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ORIGINALE
VERBALE DI DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE
Oggetto:
CELEBRAZIONE DEL CENTENARIO DELLA NASCITA DI ENNIO
FLAIANO- SEDUTA DI CONSIGLIO COMUNALE DEL 5 MARZO
2010
Seduta del 05-03-10
Deliberazione N.
42
L'anno duemiladieci il giorno cinque del mese di marzo alle ore 16,25, previa
convocazione e con l’osservanza delle formalità di legge, si è riunito, nella consueta sala del
Palazzo Municipale, il Consiglio Comunale, in sessione Straordinaria in seduta Pubblica sotto
la presidenza di DI BIASE LICIO con l’assistenza del Segretario Generale Dott. FOGLIA
PASQUALE, coadiuvato dal Prof. ADDARIO LUIGI - verbalizzante,
Risultano presenti ed assenti il Sindaco e i Consiglieri come da elenco che segue:
Avv. ALBORE MASCIA LUIGI
ALESSANDRINI MARCO
SOSPIRI LORENZO
CHIAVAROLI FEDERICA
FOSCHI ARMANDO
BERGHELLA VINCENZO
D'INCECCO VINCENZO
RANIERI RENATO
LERRI DOMENICO
SALVATI ANDREA
MARINUCCI LIVIO
CAROLI ADELE
PASTORE MASSIMO
DI LUZIO AUGUSTO
ARCIERI MASTROMATTEI
DANIELA
SABATINI ANTONIO
BLASIOLI ANTONIO
BALDUCCI ALBERTO
D'ANGELO CAMILLO
DIODATI GIULIANO
MARCHEGIANI PAOLA
Consiglieri presenti n. 31
P
P
P
A
P
A
P
P
A
P
P
A
P
P
P
FUSILLI GIANLUCA
DEL VECCHIO ENZO
DI PIETRANTONIO MORENO
CORNELI FLORIO
MASCI CARLO
SANTILLI GIOVANNI
VOLPE AMEDEO
DI PINO SALVATORE
BRUNO GIUSEPPE
MAMBELLA MARCO
DI MARCO MICHELE
SULPIZIO ADELCHI
DI NISIO FAUSTO
DI BIASE LICIO
DOGALI VINCENZO
A
P
P
P
P
P
P
A
P
A
P
P
A
P
P
P
P
P
P
P
P
PIGNOLI MASSIMILIANO
DI NOI VINCENZO
DI IACOVO GIOVANNI
DE CAMILLIS ROBERTO
ACERBO MAURIZIO
A
P
P
P
A
Consiglieri assenti n. 10.
Sono inoltre presenti
V. SINDACO FIORILLI
ASSESSORI: SELLER, D'ERCOLE, FILIPPELLO, RENZETTI, DEL
TRECCO, ANTONELLI, SECCIA, RICOTTA
Il Presidente accerta che i Consiglieri presenti sono in numero sufficiente per deliberare.
Sono presenti gli scrutatori Sigg.:
Il Presidente apre la seduta di Consiglio Comunale ricordando la figura di Ennio Flaiano come
riportato nell’allegato documento redatto dalla ditta incaricata.
Il Presidente alle ore 16.38 sospende i lavori del Consiglio Comunale per una manifestazione di
precari della Sanità in aula.
Il Presidente, alle ore 16.49, invita il Segretario Generale a procedere all’appello, sono presenti
il Sindaco Albore Mascia, il Presidente Di Biase e n 28 Consiglieri ( Alessandrini, Foschi,
D’Incecco, Ranieri, Salvati, Marinucci, Caroli, Di Luzio, Arcieri Mastromattei, Sabatini, Blasioli,
Balducci, D’Angelo, Diodati, Marchegiani, Del Vecchio, Di Pietrantonio, Corneli, Santilli, Bruno,
Di Marco, Sulpizio, Di Nisio, Pignoli, Di Noi, Di Iacovo, De Camillis, Acerbo).
Uditi gli interventi del Cons. Di Luzio, della Cons. Marchegiani, del Sindaco Albore Macsie e del
Dott. Vaime come riportato nell’allegato documento redatto dalla ditta incaricata, il Presidente
chiude la seduta del consiglio Comunale alle ore 17.30 e invita il Sindaco a procedere alla
consegna delle chiavi della città al Dott. Russo Giovanni.
Licio Di Biase, Presidente del Consiglio Comunale
Consiglieri in aula.
Segretario proceda all’appello.
Sono presenti 31 Consiglieri, la seduta è valida.
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Punto n. 1 all’ordine del giorno:
“Celebrazione del centenario della nascita di Ennio Flaiano.”
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Licio Di Biase, Presidente del Consiglio Comunale
È un momento importante per la nostra città, è un momento di grande importanza, tutta
la città è coinvolta.
Signor Sindaco, signori Consiglieri, Assessori, il Consiglio Comunale di Pescara
celebra oggi il centenario della nascita di Ennio Flaiano, uno dei figli più illustri della
nostra città.
Ed è con vero piacere che celebriamo questo ricordo alla richiesta di Enrico Vaime,
che di Flaiano fu amico e collaboratore.
Cinque marzo 1910, così dicono le cronache, nasceva Ennio Flaiano, nasceva in una
Pescara che era alla ricerca di una sua nuova identità, dopo l’abbattimento di quella
piazzaforte che per tre secoli l’aveva costretta all’interno delle mura, con la costante
presenza di militari che ne condizionò la vita e le abitudini.
L’abbattimento delle ultime vestigia della cinquecentesca Piazzaforte era avvenuta a
fine ‘800 e la città, a quel tempo, divenne tutta di un frenetico movimento.
Sino ad allora Pescara era stata articolata in solo tre strade, con le loro traverse, la
città dentro le mura era un lembo di terra con poco più di mille abitanti.
Ma in quegli anni le cose stavano cambiando, e quel 1910 fu un anno magico per
Pescara.
