All’opera
Il Barbiere, o dell’indifferenza
Alla Fenice l’allestimento rossiniano di Bepi Morassi
Nell’immagine di fondo, Il Barbiere di Siviglia, regia di Ruth Berghaus, 1974.
D
di Jacopo Pellegrini
vo dramma in musica», L’inutil precauzione, dunque cita (o meglio, simula la citazione)unospartito«altro»rispettoaquelloincuisitrovaadagire;machesoprattutto nel Tempo di mezzo esce e rientra senza posa nella parte della studentessa
di canto (anche il distico «Caro, a te mi raccomando, | tu mi salva per pietà», che
appartiene evidentemente all’Inutil precauzione – l’andamento aulico, da genere
serio –, è al tempo stesso rivolto a Lindoro alias Don Alonso).
–Figaro,giàBeaumarchais(autoredellacommedia–1775–cheservìdafonte
aRossini)gliattribuisceilruolodimachinist,dicoluicheordiscelamacchinazione
ponendosi fuori della trama: ne fa, insomma, un alter ego dell’autore. Altrettanto,
sulla scia di Così fan tutte (Don Alfonso) e del Turco suo proprio (Poeta), fa Rossini
nel Finale I («Guarda Don Bartolo! […] Ah, ah! Dal ridere sto per crepar!») e nel
Terzetto dell’atto II, laddove il barbiere sbeffeggia gli innamorati svenevoli comedacopione.PiùcomplessolostatutodellaCavatina«Largoalfactotum»:autoritratto, novella mise en abyme, e, prima d’ogni altra cosa, canzone improvvisata, si direbbe, sul momento (nell’originale francese Figaro compone addirittura
opéras-comiques, come il suo «padre letterario»).
–Basiliodimestierefailmaestrodimusicae,dunque,almomentodelloscambio tra billet doux e lista del bucato (Finale I, scena 18), mentre tutti gli altri commentano il fatto con coppie di versi rimanti in -ucco o tronchi (-à), egli, per 7
battute, si limita a scandire il nome delle note musicali scritte sul suo rigo e corrispondenti al basso dell’armonia, sol sol sol, ecc. ecc. (una dimenticanza o una
svista di Rossini? forse, ma il «teatro nel teatro» celebra qui uno dei suoi trionfi maggiori).
ell’orecchiodiStendhal,comedellasuaattendibilitàcronistica, gli studiosi di Rossini c’hanno insegnato a diffidare (tra le rarissime eccezioni, il compianto Francesco
Degrada). Nulla da eccepire su fatti e aneddoti, credibili quanto
una promessa elettorale; sull’acume critico, invece, non sarei così
drastico, se, per esempio, del Barbiere di Siviglia sa darci una definizione tanto azzeccata: «il capolavoro della musica francese», vale a
dire musica all’insegna della «galanteria amabile e leggera», intonata all’«indifferenza»: «costruisce così bene i pezzi d’assieme, i duetti, [mentre] è debole e lezioso nelle arie che dovrebbero dipingere
la passione con semplicità. Il canto spianato è il suo scoglio». C’è tutto
il nostalgico cultore di Cimarosa, dell’antica «grazia ingenua e tenera», in queste frasi tratte dal cap. XVI della Vie de Rossini (1823):
testimone d’un mondo in vertiginosa, inarrestabile mutazione, il
suosguardosirivelaimpotenteafermareciòch’eglipercepiscecome una decadenza di costumi, principi, sentimenti (l’amore, avant
tout), eppure non rinuncia a posarsi sugli oggetti colla lucida spietatezza del raisonneur.
