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Titolo: Il Ballo delle Ingrate
Musica: Claudio Monteverdi
Testo di Ottavio Rinuccini
Prima rappresentazione alle nozze di Francesco Gonzaga, erede del trono ducale di Mantova con
Margherita, infante di Savoia, 1608, a Mantova La musica è stata pubblicata nei Madrigali Guerrieri e Amorosi (Venezia 1638) dall’ editore Ricciardo Amadino.
Frontespizio Madrigali
Guerrieri e Amorosi
Maria de' Medici
Firenze, 1575 -1642
fu regina consorte di Francia e Navarra
come seconda moglie di Enrico IV di
Francia dal 1600 al 1610.
Frans Pourbus il Giovane 1610
Claudio Monteverdi,
Blasonatura araldica Gonzaga
dipinto di Fetti Domenico,
(circa 1620)
Margherita di Savoia,
Duchessa di Mantova.
successiva all'anno 1530
Olio su tela-1608
Palazzo Te
Camera di Ovidio o delle
Metamorfosi
Palazzo Te
Camera delle aquile
Giulio Romano 1524-34
0.1
Claudio Monteverdi: (1567-1643), autore del primo vero capolavoro lirico: Orfeo (Mantova,
1607). Si forma alla scuola del compositore veronese Marco Antonio Ingenieri. Chiamato a Mantova dal duca Vincenzo Gonzaga, è influenzato dal maestro fiammingo Jacques de Wert. A Mantova è
maestro di cappella. Alla morte del duca ritorna per un breve periodo a Cremona per ripartire, subito dopo, alla volta di Venezia dove, nel 1613, diventa maestro di cappella in San Marco. Qui scrive
i suoi capolavori. Monteverdi raccoglie l'eredità del madrigale rinascimentale e pone le basi del teatro musicale, scrivendo una musica espressiva, densa di affetti, emozionante. Quando, nel 1600, la
libertà armonica dei madrigali monteverdiani viene attaccata dal teorico Giovanni Artusi, che lo accusa di non aver rispettato le regole dell'equilibrio polifonico secondo i dettami dell'armonia rinascimentale, Monteverdi risponde che il vecchio stile, la prima prattica, era ancora adatto alla musica da chiesa, ma che per i madrigali ci si doveva attenere al nuovo stile, la seconda prattica, in cui
"le parole sono compagne dell'armonia, non sue serve". Nell'opera, il campo in cui Monteverdi
esercita con maggior profitto il suo immenso genio, teatrale oltre che musicale, il cromatismo tipico
della seconda prattica si fonde perfettamente con lo stile monodico messo a punto da Jacopo Peri e
Giulio Caccini, nel fuoco di una espressione avvincente, calda, moderna.
Nel 1607 si rappresenta il suo primo dramma per musica, l'Orfeo. Quest'opera, che supera grandiosamente ogni precedente tentativo, fa del dramma in musica uno spettacolo di enorme successo
storico. Il linguaggio cromatico di Monteverdi è ricco e vario, libero dai vecchi canoni, capace di
esprimere ogni sentimento dettato dal testo, ogni emozione. L'orchestra si arricchisce di strumenti
e di timbri e diventa un efficace veicolo narrativo ed emozionale. Il successo di pubblico è clamoroso. Monteverdi raggiunge una grande fama nel mondo raffinato delle corti italiane. Fama che si
consolida con l'opera Arianna del 1608, su libretto di Ottavio Rinuccini.
Nel 1637, a Venezia, si inaugura il San Cassian, il primo teatro lirico pubblico. L'opera è ormai un
genere di grande successo. Monteverdi scrive per il pubblico veneziano una serie di composizioni
teatrali, molte delle quali per sempre perdute. Ci resta però la musica del Ritorno d'Ulisse in patria
(1640) e dell'Incoronazione di Poppea del 1643. Opere della piena maturità, meravigliosamente intense di sensualità, di vita, di sensibilità umana. Una galleria portentosa di personaggi, ognuno dei
quali scolpito con le note più appropriate, si incontrano, si amano e si odiano, piangono e gioiscono, tradiscono, si sacrificano, dicono addio alla vita, si perdono nell'eros... in queste vicende lontane, della mitologia e della storia romana, ma rese sempre presenti dalla potenza del disegno, dalla
sapienza armonica e ritmica. A volte la musica si fa incandescente di erotismo, come nell'addio tra
Nerone e Poppea, la terza scena del primo atto dell'Incoronazione di Poppea, dove il canto rende in
musica la notte d'amore, la mollezza dei sensi spossati dalla delizia.