Mentre la città sorella ma rivale di Castellammare era in piena espansione nella zona
pianeggiante, Pescara stava definendo la sua nuova fisionomia e i suoi assi di
sviluppo, il dibattito era ricco di contrasti: c’era chi voleva lo sviluppo verso nord nella
prospettiva di un riavvicinamento, anche urbano, a Castellammare, e chi verso sud
verso una nuova area, la pineta, da definire come rione turistico.
In quegli anni prevalse la seconda scelta, e infatti nel 1910, tra luglio ed agosto, la città
di Pescara fu tutta un ribollire di vita, di iniziative, di movimento.
A metà luglio veniva inaugurato il Grand Hotel Pescara, di fronte alla stazione di Porta
Nuova, tra la fine di luglio e i primi di agosto ci fu uno dei più grandi spettacoli di
aviazione d’Europa di quel tempo, con gli aviatori Frey e Barrier.
Il 6 agosto ci fu l’inaugurazione del teatro Vicentino Michetti, con la rappresentazione
del Werther di Massenet.
Ma il momento clou fu la visita del Ministro delle Finanze Francesco Tedesco, il 14 e il
15 agosto, con l’inaugurazione dell’acquedotto, i cui lavori erano iniziati il 14 agosto
dell’anno prima, e poi con il tricolore sul Kursaal, e la posa della prima pietra per i lavori
portuali, ed infine il famoso banchetto nella pineta con oltre cinquecento persone.
E questo tra gare di ogni genere, bande e fuochi d’artificio.
Ecco, questa era la Pescara di quel 1910, tutto un movimento.
La famiglia di Ennio Flaiano era una delle più in vista della città, il padre Cetteo era un
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personaggio della vita sociale e politica di Pescara, tanto che sempre in quel 1910, nel
mese di luglio, nelle elezioni amministrative, pur Consigliere Comunale uscente, fu il
primo dei non eletti, però fece ricorso contro Vicentino Michetti, eletto Consigliere ma
concessionario della proprietà comunale su cui aveva realizzato il teatro, quindi a detta
di Flaiano incompatibile, e lo scontro per questo ricorso fu epico.
Alla fine Cetteo rientrò in Consiglio Comunale.
Ma questa attività politica non lo distoglieva dalle attività della famiglia, una famiglia di
fornai, tanto che D’Annunzio ricorda quel profumo di pane che dal forno Flaiano
inondava Corso Manthonè e tutti i vicoli.
E proprio Gabriele D'Annunzio, in quel marzo del 1910, tra il 21 e il 25 fece una delle
sue ultime apparizioni a Pescara, infatti, dopo il suo trasferimento a Firenze del 1898
tornò per un giorno, nel 1904 in occasione della prima de “La figlia di Iorio” a Chieti,
tornò in quel marzo del 1910, e poi tornerà nel 1915 e nel 1917 per la morte della
madre.
Ecco, questo era il mondo della Pescara di quel tempo, era una Pescara, ed anche
una Castellammare, in cui c’era passione civile, in cui c’era la voglia di crescere, di
aggredire il nuovo secolo.
E mentre in quel 5 marzo Ennio Flaiano veniva alla luce, nello stesso giorno cinque
Consiglieri Comunali di minoranza di Castellammare si dimettevano in contrasto con la
maggioranza che aveva approvato un progetto per l’impianto dell’acquedotto e che loro
contrastavano.
Problemi da microcosmo, ma questo era il nostro mondo di quel tempo, “un mondo –
come scrisse Flaiano – così lontano e pulito che mi sembra di un altro mondo”.
Grazie.
Bene, io darei la parola al Consigliere Di Luzio, però prima, abbiamo fatto adesso la
nostra manifestazione, vedo anche uno striscione flaianeo “la situazione è grave ma
non è seria”, io direi che la situazione è grave ed è seria, la situazione è grave ed è
seria.
Voi sapete che questo Consiglio Comunale può fare nulla, se non quello di, come dire,
unirsi alla vostra voce, ed è quello che potremmo fare nelle prossime sedute.
Diamo la parola adesso al Consigliere Di Luzio, adesso avete dimostrato, bisogna
togliere queste cose, siamo in un Consiglio Comunale che non ha nulla a che fare con
il problema.
Scusate un attimo, io vorrei fare una proposta, noi andiamo avanti con questo
Consiglio, al termine del Consiglio i Capigruppo…
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Scusate, dobbiamo intanto sospendere il Consiglio, perché il Consiglio va sospeso,
purchè aperto non sono previsti altri tipi di intervento.
Sospendiamo il Consiglio per cinque minuti e poi riprendiamo.
Prego.
Sospensione
Licio Di Biase, Presidente del Consiglio Comunale
Adesso rifacciamo l’appello e riprendiamo i nostri lavori.
Sono presenti 30 Consiglieri, la seduta è valida, la parola al Consigliere Di Luzio.
Augusto Di Luzio, Consigliere Comunale
Grazie Presidente.
È certo, certissimo, anzi probabile che, se nel corso di questi ultimi decenni non
fossero esistiti nella nostra città gli studi, la conoscenza, la passione e soprattutto le
attività riguardanti l’affascinante e poliedrica figura di Ennio Flaiano, così virtuosamente
profusi dal dottor Edoardo Tiboni, i pescaresi oggi non sarebbero tanto intensamente
orgogliosi di questo loro illustre concittadino.
I Premi Flaiano hanno rappresentato e rappresentano l’unico fiore culturale all’occhiello
di livello internazionale della nostra città.
Un doveroso ringraziamento e grande riconoscenza si devono per questo al dottor
Tiboni.
