La Spiritualità Ignaziana
08.10.2015 10:25
(Alcune Caratteristiche)
(Omnia) Ad maiorem Dei gloriam
Subito all’inizio vorrei esprimere brevemente alcuni pensieri, che in seguito cercherò di illustrare e
commentare:
1. L’espressione Ad maiorem Dei gloriam oppure Omnia ad maiorem Dei gloriam affonda le sue radici
nella Sacra Scrittura, anche se l’aggettivo «maggiore» non vi appare spesso.
2. La stessa espressione, e quella più semplice «alla gloria di Dio» o «alla gloria del Signore» appare
spesso nel libretto degli Esercizi spirituali di S. Ignazio, nella sua Autobiografia, nelle Costituzioni della
Compagnia di Gesù, nelle lettere di S. Francesco Saverio, e in vari altri scritti connessi con la spiritualità
ignaziana.
3. L’espressione Ad maiorem Dei gloriam rispecchia una delle principali caratteristiche della spiritualità
ignaziana, quella cioè che nel «Principio e Fondamento» degli Esercizi spirituali si chiama magis e che
appare insieme con altri due principi: tantum quantum e indifferentia.
4. Il magis ignaziano è in qualche modo radicato anche nell’ideale cavalleresco della sua epoca e quella
precedente.
Ad 1) Per quanto riguarda le radici bibliche dell’espressione Ad maiorem Dei gloriam, potremmo ricordare
una frase di s. Paolo apostolo: “Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra
cosa, fate tutto per la gloria di Dio” (1 Cor 10, 31). Come si può notare, non vi appare l’aggettivo
«maiorem» (maggiore), però questo non significa che questa affermazione non possa essere ritenuta
come fonte valida per l’ideale ignaziano e cristiano in genere. La «gloria di Dio» si trova indubbiamente
al centro di tutta la Bibbia e costituisce l’ideale cui dovrebbe tendere l’essere e l’agire umano. Perfino la
malattia può essere «per la gloria di Dio», come lo è stata nel caso della malattia di Lazzaro. All’udire
che il suo amico era malato Gesù disse: “Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio,
perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato” (Gv 11, 4). Gesù lo ricorda in seguito a Marta, sorella di
Lazzaro: “Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?” (Gv 11, 40). Sono soltanto esempi di ciò
che costituisce il perno di tutta la Sacra Scrittura.
Ad 2) Essendo centrale nella spiritualità ignaziana, la «gloria di Dio» o «maggior gloria di Dio» appare in
vari scritti «ignaziani» e in varie forme. Per quanto riguarda le Costituzioni della Compagnia (insieme con
le Norme Complementari), e lettere di s. Francesco Saverio, l’uso della suddetta espressione è molto più
frequente e sarebbe eccessivo voler ricordare qui tutti i testi. Perciò mi limito a ricordare soltanto alcuni
testi tratti dal libretto degli Esercizi spirituali e dall’Autobiografia di s. Ignazio.
Nel contesto delle regole per comprendere e fare una sana e buona elezione [E.S.185], Ignazio ci invita
a fare questa elezione “per la maggior gloria di Dio nostro Signore” e anche per la maggior perfezione
della nostra anima.
Nel contesto dei tre modi di pregare, riguardo al primo modo sui dieci comandamenti Ignazio propone
una preghiera preparatoria per chiedere “a Dio nostro Signore la grazia di conoscere in che cosa ho
mancato riguardo ai dieci comandamenti e l'aiuto per emendarmi in avvenire; domando pure una perfetta
conoscenza dei comandamenti, per osservarli più fedelmente e per la maggior gloria e lode della divina
Maestà” [E.S. 240].
Tra le regole “per fare elargizioni” (elemosine), nella seconda regola Ignazio propone: “Voglio immaginare
una persona che non ho mai visto né conosciuto e, desiderando per lei ciò che è più perfetto nel suo
ufficio e nel suo stato, considerare come io vorrei che essa si regolasse nel modo di fare l'elargizione,
per la maggior gloria di Dio e la maggior perfezione della sua anima; farò quindi lo stesso, osservando la
norma e la misura che vorrei per l'altra persona e che ritengo giusta” [E.S. 339].
Per quanto riguarda l’uso dell’espressione “a (maggior) gloria di Dio”, nel racconto del pellegrino ovvero
nell’Autobiografia, desidero ricordare soltanto pochi esempi, per precisione due. Dopo l’esperienza di
Manresa il pellegrino progettava il viaggio in Terra Santa. Doveva prima imbarcarsi sulla nave che partiva
per Barcellona. “Quando andò ad acquistare il biscotto, lo assalirono nuove perplessità: "E' questa la
speranza, la fede che tu riponevi in Dio e che non avresti mai lasciato?", eccetera. Questo dubbio era
così acuto che lo angustiava molto. Non sapeva che cosa fare: da una parte e dall'altra vedeva ragioni
valide. Decise dunque di rimettersi al suo confessore. Gli manifestò il suo vivo desiderio di cercare la
perfezione e di scegliere ciò che poteva dare maggior gloria a Dio, e gli espose i motivi che lo facevano
esitare a prendere con sé provviste” (Autobiografia, n. 36).
