L’ANNO DI GIANNONE
Mente mirabilmente lucida, coscienza chiara dei problemi del suo
tempo, colti coraggiosamente nella loro drammatica contingenza, tensione morale sostenuta da un febbrile impegno politico, questi alcuni
aspetti rilevanti della modernità di Pietro Giannone. Nel Settecento
preilluministico fu egli il primo e più eminente giurista e politico del
dissenso con una conoscenza storica in tal modo finalizzata, con una
pertinace contestazione di ogni potere carismatico, con l’indomita affermazione della libertà di pensiero e di uno Stato sovrano, modernamente concepito, contro ogni usurpazione feudale, ecclesiastica e assolutistica e nel rintracciare nel più oscuro medioevo, sin dalla formazione del Regno del sud, le congenite radici dei mali meridionali.
Pur se è ancora in corso una vibrata polemica tra gli studiosi, per
un discusso mutamento di tiro nella lotta (sostenuta da Giannone e dai
suoi amici), da quella antibaronale a quella antiecclesiastica, ritenuta
da alcuni presuntivamente più facile e da altri, invece, per la sua scottante e centrale contingenza storica, più urgente e più eroicamente ardita, non si può negare a questo intrepido contestatore il senso moderno dello Stato e il suo programmato dissenso contro ogni usurpazione.
Fu così egli vittima di un fenomeno storico di poteri ora coalizzati ora
divisi da interessi diversi, e pertanto paradossalmente e tragicamente
sacrificato prima alla ragion di chiesa con l’esilio, poi alla ragion di
Stato con il carcere.
Alla denuncia socio-economica, costante e appassionata degli illuministi meridionali e dei meridionalisti, tutti venuti di poi, da Broggia
a Fortunato, da Longano a Salvemini, va aggiunta una più remota
componente speculativa — la premessa cioè di un comune pensiero
politico e religioso di tanti meridionali che hanno pagato di persona —
che raggiunse il suo vertice nell’incisiva e costruttiva opera di Pietro
Giannone. L’audace testimonianza di tanto pensiero ha dunque il connesso, fatale risvolto di una pesante e dolorosa catena di incomprensioni e di persecuzioni.
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Sono così abbandonati all’isolamento o infamati di eresia, spinti
all’esilio, costretti in carcere o inviati al rogo, i calabresi Cassiodoro
(« salvatore della civiltà occidentale »), Gioacchino da Fiore (accusato
di eresia), il « comunista » Campanella, e il contemporaneo economista Antonio Serra (entrambi con lunga permanenza in carcere), il
nolano Giordano Bruno e il salentino Giulio Cesare Vanini (entrambi
condannati al rogo) e per ultimo Pietro Giannone che, con un tranello
diplomatico che ricorda quello in cui incorse G. Bruno, languì per una
dozzina di anni nelle prigioni del re sabaudo. Unisce tutti questi martiri, ossia testimoni di una propria idea nuova, un’ansia ora profetica,
ora squisitamente politica, palingenetica e rivoluzionaria; un’ansia di
rinnovamento sollecitata da un comune pensiero che ha la carattestjca
costante di una bipolarità politico-religiosa. Ma se in Gioacchino da
Fiore, accanto alla nota sociale, predomina quella religiosa in senso
apocalitticamente profetica; se in Campanella (« volgare imbrogliatore
», così Giannone) prevale il tono di una vaga e utopistica aspirazione;
se in Bruno arde l’ansia cosmica di un rinnovamento spirituale; se
Vanini, precorrendo precocemente Darwin (asserendo « la derivazione
dell’uomo dalla scimmia ») o, addirittura Teilhad de Chardin, si spinge preferibilmente a concepire una fervida metafisica naturalistica («
la stessa natura che è Dio »), ma è però accostabile all’autore del Triregno per l’accentuata istanza razionalistica e per la miscredenza
nell’immortalità dell’anima (un riscontro stimo lante tra questi due
pensatori pugliesi è ancora da fare); Giannone, invece, divorato preminentemente dalla febbre politica, si inserisce, con puntuale e fruttuosa incisività e con precisa coscienza giuridica, nel concreto tessuto
storico del suo tempo.
