Capitolo primo
1. LE
DUE TAVOLE DELLA LEGGE:
ISTRUZIONI PER L’USO
Premessa: Le antiche Tavole dei doveri e la moderna Carta dei diritti
Tre millenni fa, i dieci Comandamenti,
cioè la “dichiarazione universale dei doveri dell’uomo”:
1.
Elohim allora pronunziò tutte queste parole:
«Io sono Jahwè tuo Elohim, che ti ho fatto uscire dal paese di Mitzraim, dalla
condizione di schiavitù.
2. Non avrai altri Elohim di fronte a me.
Non ti farai idolo né immagine alcuna...
3. Non porterai invano il nome di Jahwè, tuo Elohim...
4. Ricordati del giorno dello Shabbat... per sei giorni faticherai... ma il settimo giorno...
non farai alcun lavoro...
5. Glorifica tuo padre e tua madre...
6. Non assassinare.
7. Non adulterare.
8. Non rubare.
9. Non rispondere contro il tuo compagno come testimone di menzogna.
10. Non bramare la casa del tuo compagno, non bramare la moglie del tuo compagno...».
Ai giorni nostri, alcuni stralci della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo,
proclamata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite a palazzo Chaillot,
Parigi, venerdì 10 dicembre 1948
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente
Dichiarazione...
Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù...
Nessun individuo può essere sottoposto a tortura...
Tutti sono eguali davanti alla legge e hanno diritto, senza discriminazioni, ad un’eguale
tutela da parte della legge.
Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato.
Ogni individuo accusato di un reato è presunto innocente…
Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento...
Ogni individuo ha il diritto di cercare asilo e di godere in altri paesi asilo dalle
persecuzioni.
Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia...
Ogni individuo ha il diritto ad avere una proprietà...
Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione...
Ogni individuo ha diritto al lavoro...
Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago...
Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente…
Ogni individuo ha dei doveri verso la comunità...
Due testi, separati da un lasso di tempo di oltre tremila anni. Compaiono al termine di
epoche fortemente turbate: la schiavitù degli ebrei in Egitto, la guerra e i campi di
sterminio nazisti. C’è bisogno di affermare solennemente alcuni principi irrinunciabili (la
vita, la libertà, la famiglia, la proprietà, il riposo …). Tuttavia il mutamento di sensibilità è
evidentissimo: questi due elenchi, pur avendo contenuti simili, procedono con andamenti
opposti: nel caso della pagina biblica, l’osservanza dei doveri da parte di tutto il popolo
garantisce i diritti del prossimo, nella dichiarazione dell’ONU, al contrario, è
l’affermazione dei diritti dell’individuo a giustificare, alla fine, anche l’esistenza di
qualche dovere verso la comunità …
Dal dovere al diritto; dalla persona-appartenente-ad-un-popolo al singolo individuo; dalla
legge fondata sull’autorità di Dio a un ideale comune che nasce dall’aspirazione degli
uomini.
Da un atto di fede in Dio ad un atto di “fede” nell’uomo.
Ma puntiamo l’attenzione sul decalogo, partendo dalla sua formulazione all’interno della
Bibbia e dalla sua collocazione storica nel contesto dell’Esodo e dell’Alleanza sinaitica.
1. Il popolo che è passato “dalla servitù al servizio”
1.1
Due redazioni a confronto: Es 20,2-17 e Deut 5,6-21
Se cerchiamo i comandamenti nella Bibbia, ci troviamo subito di fronte ad alcune sorprese.
- Sono più lunghi (e sono anche diversi) rispetto all’elenco catechistico che conosciamo.
- Ci sono stati trasmessi in due versioni, che presentano differenze significative (cfr
schema): in particolare la “parola” sul Sabato (motivazioni diverse) e quelle finali sul
desiderio (prima le cose o prima la donna del prossimo).
Sostanzialmente reggono l’esame della critica storica,
- benché esistano posizioni più radicali e critiche, secondo cui la serie di 10 parole si è
completata in diversi secoli, dai tempi dell’Esodo (XIII s) fino all’epoca dei Profeti e
del Deuteronomio (VI s).
- D’altra parte la posizione più conservatrice e tradizionale incontra qualche difficoltà (ad
es. si rispecchia un ambiente agricolo, una vita sedentaria…).
Tuttavia Israele li sentiva/li sente come dono di Dio. E così Gesù. E così i cristiani.
In mezzo a tuoni, lampi, dense nubi, terremoti e terrificante squillare di tromba Dio manifesta
al suo servo Mosè sul Monte Sinai i dieci comandamenti. Non si tratta del risultato di lunghe
riflessioni di uomini saggi ed esperti della vita umana e dei suoi ordini: è la Parola rivelata di
Dio, al cui suono la terra trema e gli elementi si scatenano. Non si tratta di una saggezza
universale, offerta ad ogni uomo pensante, ma di un avvenimento sacro, al quale persino il
popolo di Dio non può avvicinarsi pena la morte; di una rivelazione di Dio nella solitudine
della vetta di un vulcano fumante: ecco come i dieci comandamenti entrano nel mondo. Non
è Mosé a darli; li dà Dio; non è Mosé a scriverli; li scrive Dio stesso con il suo dito su tavole
di pietra, come ripetutamente ed energicamente sottolinea la Bibbia: «E non aggiunse altro»
(Deut. 5,19), cioè Dio in persona scrisse solo queste parole; in esse è compresa tutta la
volontà di Dio. La preminenza dei dieci comandamenti di fronte a tutte le altre parole di Dio è
messa in rilievo con la massima chiarezza dal fatto che le due tavole vengono conservate
nell'arca nel Santo dei santi. I dieci comandamenti hanno il loro posto nel santuario; bisogna
cercarli qui, nel luogo della benevola presenza di Dio nel mondo, e da qui sempre di nuovo
essi si diffondono nel mondo (Is. 2,3) (Dietrich Bonhoeffer).
