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di Stefano Lentini
Indipendenti
dentro
N.8 – La Pirateria, i Pirati e i Forzieri
Da quando internet ha fatto la sua comparsa in Italia, era
la metà degli anni ‘90, ne sono successe di tutti i colori.
Lo ricordo bene perché all’epoca frequentavo un amico
più grande di me, esperto di filosofia e di computer, che
fu uno dei pionieri della sua diffusione nel nostro paese.
Aveva pubblicato con la sua associazione un libretto
divulgativo in cui spiegava le potenzialità e gli impieghi
di questa meravigliosa rete informatica.
N
e parlai a un paio d’amici e ai miei familiari, qualcuno non mi credette, non capivano bene il nesso tra telefono e computer, come le informazioni potessero circolare
e con quale aspetto. Sono sicuro che la colpa di
questa incomprensione fosse mia. Dubito che
all’epoca sapessi davvero di cosa si stava parlando. Tuttavia avevo una fiducia cieca in Gino
e presi le sue parole come oro colato.
Quindici anni dopo troviamo nelle case degli
italiani insieme al frigorifero, il televisore e l’automobile, anche internet.
Secondo una ricerca commissionata da Google alla Boston Consulting Group, pare che il
70% della popolazione italiana tra i 6 e i 44
anni sia connessa al web. A pelle sembrerebbe proprio così.
I pirati
La condivisione della musica è al centro di tante
battaglie contro la pirateria. Pare che essa sia la
causa del degrado del mercato discografico, del24
la sua crisi, del suo stazionamento. Ci può stare,
ma guardiamo la questione da un’altra prospettiva, da quella cioè del fruitore della musica.
Il compact disc oggi è un bene di lusso. Quanto
costa un cd lo sappiamo tutti e sappiamo anche
che una libreria di compact disc è un privilegio
che non tutti possono permettersi. La discografia punta tanto sui giovani perché sa che essi
sono i maggiori consumatori, allo stesso tempo chiede loro di spendere tutta la paghetta in
CD. Se la musica divenisse un bene di consumo
forse al posto del gelato uno si andrebbe a comprare volentieri un bel disco. Considerando che
per grosse tirature la stampa di un cd costa approssimativamente un euro, che ne direste di
venderli con un costo pari al 500%? Ecco forse
cinque euro potrebbe rappresentare un buon
prezzo di partenza, una cifra che probabilmente rimetterebbe in carreggiata la vendita della
musica, una cifra che proietterebbe il cd nel
territorio dei beni di consumo. Una cifra che ne
farebbe vendere a valanghe.
SOUND&LITE n. 96_2012
Il fatto di trovare cd in vendita a venti euro mi
fa venire in mente l’immagine di quel commerciante gretto e avido, come lo disegnerebbe
Dickens, con la giacca strappata, i capelli unti,
col sorriso cattivo e i ratti che gli corrono tra
i piedi. Un bottegaio spilorcio e annebbiato
dall’ingordigia, un bottegaio che cerca di vendere i suoi articoli al prezzo più alto possibile
senza preoccuparsi di niente e di nessuno, uno
come il signor Burns dei Simpson, ecco.
Eppure basta un po’ di buon senso per capire
che abbassare i prezzi favorisce l’aumento delle vendite, che se il cliente è felice torna più volentieri: che gli affari, insomma, si fanno in due.
La musica, la cultura in genere, sono valori
fondamentali per una società. E come tali sono
riconosciuti dalla Costituzione Italiana. Questa
nostra Carta tanto bistrattata e chiacchierata
mostra dei lati davvero straordinari. Talvolta
nel leggerla emana una tale energia positiva
da sembrare più un manifesto spirituale che
un ordinamento politico. A differenza di quanto uno si potrebbe aspettare, non è un noioso
testo per avvocati ma una bella antologia di
principi in cui si parla dell’uomo, della libertà,
della felicità e di un progresso che non è solo
quello della tecnologia o dei beni materiali.
Nella Costituzione si difende il progresso spirituale della società. Questo tipo di progresso
è riconosciuto e sostenuto. Ed è per questa
ragione che esistono i fondi ministeriali per il
cinema, i contributi per l’editoria, e tante altre
iniziative volte al sostegno e allo sviluppo della
cultura. La discografia però è un fatto privato
e interseca la sfera pubblica nelle sue funzioni ed utilità ma non negli aspetti economici. Il
libero mercato regola costi ed incassi ed è qui
che avviene lo scollamento con la società civile,
lo scollamento cioè, tra teen-ager curioso e produttore navigato.
Il forziere
Lo scrigno in questione contiene la musica in
ogni sua forma e misura: l’hip-hop, la musica
leggera, gli ever-green, il rock, la musica classica, l’indie americano, il jazz, la world, tutto
insomma. A partire da Napster in poi, i sistemi
di condivisione si sono moltiplicati e la quantità di file condivisi ha superato la possibilità di
essere controllata e bloccata. Un mare di utenti
ha iniziato ad ascoltare musica sempre nuova
senza sborsare un centesimo e le case discografiche hanno cominciato a recitare i loro
vade retro satana.
SOUND&LITE n. 96_2012
Quest’uomo ha scaricato
illegalmente della musica
(Creta lavorata a mano, foto
gentilmente concessa da
Stefano Lentini).
Anche qui tuttavia esiste un altro aspetto da
considerare. La diffusione della musica ha
un’implicazione rilevante nell’aumento del
pubblico ai concerti. Il passa-parola e il passamp3 ha questo risvolto pazzesco, quello cioè di
far conoscere band altrimenti irraggiungibili.