Apprestarsi a celebrare ed onorare, in occasione del centesimo anniversario della
nascita, una figura così straordinaria e poliedrica, coprendo, seppur a volo d’uccello,
tutto l’arco della sua vita e delle esperienze artistiche vissute e fatte vivere da Ennio
Flaiano, mi spinge a chiedere scusa per l’incompletezza del mio intervento,
condizionata dalla ristrettezza del tempo a disposizione.
Dunque Pescara oggi, con una serie di manifestazioni, onora un figlio prestigioso ed
eclettico, nato nel cuore del vecchio centro storico, a pochi passi dalla casa natale di
Gabriele D'Annunzio.
Pescara è stata per Flaiano il luogo dell’infanzia, prima che la capitale lo rapisse in un
legame di amore e odio, e gli sottraesse sogni ed innocenza.
Pescara è stata il luogo dei conflitti familiari, segnati da un padre insieme magnifico e
meschino, da una madre fragile, da fratelli poco solidali, incomprensioni queste che
determinarono la sua singolare convinzione di essere stato un bambino cattivo, lui che
sarà invece un uomo profondamente buono.
Sebbene per un breve periodo Pescara rappresenta il ricordo delle dolci estati, del
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mare, degli amici.
In essa, da adulto, avrà paura di tornare per non trovarla cambiata, ridotta, come dirà
con amarezza, ad un enorme parcheggio.
Dalla sua terra, tuttavia, egli trae aspetti del carattere rude e satirico, e quelle parole di
suo conio, come “vitelloni, paparazzo”, marcate da una spiccata ed inequivocabile
abruzzesità.
Pescara ed i pescaresi sono stati per Flaiano terreno di osservazione su cui ha
esercitato un lucido, graffiante, caustico spirito critico.
Tuttavia la sua eticità e l’impegno civile lo portarono, negli ultimi anni della sua vita, a
promuovere iniziative culturali proprio nella sua città natale, fu, infatti, il primo
Presidente della Società del Teatro e della Musica.
Letteratura, cinema, teatro, giornalismo e televisione furono le passioni di Flaiano, ed i
generi in cui si espresse, come sceneggiatore lavorò con i più significativi mostri sacri
del cinema italiano, Fellini, Blasetti, Monicelli, Antonioni, Montaldo, e tanti altri.
È stato soggettista e sceneggiatore di una settantina di film.
Fu poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale che Flaiano mostrò il proprio
interesse per l’arte cinematografica, ma solo nei primi anni del dopoguerra, con “Roma
città Libera”, diretta da Marcello Pagliero, lasciò trasparire i caratteri fantastici e
grotteschi della sua fantasia, portata alla trasfigurazione satirica della realtà, e proprio
per questo trovò nel riminese Federico Fellini la persona con cui esprimersi al meglio.
Fu infatti sceneggiatore di tutti o quasi i suoi film, da “Luci del varietà” del 1951 a
“Giulietta degli spiriti” 1965, sodalizio perfetto tra i due, Fellini seppe perfettamente
interpretare, attraverso le immagini filmiche, le invenzioni baroccheggianti dello
sceneggiatore, sospese tra mistificazione della realtà e cattivo gusto, senza però mai
sconfinarvi, come appare evidente nelle tentazioni del dottor Antonio, episodio del
“Boccaccio ‘70”.
Ma fu con “La dolce vita”, 1960, e “Otto e mezzo”, 1963, che il sodalizio Fellini –
Flaiano raggiunse i livelli artistici più alti e l’apice del successo e della fama.
Stabilire in senso complessivo quanto, con il cinema, il teatro, la letteratura, il
giornalismo, la televisione, la personalità di Flaiano abbia influito sulla cultura italiana
della seconda metà del Novecento è impresa difficile, soprattutto per la natura
multiforme e complessa, quando non sfuggente, della sua personalità.
Flaiano infatti rappresenta il prototipo dell’intellettuale poliedrico, ma anche
inafferrabile, a volte si tende più a considerare il personaggio che lo scrittore o lo
sceneggiatore o il critico, più l’essere coscienza critica che le sue creazioni letterarie e
non, i suoi aforismi sono più noti e popolari delle sue opere.
Tutto ciò anche perché, dopo lo straordinario avvio di romanziere con “Tempo di
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uccidere”, preferì rinunciare alla pura narrazione, per il juornal, l’epigramma e le
sceneggiature.
Nella sua vita infatti ha essenzialmente sentito il bisogno di testimoniare il disagio
esistenziale della sua epoca, con affermazioni acute, sofferte, sincere, vere, rese vive
da una gamma pressoché inesauribile di variazioni tanto ironiche quanto mordaci e
beffarde.
Realizza come frutto della propria immaginazione e delle proprie riflessioni una
letteratura fondata sul principio di un arioso umoristico divertimento, e proprio
l’umorismo ha rappresentato la sua via di fuga dalle pastoie della disperazione e del
plumbeo nichilismo.
L’umorismo gli ha fornito altresì anche una provvidenziale fiducia creativa.
Dopo “Tempo di uccidere”, come narratore, egli non produce un’opera organica di
ampio respiro, ma scrive commedie e romanzi brevi, racconti lunghi, atti unici, nei quali
è evidente la tendenza alla parentesi, al commento marginale, al flash, ai non sense,
che manifestano le caratteristiche interiori del suo animo e l’agitarsi dei suoi pensieri e
dei suoi sentimenti.
Queste opere esternano, cioè, una filosofia scettica della vita e della società
contemporanea con i suoi falsi miti, i condizionamenti di massa, la mancanza di
autenticità.
Egli ama sentirsi libero ed imprevedibile, non crede nella forma antica ma non produce
una forma letteraria nuova, l’abbandono della struttura narrativa tradizionale non è
importante sul piano della storia delle tecniche letterarie, ma sul piano morale ed
umano, destrutturando il romanzo Flaiano incrina la realtà, ovvero il suo rapporto di
uomo con la realtà, testimonia cioè la crisi dell’uomo moderno, anche come critico e
giornalista denuncia la crisi dei valori della società contemporanea e la crisi dell’arte ne
rappresenta l’aspetto più evidente e sintomatico.