1.2
Il decalogo nel contesto “storico” dell’esodo dall’Egitto e dell’Alleanza con Dio
Nel libro dell’Esodo il decalogo è collocato tra il racconto della liberazione dalla schiavitù
egiziana e la celebrazione dell’Alleanza ai piedi del Sinai. Il popolo di Dio è nel deserto:
hanno lasciato alle spalle, al di là del Mar Rosso, gli oppressori egiziani; ora affrontano tra
mille difficoltà il cammino verso la Terra promessa. Nella regione del Sinai (Deut
preferisce dire Oreb) si accampano presso la montagna sacra che Mosè ben conosce perché
2
è stato il luogo della sua vita e del suo pascolo per molti anni e perché lì ha incontrato Dio
(Es 3). Qui avviene la Teofania: Mosè sale da solo sul monte in uno scenario apocalittico
da timore e tremore.
Tra l’indicazione dell’Alleanza (Es 19) e la sua celebrazione (Es 24) si colloca il decalogo
(Es 20) e il “codice dell’alleanza” (una serie dettagliata di leggi: Es 21-23. Insieme al
“codice di santità” di Lev 17-26 e alle altre leggi contenute nel pentateuco costituiscono la
Torah. In particolare 613 precetti, di cui 248 comandi e 365 divieti). Ci sono elementi per
dubitare che si tratti di un inserimento successivo… Ma a noi non interessa tanto
ricostruire i fatti storici nella loro cronologia e le pagine dei libri biblici nel loro
progressivo stratificarsi: interessa cogliere la fede secolare del popolo di Dio (che è anche
la fede di Gesù e la nostra).
Che cos’è successo? Gli Ebrei erano schiavi, ora sono liberi. E cosa fanno? Dicono a Dio:
“Tutto quello che tu ci comandi noi lo faremo!”.
Ma allora sono di nuovo schiavi? Senza libertà? Come un asino che cambia padrone?
No. Passano dalla servitù al servizio. Dal servire per forza al servire liberamente e per
amore.
È la dinamica: essere liberi da… essere liberi per…
2. Gesù e il “comandamento nuovo”
2.1
“Non sono venuto ad abolire ma a compiere”
Noi cristiani siamo chiamati a seguire Cristo. È il criterio della nostra fede/della nostra
vita. Ma Gesù Cristo, si dice, ha abolito la legge vecchia (Antico Testamento) e ha stabilito
la legge nuova, quella dell’amore. Dunque: “ama e fa’ quello che vuoi”!
Alcune precisazioni: prima di tutto Gesù non è venuto ad abolire proprio niente.
Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma
per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà
neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà
uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà
considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà
considerato grande nel regno dei cieli. (Mt 5, 17-19)
Anzi, in molti casi, Gesù propone una lettura più severa e restrittiva dei comandamenti (es.
omicidio, adulterio…). Sempre, propone di andare alla radice, alla fonte: quindi alla
volontà di Dio.
2.2
Il “comandamento dell’amore”
Poi, non è affatto vero che Gesù parla continuamente d’amore. Ne parla tre volte.
I – Il duplice comandamento nel vangelo di Marco
(Da Mc dipende Mt; e con varianti Lc)
Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben
risposto, gli domandò: "Qual è il primo di tutti i comandamenti?". Gesù rispose: "Il primo è:
Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con
tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il
prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi". (Mc 12,
28-31. cfr Mt 22, 34-40; Lc 10, 25-28)
(Molto probabilmente il detto risale davvero a Gesù, perché non si ritrova altrove, né
prima, né durante, ne subito dopo, con queste stesse caratteristiche: due citazioni letterali
dai libri dell’AT Deut 6 e Lev 19, accostamento dei due precetti, distinzione dell’ordine di
importanza tra primo e secondo, tuttavia legame stretto fino a formare un unico duplice
comandamento superiore agli altri).
3
II – “Amate i nemici” nella fonte Q
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i
vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa
sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.
Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?
E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche
i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. (Mt 5, 43-48; cfr Lc 6,
27-36)
III – “Amatevi come io vi ho amati” in Giovanni
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. (Gv 15, 12)
Superiamo l’immagine sdolcinata di un Gesù che riduce il comandamento a sentimento.
Sulla bocca di Gesù c’è molto più spesso la parola “legge”/”comandamento” che la parola
“amore”.
In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un
segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. (Mt 5, 18)
Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la
Legge ed i Profeti. (Mt 7, 12)
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumino, e
trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste
cose bisognava praticare, senza omettere quelle. (Mt 23, 23)
Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa
testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre". (Mc 10, 19)
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i
comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. (Gv 15, 10)
È vero invece che Gesù compie continuamente gesti di amore.
E ci dice che anche noi saremo giudicati su questi gesti (Mt 25, 31-46).
