NOESIS – BERGAMO
INCONTRI di FILOSOFIA
ELIO FRANZINI
IN PRINCIPIO ERA L’AZIONE
ENERGHEIA
2013 - 2014
ELIO FRANZINI – IN PRINCIPIO ERA L’AZIONE. ARTE E COSTRUZIONE DELLA FORMA
Elio Franzini – Università degli Studi di Milano
Conferenza tenuta martedì 11 febbraio 2014
1.1
RELAZIONE
Poiché i concetti talvolta hanno bisogno di forme per chiarirsi,
il relatore accompagnerà la sua conversazione con la
proiezione di slides, che peraltro dichiara di amare poco (semantica per non udenti1, secondo la
definizione del Maldonado).
La connessione tra la relazione di questa sera ed il corso di
quest’anno sta nella relazione tra energheia ed azione. Per introdurre le proprie argomentazioni il
Franzini cita Goethe, laddove questi fa proporre al Faust una definizione dell’incipit del vangelo di
S. Giovanni. La definizione del Faust implica il significato del fare arte (le metamorfosi). Il
Vangelo di S. Giovanni inizia con il termine logos, la cui traduzione tradizionale (Verbo) non
soddisfa Goethe. La ricerca lo porta da Parola, attraverso il senso della parola, alla forza della
parola, fino all’azione connessa, connaturata con la parola. In principio era l’azione (e qui compare
Mefistofele).
Poco prima della comparsa di Mefistofele, Faust vuole tradurre l’incipit del Vangelo di San
Giovanni. E dopo avere scartato Wort (Parola, Verbo), Sinn (Pensiero, senso), Kraft (Forza),
sceglie TAT, ovvero Azione.
È in base a questa azione che iniziano le metamorfosi di Faust
Domandiamoci ora cosa diventi l’azione nell’arte, cosa consenta all’artista di agire, cosa costruisca
l’artista. Goethe riconduce tutto alla costruzione di una forma. Ma cos’è una forma? In Tedesco
al termine forma corrispondono due vocaboli:
 Gestalt, forma statica La forma gestaltica non è il risultato del lavoro dell’artista.
 Bildung, formazione, implicazione dinamica, la metamorfosi, il processo di formazione, un
processo che non si arresta mai, dove il già formato viene riformato, come le forme della
natura che sono mobili e plastiche. “Il già formato viene subito ritrasformato; e noi, se
vogliamo acquisire una percezione vivente della natura, dobbiamo mantenerci mobili e
plastici seguendo l’esempio che essa stessa ci dà»
Nell’arte la Bildung diviene SIMBOLO E STILE. Stile perché «poggia sui fondamenti più profondi
della conoscenza, sull’essenza delle cose per quanto ci è data riconoscerla in figure visibili e
tangibili». Simbolo perché è ciò che «trasforma il fenomeno in idea, l’idea in immagine, in tal
1
La relazione si è svolta mentre alle spalle del conferenziere scorreva una serie di slide. Il testo delle slide talvolta
coincideva con il discorso del Franzini, più spesso ne era complemento. In questa relazione, si è tentato di coniugare
fluidità e completezza inserendo, ove opportuno, il testo delle slide con un carattere diverso (blu, corsivo) per renderlo
distinguibile dal fraseggio ricostruito sulla base degli appunti. Il file .pps con tutte le slide è pubblicato a sua volta sul
sito di Noesis.
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Appunti dalle conferenze
a cura di Danilo Cambiaghi
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modo che l’idea, nell’immagine, resti sempre infinitamente efficace e inaccessibile e, anche se
pronunciata in tutte le lingue, resta tuttavia inesprimibile»
Bisogna spiegarsi meglio, la forma dell’arte deve avere uno spessore simbolico, non esaurirsi nel
suo proporsi qui ed ora. Una forma artistica è di per sé una struttura di rinvio. Rimanda oltre il sé.
Il simbolo è ciò che trasforma il fenomeno in idea, l’idea in immagine, ed in questa immagine l’idea
rimane per sempre, infinitamente efficace, inaccessibile, inesprimibile. In questa accezione Goethe
ricorda la definizione di Kant: l’opera d’arte è vista come idea estetica che ha la caratteristica di
farci pensare molto. Dopo aver definite, in senso filosofico, forma e formazione, e viste le
caratteristiche metamorfiche, dinamiche, ancora l’opera d’arte fa pensare, sollecita nuove domande
al di là della dimensione storica temporale. L’oggetto d’arte non esaurisce mai le nostre domande,
è fonte inesauribile di senso.