* * *
Il 1976 è dunque « l’anno di Giannone ». Suggerito felicemente dal
direttore di questa rivista (già per precedenti scritti occasionali in merito), il titolo indica l’anno commemorativo della nascita, nel ricorrente ritmo centenario, di italiani di fama universale. Pur nella sua
implicazione ambigua esso in vero vuole avere una duplice significazione: la portata che questi grandi ebbero nella propria età storica e,
a una verifica, lo spessore della loro risonanza e valida presenza nel
nostro tempo. Ognuno di essi ha innegabilmente arricchito il nostro
patrimonio mentale e intellettuale, affinando a un tempo la nostra perspicuità espressiva: Dante, è il divino dono d’un linguaggio poetico,
ancora così frequente nelle nostre sentenziose citazioni quotidiane;
Croce, è il limpido dono di una prosa che è ormai a base di ogni discorso culturale anche in chi non l’ha mai letto o l’avversa; Galilei, è
il modo di interpretare il mondo della natura con spregiudicate leggi
scientifiche che questa stessa suggerisce; Vico, è il realistico modo di
guardare geneticamente il mondo fatto dagli uomini, rinvenendone
cioè le provvide leggi che regolano il ritmo del suo svolgimento
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storico, e fondatore di una rivoluzionaria antropologia, di efficace impulso a non ‘poche odierne scienze umane a partire dalla linguistica e
dalla mitologia.
Diverso il discorso per Giannone, come, per Dante, Galilei e Vico,
diversa è la fortuna nel proprio tempo e dopo. Dovuta quasi esclusivamente alla Istoria civile, rapida e divampante è stata la fama di
P. Giannone nel secolo che fu suo. Valga la rilettura di due testimonianze insigni di personalità del suo tempo. A un ventennio dalla
sua morte, e già con parabola giannoniana discendente nel pieno meriggio illuministico, è del 1769 questo sintetico giudizio ufficiale: « il
più grande, più utile allo Stato e più ingiustamente perseguitato uomo
che il Regno abbia prodotto in questo secolo ». Esso è dovuto alla
penna di Bernardo Tanucci che pur nel 1761 propose che si negasse la
licenza a una nuova edizione dell’Istoria e che, ancora prima (1745),
astiosamente annotava che a Napoli l’Istoria era considerata « il Vangelo del ministero togato ». Ma il celebre ministro era costretto a cogliere umori, sentimenti e opinioni diffusamente vibranti nell’aria al
tempo del suo citato dispaccio reale.
E ancora un decennio prima dei tragici fatti della Repubblica partenopea, E. de Fonseca Pimentel con mirabile chiaroveggenza rilevava: « Pietro Giannone coi suoi scritti aveva formato dei napoletani
quasi una nuova nazione ». (E « non è un mero detto enfatico », così
Croce). Ma i secoli successivi registrano un notevole affievolimento
della voce giannoniana con l’incalzare di una denigrazione piuttosto
accanita: una vera serie di disavventure postume da aggiungere
all’infelice sorte di Giannone. La sua fama si è vieppiù ridotta alla ristretta cerchia di studiosi, spesso con giudizi limitativi. Le incalzanti
nuove ideologie politiche e sociali hanno avuto anche il loro ruolo di
negatività nei riguardi del « regalista napoletano »: un disusato e anacronistico strumento dei prìncipi da parte laica e liberale (Settembrini
ed altri) e uno spregiudicato raccoglitore di scritti e opinioni altrui, carente di originalità e di vero senso storico da parte cattolica e neoguelfa (a partire da Manzoni, che non poteva conoscere che l’Istoria, a
studiosi più recenti). Sarà uno di questi, all’inizio del Novecento, a
provocare un generoso noto scatto di G. Gentile dall’ironico titolo P.
Giannone plagiario e grand’uomo per equivoco.