3. Sono ancora validi i comandamenti?
3.1
Il decalogo nella proposta ecclesiale attuale
All’inizio degli anni 80 è apparso un libretto dal titolo molto significativo: “Dobbiamo
ancora parlare dei comandamenti?”. La cultura moderna ha infatti messo in discussione
ogni legge esterna (ricordiamo tutti il “vietato vietare” del ’68), anche le leggi morali e
tutto quello che sembra sottrarre spazio alla libertà del singolo individuo: in questo
processo sono stati coinvolti pure i dieci comandamenti. E anche la stessa Chiesa ufficiale
ha risentito di questa crisi.
In epoca preconciliare i dieci comandamenti costituivano l’ossatura dei trattati di teologia
morale, della parte “pratica” del catechismo, della predicazione, dello schema per l’esame
di coscienza…
Poi, a partire dagli anni 70, i comandamenti quasi scompaiono: nelle prime edizioni del
Catechismo dei giovani “Non di solo pane” (non ne parla) e del Catechismo degli adulti
(c’è poco più del nudo elenco; entrambi i testi sono del 1981). Poi le cose sono di nuovo
cambiate: la seconda edizione del Catechismo degli adulti (1995) “La verità vi farà
liberi”dedica al decalogo alcune pagine e quella del Catechismo dei giovani (1997) riporta
i comandamenti in modo sintetico ma intenso.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) li utilizza come schema per la parte morale. E
così anche il Compendio del Catechismo (2005).
Sperimentando questi mutamenti, apprezziamo ancora di più che i dieci comandamenti
siano una parola di Dio, libero e liberatore, rivolta all’uomo libero e responsabile. Non una
norma legale, giuridica, imposta dall’autorità di qualche uomo potente, né un’evidenza
4
razionale o teoretica raggiunta attraverso la ricerca filosofica, o il consenso democratico, o
l’opportunità sociale.
3.2
Il decalogo: non tanto una legge ma una parola di libertà
Nel decalogo non c’è prima di tutto un ordine, una legge, ma una “buona notizia” (un
vangelo): “Io sono il Signore tuo Dio che ti ha liberato dalla schiavitù”.
Il decalogo, prima che una legge, è una “parola” rivelata, donata da Dio. Una parola rivolta
alla libertà umana: è Dio che liberamente si apre e si dona alla libertà dell’uomo.
Come se Dio dicesse: “Se vuoi vivere la libertà che io ho mostrato di saperti dare, queste
parole sono la via”. I comandamenti sono l’indicazione di un percorso verso una terra
promessa nella quale non siamo ancora entrati; sono l’aiuto per una libertà da conservare e
sempre da ritrovare. (Cfr. Catechismo dei Giovani (ediz. 1997) pag. 315)
Questa “parola” (le dieci parole) è sentita dal popolo d’Israele come il dono più grande
(cfr. Dt 4, 8: E qual grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione
che io oggi vi espongo?).
Noi cristiani sappiamo che questa parola di Dio si è fatta carne in Cristo Gesù: la Parola
viva eterna e definitiva del Padre: ma non si può incontrare la “Parola” eludendo le “dieci
parole”.
(Cfr. 1Gv 2, 3-4: Da questo sappiamo di conoscerlo: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi
dice: "Lo conosco" e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui).
Nel vangelo Gesù conferma la validità perenne dei comandamenti, come via per avere la
vita. Osservarli è la base di partenza, il livello minimo al di sotto del quale non si può
scendere.
Ma poi propone - a chi ne ha il coraggio - di andare oltre, di salire più in alto, di tendere
alla perfezione, seguendo la dinamica della carità.
Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la
vita eterna?". Egli rispose: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi
entrare nella vita, osserva i comandamenti". Ed egli chiese: "Quali?". Gesù rispose "Non
uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la
madre, ama il prossimo tuo come te stesso". Il giovane gli disse: "Ho sempre osservato tutte
queste cose; che mi manca ancora?". Gli disse Gesù: "Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello
che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi". (Mt 19, 16-21)
Conclusione: L’etica come “luogo” dell’incontro tra l’uomo e Dio
5
Marc Chagall, Mosè riceve le tavole della legge
Un rabbino di Praga, nel sec. XVI, riflettendo sul “giusto mezzo”, giunse ad osservare che
la “medietas” non indica tanto un punto mediano tra due opposti, ma il luogo in cui i due
opposti si incontrano. Così, nella scena del Sinai, quando Dio consegna i comandamenti a
Mosè, esiste uno spazio intermedio tra di loro. Le mani di Dio reggono l’estremità
superiore delle tavole della Legge, le mani di Mosè quella inferiore. Il Creatore e la
creatura sono così incommensurabili per energia che un loro contatto diretto sarebbe
mortale per l’uomo. Tra di loro resta un piccolo spazio, che separa le loro mani e al tempo
stesso le mette in comunicazione: è lo spazio della Legge, lo spazio dell’etica.
É un’immagine di chiara impostazione ebraica, ma di grande potenza evocativa per tutti.
Ci conferma in questa convinzione: resta pienamente vero il primato di Dio e della sua
iniziativa; il primato della fede sulla morale, del dono di Dio sulla nostra risposta. Come
dice l’apostolo Paolo, siamo giustificati non per le opere della legge ma per la fede in
Cristo. Ci salviamo non perché siamo buoni noi, ma perché è buono Lui. E tuttavia, non
ogni comportamento nostro rende possibile l’incontro con Dio, favorisce e fa crescere la
fede. Il cammino della fede e della salvezza passa anche attraverso l’impegno per una vita
santa.