Proviamo ora a rispondere ad una domanda fondamentale: ha ancora senso, oggi, il parlare di forma
nell’arte?
Nella società postmoderna, dove vige la cosiddetta “esteticità diffusa”, sembra essere
scomparso il valore della “forma”, della costruzione tecnica e fabbrile della forma
Ma che cosa significa questo termine, ha ancora un senso nella filosofia e nella definizione
dell’arte?
Le forme vivono nella metamorfosi: l’arte è simbolo di quello stesso movimento che guida la
natura
Per provare a rispondere, vediamo prima cosa significhi il concetto formale di bellezza nella società
postmoderna. Vediamo come l’idea di bella forma si sia metamorfizzata nel tempo. Lo vedremo
attraverso tre esempi.
PRIMO ESEMPIO
La definizione classica di bella forma è ben espressa da Vitruvio, ed è poi stata ripresa da Leon
Battista Alberti. La forma bella è una forma ideale, astrae dalle cose sensibili, induce all’idea della
cosa rappresentata, in una cornice concettuale dichiaratamente platonica.
Nel I sec. A.C. Vitruvio scrive il De architectura, che fu ripreso da Leon Battista Alberti
determinando i caratteri «classici» della forma ideale, ovvero della bellezza: simmetria,
armonia, euritmia, convenienza, distribuzione, proporzione: la venustas è accordo tra le
parti. Le arti devono realizzare in
opere tale «ideale»
La forma non si esaurisce nell’essere ma
rimanda all’idea.
Le caratteristiche della
bella forma sono per lo più riprese dall’ordine
musicale: si parla di simmetria, euritmia,
armonia tra le parti, consonanza, venustas.
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Anche in Agostino troviamo il concetto di varietà nell’unità, dove nulla deve stonare.
La Città Ideale, dipinto di autore ignoto (sopra), conservato ad Urbino, è caratterizzato da grande
armonia senza presenza antropica. La città ideale rimanda ad una idea di città, senza abitanti che
ne deturpino l’armonia.
SECONDO ESEMPIO
Il secondo esempio a cui ricorriamo è ancora un modello classico di derivazione platonica. Si trova
nelle Enneadi di Plotino, che qui scrive delle pagine essenziali. Secondo Plotino l’arte infonde
nella materia una forma che la rende bella, non in quanto rappresentazione ma in quanto astrazione
dall’esistente.
La forma è un mezzo, attraverso l’immagine noi
risaliamo ad una bellezza prototipica.
L’immagine è un mezzo per transitare dalla dimensione visibile ad
una dimensione invisibile.
Questo non scomunica la bellezza
sensuale delle forme, che ci deve essere, ma che non è esaustiva. La
bella forma deve andare oltre, deve diventare finestra sull’invisibile.
La sacra icona (esempio a destra) è proprio una finestra sull’invisibile.
A cavallo tra il VII e l’VIII secolo assistiamo alla lotta tra iconofili ed
iconoclasti, che può essere vista come una bellissima avventura
intellettuale attorno al discorso estetico. In genere se ne ha una
percezione scorretta: bisogna dire che le chiese degli iconoclasti
erano piene di immagini, tutte realistiche: quello che rifiutavano non
era l’immagine, ma la struttura di rinvio, le immagini che vanno oltre
le apparenze, rifiutavano proprio l’icona che si pone sul punto di passaggio tra immanenza e
trascendenza.
TERZO ESEMPIO
Il terzo esempio propone una riattualizzazione del mondo classico, è proposto
da Winckelmann2, e vorrebbe essere sintesi delle posizioni dei due primi
esempi.
La bellezza secondo Winckelmann sarebbe caratterizzata da nobile
semplicità e quieta grandezza, ed è esemplificata dalla scultura di Fidia (un
esempio nell’immagine qui a lato).
Questa è la concezione neoclassica di bellezza.
Ma contemporaneamente a Winckelmann che chiude il ciclo iniziato con
Platone, da altre parti si sente l’esigenza di superare la categoria della forma
bella.
2
Johann Joachim Winckelmann (1717-1768), critico d’arte ed archeologo tedesco. Introdusse nella storia dell’arte il
criterio dell’evoluzione degli stili.
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La forma bella è ora percepita come forma statica, da cui l’arte vuole uscire.
moderna dell’arte l’idea di forma si frantuma.