Ma si deve pur rilevare che tuttora fama (derivante da un desiderato, più adeguato e più esteso riconoscimento critico) e risonanza
nel gran pubblico non ancora, come sarebbe auspicabile, corrispondono alla reale grandezza di Giannone; e ciò nonostante il conforto di
un’odierna giovane critica che gli dedica cure attente, acute e insieme
appassionate. Nella ricorrenza del terzo centenario della sua nascita,
con l’assenza di una iniziativa ufficiale, il silenzio della stampa è stato
pressoché totale, in quotidiani e riviste. Anche a un convegno di studi
per tale occasione centenaria, promosso da due sodalizi di cultura (la
Società di Storia Patria e la Società Dauna di Cultura), svoltosi in
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Capitanata tra Foggia e Ischitella, non pochi dei suddetti studiosi, pur
invitati con sollecita diligenza per l’ambita loro presenza, sono mancati all’appuntamento di un riscontro che era da ritenere doveroso. Anche del convegno, in Italia e fuori, non si è avuta che una pallida eco.
Malgrado tanta indifferenza, rimane però l’omaggio dei convegnisti,
quale atto riparatore a livello nazionale, per la prima volta, a trecento
anni dalla nascita, nella nativa Ischitella.
Eppure era da ritenere che proprio la nuova temperie del nostro
tempo fosse finalmente la più idonea ad accogliere il messaggio giannoniano.
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E’ dunque davvero lunga la litania delle disavventure in cui è incorso Giannone: scomunica, esilio, persecuzione, carcere, dopo un inquieto errare da bandito; e inoltre le connesse insinuazioni e calunnie,
di plagiario disinvolto, di poco scrupoloso fruitore di fonti e di scritti
frutto di ricerche altrui (in quanto « allergico alla polvere degli archivi
»), trafugatore di manoscritti di grossa importanza storica, usurpatore
di una fama di modernità nella lingua (dovuta invece a suoi amici correttori di un italiano poco ortodosso) e via enumerando; tutte dirette ad
aggravare la sua disgraziata situazione e a svalutarne opere e meriti.
Esse, pur nella loro intenzionale misura riduttiva, sono così d’ordine
soggettivo.
Ma la più grande ed oggettiva sfortuna di Giannone sta nella singolarità del suo destino. Si può tuttavia parlare, e non in senso pirandelliano, di Giannone uno e due. Un Giannone, cioè, storicamente
realizzato nel suo tempo, legando responsabilmente e preminentemente il suo pensiero e la sua azione alla Istoria civile, e un Giannone «
postumo », ormai senza più incidenza nel corso storico, ignorato autore di opere di rilevanza non trascurabile, tra cui il Triregno e la Vita,
infelicemente pubblicate a distanza di un secolo e mezzo dalla sua
morte e mentre si invoca ancora un’edizione critica dell’intera opera
giannoniana con l’aggiunta del carteggio inedito.
La sua personalità è così tardivamente e quindi laboriosamente integrata a tavolino dagli studiosi. Tale ricomposizione può avere un intellettualistico vizio originario, e può in buona parte spiegare la tendenza unidimensionale di tanti giudizi.
L’interpretazione univoca, che poi vuol essere a un tempo risolutamente onnicomprensiva, corre il rischio dell’etichetta semplificatrice e
dell’anemicità. Di qui quella diffusa insoddisfazione per un Giannone
« puro » regalista, « puro » giurisdizionalista; ghibellino in ritardo o
neoghibellino in anticipo sul Risorgimento; semplice giureconsulto o
con l’apostolica vocazione del riformatore religioso; comunque un anticurialista che finalizza politicamente la sua storia in schemi giuridici,
dove anche il termine « civile » può essere inteso quale sinonimo limitativo di « giuridico ».