6
Capitolo secondo
2. DIO
I
E I SUOI DIRITTI:
PRIMI TRE COMANDAMENTI
Premesse
2.1
•
Un testo di un midrash che commenta Dt 29,13-14 “[13]Non soltanto con voi io
stabilisco questa alleanza e …, [14]ma con chi oggi sta qui con noi davanti al
Signore, nostro Di,o e con chi non è oggi qui con noi.” dice:<<Tutti quelli che
nasceranno, fino all’ultima generazione, erano presenti sul mote Sinai>>. Ecco
allora che ogni generazione è chiamata ad appropriarsi di questo annuncio.
•
Titolo giornalistico, da “contestare”.
Si presentano i diritti di Dio, ma anche quelli dell’uomo!
I comandamenti sono ‘Dieci parole’ per essere gioiosamente e responsabilmente
umani. Occorre uscire da una contrapposizione che non è biblica: o Dio o l’uomo.
I Dieci comandamenti sono dunque un cammino di umanizzazione; ci sono dati
perché l’uomo diventi più umano, per l’umanizzazione del mondo e dell’uomo.
Perciò il Nuovo Testamento chiama i dieci comandamenti "Parole di vita" (Atti
7,38). Il Decalogo è ‘grazia’, è ‘Vangelo’ cioè bella notizia per l’uomo e non
una ‘gabbia’.
Il primo Comandamento
Rappresenta il portale che immette nel Decalogo, la chiave che ce lo apre. Tutti gli altri
comandamenti dipendono da questo e trovano in esso la loro giustificazione.
[1]Dio allora pronunciò tutte queste parole: [2]“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho
fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: [3]non avrai altri dei di
fronte a me. [4]Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di
ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. [5]Non ti
prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio
geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione,
per coloro che mi odiano, [6]ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per
quelli che mi amano e osservano i miei comandi. (Es 20, 2-6)
“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla
condizione di schiavitù”.
È, in un certo senso, il biglietto di autopresentazione di Dio. Un Dio che si rivela
anzitutto per ciò che fa. Non il Dio in se stesso, ma il Dio in rapporto, in relazione con
l’uomo. È il Dio delle relazioni: dirà spesso “Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe”.
La prima Parola di Dio nei dieci comandamenti è 'Io'. L'uomo deve trattare con questo "io",
non con una legge, ma col Dio vivente.
«Io sono il Signore». Non un Signore, ma il Signore! Con ciò Dio pretende di essere
l'unico Signore. Ogni diritto di pretendere obbedienza appartiene a lui solo. E solo
l'obbedienza a Dio è il fondamento della nostra Libertà.
«Il tuo Dio». Dio parla al suo popolo eletto, alla comunità che lo ascolta nella fede. Per lei
non è un estraneo, un tiranno, né un cieco destino che ci carica di pesi insopportabili, ma è
7
il Signore, che ci ha eletto, creato e amato, che ci conosce e vuol essere accanto a noi, con
noi e per noi.
« Non avrai altri dei di fronte (accanto) a me». L'imperativo negativo che ora segue per
ben dieci volte è solo la spiegazione della precedente testimonianza che Dio dà di se stesso.
In dieci brevi frasi è espresso qui che cosa significa per la nostra vita che Dio è il Signore .
Il contesto acquista la massima chiarezza se davanti ad ognuna di queste proposizioni
introduciamo un «perciò»: «Io sono il Signore, Iddio tuo»... e perciò non...
Dio non ammette altro dio accanto a sé; vuol essere l'unico Dio. È un Dio che pretende
tutto, perché anzitutto Lui dà tutto!
Ciò che noi poniamo accanto a lui è un idolo. L’idolo normalmente non si contrappone a
Dio in maniera clamorosa e sfacciata. Si accontenta di stare accanto a Lui.
L’idolo più insopportabile per Dio ha nome Mammona. Chiariamo: non è il denaro in
quanto tale che va condannato; esso perde la sua rispettabilità quando porta all’ossessione
dell’accumulo, dell’ingordigia, dell’avarizia. Paolo parla apertamente di come idolatria:
“… quella avarizia insaziabile che è idolatria” (Col 3,5). Anche perché, oltre a falsare i
rapporti con Dio, distorce quelli col prossimo, con le cose e anche con se stessi. Mammona
è menzognero: promette pienezza di vita, felicità, ma non mantiene!
Possiamo davvero dire:<<Credo in un solo Dio>>?

2.2
Il secondo comandamento
« [7]Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non
lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano».
Il secondo comandamento ci invita a santificare il nome di Dio. Il secondo comandamento,
veramente, possono violarlo solo coloro che conoscono il nome di Dio. Chi conosce il
nome di Dio e ne abusa, disonora e profana Dio. Non si parla tanto di bestemmia del nome
di Dio, ma del suo abuso.
Di fronte al nome di Dio noi possiamo “santificarlo” (come ci chiede Gesù nel Padre
Nostro) o “profanarlo, bestemmiarlo”. Se le nostre opere contraddicono apertamente la
nostra fede, noi contribuiamo alla “bestemmia” del nome santo di Dio, perché ‘oscuriamo’
chi è veramente Dio. Paolo in Rm 3,24 dice: “Il nome di Dio è bestemmiato per causa
vostra!”