Ottavio Rinuccini: (Firenze 1562-1621) è il primo vero librettista d'opera. Di famiglia aristocratica, frequenta giovanissimo la Camerata de' Bardi, il circolo di intellettuali, poeti e musicisti,
nell'ambito del quale nasce il melodramma. Sono di Ottavio Rinuccini i libretti di Dafne (1597) per
la musica di Jacopo Peri e Jacopo Corsi (e poi, nel 1608, di Marco da Gagliano); Euridice per la
musica di Jacopo Peri (1600), l'opera con la quale si dà inizio alla storia del melodramma; Arianna,
per la musica di Claudio Monteverdi, opera della quale ci resta solo il famoso Lamento di Arianna;
Il ballo delle ingrate (1608), messo in musica da Claudio Monteverdi. Gli argomenti sono tratti dalla mitologia e alternano dialoghi, monologhi e azioni coreografiche
0.2
.
Palazzo Te: Mantova era anticamente circondata da quattro laghi formati dal corso del fiume
Mincio; poco distante dall’isola su cui sorse la città si trovava un’altra isola denominata sin dal medioevo Teieto (poi abbreviato in Te) collegata con un ponte alle mura meridionali della città. Due
sono le ipotesi più attendibili sul significato del termine Teieto: esso potrebbe derivare da tiglieto,
località di tigli, oppure essere collegato a tegia, dal latino attegia, che significa capanna.
L’isola, che possiamo immaginare verdeggiante e tranquilla, divenne ben presto luogo di svago per
la famiglia Gonzaga; numerosi sono i documenti che attestano già dalla metà del Quattrocento l’uso
di questo contesto naturale. Agli inizi del 1500 Francesco II Gonzaga, marito di Isabella d’Este, vi
fece costruire stalle per gli amati cavalli di razza e anche una casa padronale. Rimangono infatti
tracce di un edificio di pregio con pitture murali nei sottotetti dell’attuale palazzo. Un affresco reca
la data 1502 e le iniziali del committente.
Camera a crociera
Ritratto di Giulio Romano
Federico II Gonzaga,
Volta dipinta nel 1534 da Luca da
Faenza
Tiziano,
Tiziano,
L’incontro tra Giulio Romano e Federico II Gonzaga e il successivo incarico di costruire il Palazzo
del Te è suggestivamente descritto da Vasari nelle sue Vite. Quando Giulio giunge a Mantova
nell’ottobre del 1524, il marchese gli fornisce una dimora, lo colma di regali e, donatogli uno dei
suoi cavalli favoriti, cavalca con lui fino all’isola del Te. Qui Federico incarica Giulio di ristrutturare
le scuderie esistenti per “accomodare un poco di luogo da potervi andare e ridurvisi tal volta a
desinare, o a cena per ispasso”. Il proposito dunque appare piuttosto modesto ma, come riferisce
Vasari, alla vista del bellissimo modello predisposto da Giulio, il marchese dà incarico, con entusiasmo, di iniziare immediatamente la costruzione del palazzo. La funzione dell’edificio è anche chiaramente espressa in un’iscrizione che si trova nella sala di Psiche. È un palazzo per il tempo libero e
lo svago, per l’onesto ozio del principe, che ritempra le forze nella quiete. Palazzo Te viene utilizzato spesso dalla famiglia Gonzaga come luogo atto ad accogliere e onorare gli ospiti illustri, come
dimostrano le visite dell’imperatore Carlo V che soggiorna al Te in due occasioni, nel 1530 e nel
1532, mentre Enrico III re di Francia vi è ricevuto nel 1574.