Nella concezione
Nasce la nuova categoria dell’informe, informe nel senso che non riesce ad essere contenuto in una
forma, e quindi il concetto di sublime caratterizzato in quanto non contenibile dai nostri sensi.
Il sublime è qualcosa che ci emoziona al di là dell’esprimibile In questo modo nella definizione di
arte e di bellezza entra la disarmonia, cioè la
stonatura (o dissonanza).
Nel ‘700 nella forma artistica entrano anche
categorie negative. La forma sembra scoppiare.
Da questo punto di vista è paradigmatico il saggio
di Lessing3 sulla statua del Laocoonte. Si tratta di
una statua scoperta casualmente, nel ‘500, durante
dei lavori di scavo in una vigna. La leggenda, non
confermata, vuole che alla scoperta fosse presente
Michelangelo. Il fatto venne considerato di tale
interesse da indurre a richiamare la presenza del
Papa, l’autoritario ed energico Giulio II. Il Papa va
a vedere la statua come esempio di unione ut
pictura poesis4, in quanto il Laocoonte si trova nella
poesia (cìoè in Virgilio) e nell’arte figurativa
(quella statua, appunto). Il Lessing, al contrario, vi
vede disarmonia, dolore, tragedia. La forma ha una
dimensione espressiva che eccede la forma bella.
La parabola iniziata con il Laocoonte vede il
culmine con Friedrich5 (due immagini qui sotto) che dipinge mari di ghiaccio, tempeste, lande
desolate, attingendo ad una sintesi di orrido e di sublime, con
una espressività
impossibile da includere
nel concetto di forma
armonica. Molte delle più
splendide opere moderne
rappresentano la bruttezza.
Addirittura, poco tempo
dopo, Hegel proclamerà la
morte dell’arte bella ed
armonica, uccisa dal romanticismo, cioè dal principio dell’espressività emozionante.
3
Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), scrittore, filosofo e drammaturgo tedesco. Autore, tra l’altro, del Laocoonte,
saggio importante per la sua confutazione dell'idea classica di equivalenza tra poesia e pittura: contro la pretesa "unità"
dell'arte Lessing si esprimeva per la "pluralità" e per la differenziazione, ed insieme per la legittimità del "brutto" in
estetica.
4
Come nella rappresentazione morfologica, così nella descrizione poetica
5
Caspar David Friedrich (1774-1840), pittore tedesco, esponente del romanticismo.
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“Molte delle più splendide opere moderne sono palesemente rappresentazioni del brutto,
tanto che si è costretti ad ammettere (a malincuore) che esiste una rappresentazione
dell’immensa ricchezza del reale nel suo massimo disordine, per la quale è necessaria
un’eguale, se non maggiore, forza creatrice che non per la rappresentazione di quella
ricchezza e di quelle energie in perfetta armonia”
Abbiamo quindi inserito tre principi:
 Sublime
 Morte dell’arte armoniosa
 Espressività
La forma artistica non può più basarsi solo sulla categoria della bellezza, nell’estetica entra la
pluricategorialità.
Avremo Victor Hugo che celebra il grottesco, Jehronimus Bosch che dipinge incubi sovraffollati e
visionari, nasce la caricatura, che è un giocare con la forma, un prendere in giro la bellezza.
In questo stesso contesto va posto il testo fondamentale per l’estetica del brutto, cioè l’opera
dal medesimo titolo, del 1853, di Karl Rosenkranz: un’opera hegeliana, che ha tuttavia il
merito di mostrare, ancora una volta, il carattere “estetico” del brutto e di affermarne
definitivamente la liceità “estetica”, vedendo proprio nella caricatura il suo apice.
Siamo alla decostruzione del bello.
Oggi, per citare Adorno, sembra si sia inseriti in un turbine che tutto inghiotte. Dopo le
avanguardie storiche, dopo un’arte che ha perso “armonia”, esiste ancora un significato
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estetico che separi forme belle e forme brutte? Che «giudizio estetico» esprimere di fronte
a certe opere?
A questo punto il conferenziere propone una serie di opere di pittura moderna, caratterizzate da
disarmonia, dissonanza, distacco dalla ricerca della bella forma.
Presenta “Guernica”, di Picasso, “Dapprima innalzatosi dal grigiore della notte …” di Paul Klee,
“White on white” di Malevich, “Conglomerato” di Kandinsky, “Number 8” di Pollock, e perfino
“Orinatoio” di Duchamp.