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Una conferma di quanto fin qui esposto ci viene dalla più recente
polemica tra chi sostiene un Giannone la cui genialità è compiutamente risolta nell’Istoria e chi batte preferibilmente l’accento sulla
componente religiosa espressa dal Triregno, intesa come integrazione
di quella civile e politica dell’Istoria. Si è già accennato all’altra polemica su un Giannone che restringe, col suo gruppo anticurialista, la
sua lotta politica al potere ecclesiastico. E c’è chi insiste che, oltre
1’Istoria e il Triregno, non si può sottovalutare l’importanza della Vita per i suoi ineliminabili elementi che meglio integrano la figura di
Giannone e ne illuminano l’intera opera con il relativo « invito al ripensamento di un secolo che ancora attende di essere scoperto nella
sua interezza ».
Tuttavia proprio per questo un punto positivo è certo: la storiografia di questi ultimi decenni, chinandosi sui testi, con acuta penetrazione e insieme con passione, lodevole umiltà e spregiudicato atteggiamento verso interpretazioni passate, ha già il non piccolo merito di
aver spazzato via tanta nebbia di incomprensione o di intenzionale
svalutazione dovuta a diverse motivazioni ideologiche, filosofiche,
politiche, religiose.
* * *
Cade ora opportuna qualche considerazione in merito a polemiche
di ieri e di oggi.
Un’esigenza storica pone in evidenza la grandezza di chi ne comprende l’imperiosità e le consacra un servizio collegato di idea e ‘prassi. E’ un primo merito di Giannone avere avuto chiara coscienza di tale contingenza inserendo con puntualità la sua azione preminentemente politica nel contesto storico.
La lezione antibaronale di Francesco D’Andrea non era stata negletta, ma assorbita in un più ampio campo d’azione. Il giovanissimo
garganico, venendo a Napoli (1694) dalla sua terra d’origine, la Daunia (mentre di lì a poco l’autore degli Avvertimenti ai nipoti, ormai
appartatosi, vi andava a morire, Candela 1698), respirò principalmente
quella fervida atmosfera di lotta creata da un tanto maestro (Venuto
tardi, dirà egli nella Vita, « non potei avere il piacere d’ammirare
l’eloquenza dell’incomparabile Francesco di Andrea »). Senonché
all’inizio del nuovo secolo, congiura nobiliare, mutamento di regime
(dallo spagnolo all’austriaco), nuove diverse pressioni politiche, imponevano nella linea di azione un mutamento di tiro. Sono gli anni in
cui Giannone già concepisce e inizia la stesura dell’Istoria.
L’atmosfera è resa rovente da una sorta di manifesto ancurialista contro la chinea, il nullum jus pontificis romani in Regnum neopolitanorum (1707), frutto del più acceso gruppo anticurialista e tradotto alla
fine del secolo da E. de Fonseca Pimentel che ne aveva ravvisato la
sostanza esplosiva (mentre « l’Argento — ricorderà ancora Giannone
— col lungo studio e indefesso esercizio, aveva superato la sua stessa
natura, la quale in ciò non gli fu molto propizia, sicchè i suoi
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discorsi riuscivan acuti, dotti, fortissimi ed attissimi a persuadere ».
Pietro Giannone, Vita scritta da lui medesimo, cap. III, 1).
La critica al potere ecclesiastico, per la sua centralità, avrà così
un’ampia estensione a ventaglio fino a coinvolgere i fondamentali diritti civili, in termini di libertà, e dello Stato in termini di sovranità («
poiché la dominazione delle cose temporali appartiene ai Principi, e la
Chiesa è nella repubblica, come dice Ottavio Milevitano, e non già la
repubblica nella Chiesa, bisogna che gli ecclesiastici ed anche i prelati
della Chiesa ubbidiscano al magistrato secolare in ciò ch’è della polizia civile »).