Giulio di Piero Pippi de’Iannuzzi, detto Romano, nasce a Roma nell’ultimo decennio del Quattrocento. La data di nascita non è certa, l’atto di morte del 1546 lo dice deceduto all’età di 47 anni facendo risalire la nascita intorno al 1499, mentre Vasari la fa cadere nel 1492. Gli studiosi sono del
parere di accettare il dato documentario. Giulio si afferma presto tra i principali collaboratori di
Raffaello nelle opere di pittura; inoltre sotto la guida del maestro, “seppe benissimo tirare in prospettiva, misurare gl’edifizii e lavorar piante”, come attesta Vasari. La sua venuta a Mantova è preceduta da una modello per un nuovo edificio a Marmirolo, talmente bello da sembrare di mano di
Michelangelo. Il suo genio creativo si alimenta moltissimo dell’esempio del suo maestro, Raffaello,
ma a differenza di altri discepoli che rimangono fedeli al suo stile, guarda anche a Michelangelo, di
cui si ritrova molto nella possanza e nel dinamismo delle figure che per mano di Giulio prendono
vita nei dipinti e negli stucchi di Palazzo Te. A Mantova presso i Gonzaga, dove giunge nel 1524, diviene immediato punto di riferimento, prima come eccelso artista e abile coordinatore dei progetti
gonzagheschi, poi, dal 1526 anche come Prefetto delle fabbriche. Giulio Romano è attivo su molti
fronti, nel principato gonzaghesco e in altri stati. A Mantova, oltre che nelle fabbriche gonzaghesche (Palazzo Te e Palazzo Ducale), interviene anche sulla città dove segue progetti di carattere urbanistico e vigila sull’edilizia privata. Importante anche il contributo all’edilizia religiosa: suoi i
progetti per la cattedrale di Mantova e per la basilica di San Benedetto al Polirone. Tale è il rilievo
che assume presso la corte dei Gonzaga che nel 1526 viene elevato alla dignità di vicario di corte.
Il committente del palazzo è Federico II Gonzaga (1500-1540), figlio di Francesco II e Isabella
d’Este. Federico regge Mantova come marchese dal 1919 al 1530; quell’anno è elevato a duca
dall’imperatore Carlo V. Condottiero di non grande abilità, a parere del Guicciardini, si ritira presto
dalle armi per dedicarsi al governo del suo piccolo stato e agli interessi personali, tra i quali spiccano le arti e la collezione di opere antiche. Segue quindi la tradizione familiare che vede nella madre
una colta mecenate e collezionista e anche nel padre un attento committente (fa costruire il Palazzo
di San Sebastiano, poco lontano dall’isola del Te, e vi colloca i celebri Trionfi del Mantegna). Con
l’aiuto di Baldassarre Castiglione, ambasciatore gonzaghesco a Roma, Federico riesce a far arrivare
a Mantova, nel 1524, il migliore degli allievi di Raffaello. Il Gonzaga trasmette a Giulio Romano il
suo sogno, quello di esaltare la vita della corte mantovana grazie al genio di un artista che progetta
“non abitazioni di uomini, ma case degli Dei” come ci dice Vasari nelle sue Vite.
1.0
Il Ballo delle Ingrate è - secondo l'opinione di Henry Prunières1 — il solo "balletto alla francese" conservato
integralmente. Il modello del Ballet de Cour non può stupire quando si ricordino i frequenti viaggi e soggiorni a Parigi di Rinuccini, l'amicizia del quale per Maria de' Medici, regina di Francia, faceva sussurrare i maligni. D'altra parte il figlio del poeta, pubblicando le poesie paterne, fa gloria al padre di essere stato il primo a
importare in Italia il "balletto francese". Per il libretto nessun dubbio, anche se gli intermezzi cantati in "stile
recitativo" non si trovino nel modello originale. Monteverdi definisce il lavoro « in genere rappresentativo»
(come tutti quelli destinati al teatro). La scena rappresenta un paesaggio con, nel mezzo, l'entrata dell'inferno
donde escono fiamme e bagliori rossastri. Amore prega sua madre, Venere, d'intervenire presso Plutone perché conceda alle Ingrate (le donne che si son mostrate crudeli verso i loro amanti) di ritornare qualche ora
sulla terra, affinché
Vegga su'l Mincio, ogn'anima superba
A qual martir, cruda beltà si serba.