Egli attraverso lo studio del costume contemporaneo ha identificato ed individuato modi
di essere, contraddizioni, dilemmi dell’animo umano, non per facile moralismo,
piuttosto con piena solidarietà con il destino degli uomini e con sconsolata solitudine.
Egli dunque non si erge a giudice inflessibile delle manchevolezze degli uomini né il
suo pessimismo risulta cupo, bensì esso rappresenta per lui un meccanismo di difesa
contro le ambizioni, gli arrivismi, le falsità e le mode.
Diceva infatti “Essere pessimisti circa le cose del mondo e la vita in generale è un
pleonasmo, ossia anticipare quello che accadrà”.
Modestia, umorismo, sensibilità, spiccato senso critico riguardo a sé e agli altri, rifiuto
della volgarità, sono la cifra e i pregi che gli hanno consentito una partecipazione
profonda anche se discreta alla realtà dei suoi tempi, e a proposito della sua modestia
Atto di Consiglio Comunale n. 42 del 05-03-2010 - Pag. 9 - COMUNE DI PESCARA
diceva: “Non mi sono mai considerato un grande scrittore, né ho un messaggio da
lanciare, i messaggi ognuno se li cerchi da sé. Sono infatti uno scrittore antiquato,
conservatore, e non me ne dolgo, non è coraggio ammetterlo, è amore di verità,
conoscenza di me stesso, o forse anche coraggio, la più grande paura oggi è quella di
aver torto, ebbene io questa paura non ce l’ho.”
Vorrei concludere con l’augurio che sulla strada già tracciata ed aperta, tutte le
Istituzioni, compresa la scuola, rinsaldino la frequentazione di Flaiano la cui
testimonianza contiene in sé i germi di una ragionevole e significativa modernità.
Grazie.
Licio Di Biase, Presidente del Consiglio Comunale
Bene, ringraziamo il Consigliere Di Luzio per l’ottimo e puntuale intervento.
Diamo la parola alla Consigliera Paola Marchegiani.
Paola Marchegiani, Consigliere Comunale
Su Ennio Flaiano è fiorita una letteratura critico – memorialistica di proporzioni
impressionanti.
Frugare, rovistare, scandagliare alla ricerca di un aspetto della sua opera di scrittore, di
sceneggiatore e di critico, o di un lato della sua personalità che non sia già stato fatto è
un’impresa difficile.
È opportuno allora ridefinire la sua libertà intellettuale, il rarissimo profilo di artista
indipendente, non intruppato, inquieto, antiretorico, osservatore distaccato della
società.
Quando fu accusato, avendo approvato tra i primissimi l’avanguardia teatrale di
Carmelo Bene, di essere un intellettuale da caffè, rispose, per nulla turbato a questa
accusa, che questa accusa non lo feriva, perché nasconde, sono sue parole, una certa
verità cronistica.
“Le più belle serate per anni le ho trascorse nei caffè, con persone la cui amicizia era
già un giudizio, Cardarelli, Barilli, Longanesi, mi è rimasto il debole di preferire il caffè
al salotto, al club, alla sezione e all’anticamera, e il piacere di decidere per un po’, dei
miei gusti, anche teatrali.”
In un’Italia storicamente percorsa da fazioni visceralmente armate, da culti per i
personalismi più smisurati, da correnti e da mode presto dimenticate dagli stessi
sostenitori che corrono ad imbrancarsi in altri passaggi effimeri di filosofia e di modelli,
da gente che corre in soccorso del vincitore, come scrisse Bruno Barilli e Flaiano
riconobbe la paternità di quella battuta proverbialmente attribuita a lui, Ennio Flaiano
appare davvero un non italiano.
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Ricordati che sei italiano anche tu, gli gridò una volta il regista Elio Petri, esasperato
dalle sue critiche, un estraneo soprattutto ai tanti difetti italiani, lui, con il suo carattere
spinoso di vero abruzzese, come sottolineava il suo amico Giovannino Russo qui
presente questa sera.
Gli fu chiesto di che nazionalità gli sarebbe piaciuto essere se non fosse stato italiano,
rispose: “Prima di tutto bisognerebbe provare che sono italiano, dunque, non sono
fascista, non sono comunista, non sono democristiano, ecco che mi restano venti
probabilità su cento di essere italiano. Non scrivo e non parlo il mio dialetto, non adoro
la città dove sono nato, preferisco l’incerto al certo, sono per natura dimissionario,
detesto il paternalismo, le dittature e gli oratori.”
E dopo altre notazioni concludeva: “Tuttavia, che io sia italiano, potrebbe essere
innegabile, infatti mi piace dormire, evitare le noie, lavorare poco, ed ho un pessimo
carattere, perlomeno nei miei riguardi. Bene, se non fossi italiano a questo punto non
saprei che farci, probabilmente non sarei niente, e questo dimostra in fondo che sono
proprio italiano.”
Indocile ai conformismi, naturalmente portato alla satira che per lui era guastare la
festa agli altri, avversò l’enfasi e l’altisonanza di alcuni intellettuali, con pessimismo
ironico esaltò le contraddizioni di una borghesia speculativa, clientelare, dipendente e
degradata, con sarcasmo colorato segnalò che l’evo moderno era finito ed era iniziato
il medioevo dello specialista rivolto anche agli imbecilli, malinconicamente affermò che
nella vita nulla è definito e tutto è provvisorio, viviamo in un’epoca di transizione, come
sempre.
In una sera di dicembre, a Leo Longanesi non sfuggì la genialità di Flaiano mentre
raccontava alcune esperienze della guerra in Abissinia.
Mi scrive un romanzo per i primi di marzo? Se comincia subito le do un anticipo, disse,
e nacque quel capolavoro di “Tempo di uccidere”, libero per il quale sono stati fatti i
nomi di Conrad, André Gide.