L’avere egli sottratto la pubblicazione dell’Istoria alla censura ecclesiastica provocava la formazione del primo anello della sua catena
di disavventure. Ma la sua prima e diretta presa di posizione pubblica
risale al tempo (1715) della sua vigorosa allegazione a stampa in difesa degli olivicoltori salentini di San Pietro in Lama. Rappresenta essa
una prima tappa del pensiero storico-giuridico giannoniano contro le
usurpazioni ecclesiastiche, questa volta nella persona di F. Pignatelli,
nell’ambigua duplice veste di barone e di vescovo di Lecce. In tale occasione Giannone aveva modo di rilevare come l’arroganza del feudatario ecclesiastico era pericolosamente maggiore di quella laica. Intuita la gravità dell’asserzione del suo collega-avversario e del vescovobarone, Giannone si oppose fermamente alla tesi della natura divina
delle decime dovute alla mensa ecclesiastica. Nonostante il racconto
di tono trionfalistico, fattone da Giannone nella Vita, per lo « strepito
»avutosi, in Napoli e a Lecce, e malgrado una miseranda transazione
del 1745, vera resa a discrezione dei vassalli dissanguati dalle spese, i
tribunali napoletani non posero mai fine alla causa per l’evidente resistenza della parte ecclesiastica (« Date ai preti tempo e tavolino e siete
fritti », usava dire amaramente Giannone).
Dalla lettura dell’Istoria, insomma, e dall’attività politica del suo
autore, balza comunque evidente una serrata critica al potere con
un’inesausta analisi della natura delle leggi: nessuna di esse è di natura divina e, in tal modo, nessuna istituzione, né Chiesa né Stato, può
presumere di esserne depositaria.
Nel sostenere la natura umana delle leggi, Giannone ne individua
la contingente storicità. Egli non piega la storia al servizio della legge,
ma la legge « propone come problema storico, come documento di un
tempo, come ragione di un mondo che bisogna spiegare » (G. Ricuperati). Si deve pertanto rilevare « che se il G. non riduce la sua ricerca
al solo impulso anticuriale, non soggiace neppure al culto per il diritto
divino dei sovrani, idolo dei regalisti contemporanei, quali erano i suoi
amici e compagni di lotta Argento e Riccardi » (A. Corsano). E si deve quindi aggiungere che lo Stato, sia pure impersonato dal principe,
rappresenta sempre l’intera società in cammino sul quale l’altro potere, la Chiesa, ha esercitato una costante azione di disturbo e di sopruso. Tuttavia è stato comunque osservato « che le due forze che il
Giannone scoprì nella storia, lo Stato e la Chiesa, restarono per lui due
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entità giuridiche e non storiche » e che « la sua storiografia non si discostasse dai precedenti modelli, nella sostanza, facendo centro di tutta la storia il principe assoluto » (Salvatorelli). E c’è chi incalza che in
una tale storiografia « manca l’idea di uno sviluppo, di un processo,
perché manca una soggettività piena, in atto di esplicarsi; la soggettività di un popolo. Il soggetto è, per Giannone, l’individuo, il sovrano;
la ragione del mo vimento storico è la mera ragione dinastica » (De
Ruggiero).
Sennonché la considerazione che nella sua Istoria l’autore « è portato dal suo temperamento a colpire l’aspetto formale e giuridico »
può lasciare insoddisfatti se si trascurano quei fini e quelle ragioni o
idealità che la sollecitarono e pervasero. Certo, polarizzare
l’attenzione sulla componente giuridica, isolandola dal contesto storico, può far venir fuori una storia monocorde, ma pur sempre storia, intenzionalmente così concepita e divenuta efficientissimo strumento di
lotta politica. La sua novità o modernità sta appunto nella felice connessione tra idea e prassi. Analogamente, nate in un determinato clima
storico, nonostante l’esplicita dichiarazione di obbiettività dell’autore,
le crociane Storta d’Italia e Storia d’Europa sono state anch’esse stimolate da un drammatico impulso politico. (Si tratta, egli avverte, di
un « racconto » che « cerca sempre il vero moto e il vero dramma negli intelletti e nei cuori »).