Plutone acconsente: e ordina alle Ombre di condurre le Ingrate. Queste, vestite con abiti « di color ceneritio
adornato di lacrime finte », escono alla luce del sole «con gran dolore significato per gesti». Poi danzano; alla
fine della danza restano immobili, mentre Plutone al proscenio mostra alle Dame presenti quale castigo attenda le donne troppo crudeli verso coloro che le amano. Poi ordina alle Ingrate di rientrare nell'inferno.
Queste riprendono la loro danza « con atti pieni di maggior disperazione e di maggior cordoglio », ma quando Plutone ripete il suo ordine si affrettano ad obbedire. Una sola si arresta sulla soglia del regno infernale
per un commosso addio alla luce:
Aer sereno e puro, addio per sempre...
e per esortare le Dame presenti alla pietà verso chi le ama:
O ciclo, o sole: addio lucide stelle.
Apprendete pietà donne e donzelle.
L'idea originale non manca di intenzioni drammatiche, ma il testo ha carattere più narrativo e descrittivo che
veramente drammatico: poco adatto dunque a stimolare la sensibilità inventiva di Monteverdi. Infatti, accanto a pagine veramente belle, altre denotano una certa stanchezza e quasi un laisser aller (non curanza). Si
comprende: dopo la composizione di Arianna e già preso dal lavoro di preparazione con gli interpreti, Monteverdi doveva essere molto stanco, e la verbosità mitologico-galante di Rinuccini non era tale da invogliarlo
ad affaticarsi maggiormente. Le parti vocali son trattate, quasi sempre, in "stile recitativo": ma basterà un accento veramente sentito, una espressione viva e vera, perché quel recitativo assuma subito movenze di arioso,
perché la melodia riveli una rispondenza autentica con l'espressione poetica: nel monologo di Venere, che ha
quasi il carattere di un "madrigaletto"2 con Basso Continuo; nel duettino tra Venere e Amore e, più ancora,
nella lunga apostrofe di Plutone realizzata con una declamazione lenta, con frasi discendenti nella tessitura
grave e con ampi intervalli (le parole: «là giù... » comportano un intervallo di undecima): un arioso alternato
con ritornelli strumentali dopo ogni strofe. Il momento più alto dell'opera è il lamento dell'anima ingrata che
s'è arrestata sulla soglia dei regni infernali: due strofe che terminano con una stessa frase, ripetuta "a cappella" da altre quattro voci; una pagina patetica, intensamente espressiva: tanto commovente che le dame del
pubblico ne furono «non meravigliate, sì bene mosse al pianto ».La parte strumentale ha una certa ampiezza
e un significato particolare.
Per questa Monteverdi esige: cinque viole da brazzo, un clavicembalo e un chitarrone, « li quali ustrimenti si
radoppiano secondo il bisogno della grandezza del loco in cui devisi rapresentare ».
Si preoccupa anche di dare all'insieme una chiara unità tematica: infatti la Sinfonia (che con la sua ripetizione inquadra l'esortazione di Venere), l'Entrata con gli episodi che seguono, e i ritornelli son composti con
materiali musicali affini. Il "balletto" propriamente detto è la scena più importante dell'opera. È composto di
una Entrata (un motivo semplice, in 4/2, ripetuto più volte) e di cinque episodi tutti costruiti con lo stesso
materiale melodico, variato solo ritmicamente. Unico, l'episodio centrale è costruito su disegni melodici diversi; il quarto richiama il tema originale parzialmente rovesciato, e nell'ultimo il motivo dell'Entrata è leggermente variato. Per questo lavoro si è parlato di influenza francese: s'è visto come, da parte sua, Rinuccini
l'abbia riconosciuta. Per Monteverdi invece — come afferma Leo Schrade3 - nessuna influenza può essere
provata, neppure nell'Entrata o nelle musiche di danza, perché l'alterazione ritmica d'uno stesso materiale
melodico era praticata nella musica strumentale italiana fin dagli inizi del secolo XVI; e lo stile delle parti
strumentali, come quello delle forme vocali, è tipicamente monteverdiano. Si ignora se, dopo la rappresentazione mantovana, II Ballo delle Ingrate sia stato eseguito ancora e dove. Monteverdi lo pubblicherà trent'anni più tardi nei Madrigali Guerrieri e Amorosi.