Flaiano non accettò l’invito di Longanesi a collaborare al “Borghese”, settimanale di
destra da lui fondato e diretto, ma gli rimase grato, e quando Longanesi morì
precocemente gli dedicò un tenero necrologio: “Era il più vivace e tenero di noi, di noi
tutti, non so quanto fasto, quanta polemica ci fosse nella sua attività, ma era buono,
mai personale nei suoi rancori né mafioso, ammirava l’intelligenza degli altri, ha fatto
molto per molti.”
Flaiano non amava la compagnia dei politici che scopriva noiosi e raramente andava a
cena con Mario Pannunzio, il Direttore de “Il Mondo”, dove Flaiano era redattore cupo,
secondo la definizione di Mino Maccari.
Era permaloso, da buon abruzzese, quando nel viaggio della Rizzoli Film per l’Oscar fu
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confinato in classe turistica mentre Fellini e gli altri nella classe di lusso, Flaiano rifiutò
le scuse imbarazzate di Fellini e New York riprese l’aereo per Roma, l’amicizia tra i due
si interruppe: “Ciao Federico, le amicizie frivole finiscono per una frivolezza.”, e
soltanto dopo molti anni riprese un timido corso.
“Vecchia amicizia che ci disunisce”, gli scriveva Fellini.
La sua creatività di artista relegata in secondo piano fu uno dei suoi dolori, in vita,
come l’abbandono della madre, la tragedia della figlia Lelè, ma la sua sofferenza fu
alleviata in parte dalla stima di amici come Nicola Chiaromonte, Mino Maccari, Andrea
Emo e tanti altri.
Al suo amico Giuseppe Rosato, che gli chiese se per il “Marziano a Roma” aveva
pensato ad un abruzzese rispose: “Credo inconsciamente, praticamente io non posso,
è chiaro che non posso rifare me stesso, io sono abruzzese, io sono con tutti i difetti e
le qualità di un abruzzese, tu prima mi parlavi di un marziano a Roma, ma il marziano a
Roma è un abruzzese, perché l’abruzzese è rimasto cristiano, non è diventato mai
cattolico, cioè è rimasto attaccato ad un sentimento della vita molto felice, cristiano.”
Il libretto è prezioso perché riversa il legame che Flaiano ebbe con la sua città, con la
cultura teatrale a Pescara verso cui era molto critico, con i pochi amici, tra cui citato in
una lettera, mio padre, Gino Marchegiani, che a sua volta conservava come una
reliquia una lettera di Flaiano, ma soprattutto Edoardo Tiboni, a proposito del quale va
ricordare che se Flaiano è conosciuto dagli abruzzesi lo si deve al lavoro assiduo,
tenace, intelligente, profondamente partecipe di questo operatore culturale tra i più
meritevoli che l’Abruzzo possa vantare dal ’45 ad oggi.
Grazie alla sua laboriosa fatica di convegni, conferenze, più di quarant’anni della rivista
“Oggi e domani”, ora purtroppo chiusa nel silenzio totale di più per mancanza di fondi,
tutti gli abruzzesi e non solo hanno avuto strumenti di conoscenza di questi figli illustri,
D’Annunzio, Flaiano, Croce, Mattioli.
Oltre al premio internazionale che di Flaiano porta il nome, segno tangibile
dell’operosità di Tiboni è la presenza nella città del Mediamuseum, unico esempio di
museo multimediale nel centro sud dell’Italia.
In questa Istituzione noi pescaresi vediamo e viviamo la continuità dell’opera di
Flaiano.
È amaro constatare che Pescara, a parte Tiboni, non è stata generosa, infatti i suoi
libri, offerti con insistenza dalla vedova Rosetta, sono finiti nella bottega teatrale di
Gassman a Firenze e all’Università di Pavia e alla Biblioteca Cantonale di Lugano.
Oggi si salutano con piacere le iniziative previste per onorare Flaiano, ma constato con
rammarico che non abbiamo evitato di finire nel suo diario degli errori, visto l’eccesso
inutile di due celebrazioni concomitanti, dal momento che l’Associazione Flaiano ha
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conquistato sul campo il suo primato a ricordare l’artista pescarese.
Etichettare Flaiano come scrittore satirico è riduttivo, “se io sono uno scrittore satirico è
perché abito in una società che offre solo quel fianco”, o “la satira è terapeutica perché
mi libera di tutto quello che mi dà fastidio, che mi opprime, che mi offende, che mi
mette a disagio nella società”, come è fuorviante confinarlo nello spazio esiguo del
battutista, non cogliendo al di là dello scettico che non si faceva illusioni sulle illusioni
degli uomini, quel fondo di malinconia canina, come la chiamava, quell’interesse
controllato per la tragedia, quella noia.
“La noia è la verità allo stato puro, le mie preferenze sono la solitudine, lo scrivere e, se
vogliamo, la noia”, che nelle sue pagine si traducevano in leggerezza di stile, in nitore
di concetti, in sorriso amaro.
In una bella intervista a Giulio Villasanta, parlando dell’amore per gli animali, alla
domanda se esista una via di scampo nel trasformarsi in un cane, come nel suo
racconto “Melampo”, dice: “questa via di scampo, come lei la chiama, è realmente
aperta a tutti, ed è chiara l’indicazione che io suggerivo, la via non può essere che
l’amore, ma non l’amore canino, cinico, l’amore assoluto, totale, l’amore che comincia
da sé e va verso gli altri, che comprende gli amici che ci hanno abbandonato, che sono
morti, comprende le persone che abbiamo conosciuto, comprende anche le persone
che non conosciamo.”
Sono parole quasi evangeliche, venate di quella religiosità cristiana che Flaiano
attribuisce agli abruzzesi, “Gente rimasta di confine, con una sola morale, il lavoro”,
come scrive a Pasquale Scarpitti in una lettera che riassume nell’incrocio tra
antropologia e poesia il carattere degli abruzzesi.