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White on white di Malevich era percepito dall’autore non come un quadro, ma come un’icona: non
gioca sul riconoscimento delle forme, ma esalta la funzione di rinvio ad altro. Il luogo dell’icona
nelle abitazioni dei fedeli era sulla parete principale, in alto a destra: il luogo che ora spetta
generalmente al televisore6. Il senso fisico e metafisico della forma dell’arte non è cambiato.
Nelle opere di Kandinsky e di Pollock non vi è più nulla da riconoscere, vi è la totale decostruzione
della forma. L’orinatoio di Duchamp, che non è né bello né utile (così sconnesso e capovolto),
vuole esemplificare che l’idea dell’arte non può estinguersi entro una forma.
Ma cos’è allora una forma bella, dove possiamo trovare continuità, come possiamo vedere che il
concetto di base non è cambiato?
Ci sono alcuni punti fermi.
 La forma artistica non richiede contemplazione passiva, ma rimanda ad altro, induce
partecipazione, provoca emozione, causa pensiero.
 Seguendo Baudelaire: nella forma artistica c’è dimensione trascendente ma anche
dimensione contingente, storica. Vi sono amalgamate trascendenza ed immanenza storica.
Dobbiamo saper cogliere nelle forme quella intenzionalità simbolica che ci rimanda a sempre nuove
domande di senso, attraverso la policentricità della rappresentazione. Sono forme che devono
essere sempre nuovamente interpretate. Le “Montagne” di Cezanne mostrano un continuo
reinterrogarsi sui medesimi aspetti della vita,
rende visibile ciò che prima non lo era, senza
peraltro poterne mai esaurire il potenziale di
scoperta. Ci fa vedere quello che prima non
vedevamo, ce ne fa
vedere di più, di nuovo.
Ne “L’equilibrio
instabile” di Klee l’arte
è vista proprio come
equilibrio instabile: le
frecce rappresentate sono disarmoniche, ma nell’insieme c’è armonia,
induce ad interrogarsi sempre di nuovo sul concetto di forma. La spinta a
vedere al di là delle apparenze fa emergere il concetto di seconda vista:
“La seconda vista è quella vista con cui si può scorgere il bello:
non come idea lontana, ma in quanto modo per meglio osservare,
descrivere, riprodurre la qualità degli eventi della natura e della
storia”.
Nell’arte l’oggetto si dilata al di là del proprio fenomeno, dal
momento che noi conosciamo il suo interno, e sappiamo che la cosa è più di ciò che la sua
apparenza dà a vedere (Klee)
6
Che comunque è un dispositivo che continuamente rimanda ad altro, finestra per eccellenza su un “non qui”,
purtroppo banalizzato e depotenziato dalla sovrabbondanza e dalla distruzione di gerarchie di valore (la guerra civile a
Kiev come la nuova linea di merendine)
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Nell’estetica irrompe un nuovo principio etico, che
prescrive di non fermarsi alla forma esterna, ma spinge a
conoscere l’interno delle cose, che sono più di quanto la
loro forma ci dica. Il visibile è avvolto, permeato da un
invisibile: la forma artistica è questa fodera di invisibile
che permea il visibile.
A questo proposito il Franzini propone ancora due
citazioni:
La forma, nell’arte, vuole essere «verità della vita, che non sostituisce la vita, ma si limita a
indicarla simbolicamente nella sua più profonda realtà» (Florenskij).
«l’artista non riconcilia, ma tollera che l’unità sia assente» (Lyotard)
SLIDE “CONCLUSIONI”
Forma, nell’arte, come simbolo: non è una “cosa” ma un processo che si sviluppa in vari
modi, attraverso una molteplicità di sguardi
l’arte come modello epistemologico: l’arte non è la “domenica della vita”, ma un modo per
interrogare il reale e noi stessi, sempre di nuovo, come è proprio di un modello scientifico
dove sarebbe improprio separare la comune ricerca, svolta con differenti mezzi, tra “arte”
e “scienza”
una conoscenza non cognitiva: descrizione, non spiegazione. La conoscenza estetica parte
infatti dal sentire, dal patire, dal provare sentimenti e passioni. Ha una sua verità e forza
anche quando non possiamo “spiegarla”
interpretazione per simboli descrittivi della varietà di sensi stratificati del nostro mondo
circostante.
Il senso dei valori spirituali. Il mondo della nostra vita è un insieme complesso, dove la
verità ha trame e dimensioni che non sono semplici, che richiedono molteplicità di sguardi,
di saperi, di interrogazioni. Questa è la verità dell’arte, la consapevolezza che il mondo, in
questa trama stratificata, è un senso che va sempre di nuovo interrogato.
