IL PADIGLIONE VENEZIA
UN PROGETTO TRA STORIA E MEMORIA
La storia di Venezia è storia di una grande ricchezza fondata sul valore aggiunto: da
principio con la produzione e il traffico del sale, poi con i commerci col Levante, infine
con lo sviluppo di produzioni si pregio: armi, vetri, specchi, stoffe e così via. Basti
pensare al filo d’oro che si aggiunge alla seta per impreziosire il tessuto. Così viene
consolidandosi una tradizione artigiana in cui industria e creatività si fondono esaltando
il lavoro.
Non si può dimenticare questo sfondo, il suo significato nella cultura e nell’ingegno
imprenditoriale di Giuseppe Volpi, il magnate che preside la Biennale negli anni Trenta,
fervido decennio in cui nasce anche il nostro Padiglione.
Già nel 1927, con l’avvento dello scultore e sindacalista Antonio Maraini, era cominciato
il nuovo corso della Biennale fascista, che subito si segnala per il trasferimento degli
uffici dal Municipio a Palazzo Ducale, dove nel 1928 venne aperto l’Archivio Storico
d’Arte Contemporanea, mentre ai Giardini viene rinnovato il Palazzo dell’Esposizione.
Qui Giò Ponti copre con un soffitto a cassettoni la sala della cupola e il grande affresco
di Galileo Chini, che verrà rimesso in luce solo nel 1986. Brenno del Giudice dapprima
sistema il caffè bar e la terrazza sul retro; poi, nel 1932 - anno in cui nasce la Mostra
del Cinema al Lido e Duilio Torres rettifica l’aspetto del vecchio e disordinato “Pro
Arte” che diviene “Padiglione Italia” - mette in forma l’organico ampliamento al di là del
canale del complesso che include anche il Padiglione Venezia.
Qui, anche grazie ad un restauro filologico di altissimo livello, troviamo un rimando ad
una grande storia di saperi artistici, di produzioni famose nel mondo.
Qui artisti, sponsor, amministrazioni pubbliche, forze culturali diverse si uniscono e si
esaltano per questa memoria ritrovata.
E il grande cantiere della Biennale richiama ancora una volta su di sé l’attenzione
dell’universo dell’arte ribadendo, anche da questo lembo dell’estrema isoletta di
Venezia, l’inimmaginabile capacità di questo luogo di farsi, ben al di là delle sue
dimensioni reali, metropoli della fantasia creativa dell’umanità.
Madile Gambier
Commissario Padiglione Venezia
IL VALORE DELL’ARCHITETTURA
Il restauro del Padiglione Venezia e la sua restituzione alla città hanno il significato di
una riflessione su ciò che l’architettura rappresenta in quanto espressione di un’epoca,
di una stagione culturale, e in quanto stratificazione di valori etici, estetici, sociali,
irrinunciabili.
La vicenda della sua progettazione e della costruzione è stata oggetto si vari studi che,
con diverso grado di approfondimento, hanno cercato di mettere a fuoco l’originalità
del Padiglione ideato da Brenno del Giudice all’inizio degli anni Trenta. Fin dai progetti
iniziali il Padiglione appare architettura spettacolare, soprattutto nella concezione della
facciata, caratterizzata da suggestioni barocche e rinascimentali, e per la presenza
della scalinata, della vasca e sell’esedra disposte secondo una rigorosa assialità.
L’edificio, destinato a ospitare mostre d’arte decorativa e ad esporre i prodotti più
significativi dell’artigianato veneziano, spicca per la sua essenzialità e per il plastico
biancore del suo fronte in marmorino, una quinta elegante e in un certo senso astratta,
riconducibile ai principi del Modernismo contemporaneo.
Del Giudice è un architetto raffinato, capace di elaborare un linguaggio ricco di richiami
storicisti e le soluzioni da lui proposte si distaccano da quelle profuse nei coevi edifici
espositivi, intrisi di retorica fascista. Oltre ad affermare un linguaggio essenziale,
misurato, l’architetto si dimostra abile nell’elaborare i dettagli visivi, nel definire con
esattezza grafica il disegno si ogni elemento, dalle arcate all’impaginazione delle
pareti, all’iscrizione in rilievo posta in facciata, secondo la tradizione più alta delle arti
decorative contemporanee.