Era quindi la lotta contro il potere ecclesiastico il problema centrale del momento, la piovra che paralizzava i gangli di uno stato mo dernamente concepito: sovrano e autonomo. Giannone ne individua i
termini essenziali, enucleando il punto nevralgico nel libro XXXIII
dell’Istoria: Pio V, giunto al Pontificato, « fu terribile contro i settari,
ed in Roma ne’ primi anni del suo pontificato fece ardere Giulio Zoanneto e Pietro Carnesecco, sol perché s’era scoperto che questi teneva amicizia e corrispondenza co’ settari in Germania, ed in Italia con
Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga sospette d’eresia. Questo medesimo infelicissimo fine ebbe per lui l’eruditissimo Antonio Paleario, il
quale, intesa la sua condanna, disse: inquisitiones esse sicam districtam in Literatos » (cap. IV). Era dunque l’Inquisizione un pugnale
brandito contro gli intellettuali. Nel 1747 a Napoli, un anno prima della morte di Giannone in carcere, sarà opportuno il partito degli intellettuali, guidato dalla sua punta più intrepida, il giannoniano Nicolò
Fraggianni, a contribuire preminentemente nell’avvenuta abolizione
del tribunale dell’Inquisizione.
Sempre nel libro XXXIII sono da rileggere, notando anche il tono
vibrante, i capitoli IV-VII che contengono il dettagliato racconto degli
effetti prodotti dalle contese insorte in Europa e nel Regno per la pubblicazione (1567) della « cotanto famosa e rinomata bolla In Coena
Domini », resa poi ogni anno « vieppiù fulminante », ricusata da Napoli perché essa « oltre infiniti eccessi, butta[va] interamente a terra la
potestà de’ prìncipi, toglie[va] loro la sovranità de’ loro Stati, e sottopone[va] il lor governo alla censura e corregimento di Roma ». «
Tutti i capi della bolla sommamente pregiudicavano alla regal giurisdizione ».
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* * *
Il balzo di genialità compiuto dalla più chiara e precisa coscienza
giuridica di Giannone, rispetto al suo gruppo e al suo maestro Argento, che « vacillava » empiricamente e qualche volta si smarriva nelle
minuzie delle contese contingenti tra Stato e Chiesa, mentre la situazione storica imponeva un più alto dominio, sta nel risoluto ricorso alle radici storiche di ogni questione, di ogni usurpazione e di ogni ideologia, basata sul diritto comune e su un ozioso conformismo del consenso. Il ginepraio delle liti ingenerava spesso ora confusione ora collusione tra i due poteri. Ridotti Stato e Chiesa (a parte il ministero divino di quest’ultima) a due istituti terreni umani e caduchi, soggetti
all’evoluzione delle esigenze storiche, questo giurista del dissenso con
le sue illuminazioni poteva così mietere consensi anche nei due campi
avversi. « Queste contese somministrarono più occasioni di studiare
sopra tali materie; e per opporsi con maggior vigore, non si rimase,
siccome si era fatto per lo passato sotto gli Spagnoli, a’ soli esempi ed
alle loro massime, cavate da un immaginario e non ben sodo e stabile
diritto canonico, ma si passò più avanti: alle origini, a’ canoni, alla
dottrina de’ Padri, ed all’antica ed incorrotta disciplina della Chiesa.
Sicché si cominciavano a dimo strare con maggior evidenza le usurpazioni ed attentati e, per conseguenza, a più fortemente resistergli. Le
investigazioni delle quali cose, poiché l’Argento per alleviar tanta fatica solea valersi della mia opera e di altri suoi allievi, fecero che io
maggiormente stendessi le mie conoscenze e toccassi più a fondo le
origini, onde tante contese giurisdizionali provenissero, ed a che deboli ed arenosi fondamentali si appoggiassero le macchine che la Corte
romana, più per altrui debolezza o ignoranza, che per propria virtù,
avea innalzate, e che la sola dottrina delle origini e la sola istoria delle
occasioni de’ loro progressi bastava a rovesciarle » (Giannone, Vita,
IV).
Poco importa però stare a discutere sulle origini divine dell’uno o
dell’altro potere; premeva al Giannone, disgregando ogni pigra ideologia corrente sul diritto comune e sul diritto canonico, denunciare abusi, soprusi, collusioni, ambigui sincretismi, carismi di ogni potere.