1.0 Note:
1: Prunières, Henry. - Musicologo (Parigi 1886 - Nanterre 1942). Studiò alla Sorbona con R. Rolland. Scrisse molti saggi e studî, documentati mediante ricerca diretta, specialmente su musicisti francesi e italiani antichi e moderni e opere storiche di largo impegno.
Emergono: Lulli (1909) e l'intrapresa edizione integrale delle opere lulliane; Le ballet de Cour en France ... (1914); La vie et l'oeuvre de C.
Monteverdi (2 voll., 1927); F. Cavalli et l'opéra vénitien au XVIIe siècle (1931). Fondò e diresse la Revue musicale (1920-39) e dal 1924 al
1934 fu corrispondente del New York Times; partecipò alla fondazione (1922) della Società internazionale per la musica contemporanea
e a quella (1927) della Società internazionale di musicologia.
2:Il madrigale è una composizione musicale, in maggior parte per gruppi di 3-6 voci, originata in Italia, e diffusa in particolare tra Rinascimento e Barocco. L'origine della parola è a tutt'oggi discussa: se ne ipotizza l'etimologia dal latino volgare mandria-mandrialis in riferimento al contenuto rustico e pastorale; da matrix-matricalis, "di lingua materna, dialettale" o, nell'accezione proposta da Bruno Migliorini, "alla buona"; dal Provenzale mandra gal, "canto pastorale" o ancora dallo spagnolo mandrugada, "canto dell’alba"; dal latino
"materialis" opposto a "spiritualis" ovvero "cose materiali o grosse". Altri attribuiscono l'origine del nome Madrigale al termine materialis, ovvero di argomento profano, contrapponendosi a spiritualis. Tutte queste saranno caratteristiche del madrigale musicale del '300.
3: Schrade, Leo. - Musicologo (Allenstein, Prussia Orient., 1903 - Spéracèdes, Alpi Marittime, 1964). Studiò nelle univ. di Heidelberg,
Monaco e Lipsia, dove si diplomò in musicologia nel 1927. Insegnò a Königsberg e a Bonn; si trasferì poi negli Stati Uniti, dove dal 1938
insegnò all'univ. di Yale; dal 1958 ha insegnato nell'univ. di Basilea. È autore di numerosi scritti tra cui Monteverdi, creator of modern
music (1950) e saggi sulla musica medievale e rinascimentale
2.0
Il Ballo delle Ingrate Testo di Ottavio Rinuccini
Interlocutori
Amore, Venere e Plutone
Quattro Ombre d'Inferno
Otto Anime Ingrate che ballano
Strumenti
Cinque Viole da brazzo
Clavicembalo e Chitarrone,
li quali istrumenti si radoppiano secondo
il bisogno della grandezza del loco
in cui devisi rapresentare
Prima si fa una scena la cui prospettiva
formi una bocca d'Inferno con quattro
strade per banda, che gettino fuoco, da
quali usciscono a due a due le Anime Ingrate, con gesti lamentevoli, al suono della
entrata che sarà il principio del ballo, il
qual va cotante volte ripetito da suonatori
fino che trovino poste nel mezzo del loco in
cui assi da dar principio al ballo, Plutone
sta nel mezzo conducendole a passi gravi,
poi ritiratosi alquanto, dopo finita la entrata, danno principio al ballo, poscia
AMORE
De l'implacabil Dio
Eccone giunt'al Regno,
Seconda, O bella Madre, il pregar mio.
PLUTONE
Chi spogliè di valore l'auree saette
Che tante volte e tante
Giunsero al cor de l'immortal Tonnante?
VENERE
Non tacerà mia voce
Dolci lusinghe e prieghi
Finche l'alma feroce
Del Re severo al tuo voler non pieghi.
VENERE
Donne, che di beltate e di valore
Tolgono alle più degne il nome altero,
Là, nel Germano Impero,
Di cotanto rigor sen van armate,
Che di quadrell'aurate
E di sua face il foco
Recansi a scherzo e gioco..
AMORE
Ferma, Madre, il bel piè, non por le piante
Nel tenebroso impero,
Che l'aer tutto nero
Non macchiass'il candor del bel sembiante:
Io sol n'andrò nella magion oscura,
E pregand'il gran Re trarotti avante.