Al di là dell’attacco ai benodiati connazionali (non a caso amava
definirsi«cittadinomilanese»),Beyle-Stendhalcoglieinformaimperfettibile la natura del comico rossiniano. Non «passione» bensì «indifferenza»: l’intreccio rifugge ogni ambizione d’originalità
(checché se ne dica in contrario, Il turco in Italia è davvero – e volutamente – il ribaltamento speculare dell’Italiana in Algeri), i personaggi ogni tratto individuale, tutto vi appare finzione, maschera,
giuoco,ironia(quantunquelacriticanegliultimi40anniabbiapreferito leggereilteatro diRossini in chiave unitaria, giusta un’idea di
«astrazione espressiva» modellata sulle leggi del bello ideale neoclassico, il discorso sull’opera seria richiederebbe parecchi distinguo). La componente metateatrale, la rottura cioè dell’illusione
scenica attraverso la quale lo spettatore viene emotivamente coinvolto nella vicenda, ovvero lo svelamento compiaciuto della natura fittizia e convenzionale che regge i fili della fabula, è certo un tratto caratteristico del genere comico, fin dalle origini; nel Pesarese
assume, però, un ruolo centrale, paragonabile, in ambito operistico,soloaquellosvoltonellaTrilogiaMozart-DaPonte(NozzediFigaro, Don Giovanni, Così fan tutte).
Anche limitando il nostro rilevamento al Barbiere, gli esempi s’accumulano a diecine:
Al medesimo partito dell’«indifferenza», della distanza interposta rispetto alla materia rappresentata, si possono ricondurre le aperte parodie musicali (l’arietta in stile settecentesco di Bartolo, atto II, scena 3, la «Calunnia» di Basilio, modellata sul solo
di Bartolo nell’atto I delle Nozze mozartiane) e gli echi d’opera seria: i salti ascendenti e discendenti nella Cavatina di Figaro (alternati, con marcato effetto ironico, a passi sillabati, in stile parlante,
decisamente buffi); l’Andante in quella di Rosina (contrapposto,
a sua volta, al tono scanzonato del Moderato) e, sempre della giovane donna, il lamento (simulato) nel Finale I («Ecco qua! sempre
un’istoria»); pressoché tutta la parte del Conte, apice il Rondò finale «Cessa di più resistere», ch’è l’opposto preciso della «semplicità»
e del «canto spianato».
Sul piano dei parametri compositivi, lo «straniamento» perseguito da Rossini si esplica anche attraverso altri due elementi: il ritmo (inestinguibile rotolio, da folle journée, di crome e semicrome) e
la nimietas, l’eccesso delle proporzioni: tutto vi è concepito su vasta scala, dalla Stretta dell’Introduzione («Mille grazie, mio signore») al Finale I (che un tempo era uso abbreviare), dal Quintetto
«Don Basilio!» (che riattacca quando già sembra concluso) al Terzetto «Zitti, zitti», l’«unico difetto» del quale «è di far perdere troppo tempo in un momento in cui l’azione vorrebbe che i personaggi corressero» (ah, il fondo razionalistico del pur sempre francese Stendhal!); e l’immane crescendo nella «Calunnia», e le sei idee diverse nel «Largo al factotum», e gli sterminati Rondò di Rosina e
Almaviva…
Contrariamente a quanto lasciano intendere e il titolo e la vulgata
critica, protagonisti«ufficiali»del «melodramma buffo», specie se
lo si osserva dalla prospettiva metateatrale, finiranno per imporsi i due amorosi (alla prima assoluta del 20 febbraio 1816 – Roma,
Teatro Argentina – il Barbiere venne presentato come Almaviva, ossia L’inutileprecauzione,un po’per evitareconfrontiimbarazzanti col
precedente illustre di Paisiello, un po’, forse, per la celebrità del primo Conte, il tenore Manuel García); tenendo oltretutto presente
che gli intrighi di Figaro vanno sempre a rotoli, un po’ come i piani
di Prosdocimo nel Turco in Italia: nell’inferno della ragione comodamente abitato da Rossini non c’è spazio per dei ex machina o provvidenze varie.
