’ossigenoterapia ad alti flussi
(10-12 lit./min.) non deve essere ritenuta, in tali condizioni, una terapia
prescrivibile solo dal medico ma deve assolutamente essere iniziata il
prima possibile da qualsiasi soccorritore con lo scopo di migliorare
l’ipossia cerebrale e, quindi, prevenire il danno anossico cerebrale.
32
BLS: PROBLEMI E SOLUZIONI:
Durante l’esecuzione delle manovre di ventilazione e massaggio cardiaco,
possono insorgere problemi relativi a queste due manovre che sono invasive e potenzialmente lesive.
1. Problemi connessi con la pervietà delle vie aeree ➢ la manovra di iperestensione della testa e sollevamento del mento è una manovra che
può mobilizzare le vertebre cervicali e, pertanto, è controindicata in tutti
i pazienti traumatizzati.
2. Problemi connessi con la respirazione artificiale ➢ sono legati ad una
ventilazione inefficace (mancato sollevamento del torace in corrispondenza alle insufflazioni. La ventilazione è sicuramente la manovra più tecnica del BLS e quella che richiede più esperienza e più manualità.
Se il torace non si solleva devo pensare?:
- malposizionamento maschera
- insufficiente iperestensione della testa
- maschera di misura non adeguata al paziente
- insufflazione troppo brusca o violenta ➢ ATTENZIONE possibilità di
distensione gastrica e vomito con inalazione.
- ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo ➢ DISOSTRUZIONE
In ogni caso, quello che succede è una IPOVENTILAZIONE del paziente
con IPOSSIA.
Uno strumento che aiuta molto il mantenimento della pervietà delle vie
aeree, è come già detto, la cannula oro - faringea (o di Guedel) che mantiene la lingua nella sua sede fisiologica ma non sostituisce l’iperestensione della testa. Essa non serve a prevenire l’inalazione del vomito e,
anzi, se inserita a paziente non privo di coscienza, può stimolare tale riflesso.
3. Problemi connessi con il massaggio cardiaco ➢ le compressioni toraciche possono risultare:
- inefficaci
- lesive
33
Sono inefficaci quando erogo compressioni troppo superficiali, tali, cioè,
da non abbassare di 1/2 - 1/3 il torace.
Il risultato è che non riesco a mandare in circolo il sangue: è come se il
cuore fosse ancora fermo. Possono essere lesive quando la forza di compressione è troppa rispetto alla corporatura del paziente (abbassamento
del torace maggiore di 1/2 - 1/3, o quando il punto di compressione è stato
localizzato scorrettamente. Se il punto è troppo basso, si possono avere
lesioni del fegato e dello stomaco. Se il punto è troppo alto si possono
avere lesioni polmonari ed esofagee. Se il punto è troppo laterale si
avranno fratture costali con facili lesioni polmonari, epatiche e della milza
da parte delle coste fratturate.
POSIZIONE LATERALE DI SICUREZZA
La posizione laterale di sicurezza (Fig. 32) rappresenta una posizione in cui
può essere messo il paziente che risponde ad alcune prerogative. Essa infatti
garantisce la pervietà delle vie aeree anche nel caso di rigurgito nel paziente:
- incosciente
- che respira
- che ha polso
- che deve essere abbandonato per soccorrere
altre persone o per chiamare i soccorsi.
Negli altri casi è più conveniente mantenere il paziente in posizione supina
con iperestensione della
testa perché è la posizione nella quale risultano
più semplici le valutazioni
dei parametri vitali da
compiere ogni minuto.
Fig. 32 - Posizione laterale
di sicurezza
34
BLS: OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE
L’ostruzione da corpo estraneo è una causa d’arresto respiratorio non
molto frequente nell’adulto (paragonata al bambino), ma sempre da sospettare quando dopo due tentativi di ventilazione artificiale di un paziente
in arresto respiratorio, non si veda sollevare il torace.
Altre volte, l’evento è testimoniato e quindi si tratta di prevenire l’arresto
respiratorio soccorrendo una vittima che per alcuni minuti rimane cosciente
cominciando a tossire e portandosi le mani alla gola (segno internazionale del soffocamento). (Fig. 33)
In questi casi, dobbiamo avvertire subito il 118 e invitare la vittima a tossire
in modo da espellere il corpo estraneo. Non dobbiamo intervenire con
le manovre di disostruzione fino a che il paziente riesce a tossire in
modo efficace (la tosse è indice di aria che entra nei polmoni) per non rischiare di trasformare una possibile ostruzione parziale in una ostruzione completa.
Nel caso di un’ostruzione parziale non evolutiva (il paziente respira
anche se con difficoltà ed emettendo rumori inspiratori e riesce a tossire)
dovremo ospedalizzare velocemente il paziente mantenendolo in posizione semiseduta, somministrando O2 a 10 -12 lit/min.
Quando il paziente non ha più tosse efficace, dobbiamo intervenire con la
manovra di Heimlich che deve essere eseguita in piedi, se il paziente è
cosciente o in terra se il paziente perde coscienza.
Fig. 33 - Controllo diretto
del paziente con ostruzione da corpo estraneo
con tosse efficace.
35
Fig. 35 - Colpi interscapolari
Fig. 35 A - Manovra di Heimlich a paziente cosciente: si trova il punto di
mezzo tra l’inizio dello sterno e l’ombelico
Fig. 35 C - la mano che ha trovato il repere abbraccia l’altra per aumentare la
spinta
Fig. 35 B - a metà si pone la mano a
pugno con il pollice all’interno
36
COLPI INTERSCAPOLARI ➢ sono il primo tentativo di disostruzione
quando la tosse diventa inefficace.
Si eseguono con il palmo della mano imprimendo una decisa spinta tra le
due scapole del paziente per 5 volte. (Fig. 35)
Se non risolutivi (il paziente ricomincia a respirare normalmente espellendo
il corpo estraneo o ricomincia a tossire in modo rumoroso, segno di un dislocamento del corpo estraneo che permette all’aria di passare nuovamente) si alternano con la MANOVRA DI HEIMLICH A VITTIMA
COSCIENTE ➢ il soccorritore si pone alle spalle della vittima e cinge la
vita della stessa con entrambe le sue mani. La prima mano trova il punto
di mezzo tra l’ombelico e l’inizio dello sterno e, la seconda viene messa a
pugno con il pollice dentro al pugno. Una volta localizzato il punto, il soccorritore vi poggia il pugno e abbraccia il pugno con la seconda mano.
A questo punto, deve eseguire 5 compressioni rapide dirette verso l’alto
e posteriormente come se ciascuna potesse essere risolutiva: le compressioni devono essere eseguite con forza ma non violentemente.
(Fig. 35 A-B-C)
Dobbiamo continuare ad alternare queste due manovre fino a che:
- l’ostruzione si risolve
- il paziente perde coscienza
La perdita di coscienza avviene, in genere, dopo circa 2-4 minuti dall’arresto respiratorio, mentre l’arresto cardiaco avviene dopo circa 2-4 minuti
dall’arresto respiratorio.
Quando la vittima perde coscienza il soccorritore deve sorreggere la caduta del paziente a terra per evitare lesioni della testa: deve allineare il
paziente come per il M.C.E. e ripetere il punto A per vedere se nella caduta il corpo estraneo si sia dislocato ed eseguire il punto B; se le ventilazioni sono inefficaci deve iniziare le manovre di disostruzione per la
vittima non cosciente.
37
MANOVRA DI DISOSTRUZIONE PER LA VITTIMA INCOSCIENTE
Spinte toraciche ➢ Si eseguono con la stessa tecnica e nello stesso
punto utilizzato per il MCE ma erogando 30 compressioni nello stesso
modo di quelle eseguite per il massaggio cardiaco (Fig. 36) ed inizia sequenza BLS.
➥
➦
Fig. 36 - Tecnica di disostruzione con vittima incosciente: punto del massaggio cardiaco
erogando 30 compressioni con la stessa tecnica del MCE.
Dopo ogni ciclo di 30 compressioni si esegue il punto A e le ventilazioni fino a che non se
ne ottengono 2 efficaci (sollevamento del torace)
38
BLS: ASPETTI MEDICO-LEGALI
Ci sono alcuni aspetti medico - legali che devono essere conosciuti dai
soccorritori per evitare problemi legali, etici e morali durante il soccorso.
Essi riguardano, essenzialmente il non inizio di una rianimazione cardiopolmonare e la sua interruzione. Le circostanze nelle quali il soccorritore
è esentato dall’iniziare una RCP sono essenzialmente, cinque:
- decapitazione della vittima
- presenza di macchie ipostatiche (macchie color verde-bluastro
che compaiono nelle zone declivi del cadavere)
- presenza di fenomeni decompositivi
- presenza di rigor mortis (rigidità del cadavere)
A queste situazioni tutte indicanti una morte irreversibile del paziente, va
aggiunta anche la condizione di causa forza maggiore (Art. 45 C.P.) che
impedisca al soccorritore di eseguire le manovre di soccorso.
La forza maggiore, per essere tale, deve essere “imprevedibile, inevitabile,
irresistibile”. È soprattutto l’imprevedibilità e l’inevitabilità che devono essere soddisfatte perché questa causa di esclusione dalla colpevolezza
possa essere sostenibile (es. obbligo sotto la minaccia di armi).
In tutti gli altri casi, a meno che non sia presente un medico che esegua
un accertamento della morte, che implica l’interruzione di ogni trattamento
terapeutico, dobbiamo iniziare la RCP.
Le circostanze che giustificano l’interruzione degli sforzi rianimatori,
sono tre:
- esaurimento fisico dei soccorritori
- accertamento della morte da parte di un medico
- arrivo di un DAE
A questi va aggiunta, come sopra, la causa forza maggiore.
In tutti gli altri casi, si profila il reato di omissione di soccorso (Art. 593 C.P.)
valido per tutti i cittadini.
Per i soccorritori, può sussistere anche il più grave reato di omissione di
atti d’ufficio (Art. 328 C.P.).
39
BLS: SITUAZIONI SPECIFICHE
Alcune situazioni cliniche possono richiedere differenze di comportamento
da parte del soccorritore anche se l’algoritmo del BLS deve sempre essere
rispettato.
➢ Ictus cerebrale: può presentarsi in modi molto diversi (alterazioni del
movimento, della parola, della vista, della coscienza, convulsioni o morte
improvvisa). In caso di alterazione dello stato di coscienza, la pervietà delle
vie aeree può risultare compromessa. Nel caso sia richiesto il trasporto di
un paziente colpito da ictus, è sempre buona norma somministrare O2 con
maschera facciale e sorvegliare i parametri vitali.
Nessuna variazione è richiesta nel caso sia necessaria la RCP.
➢ Trauma: è lo scenario che presenta le maggiori differenze sia nell’algoritmo che nelle manovre. Al sostegno vitale di base del paziente traumatizzato è dedicata uno specifico manuale.
➢ Donna in gravidaza: nel caso si debba soccorrere una donna in stato
avanzato di gravidanza, occorre tenere presente le seguenti peculiarità:
Particolare coinvolgimento emotivo dei soccorritori e degli astanti
(presenza di due vittime).
Compressione aorto-cavale ➢ l’utero gravido, con la donna in posizione
supina tende a comprimere l’aorta addominale e, soprattutto, la vena cava
inferiore (Fig. 40) (che riporta il sangue dall’estremità inferiore del nostro
corpo al cuore): quando essa viene schiacciata, si ha una brusca diminuzione del ritorno venoso al cuore con un crollo della pressione arteriosa. Essa decorre lievemente a destra rispetto alla linea mediana della
colonna vertebrale. Per questa ragione, dobbiamo spostare l’utero dal centro dell’addome verso sinistra mediante l’inserimento di un cuneo di 10-15
cm. (es. una coperta) posto sotto il fianco destro della paziente, in modo
da ruotare la donna sul suo fianco sinistro. Questa manovra deve essere
eseguita sia nel caso di un trasporto ordinario di una donna gravida, (per
esempio per ricovero) sia nel caso si debba intraprendere una RCP: la
lieve rotazione sul fianco non preclude ai soccorritori la possibilità di eseguire correttamente il MCE.
40
Vena Cava
Inferiore
Fig. 40 utero gravido e posizione della vena cava inferiore spostata a destra rispetto alla
linea mediana. Questo spiega il motivo del cuneo proprio sotto il fianco destro.
➢ O2 terapia: la donna in gravidanza e il suo bambino, hanno necessità
di una buona ossigenazione dei tessuti. Non possiamo rischiare che vi sia
ipossia tissutale con conseguente sofferenza fetale. Per questo motivo, la
paziente gravida che abbia subito un trauma, che abbia perso conoscenza
o che necessiti di ventilazione artificiale, DEVE ricevere ossigeno ad alti
flussi.
➢ Crisi epilettica: situazione di alterata e caotica trasmissione elettrica
di alcune aeree cerebrali che si traduce in un quadro clinico caratteristico
detto CRISI DI GRANDE MALE.
CAUSE:
➢ bambini
- sconosciuta
- sofferenze cerebrali perinatali
- tumori cerebrali
- traumi cranici
➢ adulti
- tumori cerebrali
- traumi cranici
- ictus
41
Sintomi e segni ➢ improvvisa perdita di coscienza, a volte preceduta dall’emissione di un grido, caduta a terra con contrazione spastica dei muscoli
(fase tonica) che coinvolge i muscoli della respirazione, provocando
quindi apnea per tutta la durata della crisi. Successivamente si ha la comparsa di contrazioni muscolari ritmiche con movimenti violenti di tutto il
corpo (fase clonica). È questa la fase più critica in quanto il paziente può
provocarsi delle lesioni della lingua fino all’amputazione.
Dopo questa fase, il paziente rimane in uno stato di incoscienza detto
COMA POST - EPILETTICO, fino al progressivo risveglio (da qualche minuto ad alcune ore).
Cosa fare ➢ In questo frangente, dobbiamo fare attenzione a proteggere
il paziente da mobili od oggetti che possano procurargli ferite durante la
crisi. Come per ogni perdita di coscienza, il primo approccio deve essere
quello del BLS. Le valutazioni dovranno iniziare non appena teminata la
crisi. Durante la crisi convulsiva, il fabbisogno di O2 aumenta anche del
300%: è, quindi, fondamentale la sua somministrazione.
Non tentare di aprire la bocca del paziente nè cercare di trattenere i
suoi movimenti durante la crisi convulsiva.
➢ Attacco cardiaco : patologia molto frequente che rappresenta la causa
più comune di arresto cardiorespiratorio nell’adulto.
Per questa ragione, è molto importante individuare i segni d’allarme dell’attacco cardiaco per ospedalizzare rapidamente il paziente e per sapere
che siamo in una situazione ad elevato rischio di arresto cardiaco.
N.B. Attacco cardiaco non equivale ad arresto cardiaco!!
Tali segni, che possono essere presenti singolarmente o no, sono:
- Dolore retrosternale
- Possibile irradiazione del dolore a braccio sinistro, mandibola,
epigastrio, spalle.
- Sudorazione fredda, nausea
- Dispnea (sensazione soggettiva di difficoltà respiratoria)
- Shock (tachicardia, ipotensione, tachipnea, stato confusionale)
In tutti questi casi, occorre trasportare rapidamente in ospedale il paziente,
senza farlo camminare, somministrando ossigeno e controllando i
parametri vitali.
42
➢ Folgorazione: l’esposizione a correnti elettriche può provocare arresto
cardiaco immediato o arresto respiratorio e successivamente cardiaco.
In questi casi, è ancora più importante del solito, assicurare l’autoprotezione dei soccorritori (accertarsi che la rete elettrica sia stata disconnessa)
prima di iniziare le manovre del BLS.
Dobbiamo considerare il paziente folgorato come un traumatizzato.
➢ Annegamento: le possibilità di sopravvivenza del paziente annegato
sono inversamente proporzionali al tempo di permanenza in acqua.
Pertanto, dovremo trarre a riva il più velocemente possibile la vittima, mantenendo prioritaria la nostra autoprotezione.
Dobbiamo considerare il paziente annegato come traumatizzato, nel caso
di caduta dall’alto in acqua (es. da scogli, trampolini ecc.).
Non dobbiamo ritardare la ventilazione nel tentativo di liberare i polmoni dall’acqua aspirata: in molti casi, infatti, l’acqua non è affatto presente nel polmone per uno spasmo immediato delle corde vocali e, nel
caso sia presente, essa viene rapidamente riassorbita dai capillari polmonari. Dobbiamo rimuovere solo l’acqua che eventualmente occupi le
prime vie aeree, per garantire la pervietà delle stesse.
43
ALGORITMO BLS ADULTO (LIVELLO AVANZATO)
SICUREZZA AMBIENTALE
•
VALUTAZIONE COSCIENZA
Chiama e scuoti il paziente
•
•
•
NON COSCENTE:
Apertura della bocca
Rimozione corpi estranei
Iperestensione della testa
•
•
•
A - PERVIETÀ VIE AEREE
Apertura della bocca
Rimozione corpi estranei
Iperestensione della testa
•
•
•
•
•
•
•
COSCENTE:
Domande:
(come si chiama cosa si sente?)
Riferisci al 118
•
•
•
•
RESPIRO PRESENTE:
Mantieni pervietà vie aeree
PLS se abbandoni il paziente
Controllo dei parametri vitali ogni min.
Somministra O2 (10-12 lit./min.)
•
•
SEGNI DI CIRCOLO
PRESENTI:
Continua la ventilazione (12 atti/min.)
Rivalutazione segni di circolo ogni min.
•
B-C VALUTAZIONE RESPIRO
e SEGNI DI CIRCOLO
Guarda, Ascolta, Senti (10 sec.)
Osserva il movimento del torace
Valuta i segni di circolo
RESPIRO E SEGNI DI CIRCOLO
ASSENTI:
Conferma 118 ACR
Inizia MCE
(30 Compressioni e 2 Ventilazioni)
100 Compressioni/min.
Ferma la RCP solo per:
- variazione della clinica
- arrivo di un DAE
- arrivo di equipe ALS
•
•
44
NO:
Contattare 118
per mezzi aggiuntivi
VENTILAZIONI INEFFICACI
Effettua le 30 compressioni toraciche
Riposiziona la maschera e dai
2 insufflazioni, se inefficaci, pensa
a ostruzione da corpo estraneo.
Prosegui il BLS 30:2 guardando in
bocca prima di ventilare continuare,
fino a risoluzione
ALGORITMO BLS ADULTO (LIVELLO BASE)
SICUREZZA AMBIENTALE
•
VALUTAZIONE COSCIENZA
Chiama e scuoti il paziente
•
•
•
NON COSCENTE:
Grida e chiama aiuto
Posiziona su piano rigido
Allinea e scopri il torace
•
A - PERVIETÀ VIE AEREE
Controllo visivo dell bocca solo
se si sospetta la presenza di un
corpo estraneo
Iperestensione della testa
•
B-C VALUTAZIONE RESPIRO
Guarda, Ascolta, Senti (10 sec.)
•
•
•
•
•
•
•
•
•
RESPIRO E SEGNI DI CIRCOLO
ASSENTI:
Se nessuno la ha ancora fatto
andare a chiamare il 118
Inizia M.C.E.
(30 Compressioni e 2 Ventilazioni)
100 Compressioni/min.
se non è possibile effettuare le
ventilazioni procedere al solo
massaggio cardiaco
Ferma la RCP solo per:
- variazione della clinica
- arrivo di un DAE
- arrivo di equipe ALS
•
•
45
NO:
Contattare 118
per mezzi aggiuntivi
COSCENTE:
Domande:
(come si chiama cosa si sente?)
Riferisci al 118
RESPIRO PRESENTE:
Mantieni pervietà vie aeree
Posizione Laterale di Sicurezza
se devi abbandonare il paziente
VENTILAZIONI INEFFICACI
Effettua le 30 compressioni toraciche
Riposiziona la maschera e dai
2 insufflazioni, se inefficaci, pensa
a ostruzione da corpo estraneo.
Prosegui il BLS 30:2 guardando in
bocca prima di ventilare continuare,
fino a risoluzione
– TRAUMATOLOGIA E
TRATTAMENTO DELLE LESIONI
SUPPORTO VITALE NEL TRAUMA
indice
3 Premessa
5 Introduzione
9 Il politrauma
13 Sicurezza e auto protezione sulla scena dell’evento
15 BLS al traumatizzato
24 Approccio al traumatizzato
25 Approccio al traumatizzato incarcerato
29 C.E.S.I.R.A.
30 S.T.A.R.T.
33 Le manovre del trauma
80 Il controllo delle emorragie
83 Le ustioni
87 Cenni di traumatologia speciale
110 Algoritmo BLS al traumatizzato
Conforme al protocollo della Regione Toscana
PREMESSA
“Presentare un libro che affronti in modo rigoroso e semplice il supporto vitale al trauma non è facile; se questo libro deve in particolare
trattare il soccorso extraospedaliero al trauma, il compito diventa ancora più difficile.
Coloro che hanno già esperienza nel soccorso extraospedaliero probabilmente sanno bene a cosa mi riferisco, gli altri se ne renderanno
conto nel corso della lettura del libro e durante la loro attività pratica.
Per tutte queste ragioni, anche in ambito internazionale, non è stato
finora possibile elaborare linee guida universalmente riconosciute
come per BLS e ALS.
Il più autorevole Ente Scientifico che da tempo si occupa della stesura di linee guida sul trauma e della formazione del personale sanitario nel mondo, American College of Surgeon, ha da sempre
focalizzato l’attenzione al soccorso intraospedaliero al trauma, lasciando ad organismi minori il compito di adattare queste linee guida
alla realtà territoriale.
Per queste ragioni, questo libro come gli altri, non rappresenta quello
che deve assolutamente essere fatto durante il soccorso al traumatizzato e non risolve i vostri problemi: credo però che abbia il merito
di aver affrontato le difficoltà connesse a questa materia e di aver
cercato di modellare le attuali conoscenze della medicina critica e
della traumatologia alla realtà italiana ed in particolar modo a quella
toscana dove il Volontariato rappresenta uno dei principali interlocutori per questa branca della medicina.
Lo scopo del libro è di poter garantire al lettore una serie di conoscenze e di abilità che siano applicabili in senso generale nella maggioranza degli scenari di trauma, ben sapendo che l’applicazione di
linee guida in modo acritico espone inevitabilmente a rischio di fallimento”.
Andrea Franci, 2005
Abbiamo iniziato questa riedizione del manuale con le parole con cui il Dott. Andrea
Franci aprì la prima edizione. Un caloroso ringraziamento a lui ed ai volontari che
hanno fattivamente collaborato per la realizzazione di questo lavoro.
3
INTRODUZIONE
Nell’ambito del soccorso a persone rimaste vittime di eventi traumatici, è
necessario conoscere alcuni fattori fondamentali di questo particolare tipo
di emergenza. Il trauma rappresenta la prima causa di morte in soggetti
con età inferiore ai 40 anni e non vi è dubbio che una delle varianti che influenza l’esito positivo di un intervento su di un traumatizzato sia il fattore
tempo. Quindi si deduce che: tanto minore è il tempo che intercorre
tra l’evento traumatico ed il soccorso quanto maggiori saranno le
possibilità di sopravvivenza e di recupero del traumatizzato.
Questo concetto è stato ormai dimostrato in modo certo e la conferma dell’importanza della precocità dell’intervento e dell’adeguatezza dei soccorsi
viene dall’analisi epidemiologica delle morti dovute a trauma.
La morte a seguito di un evento traumatico può essere descritta da un andamento trimodale, ovvero con tre picchi di mortalità:
• circa il 50% nei primi secondi o minuti dall’evento traumatico a
causa di lesioni non compatibili con la vita. Questa alta percentuale di morti
è modificabile solo dalla PREVENZIONE (educazione stradale, uso dei sistemi di sicurezza attiva e passiva, miglioramento della sicurezza sui luoghi di lavoro ecc.).
• circa il 30% nelle prime ore dall’evento traumatico: questo gruppo di
persone sono quelle che più efficacemente possono giovarsi di trattamenti
rapidi e corretti ed ospedalizzazione rapida all’ospedale adeguato per le
loro lesioni.
• circa il 20% dopo giorni o settimane dall’evento traumatico spesso
a seguito di complicanze manifestatesi durante la degenza in ospedale
ma che spesso sono insorte e non sono state trattate sulla scena (danni
secondari). Da questo possiamo capire come molte delle vittime di traumi,
possono essere salvate da trattamenti precoci e ben eseguiti cominciati
sulla scena del trauma: non è un caso infatti che molti decessi di traumi
che avvengono in ospedale siano più o meno direttamente causati da una
gestione approssimativa del paziente sulla scena.
5
Dall’esame di questi dati possiamo comprendere il significato della cosiddetta “GOLDEN HOUR” (ora d’oro), così definita perché, da studi condotti
analizzando i dati sopra riportati, è emerso che gli interventi corretti attuati
nella prima ora dall’evento traumatico incidono in maniera significativa
sulla riduzione della mortalità e degli esiti invalidanti.
Le cause di morte e di danni permanenti nei traumatizzati sono dovute,
oltre che agli effetti diretti dell’impatto iniziale, anche all’instaurarsi di condizioni come l’ipossia, mancanza di adeguato apporto di ossigeno, l’ipercapnia, aumento di anidride carbonica nel sangue, l’ipotensione,
abbassamento della pressione arteriosa, oltre che alle conseguenze di
manovre e interventi effettuati in maniera non corretta.
Tutti i danni che sono conseguenza di manovre non eseguite o eseguite in modo scorretto, prendono il nome di DANNI SECONDARI.
Dato che la percentuale maggiore di decessi avviene prima dell’arrivo in
ambiente ospedaliero, appare evidente come uno degli obbiettivi da raggiungere sia quello di migliorare la qualità del soccorso nella fase iniziale.
Alla base di un buon risultato si pone il COORDINAMENTO di tutte le
azioni che vengono effettuate iniziando dalla fase di allertamento della
Centrale Operativa 118 concludendosi con l’arrivo del traumatizzato
presso una struttura ospedaliera adeguata pre il trattamento definitivo.
Tutti questi interventi sono riassunti nella cosiddetta
CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA DEL TRAUMATIZZATO
1
2
3
4
5
ALLARME
PRECOCE
TRIAGE
SUL POSTO
TRATTAMENTO
PRE-OSPEDALIERO
CENTRALIZZAZIONE
TRATTAMENTO
OSPEDALIERO
6
1. Attivazione tempestiva della Centrale 118.
2. Valutazione del numero delle persone coinvolte e della gravità delle
lesioni riportate in modo da poter garantire a ciascun ferito il soccorso
giusto al momento giusto.
3. Trattamento preospedaliero di base o avanzato in funzione del tipo di
mezzo inviato sul posto e prevenzione dei danni secondari
4. Trasporto nella struttura sanitaria più adeguata per il trattamento delle
lesioni del paziente.
5. Trattamento ospedaliero:
di esclusiva competenza dei sanitari ospedalieri.
Difficoltà connesse al trauma
L’attuazione completa dei protocolli risulta difficoltosa perché nell’ambito
delle emergenze sul territorio operano varie figure con caratteristiche professionali e tecniche non omogenee; esiste inoltre una impossibilità cronica di standardizzare gli interventi di emergenza traumatologica
adattandoli ad ogni situazione.
Ogni scenario in effetti presenta caratteristiche uniche con una serie di variabili che lo rendono diverso da ogni altro e che rendono impossibile o
comunque molto difficile l’applicazione stretta degli algoritmi.
Questo significa che le linee guida devono essere conosciute in modo perfetto per permettere al soccorritore di potervisi discostare in modo cosciente ogniqualvolta lo scenario lo richieda.
Molte sono le variabili che devono essere considerate durante il soccorso
ad un traumatizzato e tra esse possiamo citare:
• Luogo dell’intervento non agevole o pericoloso.
• Paziente non collaborante.
• Variabilità degli scenari (tipologia, gravità delle lesioni riportate
e numero di persone coinvolte).
• Condizioni meteo (notte, nebbia, freddo ecc.)
• Coinvolgimento emotivo sia dei soccorritori che degli astanti
7
Ne consegue che l’unica garanzia per effettuare azioni corrette è quella di
perseguire obbiettivi primari conosciuti da tutti coloro che sono chiamati
ad intervenire, ed acquisire, ognuno per le proprie competenze, la manualità e le conoscenze nell’uso delle tecniche e dei dispositivi frequentando
corsi teorico pratici specifici.
La formazione deve perseguire quindi i seguenti obbiettivi:
• Fornire la conoscenza per poter effettuare correttamente il primo
trattamento al traumatizzato.
• Addestrare i Soccorritori ad agire in situazioni di emergenza
traumatologica ricordando che la fretta nell’esecuzione di una
qualunque manovra presuppone la mancanza di un’attenta
valutazione.
• Uniformare gli interventi in modo che tutti i Soccorritori seguano i
protocolli riconosciuti attualmente più validi ed efficaci.
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IL POLITRAUMA
Per trauma in medicina critica, intendiamo qualsiasi evento causato da
una forza fisica che agisca provocando un danno all’organismo.
Molto spesso assimiliamo il concetto di trauma a quello di incidente stradale. In realtà, anche se nella nostro paese questo è spesso vero, ogni
agente fisico (calore, freddo, sostanze caustiche, armi da fuoco da taglio
o da punta, radiazioni ionizzanti) è capace di provocare traumi e quindi
traumatizzati.
Si definisce politraumatizzato un soggetto che ha subito due o più lesioni
a carico di organi od apparati diversi, almeno una delle quali talmente
grave da metterne in pericolo la vita.
Il primo trattamento al politraumatizzato è una delle emergenze più complicate da affrontare, perché la gravità delle lesioni riportate va a sommarsi
ad eventuali patologie già presenti in quel paziente.
La regola principale è quella di compiere un’attenta valutazione dello scenario prima d’intervenire ed intraprendere una qualunque manovra, per
non esporre a rischi sia i soccorritori che gli altri presenti ➨ AUTOPROTEZIONE.
Inoltre il desumere la dinamica dell’evento, può orientare circa i possibili
traumi riportati dalla vittima.
È molto importante che il soccorritore sia in grado di eseguire una corretta
valutazione, della gravità dei feriti, (triage, secondo anello della catena
della sopravvivenza) in modo da valutare l’adeguatezza numerica dei
mezzi di soccorso rispetto al numero di persone infortunate.
Con il termine “TRIAGE” si definisce l’identificazione delle priorità di trattamento di ogni ferito rispetto agli altri coinvolti nell’evento, in modo da ottimizzare le risorse.
Il triage possiede diverse connotazioni a seconda che si debba applicare
in condizioni di maxiemergenza o in condizioni in cui vi siano più persone
coinvolte in un evento che comunque può essere fronteggiato semplicemente con l’invio di un numero maggiore di mezzi di soccorso.
(vedi capitolo Triage a pagina 26).
9
La prevenzione dei danni secondari
Il principale obiettivo del BLS al traumatizzato è quello di prevenire i
danni secondari. Si definiscono danni secondari, tutte quelle lesioni che il
paziente riporta non a causa del trauma ma per l’instaurarsi di condizioni
che al trauma sono legate e che sono (o meglio sarebbero state) correggibili o addirittura evitabili da un soccorso extraospedaliero correttamente
eseguito.
Tra i principali danni secondari, vi sono l’ipotermia, le lesioni spinali,
l’ipotensione e l’ipossia. Sempre nell’ottica della prevenzione dei danni
secondari, esistono due tipi di approccio al traumatizzato che sono, come
vedremo più avanti, lo scoop and run e lo stay and play.
DANNO PRIMARIO e DANNO SECONDARIO: nel traumatizzato si possono avere quindi, due tipi di danno. Il primo è il cosiddetto danno primario, ovvero quello da imputare direttamente al trauma.
L’energia che entra in gioco nel trauma (spesso energia cinetica, ma anche
termica, ionizzante ecc.) agisce in modo lesivo sulla cute e viene trasferita
anche alle strutture sottostanti (muscoli, vasi, ossa, organi cavi ed organi
solidi) arrecandovi danni più o meno gravi in base alla quantità di energia,
al suo tempo di applicazione e alla resistenza del soggetto traumatizzato
(ad esempio un osso di un paziente anziano con osteoporosi sarà più facilmente fratturato da basse energie cinetiche rispetto a quello di un soggetto giovane senza osteoporosi). Il danno primario è causa di tutte le
morti immediate per trauma, cioè quelle del primo picco (50%) di mortalità
e di gran parte delle morti degli altri due picchi.
La restante parte delle morti possono e devono essere evitate dal personale sanitario, cominciando da quello che per primo soccorre il paziente.
I soccorritori (Medici, Paramedici, Volontari) possono ridurre queste morti
riconoscendo e trattando i danni primari (ad esempio una emorragia arteriosa o una ostruzione delle vie aeree), ma anche e soprattutto evitando
di provocare danni successivi con manovre eseguite scorrettamente o non
eseguite affatto (ad esempio non mantenere la posizione neutra, non somministrare ossigeno, ventilare o non intubare il paziente, non ricoprire con
metallina il traumatizzato).
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Per tutto quello che abbiamo fin qui detto, il compito di ogni soccorritore
su un paziente politraumatizzato è quindi quello di:
• allertare il sistema di emergenza intraospedaliera (mediante la C.O.)
per cercare di ridurre il più possibile le perdite di tempo che possono
ritardare le cure definitive ➨ GOLDEN HOUR!
• prevenire i danni secondari eseguendo correttamente le manovre che
competono
• riconoscere, trattare e stabilizzare per quanto possibile i danni primari
derivati dal trauma.
L’equipe di soccorso e la definizione di ruoli
Vista la grande difficoltà nella gestione di uno scenario di trauma, l’equipe
di soccorso deve, già al momento della chiamata, definire i ruoli dei propri
componenti. La squadra deve agire coordinata dal Team Leader che ripartisce i ruoli all’interno della stessa.
Caratteristiche del Team Leader (T.L.):
• Il Team Leader è il volontario che dal primo momento dell’intervento
gestisce l’operato degli altri soccorritori, è la figura cardine della
squadra stessa che detta i ritmi alla squadra e le dà tranquillità.