Ci può essere anche un abuso del nome di Dio nel bene. Accade quando noi cristiani
pronunciamo il nome di Dio così spesso, così È abuso parlare di Dio come se lo avessimo
sempre a nostra disposizione Con ciò noi lo profaniamo più di quanto potrebbero fare tutti
i bestemmiatori.

2.3
Il terzo comandamento
« [8]Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: [9]sei giorni faticherai e farai ogni
tuo lavoro; [10]ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai
alcun lavoro…».
Dio comanda il riposo e il giorno di festa. È difficile per noi comprendere che questa
comandamento occupa un posto di pari dignità accanto al divieto di adorare idoli o anche
a quello di non uccidere.
Il decalogo non contiene nessun ordine di lavorare, ma quello di riposare dal lavoro sì! È
proprio il contrario di quanto siamo soliti pensare. Ma Dio sa che l’opera che l’uomo
8
compie acquista un tale potere su di lui, che egli non riesce più a liberarsene, e si aspetta
ogni cosa dalla propria opera, e così dimentica Dio.
Non è il lavoro a mantenere l'uomo, ma solo Dio; non del suo lavoro può vivere l’uomo,
ma solo di Dio. «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il
Signore non custodisce la città, invano veglia il custode. Invano vi alzate di buon
mattino,tardi andate a riposare e mangiate pane di sudore: il Signore ne darà ai suoi
amici nel sonno». (Salmo 127) Così la Bibbia parla contro tutti quelli che del lavoro fanno
la loro religione, il loro idolo. Perché questo disumanizza l’uomo, non c’è più posto per
Dio, ma nemmeno per gli altri e per se stessi. Gesù dirà:<<Il sabato è stato fatto per
l’uomo>>. (Mc 2, 27).
C’è stato un passaggio dal sabato ebraico alla Domenica cristiana. Per i primi cristiani si
aveva praticamente un doppio regime: il riposo il sabato, il culto la Domenica. Quando poi
il cristianesimo diventa religione ufficiale, la Domenica ha assorbito anche il giorno del
riposo ed è diventato giorno di culto e di riposo.
La novità del giorno festivo cristiano è che al riposo di Dio nella creazione si è posto come
centrale Gesù e la sua risurrezione avvenuta “il primo giorno dopo il sabato”.
La Domenica è giorno del Signore o giorno dell’uomo? Tutte e due le cose insieme La
Domenica è il giorno che riconcilia l’uomo con l’umano e il divino.
Ecco gli elementi costitutivi della Domenica:
L’Eucarestia: essa costituisce il nucleo, il centro del giorno del Signore, perché noi
cristiani ci raduniamo per celebrare la risurrezione di Gesù, la comunione con Lui e far
memoria della sua venuta. È appunto l’Eucarestia! Domenica ed Eucarestia si implicano e
si appartengono reciprocamente. L’Eucarestia ha il suo posto preciso nella Domenica e la
Domenica trae il suo senso dall’Eucarestia. La Messa è essenziale, ma non basta; infatti è
tutta la Domenica che va santificata.
Assemblea, comunità: la Domenica è il giorno dell’Assemblea in cui i cristiani
“convengono”, si radunano insieme e si riconoscono Chiesa, realizzando una comunione
visibile tra loro. Quindi la domenica è giorno del Signore, dell’uomo, ma anche giorno
della Chiesa.
Riposo: il suo senso non è solo nel liberarci dalla stanchezza e dalle tossine della fatica,
ma è quello dio recuperare il significato e l’orientamento del nostro vivere quotidiano, che
l’urgenza del fare finisce per oscurare o stravolgere. La Domenica deve servire a dare
splendore ai giorni feriali!
Condivisione: la Domenica è anche il giorno della solidarietà e carità fraterna. È chiaro fin
dall’inizio del cristianesimo (cfr. Apologia di Giustino). Giovanni Crisostomo invitava a
“onorare il giorno del Signore soccorrendo con generosa abbondanza i fratelli più
poveri”.
9
Capitolo terzo
3. NOI E L’ALTRO:
NON RUBARE, NON UCCIDERE,
NON DESIDERARE LA ROBA D’ALTRI
Testi di riferimento base: Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC)
Premesse:
1.
2.
3.
La presente riflessione presuppone ovviamente le due precedenti, soprattutto i
fondamentali biblici delle “10 parole” e così pure gli agganci alla legge naturale
(diritto delle genti, diritto dell’uomo).
Ricordiamo appena la profonda connessione dei comandamenti con l’amore vero ed
autentico (non ridotto a sentimentalismo illusorio) sia verso Dio che l’uomo, sia noi
stessi che il prossimo.
A noi toccano i comandamenti 7°, 5° e 10° (ci permettiamo però di far precedere il 5°
non solo per ragioni di elencazione tradizionale).
5° Comandamento: NON UCCIDERE
1.
2.
3.
Dopo i primi tre che riguardano direttamente il nostro rapporto con Dio (e senza
forzature possiamo pure unirvi il 4° poiché la paternità umana non è che
un’estensione sia pure limitata di quella divina), è certo che il 5° per quanto spetta i
rapporti con il prossimo non può che avere la precedenza assoluta, perché tocca il
bene umano supremo: la vita stessa (CCC nn 2258 ss).
Gli aspetti positivi:
il rispetto della vita umana singola e comunitaria (CCC 2259 ss)
l’impegno del cristiano e della Chiesa ieri ed oggi (CCC 2284 ss)
in particolare: il problema della pace (CCC 2302 ss).