– Almaviva (un «nome parlante», tra l’altro) nell’atto I affronta due serenate,
una in grande stile con orchestra sulla scena, una più «intima» accompagnandosi alla chitarra, ma sempre sotto mentite spoglie, intento a rappresentare la
parte dell’innamorato che canta sotto le finestre dell’amante sdegnosa. Seguono(FinaleI,DuettoinizioII)duetravestimenti,dasoldatoubriacoedamaestro
di musica, e sempre la maschera viene calata in «a parte» nei quali il Conte evoca
oppure si rivolge al «caro oggetto»;
–Rosina,intanto,anchepermeritodellibrettistaCesareSterbini,smetteipanni dell’«ingenua» (viceversa decisivi nell’altro Barbiere celebre, quello di Petrosellini-Paisiello, S. Pietroburgo 1782) per metamorfosarsi in «virago»: «c’è molta
sicurezza – stigmatizza ancora Stendhal – nel canto della pupilla perseguitata,
e poco amore»; non più fanciulla ma «vedovella scaltra» di 26 (in un altro passo
28) anni, «abbastanza galante e molto vivace». Sin dall’inizio (atto I, scena 6) ella si presenta decisa e «sfacciata», quando prima aizza indi replica a Lindoro sul
motivo da lui intonato nella canzone «Se il mio nome». La Cavatina celeberrima, poi, opta per stacchi di tempo posati (Andante «Una voce poco fa», Moderato «Io sono docile»): decisamente una ragazza colla testa ben salda sulle spalle,
determinata a ottenere la soddisfazione dei propri desideri. E nella prima parte,
sezione B, ecco, per dirla con Genette, una mise en abyme, una prefigurazione di
quanto accadrà nel seguito della vicenda: «Il tutor ricuserà, | io l’ingegno aguzzerò. | Alla fin s’accheterà | e contenta io resterò». Metateatro puro è, infine, la
Scenadellalezione(attoII,scena3),conRosinachesimisuracolrondòdel«nuo-
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All’opera
I «Pescatori di perle» di Bizet al Verdi di Trieste
di Emilio Sala
I
l giovane pescatore di perle, la «vergine sacra», il gran
dibili, ma la purezza misteriosa della melodia che esprime la
sacerdote fanatico, lo scenario esotipresenza della giovane dea, intonata la prima
co, l’infrazione del tabu: il soggetvolta da un flauto nel registro medio,
to dell’opera di Bizet è all’origiuna melodia che ritorna per otto
ne di uno schema narrativolte nel corso dell’opera covo di rara densità cultume un desiderio inappagarale. Uno schema che
bile, quella purezza miarriverà (almeno) fisteriosa e sognante
no al meraviglio– dicevo – è il cuoso ultimo film
re pulsante o l’ani(muto) di Murma profonda di
nau e Flaherty
tutta l’opera. Lo
(Taboo, 1931),
scenario esotise non all’Uraco che la accogano di John
glie è appunto
Ford (1937). In
una proiezione
questo contementale, la visto, Les pêcheurs
sualizzazione di
de perles di Biuno stato interiozet (1863) è tanto
re, una costruziopiù irrinunciabine culturale. Non
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le in quanto contiea caso essa si fa senIp
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ne già, in nuce, quell’intire
per la prima volta,
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tica e irraggiungibilità dell’alte il duetto dell’amicizia virile
l e n el l a v e r s i o n e d el l’ O p e r a
tro, che alimentra Zurga e Nadir
ta l’immaginario
(«Une femme ap(anche musicale)
paraît… / Je crois
del nostro schela voir encore…»):
ma. D’altronde,
questi Oreste e Pinon si può tacelade dell’isola di
re il fatto che per
Ceylon sognano
certi versi si tratuna déesse che è sota di uno schema
prattutto nelle loche riformula, nei
ro teste e che si
termini dell’esotipuò incarnare solo
smo, un soggetto
musicalmente…
tipicamente clasSull’orientalisico e operistico
smo europeo otcome quello della
tocentesco coVestale (da Sponme «costruzione»
tini in poi). Inha già detto tutto
somma, ci troviaEdward W. Said
mo di fronte a una
nel suo famoso
densità culturale
libro, al quale riBozzetto di Heinz Grete per l’allestimento del 1930 a Norimberga
e a una pregnanmando il lettore.
za antropologica
D’altra parte creche solo l’opera, e
do significativo il
poi il cinema, hanno saputo esprimere nell’occidente borfatto che Georges Bizet, a parte la permanenza in Italia per
ghese e colonialista.