• Dovrebbe essere il soccorritore più esperto e deve essere riconosciuto
come tale dagli altri membri della squadra.
• Durante l’intervento il Team Leader, oltre che dirigere il soccorso, effettua le valutazioni dello scenario dell’evento e le valutazioni primarie
sul paziente.
• Il Team Leader dovrebbe al rientro alla base, rianalizzare criticamente
le varie fasi dell’intervento sottolineando insieme a tutta l’equipe gli
aspetti positivi e quelli da correggere, senza colpevolizzare o accusare
il singolo componente ma cercando di trarre giusti insegnamenti per
tutta la squadra (debriefing).
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Negli interventi con mezzo di soccorso “medicalizzato”, il T.L. è ovviamente il medico.
Tutte le manovre devono essere svolte parlando con sicurezza e tranquillità, in maniera da infondere la stessa sicurezza ai colleghi.
Gli altri componenti della squadra di soccorso sono il 1° soccorritore (1°)
ed il 2° soccorritore (2°) nonché l’autista (A).
1° soccorritore: è il soccorritore che, coordinato dal T.L., si preoccupa
dell’immobilizzazione manuale della testa in posizione neutra fino al posizionamento dell’asse spinale.
Il suo posizionamento nel caso di paziente traumatizzato deve essere automaticamente a livello della
testa in modo da garantire
l’immobilizzazione del rachide cervicale (C-spine) in
posizione neutra.
Il 1° è anche tenuto a rimuovere il casco in collaborazione con il 2°.
2º soccorritore: è il soccorritore che, coordinato dal
T.L., si preoccupa del tamponamento delle emorragie
massive, dell’eventuale immobilizzazione della testa per la rimozione del
casco, del posizionamento del collare e di portare le attrezzature richieste
dal T.L.
Autista: collabora con il T.L. alla valutazione dello scenario già in fase di
avvicinamento in ambulanza, si preoccupa del posizionamento del mezzo
di soccorso in modo protettivo e accessibile ed infine collabora con l’equipe
di soccorso nelle manovre di mobilizzazione del ferito e nel fornire le attrezzature adeguate dall’ambulanza.
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SICUREZZA E AUTOPROTEZIONE SULLA SCENA DELL’EVENTO
La squadra di soccorso, deve tenere conto dei rischi che possono essere
presenti sulla scena in modo da poterli evitare.
In generale, dobbiamo:
• Individuare per quanto possibile, il pericolo studiando lo scenario.
• Adottare tutte quelle precauzioni comportamentali e strumentali adatte
ad evitare i possibili pericoli caso per caso.
L’esperienza ci insegna che ogni intervento di soccorso può presentare
pericoli potenziali o reali. In particolare, gli interventi in ambienti contaminati da materie pericolose quali gas infiammabili o agenti chimici, per tentati suicidi, per soccorso ad alienati mentali, in zona a rischio elettrico, su
eventi sismici ecc..., sono da considerarsi ad alto rischio.
La gestione degli astanti
Chiunque si trovi sulla scena dell’intervento, non direttamente coinvolto
nè in possesso di una formazione specifica che lo riconduca alle operazioni di soccorso, costituisce un intralcio ed un pericolo potenziale per le
operazioni del soccorso stesso.
Quindi questi soggetti, devono essere messi in condizione di non nuocere,
ovvero devono essere tenuti a distanza dalla scena dell’evento, per impedire che vengano distrutte o manomesse “prove” (che possano servire alla
Polizia Giudiziaria), per ridurre il rischio di gesti inconsulti, ad esempio accendere una sigaretta in presenza di liquidi infiammabili, per limitare la loro
stessa esposizione ai rischi dello scenario.
Per ottenere l’attenzione necessaria ed il rispetto di quanto impartito, occorre prima di tutto essere riconoscibili, quindi indossare un abbigliamento
identificabile, ed avere atteggiamento calmo ma fermo ed autoritario.
Ricordarsi che la persona che si ferma per curiosare, spesse volte non è
conscia dei rischi a cui va incontro.
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Il soccorso a pazienti su vetture incidentate
In caso di incidente stradale altri pericoli per la squadra di soccorso possono derivare dal veicolo stesso. Alcuni dispositivi della vettura possono
compromettere l’intervento se non addirittura causare lesioni ai soccorritori; per evitare ciò è bene fare attenzione a:
Marmitta catalitica, questo tipo di marmitta, in condizioni di esercizio raggiunge gli 800°C, temperatura che può facilmente far incendiare l’eventuale carburante fuoriuscito o le sterpaglie sotto al veicolo.
In caso di veicolo ribaltato dobbiamo porre la massima attenzione a non
entravi in contatto; se raffreddate rapidamente possono esplodere.
Airbag, dispositivo di protezione posizionato sullo sterzo o sul cruscotto
ed azionato da sensori; qualora ci si trovi a lavorare in un abitacolo con
airbag inesplosi è bene cercare di ridurre al minimo i rischi sapendo che il
propellente di questi dispositivi è in grado di far gonfiare il pallone in circa
150 millisecondi.
Pertanto è utile:
•
•
•
•
Disinserire la chiave dal quadro,
Portare il sedile in posizione arretrata,
Non eseguire lavori di taglio sulla superficie dell’airbag
Scollegare la batteria non serve a disattivare gli airbag.
Windowbag, dispositivo di protezione posizionato sul montante degli sportelli, si attiva con un meccanismo simile a quello degli airbag.
La messa in sicurezza si esegue come per gli airbag.
Roll Bar, sono dispositivi presenti su tutte le auto cabriolet, su alcune vetture sono a scomparsa e si azionano, fuoriuscendo da dietro i sedili posteriori, in caso di ribaltamento del veicolo.
Massima attenzione nello spostamento e nel riallineamento del mezzo cabriolet se i roll bar non sono usciti.
14
BLS AL TRAUMATIZZATO
Il BLS nel trauma si avvale dei principi già affrontati e acquisiti nel BLS e
nel P-BLS. Anche esso prevede un algoritmo semplice organizzato a punti
che devono essere eseguiti in sequenza senza ometterne alcuno o invertirne l’ordine.
Ogni punto dell’algoritmo inizia con una valutazione a cui segue una
azione. Non possiamo procedere al punto successivo se non si è efficacemente eseguito il punto precedente.
Il BLS nel trauma si compone di una VALUTAZIONE RAPIDA e di una
VALUTAZIONE PRIMARIA.
Valutazione Rapida è una valutazione che si esegue nei pazienti proni o
incarcerati in auto per decidere se eseguire una estricazione rapida (paziente che ha compromessa una o più funzioni vitali) o convenzionale
(paziente apparentemente stabile) e che precede la Valutazione Primaria,
non la sostituisce.
La valutazione rapida prevede una sommaria valutazione dello stato di coscienza, della presenza di respiro e della presenza di polso radiale che ci
permettono di avere un quadro iniziale della gravità del trauma.
Negli altri casi, pur essendo possibile un primo approccio con la valutazione rapida, si preferisce eseguire direttamente la valutazione primaria.
1. C-spine: è immobilizzazione manuale della testa: il 1° blocca la testa
del paziente e la porta in posizione neutra. Unica eccezione per la quale
non è necessario l’immobilizzazione della testa è il paziente con ferita penetrante semplice.
2. T.L. valuta la coscienza toccando e chiamando la vittima come per svegliarlo, controlla l’attività respiratoria, il polso radiale e sulla base di queste
valutazioni decide sulle manovre da effettuare.
3. Tamponamento emorragie: il 2° blocca eventuali emorragie massive.
4. Indipendentemente dallo stato di coscienza, il T.L. deve rilevare e comunicare immediatamente alla C.O. (118) eventuali tipi di trauma che pos-
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sono compromettere l’attività respiratoria quali:
-
Lesioni maxillo-facciali
Ustioni del volto e delle Vie Aeree
Deviazione della Trachea
Eccessivo gonfiore delle vene giugulari
Lacerazioni o ferite profonde al collo
5. Immobilizzazione della testa:
il 2° soccorritore posiziona il collare.
6. Posizionamento:
il paziente viene posizionato sull’asse spinale o sul cucchiaio
(il posizionamento può avvenire subito o successivamente
a seconda dell’evento traumatico).
7. TL esegue la Valutazione Primaria.
Valutazione primaria (primary survey)
La valutazione primaria deve essere sempre eseguita sul paziente traumatizzato, anche se precedentemente si è applicato la Valutazione Rapida. È il T.L. ad eseguirla, aiutato dal 1° e dal 2°.
A. Valutazione dello stato di coscienza
Si esegue con il 1° che sta già garantendo il C-Spine, chiamando e toccando la vittima.
• allertare il 118 se incosciente
• posizionare il paziente supino
(vedi capitolo manovre di mobilizzazione del ferito)
• mantenere la posizione neutra
• scoprire il torace
• posizionare il collare cervicale
• T.L. controlla la pervietà delle vie aeree, solleva la mandibola e,
se necessario posiziona una cannula oro-faringea.
• controllo delle emorragie arteriose, in questa fase il medico può
decidere per l’intubazione oro-tracheale.
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B. Valutazione del respiro
Si esegue in modo diverso nel paziente cosciente e non cosciente.
Paziente cosciente:
• Il T.L. somministra ossigeno ad alto flusso 8/12 litri al minuto.
• Il T.L. scopre o fa scoprire il torace al paziente (se non già fatto prima)
per individuare eventuali traumi e per rilevare la frequenza respiratoria
e la simmetria dei movimenti del torace (OPACS).
OSSERVA
➨ Sollevamento del torace, se asimmetrico
e/o presenta avvallamenti: pericolo
PALPA
➨ Movimento ed instabilità della regione toracica:
pericolo
ASCOLTA
➨ Rumori respiratori
CONTA
➨ Frequenza respiratoria,
se maggiore di 20 atti al minuto: pericolo
SATURIMETRIA
➨ Se inferiore al 90% con ossigeno ad alti flussi:
pericolo
Paziente non cosciente:
Il T.L. valuta l’attività respiratoria e la presenza dei segni di circolo attraverso la manovra del G.A.S. per 10”
Respiro Presente:
Il T.L. effettua O.P.A.C.S. e somministra ossigeno ad alto flusso 8/12
litri al minuto.mantenendo la pervietà delle vie aeree.
Respiro Assente ma segni di circolo presenti:
Il T.L. effettua le ventilazioni 12 atti al minuto, (paziente immobilizzato su
asse spinale), altrimenti le effettua il 1° soccorritore garantendo il
C-Spine con la testa tra le sua ginocchia.
Respiro e segni di circolo assenti:
massaggio cardiaco con rapporto 30/2. La sequenza si ferma a questo
punto fino al ripristino delle funzioni vitali.
In questa fase il medico può decidere per l’intubazione oro-tracheale.
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C. Valutazione del circolo
Indipendentemente dallo stato di coscienza, valutata la presenza di emorragie secondarie e colorito ed eventuale sudorazione della cute, nel
trauma è prioritario rilevare la presenza del polso radiale: è importante rilevare e comunicare alla C.O. la presenza di condizioni che possono compromettere l’attività cardiaca quali:
• Frequenza cardiaca in un adulto maggiore di 100 battiti al minuto.
• Polso radiale non percettibile
(pressione arteriosa massima < 80 mmHg).
Dopo aver valutato questi due parametri l’algoritmo si divide a seconda
dello stato di coscienza:
Paziente cosciente:
Dopo aver valutato la frequenza cardiaca (polso radiale o carotideo)
si passa al punto “D”.
Paziente non cosciente:
• Se il polso radiale è assente (paziente che respira)
il T.L. verifica la presenza del polso carotideo.
• Polso carotideo presente: (solo per valutazione frequenza cardiaca)
se l’attività respiratoria era assente, si continua con la ventilazione a
12 atti al minuto altrimenti si passa al punto “D”.
Occorre rilevare che il controllo del polso carotideo, effettuato soltanto in assenza del polso radiale, HA L’UNICO SCOPO DI RILEVARE
LA FREQUENZA CARDIACA ED EVENTUALMENTE IL TIPO DI
POLSO, E NON L’ATTIVITÀ CARDIACA.
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D. Disability
Questo punto dell’algoritmo prende in considerazione lo stato neurologico
in modo più fine, in modo da capire se lo stato di coscienza sia più o meno
compromesso. Gli operatori sanitari utilizzano per questo tipo di valutazione il Glasgow Coma Score, una scala a punteggio che è ormai internazionalmente adottata.
Per i soccorritori non sanitari, appare più semplice e comunque affidabile
l’utilizzo della scala AVPU.
A = ALERT: Il paziente è sveglio, ha gli occhi aperti, è collaborante
e risponde in maniera chiara e precisa a semplici domande:
•
•
•
•
Come si chiama ?
Dove abita ?
Cosa è successo ?
Che giorno è oggi ?
V = VERBAL: Il paziente ha gli occhi chiusi, ma li apre allo stimolo
verbale, risponde alle domande ma è confuso o tende a riassopirsi.
P = PAIN: Il paziente non risponde alle domande ma risponde allo
stimolo doloroso sul nervo infraorbitario (posto tra il terzo medio e quello
mediale dell’arcata sopraccigliare sulla piccola depressione che si trova
a questo livello e che si può apprezzare con la palpazione).
U = UNRESPONSIVE: Il paziente non risponde allo stimolo doloroso.
È evidente che procedendo da A ad U, si ha un grado di compromissione
della coscienza crescente. Dobbiamo anche tener presente che il livello
di coscienza di un traumatizzato durante un soccorso può essere fluttuante, in genere aggravandosi se le condizioni endocraniche o cardiorespiratorie si aggravano (vedi capitolo sul trauma cranico).
19
E. Exposure
In questa fase si cercano rapidamente ma sistematicamente lesioni attribuibili all’evento traumatico, in modo da avere un’idea complessiva dello
stato del paziente e poterlo riferire alla centrale operativa.
• Il T.L. spoglia o fa spogliare il paziente (tagliando i vestiti dall’alto verso
il basso) per individuare eventuali altri traumi e ferite da trattare, inizia un
rapido esame della testa, poi passa al torace, all’addome, al bacino, ai genitali ed infine agli arti.
• Ricopre il paziente con un telo termico per prevenire l’ipotermia.
Il T.L. comunica la situazione al 118 ripercorrendo i punti secondo lo
schema usato per la loro rilevazione ovvero A - B - C - D - E, predispone,
se non già fatto l’immobilizzazione del paziente (asse spinale, materasso
a depressione, steccobende, etc.) prepara per il ricovero ospedaliero del
paziente, ricordandosi di tenere sempre sotto controllo lo stato di coscienza, il respiro ed il polso, riferendo al 118 eventuali variazioni del quadro
clinico durante il tragitto.
OGNI VOLTA CHE SI NOTANO SOSTANZIALI CAMBIAMENTI (in senso
peggiorativo) DI QUALUNQUE PARAMETRO VITALE (COSCIENZA RESPIRO CIRCOLO) DURANTE LA VALUTAZIONE PRMARIA O DURANTE
IL TRASPORTO DOBBIAMO RIPARTIRE DACCAPO CON LE VALUTAZIONI DELL’ABCDE, AVVERTENDO IMMEDIATAMENTE LA C.O. DEL
CAMBIAMENTO CLINICO.
20
Dinamica del trauma
Durante un intervento di soccorso ad un traumatizzato dobbiamo prendere
in considerazione contemporaneamente alla Valutazione Primaria anche
come si è svolto l’evento traumatico, quali sono state le forze in gioco e
come hanno agito sul paziente. È infatti noto come a fronte di un apparente
mancanza di lesioni esterne di un paziente, se c’è stata la presenza di alcuni fattori dinamici durante il trauma, il paziente debba essere considerato
un politraumatizzato fino a prova contraria e quindi centralizzato in un
ospedale adeguato. Questo tipo di fattori dinamici, fanno definire il trauma
come a dinamica maggiore.
Anche la C.O. cerca di sapere dalla chiamata di allarme se vi siano a priori
uno o più di questi fattori in quanto ciò aiuta a definire il codice di gravità
e l’invio di un mezzo adeguato (medicalizzata ed eventualmente elisoccorso) anche se il ferito è apparentemente illeso.
Sono eventi a dinamica maggiore:
•
•
•
•
•
•
•
•
caduta da oltre 5 metri di altezza
presenza di persone decedute nello stesso veicolo
proiezione all’esterno dell’abitacolo
arrotamento
necessità di estricazione prolungata (20 minuti)
età inferiore a 5 anni o superiore a 55 anni
frontale su strada statale
bicicletta/moto contro auto/camion
È quindi importante, durante il soccorso, rendersi conto della dinamica del
trauma, compreso anche l’entità della deformazione dei veicoli ed il tipo
di veicoli coinvolti nella scena, comunicandoli insieme al risultato della Valutazione Primaria alla C.O.
21
Le due scelte sul campo: scoop and run o stay and play?
I soccorritori che si trovano di fronte ad un traumatizzato, alla fine della
valutazione primaria hanno la necessità di prendere la decisione più importante: immobilizzare il paziente e dirigersi rapidamente verso l’ospedale
(adeguato) oppure rimanere sulla scena per cercare di stabilizzare ed eseguire il primo trattamento terapeutico del paziente prima di ospedalizzarlo.
Queste due filosofie di comportamento sono, per il personale non medico,
dettate dalla C.O. 118 che, in base alla relazione della Valutazione Primaria decide se far trasportare rapidamente il traumatizzato dall’ambulanza non medicalizzata oppure se inviare sulla scena una ambulanza
medicalizzata ed eventualmente anche l’elisoccorso.
In linea di massima, tutte le situazioni non stabilizzabili (lesioni penetranti
del torace o dell’addome, emorragie arteriose esterne o interne) sono indicazioni assolute per lo scoop and run anche in presenza di un medico
sulla scena, in quanto la stabilizzazione del paziente potrà essere ottenuta
solamente all’interno dell’ospedale.
In molti casi di emorragia incontrollabile, si preferisce non iniziare nemmeno la fluidoterapia per guadagnare tempo da poter utilizzare in ospedale, ben sapendo che le infusioni sul territorio non sarebbero comunque
sufficienti a garantire un rimpiazzo volemico adeguato.
22
La triade della morte
Con questo termine si indicano i tre fattori maggiormente responsabili della
morte del traumatizzato, che sono causa di danno secondario.
Essi sono ipossia, ipotensione, ipotermia.
Se il modo migliore di evitare il primo fattore è evidente, dobbiamo dire
che spesso nel tentativo di evitare il secondo possiamo causare il terzo.
La fluidoterapia massiva, infatti, se da un lato può migliorare l’ipotensione, sicuramente peggiora la condizione ipotermica del traumatizzato
soprattutto se vengono infusi fluidi non riscaldati o peggio ancora freddi.
Per questa ragione, i fluidi in ambulanza dovrebbero essere riscaldati ed
è norma essenziale non mantenere le flebo in ambulanza nel periodo invernale lasciandole all’interno della sede per poterle poi infondere almeno
a temperatura ambiente.
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APPROCCIO AL TRAUMATIZZATO
SICUREZZA AMBIENTALE
VALUTAZIONE PRIMARIA
NO
SI
PAZIENTE STABILIZZABILE ?
VALUTAZIONE SECONDARIA
IMMOBILIZZAZIONE
TRASPORTO/CENTRALIZZAZIONE
24
SCOOP
AND
RUN
APPROCCIO AL TRAUMATIZZATO INCARCERATO
SICUREZZA AMBIENTALE
VALUTAZIONE RAPIDA
ESTRICAZIONE RAPIDA O CONVENZIONALE
VALUTAZIONE PRIMARIA
PAZIENTE STABILIZZABILE ?
SI
VALUTAZIONE SECONDARIA
IMMOBILIZZAZIONE
TRASPORTO/CENTRALIZZAZIONE
25
NO
SCOOP
AND
RUN
Valutazione secondaria
La valutazione secondaria segue logicamente quella primaria e può essere
eseguita dal medico solo dopo la primaria e solo se il paziente è stato
stabilizzato durante quest’ultima. In tutti gli altri casi, una volta immobilizzato adeguatamente il paziente dobbiamo procedere alla centralizzazione
nell’ospedale adeguato (comunicato dalla C.O.)
La Valutazione Secondaria ha lo scopo di rivalutare i parametri vitali,
di raccogliere alcune informazioni dello stato di salute del paziente (allergie, terapie farmacologiche, patologie di base, ultimo pasto) e di eseguire
un esame testa-piedi più approfondito di quello fatto al punto E della Valutazione Primaria per poter decidere quale sia la struttura adeguata per
il suo ricovero.
Essa prevede:
1.
2.
3.
4.
Rivalutazione continua dell’ABCD
Esame completo accurato testa - piedi
Verifica della dinamica dell’incidente
Raccolta delle informazioni sanitarie (malattie, farmaci, allergie)
Dobbiamo ribadire che questa fase del soccorso extraospedaliero da
parte dei soccorritori non è necessaria e che deve essere eseguita
solo da personale medico o paramedico e solo se il paziente è stabile.
Per completezza, abbiamo deciso di riportare in questo manuale anche
questa fase, anche in considerazione che il soccorritore può e deve aiutare
il sanitario nella sua esecuzione, Il soccorritore comunque deve “monitorare “il paziente durante il trasporto in ospedale perché come sappiamo il
paziente vittima di trauma è soggetto al “rischio evolutivo".
26
IL TRIAGE
Il termine triage ha origine antica, essendo il termine con il quale in Oriente
si indicava la scelta delle sete più pregiate da parte dei mercanti. Successivamente, in epoca napoleonica, il termine è stato applicato alla scelta o
meglio all’attribuzione della priorità di trattamento medico dei soldati feriti
in battaglia, in modo che il maggior numero possibile potesse essere curato in modo efficace e recuperato per tornare al fronte.
In ambito civile, questo termine indica un metodo di lavoro che deve essere applicato in modo sistematico per scegliere, attribuendo una priorità
di trattamento, chi debba essere visitato e curato per primo in un pronto
soccorso.
Ogni tipo di triage si basa sull’applicazione di schemi di valutazione che
devono produrre una codifica di gravità che classicamente è di tipo numerico o cromatico (ad esempio codice 1-2-3-4 o bianco-verde-giallorosso). Ogni operatore o mezzo di soccorso chiamato ad eseguire triage
su maxiemergenze o catastrofi deve avere a disposizione apposite targhette con numeri di codice o codici di colore per poter etichettare ogni
paziente rendendo immediatamente evidente anche ai successivi soccorritori l’attribuzione del codice di triage. In ambito intraospedaliero ma anche
extrao-spedaliero vi sono due metodi di triage che trovano applicazione
diversa e che si differenziano in base all’effettiva grandezza del numero
di feriti da curare rispetto alla capacità di trattamento della struttura stessa.
Ad esempio un pronto soccorso opera quotidianamente con un metodo di
triage per gestire i propri accessi, ma dovrà adottare un diverso metodo di
triage nel caso di un massiccio afflusso di feriti per una catastrofe.
In questo caso infatti, il triage non stabilirà solo quale paziente verrà trattato per primo ma anche quale paziente sarà così grave e con così poche
possibilità di sopravvivenza da non poter e non dover essere trattato per
non precludere risorse a coloro che si gioveranno sicuramente delle
stesse. Anche nell’emergenza territoriale il triage si applica in modo duplice: esiste un triage che il medico applica quando si trova di fronte ad un
numero di feriti discreto, con la possibilità per tutti di ricevere un trattamento anche se non contemporaneo, mediante la richiesta e l’invio di più
mezzi di soccorso. In questo caso il triage serve a stabilire quale paziente
abbia necessità del trattamento immediato e quale possa attendere l’arrivo
27
dei successivi mezzi di soccorso. Questo tipo di triage è quello che più frequentemente viene applicato in emergenza territoriale (ad esempio in un
incidente stradale con più di un ferito).
Quando però, nello stesso incidente stradale vi siano molti feriti che per la
gravità delle lesioni richieda un sostegno immediato delle funzioni vitali,
e vi sia solo un equipaggio sulla scena, si deve introdurre il concetto di
maxiemergenza e conseguentemente cambiare tecnica di triage, stabilendo quale paziente trattare e quale no.
Questo metodo di triage è quello che si applica anche quando il numero
di feriti da trattare diviene talmente grande da creare per un tempo più
lungo, una sproporzione con le risorse disponibili al loro trattamento.
In questo caso si parla di catastrofe o, nel mondo anglosassone, di disastro. Il termine catastrofe, infatti indica un evento dannoso per la comunità,
che crea uno sconvolgimento dell’ordine delle cose, della salute e dell’economia all’interno di essa.
Protocolli di triage: è l’insieme di parametri che l’operatore deve considerare per applicare il processo di triage stesso.
Esistono diversi protocolli di triage che si applicano per l’ambito intra o extraospedaliero, per la maxiemergenza o la catastrofe e che variano a seconda della nazione che consideriamo.
Ogni protocollo di triage deve rispondere a esigenze precise come:
- facile memorizzazione
- rapida esecuzione
- elevata riproducibilità da parte di operatori con diversa tipologia e grado
di preparazione
- attendibilità nell’individuazione delle priorità di trattamento
Lo scopo di questo capitolo, comunque, non è quello di addestrare e preparare il soccorritore volontario al triage, in quanto esso è e deve rimanere
un compito che spetta agli operatori sanitari professionali, per la sua delicatezza e per l’importanza delle decisioni di vita e di morte. Per questa ragione, anche se a mio avviso il protocollo di triage italiano non rappresenta
il protocollo più valido a disposizione, sarà quello presentato in questo libro
in quanto ha il vantaggio di non prevedere la constatazione dei decessi
sul campo e quindi può, in casi estremi, essere applicato anche da soccorritori non professionali.
28
C.E.S.I.R.A.
IL PAZIENTE
CAMMINA ?
SI
VERDE
NO
È PRIVO DI
COSCIENZA ?
SI
ROSSO
NO
GRAVI
EMORRAGIE ?
SI
ROSSO
NO
SI
ROSSO
SHOCK ?
NO
INSUFFICENZA
RESPIRATORIA ?
SI
ROSSO
NO
ROTTURE
OSSEE ?
SI
GIALLO
NO
ALTRE
LESIONI ?
SI
GIALLO
Il protocollo italiano CESIRA suddivide in tre
classi di triage i pazienti.
Le valutazioni che devono essere fatte corrispondono alle iniziali
dell’acronimo CESIRA.
Esso prevede la valutazione della coscienza,
della presenza di emorragie gravi, dello stato
di shock, della presenza
di insufficienza respiratoria, di rotture e di altre
lesioni, attribuendo codici:
verde (urgenza dilazionabile nel tempo) a
rosso (emergenza con
necessità immediata di
trattamento).
Come già detto, il protocollo CESIRA non prevede pazienti da non
trattare per le loro condizioni particolarmente
gravi.
Questo protocollo è di scarsa o nulla utilità nel triage delle maxiemergenze sia intra
che extraospedaliere dove il triage è eseguito da personale professionista.
29
S.T.A.R.T.
Un altro metodo utilizzato dal sistema 118 Soccorso per effettuare Triage
a livello extraospedaliero è lo S.T.A.R.T., acronimo di Simple Triage And
Rapid Treatment (“Criteri di massima per l’organizzazione dei soccorsi sanitari nelle catastrofi” G.U. serie generale n. 81 del 6 aprile 2001) che fornisce ai soccorritori un semplice approccio passo-passo (step-by-step),
per valutare in breve tempo un grande numero di pazienti. Il metodo
S.T.A.R.T., infatti, consente un triage estremamente rapido (max 30 secondi a paziente), è semplice, facile da ricordare e da eseguire, tanto da
essere uno dei metodi di triage extraospedaliero più diffusi in Italia e nel
Mondo. Il metodo S.T.A.R.T,, inoltre, è adatto a Team misti di professionisti Medici, Infermieri, e Soccorritori Volontari, e si presta ad essere efficacemente utilizzato in tutti i casi in cui si renda necessario in ambiente
extraospedaliero eseguire un triage (luogo evento, P.M.A, fase di ospedalizzazione). Il personale, sanitario e non, addetto al triage, assume un ruolo
molto particolare, poiché deve avere la capacità di riconoscere, in tempi
molto limitati, la gravità delle condizioni dei coinvolti, applicando un metodo
oggettivo e scarsamente condizionato dall'operatore.
I codici di criticità attribuiti ai pazienti secondo i vari tipi di triage sono di
tipo numerico o codici colore, come espresso nella tabella che segue:
Codice colore Priorità
ROSSO
1
GIALLO
2
VERDE
3
Descrizione
Pazienti con lesioni che li pongono in immediato rischio
di vita ma che possono essere trattate con successo
Pazienti con lesioni potenzialmente pericolose ma che
al momento non mettono a rischio la vita del paziente
Pazienti con lesioni non gravi che possono
avere un trattamento dilazionabile
NERO
4
Pazienti deceduti
Gli strumenti indispensabili per un triage efficace ed efficiente sono contenuti nel kit ambulanza contenente: fascette colorate per l'attribuzione del
codice colore, penne, torce e D.P.I. (dispositivi di protezione individuale).
Le squadre di triage impegnate sul cantiere apporranno ai pazienti le fascette del colore appropriato.
Per applicare il metodo START il soccorritore deve porsi 4 semplici domande ed eseguire se necessarie solo poche manovre salvavita.
30
START
IL PAZIENTE PUÒ
CAMMINARE ?
SI
VERDE
NO
IL PAZIENTE
RESPIRA ?
NO
LIBERA
VIA AEREE
NO
BLU
SI
ROSSO
SI
ATTI RESPIRATORI
MINORI DI 30 AL MINUTO
ATTI RESPIRATORI
MAGGIORI DI 30 AL MINUTO
POLSO RADIALE
PRESENTE
NO
ROSSO
SI
NO
ROSSO
SI
GIALLO
ESEGUE ORDINI
SEMPLICI ?
31
LE MANOVRE DEL TRAUMA
Accanto alle conoscenze teoriche che sono elemento fondamentale nel
supporto vitale al traumatizzato, devono essere acquisite abilità pratiche
che riguardano l’estricazione, l’immobilizzazione ed il trasporto del paziente politraumatizzato.
Per tale ragione, in questa sezione sono riportate in modo dettagliato e
preciso le principali manovre che possono essere necessarie durante la
gestione del traumatizzato.
Sono convinto che quelle che seguono non rappresentano l’unica modalità
per gestire e mobilizzare un paziente traumatizzato ma sono comunque
un mezzo scientificamente rigoroso per uniformare i comportamenti delle
varie realtà locali del soccorso.
È il Team Leader che decide l’esecuzione di ogni manovra da eseguire,
adattandola caso per caso allo scenario che si trova a dover gestire.
33
Estricazione rapida
Obiettivo:
a. rimozione dall’auto di un ferito che
presenta alterazione di uno o più dei
parametri vitali.
b. rimozione di un ferito dall’auto per
accedere ad un altro ferito che presenta alterazione di uno o più dei parametri vitali.
c. rimozione di un ferito in presenza
di un rischio evolutivo
Modalità di esecuzione:
Fig. 1
T.L., 1°, 2° soccorritore, Autista.
L’estricazione deve essere conclusa
in 60”. Dopo l’esecuzione della valutazione rapida, il 1° si posiziona all’esterno della vettura e mantiene la
testa in posizione neutra mentre.(Fig. 1)
Il T.L. disinserisce la chiave dal quadro, se non già disinserita dall’autista.(Fig. 2)
Fig. 2
34
Fig. 3
Fig. 4
Il 2° posiziona il collare cervicale
entrando dalla parte opposta
dell’abitacolo (se questa non
fosse accessibile, il compito
spetta al T.L.) mentre il T.L. sposta il paziente delicatamente in
avanti per facilitare l’inserimento
del collare. (Fig. 3-4)
Mentre il T.L. ed il 1° si preparano all’inizio dell’estricazione, il
2° si accerta della mobilità degli
arti inferiori del paziente. (Fig. 5)
Fig. 5
35
Fig. 6
T.L. e 1° cominciano la rotazione
mentre il 2° solleva e ruota gli arti inferiori (Fig. 6).
A questo punto il 2° raggiunge gli altri
due soccorritori e aiuta l’estricazione
del paziente prendendo la parte destra mentre l’autista “zeppa” l’asse
spinale tra il sedile e i glutei del paziente.
Fig. 7
Quindi, mentre l’autista tiene saldamente l’asse spinale, e il 1° mantiene
la testa in posizione neutra, il T.L.
adagia il paziente sull’asse. (Fig. 7)
36
Fig. 8
Mentre l’autista
tiene saldamente
l’asse spinale, e
il 1° mantiene la
testa in posizione neutra, il
T.L. aspetta il 2°
per
prenderlo
sotto alle ascelle
e farlo scivolare
sull’asse in modo
che la testa arrivi
sul cuscino dell’asse spinale.
(Fig. 8-9)
Fig. 9
37
Estricazione convenzionale
Obiettivo:
rimuovere in sicurezza un ferito dall’auto immobilizzandolo con un corsetto
estricatore (uno dei più diffusi è il Kendrik Extrication Device).
Per la complessità della manovra e per il tempo necessario al corretto posizionamento del KED (Fig. 1), l’estricazione convenzionale deve essere riservata a situazioni stabili dal punto di vista della sicurezza dello scenario
e da quello dei parametri vitali del paziente, che non deve, inoltre, presentare lesioni evolutive.
Per poter eseguire l’astricazione convenzionale, dobbiamo inoltre, avere
piena accessibilità al mezzo incidentato, preferendo, in caso contrario
l’estricazione rapida.
Fig. 1
38
Fig. 2
Modalità di esecuzione:
T.L., 1°, 2° soccorritore, Autista.
L’estricazione deve essere conclusa in
4-5 minuti.
Fig. 3
Il 1° entra in auto e mantiene la testa
dell’infortunato in posizione neutra diventando il leader di manovra. (Fig 2-3)
39
Fig. 4
Il T.L. sposta delicatamente il torace del paziente in avanti per facilitare l’inserimento del collare
da parte del 2° (Fig. 4-5)
Fig. 5
Fig. 6
Una volta applicato il collare cervicale, il 2° si porta dal lato del
paziente e si prepara all’inserimento del KED in modo che l’ala