Gli aspetti negativi: i peccati contro il 5° com;
l’omicidio volontario, l’aborto, l’eutanasia, il suicidio, altri attentati alla vita (CCC
2268 ss)
problemi scottanti: legittima difesa personale e collettiva - pena di morte e guerra
(CCC 2263 ss).
7° e 10° Comandamento: NON RUBARE E NON DESIDERARE LA ROBA D’ALTRI
(NB: li trattiamo insieme perché strettamente uniti)
1- “La dove è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21)
- La radice profonda e del bene e del male è nel desiderio inteso non solo come istinto
ma come tensione cosciente verso le realtà increata (Dio) e quelle create; precede
perciò, sempre in bene e in male, le azioni stesse (cfr la bella riflessione del CCC nn
2534/ 2550);
- In particolare: il 10° Com. impegna l’uomo alla ricerca di Dio e di conseguenza alla
“povertà di cuore” rispetto ai beni che possono di fatto sostituire Dio stesso (vere e
proprie forme di idolatria!);
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- Condanna l’avidità, la cupidigia dei beni materiali, l’invidia dei beni altrui (CCC
2535 ss);
2- 7° Comandamento: NON RUBARE
- si tratta di un campo immenso di questioni gravi, complesse, soprattutto in continua
evoluzione, impossibili ad essere affrontate in breve tempo;
- ottima sintesi della problematica nei nn 2401 e 2407 CCC.
- In generale:
• occorre compiere una decisiva svolta nella riflessione da un’etica
individualistica ad una comunitaria sociale (GS 30/31); perciò da una pur giusta
difesa dei beni a quella primaria delle persone;
• da una posizione quasi unicamente impostata sulla difesa dello “status quo” ad
una azione volta a realizzare un’effettiva destinazione universale dei beni (GS
69 e CCC 2402 ss)
-
In particolare:
•
la vera motivazione per il rispetto dei legittimi beni altrui deriva dall’esigenza
del rispetto delle persone stesse;
•
i modi concreti positivi per vivere il 7° com, sono atti delle virtù della
temperanza (vedi 10° com), della giustizia, della solidarietà e della carità
(attenti però al monito di AA 8);
•
le violazioni (peccati) del com in questione sono innumerevoli e sempre più
sofisticate (vedi CCC 2408 ss); importante notare: la riparazione delle
violazioni comporta la restituzione dei beni o valori sottratti ingiustamente;
-
Nuovi problemi e nuovi impegni per il cristiano e la Chiesa stessa:
•
rispetto dell’integrità del creato (CCC 2415 e C in V nn 48 ss)
•
conoscenza ed attuazione della ricchissima dottrina sociale della Chiesa,
veramente all’avanguardia nello studio dei problemi con sapienti indicazioni
pratiche, ahimè, poco seguite dai cristiani stessi;
•
apertura decisa alla realtà mondiale sempre più globalizzata;
(tutti punti sviluppati bene dal CCC 2426/2442)
In conclusione:
-
-
è importante tenere sempre presente e ferma la convinzione che i comandamenti,
specie quelli riguardanti i fratelli, espressi al negativo, perciò minimali (non fare il
male però è la prima forma di bene!) per i cristiani vanno completati con le
beatitudini (Mt.5,3-12) e con il serio ammonimento di Gesù (Mt 25,31-46) “avevo
fame, avevo sete …..”, quindi l’amore fattivo per i poveri, i deboli, gli ultimi (le
famose 7 opere di misericordia) è decisivo non solo per una corretta ed efficace
testimonianza di fede ma per la stessa salvezza eterna;
questo generoso impegno però comporta una vera ascesi di vita personale e
comunitaria specie per noi dei paese dell’opulenza; esigenza oggi spesso resa come
“nuovi stili di vita” che in sostanza non è altro che l’esercizio della vecchia virtù
della temperanza umana e cristiana.
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Capitolo quarto
4. NON COMMETTERE ADULTERIO
E NON DESIDERARE LA DONNA D’ALTRI
4.1 I Comandamenti della Chiesa
Partiamo leggendo cosa il Catechismo della Chiesa Cattolica dice al riguardo dei due
Comandamenti che riguardano il “rapporto con l’altro”.
Il sesto:
«Non commettere adulterio» reso con «Non commettere atti impuri»
Il nono:
«Non desiderare la donna d’altri»
Sono i comandamenti che regolano ed integrano il giusto rapporto della sfera sessuale con
la propria persona e con il prossimo, e ci invitano a coltivare l'importante virtù della castità
fortificandola nella quotidiana lotta per l'acquisizione del dominio di sé.
In forma positiva, il sesto comandamento potrebbe leggersi così:
"Sarete fedeli l'uno all'altra nel vostro matrimonio, come Io, Yahvè vostro Dio, amo
Israele e gli rimango fedele."
La Tradizione della Chiesa ha considerato il sesto comandamento come l'insieme della
sessualità umana. Leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica:
2392 « L'amore è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano ».
2393 Creando l'essere umano uomo e donna, Dio dona all'uno e all'altra, in modo uguale,
la dignità personale. Spetta a ciascuno, uomo e donna, riconoscere e accettare la propria
identità sessuale.
2397 L'alleanza liberamente contratta dagli sposi implica un amore fedele. Essa impone
loro l'obbligo di conservare l'indissolubilità del loro Matrimonio.