il Prix de Rome, non si sia mai mosso da Parigi. Mentre vaMa anche a guardarli dal punto di vista della storia delgheggiava la «vergine sacra» dei meravigliosi mari oriental’opera, Les pêcheurs de perles occupano una posizione di granli, egli (ventitreenne) faceva all’amore – più modestamente
de interesse. Si trovano infatti in una zona
– con la serva di famiglia, dalla quale ebbe
intermedia tra il vecchio grand opéra, con la
proprio in quell’anno un bambino che sasua spettacolarità e le sue scene di massa, e
rebbe stato per molto tempo considerato fiTrieste – Teatro Verdi
il nuovo drame lyrique, più rarefatto e intimiglio di suo padre (vedovo), Adolphe Bizet.
18, 19, 26, 28 marzo, ore 20.30
sta. Il pittoresco, le danze e i cori «caratteriSi può immaginare qualcosa di più distante
22 marzo, ore 17.30
stici» sono abbastanza tradizionali e preve29 marzo, ore 17.00
tra la realtà borghese e il sogno esotico?
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All’opera
L’«Attila» di Verdi
al Filarmonico di Verona
di Daniele Carnini
U
n Dramma, che non porta il nome di un eroe,
vamente crescente di Ernani; l’opera futura fu prevista per
anzi ritorna all’immaginazione degli uomini la
Venezia o in seconda battuta per Firenze. Nel giugno Latrista idea di un nemico della umanità, e della
nari si accaparrò l’appalto della Fenice. Una volta delineanostra Roma, io con qualche timore arrischio nuovamentosi anche il cast (in cui il punto forte, oltre a Sofia Loewe
te alla pubblica luce» (dalla prefazione al libretto per la rie Carlo Guasco, già Elvira ed Ernani, fu il basso Ignazio
presa di Attila di Rossi/Farinelli, Roma, 1807).
Marini) non rimase che scegliere il soggetto. Fu la trageNon ci sono assolutamente prove che Verdi o Piave o
dia di Zacharias Werner Attila re degli Unni. In essa il perSolera conoscessero l’Attila di Gaetano Rossi musicato
sonaggio storico, per gli italiani simbolo di morte e dida Giuseppe Farinelli (Livorno, 1806), opera di un certo
struzione, era rivisitato alla lente tutto sommato positiva
successo nel primo decennio del secolo. Fatto sta che andel mito germanico. L’Attila storico morì, forse, per aver
che quel sipario si apre con Attila vincitore, e anzi con lo
perduto sangue dal naso ed esserne rimasto soffocato. Fispettacolare incendio di Aquileia. Che anche lì
– come in tutte le
opere serie – c’è
una trama amorosa: Idalia, figlia
di Ezio, viene
amata da Attila
(il quale dovrebbe sposare Onoria) e l’amore le
viene contrastato da Lotario,
nobile guerriero
romano. Che, infine, Attila viene
sconfitto; ma siccome il lieto fine
è d’obbligo, gli
viene offerta la
pace. Che c’è un
terzetto «notturno» nel Finale I,
in cui Lotario fa
per rapire Idalia,
tenuta prigioniera da Attila, ma
Ruggero Raimondi è Attila nello spettacolo diretto da Giuseppe Sinopoli
sono entrambi
e allestito da Giulio Chazalettes (Vienna, 1990)
sorpresi da Attila medesimo.
A parte le vesti
operistiche, Attila (come Annibale) non arrivò mai a Rone un po’ meno banale per quello di Werner, assassinato
ma; anzi, fu il vescovo di Roma a muovergli incontro. Ma
da sua moglie (come nelle saghe e in qualche cronaca mea quale Attila venne incontro, nell’opera di Verdi che pordievale), cui ha ucciso il precedente fidanzato.