del corsetto risulti piegata verso
l’esterno e non si incastri nello
schienale. (Fig. 6)
40
Una volta inserito il KED fino in fondo al sedile, il 2° apre l’ala piegata e si
riporta dalla parte opposta dell’abitacolo, nel veicolo in modo da completare il posizionamento del KED assieme al T.L. Il 2° ed il T.L. adagiano il
paziente sul corsetto, fissano la testa con le due cinghie facendole passare
dalla fronte e dalla mentoniera del collare, ed agganciandole incrociate sul
velcro del corsetto. (Fig 7, 8,9,10)
Fig. 7
Fig. 8
Fig. 9
Fig. 10
41
Fig. 11
Se necessario è possibile inserire tra
il corsetto e la testa del pazienti l’apposito guancialino di corredo per
mantenere la posizione neutra
Il T.L. ed il 2º agganciano le cinghie
addominali dall’alto verso il basso.
(Fig. 11)
e successivamente passano i cosciali
sotto le gambe del paziente e li agganciano stringendoli in modo incrociato. (Fig 12)
Fig. 12
Fig. 13
Nel caso di sospetta frattura del bacino i cosciali vengono fissati in modo
diretto, non incrociato.
Il T.L. stringe le cinghie addominali
dall’alto verso il basso avendo cura di
rincalzare l’eccesso delle cinghie in
modo da non intralciare le manovre di
estricazione. (Fig. 13)
42
Fig. 14
Fig. 15
Fig. 16
Il 2° sposta le gambe dell’infortunato mentre il T.L. e il 1° (uscito dall’abitacolo)
cominciano la manovra di rotazione e di
abbassamento del tronco in modo da rendere possibile il superamento del montante
dello sportello. (Fig 14-15).
Fig. 17
43
L’autista al
momento
della completa rotazione
del
paziente inserisce
l’asse spinale tra i
glutei e il sedile. (Fig 16-17)
Quando il paziente risulta sdraiato sui sedili, il 2º si porta dalla parte della
testa e aiuta il T.L. alla estrazione del paziente mentre il 1º continua a tenere la testa per limitarne i movimenti. (Fig 18)
Fig. 18
Una volta che la vittima viene adagiata sull’asse spinale, dobbiamo allentare le cinghie cosciali e anche quelle addominali per facilitare la respirazione.
44
La manovra di Rautek
La manovra di Rautek rappresenta una soluzione estrema nel campo
dell’estricazione dal veicolo di un paziente traumatizzato.
Essa è stata pensata e studiata per evacuare un ferito in condizioni di scenario non stabilizzato e pertanto contraddice il dogma dell’autoprotezione
del soccorritore, e come tale non deve essere messa in pratica dall’equipaggio dell’ambulanza.
Per volere della Regione Toscana, in ogni caso, deve fare parte della formazione del soccorritore volontario che dovrà comunque preferire l’estricazione rapida con asse spinale nei casi in cui lo scenario sia stabile e
sicuro.
Negli altri non dovrà avvicinarsi alla scena se non quando essa sia divenuta o resa sicura dal personale competente (VV.FF, CC,VV.UU. ecc.).
• La manovra di Rautek non offre alcun tipo di garanzia di allineamento
testa-collo-tronco per l’infortunato esponendolo a rischi reali di danni secondari.
• Questa manovra è oltremodo faticosa e rischiosa anche per il soccorritore che si troverà a dover sollevare, ruotare e sostenere da solo il peso
del paziente, con ulteriore rischio di trauma per la coppia soccorritore-paziente.
• In questa ottica di sicurezza per soccorritori e ferito, l’uso della manovra
di Rautek è da abbandonare nell’ambito del soccorso riservandolo solo a
quelle situazioni in cui non vi sia disponibile un’asse spinale (e quindi non
vi sia un mezzo di soccorso) e in cui vi sia uno scenario stabile ma un paziente virtualmente incarcerato che necessiti di immediati trattamenti rianimatori.
• Questa manovra, di cui peraltro esistono alcune varianti, sta scomparendo da molti libri sul soccorso extraospedaliero al trauma sia statunitensi
che europei.
Per tutte queste ragioni, pratiche, di sicurezza, etiche e anche medico-legali deve essere sempre preferita l’estricazione rapida con asse spinale.
45
La manovra di Rautek effettuata da un
unico soccorritore che, dopo aver effettuato una valutazione rapida e controllato la
mobilità degli arti inferiori rispetto alle strutture del veicolo, si pone a lato del ferito facendo passare il proprio arto superiore
destro dietro le spalle dell’infortunato, sotto
l’ascella destra del medesimo ad afferrare il
polso sinistro. (Fig. 1, 2, 3)
Fig. 1
Fig. 2
L’altro braccio, fatto
passare al di sotto
dell’ascella sinistra
va ad afferrare ed
immobilizzare
la
branca mandibolare.
(Fig. 4)
Fig. 3
Fig. 4
46
L’estrazione avviene facendo compiere al
traumatizzato una rotazione sul sedile così
da presentare il paziente con le spalle alla
portiera. Nel caso che il ferito da estricare
sia dal lato opposto alla guida, la manovra
sarà la stessa ma con l’inversione degli arti
sia del soccorritore che del ferito.
(Fig. 5, 6, 7,8)
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 7
Fig. 8
47
Posizionamento del collare cervicale
Obiettivo:
mantenere l’allineamento del rachide cervicale nel paziente vittima di un
trauma. L’utilizzo del collare cervicale è obbligatorio i tutti i pazienti traumatizzati ad eccezione dei feriti da arma da taglio (a meno che le ferite
non riguardino ovviamente la regione del collo).
Modalità di esecuzione:
due soccorritori sia con il collare monovalva che con quello bivalva.
Fig. 1
Il 1º mantiene da dietro la posizione neutra spiegando al paziente
(se cosciente) cosa verrà fatto.
Il T.L. posiziona il collare monovalva impugnandolo per la zona
del mento e facendo passare la
parte posteriore da dietro la nuca
avendo cura di evitare sia i capelli
lunghi che i colli di giacche o giacconi e possibilmente anche pinze
fermacapelli e collane. (Fig. 1)
Una volta passato il collare, provvede a stringere la chiusura a velcro serrando in modo adeguato il collare attorno al collo. (Fig. 2-3)
Fig. 2
Fig. 3
48
Per valutare se il collare è correttamente stretto, dobbiamo far parlare il
paziente (se cosciente) e verificare l’impossibilità di muovere la mandibola.
In ogni caso, non deve essere possibile inserire un dito tra il collo ed il collare. Per l’inserimento del collare bivalve, il 1º mantiene la testa in posizione neutra mentre il T.L. posiziona la parte anteriore del collare. (Fig. 4-5)
Fig. 4
Fig. 5
Successivamente il T.L. inserisce la parte posteriore e la chiude sempre
con il velcro anteriormente. (Fig 6-7)
Fig. 6
Fig. 7
49
Fig. 8
Per ambedue i tipi di collare, esistono diverse misure (che devono essere
presenti in ambulanza), comprese quelle pediatriche.
Si trovano in commercio collari monovalva adattabili a più misure mediante
una levetta di sblocco che fa alzare la parte anteriore e posteriore del collare.
La misura corretta del collare è quella che deve permettere l’inserimento
conservando la posizione neutra della testa, poggiando con il suo margine
inferiore sul giugulo e con il suo margine superiore sulla mandibola anteriormente e sull’occipite posteriormente. (Fig. 8)
Un collare troppo basso tenderà a far flettere la testa in avanti, mentre uno
troppo grande farà estendere la testa all’indietro.
Il solo utilizzo del collare cervicale non garantisce un’adeguata immobilizzazione del radiale cervicale, perciò il mantenimento del C-spine deve
proseguire fino alla immobilizzazione definitiva con cunei e lacci fermacapo
su asse spinale.
50
Rimozione del casco
Obiettivo:
rimuovere il casco (motociclistico, da lavoro ecc...) nel paziente traumatizzato in modo da non esporre a rischi il rachide cervicale e rendere le
vie aeree disponibili per eventuali manovre; rendere immobilizzabile il paziente su asse spinale.
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
Modalità di esecuzione:
la rimozione del casco viene eseguita solo con paziente riportato in
posizione supina mediante manovra
di prono-supinazione. (Fig.1)
Il 1º mantiene la posizione neutra
della testa afferrando il casco dai lati
(Fig. 2)
e dà l’OK al 2º che, slacciato (o
tagliato) il sottogola, passa le mani
sotto al casco per afferrare l’occipite
e gli zigomi. (Fig 3-4)
51
Fig. 4
Fig. 5
La mano sull’occipite deve essere
posizionata in modo che le prime tre
dita aperte a ventaglio sostengano la
testa quando il casco verrà rimosso,
evitando l’estensione della stessa.
(Fig. 5)
Fig. 6
All’OK del 2° il 1° comincia a rimuovere il casco con movimenti alternati
in avanti e indietro in modo da evitare eccessive sollecitazioni alla
testa (Fig. 6-7) e avverte il 2° prima di rimuovere completamente il casco in
modo che si prepari a sorreggere la
testa.
Fig. 8
Fig. 7
Il casco può essere rimosso quando
la piramide nasale esce quasi completamente dal margine inferiore
della mentoniera.
Il 1° riprende la testa in posizione
neutra (Fig. 8) dando modo al 2° di posizionare il collare cervicale.
(vedi paragrafo su posizionamento
del collare cervicale).
52
Pronosupinazione (roll-over)
Obiettivo:
Riportare in posizione supina il ferito trovato prono in modo da poter applicare la valutazione primaria.
Modalità di esecuzione:
la manovra deve essere eseguita con tre soccorritori.
I soccorritori si posizionano dalla parte opposta rispetto a dove guarda il
paziente in quanto la rotazione avverrà dalla parte opposta rispetto a dove
è ruotata la testa.
Fig. 1
Il 1° si posiziona alla testa del
ferito inserendo le mani ai lati
della testa in modo da rendere
agevole il mantenimento della
posizione neutra durante la manovra.
Il T.L. ed il 2º si posizionano di
fianco con le mani incrociate a
livello della spalla, del fianco,
del bacino e delle gambe,
avendo cura di cingere anche il
polso con la mano del T.L. (Fig. 1)
Fig. 2
Al via del 1° il T.L. ed il 2° cominciano a ruotare di 90° il paziente. (Fig. 2)
53
Fig. 3
A questo punto il T.L. può prendere
la testa per dar modo al 1° di spostarsi più di lato e di riposizionarsi
per completare la manovra. (Fig. 3-4)
Tale manovra, non sempre si rende
necessaria.
Fig. 4
Fig. 5
Ripresa in mano la testa, il 1º dà il
via per completare il roll-over e
adagiare a terra il paziente. (Fig. 5-6)
Fig. 6
Da notare che le mani dei soccorritori, per adagiare a terra il ferito si
spostano verso la zona posteriore
del paziente per “frenare” la discesa
del corpo.
54
Pronosupinazione su spinale
Obiettivo:
Ruotare il paziente direttamente su asse spinale.
Modalità di esecuzione:
come per la manovra precedentemente descritta occorrono tre soccorritori più un quarto soccorritore (autiFig. 7
sta) che deve inserire al momento
opportuno l’asse spinale.
Arrivati alla fase descritta in figura (Fig. 7)
l’autista inserisce dai piedi del ferito
l’asse spinale in modo da farla scorrere fino alla testa. (Fig. 8)
(sarà cura del 1° accertare l’arrivo del
cuscino della spinale all’altezza della
testa del paziente),
e successivamente il T.L. ed il 2° spostano la mano più lontana dalla testa
sul fianco e sulla spalla inferiori mentre le altre due mani afferrano le maniglie dell’asse spinale e sollevano il
ginocchio più vicino alla testa per
poter alzarsi al momento della discesa del paziente. (Fig. 8-9)
55
Fig. 8
Fig. 9
Fig. 10
I particolari della posizione delle mani
e delle gambe del T.L. e del 2° sono
illustrati in figura. (10-11)
Fig. 11
A questo punto il 1° dà il via per procedere ad una rapida discesa della
spinale e del paziente in terra mentre
i due si allontanano dalla spinale alzandosi in piedi. (Fig. 12-13)
Fig. 12
Fig. 13
Può essere talvolta necessario centrare il paziente sull’asse con un sollevamento a ponte.
56
Pronosupinazione su spinale a tre soccorritori
Obiettivo:
Ruotare il paziente direttamente su asse spinale in presenza di tre soccorritori di Livello Avanzato
Modalità di esecuzione:
la manovra si esegue con tre
soccorritori. I soccorritori si
posizionano dalla parte opposta rispetto a dove guarda
il paziente in quanto la rotazione avverrà dalla parte opposta rispetto a dove è
ruotata la testa.
Fig. 1
Il 1 ° si posiziona alla testa del ferito inserendo le mani ai lati della testa in
modo da rendere agevole il mantenimento della posizione neutra durante
la manovra. Il T.L. ed il 2º si posizionano di lato avvicinando la tavola al
fianco del ferito. (Fig. 1)
Il T.L. ed il 2° si posizionano
con le ginocchia sopra la spinale. (Fig. 2)
Fig. 2
57
Il T.L. ed il 2º si posizionano con le
mani incrociate a livello della spalla,
del fianco, del bacino e delle gambe,
avendo cura di cingere anche il polso
con la mano del T.L.
(Fig. 3)
Fig. 3
Al via del 1° il T.L.
ed il 2° ruotano di
90° il paziente. (Fig. 4)
Fig. 4
58
Fig. 5
A questo punto il T.L. ed il
2° scendono dalla tavola.
(Fig. 5)
Al nuovo via del 1°, i 2
soccorritori portano il paziente in posizione supina
con un movimento rapido
adagiandolo sulla tavola.
(Fig. 6)
Fig. 6
59
Caricamento su spinale (log-roll)
Obiettivo:
Ha lo scopo di caricare su asse spinale il paziente una volta ricondotto alla
posizione supina.
Fig. 1
Modalità di esecuzione:
per questa manovra sono necessari
tre soccorritori più l’autista.
Dalla posizione neutra con il 1º soccorritore alla testa, il T.L. ed il 2º si posizionano al fianco con le mani
incrociate e in modo da bloccare lemani della vittima. (Fig. 1)
Fig. 2
Al via del 1º viene eseguita una rotazione in asse di 90° ed in questa fase
il T.L. può ispezionare il dorso del paziente alla ricerca di lesioni. (Fig. 2)
Fig. 3
A questo punto l’autista inserisce a
45° l’asse spinale. (Fig. 3)
60
Fig. 4
Al nuovo via del 1°, i quattro soccorritori riportano il paziente in
posizione supina con un movimento rapido e contrario al precedente. (Fig. 4)
Fig. 5
Può essere necessario eseguire
un sollevamento a ponte per centrare il paziente sull’asse. (Fig. 5)
Fig. 6
Fig. 7
In (Fig. 6) è mostrata la
posizione del T.L. e
del 2° durante il sollevamento a ponte
(omesso per esigenze
fotografiche) il 1° soccorritore alla testa.
La (Fig. 7) mostra la pozione delle mani dei
soccorritori per eseguire il sollevamento a
ponte.
61
Fig. 1
Caricamento su spinale
con cucchiaio
Obiettivo:
Posizionare il ferito sull’asse spinale
senza esecuzione di rotazione in
asse. Tale tecnica è da preferirsi
quando i componenti dell’equipe di
soccorso non sono adeguatamente
addestrati al caricamento diretto con
rotazione in asse.
Fig. 2
Modalità di esecuzione: la manovra
prevede la presenza di tre soccorritori, e può esporre la testa ed il rachide
cervicale
a
movimenti
soprattutto nelle fasi di chiusura e
apertura delle serrature del cucchiaio.
Fig. 3
Il 1º mantiene la testa in posizione
neutra stando però al davanti del paziente per non intralciare il T.L. che
dovrà chiudere il cucchiaio alla sua
estremità craniale. (Fig. 1)
Fig. 4
Una volta che la chiusura
del cucchiaio è completata, al via del 1º si procede allo spostamento del
ferito sull’asse spinale e
sempre mantenendo l’immobilizzazione
della
testa, alla rimozione del
cucchiaio. (Fig. 2-3-4-5)
Fig. 5
62
Fig. 1
Posizionamento dell’asse spinale
al paziente in piedi
Obiettivo:
Fig. 2
Sebbene raramente utilizzato, il caricamento su spinale del paziente in posizione
eretta è comunque da preferire in senso assoluto al far adagiare a terra il paziente per
caricarlo successivamente con una manovra a terra.
Modalità di esecuzione:
sono necessari tre soccorritori e l’autista.
Il 1º avverte il paziente della manovra che
verrà eseguita e si porta quindi dietro ad
esso per mantenere la testa in posizione
neutra dando modo al T.L. di posizionare il
collare cervicale. (Fig. 1)
Fig. 3
A questo punto l’autista inserisce lateralmente e in obliquo l’asse spinale facendo
attenzione a non colpire il paziente. (Fig. 2)
Il TL ed il 2° centrano l’asse spinale sul paziente e passano il loro braccio interno sotto
l’ascella del paziente e afferrano con la
stessa mano la maniglia dell’asse spinale.
Con il braccio esterno afferrano la spalla del
paziente. Con il piede interno puntellano la
base dell’asse spinale per evitare che essa
scivoli improvvisamente nella fase di discesa.
Il 1° si mantiene dietro il paziente e dietro
l’asse spinale. (Fig. 3)
63
Fig. 4
In (Fig. 4) viene mostrato il particolare
delle braccia di un soccorritore.
Fig. 5
Al via del 1° si esegue una lenta discesa spingendo il paziente verso
l’asse spinale e mantenendo puntellata
la base dell’asse con il piede interno
mentre gradualmente il T.L. ed il 2° si
portano di lato all’asse e si piegano
verso terra e il 1° indietreggia e si piega
verso il basso. (Fig. 5)
Fig. 6
Alla fine della manovra il paziente si
trova sull’asse spinale e può essere
necessario riportarlo più in alto o più in
basso lungo l’asse spinale (a seconda
che il paziente sia basso o alto, rispettivamente) facendolo scivolare sull’asse con il 1° che mantiene la
posizione neutra della testa. (Fig. 6)
64
Fissaggio del paziente
sull’asse spinale
Obiettivo:
Assicurare il paziente sull’asse
spinale in modo da garantire
l’allineamento testa, collo,
tronco e rendere possibile movimenti di rotazione sull’asse
maggiore e sull’asse minore
della tavola senza arrecare
danni al paziente. Al tempo
stesso, consente una adeguata
protezione termica fino all’arrivo
in ospedale.
Fig. 1
Modalità di esecuzione:
almeno due soccorritori.
Il 1º continua a mantenere la
posizione neutra mentre il 2º
posiziona i cunei fermacapo fissandoli sul cuscino dell’asse
spinale. (Fig. 1)
Fig. 2
A questo punto il 2º posiziona le
cinghie per fissare la testa facendole pas-sare sulla fronte e
sulla mentoniera del collare,
serrando e fermando ciascuna
di esse in modo contemporaneo
da entrambi i lati per non spostare la testa del paziente. (Fig. 2-
Fig. 3
3)
65
I lacci devono essere passati attraverso gli anelli di fissaggio posti in genere sul cuscino e poi ribattuti anteriormente su se stessi.
La fase successiva prevede il posizionamento delle cinghie per il tronco e
per gli arti (generalmente chiamate “ragno”).
I due soccorritori collaborano a distendere le cinghie sul paziente, tenendo
conto che esiste un davanti ed un dietro del ragno (generalmente individuabile leggendo semplicemente le scritte su di esso) e spostando le cinghie laterali in modo che si trovino ognuna alla giusta altezza per poter
essere passate a livello delle spalle, del torace, del bacino, delle cosce e
dei piedi. (Fig. 4)
Fatto questo, i due soccorritori
l’uno di fronte all’altro, passano
ogni cinghia sotto la corrispondente maniglia e la riportano a
chiudere sulla linea mediana
con il velcro.
Fig. 4
66
La sequenza di chiusura è la seguente:
①
②
③
④
⑤
①
- Cinghia delle spalle:
deve passare sopra le spalle della vittima.
②
- Cinghia del bacino:
deve essere passata sul bacino a meno che non vi sia una frattura
del collo del femore, nel qual caso è consigliato spostarla a monte
della frattura stessa.
Questa cinghia dovrebbe, al suo ritorno verso la linea mediana,
circondare i polsi del paziente, soprattutto se è incosciente o molto
agitato, per evitare che gli arti superiori cadano durante il trasporto
o siano di intralcio durante le manovre.
③
- Cinghia toracica.
④
- Cinghia delle gambe.
⑤
- Cinghia dei piedi:
è l’ultima cinghia e deve essere subito stretta in modo da non
doverci ritornare.
67
Per stringere le cinghie è
consigliato spostarsi al di
sopra del paziente in modo
da poter esercitare una trazione uguale e simmetrica
delle due parti, destra e sinistra come per le cinghie
fermacapo (operazione facente capo al Team Leader). (Fig. 5-6)
A questo punto dobbiamo
passare a stringere le altre
quattro cinghie in modo
simmetrico e nello stesso
ordine con il quale le abbiamo agganciate, ovverosia quella alle spalle, al
bacino, al torace e infine
alle gambe. (Fig. 7)
Fig. 5-6
Dobbiamo fare attenzione
al posizionamento delle cinghie toracica (nella donna)
e del bacino (nell’uomo)
perché la prima deve essere passata sotto i seni o
ben al di sopra e la seconda non deve passare
sopra i genitali ma deve essere fermata a livello della
cintura.
68
Di grande importanza è il posizionamento di una metallina (con la
parte argentata a contatto diretto
con il corpo) prima di posizionare
il ragno (omessa nelle foto per
esigenze fotografiche) in modo da
proteggere dalla dispersione termica il paziente traumatizzato.
(Fig. 8-9)
(vedi valutazione primaria)
Fig. 7
Fig. 8-9
69
Immobilizzazione di un arto
Obiettivo:
l’immobilizzazione di un arto ha lo scopo di impedire allo stesso di muoversi sia a livello della eventuale rima di frattura che a livello delle articolazioni fisiologiche che permettono all’arto di muoversi.
Per questo motivo, l’immobilizzazione per essere efficace deve comprendere l’articolazione a monte e quella a valle della frattura.
Modalità di esecuzione: la modalità varia a seconda di quale sia l’arto da
immobilizzare ma soprattutto in base al livello della lesione.
Per le lesioni della gamba e dell’avambraccio, il metodo più utilizzato è
quello della steccobenda. Essa può essere una steccobenda semplice,
una steccobenda a depressione o una pneumostecca. In ogni caso necessitano almeno due soccorritori per il loro posizionamento.
STECCOBENDA
70
Fig. 1
Un soccorritore mantiene
l’arto in asse, esercitando
una lieve ma costante trazione su di esso come illustrato. (Fig. 1)
Contemporaneamente solleva leggermente l’arto in
modo da rendere possibile
un agevole posizionamento
della steccobenda al di sotto
dell’arto con i lacci verso l’interno ed il velcro verso
l’esterno. (Fig. 2)
Fig. 2
Il soccorritore che ha posizionato la steccobenda procede quindi alla
chiusura dei lacci avendo cura di evitare il passaggio diretto del laccio su
una eventuale frattura esposta.
A questo punto, nel caso della steccobenda a depressione, il soccorritore
deputato alla trazione dell’arto si occupa della pompa per sgonfiare la steccobenda, mentre l’altro soccorritore modella mano a mano sul paziente
lo sgonfiaggio. (Fig. 2)
71
Fig. 3
A posizionamento ultimato, è
buona norma valutare la presenza dei polsi periferici ad
esempio il pedidio (Fig. 4) per
l’arto inferiore ed il radiale
per quello superiore.
In modo da non
gonfiare troppo la
stecca ed evitare
compressioni arteriose. (Fig. 3)
Localizzazione
dell’arteria pedidia
per la valutazione
del corretto afflusso di sangue
al piede.
Fig. 4
72
Fig. 5
Nel caso del posizionamento
di una steccobenda rigida.
(Fig. 5)
Fig. 6
la manovra è simile a quella
precedentemente descritta
con in più il posizionamento
di un cuscino sopra l’arto
prima della chiusura delle
strisce di velcro.
(Fig. 6-7)
Fig. 7
73
Immobilizzazione dell’arto inferiore per la frattura di femore
Obiettivo:
Immobilizzare l’arto inferiore in caso di frattura di femore. In questa evenienza, infatti, l’uso della steccobenda è di scarsa o nulla efficacia e può
addirittura essere deleterio.
Una possibile modalità di trasporto è quella sull’asse spinale: dobbiamo
considerare che già il posizionamento dell’asse insieme a quello del ragno,
garantisce una discreta stabilità dell’arto leso.
In aggiunta a questo, se le condizioni del ferito sono stabili e non vi sono
altre lesioni che rendono il paziente un politraumatizzato, possiamo adottare la seguente tecnica di immobilizzazione che serve a ridurre il rischio di
movimento dell’arto e della rima di frattura, riducendo sia l’incidenza di lesioni
vascolari e nervose che il dolore.
Modalità di esecuzione:
sono necessari tre soccorritori.
Mentre il 1º se necessario mantiene la
posizione neutra, il 2º ripiegata un’ala del
corsetto (Fig. 1) lo posiziona di fianco al paziente, accanto all’arto fratturato.
Fig. 2
Fig. 1
Successivamente i tre soccorritori eseguono una rotazione in asse ruotando
l’infortunato sulla gamba
sana e inseriscono il corsetto
precedentemente preparato.
Fig. 2
74
Fig. 3
Riportato in posizione supina
estraggono l’ala da sotto il paziente e, inserito il cuscino del
corsetto tra le gambe, cominciano a chiudere le cinghie
dall’alto verso il basso.
(Fig. 3)
Fig. 4
Se vi è un altro soccorritore, durante l’intera manovra esso può
mantenere leggermente in trazione dalla caviglia l’arto fratturato per evitare eventuali
movimenti dei monconi ossei.
(Fig. 4)
L’ultima parte della manovra
prevede la chiusura della parte
distale del corsetto con i lacci
fermacapo per bloccare l’articolazione del ginocchio. (Fig. 5)
Fig. 5
75
Stabilizzazione della frattura di bacino
Obiettivo:
Stabilizzare il bacino che ha subito una frattura. La stabilizzazione esterna
della frattura di bacino può essere di grande importanza in quanto oltre ad
essere una manovra antalgica rappresenta un efficace metodo di emostasi. Le fratture del bacino sono, infatti, a grande rischio di sanguinamento
e possono determinare shock emorragico.
Modalità di esecuzione: Sono necessari tre soccorritori.
Fig. 1
Mentre il 1º si occupa
della posizione neutra
della testa. (Fig. 1)
Fig. 2
il T.L. ed il 2º posizionano
il paziente sul cucchiaio.
(Fig. 2)
76
Fig. 3
Fig. 4
Fig. 5
e preparano sull’asse spinale il corsetto già aperto.
(Fig. 3-4-5)
77
Fig. 6
A questo punto il paziente viene posizionato
sull’asse spinale e viene
rimosso il cucchiaio.
(Fig. 6-7)
Fig. 7
Fig. 8
Il T.L. ed il 2º cominciano
la chiusura delle cinghie
stringendole in modo deciso avendo cura di evitare i genitali esterni nel
paziente maschio. (Fig. 8-9)
78
Fig. 9
Per completare l’immobilizzazione è necessario allacciare anche i lacci
fermacapo a livello delle gambe.
A questo è possibile completare l’immobilizzazione sulla tavola spinale.
La fissazione esterna sulla scena di una frattura di bacino si è rivelata di
potenziale beneficio per quanto riguarda il controllo dell’emorragia che può
essere estremamente copiosa in alcuni tipi di frattura.
Questo tipo di manovra intrapresa precocemente sulla scena favorisce,
riaffacciando le rime di frattura, l’emostasi tramite la coagulazione.
Per evitare che i coaguli eventualmente formati vengano rimossi, è importante evitare la mobilizzaFig. 10
zione del bacino: per
questa ragione la palpazione del bacino (Fig. 10)
durante la valutazione
primaria e secondaria
sono state sempre più
messe in discussione in
quanto faciliterebbero la
rimozione di detti coaguli
e la ripresa del sanguinamento.
79
IL CONTROLLO DELLE EMORRAGIE
Le emorragie sono eventi potenzialmente mortali che devono essere, se
possibile, controllati sulla scena. Per il soccorso extraospedaliero le emorragie sicuramente più importanti sono quelle arteriose, riconoscibili per il
colore più acceso del sangue e dal fatto che, soprattutto all’inizio, sono
zampillanti. Le emorragie venose sono invece riconoscibili per il sangue
rosso scuro e per il fatto che la fuoriuscita del sangue è più lenta e non
zampillante in quanto la spinta della pressione venosa non è pulsatile ed
è molto più debole di quella arteriosa. Dobbiamo comunque considerare
che in molti casi l’emorragia arteriosa prevedendo lesioni di una certa rilevanza, si accompagna a quella venosa delineando un quadro di emorragia mista. Le emorragie si possono dividere anche in base alla sede
ovverosia interna o esterna.
Le emorragie interne sono più difficili da diagnosticare in quanto possiamo
solamente accorgerci dei segni e dei sintomi che accompagnano e caratterizzano lo shock emorragico. In alcuni casi possono ridursi parzialmente con il proseguire del sanguinamento creando un aumento della
pressione nella cavità in cui l’emorragia sta avvenendo, ma in nessun caso
è possibile mettere in atto manovre di emostasi. Per questa ragione, il trattamento di uno shock emorragico da emorragia interna non può essere
fatto sul campo, ma deve essere intrapreso in ospedale nel più breve
tempo possibile (scoop and run). L’emorragia esterna invece, è facile da
riconoscere ma presenta la caratteristica (quella arteriosa) di non poter
sviluppare nemmeno in parte una autoemostasi.
In ogni caso, qualsiasi emorragia arteriosa o mista deve essere trattata in
breve tempo perché può risultare rapidamente fatale.
Nel soccorso extraospedaliero l’emorragia arteriosa esterna deve essere
immediatamente trattata fin dal primo approccio al paziente traumatizzato
(in effetti il controllo delle emorragie sarebbe al punto C della Primary Survey ma viene applicato di fatto al punto A). Esistono molti modi di trattare
efficacemente una emorragia arteriosa sul campo. La manovra da preferire
è senza dubbio quella della compressione diretta del focolaio emorragico.
Trattandosi di una emorragia arteriosa la pressione da esercitare deve essere maggiore della pressione arteriosa e quindi si tratta spesso di una
pressione cospicua. Inoltre, l’emorragie arteriose non hanno alcuna pos-
80
sibilità di risolversi spontaneamente grazie alla coagulazione del sangue,
per cui la compressione deve essere mantenuta per tutto il tempo, fino all’arrivo in ospedale. Qualora la compressione diretta non riesca ad arrestare l’emorragia o non vi sia la possibilità di
Fig. 1
esercitarla (ad esempio nel caso di amputazioni
o di fratture esposte con lesione vascolare) dobbiamo ricorrere alla compressione nei cosiddetti
punti di compressione arteriosa che si trovano
alle radici degli arti. Per le emorragie dell’arto superiore, la compressione è a carico dell’arteria
brachiale e si esegue sulla superficie interna del
braccio: dobbiamo comprimere l’arteria brachiale
tra il nostro pugno e l’omero. (Fig. 1)
Fig. 2
Per l’arto inferiore il punto di compressione è l’arteria femorale che decorre a livello dell’inguine
per poi portarsi verso la coscia. (Fig. 2)
Tale punto di compressione è valido per tutte le
emorragie arteriose dell’arto inferiore.
In casi molto particolari possiamo ricorrere ad
emostasi con mezzi aggiuntivi.
Le situazioni che lo possono richiedere sono:
- la compressione diretta e quella
sui foci di compressione non ha dato
i risultati sperati
- quando non abbiamo a disposizione un
soccorritore che si possa occupare della
compressione
- quando si debbano soccorrere altri feriti
- quando si debbano percorrere tratti di
strada, scale, campi o comunque percorsi
che non permetterebbero il mantenimento
della compressione manuale.
81
Gli strumenti che possiamo avere a disposizione per questo scopo sull’ambulanza sono molteplici.
Esistono dei lacci da emostasi (tourniquet), delle catene rivestite di
gomma, delle bende pneumatiche da gonfiare attorno all’arto ferito.
Questi strumenti sono comodi, efficaci e di facile applicazione.
Lo svantaggio rispetto alla compressione manuale è dato dal fatto che la
loro pressione si esercita in modo concentrico su tutta la circonferenza
dell’arto bloccando completamente l’afflusso ematico ai tessuti.
La compressione manuale, invece, permette il passaggio di sangue da circoli collaterali che impediscono la completa ischemia dell’arto anche se
l’arteria principale è compressa.
Nel caso che l’emostasi con una di queste attrezzature debba essere mantenuta per tempi lunghi (superiore ai 30 minuti) è consigliabile segnare
l’ora del posizionamento e allentarla di tanto in tanto per qualche secondo.
82
LE USTIONI
Le ustioni sono lesioni a carico del tessuto cutaneo, sottocutaneo e anche
di altri organi e apparati causate dal trasferimento di energia verso questi
tessuti. L’agente ustionante può essere classicamente il calore (fiamma,
liquidi, vapori o corpi caldi) ma anche il freddo o agenti chimici caustici.
Una particolare tipologia di agenti ustionanti sono le radiazioni ionizzanti
che però, vista la grande pericolosità delle stesse devono essere trattate
da equipe specializzate.
La gravità dell’ustione si valuta considerando tre parametri:
- la superficie corporea ustionata
- il grado dell’ustione
- il coinvolgimento di particolari distretti corporei.
Per quanto riguarda la
valutazione della superficie ustionata, è ormai
adottata da tutti la cosiddetta regola del 9, che
assegna ad ogni distretto
corporeo un valore percentuale (9%, appunto)
che permette di stimare
l’estensione dell’ustione.
Il calcolo della superficie
ustionata è diverso per
l’adulto e il bambino
come mostra la figura.
83
Per il grado dell’ustione dobbiamo suddividere la gravità in quattro (per alcuni tre) gradi.
• Le ustioni di primo grado interessano solo l’epidermide; un esempio di
ustione di primo grado sono le scottature solari.
La cute è dolente e arrossata e non vi è formazione di bolle o vescicole.
Le ustioni di primo grado guariscono senza lasciare cicatrici.
• Le ustioni di secondo grado, coinvolgono l’epidermide e il derma.
La cute dolente, a seconda della profondità dell’ustione, può essere vescicolosa.
Sono in genere dovute a liquidi bollenti, vapore o fiamme.
• Nell’ustione di terzo grado (o a tutto spessore), la lesione giunge a coinvolgere il grasso sottocutaneo. La cute è carbonizzata, pallida, non dolente