VENERE
Va pur come t'agrada. Io qui t'aspetto,
Discreto pargoletto.
(Sinfonia)
Udite, Donne, udite! I saggi detti
Di celeste parlar nel cor servate:
Chi, nemica d'amor, nei crudi affetti
Armerà il cor nella fiorita etate,
(Sinfonia)
Sentirà come poscia arde a saetti
Quando più non avrà grazia e beltate,
E in vano risonerà, tardi pentita,
Di lisce e d'acque alla fallace aita.
PLUTONE
Bella madre d'Amor, che col bel ciglio
Splender l'Inferno fai sereno e puro,
Qual destin, qual consiglio
Dal ciel t'ha scorto in quest'abisso oscuro?
VENERE
O de la morte innumerabil gente
Tremendo Re, dal luminoso cielo
Traggemi a quest'orror materno zelo:
Sappi che a mano a mano
L'unico figlio mio di strali e d'arco
Arma, sprezzato arcier, gli omer e l'ali.
PLUTONE
Mal si sprezza d'Amor la face e'l telo.
Sallo la terra e'l mar, l'inferno e'l cielo.
VENERE
Non de' più fidi amanti
Odon le voci e i pianti.
Amor, Costanza, Fede
Non pur ombra trovar può di mercede.
Questa gli altrui martiri
Narra ridendo. E quella
Sol gode d'esser bella
Quando tragge d'un cor pianti e sospiri.
Invan gentil guerriero
Move in campo d'honor, leggiadro e fiero.
Indarno ingegno altero
Freggia d'eterni carmi
Beltà che non l'ascolta e non l'aprezza.
Oh barbara fierezza!
Oh cor di tigre e d'angue!
Mirar senza dolore
Fido amante versar lagrime e sangue!
E per sua gloria, e per altrui vendetta
Ritrovi in sua faretra Amor saetta!
PLUTONE
S'invan su l'arco tendi
I poderosi strali,
Amor che speri, e che soccorso attendi?
AMORE
Fuor de l'atra caverna
Ove piangono invan, di Speme ignude,
Scorgi, Signor, quell'empie e crude!
Vegga, vegga sull'Istro
Ogni anima superba
A qual martir cruda beltà si serba!
Plutone fattolo fermare nel mezzo, parla
verso alla Principessa, e Damme, che saranno presenti, nel modo che sta scritto;
Delle Anime Ingrate, il lor vestito sarà di
color cenerito, adornato di lacrime finte;
finito il ballo tornano nel Inferno, nel medesimo modo del'uscita, e al medesimo
suono lamentevole, restandone una nella
fine in scena, facendo il lamento che sta
scritto, poi entra nel'Inferno. Al levar de la
tela si farà una sinfonia a beneplacito.
PLUTONE
Deh! Chi ricerchi, Amor!
Amor, non sai che dal carcer profondo
Cale non è che ne rimeni al mondo?
AMORE
So che dal bass'Inferno
Per far ritorno al ciel serrato è il varco.
Ma chi contrasta col tuo poter eterno?
PLUTONE
Saggio signor se di sua possa è parco.
VENERE
Dunque non ti rammenti
Che Proserpina bella a coglier fiori
Guidai sul monte degli eterni ardori?
Deh! Per quegli almi contenti,
Deh! Per quei dolci amori,
Fa nel mondo veder l'ombre dolenti!
PLUTONE
Troppo, troppo possenti
Bella madre d'Amore,
Giungon del tuo pregar gli strali al cuore!
Udite! Udite! Udite!
O dell'infernal corte
Fere ministre, udite!
OMBRE D'INFERNO
Che vuoi? Ch'imperi?
PLUTONE
Aprite aprite aprite
Le tenebrose porte
De la prigion caliginosa e nera!
E de l'Anime Ingrate
Trahete qui la condannata schiera!
VENERE
Non senz'altro diletto
Di magnanimi Regi
Il piè porrai ne l'ammirabil tetto!
Ivi, di fabri egregi
Incredibil lavoro,
O quanto ammirerai marmorii fregi!
D'ostro lucent' e d'oro
Splendon pompose le superbe mura!