2398 La fecondità è un bene, un dono, un fine del matrimonio. Donando la vita, gli sposi
partecipano della paternità di Dio.
2399 La regolazione delle nascite rappresenta uno degli aspetti della paternità e della
maternità responsabili. La legittimità delle intenzioni degli sposi non giustifica il ricorso a
mezzi moralmente inaccettabili (per esempio, la sterilizzazione diretta o la
contraccezione).
2400 L'adulterio e il divorzio, la poligamia e la libera unione costituiscono gravi offese
alla dignità del matrimonio.
4.2 Mentalità e luoghi comuni su Amore e Sessualità
Per affrontare il discorso della sessualità partiamo dalle mentalità e dai luoghi comuni che
circolano attorno a noi. Quando se ne parla, in genere, si dice “far” l’amore o “fare del sesso” e
spesso si usano termini volgari. Sono mentalità che possiamo riassumere con una frase:
la sessualità è un’attività che procura piacere, punto e basta.
Un altro dei luoghi comuni più diffuso attribuisce alla Chiesa una granitica opposizione al
piacere e la generica equazione sesso è uguale a peccato. Sovente, purtroppo, si sente dire
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che per la Chiesa la carne e i suoi istinti sono soltanto impuri, capaci di sottomettere lo
spirito e allontanarlo dalla salvezza, e che dunque vanno sempre e coerentemente repressi.
4.3 L'amore e la sessualità umana
«La sessualità è una componente fondamentale della personalità, un suo modo di essere, di
manifestarsi, di comunicare con gli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l'amore umano».
Questa capacità di amore come dono di sé ha, pertanto, una sua «incarnazione» nel carattere
sponsale del corpo, in cui si iscrive la mascolinità e la femminilità della persona.
«Il corpo umano, con il suo sesso, e la sua mascolinità e femminilità, visto nel mistero
stesso della creazione, è non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione, come in tutto
l'ordine naturale, ma racchiude fin "dal principio" l'attributo "sponsale", cioè la capacità di
esprimere l'amore: quell'amore appunto nel quale l'uomo-persona diventa dono e mediante questo dono -attua il senso stesso del suo essere ed esistere ».
La sessualità umana è, quindi, un Bene: parte da quel dono creato che Dio vide essere
«molto buono » quando creò la persona umana a sua immagine e somiglianza, e «uomo e
donna li creò» (Gn 1,27).
La sessualità è la forma di comunicazione più profonda e completa, per un uomo e una
donna che si vogliono bene. Non è tanto un fare qualcosa per provarci gusto,
egoisticamente, ma il modo più autentico per dirsi: “ti amo”, “sono coinvolto con te”,
anima e corpo. È attraverso la relazione sessuale che gli sposi:
- comunicano fra loro nel modo più autentico e profondo
- rinnovano il “dono di se stessi”
- costruiscono la propria unione.
4.4 Due in una carne sola
La sessualità è al centro della relazione degli sposi. È Dio che ha voluto le cose così e le ha
volute per rendere salda la nostra unione. La sessualità è anche un’attività che procura
piacere, ma quanti guai, quando questo diventa lo scopo. Lo scopo della relazione sessuale,
invece, è “amarti”, essere in comunione con te, anima e corpo. Questo, oltre al piacere,
conduce alla vera gioia.
Al tempo di Gesù c’era il divorzio e per ottenerlo bastavano dei motivi anche molto banali.
I farisei per metterlo alla prova chiesero un giorno a Gesù: “È lecito ad un uomo
ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?”. Ed egli rispose: “Non avete letto che
il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il
padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non
sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”
(Matteo 19, 3-6).
L’amore sponsale è un amore così forte che supera anche il legame sacro con i nostri
genitori e ci porta a vivere un coinvolgimento tanto forte, da essere indicato come:
diventare “una sola carne”. Una comunione di vita che non ha nulla a che fare con una
“dipendenza appiccicosa”, di uno nei confronti dell’altro, perché rimaniamo sempre “due”
persone distinte, con la nostra personalità, con le nostre idee. Due persone, però, che si
amano e si accettano pienamente e costruiscono ogni giorno la propria comunione, fino a
formare letteralmente “una carne sola”. L’amore degli sposi ha delle caratteristiche
proprie, molto diverse dall’amore che si ha verso i genitori o verso i figli o verso gli amici.
È infatti un amore esclusivo e permanente.
“Esclusivo” vuol dire “con te e solo con te”.
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“Permanente” vuol dire “per tutta la vita” (“finché la morte non separi”).
Nel giorno delle nozze abbiamo detto: Io accolgo te, come mio sposo/a. Con la grazia di
Cristo prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella
malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita (Nuovo rito del Matrimonio).
4.5 Datori di vita
Abbiamo sottolineato l’importanza della sessualità come forma di comunicazione e di
incontro, insostituibile per gli sposi, nella costruzione del proprio amore. C’è un altro
aspetto, però, altrettanto importante e meraviglioso: la sessualità è per la vita. Attraverso la
nostra relazione sessuale sono venuti i nostri figli e sono letteralmente “il nostro amore
fatto carne”, il nostro amore con un nome, un volto, due occhi, un sorriso ...