in quanto sono distrutte anche le terminazioni nervose dolorifiche.
Questa ustione non guarisce da sola ma si rende sempre necessario l’intervento chirurgico.
• Le ustioni di quarto grado (per alcuni assimilate a quelle di terzo) arrivano
a coinvolgere il tessuto muscolare e osseo. Sono lesioni devastanti e possono mettere in immediato pericolo di vita il paziente.
USTIONE 1° GRADO
(eritema solare)
USTIONE 2° GRADO
(comparsa di flittene)
USTIONE DI 3° - 4° GRADO
(carbonizzazione tissutale)
84
Trattamento del paziente ustionato
La prima regola del soccorritore assume capitale importanza nel soccorso
al paziente ustionato in quanto il rischio di ustione può essere presente
anche per i soccorritori. In particolare questo rischio può derivare sia da
uno scenario ancora non messo in sicurezza dai vigili del fuoco o dalle
squadre antincendio che dalla presenza nell’ambiente di sostanze caustiche potenzialmente dannose.
Inoltre, anche semplicemente il contatto con il paziente non precedentemente raffreddato, può rappresentare un pericolo.
Per questa ragione la prima manovra di soccorso al paziente ustionato
prevede l’allontanamento dell’agente ustionante ed il successivo raffreddamento con acqua o salina sterile.
Gli indumenti dell’infortunato devono essere rimossi, avendo cura di tagliarli attorno alle zone in cui siano adesi alla cute.
In una fase successiva, l’ustione va coperta con una medicazione umida
con salina e con garze sterili.
Durante il trasporto, il paziente ustionato può essere soggetto ad ipotermia
e quindi dovrà essere ricoperto con metalline.
Qualora vi siano ustioni di 2° o 3° grado di una superficie corporea superiore al 20%, ustioni di 4° grado superiori al 10%, oppure complicate da
frat-ture o altri traumi, o ustioni in neonati e anziani, dovrebbero essere
trasferite rapidamente in centri specializzati (Centri Grandi Ustionati) al
trattamento di questa patologia.
Tra le complicanze maggiori del paziente ustionato troviamo le infezioni
che possono facilmente insorgere in quanto la cute ustionata non è in
grado di agire come barriera per l’ingresso di germi dall’esterno.
Per prevenire questo grave rischio, è di fondamentale importanza il corretto trattamento delle zone ustionate fino dal momento del soccorso
sulla scena.
Le ustioni possono inoltre interessare distretti particolari del corpo che indipendentemente dal grado e dalla superficie di cute ustionata rappresentano di per sé dei segnali di allarme per i soccorritori: l’evidenza di sputo
carbonaceo, peli del naso, della barba e cute del volto ustionati ci devono far pensare che il paziente abbia respirato aria calda e che quindi
sia a grave rischio di insufficienza respiratoria acuta per ustione
85
delle vie aeree superficiali e profonde. Questo in genere suggerisce la necessità di assicurare una via aerea definitiva mediante tubo orotracheale
per il rischio di edema delle vie aeree che renderebbe estremamente difficoltosa o addirittura impossibile una adeguata ventilazione;
- in caso di incendio, il paziente può presentare immediatamente o a distaza di tempo problemi respiratori legati, oltre che a quanto detto nel
punto precedente, anche all’inspirazione di gas tossici, prevalentemente
monossido di carbonio e cianuri che richiedono ossigeno ad alti flussi
nell’immediato e possono comunque rendere necessaria anche l’ossigenoterapia iperbarica;
- nelle ustioni da elettricità il paziente può presentare gravi alterazioni del
ritmo cardiaco che possono portare anche all’arresto cardiaco e che
fanno passare in secondo piano il problema ustione; inoltre il passaggio
della corrente elettrica può determinare contrazioni muscolari involontarie
che possono causare lesioni muscolo-scheletriche, sempre ricordare che
l’ustionato è un traumatizzato;
- nel caso di coinvolgimento degli occhi specialmente se dovuto a contatto
con sostanze chimiche, occorre rimuovere le eventuali lenti a contatto e
lavare abbondantemente gli occhi con acqua o meglio ancora con glucosio al 5%, per raffreddare la superficie oculare ed allontanare l’agente
caustico che ha causato il danno.
86
CENNI DI TRAUMATOLOGIA SPECIALE
In questa sezione del manuale, vengono trattate in modo semplice e generale le lesioni di ogni singolo apparato, che possono essere presenti nel
paziente politraumatizzato e che rivestono particolare importanza per la
loro gravità e per la loro frequente necessità di trattamento sul campo.
È importante perciò che il soccorritore conosca tali lesioni per poter, al meglio supportare il medico o l’infermiere nell’esecuzione delle manovre atte
a trattare queste lesioni in modo rapido ed efficace.
Questa parte del manuale rappresenta un utile strumento di approfondimento pur non essendo indispensabile per la formazione di base di un
soccorritore.
87
Trauma cranico
Per trauma cranico si intende ogni trauma che interessi la scatola cranica
ad eccezione del massiccio faciale (per il quale usiamo più correttamente
la definizione di trauma faciale o cranio-faciale se associato al trauma cranico).
Anatomia del cranio: (Fig.1)
Fig. 1
Massiccio
faciale,
Neurocranio
Base
cranica.
La particolare conformazione anatomica della scatola cranica (rigida ed
inespansibile tranne che nel bambino piccolo) e dell’encefalo in essa contenuto (struttura molle e facilmente lesionabile in quanto sottoposta a contraccolpi sulle pareti del cranio) rendono particolarmente a rischio di lesioni
questo distretto, in particolare nelle cadute. (Fig. 1, 2 e 3)
89
Fig. 2
meccanismo di
lesione
encefalica per
urto frontale e
occipitale.
Fig. 3
meccanismo di
lesione
encefalica per
da contraccolpo
dell’encefalo.
90
Per quanto detto finora, i traumi cranici possono essere patologie rapidamente evolutive che necessitano di una ospedalizzazione rapida in un centro dotato di neurochirurgia e di una massima sorveglianza durante il
trasporto.
Un ematoma subdurale o una emorragia intracerebrale, infatti, possono
far aumentare rapidamente di volume l’encefalo, ma non potendo esso
espandersi all’interno della scatola cranica, si viene a creare un aumento
di pressione endocranica che sposta e comprime l’encefalo stesso provocando gravi e potenzialmente mortali turbe del suo funzionamento.
Fig. 4
Ematoma extradurale:
notare la grave compressione dell’encefalo:
si sviluppano piuttosto lentamente potendo dare perdita di coscienza anche
dopo alcune ore (intervallo libero).
Fig. 5
Ematoma subdurale:
estremamente pericoloso per la vita
del paziente per il rapido sviluppo:
richiede immediato intervento neurochirurgico.
91
Il trauma cranico può essere una patologia a rapida evoluzione, per questo
al punto D della Valutazione Primaria è stata inserita una seconda valutazione; più accurata dello stato di coscienza in modo da poter valutare
(tramite AVPU o per i medici il Glasgow Coma Score) il livello di coscienza al nostro arrivo, durante il soccorso ed il trasporto.
Segnali di allarme per una situazione intracranica in evoluzione (ematoma
subdurale, extradurale o emorragia intracerebrale) sono:
• agitazione psicomotoria (eccitazione, delirio, ripetitività delle domande
del paz. incapacità di soccorrerlo, ecc.) da differenziare dagli stati di abuso
di sostanze stupefacenti, dallo spavento per l’accaduto e dall’ abuso di alcool.
• alterazione delo stato di coscienza (coma) è il classico segno di danno
neurologico. Il coma è l’incapacità di rapportarsi con l’esterno e può essere
già presente all’arrivo della squadra di soccorso e rimanere stabile durante
l’intervento, oppure iniziare o peggiorare durante il soccorso stesso.
• intervallo libero è tipico dell’ematoma extradurale ovvero nel quale la
raccolta di sangue avviene tra la dura madre e l’osso.
In questi pazienti in genere si ha una transitoria perdita di coscienza immediatamente con il trauma (che i soccorritori non vedono ma che gli
astanti talvolta possono riferire) che si risolve dopo qualche minuto, seguita
anche a distanza di alcune ore da un’altra perdita di coscienza. L’intervallo
cosciente tra le due perdite di coscienza, durante il quale spesso si svolgono le operazioni di soccorso, viene detto intervallo libero o intervallo lucido (libero da incoscienza). Se il secondo episodio di perdita di coscienza
accade abbastanza ravvicinato con il primo, è possibile che i soccorritori
lo possano vedere, presentandosi come un rapido e improvviso peggioramento (o nuovo peggioramento, per meglio dire) dello stato di coscienza
del traumatizzato, magari durante il trasporto in ospedale!
• crisi epilettiche se associate ad un trauma cranico sono espressione di
sofferenza della corteccia cerebrale, la parte più nobile dell’encefalo.
• arresto respiratorio si accompagna ad un qualche grado di alterazione
della coscienza in genere piuttosto grave (coma).
92
Frattura della base cranica
Rappresenta una grave situazione clinica in quanto la base su cui l’encefalo poggia (la base cranica, appunto) viene fratturata da un trauma che
spesso riguarda il massiccio faciale (trauma faciale) o il massiccio faciale
e il cranio (trauma cranio-faciale). (Fig. 1)
La frattura della base cranica è una situazione grave in quanto:
- indica che le forze in gioco sono state rilevanti - possibili altre lesioni
associate al trauma cranico (lesioni vertebrali, toraciche, addominali)
- si può avere perdita di liquor, il fluido che circonda l’encefalo e che lo
protegge
- la lesione della base cranica, essendo quest’ultima una struttura ossea,
provoca quasi inevitabilmente anche lesioni del tessuto encefalico.
Segni e sintomi della frattura della base cranica possono essere: (Fig. 5)
• perdita di liquor dal naso
rinorrea
• perdita di liquor dall’orecchio
otorrea
• perdita di sangue dal naso
epistassi
• perdita di sangue dall’orecchio
otorragia
• ematoma orbitarlo
segno del procione
Fig. 1
• ematoma retroauricolare
segno di Battle
Il trauma cranico può essere l’unico trauma rilevante del paziente (trauma
cranico puro) o più frequentemente associarsi ad uno o più traumi di altri
distretti. I distretti più frequentemente associati sono il massiccio faciale,
il rachide cervicale e il torace.
93
Trauma faciale
Il trauma faciale è tipico dei motociclisti, soprattutto per la diffusione di caschi non integrali (caschi jet) che non danno alcuna protezione a questo
distretto anatomico.
I pericoli immediati di un trauma faciale sono:
• ostruzione delle vie aeree per sangue, denti avulsi, protesi fratturate
• trauma laringeo
• trauma rachide cervicale
• trauma cranico associato
Il trauma laringeo presenta alcune peculiarità che meritano di essere ricordate. Una frattura laringea può comportare un grosso problema per la
pervietà delle vie aeree in quanto la laringe è posta subito al di sopra
della trachea e pertanto è l’organo della fonazione (con le sue corde vocali)
e regola il flusso d’aria verso i polmoni. Il paziente con trauma laringeo,
pertanto, presenterà alterazioni di queste due importanti funzioni:
• disfonia (voce rauca, flebile o alterata)
• enfisema sottocutaneo del collo (presenza di aria nei tessuti)
• stridore inspiratorio (tipo crisi d’asma)
• grave difficoltà respiratoria
Il suo trattamento è garantire una gestione avanzata delle vie aeree mediante IOT o cricotirotomia.
Per i soccorritori, è di vitale importanza la somministrazione di O2 ad alti
flussi, il decubito semiseduto (sollevando l’asse spinale) e l’allertamento
della C.O. per l’eventuale invio di una equipe ALS o per uno SCOOP AND
RUN.
94
Trauma vertebrale
Il paziente traumatizzato deve essere considerato come portatore di una
frattura vertebrale (e quindi a rischio di lesione spinale) fin quando le indagini diagnostiche radiologiche non hanno dimostrato il contrario.
La colonna vertebrale è formata da: (Fig. 1)
7 vertebre cervicali
12 vertebre toraciche
5 vertebre lombari
5 vertebre sacrali fuse insieme
4 vertebre coccigee fuse insieme
Fig. 1
Fig. 2
Le vertebre hanno una conformazione cava al loro interno in
modo da, una volta impilate una
sopra l’altra, formare uno spazio per ospitare il midollo spinale.(Fig. 2 A)
Vertebra in sezione
assiale al centro il
canale vertebrale.
95
Questo canale vertebrale protegge il midollo (che è una sorta di insieme
di fibre nervose) che rappresenta la continuazione dell’encefalo ed ha la
funzione di innervare tramite i nervi spinali tutto il nostro corpo ad eccezione della testa, sia da un punto di vista motorio che sensitivo. Il problema
della frattura vertebrale è legato al fatto che essa può rendere instabile la
vertebra stessa creando così i presupposti per uno spostamento di una
parte di essa verso il canale vertebrale ed il midollo in esso contenuto.
Sezione della colonna vertebrale:
trauma che determina frattura di
una vertebra con
conseguente spostamento in avanti
(frecce grandi) del
corpo vertebrale e
compressione del
midollo nel canale
vertebrale (freccia
sottile).
La lesione midollare, quindi, si può creare per compressione e/o sezione
delle fibre nervose che decorrono all’interno del midollo spinale.
Per fortuna, solo una piccola percentuale delle fratture vertebrali si associa
alla ben più grave lesione midollare.
Questa può essere già presente come lesione primaria, all’arrivo dei soccorsi, oppure si può creare come lesione secondaria in conseguenza di
una frattura vertebrale gestita in modo scorretto dai soccorritori o dagli
astanti, non mantenendo la posizione neutra e non immobilizzando il paziente con gli appositi dispositivi (collare cervicale, asse spinale, KED).
Questa eventualità è particolarmente drammatica sia per motivi etico-morali che medico-legali.
Perciò dobbiamo sempre considerare il traumatizzato come portatore potenziale di frattura vertebrale e quindi a rischio di lesione spinale.
96
Lesione midollare
Nei casi in cui una lesione midollare si sia realizzata, e il paziente sia cosciente e in parte collaborante, è possibile riconoscere alcuni segni e sintomi tipici della lesione.
Questi variano a seconda del livello a cui essa si è realizzata, in quanto
tanto più alta è la lesione tanto più gravi saranno i danni, in considerazione
del fatto che ancora pochi distretti del nostro corpo hanno già ricevuto i
propri nervi dal midollo.
Quindi, una lesione cervicale in genere porta una tetraplegia (impossibilità
di muovere i quattro arti) o addirittura un arresto respiratorio per paralisi
anche dei muscoli della respirazione, mentre una lesione spinale toracica
bassa o lombare può causare una paraplegia (paralisi degli arti inferiori)
in quanto a questo livello i nervi per i distretti superiori (arti superiori, torace) hanno già lasciato il midollo.
I segni e sintomi più comuni di lesione spinale sono:
• dolore alla schiena (per la frattura vertebrale)
• formicolii agli arti
• insensibilità agli arti
• riduzione della forza o paralisi degli arti
• shock spinale
Attenzione:
• circa il 30% dei pazienti con fratture vertebrali non presenta dolore
• il paziente incosciente non può riferire i sintomi né collaborare
per evidenziare i segni.
• le fratture vertebrali sono più frequenti di quanto non si pensi, spesso
sono multiple e sono massimamente probabili nei traumi cranici
e toracici.
97
Shock spinale
Lo shock spinale è un tipo particolare di shock che si può realiz-zare a
seguito di una lesione spinale alta (cervicale o toracica) che provoca una
sezione dei nervi che controllano la vasocostrizione dei vasi sanguigni:
vi è una massiccia e brusca vasodilatazione del letto vascolare che rende
inadeguato il volume di sangue in esso contenuto realizzando una sorta
di shock ipovolemico (a differenza dello shock emorragico dove è il sangue ad essere diminuito, qui la quantità di sangue è normale ma è il contenente, ovverosia i vasi, ad essere aumentato).
I segni e sintomi dello shock spinale differiscono almeno in parte da quelli
dello shock emorragico e sono:
Tab.1
PARAMETRO
Stato di coscienza
Freq. Respiratoria
Pressione Artiosa
Frequenza Cardiaca
Cute
SHOCK EMORRAGICO
Alterato
Aumentata
Normale ➛ Diminuita
Aumentata
Pallida, sudata fredda
SHOCK SPINALE
Normale
Noemale o Aumentata
Normale ➛ Diminuita
Diminuita
Rossa, calda
PRINCIPALI CARATTERISTICHE DELLO SHOCK EMORRAGICO E DI QUELLO SPINALE
Dobbiamo comunque rammentarci che nel paziente politraumatizzato,
questi due shock possono anche coesistere nel caso che un paziente
abbia anche una grave emorragia arteriosa: in questo caso, in genere i
sintomi e i segni dello shock emorragico prevalgono, ad eccezione di
una mancata o più modesta tachicardia.
Trauma toracico
I traumi toracici sono classificabili in chiusi e penetranti e possono riguardare la gabbia toracica ma anche gli organi in essa racchiusi (polmoni,
cuore, trachea, esofago, grossi vasi). I traumi toracici causano circa il 25%
delle morti per trauma. Alcuni pazienti mostrano i segni ed i sintomi del
trauma toracico direttamente sulla scena: altri solamente in ospedale.
98
Per questo motivo è di grande importanza anche la conoscenza della dinamica dell’evento in modo da supporre anche in assenza di danni visibili
alla gabbia toracica il rischio di lesioni agli organi interni .(Fig. 1)
Le lesioni del torace possono essere dovute sia al trauma diretto (ad
esempio urto contro il volante dell’auto nel guidatore sprovvisto di cinture
di sicurezza) o anche ad un meccanismo di brusca accelerazione o decelerazione (ad esempio nella caduta dall’alto). Un trauma toracico può causare alterazioni che se non riconosciute e trattate prontamente possono
causare il decesso del ferito sulla scena.
Fig. 1
Le più comuni e gravi sono:
•
•
•
•
•
•
Pneumotorace aperto
Pneumotorace iperteso
Lembo costale mobile (volet costale)
Tamponamento cardiaco
Emotorace per lesione dei grossi vasi
Ostruzione delle vie aeree
I traumi del torace possono coinvolgere anche organi addominali per la possibilità che le ultime coste, definite coste mobili
perché non direttamente attaccate allo sterno (e quindi più fluttuanti), possano essere spinte all’interno lesionando la milza (a sinistra) o il fegato
(a destra) per poi tornare nella loro posizione originale.
Attenzione a :
- dispnea o tachipnea
- shock in assenza di emorragie esterne
- lesioni toraciche visibili (ferite soffianti, volet costale, ferite penetranti)
- asimmetria della parete toracica
- desaturazioni con SpO2 < 90% in O2 o non rispondenti all’O2 terapia
- segni di contusione o ferite sulla parete toracica (es. segno delle cinture
di sicurezza) che possono sempre suggerire una lesione toracica maggiore.
99
Pneumotorace aperto
Il pneumotorace aperto è dovuto ad una lesione della parete toracica che
metta in comunicazione con l’esterno la cavità polmonare.
Il polmone è inserito in un sacco detto pleura che lo protegge.(Fig. 1)
Nel pneumotorace aperto, si ha aria che entra e che esce in modo sincrono con gli atti respiratori dalla cavità pleurica.(Fig. 2)
Fig. 2
Fig. 1
(Fig. 1)
Schema della circolazione polmonare, camere cardiache, laringe, trachea, polmoni grossi
vasi (aorta, arterie, vene polmonari).
(Fig. 2)
Meccanismo patologico del pneumotorace aperto.
Il polmone si collassa parzialmente e si riespande ad ogni atto respiratorio. Con la freccia
doppia è evidenziata la lesione toracica che fa entrare e riuscire l’aria mettendo in comunicazione la cavità pleurica con l’esterno.
100
L’impatto respiratorio di questa lesione è considerevole ma raramente si
ha il decesso del paziente sul campo a meno che non vi siano altre lesioni
associate. Il quadro clinico è caratterizzato da dispnea, tachipnea, dolore,
tachicardia e saturazione bassa che in genere risponde in qualche misura
alla ossigenoterapia.
Il trattamento sul campo è di natura conservativa in quanto abbiamo il
tempo per un trattamento ospedaliero. Quello che possiamo fare è la cosiddetta medicazione della “ferita soffiante” mediante medicazione su
tre lati in modo da creare un meccanismo a valvola inverso che permetta
all’aria di uscire ma non di rientrare,(Fig. 3) tramite l’applicazione di una medicazione impermeabile (garze bagnate, involucro plastico delle garze sterili con la parte interna verso la ferita) sigillata su tre lati con cerotto.
Restano imperative la somministrazione di ossigeno ad alti flussi e il mantenimento del paziente con il tronco più alto delle gambe per migliorare la
dispnea (sollevando tutta l’asse spinale).
Fig. 3
Medicazione della ferita soffiante da pneumotorace aperto mediante medicazione su tre lati: meccanismo a valvola che permette all’aria di uscire
dalla cavità pleurica e non rientrare.
101
Pneumotorace iperteso
Il pneumotorace iperteso è una condizione che mette a rischio immediato di vita il paziente. Esso si può formare per una ferita penetrante o
per un trauma chiuso del torace che provochi la rottura dell’albero tracheobronchiale nel suo decorso all’interno della pleura.(Fig. 14)
In entrambi i casi si crea un meccanismo a valvola per il quale l’aria entra
nel cavo pleurico ma non riesce ad uscire ritmicamente con gli atti del respiro (come invece avviene per il pnx. aperto). Questo provoca un accumulo di aria a pressione nella cavità pleurica che respiro dopo respiro
aumenta la pressione in questa cavità facendo collassare il polmone.
Fig. 4
Meccanismo di formazione del pnx. iperteso mediante meccanismo a valvola. Notare l’impatto emodinamico per l’ostacolo al ritorno venoso da parte soprattutto della Vena Cava
Inferiore che si inginocchia.
Perciò il pnx iperteso deve essere immediatamente trattato dal medico del territorio non
potendo essere delegato al medico in ospedale.
102
I sintomi del pneumotorace iperteso sono drammatici e rapidamente evolutivi. Si possono dividere fondamentalmente in segni e sintomi respiratori
e segni e sintomi emodinamici. L’impatto emodinamico è spesso devastante ed è quello responsabile della morte per pneumotorace iperteso.
L’impatto respiratorio è in genere serio ma non tale da causare la morte
del paziente (a meno che non vi sia la coesistenza di pneumotorace iperteso bilaterale destro e sinistro).
Segni e sintomi respiratori:
-
Dispnea grave
Deviazione della trachea
Tachipnea
Desaturazione
Segni e sintomi cardiovascolari:
-
Tachicardia
Turgore delle Giugulari
Ipotensione
Arresto cardiaco
In altre parole si viene a realizzare un ostacolo al ritorno del sangue dalla
periferia verso l’atrio destro con conseguente shock ipovolemico o, per
meglio dire, maldistributivo in quanto la quantità di sangue è normale ma
è come sequestrato in periferia (un pò come succede per la compressione
aorto-cavale nella donna in stato avanzato di gravidanza, supina) per cui
non partecipa alla circolazione turgore delle giugulari che non riescono a
scaricare il sangue in atrio destro.
Contemporaneamente, la pressione intratoracica rende anche più difficile
per il ventricolo destro la spremitura del suo sangue verso i polmoni tramite
le arterie polmonari con conseguente Scompenso Cardiaco Destro e
Shock Cardiogeno: in pratica si ha la coesistenza di due tipi di Shock,
ognuno dei quali di per sé sufficiente a provocare la morte del paziente!!
103
Lembo costale mobile (volet costale)
Il lembo costale mobile è il rientramento di una parte della gabbia toracica durante l’inspirazione (quando dovrebbe espandersi) spesso associata alla sua protrusione durante l’espirazione.
Esso è dovuto a lesione di più coste ognuna in più punti in modo da formare un lembo indipendente che si comporta, come già detto, in modo
paradosso: quando il paziente inspira e la gabbia toracica si espande, essorientra, quando il paziente espira e la gabbia toracica ritorna verso l’interno, il lembo fuoriesce.(Fig. 1)
Fig. 1
Creazione di un lembo costale mobile per frattura
in due punti di tre coste.
Il reperto di un volet costale sul terreno
è un segno di allarme assoluto in quanto
per poter essere creato, l’energia entrata
in gioco è stata sicuramente grande.
Inoltre vi è sicuramente associata una
contusione polmonare e, frequentemente
un pneumotorace.
Per questo, il volet costale è una situazione a rapida e potenzialmente fatale
evoluzione, che deve essere corretta chirurgicamente (scoop and run).
Il paziente presenta segni di distress respiratorio (dispnea, tachipnea, desaturazione) associati variamente a quelli di impatto emodinamico (tachicardia, shock).
Il trattamento è quello di cercare di medicare con fasciatura aderente il
lembo costale in modo da farlo tornare il più possibile solidale con la gabbia toracica limitandone il suo movimento paradosso e, ovviamente, somministrare ossigeno ad alti flussi!!
104
Ferite penetranti del torace
Sono abbastanza comuni e possono essere dovute a proiettili o da corpi
taglienti o appuntiti (coltelli, pali ecc.).
Come per tutte le ferite penetranti, in qualunque distretto, i corpi penetrati
non devono essere rimossi, anzi, se possibile stabilizzati con pacchi di
garze, teli, cerotto in modo da cercare di non far muovere l’estremità conficcata e non provocare ulteriori lesioni.
L’estrazione dei corpi penetrati deve essere fatta solo in ospedale perché
è prevedibile che il corpo penetrato stia svolgendo un ruolo di emostasi e
che, una volta rimosso, inizi una emorragia più grave di quella precedente.
Se il corpo penetrato è intrasportabile in ambulanza (ad esempio un
grosso macchinario o un palo di una inferriata) sarà necessario la sua riduzione di dimensioni da parte dei Vigili del Fuoco in modo da rendere trasportabile il paziente senza liberarlo dall’oggetto.
RICORDA: le ferite da taglio o da proiettile, se non riguardano zone poste
al di sopra della clavicola, sono gli unici traumi che possono essere trattati
senza immobilizzazione del rachide cervicale in quanto non vi sono presupposti perché vi possa essere una lesione vertebrale.
Tutto ciò va a vantaggio di un rapido trattamento ospedaliero SCOOP AND
RUN.
105
Trauma addominale
Anche i traumi dell’addome possono essere classificati in chiusi e penetranti. La cavità addominale è particolarmente esposta ad ambedue
questi traumi in quanto non è protetta da alcuna struttura ossea anteriormente e l’unica protezione deriva dal grasso sottocutaneo e dai muscoli
addominali. In essa sono contenuti visceri cavi (intestino tenue, colon, stomaco) e visceri solidi (fegato, milza, reni, pancreas) nonché grossi vasi
(vena Cava Inferiore, Aorta addominale ecc.) (Fig. 1)
Fig. 1
Cavità addominale: esofago, fegato,
stomaco intestino tenue e colon.
I differenti tipi di organi si comportano in modo
diverso in risposta ad un trauma: i visceri cavi
possono subire lesioni da scoppio, quelli solidi
si lacerano, i vasi possono subire lacerazioni da
stiramento.
Nel caso di una ferita penetrante ampia, si può
avere una fuoriuscita di visceri addominali che
non devono essere riposizionati in cavità, bensì bagnati con fisiologica sterile e coperti con telini sterili.
Per questa ragione, nella valutazione secondaria ma anche in quella primaria, durante la fase “E” dobbiamo renderci conto di tale eventualità.
Negli altri casi, il trauma addominale può essere accertato solo con i segni
indiretti e con i sintomi del paziente (se cosciente).
I segni indiretti e i sintomi di un trauma addominale sono: ematomi, contusioni, dolore, addome peso, rapida comparsa di distensione addominale
e tutti i segni e i sintomi dello shock emorragico. (Tab. 1)
Il trattamento del trauma addominale è tipicamente chirurgico SCOOP
AND RUN in modo da sfruttare al meglio la Golden Hour.
106
Traumi del bacino
I traumi del bacino possono esitare in fratture delle ossa che lo compongono e in lesioni degli organi contenuti nella cavità da esso formata, ovvero
la cavità pelvica. (Fig. 1)
Fig. 1 - Ossa del
bacino e cavità
pelvica da essa
formata.
Gli organi in esso contenuti sono la vescica, la prostata, l’utero, l’ultima
parte dell’intestino (retto) ed i genitali esterni maschili e femminili.
Sia nell’eventualità della lesione degli organi che, soprattutto, in quella
delle ossa del bacino (spesso abbiamo la coesistenza delle due lesioni) il
problema principale è quello del sanguinamento.
Una frattura multipla delle ossa del bacino può portare ad una perdita ematica di circa 2000-2500 ml di sangue (circa il 50% del nostro volume totale,
considerando che un adulto di 70 Kg ha circa 5 litri di sangue) portando
quindi uno shock emorragico grave.
107
Ultimi lavori scientifici stanno mettendo sempre più in discussione l’opportnità di verificare tramite la soccussione del bacino (esercitare una forza di
circa 20 Kg bilateralmente sulle creste iliache) per valutare sulla scena del
trauma l’eventuale anormale mobilità del bacino stesso che suggerisce la
presenza di fratture multiple delle sue ossa. Il motivo è che tale manovra
della valutazione secondaria può causare la ripresa di un sanguinamento
osseo qualora questo si fosse arrestato per la formazione di un trombo
dovrebbe essere eliminata dalle procedure extraospedaliere.
Nel caso di fratture multiple di bacino certe, può risultare utile il posizionamento del KED in modo opposto, ovvero con la parte del corsetto cervicale
verso i piedi e con quella più larga a fasciare il bacino in modo da creare
una sorta di compressione emostatica delle ossa fratturate.
(Vedi capitolo dedicato alle manovre)
Amputazioni
Per amputazione si intende la rimozione (nel nostro caso traumatica) per
strappamento o taglio di una parte del corpo, in genere un arto o parte di
esso. In alcuni casi, la tecniche chirurgiche consentono il reimpianto della
parte amputata (moncone) se questa è ben conservata e giunge in ospedale in tempi ragionevoli (circa 6 ore dal trauma). Per questo motivo, il
soccorritore deve occuparsi non solo (anche se in primis) del paziente amputato, ma anche del suo moncone.
Trattamento del paziente: quello che deve essere applicato è senza dubbio
la Valutazione Primaria che prevede l’arresto delle emorragie arteriose.
In molti casi è sufficiente la compressione diretta della zona amputata o la
compressione sull’arteria a monte dell’amputazione. In casi eccezionali in
cui non riusciamo a controllare efficacemente l’emorragia, possiamo ricorrere al gonfiaggio del bracciale dello sfigmomanometro fino alla cessazione dell’emorragia. Sono in dotazione di molte ambulanze anche appositi
tourniquet, ovvero dei lacci adatti per il blocco dei focolai emorragici, che
devono essere usati solo come estrema ratio, quando i tre metodi precedenti non hanno risolto la situazione.
108
Trattamento del moncone:
- cercare e recuperare il moncone
- lavarlo con poca soluzione fisiologica, asciugarlo.
- avvolgerlo in un telino sterile e poi inserirlo negli appositi sacchetti per
amputazioni o, in mancanza di questi, in un sacchetto di plastica.
- se possibile, mantenere il moncone freddo,
senza congelarlo e non a contatto diretto con il ghiaccio.
- non immergere le parti amputate in acqua o soluzioni saline.
- avvertire la C.O. della presenza di amputazione per la possibilità di
reimpianto.
Il trauma in gravidanza
Abbiamo già affrontato la gestione della donna in gravidanza nel manuale
del BLS, comunque è utile rammentare che lo stato gravidico porta alcune
modificazioni fisiologiche nella donna:
• volume respiratorio del 40%
• della frequenza respiratoria
(una frequenza di 20/min. può essere del tutto normale)
• fabbisogno di O2 à imperativo somministrare O2 ad alti flussi
della frequenza cardiaca a riposo
(una frequenza di 80-100/min. è piuttosto comune)
• Sindrome da compressione cavale
del tempo di svuotamento gastrico (più facilmente a stomaco pieno)
• della resistenza all’emorragia: in altre parole la donna gravida resiste ad
una emorragia arteriosa più a lungo prima di manifestare i segni eclatanti
dello shock emorragico!!
ATTENZIONE:
• presenza di due vittime da salvare à possibile taglio cesareo d’emergenza anche se la donna è deceduta se gli sforzi rianimatori continuano e
se vicini ad un ospedale à contattare la C.O.
Occorre comunque posizionare la donna sul fianco sinistro per evitare la
compressione aorto-cavale. Nel trauma questo è possibile posizionando
un cuneo (15-20cm) sotto il lato destro dell’asse spinale in modo da fissare
solidamente sia la paziente che l’asse.
109
B.L.S. ALL TRAUMATIZZATO
Valutazione rapida
(incarcerato o prono)
Valutazione Primaria
Immobilizzazione manuale della
testa in posizione neutra
NON COSCIENTE
ALLERTARE IL 118
Sicurezza dello scenario
e
ĚŝŶĂŵŝĐĂĚĞůů͛ŝŶĐŝĚĞŶƚĞ
A
Applicazione del collare cevicale