E per Dedalea cura,
Sorger potrai tra l'indorate travi,
Palme e trionfi d'innumerabil Avi.
Ne minor meraviglia
Ti graverà le ciglia,
Folti Theatri rimirando e scene,
Scorno del Tebro e de la dotta Atene!
Qui incominciano apparire le Donne Ingrate,et Amore e Venere così dicono:
AMORE E VENERE
Ecco ver noi l'adolorate squadre
Di quell'alme infelici. Oh miserelle!
Ahi vista troppo oscura!
Felici voi se vi vedeva il fato
Men crude e fere, o men leggiadre e belle!
Plutone rivolto verso Amore e Venere così
dice:
PLUTONE
Tornate al bel seren, celesti Numi!
Rivolto poi all'Ingrate, così segue:
PLUTONE
Movete meco, voi d'Amor ribelle!
Con gesti lamentevoli, le Ingrate a due a
due incominciano a passi gravi a danzare
la presente entrata, stando Plutone nel
mezzo, camminando a passi naturali e
gravi.Giunte tutte al posto determinato,
incominciano il ballo come segue.
(Sinfonia)
Danzano il ballo sino a mezzo; Plutone si
pone in nobil postura, rivolto verso la
Principessa e Damme, così dice:
PLUTONE
Dal tenebroso orror del mio gran Regno
Fugga, Donna, il timor dal molle seno!
Arso di nova fiamma al ciel sereno
Donna o Donzella per rapir non vegno.
E quando pur de vostri rai nel petto
Languisce immortalmente il cor ferito,
Non fora disturbar Plutone ardito
Di cotanta Regina il lieto aspetto.
Donna al cui nobil crin non bassi fregi
Sol pon del Cielo ordir gli eterni lumi,
Di cui l'alma virtù, gli aurei costumi
Farsi speglio dovrian Monarchi e Regi.
Scese pur dianzi Amor nel Regno oscuro.
Preghi mi fè ch'io vi scorgessi avanti
Queste infelici, ch'in perpetui pianti
Dolgonsi invan che non ben sagge furo.
Antro è la giù, di luce e d'aer privo,
Ove torbido fumo ogni hor s'aggira:
Ivi del folle ardir tardi sospira
Alma ch'ingrata hebbe ogni amante a schivo.
Indi le traggo e ve l'addito e mostro,
Pallido il volto e lagrimoso il ciglio,
Per che cangiando homai voglie e consiglio
Non piangete ancor voi nel negro chiostro.
Vaglia timor di sempiterni affanni,
Se forza in voi non han sospiri e prieghi!
Ma qual cieca ragion vol che si nieghi
Qual che malgrado alfin vi tolgon gli anni?
Frutto non è di riserbarsi al fino.
Trovi fede al mio dir mortal beltate.
Poi rivolto al Anime Ingrate, così dice:
Ma qui star non più lice, Anime Ingrate.
Tornate al lagrimar nel Regno Inferno!
Qui ripigliano le Anime Ingrate la seconda parte del Ballo al suono come prima, la
qual finita Plutone così gli parla:
Tornate al negro chiostro,
Anime sventurate,
Tornate ove vi sforza il fallir vostro!
Qui tornano al Inferno al suono della prima entrata, nel modo con gesti e passi come prima, restandone una in scena, nella
fine facendo il lamento come segue; e poi
entra nell'Inferno:
UNA DELLE INGRATE
Ahi troppo Ahi troppo è duro!
Crudel sentenza, e vie più crude pene!
Tornar a lagrimar nell'antro oscuro!
Aer sereno e puro,
Addio per sempre! Addio per sempre,
O cielo, o sole! Addio lucide stelle!
Apprendete pietà, Donne e Donzelle!
QUATTRO INGRATE insieme
Apprendete pietà, Donne e Donzelle!
Segue
UNA DELLE INGRATE
Al fumo, a gridi, a pianti,
A sempiterno affanno!
Ahi! Dove son le pompe, ove gli amanti!
Dove, dove sen vanno
Donne che si pregiate al mondo furo?
Aer sereno e puro,
Addio per sempre! Addio per sempre,
O cielo, o sole! Addio lucide stelle!
Apprendete pietà, Donne e Donzelle!
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Il Ballo delle Ingrate Musica