Spetta a noi decidere, in modo responsabile, i tempi e i momenti in cui vorrete essere
“strumenti di vita” con il vostro stesso corpo, con la vostra sessualità. Ma “responsabilità”
vuol dire anche generosità e in questo mondo occidentale, a crescita zero, ce n’è tanto
bisogno. Che la nostra sessualità sia aperta alla vita, in modo generoso, ne abbiamo però
bisogno prima di tutto noi. Se non ci apriamo alla vita, anche i nostri cuori diventeranno
aridi e il nostro amore si spegnerà.
Ogni amore è autentico solo se è fecondo, ossia solo se dona vita. Questo vale anche per un
prete o una suora o per chi semplicemente non è sposato. Tutti dobbiamo chiederci se, con
il nostro amore, stiamo diffondendo vita e speranza attorno a noi. In modo particolare deve
chiederselo ogni coppia, in quanto coppia.
4.6 Mantenere la nostra relazione al primo posto
Come fare per rimanere immagine di Dio? Dio che è relazione? Essere aperti e rivolti l’uno
verso l’altro ogni giorno? Come mantenere la relazione al primo posto, questa presenza
reciproca che ci unisce al nostro sogno e che è sorgente di gioia?
Dialogare è la prima via! Abbiamo imparato a dialogare non solo per informarci
(telegiornale) ma per parlare di noi stessi, per prendere coscienza di ciò che viviamo
attraverso i sentimenti che proviamo, per conoscermi e farmi conoscere. Questo ci porta ad
essere più intimi e responsabili e mettere la relazione al centro della nostra vita è un modo
concreto per sperimentare la gioia di sentirci amati, accettati e ascoltati. Il dialogo ci
prepara la strada per costruire l’amore.
Fare l’amore – costruire l’amore è la seconda via! Ciascuno di noi, uomo o donna, è un
essere sessuato ed è per questo che è importante avere uno sguardo sulla sessualità che vada
molto più in là del rapporto sessuale. Un modo di valutare la nostra relazione sessuale è di
guardare come viviamo da sposo e sposa certi atteggiamenti, certe qualità come la dolcezza,
la tenerezza, la sicurezza, la volontà di ascoltare, l’apertura, l’affermazione di sé, ecc...
Ci sono alcuni atteggiamenti interiori ed esteriori che facilitano il cammino di una moglie
nella comunicazione sessuale con il suo sposo:
1. La dolcezza, la gentilezza.
È il modo in cui una sposa si esprime verbalmente, in cui si fa conoscere da suo mari-to,
come dice le cose, il suo tono di voce più affettuoso.
2. La tenerezza.
È l’atteggiamento fisico di dolcezza e amore. È la sua espressione fisica di accettazione, di
sensibilità e di intuito. È la maniera fisica in cui lei si rivolge verso il suo sposo
3. Le premure, l’attenzione.
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È essere sensibile ed attenta verso il suo sposo, prima di ogni altra persona e prima di ogni
altra cosa. Non è il "tenerlo d’occhio" o cercare di controllarlo. Ma è essere concentrata su
di lui come persona, essere interessata a lui, in ciò che lui sente, nei suoi bisogni in un
momento particolare, poco importa la presenza di qualcun altro.
Ci sono alcuni atteggiamenti interiori ed esteriori che specificamente aiutano il marito a
comunicare sessualmente con la moglie sono:
1. La presenza anche fisica
Una presenza che vuol dire che un marito è disponibile alla sua sposa con tutto il suo
spirito e il suo cuore, per sostenerla, incoraggiarla o anche solamente per essere lì. La sua
mente non è altrove. È una presenza totale che garantisce la comunicazione e l’intimità.
2. L’ascolto
È l’atteggiamento di apertura che permette a sua moglie di entrare nel suo cuore, pro-prio
così come lei è in quel momento. Attraverso l’ascolto un marito può valorizzare sua moglie
e darle vita.
3. La responsabilità
Non è semplicemente essere responsabile in casa, essere un buon padre o far fare una bella
esperienza sessuale. Piuttosto è assumere la responsabilità della qualità della propria
relazione coniugale anche nel quotidiano
Pregare personalmente e in coppia è la terza via. Pregare insieme significa molto più
che semplicemente inginocchiarsi fianco a fianco. È rendersi presenti l’uno all’altro come
coppia, in comunione uno con l’altro, e insieme in unione con Dio; il "mio" Dio diventa il
"nostro" Dio. Pregare è comunicare con Dio, ascoltarlo e risponderGli come coppia. Ogni
qualvolta che noi portiamo alla presenza di Dio le cose di ogni giorno e condividiamo la
nostra vita, stiamo pregando.
4.7 Camminare con altri
Per terminare vi diciamo che “Nessuno può camminare da solo”. È importante essere in
cammino con altre persone che vivono gli stessi valori. Le persone sono esseri sociali e
come tali sono influenzate dalle relazioni che formano con gli altri.
Preghiera della tenerezza (di Michel Quoist)
Signore, ti supplichiamo,
insegnaci ad amare con questo corpo ribelle,
corpo creato per dire la nostra tenerezza
e per fare l'amore,
ma che spesso, ahimè,
troppo pesante, troppo avido,
cerca di nutrirsi più di quanto non voglia offrire,
e, più che la nostra anima,
rivela la nostra fame...
Apri i nostri animi al Tuo Amore infinito,
e riunisci i nostri corpi e i nostri cuori
così spesso separati.
Allora, ricchi di noi stessi e arricchiti da Te
ci riuniremo agli altri,
e con i nostri gesti di tenerezza
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diremo loro qualcosa
del Tuo Amore fatto Carne
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