Eventuale estricazione
(applicazione del collare se non
già posizionato)
Tamponamento immediato di
eventuali emorragie massive
Pervietà delle vie aeree
COSCIENTE
P
fl
fr
(O
A
p
a
1
R
a
m
fr
Dopo eventuale estricazione
immobilizzazione manuale
della testa in posizione
neutra
110
V
s
(
O
8
O
Ispezione del collo
Applicazione del collare
cervicale
(se non posizionato prima )
Tamponamento immediato di
eventuali emorragie massive
di
Presente :ossigeno ad alti
flussi rilevamento
frequenza respiratoria
(O.P.A.C.S. )
Assente e segni di circolo
presenti: ventilazione
assistita
12 atti al minuto
Ossigeno ad alti flussi
8 12 litri / minuto
8-
O.P.A.C.S.
Presente
Si continua assistenza
alla respirazione e si
valuta la frequenza
cardiaca
Assente
Controllo polso
carotideo per la
valutazione della
frequenza cardiaca
Respiro e segni di circolo
assenti
massaggio cardiaco
frequenza 30 2
Polso radiale
Se assente
P.A.S.inferiore 80mmhg
Rilevare la frequenza
cardiaca
Polso radiale o
carotideo
111
ŽŵƵŶŝĐĂƌĞĂůůĂ͘K͘ů͛ĞƐŝƚŽĚĞůůĞǀĂůƵƚĂnjŝŽŶŝƵƐĂŶĚŽůŽƐĐhema A B C D E
Avvertire la C.O. di ogni variazione dei parametri vitali ricominciando daccapo A B C D E
D
Se possibile localizzazione dei traumi interrogando il paziente
Spogliare il paziente e valutare testa - piedi per rilevare presenza di traumi
Immobilizzazione del paziente proteggendolo da ipotermia con telino termico
C
stato di coscienza normale paziente sveglio
stato di coscienza alterato paziente risvegliabile tramite stimolo verbale
coscienza assente ma risponde allo stimolo doloroso
assenza di ogni tipo di risposta
SE RITORNO DI CIRCOLO SPONTANEO CENTRALIZZAZIONE
PREVIO ALLERTAMENTO DELLA CENTRALE 118
Valutazione presenza
del polso radiale
AV.
P.
U.
e
Valutazione del respiro e
segni di circolo
( G.A.S.)
VALUTAZIONE FINE DELLO STATO DI COSCIENZA ED
ESAME DELLA VITTIMA
a
B
E
PBLS – SUPPORTO
VITALE DI BASE NEL
BAMBINO E NEL LATTANTE
indice
3 Introduzione
5 Cause di ACR nel bambino
6 Differenze anatomo-fisiologiche
7 Protocollo P-BLS
16 Ostruzione delle vie aeree
21 Situazioni rianimatorie particolari
25 Aspetti psicologici del P-BLS: gestione dello scenario
27 Conclusioni
28 Algoritmo lattante da 0 a1 anno
29 Algoritmo bambino da 1 anno alla pubertà
Conforme al B.U.R T. N. 35 del 29.08.2007
INTRODUZIONE
Il BLS pediatrico, come per quello dell’adulto, prevede l’esecuzione di una rianimazione cardiopolmonare senza nessuno strumento o con l’ausilio di mezzi accessori per la ventilazione,
eseguita da un singolo soccorritore (astante) o da una squadra
di soli volontari (ambulanza Primo Soccorso) in attesa dell’arrivo
di un ALS team (ambulanza infermieristica, medicalizzata, automedica, elisoccorso) su di un paziente di età compresa tra 0 anni
e la pubertà (età dello sviluppo).
Infante/lattante
Bambino
➤ 0-1 anno
➤
1 anno - alla pubertà
Questa classificazione ci impone di applicare manovre diverse
per le due categorie di pazienti anche se la distinzione basata
sull’età anagrafica presenta dei limiti che devono essere conosciuti. Bambini della stessa età possono, infatti, presentare corporature profondamente diverse e bambini di età diverse possono
avere un peso paragonabile. Sarà quindi il buon senso dei soccorritori a decidere se definire ancora infante un bambino di due
anni e se considerare già bambino un infante di dieci mesi.
Come vedremo, ci sono molte differenze tra bambini e adulti in
termini di cause di arresto cardiaco, in termini di anatomia e fisiologia dei diversi apparati e anche di manovre da applicare durante
il P-BLS.
Si ringrazia il Dott. Andrea Franci sul cui lavoro si basa il presente manuale,
ed i volontari che fattivamente hanno collaborato per la sua realizzazione
3
CAUSE DI ACR NEL BAMBINO
L’arresto cardiaco nel paziente pediatrico riconosce cause molto differenti
da quelle dell’adulto. Le cause più importanti e frequenti sono infatti quelle
respiratorie (nell’adulto prevalgono le cause cardiache): in pratica l’arresto
cardiaco non è quasi mai un evento inatteso come nell’adulto (caduta improvvisa a terra) ma è lo stadio finale di una difficoltà respiratoria di molteplice origine o di uno shock che progressivamente portano all’arresto
prima respiratorio e poi cardiaco. Tra le cause più frequenti vi sono:
➢
➢
➢
➢
➢
➢
Ostruzione da corpo estraneo (cibo, giocattoli)
Traumi
SIDS (morte in culla)
Annegamento
Malattie respiratorie (difterite, laringiti, asma)
Malattie neurologiche
Per quanto detto finora, appare quindi fondamentale intervenire precocemente assistendo la respirazione per cercare di evitare l’evoluzione di questa difficoltà respiratoria in arresto respiratorio e quindi col trascorrere del
tempo in quello cardiaco.
Questa necessità è riassunta nella Catena della Sopravvivenza per il
bambino (differente da quella per l’adulto) che prevede, in sequenza, la
prevenzione dell’evento, la immediata RCP, la rapida (ma non immediata
come per l’adulto) chiamata dei soccorsi e l’ACLS precoce. (Fig. 1)
Fig. 1 Catena della sopravvivenza pediatrica.
5
DIFFERENZE ANATOMO-FISIOLOGICHE
Devono essere conosciute perché influenzano le nostre manovre rispetto
al BLS adulto. Ovviamente, queste differenze sono massime nel primo
anno di vita e si riducono gradualmente col passare del tempo fino alla
puberta (oltre il quale il BLS è quello dell’adulto):
• La lingua è in proporzione più grande di quella dell’adulto ➢ più facile
ostruzione delle vie aeree nel bambino non cosciente.
• Le vie aeree alte e basse sono relativamente più strette ➢ maggiore
facilità di ostruzione da corpi estranei o da processi infiammatori
(edema della glottide).
• La pervietà delle vie aeree si ottiene con estensioni moderate della
testa piuttosto che con iperestensioni simili a quelle dell’adulto.
• La perfusione degli organi è strettamente dipendente dalla frequenza
cardiaca ➢ frequenze inferiori a 60/minuto sono inefficaci e devono
essere trattate come una asistolia (massaggio cardiaco).
• La Fibrillazione Ventricolare è un ritmo di esordio dell’ACR molto raro
(15% circa) rispetto all’adulto (95% circa) proprio per l’origine non
cardiaca dell’evento.
Il vero problema per il soccorritore è rappresentato quando il giovane
paziente si trova a “cavallo” fra le due fascie di età, nelle quali la
scelta della tecnica da adottare diviene estremamente difficoltosa e
comunque a discrezione del soccorritore che si trova sullo scenario.
Purtroppo il fallimento della scelta potrebbe compromettere l’esito
delle manovre. Comunque se si osserva che la RCP non da esisti utilizzando le manovre da lattante è possibile passare immediatamente
all’effettuazione delle manovre idonee al “bambino”.
USIAMO SEMPRE IL BUON SENSO !!!
6
PROTOCOLLO P-BLS
A - Valutazione dello stato di coscienza
Si esegue toccando e chiamando il bambino. Nel caso di perdita di coscienza, il soccorritore da solo (per es. in un luogo isolato o in casa da
solo) deve continuare la sequenza del P-BLS. Se il soccorritore si trova in
un luogo pubblico, deve delegare gli astanti all’immediato allertamento del
118 mentre continuerà la sequenza del P-BLS. Nel caso della squadra di
un’ambulanza, l’autista (o uno dei 2 soccorritori) avverte subito il 118 della
perdita di coscienza (andando anche a prendere bombola dell’ossigeno e
pallone di Ambu se non già portati sullo scenario) mentre i soccorritori continuano la sequenza del P-BLS. A questo punto, i due soccorritori provvedono ad allineare su un piano rigido (tavolo, pavimento) il paziente e alla
scopertura del torace e/o addome (nel caso del lattante), inoltre se possibile si consiglia nel caso del lattante, l’eventuale posizionamento di un
piccolo spessore (asciugamano o lenzuolo arrotolato sotto le spalle del
lattante stesso, per aiutare la posizione neutra della testa.
Ispezione ed apertura delle vie aeree
Nell’infante e nel bambino non traumatizzati, una volta esclusa la presenza
di corpi estranei in bocca (o, eventualmente, rimossi quelli facilmente raggiungibili), la pervietà delle vie aeree si ottiene mediante una modesta
estensione e un corretto sollevamento del mento (con un dito nell’infante
o due nel bambino, sulla parte ossea del mento) (Fig. 2).
Nel caso in cui questa manovra non sia efficace, si deve ricorrere alla graduale estensione della testa fino ad ottenere la pervietà. Nel caso di sospetto trauma, si utilizza il sollevamento della mandibola sia per l’infante
che per il bambino. (Fig. 3).
7
B - Valutazione della respirazione
Si esegue mantenendo la pervietà delle vie aeree e, come per l’adulto,
Guardando - Ascoltando - Sentendo per 10 secondi. (Fig. 2)
Fig. 2 - Estensione della testa e
sollevamento del mento: valutazione del respiro.
➡
Fig. 3 - Sollevamento della mandibola
➡
8
Respirazione
Nel caso del singolo soccorritore senza ausili per la ventilazione, si procede alla
respirazione bocca boccanaso nell’infante e bocca bocca per il bambino.
(Fig. 4)
Fig. 4 - Ventilazione bocca-bocca naso nell’infante
Il personale dell’ambulanza,
deve utilizzare un pallone di
Ambu pediatrico collegato, se
possibile, ad una fonte di ossigeno (6 - 8 lit./min.).
La maschera facciale deve
essere della misura adeguata, per evitare la non perfetta tenuta della stessa e,
conseguentemente, la difficile
ventilazione del bambino.
Fig. 5 - Ventilazione con Ambu pediatrico
(Fig. 5)
9
La maschera deve essere
tenuta come nell’adulto, (Fig.
6) con la differenza dell’utilizzo del solo terzo dito della
mano sinistra nell’infante per
evitare di comprimere, con le
ultime due dita, le strutture
non ossee del collo (rischio
di occlusione delle vie
aeree!). (Fig. 6-7)
Fig. 6 - Ventilazione con pallone di Ambu nell’infante
Le insufflazioni (5 durante la
prima volta - di cui almeno 2
efficaci - e 2 successivamente durante i cicli di RCP)
devono durare 1,5 secondi
ciascuna con uguale durata
della inspirazione e della
espirazione.
Dobbiamo, inoltre, porre
grande attenzione alla dolcezza delle insufflazioni, per
evitare la distensione gastrica
con rischio di rigurgito.
La quantità di aria da insufflare per ogni paziente non è
standardizzabile per la variabilità dei pazienti stessi; pertanto, si devono insufflare
quantitativi di aria sufficienti
a dare ventilazioni efficaci
(cioè in grado di far sollevare
il torace).
Fig. 7 - Ventilazione con pallone nel bambino:
nota la presa della mandibola senza le ultime due dita.
Inoltre nota il tubo dell’O2 sul fondo del pallone
Fig. 8 - Ventilazione a due soccorritori con pallone di Ambu
10
Per il bambino e per l’infante, di fronte ad un mancato sollevamento del
torace (ventilazione non efficace), fra una ventilazione e l’altra delle prime
5, dobbiamo verificare l’adesione maschera ed aumentare o diminuire l’inclinazione della testa sino a rendere le ventilazioni efficaci.
Se almeno 2 dei 5 tentativi non riescono e se sentiamo resistenza a spremere il pallone, dobbiamo sospettare una ostruzione delle vie aeree e passare al protocollo per la disostruzione (vedi disostruzione a paziente
incosciente).
Nel caso di pazienti pediatrici, la possibilità di ostruzione da corpo estraneo
è molto alta: spesso, l’evento è testimoniato (parenti, maestri, baby-sitter),
ed è, quindi, possibile conoscerlo fin dal nostro arrivo (“…il bambino stava
mangiando e ha cominciato improvvisamente a tossire…”, “…il bambino
stava giocando e di colpo ha spalancato gli occhi, ha tossito e poi è diventato blu…”).
Di fronte ad una difficoltà a mantenere la maschera aderente (evidenti spifferi dell’aria all’esterno durante le insufflazioni) è possibile ricorrere, in
modo eccezionale, alla ventilazione a due soccorritori, nella quale il soccorritore alla testa tiene la maschera aderente con ambedue le mani, e
l’altro soccorritore agisce sul pallone insufflando. (Fig. 8)
La mancanza di denti dei lattanti può creare difficoltà alla perfetta aderenza
della maschera al volto (come per gli adulti nei soggetti privi di denti), se
il paziente è incosciente potrebbe essere provvidenziale l’inserimento di
una cannula oro-faringea della corretta misura perché una cannula
troppo lunga o troppo corta, potrebbe aggravare la difficoltà a ventilare.
11
Cannula di mayo
L’utilizzo di questo presidio, non è citato sulle linee guida pubblicate sul
B.U.R.T n° 35 del 2007, ma per il personale sanitario, potrebbe rappresentare l’ultima speranza, di conseguenza potrebbe esserci richiesto
l’eventuale utilizzo.
B
A
➝
➝
LINGUA
VIE AEREE
C
D
EPIGLOTTIDE
➝
Fig. 9
A - Scelta della corretta misura della cannula oro-faringea: la cannula dovrebbe essere
misurata partendo dalla rima labiale fino all’angolo della mandibola (radice dell’orecchio).
B - Cannula in posizione corretta: la lingua resta al di sotto della cannula, nella sua sede
naturale lasciando pervia la via aerea.
C - Cannula troppo grande: il passaggio dell’aria attraverso di essa viene ostacolato dalla
epiglottide che occlude l’apertura distale della cannula.
D - Cannula troppo corta: l’estremità distale della cannula non arriva alla base della lingua,
ma si ferma a metà lingua facendo innalzare la base che occlude la cannula stessa e la
via aerea.
12
Fig. 10 - La pervietà delle vie aeree
nei bambini piccoli è ottenuta partendo dalla posizione neutra: se necessario, è possibile estendere
gradualmente la testa fino ad ottenere una buona respirazione autonoma (per il paziente non cosciente
che respira) o una agevole ventilazione artificiale.
La difficoltà alla ventilazione
deriva anche da altre ragioni
anatomiche: il neonato e il
bambino nei primi anni di
vita, hanno una lingua relativamente grande rispetto alla loro cavità orale
e le vie aeree (come già detto nel paragrafo delle differenze anatomo - fisiologiche) sono più strette.
È quindi utile cominciare a ventilare partendo da una posizione neutra della
testa per poi, se necessario, procedere ad una sua graduale estensione.
(Fig. 10)
L’iperestensione della testa, fondamentale manovra per la pervietà delle vie
aeree dell’adulto, è invece da evitare perché spesso peggiora la situazione.
È importante distinguere la movimentazione della testa in base all’età:
da 0 a 1 anno:
posizione neutra
data la fragilità del rachide cervicale,
la dimensione della lingua e la
consistenza meccanica del sistema
laringe, faringe e trachea.
Da 1 anno alla pubertà:
posizione di “estensione”
(e non iperestensione) della testa
dato il diminuire delle prerogative
fisiologiche di cui al punto sopra.
13
C – Circolazione
Dopo aver eseguito 5 insufflazioni, 2 delle quali efficaci, si passa alla valutazione della attività circolatoria. Questa valutazione si esegue per 10
secondi guardando il paziente alla ricerca dei segni indiretti di attività circolatoria, come tosse, deglutizione o movimenti
La loro presenza
ci conferma la presenza dell’attività circolatoria.
La loro assenza
ci conferma l’assenza del polso.
Fig.12 A-B-C
A
B
Una volta accertata la mancanza dei
segni di circolo, occorre ricercare il punto
per iniziare il massaggio.
Nell’infante e nel bambino, il punto di repere si trova seguendo con una mano
l’arcata costale, fino all’individuazione
dell’intersezione delle 2 arcate, (Fig.12 A),
a questo punto si sale di un dito, o si accosta un dito dell’altra mano, (Fig. 12 B) e
si pongono al disopra altri 2 dita.
Nel caso del lattante si comprime con 2
dita, (Fig. 12 C) mentre nel bambino si
comprime con una mano.
Si arriva a massaggiare a due mani a seconda della costituzione fisica del bambino e della crescita progressiva dell’età.
Il massaggio cardiaco, nell’infante viene
eseguito con due dita e nel bambino con
una mano, perché il massaggio sia efficace dobbiamo fare in modo che il torace
si abbassi 1/3 del suo spessore.
C
14
Fig. 13 - Massaggio cardiaco nell’infante.
Fig. 14 - Massaggio cardiaco nel
bambino.
Il soccorritore deve, quindi, calibrare la sua forza in base al tipo di bambino
che si trova a dover rianimare!
La frequenza di compressioni che dobbiamo mantenere è di almeno
100/min, con un rapporto compressioni - ventilazioni di 30÷2 (sia per il singolo soccorritore sia per i due soccorritori).
Questo significa che dobbiamo eseguire circa due compressioni in un secondo e 20 cicli in un minuto. (Fig 13 e 14)
La rianimazione cardiopolmonare non deve essere interrotta fino a quando
non si riapprezzino segni vitali (tosse, movimenti), non arrivino soccorsi
avanzati o non vi sia esaurimento fisico del soccorritore.
15
OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE
Rappresenta una causa molto frequente di arresto cardiorespiratorio
per il paziente pediatrico nei primi anni di vita. Fondamentale è la prevenzione, evitando di dare cibi particolarmente “insidiosi” per i bambini
come arachidi, caramelle, olive ecc., e utilizzando giocattoli adatti per l’età
del bambino, omologati dalla Comunità Europea.
Ricordiamoci che il bambino, comincia ad esplorare il mondo portandosi
gli oggetti alla bocca!
Il soffocamento da corpo estraneo nel paziente pediatrico, è spesso testimoniato dalle persone che accudiscono il bambino.
Esse ci riferiscono l’improvvisa comparsa di dispnea, tosse, tirage (rumore
respiratorio a tipo crisi d’asma) mentre il bimbo gioca o mangia.
I soccorritori, di fronte ad una ostruzione da corpo estraneo, devono lasciare tossire il paziente senza intervenire con manovre che
potrebbero trasformare una ostruzione parziale in completa.
La tosse efficace (rumorosa), infatti, è segno di un certo grado di
ventilazione spontanea che, se si
mantiene, può consentire l’ospedalizzazione rapida, trasportando il
paziente nella posizione a lui più
confortevole (in genere semiseduta), somministrando O2 (5-8
lit/min).
Solamente quando la tosse non risulta più efficace o vi sono turbe
della coscienza, i soccorritori devono mettere in atto le manovre
per la disostruzione delle vie
aeree.
Fig. 15 - Manovra di Heimlich
su paziente cosciente.
16
Disostruzione delle vie aeree a
paziente cosciente
Nel bambino, la tecnica di disostruzione, è simile a quella dell’adulto
(cambia, ovviamente, la forza applicata!): 5 colpi interscapolari alternati a 5 compressioni addominali
(manovra Heimlich) in piedi o con
il soccorritore in ginocchio a seconda dell’altezza del bambino,
(Fig. 15), fino a risoluzione del problema o fino a quando il bambino
non perde coscienza (vedi disostruzione a paziente incosciente).
Nell’infante la presenza di un
grosso fegato che occupa tutto
l’addome superiore, ci impedisce
l’utilizzo della manovra di Heimlich
Fig. 16 - Colpi interscapolari.
(rischio di rottura epatica).
Di conseguenza alterniamo 5 colpi interscapolari (Fig. 16-17) (tra le due scapole) con 5 compressioni toraciche (nello stesso punto del massaggio cardiaco). (Fig. 18)
Dobbiamo “maneggiare” il paziente con estrema cautela, passandolo da
un braccio all’altro (per spostarlo da supino a prono e viceversa) mantenendo sempre la testa sul palmo di una o dell’altra mano. I colpi interscapolari vengono erogati con il lattante prono sul nostro avambraccio, con
la testa leggermente estesa mediante la flessione del nostro polso, e con
la testa più bassa del corpo. Per maggior stabilità, possiamo poggiare il
nostro avambraccio sulla nostra coscia. È inoltre utile mantenere in bocca
il 4° dito, per poter subito apprezzare l’eventuale risalita del corpo estraneo. Fatto questo riportiamo supino il bambino ed eseguiamo 5 spinte toraciche nello stesso punto dove eseguiamo il massaggio cardiaco ma più
lentamente, 1 ogni 3”, continuiamo così fino a risoluzione del problema o
fino a quando il bambino non perde coscienza (vedi disostruzione a paziente
incosciente).
17
Fig. 17 - Colpi interscapolari.
ATTENZIONE: non usare MAI la manovra di appendere il bambino a
testa in giù reggendolo per le caviglie perché ha un alto rischio di lesioni vertebrali!! (per la sproporzione tra le grosse dimensioni della
testa e la debolezza della colonna vertebrale e dei suoi muscoli e legamenti).
Fig. 18 - Compressioni
toraciche.
18
Fig. 19 - Compressioni
toraciche a bambino
non cosciente.
Fig. 20 - Compressioni
toraciche a infante
non cosciente.
19
Disostruzione delle vie aeree a paziente incosciente
Quando il bambino perde coscienza, le manovre da mettere in atto sono
quelle previste dal PBLS. Si deve posizionare la vittima su un piano rigido
ed eseguire i punti A e B del PBLS.
Una volta che le 5 insufflazioni siano risultate inefficaci, si dovranno cominciare le compressioni toraciche (30), alternandole ad una rapida valutazione della pervietà delle vie aeree ed alle 2 ventilazioni. (ciclo PBLS)
Tale ciclo deve essere ripetuto fino a che non si riesca a ventilare efficacemente il bambino o fino all’arrivo di una equipe ALS che possa utilizzare
metodi invasivi per cercare di ripristinare la pervietà delle vie aeree.
Le manovre di disostruzione non necessariamente danno luogo all’eliminazione del corpo estraneo, ma possono comunque liberare parzialmente
le vie aeree in modo da rendere le ventilazioni artificiali a pressione positiva, efficaci.
20
SITUAZIONI RIANIMATORIE PARTICOLARI
Le situazioni che richiedono al soccorritore una gestione diversa dello scenario, sono molte ma, per il paziente pediatrico, le più comuni sono il
trauma e l’annegamento.
Trauma
Rappresenta la causa principale di morte per i bambini al di sopra di 1
anno di età (al di sotto, abbiamo le ostruzioni da corpo estraneo).
L’algoritmo di intervento per il trauma pediatrico è assimilabile a quello
dell’adulto.
Ci sono, però, alcuni aspetti che meritano di essere affrontati in questo
ambito. Primo fra tutti, è quello della prevenzione. In Italia, questo aspetto
è oltremodo trascurato dai singoli cittadini che, allegramente e incoscientemente si armano di falsa furbizia ignorando il Codice della Strada.
Per questo motivo è più facile vedere un bambino seduto accanto al guidatore o, peggio ancora, posteriormente in mezzo ai due sedili anteriori o
in braccio al passeggero, piuttosto che ancorato ad un seggiolino omologato e correttamente posizionato.
American Heart Association, nelle sue Linee Guida P-BLS, definisce
esattamente quale tipo di dispositivi utilizzare e il modo in cui farlo, per
ogni bambino (in base al peso e all’altezza).
Partendo dal presupposto che in Italia ancora poche persone adottano
queste norme fondamentali di sicurezza per il proprio figlio, il soccorritore
si trova molto spesso a scenari traumatologici in cui sono coinvolti, anche
seriamente, pazienti pediatrici.
Il secondo aspetto, riguarda il P-BLS al traumatizzato che prevede la non
applicazione delle convenzionali manovre di pervietà delle vie aeree
(estensione della testa e sollevamento del mento) e, invece, l’adozione
del sollevamento della mandibola. (Fig. 20)
L’errore più frequente fatto dai soccorritori sul paziente traumatizzato, è,
probabilmente quello di una non corretta immobilizzazione della colonna
cervicale.
21
➡
➡
Fig. - 20 Sollevamento del mento nel paziente pediatrico traumatizzato: gli indici poggiano
sul mento e spingono verso il basso la mandibola (freccia piccola) mentre i medi, esercitano
una spinta verso l’alto dietro l’angolo della mandibola (freccia grande).
È imperativo il mantenimento della posizione neutra (vedi traumatologia) che,
nel bambino, è ottenuta mediante l’inserimento di uno spessore di 2-3 cm
(es. uno o due telini) sotto la parte alta del torace (avendo cura di non flettere la colonna vertebrale nel loro inserimento).
Questo aiuta a compensare la relativa maggior dimensione della testa che,
posta su un piano perfettamente orizzontale, tenderebbe ad una fisiologica
flessione, non permettendo l’ottenimento della posizione neutra.
Le ultime Linee Guida hanno sottolineato la maggior importanza della corretta ossigenazione del malato che ha un problema di pervietà delle vie
aeree o che ha un problema di pervietà delle vie aeree e di respirazione
rispetto al garantire un allineamento testa-collo-tronco.
Pertanto se il soccorritore non riesce a garantire un’adeguata pervietà
delle vie aeree e/o una adeguata ossigenazione mediante la ventilazione
artificiale nel paziente traumatizzato con il sollevamento della mandibola,
deve eseguire una graduale e prudente estensione della testa fino ad ottenere la necessaria ventilazione.
22
È comunque di fondamentale importanza, oltre al costante mantenimento
della pervietà delle vie aeree, garantire una corretta ossigenazione al
paziente pediatrico traumatizzato (somministrare O2!!) e una scrupolosa immobilizzazione di tutto il rachide (collare cervicale, tavola spinale).
Per l’utilizzo di questi strumenti, si rimanda ai testi di traumatologia.
Annegamento
Incidente piuttosto frequente nei bambini sopra l’anno di età. Appare prioritaria la regola sempre valida dell’autoprotezione per evitare rischi a catena.
Se l’annegamento avviene per caduta dall’alto (es. tuffo da trampolino)
dovremo trattare il bambino come un traumatizzato.
Un errore da non fare è quello di considerare l’acqua presente nelle vie
aeree, come corpo estraneo: nessuna manovra di disostruzione (Heimlich,
compressioni toraciche ecc.) deve essere eseguita perché inutile e ritardante le manovre salvavita per l’annegato (respirazione artificiale, massaggio cardiaco esterno, riscaldamento, rapida ospedalizzazione).
Se l’annegamento avviene in acque particolarmente fredde, l’ipotermia
che ne deriva è un fattore di protezione per i danni ipossici in quanto rallenta il metabolismo cerebrale. Consideriamo, inoltre, che la rapida ospedalizzazione è di fondamentale importanza perché una ripresa del circolo
spontaneo spesso avviene solo dopo che il bambino è stato riscaldato.
Nel trasporto in ospedale si continua RCP e si avverte la Centrale Operativa 118 per il preallertamento dei rianimatori.
La condotta dei soccorritori, davanti ad un paziente pediatrico in arresto
cardiaco, in assenza del medico, non differisce da quella che deve essere
tenuta per l’adulto. Le uniche cause che possono esimere il soccorritore
non medico dall’iniziare una RCP sono:
•
•
•
•
•
•
Decapitazione
Rigidità cadaverica palese
Macchie ipostatiche
Segni di decomposizione del cadavere
Emicorporectomie
Cause forza maggiore
23
Analogamente, il soccorritore può interrompere la RCP in assenza di medico solo per:
• Esaurimento fisico dei soccorritori.
• Arrivo di un’unità ALS (medico e/o infermiere) che rilevi le
condizioni.
• Arrivo di un DAE (solo nel caso del bambino).
• Causa forza maggiore (es. pericolo imminente per i soccorritori, senza la possibilità di spostare la vittima).
Oltre a questi casi, nessuno può ordinare ai soccorritori di non intraprendere o di interrompere una RCP.
24
ASPETTI PSICOLOGICI DEL P-BLS: GESTIONE DELLO SCENARIO
Tutto il personale sanitario impegnato nel campo dell’emergenza, è sottoposto a stress che, più o meno palesemente manifesto, gioca un ruolo negativo nell’attività di soccorso.
L’intervento di soccorso su un bambino, evoca un coinvolgimento emotivo
molto grande anche nei soccorritori più esperti. La gestione dello scenario
è, pertanto, più difficile potendo arrivare anche a situazioni estremamente
drammatiche.
La nostra maggiore preoccupazione deve andare ai genitori e ai parenti
del bambino che rappresentano inevitabilmente un fattore ambientale
ostile.
Studi effettuati negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, hanno evidenziato
come molti familiari abbiano considerato di conforto l’essere stati accanto
al loro bambino nel momento del suo decesso. Familiari presenti durante
le manovre di RCP, hanno confermato che questo li ha aiutati ad elaborare
il lutto per la morte del bambino e, cosa più importante, che, tornando indietro, lo avrebbero rifatto.
Studi psicologici hanno dimostrato che i genitori di figli morti in loro presenza, hanno sviluppato gradi minori di ansia e depressione rispetto a genitori che non hanno assistito il loro figlio in punto di morte.
Per questo motivo, i soccorritori non devono cercare di allontanare a tutti
i costi i familiari dalla stanza dove avviene la RCP, ma di fronte alla volontà
dei parenti stretti, di assistere, dovrebbero concedere questa possibilità.
Durante l’esecuzione delle manovre rianimatorie l’équipe sanitaria deve
tenere un comportamento adeguato alla particolare suscettibilità e fragilità
psichica della famiglia: sono da evitare gli atteggiamenti di sfida, da “superman”, o comportamenti di agitazione ed eccitazione (urla, imprecazioni
ecc.).
Molto sconvenienti sono anche le considerazioni sulla prognosi del bambino del tipo “è andato”, “è spacciato” e le metafore sul decesso dello
stesso, come “è passato a miglior vita” o “non ce l’ha fatta” , “abbiamo fatto
tutto il possibile”. Non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il
loro nome, purché lo facciamo con delicatezza ed educazione (“vostro figlio è deceduto… se possiamo fare qualcosa per voi… dobbiamo avvertire
qualcuno della vostra famiglia…”).
25
Il soccorritore deve sempre mantenere un comportamento educato ma
professionale, senza, per questo, ostentare superiorità o freddezza.
Al ritorno da ogni servizio particolarmente impegnativo sia da un punto di
vista tecnico che da quello emotivo, la squadra di soccorso dovrebbe
analizzare criticamente tutto l’intervento, per cercare di rielaborare le
sensazioni più coinvolgenti e focalizzare gli eventuali errori commessi
dall’équipe.
Ultimamente, anche in Italia, stanno diffondendosi le metodiche di Debriefing, tenuti da psicoterapeuti e psicologi per aiutare coloro che hanno
vissuto esperienze particolarmente stressanti nell’esercizio della propria
attività di soccorso.
26
CONCLUSIONI
La rianimazione cardiopolmonare pediatrica, rappresenta un insieme di
manovre simili a quelle dell’adulto, che devono però tenere conto delle sostanziali differenze anatomiche, fisiologiche e causali rispetto al BLS dell’adulto. Il particolare coinvolgimento emotivo di tutti (genitori, familiari,
astanti, soccorritori, medici) di fronte ad un bambino in pericolo di vita, richiede un eccezionale impegno per gestire lo scenario di intervento.
La (fortunatamente) bassa frequenza con cui siamo chiamati, in ambito
extraospedaliero, a mettere in pratica il P-BLS, ci espone al rischio (tutt’altro che remoto) di dimenticare le sequenze e le manualità di esso.
Invitiamo, pertanto, tutti i Volontari, a rivedere periodicamente sia in teoria
che in pratica tutto quello che, alla fine del corso, avranno acquisito.
27
A
ALGORITMO
LGORITMO LATTANTE
LA T T A N T E d
da
a0a1A
ANNO
NNO
Scenario in SICUREZZA ?
NO
Contatta il 118 ed
attendi la bonifica
SI
Valutazione stato di coscienza
Fase A
NO
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Chiamata
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! P
osizionamento ssu
up
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s c o p e rto
Posizionamento
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o ra c e e a
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Respiro
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V
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n s u ffla z io n i, a
almeno
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2 E
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!
!
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!
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Mantenere iin
Mantenere
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POSIZIONE
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P
Proteggere
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p o te r m ia ,
C
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NO
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della
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della
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s s e n te
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V
Ventilare
entilare iill p
paziente:
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ffic a c i
5 iinsufflazioni,
n s u ffla z io n i, a
almeno
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efficaci
Fase B
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29
NOTE:
31
ACLS- STRUMENTI
E DISPOSITIVI PER IL
SOCCORSO AVANZATO
Il supporto vitale
avanzato (ALS) con
attrezzature
specifiche
Gli interventi terapeutici che contribuiscono ad una prognosi favorevole dopo l’arresto cardiaco
possono essere riuniti in una catena, la così detta catena della sopravvivenza (Figura 1).
Figura 1. Catena della sopravvivenza.
Essa comprende:

Allarme immediato. Nell’arresto cardiaco extra ospedaliero, l’accesso immediato al sistema di
emergenza sanitaria è molto importante. Una volta accertato l’arresto cardiorespiratorio, la
defibrillazione non dovrebbe essere ritardata in attesa dell’ambulanza medicalizzata, ma se possibile,
si utilizza subito il defibrillatore semiautomatico a disposizione sul mezzo di soccorso.
Il supporto vitale avanzato (ALS) con attrezzature specifiche

BLS. Il BLS è la base del soccorso, è la prima procedura che si attua una volta arrivati sul luogo di
intervento. La sequenza e le modalità previste sono descritte nel capitolo dedicato.

Defibrillazione precoce. Nell’ACR l’obiettivo è quello di somministrare uno shock (se indicato) entro 5
minuti dalla chiamata al 118. Per le modalità si fa riferimento al capitolo dedicato.

ALS. In molti casi, anche se la defibrillazione ha ripristinato il ritmo di perfusione, ciò non è sufficiente
a sostenere il circolo ed è necessario un ulteriore trattamento avanzato per aumentare la probabilità
di sopravvivenza a lungo termine. Questo avviene attraverso la somministrazione di farmaci specifici.
Con lo sviluppo dei defibrillatori semiautomatici (che verranno trattati in un capitolo a parte), ad opera
di non sanitari nei luoghi pubblici, si è data molta importanza al terzo anello della catena.
Durante l’intervento, le attrezzature di cui ci si può avvalere sono molte, la maggior parte di queste
possono essere usate solo dai medici e dagli infermieri del 118, alcune altre anche dai volontari, è
essenziale conoscerle bene per usarle in modo corretto.
Aspiratore orotracheale
L’aspiratore è uno strumento di soccorso che ha come scopo l’aspirazione dei liquidi e dei semiliquidi
all’interno della bocca e delle prime vie aeree del paziente (Figura 2A). L’utilizzo, per il solo cavo orale, è
autorizzato per tutti i soccorritori, l’aspirazione oltre il cavo orale è di esclusiva pertinenza medica. Il
dispositivo è alimentato a batterie ricaricabili ed è posto in ambulanza su di una staffa di supporto
alimentata, o connesso ad un cavo. Il suo funzionamento prevede tre passaggi:
1. accensione dell’apparecchio attraverso l’apposito pulsante;
2. regolazione dell’intensità dell’aspirazione tramite manopola e manometro (negli strumenti che
hanno questa funzione);
3. aspirazione vera e propria con movimento verticale ascendente e discendente continuo nel cavo
orale.
A
Figura 2. Aspiratore elettromeccanico (A) e set di sondini (B).
B
Il supporto vitale avanzato (ALS) con attrezzature specifiche
Al tubo di raccordo dell’apparecchio va inserito un sondino monouso, disponibile in varie misure
(Figura 2B), che sarà introdotto all’interno della bocca. Dopo ogni utilizzo lo strumento deve essere pulito
ed il suo sacchetto raccogli liquido (usa e getta) deve essere sostituito.
Intubazione orotracheale
E’ tuttora considerato il metodo più adeguato per ottenere e mantenere il controllo delle vie aeree,
ma deve essere impiegato solamente se è presente personale medico o infermieristico. L’intubazione
tracheale è considerata superiore, rispetto ad altre tecniche, poiché le vie aeree sono isolate, in modo
affidabile, dai materiali estranei alla faringe. Inoltre è possibile l’aspirazione di materiali presenti nel tratto
respiratorio distale. La ventilazione attraverso il tubo oro tracheale può essere ottenuta senza perdite
d’aria.
Materiale necessario per l’intubazione:

Laringoscopio. In acciaio o titanio (Figura 3A), generalmente a lama ricurva tipo Macintosh. Sono
disponibili quattro misure (S, M, L, XL), la lama L è quella più utilizzata. La fonte di luce, presente sulla
lama, e la batteria devono essere controllate periodicamente e subito prima dell’uso. Eventuali
ricambi devono essere disponibili subito.

Tubo tracheale. Di materiale plastico (Figura 3B), sono disponibili misure da 2.5 (pediatrica) a 9.5 (per
gli adulti), necessarie per tutte le tipologie di pazienti, sono dotati di connettore standard di uguale
dimensione in tutti i tubi (si adattano perfettamente al pallone autoespansibile). La misura è decisa dal
medico!
A
B
Figura 3. Laringoscopio con lame (A) e tubi orotracheali (B).

Siringa per cuffiare. È necessaria una siringa da 10ml o 20ml (preferibile) per gonfiare il palloncino,
detto cuffia, del tubo orotracheale.
Il supporto vitale avanzato (ALS) con attrezzature specifiche

Altri strumenti. Esistono poi altri strumenti che possono essere usati in questa operazione, come il gel
lubrificante, le pinze di magill (consentono di indirizzare meglio il tubo, Figura 4A) o il mandrino (da
inserire nel tubo per dargli una conformazione più adatta, Figura 4B).
A
B
Figura 4. Pinze di magill (A) e mandrini (B).
Sequenza degli oggetti per una corretta intubazione:
1. laringoscopio;
2. tubo orotracheale, eventualmente mandrinato;
3. siringa per cuffiare (da 20 ml);
4. fonendoscopio (opzionale, se il medico non ha il suo con se);
5. una cannula orofaringea, se richiesta;
6. cerotto telato;
7. raccordo corrugato (catheter mount, Figura 5).
Figura 5. Raccordo corrugato o catheter mount.
Una volta assicurate le vie aeree con l’intubazione, il rapporto di 30
compressioni e 2 insufflazioni può non essere più rispettato!
Il supporto vitale avanzato (ALS) con attrezzature specifiche
Ossigenoterapia
L’ossigenoterapia è’ indicata per contrastare l’ipossiemia (ad esempio edema polmonare), migliorare
l’ossigenazione tissutale (ad esempio paziente traumatizzato), nei malati in ossigenoterapia domiciliare e in
tutti i casi di arresto cardio-respiratorio.
Per somministrare ossigeno va utilizzata una mascherina monouso, ne esistono 4 tipi:
maschera normale, Figura 6A;
maschera tipo Venturi, Figura 6B;
maschera con reservoir, Figura 6C;
maschera per aerosol, Figura 6D.
A
B
C
D
Figura 6. Maschera semplice (A), maschera tipo Venturi (B), maschera con reservoir (C), maschera per aerosol (D).
Ventilazione con “va e vieni”
Il pallone non autoespansibile (VA e VIENI) ha la caratteristica di richiedere una fonte di ossigeno ad
alti flussi per poter funzionare, in sua assenza non si gonfierebbe (Figura 7). Il suo utilizzo sul territorio è
prevalentemente per la ventilazione artificiale del paziente intubato, in quanto dispone di una valvola per il
controllo della pressione che evita il barotrauma delle vie aeree del paziente. Per questo motivo, una volta
che il paziente è stato intubato, si dovrebbe sempre passare alla ventilazione con va e vieni e non più con il
pallone autoespansibile (ambu).
Figura 7. Palloni va e vieni, adulto e pediatrico.
Sindromi
coronariche acute e
dispositivi per
l’elettrocardiografia
La Sindrome coronarica acuta (SCA) è una definizione che riunisce le diverse manifestazioni cliniche
delle patologie riguardanti le arterie coronarie. Il sintomo che unisce tali manifestazioni è il dolore toracico,
presente nella maggior parte delle persone che si recano al pronto soccorso degli ospedali, nel sospetto di
una patologia cardiovascolare.
Il cuore
Dal punto di vista topografico si trova nella cavità toracica, al di sopra del diaframma e fra i due
polmoni, in contatto anteriormente con sterno e cartilagini costali, posteriormente con la colonna
vertebrale. Lo spazio in cui è situato è detto mediastino.
Figura 8. Collocazione del cuore.
Sindromi coronariche acute e dispositivi per l’elettrocardiografia
Lateralmente sono presenti gli ili polmonari, i due nervi frenici e i vasi pericardio-frenici.
Posteriormente, il cuore è in rapporto con l’esofago, l’aorta discendente e le vene azigos ed emiazigos. Il
cuore è costituito pressoché esclusivamente da tessuto muscolare striato, avvolto da una struttura fibrosa
detta pericardio. È l’organo centrale dell’apparto circolatorio, funge da pompa capace di produrre una
pressione sufficiente a permettere la circolazione del sangue in tutti i tessuti.
La circolazione sanguigna consente di portare a ciascuna cellula del nostro organismo l’ossigeno e le
sostanze nutritive necessarie: aminoacidi, zuccheri, grassi. Il cuore è un muscolo cavo che si contrae
spontaneamente e ritmicamente. Grazie a queste contrazioni, attraverso un sistema di valvole, assicura la
progressione del sangue in due circuiti, detti circolo polmonare (o piccola circolazione) e circolo sistemico
(o grande circolazione). La piccola circolazione trasporta sangue venoso, ricco di anidride carbonica, dal
cuore ai polmoni, dove il sangue viene purificato e riportato al cuore ossigenato. Dal cuore a sua volta parte
la grande circolazione che porta il sangue arterioso all’organismo per cedere l’ossigeno e riempirsi di
anidride carbonica, dopodiché ritorna al cuore come sangue venoso per entrare nel piccolo circolo e
purificarsi. Se si taglia il cuore longitudinalmente lo si vedrà diviso in due parti da un setto verticale: una
parte destra o cuore venoso, perché contiene il sangue venoso, l’altra sinistra o cuore arterioso che
contiene il sangue ossigenato.
Figura 9. Immagine della sezione del cuore.
Il cuore è composto da quattro camere:
due camere superiori più piccole (l'atrio destro e sinistro);
due camere inferiori più grandi (il ventricolo destro e sinistro).
Le arterie coronarie che passano sulla superficie del cuore si chiamano arterie coronarie epicardiali.
Queste arterie, in condizioni fisiologiche, possiedono un meccanismo di autoregolazione che mantiene un
livello di flusso di sangue appropriato per il fabbisogno del miocardio. Questi vasi hanno un diametro
Sindromi coronariche acute e dispositivi per l’elettrocardiografia
relativamente piccolo quindi, se sono affette da aterosclerosi, rischiano di venire occluse. Le conseguenze
possono essere l’angina pectoris o l’infarto miocardico.
Sono due i vasi arteriosi principali: arteria coronaria destra ed arteria coronaria sinistra. Hanno origine
nel primo tratto dell'aorta, appena dopo la valvola aortica.
L’arteria coronaria di sinistra vascolarizza:
atrio sinistro;
ventricolo sinistro;
parte del ventricolo destro;
parte anteriore del setto interventricolare.
L’arteria coronaria di destra vascolarizza:
atrio destro;
ventricolo destro (maggior parte e margine acuto);
parte più posteriore del ventricolo sinistro;
parte posteriore del setto interventricolare.
Infarto del miocardio
Quando si verifica una insufficiente irrorazione sanguigna del miocardio, questo deprime i suoi
processi metabolici, in quanto si ha mancanza di ossigeno, si produce un eccesso ristagnante di anidride
carbonica e il materiale nutritizio viene a mancare. In questi casi, dapprima il tessuto miocardico limita le
proprie prestazioni (ischemia), ma se la mancanza di apporto di nutrizione si prolunga nel tempo si arriva
alla morte del tessuto miocardico (infarto). L'ischemia è una mancanza assoluta o parziale di sangue in un
organo (per parziale si intende una differenza tra fornitura di sangue e la richiesta di sangue necessaria per
la corretta ossigenazione del tessuto).
L'ischemia può anche essere descritta come inadeguato flusso sanguigno verso una parte del corpo,
causata da una costrizione o ostruzione dei vasi sanguigni. L'ischemia del muscolo cardiaco produce
l'angina pectoris. L'angina pectoris è un dolore al torace provocato dall'insufficiente ossigenazione del
muscolo cardiaco a causa di una transitoria diminuzione del flusso sanguigno (ischemia) attraverso le
arterie coronariche. Durante l'attacco di angina, che inizia lentamente, giunge all'apice e poi sparisce
nell'arco totale di massimo 15 minuti, il dolore può propagarsi anche agli organi prossimi al torace.
L'infarto miocardico è la morte di un certo numero di cellule cardiache dovuta alla mancanza di
irrorazione sanguigna per un tempo prolungato a causa della chiusura completa di un ramo di un’arteria
coronaria.
Sindromi coronariche acute e dispositivi per l’elettrocardiografia
Anatomicamente, la chiusura di una coronaria può avvenire con due meccanismi:
la deposizione di grassi e altre sostanze all’interno della parete coronarica può determinare il
progressivo restringimento del diametro interno e portare alla cosiddetta “placca aterosclerotica”,
sulla quale si può depositare materiale del sangue, e portare alla trombosi. Questo può provocare
la chiusura completa delle arterie e l’infarto;
più di rado, può essere uno spasmo improvviso di un tratto di una coronaria, forse dovuto a
microalterazioni della parete.
In entrambi i casi si ha comunque la mancanza di ossigeno e
sostanze nutrienti.
Obiettivi primari del trattamento
L’intervento compiuto nel trattamento di questa patologia deve mirare a:
limitare l’estensione della zona di necrosi del cuore, per mantenere la funzione del ventricolo e
prevenire l’insufficienza cardiaca;
prevenire i maggiori eventi avversi cardiaci, come la morte;
trattare le complicanze acute che costituiscono immediato pericolo di morte, come la fibrillazione
ventricolare o altre aritmie.
I ritardi nel trattamento avvengono in tre momenti:
1. dall’insorgenza dei sintomi fino al loro riconoscimento;
2. durante il trasporto in ospedale;
3. durante la valutazione ospedaliera.
I soccorritori possono intervenire sia sul punto n°1 che sul punto n°2.
Riconoscimento
Il sintomo tipico è il dolore toracico, o in altre regioni della parte superiore del corpo. Può infatti
estendersi all’arto superiore sinistro, al collo, alla regione interscapolare e all’epigastrio. Si può associare
dispnea (difficoltà soggettiva a respirare), sudorazione, nausea, senso di testa vuota. I sintomi dell’infarto
sono di regola più intensi di quelli dell’angina e durano più di 15 minuti! Sintomi atipici o presentazioni più
inusuali sono più comuni negli anziani, nelle donne e nei pazienti diabetici.
Sindromi coronariche acute e dispositivi per l’elettrocardiografia
Elettrocardiogramma
L'elettrocardiogramma (ECG) è il più comune e semplice esame strumentale cardiologico. Consiste
nella rilevazione e nella contemporanea trascrizione grafica degli eventi elettrici emessi dal cuore. Le onde,
registrate su carta, o visualizzate sul monitor, corrispondono a vari momenti dell'attività cardiaca
(contrazione e rilasciamento).
A
B
Figura 10. Tracciato cardiaco (A), monitor (B).
Esecuzione del tracciato ECG
Gli Elettrodi, cioè quelle ventose metalliche o adesive, che si applicano al paziente nell’esecuzione di
un tracciato di base, sono 10: 4 si applicano agli arti e 6 al torace (regione precordiale). Questi elettrodi
registrano 12 derivazioni, ossia 12 punti di vista del cuore. Essi sono:
3 derivazioni dette bipolari degli arti: DI, DII e DIII;
3 derivazioni dette unipolari degli arti: aVR, aVL e aVF;
6 Derivazioni precordiali: V1, V2, V3, V4, V5 e V6.
Procedura per l’esecuzione di un ECG su paziente:

Si fa stendere il paziente a torace scoperto, si fanno togliere bracciali, orologi, calzini e calze (le caviglie
devono essere libere). Il lettino deve essere sufficientemente largo per evitare che il paziente abbia
delle contrazioni muscolari involontarie per trattenere, ad esempio, le braccia che altrimenti
cadrebbero a “penzoloni” fuori dal letto. Le contrazioni muscolari potrebbero generare degli artefatti
nel tracciato.

Si applicano gli elettrodi. Per primi quegli degli arti, che negli elettrocardiografi di un tempo erano
trattenuti in sede da delle fettuccine elastiche, ora sono state sostituite da pratiche pinze colorate a
molla o da degli elettrodi adesivi.
Sindromi coronariche acute e dispositivi per l’elettrocardiografia
Si applicano con il seguente ordine (Figura 11):
elettrodo rosso al braccio destro;
elettrodo nero alla caviglia destra;
elettrodo giallo al braccio sinistro;
elettrodo verde alla caviglia sinistra.
Figura 11. disposizione degli elettrodi periferici.

Si applicano gli elettrodi al torace, che registreranno le derivazioni precordiali: V1, V2, V3, V4, V5 e V6.
Gli elettrodi al torace si applicano nel seguente modo (Figura 12):
V1 e V2 su entrambi i lati dello sterno al 4° spazio intercostale (V1 a destra e V2 a sinistra, entrambi
a circa 2-3 cm dallo sterno);
V4 al 5° spazio intercostale, sulla linea emiclaveare sinistra;
V3 a metà tra V2 e V4;
V5 e V6 allo stesso livello orizzontale di V4, ma rispettivamente sulla linea ascellare sinistra
anteriore e media.
Figura 12. Disposizione elettrodi per rilevamento delle derivazioni precordiali.
Accesso venoso
periferico e
centrale
Il personale medico ed infermieristico del 118, qualora lo ritengano necessario, è in grado di poter
somministrare terapie farmacologiche d’urgenza o semplice reintegro di liquidi nell’organismo del paziente
attraverso il reperimento di un accesso venoso, che come vedremo potrà essere periferico o centrale.
Cenni di Anatomia del ritorno venoso
Le vene costituiscono la via di ritorno del sangue al cuore. La loro capacità di distendersi e contrarsi le
rende un’efficace riserva di sangue da rendere disponibile in caso di bisogno al sistema circolatorio.
Figura 21. Il cuore.
Accesso venoso periferico e centrale
Possono spingere il sangue in maniera unidirezionale mediante il sistema di pompa venosa e
contribuire alla regolazione della gittata cardiaca. Il sangue torna all’atrio destro da tutto il sistema venoso
(Figura 21).
Gli elementi che determinano variazioni pressorie nel circolo venoso, quindi nell’atrio destro, e di
conseguenza della gittata cardiaca sono:
il volume del sangue;
il tono dei vasi in tutti i distretti;
lo stato delle arterie.
Di seguito è proposta una illustrazione del sistema arterioso e venoso umano (Figura 22).
A
B
Figura 22. Sistema arterioso (A) e sistema venoso (B).
Caratteristiche e tecniche degli accessi venosi periferici
Durante un servizio di emergenza (in rendez-vous con l’automedica del 118), può capitare un malato
che necessita di cure mediche e di infusione di liquidi. Per poter eseguire queste manovre sono necessari
alcuni strumenti (di esclusivo utilizzo da parte di personale medico/infermieristico): agocannule (catetere
venoso) oppure aghi a farfalla.
Accesso venoso periferico e centrale
Il catetere venoso è un sottile tubicino di materiale plastico biocompatibile (teflon, poliuretano,
silicone), inserito sopra un ago metallico alla cui base è presente una valvola unidirezionale di ingresso (vedi
esempi di Figura 23).
A
B
Figura 23. Agocannula arancione (A) agocannula verde (B).
Questi dispositivi devono garantire:
stabilità dell’accesso venoso;
possibilità di un suo uso discontinuo;
protezione dalle complicanze infettive e trombotiche;
massima biocompatibilità.
Le agocannule sono suddivise in varie misure, espresse in Gauge (G), per il diametro del lume ed in
centimetri per la lunghezza. Le possibili misure sono di solito abbinate ad uno specifico colore (Tabella 1). Al
diminuire del numero aumenta il diametro.
CALIBRO AGOCANNULA
COLORE
G14
Arancione
G16
Grigio
G18
Verde
G20
Rosa
G22
Azzurro
G24
Giallo
Tabella 1. Calibri agocannule e colori.
Generalmente le agocannule G22 e G24, proprio per le loro dimensioni ridotte, sono usate nei pazienti
pediatrici.
Accesso venoso periferico e centrale
Tecnica di incannulamento periferico
Per l’incannulamento del vaso vengono preferite vene con le seguenti caratteristiche:
vene superficiali, facilmente palpabili e rintracciabili e sufficientemente sviluppate;
vene che non presentano sclerosi, ematomi e non risultano doloranti;
evitare di usare vene di un braccio edematoso.
Il medico, o l’infermiere, quando inserisce la cannula in vena segue alcune regole per agevolarne
l’introduzione e minimizzare la possibilità di infezione:
informare il malato prima di procedere all’incannulamento del vaso;
invitare il paziente ad assumere una posizione idonea confortevole (Figura 24A);
non radere il punto destinato alla venipuntura, la rasatura potrebbe infatti facilitare lo sviluppo di
un’infezione attraverso la moltiplicazione di batteri nelle microabrasioni che si potrebbero
verificare;
eseguire il lavaggio delle mani con un antisettico appropriato;
uso dei guanti in lattice monouso non sterili;
appendere il flacone, o la sacca, destinata alla connessione con il catetere venoso, una volta
inserito;
scegliere il catetere in funzione del trattamento terapeutico a cui il malato dovrà essere
sottoposto;
disinfettare la zona da pungere rispettando i tempi di azione dell’antisettico scelto (Figura 24B);
applicare il laccio venoso (Figura 24B).
A
B
Figura 24. Posizione consona per venipuntura (A), applicazione di disinfettante e laccio venoso (B).
Accesso venoso periferico e centrale
Se la zona da pungere è stata toccata, disinfettare una seconda volta. Se le vene non sono palpabili, si
favorire la congestione con uno di questi modi:
1. invitare il paziente ad aprire e chiudere il pugno ripetutamente;
2. abbassare il braccio del paziente al di sotto del bordo del materasso per uno/due minuti circa.
Accessi venosi centrali
L’incannulamento di un vaso venoso centrale costituisce un mezzo rapido per infondere, in situazioni
di emergenza, elevate quantità di soluzioni, farmaci e per monitorare la pressione venosa centrale (Figura
25).
A
B
Figura 25. In blu i possibili accessi venosi centrali (A), ago per accesso venoso centrale (B).
I parametri vitali
I parametri vitali sono:
stato di coscienza;
respiro;
polso arterioso;
pressione arteriosa;
temperatura corporea;
saturazione (SpO2);
glicemia.
I parametri vanno rilevati sempre, sia durante la valutazione iniziale del paziente che durante le fasi
successive. Essi forniscono alla C. O. 118 un quadro generale che permette lo smistamento verso l’ospedale
più idoneo. Sono inoltre importanti anche per il soccorritore, in quanto il loro modificarsi può essere
indicativo di un aggravamento delle condizioni del paziente.
Respiro
I respiro si valuta esaminando:
I parametri vitali

Regolarità: respiro ciclico, presenza di pause.

Frequenza respiratoria, valori normali 12-16 atti al minuto. Se <12 bradipnea, se >20 tachipnea.
Attenzioni a modificazioni fisiologiche, ad esempio sonno, età, ecc.

Caratteri del respiro: tranquillo, rumoroso, russante, agonico.

Profondità degli atti respiratori, superficiali o profondi.
Il gasping è la presenza di tentativi di atti respiratori non efficaci. Va considerato di fatto come arresto
respiratorio.
Polso arterioso
Con la palpazione del polso si rileva frequenza e ritmo cardiaco, ma da quale polso? In genere l’arteria
radiale, se non è palpabile si ricorre all’arteria carotide (non nelle manovre BLS, ma solo nelle valutazioni
del paziente cosciente). La frequenza cardiaca di una persona adulta può essere:
Normale, battiti tra 60-100 al minuto;
Bradicardia, se inferiori a 60 al minuto;
Tachicardia, se superiori a 100 al minuto.
Per quanto riguarda il ritmo dobbiamo solo valutare se gli intervalli sono regolari, perché ogni altra
valutazione è di stretta competenza medica.
Pressione arteriosa
Cos’è la pressione arteriosa? La pressione arteriosa è la pressione del sangue esercitata verso le pareti
delle arterie. Dipende dal flusso di sangue (cioè quanto sangue è pompato dal cuore) e dalla resistenza
opposta al flusso di sangue.
Lo sfigmomanometro misura la pressione arteriosa. Lo sfigmomanometro è in grado di rilevare la
pressione sanguigna minima (diastolica) e quella massima (sistolica) con un meccanismo che varia a
seconda del modello di apparecchio utilizzato.
Sfigmomanometro
Lo sfigmomanometro, in combinazione con un fonendoscopio consente l’auscultazione dell'arteria
brachiale (vedi Figura 26).
Un manicotto collegato ad un mantice viene legato intorno al braccio del paziente . Tra il manicotto e
il braccio è stato posto il fonendoscopio (Figura 27). Pompando aria all'interno del manicotto si crea
sull'arteria brachiale una pressione superiore alla massima arteriosa (120mmHg circa).
I parametri vitali
A
B
Figura 26. Sfigmomanometro (A) e fonendoscopio (B).
Grazie ad un'apposita valvola si abbassa gradualmente la pressione sull'arteria fino a quando viene
auscultato uno schiocco caratteristico dal fonendoscopio. Questo schiocco coincide con la pressione
massima (pressione arteriosa sistolica) ed è determinato dalla ripresa del flusso del sangue attraverso
l’arteria. Lo schiocco assume poi il ritmo del battito cardiaco. Quando il rumore cessa totalmente, si rileva la
pressione minima (pressione arteriosa diastolica).
Figura 27. Misurazione della pressione arteriosa.
Si legge sul manometro a quanti millimetri di mercurio coincidono questi due "rumori", cioè la
comparsa del battito ed il suo ultimo rilevamento, si è così determinata la pressione arteriosa del paziente.
I parametri vitali
Ictus celebrale
L’ipertensione arteriosa è una tra le malattie più diffuse nei paesi industrializzati. Colpisce infatti circa
il 20% della popolazione adulta. In Italia più di 10 milioni di persone soffrono di ipertensione e circa la metà
di queste ignora di avere la pressione alta. Tra coloro che sanno di essere ipertesi, solo il 25 % riesce a
tenere la malattia sotto controllo e a riportare la propria pressione nella norma.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stabilito i seguenti valori per un soggetto adulto di
età compresa tra i 20 e i 60 anni:
per rientrare nella norma, la pressione arteriosa deve essere inferiore a 140/90;
valori pressori inferiori a 120/80 sono da considerarsi ottimali, purché la pressione arteriosa
massima sia superiore a 100, altrimenti si ha ipotensione.
Se la pressione arteriosa è superiore a 139/89 mmHg, si ha l'ipertensione. I danni indotti dal perdurare
dell'ipertensione causano conseguenze piuttosto gravi per l'organismo, come ad esempio danni a cuore ,
reni e cervello.
La crisi ipertensiva è un innalzamento brusco ed eccessivo della pressione arteriosa, i cui sintomi
possono essere:

Mal di testa improvviso, pulsante e interessante il capo globalmente, sensazione di testa pesante,
ronzii alle orecchie, vertigini.

Turbe visive.

Sudorazione fredda.

Nausea e/o vomito.

Convulsioni, segni neurologici focali, confusione mentale, sopore fino al coma.

Aritmie, crisi di angina.
Le complicanze di una crisi ipertensiva sono diverse e anche piuttosto gravi:
ictus, soprattutto emorragico;
edema polmonare;
dissecazione aortica;
crisi anginosa coronarica;
sanguinamenti.
qualora un paziente presenti uno o più di questi sintomi, è necessario distendere il paziente, misurare
la pressione, connettere il saturimetro, somministrare ossigeno attraverso la mascherina, avvertire il 118 e
attendere istruzioni, si continuerà comunque a monitorare costantemente i parametri vitali.
Secondo la definizione dell’OMS, l’ictus celebrale, detto semplicemente anche solo ictus, è
l'improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale e/o globale (coma) delle funzioni
I parametri vitali
cerebrali, con durata superiore alle 24 ore o ad esito infausto, non attribuibile ad altra causa apparente se
non a vasculopatia cerebrale. L'ictus è una emergenza medica (“attacco cerebrale”) e deve essere
prontamente diagnosticato e trattato in ospedale per l’elevato rischio di disabilità e di morte che esso
comporta. La definizione di ictus comprende, sulla base dei dati morfologici, l'ictus ischemico, più
frequente, l'ictus emorragico, nel 15% dei casi, e alcuni casi di emorragia subaracnoidea (ESA).
Segni e sintomi che accompagnano un ictus:
non riuscire a parlare nel modo corretto, cioè non trovare le parole (afasia) o pronunciarle in modo
sbagliato (disartria);
perdere la forza in metà corpo, cioè metà faccia, braccio e gamba, dal lato destro o da quello
sinistro (emiplegia o emiparesi);
sentire dei formicolii o perdere la sensibilità in metà corpo (emiipoestesia);
non vedere bene in una metà del campo visivo (emianopsia);
assenza di equilibrio e vertigini (sempre associate ad altri disturbi);
le emorragie più gravi, soprattutto l’emorragia subaracnoidea, si annunciano con un improvviso
mal di testa (cefalea), molto più forte di quello sperimentato in passato.
Come agire in caso di ictus:
posizionare il malato sulla barella col torace sollevato;
breve anamnesi e descrizione dei sintomi;
posizionamento di maschera facciale e somministrazione di ossigeno;
•
posizionare pulsossimetro per determinare saturazione (SpO2) e frequenza cardiaca (FC);
•
contattare la C.O. 118 ed attendere istruzioni.
Diabete mellito
Il Diabete Mellito o DM comprende un gruppo di disturbi metabolici caratterizzati da una persistente
instabilità del livello glicemico del sangue, passando da condizioni di iperglicemia, più frequente, a
condizioni di ipoglicemia.
Per confermare un sospetto clinico di DM, è necessario che sia soddisfatto uno dei seguenti criteri
varati dall'OMS:
glicemia a digiuno superiore a 126 mg/dl (o 7 mmol/l);
glicemia superiore a 200 mg/dl (o 11,1 mmol/l), 2 ore dopo aver assunto per via orale 75 g di
glucosio (test di tolleranza al glucosio);
glicemia random maggiore di 200 mg/dl (o 11,1 mmol/l).
I parametri vitali
Glucostick
Questo strumento viene utilizzato per misurare la glicemia. E' composto da una penna “pungidito”,
caricata con aghi monouso (più frequentemente si può utilizzare solo l’ago), e un lettore elettronico per
leggere la quantità di zuccheri nel sangue per mezzo di un'apposita striscia reattiva (Figura 28).
Figura 28. Glucometro con penna "pungidito" e striscia reattiva.
Tramite la penna pungidito si fa fuoriuscire una goccia di sangue del paziente che viene poi messa a
contatto con la striscia reattiva, già inserita nello strumento elettronico, il quale calcolerà automaticamente
il valore degli zuccheri presenti nel sangue, mostrando il risultato sul display.
I farmaci
nell’emergenza
sanitaria
Durante alcuni servizi, potrà capitare di dover lavorare in team con medico ed infermiere del 118, che
somministreranno, per certe patologie, una terapia farmacologica. Il medico, pertanto, potrà richiedere la
preparazione di un farmaco, in fiala, in polvere o in flebo.
Questo è un elenco dei farmaci di più comune impiego:
ADRENALINA, ATROPINA, BREVIBLOC, ISOPTIN, LIDOCAINA, DOBUTREX, REVIVAN, CATAPRESAN,
CORDARONE, CARVASIN, ADALAT, EBRANTIL, NITROSORBIDE, RYTMONORM, KRENOSIN, CORTISONICI VARI,
LASIX, FARGANESSE, LARGACTIL, ANSIOLIN, PLASIL, BUSCOPAN, LIXIDOL, TRANEX, NARCAN E ANEXATE.
Nell’elenco figurano anche flebo di soluzione fisiologica: ringer lattato; glucosio al 5% e 10% e voluven.
Il compito del soccorritore è quello di preparare, se richiesto, il farmaco.
Preparazione di farmaci in fiala
La prima cosa è individuare il farmaco giusto! Infatti, alcune volte, il farmaco è disponibile con il nome
generico e non con quello commerciale, pertanto in questi casi è bene chiedere conferma al medico.
Successivamente, si apre la fiala facendo una leggera pressione sul cappuccio superiore e si aspira il suo
I farmaci nell’emergenza sanitaria
contenuto con una siringa adeguata alla quantità del liquidi presente. Ad esempio, per una fiala da 2ml va
utilizzata una siringa da 5ml, NON una da 20ml!!!! (Figura 29).
A
B
Figura 29. Farmaco in fiale (A), fiale e siringa idonea per la preparazione (B).
Dopo aver aspirato tutto il contenuto, si passa la siringa al medico e contemporaneamente gli si
mostra la fiala vuota. Questo è fondamentale perchè permette al medico di essere certo della corretta
somministrazione e riduce gli eventuali errori dei soccorritori.
Preparazione di farmaci da miscelare
Alcuni farmaci non sono solo liquidi, ma hanno anche una componente in polvere (farmaci cortisonici).
Per preparare questo tipo di medicinale bisogna miscelare la parte liquida con quella in polvere, che in
genere sono contenute in due fiale distinte (Figura 30).
Figura 30. Esempio di farmaco da miscelare, a sinistra la fiala contenente la polvere, a destra quella contenente il liquido.
I farmaci nell’emergenza sanitaria
Procedura per la preparazione del farmaco da miscelare:
aspirare con una siringa tutto il liquido contenuto nella fiala ed iniettarlo in quello contenente la
polvere;
togliere la siringa e agitare bene il flacone in modo da combinare omogeneamente insieme i due
elementi;
con una siringa (anche la stessa, purchè la capienza sia congrua) riaspirare il farmaco tenendo il
contenitore capovolto e passarlo al medico.
Esiste infine un altro tipo di farmaco da miscelare, si tratta di un farmaco in una boccetta “doppia”,
con una curiosa forma a clessidra, atta a contenere la parte liquida e quella in polvere (Figura 31).
Figura 31. Farmaco da miscelare in boccetta doppia.
Procedura per la preparazione del farmaco in boccetta doppia:
esercitando una pressione sul tappo esterno (1), il tappo interno (2) cadrà dentro il contenitore del
liquido medicinale;
il solvente liquido cadrà a sua volta nel contenitore della polvere, dando luogo alla miscela
medicinale;
agitare per favorire la miscelazione e poi aspirare forando con l’ago della siringa il tappo (1) e
capovolgendo il flacone;
passare al medico la siringa ed il flacone del preparato.
I farmaci nell’emergenza sanitaria
Preparazione di flebo
Nella preparazione di flebo per terapie endovenose, bisogna innanzitutto individuare la flebo richiesta
(normalmente di capienza che va da 100 ml a 500 ml), dopodiché si utilizza un dispositivo chiamato
deflussore per creare il circuito di infusione. I deflussori sono uguali per tutti i flaconi, di qualsiasi dosaggio
e quantità.
A
B
Figura 32. Esempi contenitori per flebo (A) e deflussore (B).
La modalità di preparazione è sempre la stessa per ogni infusione:
togliere la copertura dal tappo della flebo (può essere a strappo o a lamina di alluminio);
aprire il contenitore del deflussore sterile;
inserire l'ago di plastica del serbatoio del deflussore nel tappo di gomma della flebo;
premendo sul serbatoio di plastica del deflussore, far riempire il circuito di liquido (assicurarsi che il
serbatoio del deflussore sia riempito per metà del liquido da infondere);
porgere la flebo con il circuito montato al medico per la somministrazione.
Figura 33. Preparazione di una flebo in sacca deformabile.
I farmaci nell’emergenza sanitaria
I contenitori delle flebo per infusioni si dividono in: deformabili e rigidi. Quelli deformabili (Figura 33)
sono delle sacche plastiche che devono essere preparate volgendo la sacca verso il basso, per evitare che si
fori nell’introduzione del deflussore. I contenitori rigidi possono essere in plastica o vetro (questi ultimi
sono quasi spariti per motivi si sicurezza)e quando si usano è necessario aprire il tappo del deflussore per
garantire che possa entrare aria al posto del liquido uscito proprio per via dell’indeformabilità del
deflussore (Figura 34).
Figura 34. Preparazione flebo in contenitore rigido, non deformabile, ed apertura tappo del deflussore.
Nel caso si debba trasferire un malato con l’elicottero, i contenitori delle flebo devono essere solo di
materiale deformabile a causa delle variazioni di pressione che si hanno durante il trasporto.
Igiene e
prevenzione nel
soccorso
Il servizio di emergenza sul territorio presuppone un rischio teorico di contrarre infezioni, soprattutto
per due fattori determinanti: la rapidità nell’agire e gli spazi ristretti in cui i soccorritori sono talvolta
chiamati ad operare. Usando un minimo di precauzioni, è possibile però ridurre considerevolmente tale
pericolo.
Dispositivi di protezione individuale
Esistono una serie di dispositivi di protezione individuale (DPI) che possono essere indossati dal
soccorritore per proteggerlo in caso di esposizione a pazienti o sostanze potenzialmente infetti.
Le protezioni dovranno essere usate indifferentemente dal tipo di paziente, senza attendere che sia lui
a comunicarci sue eventuali malattie, perché potrebbe essere anch’egli ignaro di possederne. Tali
dispositivi devono essere presenti su ogni ambulanza, e sono:
guanti monouso;
mascherine protettive e schermi facciali;
tute monouso.
Igiene e prevenzione nel soccorso
Guanti monouso
Sicuramente la prima frontiera di protezione è quella posta grazie all’uso dei guanti monouso. Essi
sono divisi in tre misure (S, M, L) e devono essere indossati prima del contatto a rischio. È pertanto buona
regola mettersi i guanti sempre all’inizio di ogni servizio.
I guanti monouso, in lattice o vinile (Figura 35A e B), devono essere utilizzati sempre per evitare di
entrare in contatto con sangue o altri liquidi organici. Ciò può accadere quando si medica o si cerca di
controllare un’emorragia, si esegue un’aspirazione del cavo orale, si effettua una ventilazione artificiale,
una rianimazione cardiopolmonare o in moltissimi altri casi.
A
B
Figura 35. Guanto in lattice (A) e guanto in vinile (B).
I guanti dovranno essere indossati prima di entrare in contatto con il paziente, senza aspettare, poiché
per distrazione ci si potrebbe dimenticare di metterli ed essere infettati. Anche se si utilizzano i guanti
protettivi, sarà necessario lavarsi le mani subito dopo ciascun intervento. Lavarsi le mani frequentemente,
attentantamente e metodicamente aiuterà a ridurre l’esposizione personale, quella dei colleghi e quella del
successivo paziente.
ATTENZIONE!!!
Non toccare con i guanti contaminati l’attrezzatura sanitaria, le maniglie
dell’ambulanza, la radio, le manopole dell’ossigeno, ecc. In questi casi il
rischio di infezione aumenterebbe!
Maschere protettive e schermi facciali
Il loro utilizzo è necessario SOLO in quegli interventi in cui ci sia il pericolo di essere contaminati da
schizzi, spruzzi di sangue, liquidi corporei, secreti o escreti, oppure in caso di soccorso a pazienti che
possono contagiare il soccorritore (ad esempio meningite, tubercolosi, ecc).
Igiene e prevenzione nel soccorso
A
B
Figura 36. Maschera di protezione (A) e visiera di protezione (B).
In Figura 36 sono riportati due esempi di maschera e visiera, ciò non toglie che sui mezzi di soccorso si
possano trovare modelli leggermente diversi da questi.
Tute monouso
Le tute monouso (Figura 37) forniscono una protezione completa al soccorritore, il loro impiego è da
abbinarsi ai guanti monouso, alla visiera per gli occhi ed alla maschera di protezione. La tuta si indossa
sopra la divisa e una volta messa non va più tolta per tutta la durata del servizio. È quindi importante
evitare di lasciare sotto la tuta un abbigliamento troppo pesante che non potrà essere rimosso in caso di
eccessiva sensazione di calore.
Figura 37. Tuta monouso.
Le tute monouso sono complete di cappuccio con elastico, chiusura lampo anteriore, elastici ai polsi e
alle caviglie. Sulle ambulanze sono presenti anche dei copriscarpe da usare in abbinamento alla tuta.
Igiene e prevenzione nel soccorso
Ulteriori norme di comportamento
Di particolare importanza è anche la gestione della biancheria impiegata per l’assistenza al paziente
(ad esempio coltrino, lenzuolo della barella, ecc), la quale dovrà essere manipolata con guanti durante la
sostituzione e gettata in appositi contenitori in sede al rientro dal servizio. La biancheria sarà poi lavata e
sterilizzata, in modo da prevenire il rischio di contaminazione. Sarà inoltre essenziale provvedere alla pulizia
di eventuali sostanze, quali sangue, vomito o urina, presenti nel vano sanitario del mezzo di soccorso.
Smaltimento di aghi o strumenti taglienti
Durante l’intervento potrà capitare di utilizzare aghi o strumenti taglienti. Il loro utilizzo ed il loro
smaltimento dovrà essere effettuato con grande attenzione, soprattutto se tali strumenti sono già stati
usati per il paziente, che comunque deve sempre essere considerato “a rischio”. Pertanto, mai
incappucciare con le mani l’ago utilizzato, ma utilizzare gli appositi contenitori rigidi per taglienti (detti
comunemente porta aghi, Figura 38), predisposti per questo scopo. I dispositivi presenti in ambulanza da
dover smaltire in questi contenitori sono: aghi monouso, bisturi chirurgico, lamette usa e getta,
agocannule, farfalline.
Figura 38. Contenitori porta aghi usati.
Problematiche del
soccorso in certe
situazioni sociosanitarie
Esiste tutto un insieme di servizi “particolari”, sia per patologia da dover trattare, sia per il tipo di
paziente con cui si avrà a che fare. È stato usato il termine “particolari”, perché lo stato di coscienza del
paziente potrebbe essere stato modificato dall’assunzione di una qualche sostanza, o da una sua
alterazione psichica, portandolo da una possibile situazione di assenza di coscienza fino ad una ben più
estrema, con manifestazione di violenza. È quindi importante essere preparati ad affrontare persone di
questo tipo, senza correre rischi, e capire quali possono essere i sintomi presentati dall’assunzione di certe
sostanze per poterli riconoscere prontamente.
Emergenze psichiatriche
I possibili problemi di carattere psichiatrico sono molti. Un paziente con problemi psichiatrici può
ritirarsi in se stesso e non volere comunicare, mentre un altro può essere agitato, logorroico o manifestare
comportamenti bizzarri, minacciosi, o comportarsi come se volesse ledere se stesso o gli altri.
Le tipologie più frequenti che richiedono un intervento in acuto, sono:
tentativi di suicidio e ideazioni auto lesive, atti distruttivi;
abuso di alcolici e/o sostanze stupefacenti;
Problematiche del soccorso in certe situazioni socio-sanitarie
pazienti geriatrici affetti da demenza senile o depressioni, abuso di medicinali;
vittime di violenza carnale o domestica;
pazienti con disturbi psichici correlati all’AIDS.
In questi casi i soccorritori devono essere in grado di attivare le competenze specifiche, capire
velocemente le richieste di aiuto, attuare le manovre di soccorso nel modo più semplice ed efficace,
tenendo presente che la rapidità e qualità dell’intervento può prevenire ulteriori disagi (ad esempio
evitando il ricorso alla forza pubblica). Ci sono delle regole generali da seguire nei casi psichici:
presentarsi e dichiararsi con la qualifica di soccorritore;
parlare in modo chiaro e lento, con tono calmo e rassicurante;
prestare ascolto al paziente (gli si può dimostrare questo facendo riferimento, durante i nostri
discorsi, a ciò che lui ha appena detto);
non assumere un atteggiamento di giudizio relativo del paziente, ma mostrarsi partecipi anziché
esternare banale compatimento;
non incrociare le braccia, né guardare il paziente esprimendo disinteresse;
non entrare nello spazio personale del paziente, rimanere ad almeno un metro da lui, ciò per
evitare che il paziente si senta chiuso senza possibilità di fuga ed esploda in una reazione emotiva o
violenta;
fare attenzione ai mutamenti delle condizioni emotive del paziente. Rilevate l’eventuale
incremento dell’aggressività e prendete le opportune precauzioni per salvaguardare la propria
incolumità e quella degli altri.
Tossicodipendenza
La tossicodipendenza è la condizione di chi avverta la necessità irrefrenabile e frequente di assumere
una sostanza (in genere una droga) malgrado il danno fisico, psicologico, affettivo, emotivo o sociale che
l’assunzione possa comportagli come conseguenza. La tossicodipendenza è una sindrome generata dall’uso
di sostanze stupefacenti e psicotrope, molte delle quali letali, che colpisce tutte le categorie sociali anche se
interessa maggiormente le fasce giovanili. Le sostanze chimiche psicoattive in genere, di cui più
frequentemente si registra l’abuso e che può comportare la necessità dell’intervento degli operatori del
soccorso, possono essere classificate come:

Eccitanti. Esercitano un’azione stimolante sull’attività dell’apparato nervoso centrale, inducendo uno
stato di eccitazione in coloro che ne fanno uso. L’abuso di queste sostanze, in molti casi, rappresenta il
tentativo di alleviare la fatica o di creare una sensazione di benessere. Esempi di sostanze eccitanti
sono la caffeina, le anfetamine e la cocaina.
Problematiche del soccorso in certe situazioni socio-sanitarie

Ansiolitici. Sono una categoria di farmaci usati per attenuare e curare stati di ansia e di agonia, per
rilassare o per dormire. Ad alti dosaggi provocano sedazione. Esercitano una riduzione dell’attività del
sistema nervoso centrale. Un esempio è costituito dalle benzodiazepine (Valium).

Narcotici. Sono molecole capaci di produrre uno stato soporoso e di indurre sonno. Spesso essi
vengono utilizzati per alleviare il dolore e per calmare la tosse. Esse inducono un intenso stato di
rilassamento o una sensazione di benessere . Tra i narcotici la più conosciuta è l’eroina.

Allucinogeni. Sono droghe che producono effetti sulla mente. Esse agiscono sull’apparato nervoso
centrale, dando luogo ad un intenso stato di eccitazione o a una distorsione delle percezioni sensoriali.
Un comune esempio è l’LSD.

Composti chimici volatili. Possono indurre un iniziale eccitamento, seguito da un effetto depressivo.
Possono essere ad esempio liquidi per la pulizia, colle, stucchi, soluzioni utilizzate per cancellare gli
inchiostri.
Come soccorritori non si è obbligati a conoscere i nomi di tutte queste sostanze che danno luogo ad
abuso, né i loro effetti specifici. È di gran lunga più importante essere in grado di individuare la possibilità di
abuso di droghe, qualora si verifichino fenomeni di overdose e porre in relazione determinati segni con
determinati tipi di droghe.
I segni e i sintomi dell’abuso di sostanze psicoattive comprendono:

Eccitanti. Eccitazione, aumento della frequenza del polso (tachicardia) e del respiro, rapidità di parola,
secchezza della bocca, midriasi (aumento del diametro della pupilla), sudorazione. Il paziente sarà
irrequieto, iperattivo e di solito non cooperante.

Ansiolitici. I pazienti appariranno “rallentati” e assonnati, con tipica assenza di coordinamento dei
movimenti del corpo e della parola. La frequenza del polso e del respiro sarà bassa, spesso fino a
comportare una situazione di vera emergenza.

Allucinogeni. Aumento della frequenza del polso, pupille dilatate e rossore al volto. Il paziente spesso
“vede” o “sente” cose inesistenti. Spesso pronuncia frasi prive di senso per chi ascolta. Può diventare
molto aggressivo o chiudersi in se stesso.

Narcotici. Riduzione della frequenza del polso e del respiro. Spesso coesiste una riduzione della
temperatura corporea. Vi è costrizione pupillare (miosi) spesso fino a raggiungere le dimensioni di una
punta di spillo. Vi è rilasciamento muscolare accompagnato da sudorazione profusa. Nei casi di
assunzione eccessiva è frequente l’arresto respiratorio.

Composti chimici volatili. Stato confusionale o temporanea perdita di contatto con la realtà. Il
paziente può riferire una sensazione di formicolio all’interno della testa, si possono manifestare
aritmie cardiache, talora letali.
Problematiche del soccorso in certe situazioni socio-sanitarie
In tutti questi casi la cosa da fare è seguire il protocollo BLS e attendere l’arrivo dell’ambulanza
medicalizzata che provvederà a implementare il soccorso con farmaci.
Alcolismo
L’alcolismo è una sindrome patologica determinata dall’assunzione acuta o cronica di grandi quantità
di alcool. L’intossicazione acuta da alcol si instaura generalmente dopo un’assunzione superiore a
50mg/100ml, la medesima può sopraggiungere a concentrazioni inferiori nel caso di soggetti suscettibili,
più spesso per patologie enzimatiche. La sindrome da dipendenza si ha quando sono presenti tre o più dei
seguenti criteri:
bisogno imperioso o necessità di consumare alcol;
perdita di controllo, incapacità di limitare il proprio consumo di alcol;
sindrome di astinenza;
sviluppo di tolleranza;
consumo continuo di alcol nonostante la presenza di problemi ad esso legati.
L’alcolismo è una minaccia per la vita e spesso porta alla morte, specialmente come causa di malattie
del fegato ed emorragie interne. Altri rischi di morte derivanti dall’assunzione di alcol sono gli incidenti
alcol-correlati, tipo incidenti sul lavoro, incidenti stradali oppure anche il suicidio. Durante l’intervento le
sintomatologie più importanti che si possono riscontrare sono:
tremore, nausea, vomito, cefalea,
sudorazione, ansia, disturbi dell’umore, talvolta crisi epilettiche, e può evolvere in certi casi fino al delirium
tremens. Questi sintomi possono insorgere dopo un periodo più o meno breve di astensione totale o
parziale dall’alcol e si risolvono in genere in poco tempo.
L’intossicazione può essere di due tipi: acuta o cronica. L’intossicazione acuta è dovuta all’effetto,
dapprima disinibente e poi depressivo, dell’alcol sul sistema nervoso centrale, l’intossicazione cronica
invece è dovuta all’abuso prolungato di alcol, comprende alterazioni della personalità e alterazioni
psicotiche legate al danno cerebrale organico prodotto dall’alcol. In ogni caso il soccorritore deve attenersi
al protocollo BLS, tenendo sotto controllo i parametri vitali che posso modificarsi velocemente.
Trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.)
Quando le condizioni psicopatologiche del paziente sono di gravità tale da necessitare di urgente
terapia medica o di una urgente proposta di ricovero in ambiente ospedaliero, i volontari o il medico
possono trovarsi di fronte ad un deciso rifiuto del paziente, il quale manifesta scarsa o nessuna coscienza
della malattia o che rifiuti un ricovero pur essendo questo necessario. In tali interventi c’è soltanto una
possibilità, il TSO.
Problematiche del soccorso in certe situazioni socio-sanitarie
All’art. 34 della legge 833/78, che ha recepito la legge 180/78, si stabilisce che il medico (e solo lui!),
dopo aver eseguito ogni tentativo di convincimento del paziente, può richiedere il ricovero contro la
volontà del malato se durante la valutazione del soggetto si incorre nelle seguenti tre condizioni:
esistenza d’alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti provvedimenti terapeutici;
non accettazione, da parte del paziente, dei provvedimenti terapeuti d’urgenza stabiliti dal medico;
assenza delle condizioni e delle circostanze che consentono di adottare tempestivamente idonee
misure sanitarie extraospedaliere.
Il provvedimento di TSO è adottato in base ad una proposta motivata di un medico, che ha visitato il
paziente (art. 33 della legge 180/78), e viene redatta in triplice copia (una copia è per il reparto psichiatrico,
una copia è per il Sindaco ed una copia per il Giudice Tutelare). Si propone il TSO in modo consono
all’attuale legislazione e motivato, con chiara descrizione sintomatologica delle condizioni del paziente. La
proposta di TSO deve essere convalidata dal medico dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL), in genere un
medico del Servizio Psichiatrico o della Direzione Sanitaria dell’ospedale dove si trova il Servizio Psichiatrico
di Diagnosi e Cura competente.
Il provvedimento di TSO è disposto dal Sindaco con l’incarico all’autorità sanitaria locale (art. 35), dura
sette giorni e può essere prorogato o revocato per richiesta del dirigente del servizio psichiatrico. Durante il
servizio, la figura del sindaco è rappresentata dai pubblici ufficiali della forza pubblica (vigili urbani,
carabinieri, ecc).
Parto spontaneo
improvviso
La nascita è un processo naturale, che ha incominciato a verificarsi molto tempo prima dell’istituzione
del soccorso in ambulanza. Un soccorritore potrebbe trovarsi ad assistere partorienti in situazioni
extraospedaliere. Una delle responsabilità maggiori di tale situazioni sarà quella di calmare la partoriente
ed i suoi familiari, con modi garbati e professionali, che caratterizzano il vostro intervento.
Come comportarsi
Il parto non è un evento che si verifica comunemente in un intervento di soccorso, anzi è molto raro,
potrebbe essere facile “andare nel pallone” e apparire incerti sulle procedure da applicare (Figura 39).
Figura 39. Donna in stato avanzato di gravidanza.
Parto spontaneo improvviso
È fondamentale prepararsi ad affrontare l’assistenza al parto, in modo che ogniqualvolta ci si trovi a
dover aiutare una paziente sia possibile farlo nel miglior modo.
I vari passaggi da affrontare sono:
restare calmi;
annotare la frequenza e la durata di ogni contrazione;
trasportare la partoriente al reparto maternità dopo indicazione del 118, con cui si deve mantenere
costante contatto telefonico.
Generalmente è sempre bene chiedere alla paziente in che ospedale è seguita, per il suo stato di
gravidanza, e comunicare questa informazione alla C.O. 118, il quale valuterà la possibilità di poterla inviare
direttamente là.
In caso di parto extraospedaliero
Potrebbe però essere impossibile effettuare il trasporto della paziente per circostanze particolari in cui
si svolge il servizio, oppure in caso di aggravamento della situazione in modo inaspettato durante il viaggio.
Le procedure da seguire sono le seguenti:
adagiare la donna sulla barella;
somministrare ossigeno;
preparare lenzuoli puliti, forbici e pinze;
rassicurare la madre;
consigliare di soffiare durante le contrazioni, facendola riposare e respirare tranquillamente
durante le pause;
presentare la situazione 118, il quale provvederà ad inviare un’ambulanza attrezzata per far
nascere il bambino/a.
Se l’arrivo del medico tarda e la situazione non è più rimandabile, si dovrà provvedere ad aiutare
direttamente la nascita. Durante l’espulsione si dovrà:
sollevare il bacino della madre, con lenzuoli o coperte;
non intervenire con le mani, ma lasciar fare alla natura;
tra una contrazione e l’altra dire alla madre di respirare bene, profondamente e tranquillamente;
consigliare di soffiare quando ha troppo male;
quando la donna ha voglia di spingere, ditele di farlo solamente durante le contrazioni;
sorvegliare l’uscita del bambino che può essere espulso improvvisamente durante la contrazione;
nel momento in cui appare il bambino iniziare a sostenere la testa e poi il corpo;
non tirare né il bambino, né il cordone, favorire la respirazione;
Parto spontaneo improvviso
non spingere sul ventre della madre;
se il cordone ombelicale è arrotolato intorno al collo del bambino, farlo scivolare al di sopra della
testa per distenderlo e scioglierlo (rischio di strangolamento);
pulire (e aspirare) la bocca e il naso del neonato dal momento in cui appare;
asciugare il neonato, proteggerlo dal freddo e dalla dispersione di calore.
Se l’ospedalizzazione non è immediata occorre recidere il cordone
(serrare con due lacci a 10-15 cm dal bambino, tagliare al centro con
forbici sterili e mettere una medicazione sull’addome del bambino)
Intossicazioni
acute
Si definisce una sostanza tossica se, introdotta nell’organismo in dose adeguata, può provocare, per
azione chimica o fisico-chimica, gravi alterazioni funzionali temporanee o permanenti. Sono diversi i fattori
che influenzano l’attività di un agente tossico:

Vie di introduzione. A loro volta esse possono essere molteplici:
Vie respiratorie (gas, vapori, polveri, aerosol). L’introduzione avviene con la respirazione, attraverso
le vie aeree, con conseguenti lesioni che possono verificarsi lungo il percorso dell’aria inspirata o a
seguito dell’assorbimento degli alveoli polmonari, con passaggio nel circolo sanguigno.
Via digestiva (polveri deglutite con saliva, ingestioni accidentali o dolose). Attraverso tale via, le
sostanze nocive possono portare un danno diretto alle mucose dell’apparato digerente, oppure,
attraverso le mucose, possono passare in circolo.
Via cutanea (sostanze tossiche gassose, liquide o solide). L’azione nociva può avvenire nell’area di
contatto con pelle o mucose, con lesioni dirette localizzate in tale sede. Alcune sostanze, anche in
questo caso, possono non ledere la zona di contatto, ma attraverso la cute penetrano in circolo
producendo danni generali a tutto l’organismo.
Altre vie. Vie meno frequenti sono quella intramuscolare, quella endovenosa, quella congiuntivale.
Intossicazioni acute

Tempi di esposizione. Il tempo di esposizione condiziona uno stato acuto o cronico di intossicazione e
la dose introdotta.

Dose introdotta. La quantità di tossico assunta dall’organismo è in grado di determinare, in maniera
più o meno grave, il livello di l’intossicazione, che porterà ad avere danni reversibili, irreversibili o
addirittura mortali.

Tipi di tossico. Il tipo di sostanza tossica è a sua volta condizionato da:
Meccanismo d’azione. Ogni sostanza può fornire uno o più modi di aggressione dell’organismo.
Distribuzione. A seconda della sostanza in questione, questa potrà distribuirsi in maniera diversa
nei vari tessuti o in organi particolari.
Metabolismo. Cioè come la sostanza verrà a reagire con l’organismo.
Eliminazione. Quale è il meccanismo di espulsione della sostanza da parte dell’organismo. Le vie più
frequenti sono quella renale e quella respiratoria.
Stato chimico-fisico. Come si presenta cioè la sostanza nociva: gas, vapore, polvere, liquido,
pomata, acido, ecc.

Caratteristiche individuali. Ogni persona, a seguito di vari fattori, avrà una risposta diversa o
leggermente diversa nei confronti di uno stesso agente tossico assorbito, a parità di dose assunta e
modalità di contaminazione. Alcuni di questi fattori possono essere: l’ipersensibilità alla sostanza,
l’età, il sesso o la presenza di malattie.
Criteri generali di valutazione degli intossicati
Indipendentemente dalla sostanza nociva chiamata in causa, il criterio generale per la raccolta di
informazioni utili prevede di determinare:

Le circostanze dell’accaduto. Luogo, attività svolta dalla vittima, presenza di testimoni, ritrovamento
di oggetti attorno alla vittima, particolari situazioni sociali e familiari e malattie precedenti.

Le modalità di contatto. La maggior parte degli avvelenamenti gravi è imputabile all’ingestione di
sostanze pericolose, si rammenta però che alcuni tossici hanno più vie di introduzione nell’organismo,
come: per inalazione, cutanea, oculare, ecc.

Il tipo di sostanza in causa. È fondamentale conoscere il nome esatto della sostanza assunta. In
considerazione della scarsa affidabilità del paziente e delle persone lì presenti, bisogna reperire la
confezione originale del prodotto e portarla al pronto soccorso con la vittima.

La quantità assunta. Il livello di tossicità di una sostanza dipende, molto spesso, dalla quantità di dose
assunta. È importante determinarne la quantità, ad esempio, di pillole assunte o di liquido, espresso in
ml, che è stato ingerito.
Intossicazioni acute
Intossicazione per inalazione
Sono diverse le sostanze che si presentano allo stato gassoso e possono essere inspirate dal paziente,
ne vedremo solo alcuni casi:
intossicazioni da monossido di carbonio;
intossicazioni da anidride carbonica;
intossicazioni da gas generati dalla combustione di materiali.
Intossicazioni da monossido di carbonio
Il monossido di carbonio (CO) è un gas incolore ed inodore, che viene prodotto da una incompleta
combustione di materiale organico (derivati del petrolio, carbone, legna, ecc). Il CO di distribuisce nell’aria
ambientale molto rapidamente. Sono quindi pericolosi gli scarichi nei garage, un insufficiente tiraggio di
forni a legna, a gas o a carbone e grandi incendi.
Il meccanismo di azione del monossido di carbonio è veramente letale. Esso si lega irreversibilmente
con l’emoglobina del sangue 300 volte più facilmente dell’ossigeno. La capacità di assunzione dell’ossigeno
si riduce rapidamente, sostituito dal CO, i tessuti vedono così ridotto l’apporto di ossigeno e per dosi di CO
elevate, l’insufficienza di ossigeno può essere mortale per i tessuti, specie a livello celebrale e cardiaco.
I disturbi associati a questa intossicazione sono:
disturbi visivi;
cefalea;
vertigini;
sonnolenza;
nausea;
perdita di coscienza.
Non si identifica mai un affanno respiratori. L’intossicazione decorre più rapidamente nel corso di un
lavoro muscolare che non durante il riposo, a causa dell’aumento del fabbisogno di ossigeno.
Intossicazione da anidride carbonica
La maggior parte di incidenti ha luogo nei depositi di concime naturale, nelle cantine di fermentazione
e nei silos di frumento e di mangime, dove l’anidride carbonica (CO2) si sviluppa per fermentazione. Questo
gas incolore è più pesante dell’aria per cui si raccoglie sul suolo e riduce percentualmente la quantità di
ossigeno disponibile.
Il meccanismo di azione è legato al fatto che il gas riduce la quantità di ossigeno nell’aria inspirata e
conduce, quindi, all’asfissia.
Intossicazioni acute
I disturbi associati a questa intossicazione sono:
vertigini;
respirazione accelerata;
grave affanno respiratorio, se l’intossicazione è acuta;
perdita di coscienza;
crampi.
Intossicazione da gas generati dalla combustione di materiali
In caso di incendio e di esplosione si sviluppano delle miscele di gas, che si compongono di altri gas
tossici, oltre al CO ed alla CO2. Queste miscele, oltre a provocare soffocamento e paralisi, irritano la mucosa
delle vie respiratorie e quella oculare. Un’azione analoga è fatta dai gas industriali tossici.
A causa dell’irritazione della mucosa può insorgere una polmonite, un edema polmonare e, in caso di
sopravvivenza, formazione di cicatrici polmonari.
I disturbi associati a questa intossicazione sono:
stimolo a tossire e raucedine;
difficoltà respiratoria.
Se non trattata, nei casi gravi, questa intossicazione conduce rapidamente alla morte per edema
polmonare acuto.
Trattamento delle intossicazioni per inalazione
È fondamentale trasportare la vittima in un’area ben ventilata, lontana da dove è avvenuta la
contaminazione, slacciare gli indumenti stretti ed impedire sforzi fisici del paziente. Somministrare ossigeno
ad alti flussi e sorvegliare le funzioni vitali per una possibile perdita di coscienza o insufficienza respiratoria
grave.
Intossicazione per ingestione
Frequentemente la somministrazione di sostanze tossiche avviene attraverso l’apparato digerente per
il consumo di cibi avariati o velenosi, sia per ingestione di sostanze chimiche, sia per contatto orale con
mani o con oggetti contaminati di diversa natura. L’ingestione è la via più comune di intossicazione e quella
che porta alle più gravi intossicazioni. A tal riguardo vedremo:
avvelenamento da funghi;
tossinfezioni alimentari.
Intossicazioni acute
Avvelenamento da funghi
Nel sospetto di tale evento, è bene fare una rapida raccolta di dati che chiarisca immediatamente i
seguenti aspetti:
modalità di assunzione dei funghi (quante ore prima ed in che quantità);
quali altre persone possono averli ingeriti.
Se possibile recuperare i funghi avanzati, crudi o al limite cucinati. Questo, in aggiunta ai sintomi,
permetterà di risalite alla specie fungina colpevole dell’avvelenamento e quindi a definire la terapia. Di
fronte ad un avvelenamento da funghi è doveroso ospedalizzare il paziente.
Tossinfezione alimentare
Le tossinfezioni alimentari sono un gruppo di malattie causate dall’introduzione di cibi contaminati da
microorganismi o dalle tossine da loro prodotte. Ogni specie batterica trova terreno fertile di crescita in
alcuni alimenti utili alla moltiplicazione, raggiungendo così una carica elevata, sufficiente a provocare
l’evento tossinfettivo.
Queste infezioni sono caratterizzate da periodi di incubazione, cioè il tempo di latenza, o di silenzio
dalla sintomatologia, tra l’ingestione del cibo ed il manifestarsi dei sintomi.
I sintomi possono molto variare a seconda del tipo di microorganismo ingerito e dalla carica batterica
associata. Alcuni esempio possono essere: vomito e diarrea.
Intossicazione da contatto cutaneo o oculare
Il contatto oculare con sostanze tossiche può portare a due tipi di effetti tossici:
lesioni locali dirette, per azioni irritanti caustiche e corrosive dovute ad acidi, alcolici, solventi per
vernici, colle, insetticidi usati in agricoltura;
assorbimento percutaneo ed effetto sistemico, cioè su tutto l’organismo.
I casi più pericolosi di intossicazione per contatto cutaneo sono dovuti agli insetticidi usati in
agricoltura. Questo gruppo di sostanze sintetiche di largo uso è eliminato dall’organismo molto lentamente
e causa pertanto gravi intossicazioni. Possono esercitare la loro azione tossica su sistema nervoso centrale e
fegato, o portare ad alterazioni respiratorie e circolatorie anche mortali.
Trattamento contatto cutaneo o oculare
Bisogna lavare la cute con grandi quantità di acqua corrente a getto, per almeno 15 minuti al fine di
allontanare e diluire il veleno. Togliere gli indumenti impregnati di sostanza tossica.
Intossicazioni acute
Nel caso di contatto oculare bisogna lavare l’occhio con acqua corrente a bassa pressione per alcuni
minuti. La vittima dovrà essere invitata a muovere l’occhio in tutte le direzione durante questa manovra.
Intossicazione transcutanea
L’intossicazione transcutanea è quella dovuta alle punture ed ai morsi degli animali velenosi. Vedremo
due casi:
morsicature da serpente;
punture d’insetti.
Morsicature da serpenti
Con la morsicatura da serpenti penetrano nel corpo umano delle sostanze velenose che possono
causare delle reazioni locali simili alla punture d’insetti. Inoltre possono subentrare disturbi alla
coagulazioni del sangue e danni ai globuli rossi. In primo piano abbiamo le azioni sul sistema nervoso, come
debolezza muscolare, paralisi ed insensibilità, in seguito i segni di una intossicazione generalizzata.
La morsicatura di un serpente si presenta sulla cute come due punture della grandezza di un ago, si
accompagnerà a dolore, debolezza e possibile perdita della sensibilità della regione interessata dal morso.
Dopo qualche ora si avrà cefalea, sudorazione profusa e vomito. Nei casi peggiori si aggiungerà difficoltà
respiratoria e turbe cardiache.
È bene tranquillizzare il paziente, immobilizzare la parte del corpo che è stata morsicata e raffreddarla
con ghiaccio. Per nessun motivo succhiare, premere o incidere la ferita! L’ospedalizzazione è sempre
necessaria.
Punture d’insetti
Punture d’insetti (api, vespe, calabroni) sono nella maggior parte dei casi innocue. Eccezionalmente
però, se localizzate in bocca, nella gola o al collo, esse possono diventare pericolose ostruendo, a causa
della tumefazione locale, le vie respiratorie. In presenza di uno stato di ipersensibilità (allergia) alle punture
di insetti, possono apparire, nell’arco di secondi fino a circa un’ora dopo la puntura, delle reazioni allergiche
generalizzate. Esse possono comportare orticaria, tumefazioni di diverse parti del corpo, in particolare del
viso, difficoltà respiratoria e stato di shock con eventuale perdita di coscienza.
Nella sede della puntura si avvertirà dolore sotto forma di prurito e bruciore. Nell’arco dei minuti o
delle ore successive alla puntura, potranno apparire delle tumefazioni o degli arrossamenti di 5-10 cm di
diametro. Segni di una reazione allergica generalizzata possono essere:
orticaria, soprattutto nella regione del viso;
Intossicazioni acute
vomito, crampi addominali;
difficoltà respiratoria;
diminuzione della pressione arteriosa;
polso irregolare, accelerato o rallentato, appena percettibile;
confusione mentale, perdita di coscienza.
In questi casi si deve evitare di spremere, grattare o sfregare localmente la regione della puntura,
applicare eventualmente del ghiaccio sulla regione.
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