Una lettera, quasi un brano penetrante di breviario, che del satiro solitario, mostra
l’altro difetto abruzzese, il più grave, quello del pudore dei propri sentimenti.
Grazie.
Licio Di Biase, Presidente del Consiglio Comunale
Bene, ringraziamo Paola Marchegiani.
Prima di dare la parola al Sindaco e poi al dottor Vaime per le conclusioni, volevo un
attimino sottolineare come si articola il proseguo dei lavori nella nostra città, oggi e
domani.
Dopo il Consiglio Comunale, al termine del Consiglio Comunale, il Sindaco darà le
chiavi della città al dottor Giovanni Russo, successivamente alle 18.00, alla Sala De
Cecco, ci sarà la proiezione di “M’arcord”, una serie di pezzi presi da vari film
sceneggiati da Flaiano con un dibattito, a seguire, alle 21.00 a corso Manthonè sotto e
all’interno della casa di Flaiano, ci sarà un recital di aforismi.
Atto di Consiglio Comunale n. 42 del 05-03-2010 - Pag. 13 - COMUNE DI PESCARA
Domani, tutta la giornata, sarà interessante seguire il dibattito che si farà su Flaiano al
Mediamuseum, domani soprattutto è il momento centrale della manifestazione al
Mediamuseum.
Questi sono gli eventi in queste due giornate, oggi e domani, dedicate alla figura di
Flaiano.
Adesso diamo la parola al Sindaco Luigi Albore Mascia.
Prego Sindaco.
Luigi Albore Mascia, Sindaco di Pescara
Presidente, Consiglieri e Assessori, saluto e ringrazio della loro gradita presenza le
Autorità, gli ospiti, la cittadinanza pescarese intervenuta a questo appuntamento, che
riveste particolare importanza e rilevanza per il consolidamento dell’identità storica e
culturale nella nostra Città.
In questo mio intervento, mi preme far emergere, a beneficio dei miei concittadini,
quegli aspetti della personalità e della figura di Ennio Flaiano che lo ricollegano alla
sua città natale, che ne mettono in risalto la pescaresità, l’orgoglio ed il senso di
appartenenza alla sua terra d’origine.
Una terra dalla quale egli emigrò prestissimo, all’età di cinque anni, ma nella quale
ebbe modo comunque di trascorrere alcuni anni della giovinezza spensierata, quelli
rievocati
ne
“I vitelloni”, prima del distacco, impostogli dalla necessità, comune a tanti abruzzesi,
intellettuali e non, che lo spinse ad avventurarsi nella grande città in cerca di fortuna.
Ripercorrendo la cultura del Novecento, la figura di Ennio Flaiano si staglia come
quella di un intellettuale indipendente, lontano da scelte ideologiche di partito, che,
dietro scritti di satira e di costume politico, densi di un’ironia pessimistica, svela e
rivela le debolezze della società a lui contemporanea.
Il suo estro artistico dà il meglio di sé nelle più svariate ed importanti espressioni
letterarie del suo tempo, ovvero la scrittura, il giornalismo, il teatro, la cinematografia,
ottenendo dei riconoscimenti di rilevanza nazionale e internazionale, collaborando
fattivamente e con successo con i più grandi artisti e uomini di cultura del suo tempo,
come Fellini, Albertazzi, Zeffirelli, Monicelli, Biagi, Soldati, Gassman, Sordi, per citare
soli i nomi più conosciuti.
Nei salotti e nei luoghi culturali romani, Ennio Flaiano porta con sé Pescara, la sua città
natale, spesse volte velata in alcuni racconti sotto le vesti di un'anonima cittadina di
provincia, come un bagaglio di aneddoti e di storie che determinano la sua visione
delle cose e del mondo.
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La sua abruzzesità innata serpeggia sempre nei suoi scritti, soprattutto nelle parole
delle sue sceneggiature più famose, da “I Vitelloni” a “Otto e mezzo”.
La sua terra, la sua gente, Pescara, l’Abruzzo, resteranno per tutta la sua vita un
punto di riferimento essenziale, come lui stesso affermerà più volte: “io faccio le cose
che faccio – sosteneva – perché sono abruzzese. Non scrivo dell'Abruzzo – dice in
una lettera – ma scrivo da abruzzese”. E ancora: “quello che so della vita lo so perché
sono abruzzese”.
Era un rapporto molto particolare quello che legava Flaiano a Pescara: era per lo più
un sentimento nostalgico che nascondeva il timore del cambiamento.
Flaiano era assalito dal timore che, tornando a Pescara, trovasse una città diversa da
quella che aveva riposto nel cassetto dei suoi ricordi giovanili, che si fosse anch’essa
lasciata coinvolgere dalla fatuità delle mode, abbandonando costumi e valori.
Ogni volta che, a distanza di anni, ritornava nei luoghi della sua giovinezza, si
lamentava di qualche cosa che era cambiata rispetto ai suoi ricordi.
Emblematiche, in tal senso, sono le immagini di un documentario che vedremo più
tardi all’Auditorium De Cecco, in cui Flaiano rievoca in maniera nostalgica la vecchia
Piazza Garibaldi, luogo, come è noto, a pochi passi dal quale egli era nato,
precisamente in Corso Manthonè, ed altri spazi caratteristici della sua Pescara degli
anni giovanili, prima dello sviluppo urbanistico che ha poi caratterizzato la nostra Città.
A proposito della pescaresità di Flaiano, mi fa piacere in questa sede citare alcuni
spunti di una sua lettera all’amico giornalista Pasquale Scarpitti, al quale parla del suo
rapporto con Pescara e l’Abruzzo, rivelando l’orgoglio di essere abruzzese, un orgoglio
che, come egli stesso ammette, gli “riviene” in gola quando meno se l’aspetta e che ha
le sue relative lacerazioni e ambivalenze di sentimenti verso tutto ciò che è “Abruzzo”.