ta il suo nome? al «flagello di Dio»? a un grande soldato? a
All’inizio fu Francesco Maria Piave a essere incaricaun superstizioso? a un innamorato mal corrisposto? alla
to del libretto. Ma era ovviamente Temistocle Solera la
vittima ignara e un po’ inerte di una congiura? La rispopersona giusta per questo soggetto magniloquente, con
sta è: a tutti. Il modo con cui si giunse a questa «compresmasse in movimento, inni di guerra, invocazioni a divinisione» di caratteristiche nello stesso personaggio, e a fatà barbare. Chi meglio del librettista di Nabucco e Giovanre di questa storia un’opera patriottica, merita un tentatina d’Arco avrebbe potuto rendere la visione raffaellesca del
vo di spiegazione.
papa affiancato da san Pietro e san Paolo? o la scena del
Verdi venne scritturato dall’impresario Lanari nella tarbanchetto e la congiura? E così accadde. Solera se ne inda primavera del 1844, all’indomani del trionfo progressicaricò: e con Solera il kolossal era sempre in agguato, ma
«
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All’opera
un kolossal non convenzionale, anzi. Proprio quello che a
di Verdi: giobertiano? mazziniano? Ma forse una focaliznoi pare oggi datato di Attila o di Nabucco stesso, abituati
zazione troppo nitida rischia di mancare il punto.
come siamo al Verdi successivo, era allora probabilmenQuel che conta è appunto il gesto musico-teatrale scolpite la cifra più innovativa. I languori e i dilemmi dei tarto in tutta evidenza. Una nota acuta del baritono associadi eroi donizettiani sono quanto di più lontano dal vitalita alla parola «Roma», «Italia», «universo» ha un impatsmo (anche insensato e tutto sommato improduttivo) del
to dirompente, diventa un deliberato richiamo a quello
personaggio Attila. Il Verdi che noi definiamo in manche tutti pensano. Si aggiunga un soprano che è quasi la
canza di meglio «risorgimentale» è anche questo: pesanpersonificazione dell’Italia turrita, cinta dalle Alpi, spada
te, ma energico. A un pubblico che si scaldava per i mode– quanto simbolica, la spada di Attila – in pugno; un costi ardori napoleonici dell’Italiana in Algeri, che si identifiro che saluta l’alba sul luogo dove sorgerà Venezia, i procava con i velleitari congiurati del terzo atto di Ernani, la
fughi di Aquileia che inneggiano al futuro e alla «risorta
lotta presso Venezia per le sorti d’Italia doveva costituire
Fenice novella» con un tenore che li guida; un monarca
un survoltaggio altamente desiderabile.
straniero ucciso per aver cercato di occupare l’Italia. Non
Qualcosa però nella sceneggiatura andò storto. Lasciaconta la sequenza logica (che fa di Attila uno dei drammi
mo la parola all’allievo e factotum di Verdi Emanuele Mupiù incoerenti dal punto di vista del narratum), ma la conzio (agosto 1845): «Il signor Maestro ha scritto a Solera
notazione del singolo quadro. In attesa della «parola sceche viene a Milano appositamente per prendere l’Attila,
nica» Verdi creava un teatro di «parole d’ordine». Anche
del quale ne vuol fare la sua più bella opera; ma quel polse quella del Verdi risorgimentale è per molti versi una
tronaccio di poeta non ne ha fatto niente». Di fatto il «polleggenda, il successo di quest’opera nei caldi anni quarantronaccio» non fece più niente; partì per la Spagna, e lata non ci stupisce.
sciò genericamente detto che se Verdi lo riteneva opporNon solo. Il carattere di Attila dovette colpire Verdi in
tuno poteva far ricorso a Piave per terminare l’opera. Piaquanto non soggetto alle comuni leggi della morale dei
ve lo fece, concludendo il kolossal con una scena «minimapersonaggi operistici: un cattivo, ma non integralmente;
le» di riunione di tutti i protagonisti la sera delle nozze di
un re crudele – anche se non lo vediamo mai propriamenOdabella con Attila. Attila viene ucciso sotto gli occhi di
te all’opera – ma leale e amato dai suoi sudditi; un vincitoForesto e di Ezio, che sono convenuti (senza seguito alre del quale assistiamo però a una serie di smacchi: la parcuno) a dare sfogo a quella che sembra una vendetta pertita si gioca alle sue spalle (il paragone con Don Giovanni
sonale più che un rito sacrificale necessario per il benesazzardato da Marco Marica è calzante). Così la morte di
sere del mondo. Solera non credette ai suoi occhi, quanAttila nell’opera di Verdi non ci sembra un lieto fine. Codo vide il finale nuovo, parturiens mons. Ma aveva altri prome quei caratteri recessivi che si manifestano solo alla seblemi, soprattutto di debiti, e a parte la furente reazione
conda generazione, la contraddizione insita nel carattere
non poté fare altro.