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1.2
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DIBATTITO
Intervento 1 – In un mondo pieno di immagini che non rimandano a nulla, dovremmo capire come
ogni persona è permeata da un involucro invisibile di unicità, qualcosa che va oltre le persone.
Dovremmo [re]imparare a guardare attraverso l’invisibile, il mistero.
Commento – E’ il discorso della multicategorialità: la forma non è più richiudibile nella sola
bellezza, si affiancano altre categorie estetiche, a segnalare che la bellezza non è risolvibile
in chiave statica. Domandiamoci se siamo in una società iconofila o iconoclasta. Il
Franzini segnala e consiglia “Il complotto dell’arte” di Baudrillard, definito “libretto da
leggere”. Ogni settimana ciascuno di noi vede più immagini di quante Leonardo ne abbia
viste in tutta la vita. Siamo in una società dell’immagine, ma forse anche in una società
iconoclasta.
Intervento 2 – Sicuramente ci guardiamo attorno con i sensi annebbiati da un frastuono di fondo.
Se guardassimo in noi stessi anziché fuori di noi cambierebbe tutto.
Commento – E’ all’incirca anche la tesi di Baudrillard. La nostra società è iconoclasta
perché le immagini di cui si circonda sono autoreferenziali, senza contenuto, senza strutture
di rinvio. Sono immagini finalizzate alla decorazione delle pareti. Una società di pura
contingenza, dove moda e trucco prevalgono sulla forma. Si perde il senso interiore
dell’immagine. Non lo sappiamo più riconoscere.
La bellezza come trucco è pura
contingenza, caducità. Quello che non è caduco trova fondamento nella poesia, l’arte
determina ciò che rimane. Il senso dell’immagine è in noi, o meglio nella corrispondenza
tra noi ed il senso delle cose intorno a noi. E’ un senso che ha bisogno del nostro sguardo
per emergere.
Intervento 3 – In questa multicategorialità può sussistere la categoria dell’universalità?
C’è
differenza, in questo ambito, tra lo sguardo dell’Occidente e gli altri sguardi?
Commento – La domanda è complessa. Questa sera si è parlato di una idea di forma
strettamente connessa alla tradizione occidentale, di netta derivazione platonica. Goethe
parte dal Vangelo di Giovanni, l’incipit della cultura occidentale è nel logos. Il logos nutre
di sé tutta la nostra cultura, che è cultura logica. La specificità dell’Occidente è la filosofia
come scienza del logos. E’ evidente che anche fuori dall’Occidente vi sia pensiero, ma
manca la dimensione del logos.
Veniamo al discorso dell’universalità nella
multicategorialità.
Shelling, che è neoplatonico, a proposito della bellezza parla di
universale nel particolare e particolare che sa farsi universale.
La Pluricategorialità
espressiva rimanda dal particolare all’universale. Ogni forma artistica è particolare, ma è
arte solo se ha in sé le risorse per trascendere sé stessa.
Intervento 4 – L’intervento dell’uomo nella storia influisce, e quanto, su questa evoluzione del
concetto di forma?
Commento – La domanda è difficile. La forma è sempre un prodotto antropologico.
L’uomo ha bisogno di rappresentare per estrinsecare la propria interiorità. Le forme di
conseguenza diventano una realtà storico-antropologica, e così sono guardate dallo storico
dell’arte. Il filosofo vi cerca in più un filo conduttore comune. La domanda contiene una
risposta, il filo sembra esserci, la storia influisce sull’arte. La filosofia richiede metafisica,
non può ridurre il senso alla fisicità. All’origine c’è una domanda di senso, ed è questa
domanda ciò che consente la possibilità della storia.
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Intervento 5 – L’intervento propone una riflessione su Malevich. Se estendo il concetto di
monocromatismo posso ammettere che il foglio bianco faccia parte di questa muticategorialità.
Niente come il foglio bianco rende visibile l’invisibile e rimanda a molteplicità di senso.
Commento – La domanda è difficilissima, questa sera il dibattito è molto impegnativo.
Klee più che nel bianco trovava potenzialità di senso nel grigio, secondo lui più unificante.
Il foglio bianco ha in sé il senso della possibilità, che fa parte della forma artistica.