E se una band è valida, le sale da concerto si
riempiono, e i soldi, anche se facendo un altro
giro, arrivano comunque.
Non è un fatto secondario se teniamo anche
conto del fatto che a un concerto non si va quasi mai da soli, c’è sempre un amico o un’amica,
un fidanzato o una fidanzata, pronti ad accompagnarci. I locali in cui si esibiscono gruppi
dell’underground internazionale sono pieni.
Com’è possibile che ciò accada se nessun giornale o telegiornale riporta la notizia dell’evento?
Come all’epoca dei corsari la mappa del tesoro
è custodita in un luogo segreto.
Il mare
È notte sull’acqua gelida al largo dell’Istmo della Criniera. Lo chiamano così perché talvolta,
con la luce della luna, le colline a est sembrano rappresentare la grande corsa di una bestia
imbizzarrita: l’avvertimento che la natura ha
voluto dare ai navigatori incauti, per ricordare
loro ciò che il mare può diventare all’improv25
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viso, là dove le freddi correnti provenienti dal
nord incontrano i tiepidi flussi orientali.
Della luna non resta che una pallida forma di
unghia e solo le due lanterne a prua indicano
la presenza della Liberty nelle nefaste acque
in cui sta per abbattersi la sua sciagura. Nessuno infatti, neanche Sam-Occhio-d’aquila, è
in grado di vedere le vele tinte di pece che i
pirati della Oblivion hanno preparato con cura
per potersi avvicinare il più possibile nella notte. L’abbordaggio fu più facile del previsto, il
vascello sfruttò un perfetto abbrivio e si posizionò longitudinalmente alla Liberty lasciandosi dondolare in un mutuo rollio come in una
danza di morte. Le urla di paura provenienti
dal veliero dalle vele bianche vennero sostituite dal silenzio del terrore prima, e dalle grida
di dolore poi. I pirati al colmo dell’adrenalina
e accecati dal brutale incitamento reciproco
sferzavano colpi ovunque fracassando ossa e
correndo furiosamente su rivoli di sangue che
si accumulavano in pozze scure di sporcizia e
umori fetidi. Il massacrò durò più di due ore
mentre altri marinai si occupavano di liberare
le stive e trafugare oggetti dalle cabine abbandonate. Le casse chiodate e pesanti vennero
issate a bordo del vascello dalle vele di pece e
solo quando tutti furono certi di aver depredato ogni mercanzia e arnese utile, il comandante ordinò il rientro che si svolse in un veloce
passaparola fatto di ululati tetri e primordiali.
Il vascello dei pirati si staccò da tribordo e due
colpi ben assestati di cannone segnarono la
fine del veliero che cominciò ad affondare. Gli
alberi di maestra e di trinchetto tranciati alla
base aiutarono il mare a girare lo scafo a babordo. Poco dopo, della carena della nave non
rimaneva che il ricordo nelle menti stordite dei
feroci bucanieri.
Ecco, questi sono i pirati, questa è la pirateria
e queste erano le leggi che dettavano all’inizio
del XVII secolo nel Mar delle Antille. Abbordare, depredare, affondare.
Nel linguaggio comune “pirateria” è diventato
il sinonimo dell’uso illegale dei prodotti soggetti a copyright. Certo è che guardando alla storia, e a come andavano le cose qualche secolo
fa nelle acque infestati dai banditi dei mari, i
pirati di oggi sono un po’ meno lugubri e truci.
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La baia
Nel 2006 in Svezia è nato un partito, il Partito
Pirata (Piratpartiet), che promuoveva un unico
obiettivo politico: la modifica legale del copyright e del diritto d’autore. Secondo il suo fondatore essi devono essere modificati poiché sono
troppo sbilanciati in favore dello sfruttamento
economico a scapito dello sviluppo culturale.
Questo squilibrio creerebbe un’incoerenza di
fondo di cui tutte le opere artistiche, letterarie, cinematografiche e musicali, si farebbero
portatrici: la riduzione del loro potenziale di
diffusione. Una limitazione che contrasta con le
finalità più elevate dell’arte.
Nel giro di tre anni il partito raccoglie consensi
inattesi grazie anche al noto processo che vide
condannati i quattro fondatori del sito di sharing The Pirate Bay. Il PiratPartiet ottiene alle
elezioni del 2009 il 7,1% dei voti e conquista un
seggio in parlamento. È un fatto eccezionale e
mette in risalto un elemento che non possiamo
più sottovalutare. La diffusione di internet e la
digitalizzazione della musica comportano per
definizione una maggiore diffusione dei contenuti. In questo scenario il prodotto soggetto
a copyright entra in collisione con un terreno
sconfinato di scambio in cui è impossibile tracciare delle frontiere. Inoltre più musica circola,
maggiore sarà il numero di persone che avrà
voglia di ascoltare dal vivo gli artisti che ama.
Se da una parte la vendita dei dischi diminuisce, dall’altra il numero di presenze ai live
aumenta. Ma c’è bisogno di nuova musica, di
nuove idee. Il file-sharing è anche un’opportunità, vista da un altro punto vista, è pubblicità
gratuita. Non solo, è anche un segnale della reale fame di musica che circola nel sottobosco. Il
sottobosco si è fatto più grande del bosco. È ora
di iniziare a seminare nel grande terreno fertile
che si muove sotto di noi.
Stefano Lentini è un compositore
di musica da film.
Per scrivergli: [email protected]
SOUND&LITE n. 96_2012
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