di Attila si destò nel libretto rifatto da Piave: il debole del
La conclusione «cameristica» che tanto irritò Solera è
tiranno per Odabella e la sua fierezza lo portano a consecolpa di due spinte concorrenti: la tendenza di Verdi a «lagnarsi nelle mani dei suoi nemici.
vare i panni sporchi» in confronti interpersonali (come,
Attila però è anche un’opera con dei magnifici pezzi
appunto, il finale di Ernani) e quella dell’opera italiana a
di musica, e per una volta tanto possiamo astrarci dalfar sì che i personaggi – per quanto augusti – si incontrino
le implicazioni teatrali e sociali per ascoltare la romanza
senza intermediari. Nelle Ines de Castro che furoreggiavadi Odabella del I atto, la visione di Attila o i due stupendi
no tra Sette e Ottocento erano re e regine in prima persoFinali I e II. Inoltre è stata giustamente notata l’importanna a sbraitare, a minacciare, a avvelenare. L’identificazioza della componente visiva dello spettacolo, anche grane per il pubblico era particolarmente vivida, come quel
zie alla nuova illuminazione a gas della Fenice nel 1846.
«Bazzarro de Moscovia» entrato in scena in un’opera di
A parte il temporale e l’alba sulla Laguna nel Prologo, il
Donizetti (Gli esiliati in Siberia) che «se cibbò ‘na sarva de
miglior esempio è il concertato del Finale II, costruito sefischietti» secondo Giuseppe Gioachino Belli, in quanto
guendo l’alternanza dei fenomeni atmosferici che interlo zar di Russia era odiato dai Romani dell’Ottocento.
vengono direttamente nella struttura musicale. Una miConclude l’opera, dunque, il gesto dell’assassinio di un
mèsi forse un po’ esteriore, ma perfettamente in linea con
monarca straniero in Italia: capiamo bene perché la cenlo stile a forti tinte di Attila.
sura evitasse qualunque morte di regnante in scena! AtEpilogo: lettera del 30 marzo 1846 dello stesso Muzio.
tila scampò forse perché il Quarantotto era di là da veni«Il furore che ha fatto l’Attila è cosa fuori dell’ordinario.
re. Pochi mesi dopo sarebbe stato difficile non identificaStamattina ho finito di leggere lo spartito e Le dico che ci
re Leone magno (anzi, «Leone, vecchio romano», stavolta
sono dei pezzi così grandiosi che il signor Maestro non ne
per amor di censura) con Pio IX eletto il 16 giugno 1846.
ha mai fatto simili. Questa è la più grande creazione del
Verdi e Solera però fiutarono l’aria, immobilizzando in
Genio del signor Maestro».
quadri musico-teatrali i desideri inconfessabili (in pubbliForse non è esattamente così, ma Muzio questo non poco almeno) della classe media e alta d’Italia. Si è discusso
teva proprio saperlo.
sulle implicazioni politiche del patto Attila-Ezio, del papa che respinge l’Unno oppressore. Julian
Budden vedeva in Ezio – colui che vende due volte il suo imperatore – e Foresto
– quello che vuole avvelenare il nemico,
invece di sfidarlo in campo – gli «aspetti
Verona – Teatro Filarmonico
più sordidi della guerra di resistenza»; al28 marzo, 1, 4 aprile, ore 20.30
tri hanno puntato l’occhio sul «progetto»
30 marzo, 6 aprile, ore 15.30
27
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