In questo contesto egli sottolinea, testualmente: “Ciò che mi ha sempre colpito nella
Pescara di allora era il buonumore delle persone, la loro gaiezza, il loro spirito, la
tolleranza, la pietà cristiana, la benevolenza dell'umore, la semplicità, la franchezza
nelle amicizie. Quel senso ospitale che è in noi, un po' dovuto alla conformazione di
una terra isolata”.
Ovviamente, cita, anche, gli inevitabili aspetti negativi del carattere dei suoi
concittadini, ma con benevolenza, concludendo che “Bisogna prenderci come siamo,
gente rimasta di confine con una sola morale: il lavoro. E con le nostre Madonne
vestite a lutto e le sette spade dei sette dolori ben confitte nel seno”.
Come Amministrazione Comunale abbiamo voluto, per l’occasione, contribuire alla
realizzazione di un pregevolissimo lavoro, intitolato “Ennio Flaiano: hanno detto e
scritto di lui”, portato avanti dall’editore Augusto Ferrara e dal giornalista Giovanni
Russo, che, ripercorrendone i ricordi, quello che autorevoli uomini della cultura e dello
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spettacolo italiani hanno detto su questo personaggio simbolo della cultura del
Novecento, riesce a tracciare l’affresco della personalità di Flaiano, mettendo in luce il
suo senso critico, acuto e profondo, circa la situazione della società italiana nel
secondo dopoguerra.
In conclusione, comunico che a margine della seduta consiliare solenne odierna, verrà
consegnata la benemerenza civica “Le Chiavi della Città” a Giovanni Russo, giornalista
e scrittore di chiara fama, amico personale di Ennio Flaiano, con il quale ha collaborato
fianco a fianco, prima nella redazione della rivista “Il Mondo” e poi in quella del
“Corriere della Sera”.
Giovanni Russo, con le sue opere, tra cui ricordiamo “Flaianite”, “Oh Flaiano” e “Con
Fellini e Flaiano a Via Veneto – dalla dolce vita alla Roma di oggi”, quest’ultima
finalista al Premio Estense 2006, ha contribuito a conferire ulteriore lustro e prestigio
alla figura del nostro caro concittadino, che oggi siamo qui a ricordare.
Grazie per l’attenzione.
Licio Di Biase, Presidente del Consiglio Comunale
Bene, ringraziamo il Sindaco per il puntuale intervento, e adesso, per le conclusioni, ci
affidiamo all’amico di sempre, Ennio Flaiano, dottor Enrico Vaime.
Dott. Enrico Vaime
Grazie.
Mi fa un po’ paura parlare in un’occasione come questa, ho paura di sembrare retorico,
di cadere in una nostalgia o in un uso improprio di quel distacco ironico che Flaiano ci
ha insegnato, ha insegnato a quanti lo guardavano con l’ammirazione con la quale l’ho
guardato io.
Flaiano era il mio mito, il sogno della mia vita era conoscerlo e ci sono riuscito, non
solo l’ho conosciuto, ma sono riuscito a lavorare insieme a lui, che è stato un
grandissimo maestro, e come tutti i grandi maestri non aveva la pretesa di insegnare
niente a nessuno.
Era di una discrezione assoluta, ma proprio questo era l’ammirevole del suo
insegnamento.
È stata un’esperienza formativa per me straordinaria, e soprattutto un momento di
grande felicità, perché sembravamo coetanei e mi sentivo suo coetaneo, c’erano
ventisei anni di differenza e non me ne sono mai accorto.
Era un uomo spiritosissimo e allegro, con dei momenti di malinconia profonda, che
sono poi la caratteristica fondamentale, ma era una malinconia temperata dal senso
dell’ironia che lo ha sempre aiutato ad uscire da tante difficoltà, e di difficoltà ne ha
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avute molte, da un punto di vista psicologico, familiare, e professionale.
Flaiano era un tipo scherzoso che dava confidenza, che concedeva la propria amicizia
con generosità, era uno strano personaggio, con dei miti anche lui li aveva, come tutti i
giovani, e il suo mito, per esempio, per un certo periodo è stato Peppino de Filippo.
Peppino de Filippo lo faceva impazzire dalla gioia, mi raccontava delle cose che gli
aveva detto, delle cose che aveva visto, e soprattutto aveva contro la porta di ingresso
del suo studio un telegramma che gli aveva mandato Peppino de Filippo, alto mezzo
metro, era lunghissimo, ed era un telegramma di ringraziamento per una recensione
favorevole che Flaiano aveva fatto sull’Europeo.
Era una cosa talmente esagerata che era irresistibile, ecco, lui ammirava questo lato
grottesco della vita, questo lato esagerato, gli piacevano le cose sopra le righe, perché
lui capiva da dove veniva tutto questo.
Quando qualcuno gli rimproverava una certa pigrizia, soprattutto di scrittura per la
narrativa, qualcuno gli diceva ma perché non pubblichi, lui si innervosiva un momentino
e rispondeva: “Pubblicare è una cosa per vedove”, era abbastanza vero, era una cosa
che interessava soprattutto appunto i superstiti.
Ma lui non aveva questo tipo di ambizioni, era un uomo giocoso, io mi ricordo dei
viaggi brevi fatti, per esempio da Fregene a Sutri, viaggio stupidissimo, la Cassia, un
pezzo di Aurelia, bene, in macchina c’era Flaiano, Ciarletta, un altro pescarese, i due
Ciarletta, persone tutte di età avanzata, diciamolo francamente, avevano una trentina
d’anni più di me ognuno, bene, questi tre sciagurati durante il viaggio descrivevano dei
panorami inesistenti, dei capolavori immortali che dovevo guardare sulla destra e sulla
sinistra, non c’era niente, intorno c’era la desolazione dell’Aurelia e nient’altro.
