ECCELLENTI
E INN ONJ] TORI?
ORA SER`T;
SOBRIETÀ
di DAVIDE BASSI
Anche le parole seguono
le mode. Una decina di
anni fa tutti si
dichiaravano eccellenti.
Nessuna cosa era
considerata degna di
attenzione a meno che
non fosse collocata al
vertice della scala di
qualità. Pochi erano
coscienti del fatto che
l'eccellenza dovrebbe
essere riconosciuta dagli
altri, mai autoproclamata.
Poi un bel giorno
Salvatore Settis, allora
direttore della Normale di
Pisa, scrisse un libretto dal
titolo «Quale eccellenza».
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E cellent o
c
.
i
Un libretto in cui spiegò l'origine di quella moda, diffusasi inizialmente tra gli atenei americani di livello medio-basso: autoproclamando eccellenze tutte da
verificare, avevano impostato efficaci campagne di marketing
per sottrarre studenti agli atenei
di alto livello. Rapidamente come era arrivata, la moda dell'eccellenza si estinse.
Esaurita la fase dell'eccellenza, è arrivata prepotente la fase
dell'innovazione. Incuranti del
fatto che ci sono un sacco di stupidaggini che nessuno ha mai
fatto prima, gli innovatori si misero al lavoro partendo dal settore che in questo scorcio di secolo ha influenzato maggiormente
la vita di tutti noi: la finanza. Forse qualcuno ricorda ancora quando Irlanda e Spagna erano citate
come esempi da imitare. I risulta-
.
.
ti sono sotto gli occhi di tutti. Ovviamente considerare i rischi del
cambiamento non significa predicare l'immobilismo e ciò è tanto più vero in una società viscosa come quella italiana. Tuttavia
se si riduce a un mantra o a
un'etichetta da sovrapporre a
vecchi modi di pensare, l'innovazione finisce per produrre risultati opposti rispetto a quelli attesi.
Anche la moda dell'innovazione è ormai in fase calante. Il termine ricorre ancora nel linguaggio dei politici, ma ormai è sorta
la nuova stella a cui tutti dovremo fare riferimento. I tecnici ci
hanno portato la sobrietà. Sarà
che anni di eccellenza e di innovazione ci hanno lasciato solo
un mare di debiti, ma essere sobri è diventata una scelta obbligata. Tanto vale renderla pure di
moda.
Anche la sobrietà ha i suoi limiti. Di eccesso di sobrietà si
muore, come dimostra l'esperienza quotidiana. La sobrietà ha
però almeno un vantaggio: ci costringe a ripensare a tutto ciò
che facciamo, definendo limiti e
priorità. Ad esempio, sono rimasto molto impressionato quando il presidente Squinzi ha chiesto di abolire gli incentivi alle imprese, utilizzando i risparmi di
spesa per ridurre il carico fiscale. Mi sembra un esempio di sobrietà e, se permettete, anche di
innovazione, perché va nella direzione di far morire le imprese
decotte che vivono solo di contributi pubblici e di favorire la parte sana delle aziende che continuano a battersi per essere competitive.
Esempi analoghi potrebbero
essere facilmente estesi a tanti altri settori. Per parlare di un sistema che conosco bene, si potrebbe avviare un piano di ristruttu-
razione delle università italiane
chiudendo le sedi che non soddisfano livelli minimi di qualità.
Negli ultimi decenni la diffusione territoriale delle sedi accademiche è stata guidata da interessi economici e politici più attenti al campanile che alle reali esigenze degli studenti. Sono errori
che si pagano. Sarebbe ora di intervenire: proprio come Squinzi
propone di fare per le imprese,
si dovrebbe favorire lo sviluppo
della parte più sana del sistema
universitario, recuperando le risorse dove sono male utilizzate.
In fondo, se la sobrietà venisse applicata con intelligenza e
senza eccessi, potrebbe rappresentare un'occasione per favorire un profondo rinnovamento
della società italiana e magari
per consentire a chi lo merita di
raggiungere reali livelli di eccellenza.
Davide assi,
rettore dell'Università
degli studi di Trento
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editoriale di Bassi: "Eccellenti o innovatori? Ora serve sobrietà".