Egli mirava a sottolineare non la natura divina del potere, ma il fondamento morale di ogni legge; e più tardi un fondamento religioso ispirato da un’ansia di rinnovamento civile e politico. La coerenza del
suo pensiero con la sua azione non è posta in dubbio: alla chiarezza
delle idee, faceva sostegno il suo « temperamento morale » ardimentoso, consequenziale, pertinace, si sarebbe tentati di dirlo roccioso
come il suo Gargano. L’Istoria civile « aveva individuato un punto
debole dell’ideologia politico-giuridica dominante, sostegno del sistema non solo di cultura, ma di potere in atto, ed in quella direzione
aveva duramente colpito. La linea di lesione presente nella unanimitas
umanistica e nel suo equivalente in campo giuridico, l’ordinamento
del diritto comune, corrispondeva al punto in cui si realizzava la sintesi di divino e di umano secondo la nota definizione ulpianea, ripetuta
fino alla noia dai giuristi: strutture essenziali ed istituzioni storiche,
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valori religiosi e comportamento morale dei magistrati vivevano in
una sintesi indiscutibile, confermata e convalidata da una vicenda europea ben più che millenaria » (R. Ajello).
Il Giannone che ha arricchito il nostro spirito sta in questa mo derna concezione dello Stato laico; nella separazione delle due sfere di
potere; nella distinzione di funzioni politiche e divine; nel dovere la
Chiesa sottostare alla sovranità dello Stato e pertanto considerare prescrittibili tutte le sue prerogative temporali e materiali; nell’affermazione di una feconda libertà di pensiero; nella formazione di una
più chiara coscienza civile fondata su irrefutabili tutele giuridiche; infine nella denuncia dell’equivoca arcanicità delle leggi che, congiunta
alla presunta sacralità, era in effetti un millenario strumento di comune usurpazione di entrambi i poteri.
Sono questi i punti fermi a cui è pervenuta finalmente la critica.
Anche il convegno foggiano del 1976 è stato l’occasione per una verifica. L’apertura di una prospettiva storiografica costruttiva ha avuto
l’avvio agli inizi del secolo e ha dato i suoi frutti più cospicui in questi
ultimi anni. La figura di un Giannone giurista, pensatore, storico, polemista, sta assumendo connotati più precisi.
Pur con i discussi limiti di visuale, spetta all’idealismo (con i citati
Gentile, De Ruggiero, Nicolini, cui va l’unanime riconoscimento di un
prezioso, inesausto contributo filologico), il merito iniziale di questa
revisione; e in un comune ambito culturale sono da aggiungere gli storici Salvatorelli e Omodeo. Rimane feconda questa tempestiva indicazione di Fueter: « La Storia del regno di Napoli ha introdotto nuova
materia nel campo della storiografia. Si può chiamare il Giannone
fondatore della storia giuridica e costituzionale. Ciò che prima era stato trattato solo nella letteratura tecnica giuridica generale del paese ».
Anche la tesi regalistico-giurisdizionalistica (Marini) ha avuto una
più ampia configurazione integrativa. Per un verso si rileva l’aspetto
preilluministico e per un altro si propone di considerare quello « della
riforma religiosa, con le sue propaggini educative in senso populistico
». Esso « illumina un filone forse più profondo, certamente più largo
dell’influenza giannoniana nella cultura illuministica meridionale »
(N. Sapegno).
Questo « senso populistico » può suscitare riserve se riferito
all’ambito ristretto di una tematica sociale com’è odiernamente intesa
e come parrebbe da qualche corriva considerazione di chi vede nella «
poderosa allegazione », in difesa degli olivicoltori salentini « un eccellente documento di sensibilità sociale » (Corsano). A parte che qui si
tratta di agricoltori che non hanno avuto nessun peso nella vita sociale
e politica del tempo, si ricorderà invece lo sprezzante atteggiamento di
Giannone nei riguardi della plebe sollevata dal « vilissimo Masaniello
», ben diverso da quello del suo maestro ideale, Francesco d’Andrea,
che da una parte della nobiltà era tacciato di « capopopolo »
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e « ribelle » al tempo di Masaniello.