Più tardi, progettando il secondo viaggio in Terra Santa, questa volta con i compagni che aveva incontrato
a Parigi, “avevano già deciso, tutti insieme, quello che volevano fare: sarebbero andati a Venezia, poi a
Gerusalemme, e avrebbero speso la loro vita per il bene delle anime. Se non ottenevano il permesso di
stabilirsi a Gerusalemme, tornati a Roma si sarebbero presentati al Vicario di Cristo perché si servisse di
loro dove giudicava che lo richiedesse la maggiore gloria di Dio e il bene delle anime. Avevano anche
stabilito di attendere l'imbarco per un anno a Venezia; se entro quell'anno non fossero riusciti a imbarcarsi
per il Levante, si sarebbero considerati sciolti dal voto di andare a Gerusalemme, sarebbero andati dal
Papa, eccetera” (Autobiografia, n. 85).
Ad 3) L’espressione Ad maiorem Dei gloriam, come si è già detto, rispecchia una delle principali
caratteristiche della spiritualità ignaziana, e cioè il magis, di cui si parla nel Principio e Fondamento degli
Esercizi spirituali. Si può dire che lo spirito del magis pervade tutta la spiritualità ignaziana, ma sarebbe
inesatto dire che questa sua dimensione sia originale rispetto alla spiritualità cristiana che precedeva la
nascita della Compagnia o che era contemporanea di Ignazio. Infatti, come si potrà vedere
nel punto quarto, Ignazio conosceva l’ideale del magis anche prima della sua conversione, e viveva
secondo questo ideale ma in una dimensione diversa. Allora il magis aveva al centro le cose mondane e
le persone al cui servizio si dedicava (re, principi, ecc.). Ma una volta convertito, Ignazio decide di mettersi
interamente al servizio del Re Eterno, secondo l’ideale del magis, cioè sforzandosi di viverlo al meglio,
servire meglio e amare di più Cristo, l’unico Signore e Maria, Madre e Signora nostra.
Nel «Principio e Fondamento» degli Esercizi spirituali l’ideale del magis appare in compagnia di due altre
«regole d’oro» con riferimento al nostro atteggiamento nei confronti delle cose create e del loro uso da
parte nostra, e ne costituisce il coronamento. Per commentare brevemente queste regole (o principi) è
utile ricordare l’intero testo del suddetto «Principio e Fondamento»:
“L'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e così raggiungere la salvezza; le altre
realtà di questo mondo sono create per l'uomo e per aiutarlo a conseguire il fine per cui è creato. Da
questo segue che l'uomo deve servirsene tanto quanto lo aiutano per il suo fine, e deve allontanarsene
tanto quanto gli sono di ostacolo. Perciò è necessario renderci indifferenti verso tutte le realtà create (in
tutto quello che è lasciato alla scelta del nostro libero arbitrio e non gli è proibito), in modo che non
desideriamo da parte nostra la salute piuttosto che la malattia, la ricchezza piuttosto che la povertà,
l'onore piuttosto che il disonore, una vita lunga piuttosto che una vita breve, e così per tutto il resto,
desiderando e scegliendo soltanto quello che ci può condurre meglio al fine per cui siamo creati” (ES,
23).
Il principio da seguire in se stesso è semplice e chiaro, ma la sua applicazione può essere meno chiara,
perché le situazioni in cui deve essere applicato questo principio possono essere molto complesse e
richiederanno il discernimento1.
Ho già menzionato la presenza dell’ideale magis con il riferimento al servizio del Re Eterno. Infatti,
nell’ambito della contemplazione del Re Eterno, che introduce alla contemplazione dei misteri di Cristo,
possiamo leggere il seguente testo: “Quelli che vorranno impegnarsi di più e distinguersi in ogni servizio
del loro re eterno e signore universale, non soltanto si offriranno alla fatica, ma, andando anche contro
la propria sensualità, le affezioni disordinate e le vanità mondane, faranno un’offerta di maggior valore e
di maggiore importanza dicendo” (ES, 97):
“Eterno Signore di tutte le cose, con il tuo favore e il tuo aiuto io faccio la mia offerta davanti alla tua
infinita bontà, davanti alla tua gloriosa Madre e a tutti i santi e le sante della corte celeste: io voglio e
desidero ed è mia ferma decisione, purché sia per tuo maggior servizio e lode, imitarti nel sopportare
ogni ingiuria e disprezzo e ogni povertà, sia materiale che spirituale, se la tua santissima Maestà vorrà
scegliermi e ricevermi in questo genere di vita” (ES, 98).