Ebbene, loro mi hanno raccontato le più belle meraviglie dell’universo inventandosele
per me.
Bhè, gente che riesce a fare questo è gente superiore, io per esempio in quel periodo
avevo alcune debolezze, una delle quali era la passione per le macchine sportive, che
non potevo permettermi, infatti la volta che l’ho comprata mi è durata pochissimo, ho
fatto un passo più lungo della cambiale!
Quando sono andata a fargliela vedere, lui ha finto un interesse, non gliene fregava
niente delle macchine, aveva un 1300 Fiat che cascava a pezzi, non si ricordava
neanche dov’era, però fingeva con me un interesse e un’ammirazione incredibile.
Fece il giro di questa macchina sportiva che io orgogliosamente gli mostravo, ha
guardato la macchina, poi ha guardato me, ha detto: “Bella, quando la devi restituire?”
Era vero, lui lo sapeva, io l’ho capito dopo.
Era un uomo molto strano per certi versi, per esempio si trovava bene in certe zone, lui
diceva “Io vivo bene nei posti degradati, Calcutta, Fregene, Montesacro”, che sono i
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posti in cui lui aveva una piccola casa a Fregene, un appartamento a Montesacro, che
è un rione romano pretenzioso, lo chiamano Città Giardino, fa schifo, ma quando
l’hanno inaugurato era ancora più desolato, però Roma questa zona la chiamava città
giardino, e lui la amava perché si riconosceva in questa architettura sbagliata, ci
vedeva un racconto storico straordinario.
La storia di Roma inventata da lui per chiunque si trovasse a passeggiare insieme a
Montesacro era strepitosa, era eccezionale.
Comunque, voglio dire, io devo molto a Flaiano che mi ha onorato della sua amicizia,
con il quale ho mantenuto dei rapporti epistolari, una cosa che non si usava già più
allora, non scriveva più nessuno le lettere, con lui veniva voglia di scrivere per poterne
ricevere, perché era spiritosissimo, era straordinario quando scriveva agli amici.
C’è un epistolario con Mino Maccari, se qualcuno di voi lo conosce, è stato pubblicato,
ed è eccezionale, irresistibile.
L’abitudine alla scrittura ed al colloquio con gli amici, il bisogno di confrontarsi con gli
amici, di litigare con gli amici o di fingere di farlo, è una delle componenti della grande
umanità di Flaiano che ci ha lasciato un insegnamento strepitoso, un suggerimento
comportamentale che non so quanti di noi riusciranno ad applicare per se stessi.
Io non lo so che cosa mi resterà di quello che ho imparato da lui, mi resterà
l’impressione di aver incontrato una persona deliziosa, una persona di grande civiltà,
una persona che aveva voglia di giocare anche nei momenti più difficili della sua
esistenza, che fingeva di essere un altro al telefono per divertirsi un po’ alle spalle mie.
Insomma, è stato un incontro emozionante e anche producente da un punto di vista
professionale, perché Flaiano, che è un grande scrittore che forse non ci siamo
meritati, è stato un grande maestro per tutti noi, che abbiamo cercato e cerchiamo
ancora di riferirci alla sua classe, al suo stile, con risultati che sono quello che sono,
pensando a quello che Ennio è riuscito ad esprimere, avendo scritto moltissimo e
pubblicato pochissimo, come è dei veri signori.
Grazie.
Licio Di Biase, Presidente del Consiglio Comunale
Ringraziamo il dottor Vaime per questa testimonianza diretta.
Io ringrazio il dottor Vaime per aver accettato di essere qui tra noi questa sera a
ricordare Flaiano a cento anni dalla nascita, io ringrazio tutti i Consiglieri che hanno
partecipato a questa seduta, ringrazio gli Assessori, ringrazio il pubblico che,
numeroso, ha assistito a questa nostra cerimonia.
Adesso chiudiamo il Consiglio Comunale e il Sindaco procederà alla consegna delle
chiavi della città al dottor Giovanni Russo.
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Grazie e buona serata a tutti.
INCLUDERE QUI IL CORPO DEL DOCUMENTO
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Di quanto innanzi si è redatto il presente verbale, che viene firmato dal Presidente, dal
Segretario Generale e dal Verbalizzante.
Il suesteso processo verbale di deliberazione verrà sottoposto, previa lettura,
all’approvazione del Consiglio Comunale, in successiva seduta.
IL PRESIDENTE
DI BIASE LICIO
IL VERBALIZZANTE
Prof. ADDARIO LUIGI
IL SEGRETARIO GENERALE
Dott. FOGLIA PASQUALE
Il presente verbale è stato approvato nella seduta del Consiglio Comunale del ______________
A seguito di conforme attestazione dell’addetto alle pubblicazioni, si certifica che copia
della presente deliberazione è stata pubblicata all’Albo Pretorio dal ………………………………
al…………………………………..e che contro di essa non sono state prodotte opposizioni.
IL FUNZIONARIO RESPONSABILE
Pescara, lì_____________
___________________________
SI DICHIARA LA PRESENTE ESECUTIVA a seguito di pubblicazione all’Albo Pretorio per 10
giorni consecutivi dal
senza opposizioni ai sensi e per gli effetti dell’art. 134 – 3°
comma – D. Legislativo del 18 agosto 2000 N. 267.
IL FUNZIONARIO RESPONSABILE
Pescara, lì_____________
___________________________
COMUNE
N. _______________ di prot.
DI
PESCARA
Pescara, lì ________________
All’Ufficio ______________________
FASCICOLO UFFICIO
______________________
All’Ufficio ______________________
per i provvedimenti di competenza.
IL FUNZIONARIO RESPONSABILE
_________________________
Atto di Consiglio Comunale n. 42 del 05-03-2010 - Pag. 20 - COMUNE DI PESCARA
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