Certo, ciò che oggi viene recuperato restituisce soltanto parzialmente l’architettura
originaria, ma di questa rimane una testimonianza ricca di valore e in grado di
comunicarci suggestioni. La funzione di un’architettura consiste del resto nella sua
capacità di rimetterci in sintonia con un tempo speciale e di aprirci ad un cambiamento
attivo, dinamico, che per questo ci colloca in un punto si vista mutato.
Alois Riegl ha scritto parole dense di significato sul valore e la legittimità dei nostri
interventi sugli edifici, sui monumenti e su qualsiasi oggetto abbia un valore storico,
evocativo. Parole che ci è utile ricordare. Per Riegl, “se esiste solo un valore artistico
relativo e moderno, e non uno eterno, allora il valore artistico di un monumento non
è più un valore in quanto memoria, ma un valore contemporaneo”. Molto dipende
dalla nostra capacità di storicizzare e di interpretare, poiché “il senso e il significato di
monumenti non spetta alle opere in virtù della loro destinazione originale, ma siamo
piuttosto noi, i soggetti moderni, che li attribuiamo ad essi”. La capacità di porci come
soggetti del nostro tempo è dunque decisiva; ed è indispensabile per noi comprendere
il rischio delle deformazioni che si producono nel tempo, quando le architetture non
vendono protette dall’imprevedibile e spesso fragile itinerario della loro “vita”.
Come ha scritto Rafael Moneo, “le opere d’architettura sono coinvolte dal trascorrere
del tempo in modi caratteristici, singolari, specifici. Un’opera d’architettura invecchia in
modo ben diverso da come invecchia un quadro. Il tempo non è solo una patina per
un’opera d’architettura e spesso gli edifici subiscono ampliamenti, includono riforme,
sostituiscono o alterano spazi ed elementi (…). Il cambiamento, il continuo intervento,
che lo si voglia o no, sono il destino di ogni architettura”.
La realtà del Padiglione Venezia è ora ben diversa da quella originaria e così la sua
condizione rispetto al contesto che lo include. Scelte che appaiono oggi incomprensibili
hanno fatto sì che il contorno in cui il Padiglione è sorto sia stato profondamente alterato.
La costruzione del Padiglione del Brasile, nel 1964, ha di fatto ostruito la percezione
della facciata del Padiglione ed ha annullato l’assialità che lo metteva in relazione con il
ponte che dava accesso alla seconda “insula” dei Giardini della Biennale, intesa come
espansione di quella iniziale allineata lungo il bordo lagunare. Di questo è necessario
essere consapevoli, ma i lavori di restauro compiuti ci consentono di riflettere in una
nuova prospettiva. Appare evidente che l’afterlife degli edifici è importante quanto la
loro realtà progettuale e costruttiva, e lo stesso ragionamento può essere valido per
gli spazi che li accolgono. È per questo importante ritornare a ragionare sul modo
migliore di tutelare e di valorizzare l’architettura della città, senza fratture, amnesie
o brusche interruzioni. Architetture e monumenti rappresentano sempre dei valori da
salvaguardare, soprattutto quando il declino, per ragioni sociali, economiche, politiche,
o semplicemente per il loro degrado fisico, sembra inarrestabile, e la loro perdita
inevitabile.
Riflettere sull’edificio ideato da Brenno del Giudice significa porre la questione del
suo significato contemporaneo e del ruolo che esso può assumere nel sistema
degli spazi espositivi della Biennale. Ma è certamente giunto anche il momento si
ripensare all’intero ruolo svolto dai Giardini, per una ridefinizione complessiva e una
riqualificazione che necessita di una di una visione più ampia, all’interno di una dinamica
che ha storicamente assegnato a questo contesto una importanza strategica e che
dobbiamo identificare oggi, in una prospettiva più moderna, nella “città-paesaggio” per
eccellenza.
Il recupero del Padiglione Venezia costituisce in questo senso una tappa cruciale.
Renzo Dubbini
Curatore Padiglione Venezia
MARI VERTICALI, Fabrizio Plessi, 2011
METHODICAL IMAGININGS, Nicholas Hawksmoor, 2012
SILK MAP, 2013
Design e stampa - CPM - Comune di Venezia - 2014
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Libretto Padiglione Venezia