Il punto di riferimento sicuro per una giusta e fruttuosa applicazione dell’ideale magis è Cristo stesso. Egli
costituisce il criterio del discernimento per scoprire il magis nelle situazioni in cui potrebbe nascere
qualche incertezza. Uno dei testi fondamentali che illustrano questa verità è quello relativo al terzo modo
di umiltà:
“Il terzo modo di umiltà è il più perfetto e consiste in questo: includendo il primo e il secondo modo, e
posto che sia uguale la lode e la gloria della divina Maestà, io, per imitare più concretamente Cristo nostro
Signore ed essergli più simile, voglio e scelgo la povertà con Cristo povero piuttosto che la ricchezza, le
umiliazioni con Cristo umiliato piuttosto che gli onori; inoltre desidero di più essere considerato stolto e
pazzo per Cristo, che per primo fu ritenuto tale, piuttosto che saggio e accorto secondo il giudizio del
mondo” (ES, 167).
La successiva nota spiega come raggiungere questo terzo modo di umiltà: “A chi desidera raggiungere
questo terzo modo di umiltà, giova molto fare i tre colloqui già indicati nella meditazione dei tre tipi di
uomini [147, 156], chiedendo che nostro Signore voglia sceglierlo per questa maggiore e più perfetta
umiltà, per meglio imitarlo e servirlo, purché sia uguale o maggiore il servizio e la lode della divina Maestà”
(ES, 168).
Dai summenzionati testi risulta assai chiaramente che il magis, in sue varie forme (maggior servizio e
lode di Dio, migliore imitazione di Cristo, più impegno nel servizio, ecc.) si riferisce principalmente a noi
stessi e al nostro modo di essere e di operare, piuttosto che alla gloria di Dio, che comunque resta sempre
lo scopo principale e il fine ultimo dei nostri sforzi e di tutta la nostra vita. Inoltre, mi pare che questo
magis non debba essere interpretato neppure nel confronto con gli altri, come se io fossi migliore agli
altri, che serva meglio il Signore che gli altri, che lo ami più degli altri, che procuri più gloria a Dio che gli
altri, e via dicendo. No, questo magis va applicato soprattutto all’intensità del mio sforzo nell’amare e
servire il Signore e alla più perfetta somiglianza a lui. Infatti, come abbiamo potuto vedere nel caso del
terzo modo di umiltà, nei casi in cui la lode e la gloria della divina Maestà fossero uguali, ciò che
costituisce la misura del nostro magis è la nostra somiglianza a Cristo.
Ad 4) L’ideale cavalleresco del Medioevo e dell’epoca di Ignazio costituisce indubbiamente una parte
dell’ispirazione ignaziana del magis e della maggior gloria di Dio. Uno studioso e conoscitore di S.
Ignazio, Padre Rogelio García Mateo, osserva: “Un’interpretazione della persona, dell’opera e della
spiritualità del fondatore della Compagnia di Gesù che parta soltanto dall’epoca posteriore alla
conversione, fissando l’attenzione nelle sue esperienze mistiche senza tener sufficientemente conto della
realtà storica della sua formazione e del suo ambiente religioso e socio-culturale, corre il pericolo di
rimanere nella mera elucubrazione”2.
È vero che nell’Autobiografia le parole con le quali inizia il racconto del pellegrino potrebbero far pensare
che Ignazio avesse totalmente rigettato l’ideale cavalleresco secondo cui viveva prima della sua
conversione: “Fino a 26 anni fu uomo di mondo, assorbito dalle vanità. Amava soprattutto esercitarsi
nell'uso delle
armi, attratto da un immenso desiderio di acquistare l'onore vano” (Autobiografia, n. 1). Con queste
parole, certamente, Ignazio intende dire che il modo in cui egli viveva gli ideali cavallereschi era sbagliato,
però da questo non si può dedurre che li avesse rigettato del tutto3. Dopo la sua conversione, con una
nuova spiritualità egli ha sublimato questi ideali mettendovi al centro Dio, Gesù Cristo e Colei che di
solito, soprattutto nel testo degli Esercizi spirituali, chiamava «nostra Signora», e qualche volta «Madre
e Signora nostra» (ES, 109).
Alla fine vorrei citare un testo di S. Gregorio Magno, Papa, tratto dai Dialoghi, e più concretamente dal
libro II sulla vita di S. Benedetto. Questo per confermare che l’ideale del magis e conseguentemente della
maggior gloria di Dio non è nella spiritualità ignaziana un qualcosa di originale, che non è un’invenzione
di Ignazio, ma che questo ideale affonda le sue radici nella Bibbia e nella spiritualità della Chiesa in
generale. Ed ecco il testo di S. Gregorio Magno:
“Pietro: è proprio interessante quello che dici. Ora però vorrei farti un'altra domanda. Vorrei che mi dicessi
se ha fatto bene a lasciare i fratelli, dopo aver accettato di governarli.
Gregorio: senti, Pietro: io ritengo che se in un gruppo di persone cattive ve ne sia qualcuna cui si possa
portar dell'aiuto, allora è bene che si sopportino con serena pazienza. Ma quando non si vede neanche
l'ombra di un buono da cui sperare un po' di frutto, allora è proprio tempo e lavoro sprecato tutto quello
che si fa per i cattivi, specialmente poi se vi siano a portata vicina altre attività che giovino maggiormente
alla gloria di Dio” (S. Gregorio Magno, Dialoghi, Libro II, n. 3).
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