Vediamo le categoria della modalità di rapporto tra soggetto ed oggetto. Ci sono la
effettualità (è così e basta), la necessità (è così perché così deve essere), la possibilità (è così,
potrebbe anche essere altro). Evidentemente il foglio bianco contiene il massimo della
possibilità, ma manca tutto il resto. Proporlo come opera d’arte è provocazione che sfuma
il concetto di valore: non basta presentare un foglio bianco per fare arte. C’è eternità ma
anche contingenza. L’arte non è solo una dimensione concettuale, l’dea ci deve essere. Se
però l’intervenuto avesse voluto sostenere che l’arte concettuale abbia ecceduto, allora il
Franzini sarebbe d’accordo: se si rinuncia a qualsiasi livello di generazione di forma non
rimane più nulla.
Intervento 6 – Di sé Picasso diceva che a sedici anni sapeva disegnare come Raffaello, e di avere
poi impiegato rutta la vita per disimparare.
Commento – La nullificazione può essere vista come espressione estrema del mettere in
dubbio. Il grande artista riesce a rendere costruttivo anche questo.
Intervento 7 – Picasso ha tentato inutilmente di dipingere come un bambino: dobbiamo dedurre che
i più grandi artisti siano i bambini?
Commento – Anche Pau Klee invitava all’attenzione per l’espressività artistica dei bambini.
L’arte è possibile tra i morti ed i non nati, in un mondo abitato da soli bambini, che sono
possibilità pura. Klee, ottimo disegnatore, si impegna per elementarizzarsi in uno sforzo
che persegue il bambino ed il primitivo. Insegnava teoria della forma, ma sosteneva che
non esiste una teoria capace di dar conto dell’arte e dell’artista. Se mai l’artista è vittima,
oggetto di tentativi di razionalizzazione. L’arte concettuale funziona solo una volta.
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1.3
1.3.1
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COMPLEMENTI
BAUDRILLARD, IL COMPLOTTO DELL’ARTE
Il brano che segue è tratto dal sito:
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/baudrillard-e-funerale-dellarte-contemporanea-894417.html
Baudrillard e il funerale dell'arte contemporanea
Viene a proposito la riedizione di alcuni scritti del filosofo francese Jean Baudrillard (scomparso nel 2007)
nell'agile volumetto Il complotto dell'arte (SE, pagg. 84, euro 12) per leggere il fenomeno in tutta la sua
evidenza: questa volta la morte dell'arte è conclamata e non più rinviabile. Se si prescinde dall'ostilità di
qualche passaggio linguistico, a Baudrillard si deve riconoscere una lucida preveggenza. Nel 1994 parlava di
«generale malinconia della sfera artistica», in cui «siamo destinati alla retrospettiva infinita di ciò che ci ha
preceduti». Se Bonami oggi sostiene che bisogna proteggersi dall'arte divertente, dall'artista idiota, Baudrillard
metteva in guardia sul rischio di «ironia fossile» per un'arte caricatura di se stessa. Quando un sistema diventa
parodia, anche l'effetto eversivo si traduce in banalità a effetto pubblicitario. L'arte del XXI secolo non è più
iconoclasta perché non distrugge immagini come avveniva fino alla pittura astratta, ma anzi fabbrica «una
profusione di immagini in cui non c'è niente da vedere».
Prima di andarsene, Baudrillard fece appena in tempo ad accorgersi del crescente successo dell'artista simbolo
della nullità contemporanea, quel Tino Sehgal che non concede interviste, non permette di filmare o
fotografare le sue performance dove non accade niente di rilevante, tranne il momento in cui incassa lauti
assegni da privati collezionisti invasati e musei pubblici irresponsabili. Quest'ultima generazione di artisti ha
perfettamente compreso l'essenza pubblicitaria del mondo, applica una messinscena e persino il cinismo di
Warhol appare datato e ingenuo. Esiste infatti una differenza tra i profeti del nulla e la nullità eretta a
godimento estetico perverso: «la maggior parte dell'arte contemporanea si dedica proprio a questo: ad
appropriarsi della banalità, degli scarti, della mediocrità eleggendoli a valore e a ideologia».
Se ne potrà mai uscire? Non certo continuando a rivolgere lo sguardo al passato. Baudrillard affermava di non
provare nostalgia per vecchi valori estetici: «l'arte può avere ancora un grande potere di illusione. Ma la grande
illusione estetica è diventata una disillusione... e dopo un po' gira a vuoto». Tocca allora arrendersi all'evidenza
che non sia più possibile applicare il criterio del giudizio critico sul valore dell'opera ma solo quello della
spartizione amichevole e conviviale. Tutti insieme, tutti vestiti di nero, al funerale dell'arte contemporanea.
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