Senonché qui pare giusto sottolineare quelle « propaggini educative » in senso pedagogico, morale e religioso, esplicite nella volontà
giannoniana. Si trattava, « fin da allora, di individuare con esattezza
gli ostacoli che essenzialmente » si contrapponevano « ad ogni sviluppo in senso progressivo della vita del paese; e già in Giannone, e via
via fino ai rivoluzionari del ‘99, questi ostacoli » venivano « riconosciuti prima di tutto nella superstizione e nell’ignoranza della plebe e
della piccola borghesia », in cui consisteva, « per riflesso, l’arma principale e il possibile esercito di riserva delle forze retrive o almeno
conservatrici e conformiste; donde la funzione predominante che in
questi riformatori » assunsero « il problema dell’educazione popolare,
entrambi concepiti come un compito da attribuirsi allo Stato, come
una riforma appunto e un’azione pedagogica che doveva « venire
dall’alto ed essere imposta con ogni mezzo a una realtà sociale in ogni
suo strato passiva e recalcitrante » (Sapegno). E’ evidente nel passo
riportato l’ampliamento ideologico dello studioso odierno, ma si deve
riconoscere che si trattava in effetti di una riforma religiosa, auspicata
da Giannone in senso squisitamente politico, morale e pedagogico.
* * *
Se quindi Giannone, avulso dal rovente clima della vita politica
napoletana e costretto all’inazione e in esilio, riprende i suoi studi filosofici, come egli stesso informa, e scrive il Triregno, non vuol certo
significare che quest’opera riposi in un’astratta speculazione. Drastici
giudizi fondati sulla sola importanza dell’Istoria possono quindi tagliar fuori una grossa fetta della personalità giannoniana. Il Triregno,
pur senza l’immediata incidenza nella vita del tempo, per un verso integra il pensiero e la statura morale dell’autore, per un altro è
anch’esso concepito come strumento di lotta politica, così come lo fu
l’Istoria. Si trattava ancora una volta di intendere le relazioni tra la
nuova cultura, la scienza particolare dei giuristi e l’idealità di una
nuova religione umanamente civile e politica.
Tra i primi, fu appunto Omodeo a fornire un’indicazione puntuale
e feconda d’analisi. Si configura in questo modo quel « secondo Giannone » la cui cultura, egli scrive, « si trasforma in una missione, che lo
trascina fin nella triste prigionia piemontese. La liberazione dai terrori
è anche la liberazione morale, è l’affermazione sincera del libero pensiero » (La Critica, 1941, p. 43 e segg.).
La notata mentalità antistorica dell’Istoria civile si accentua nel
Triregno e la polemica del perseguitato diviene più risolutamente ordinata e lontana tanto da rompere il fragile velo del separatismo tra
Stato e Chiesa, a danno della seconda. La Chiesa scrive con implacabile sarcasmo, è il regno del « Vice-Dio, che » può « tramutare il bene
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in male, l’ingiustizia in giustizia, i vizi in virtù, il quadrato in rotondo,
ed infine è sopra, contro e fuori d’ogni legge e di ogni diritto, anche
naturale e apostolico, dispensando a tutti decreti, costituzioni, statuti, e
quanto mai non men dell’umane, che delle divine leggi fosse stabilito
» (Il Triregno, III, Introduzione). « La sua critica è veramente moderna e precorre di gran lunga quella della teologia razionalista: lo stesso
Spinoza è di fronte a Giannone un vecchio rabbino imbevuto di pregiudizi » (De Ruggiero).
E’ stato tuttavia osservato che « la coerente concezione lucreziana
o gassendiana (sebbene indipendente dalla lettera di Gassendi), su cui
si fondano alcune « pagine di acuta critica del dualismo cartesiano, informa di sé tutta la prima parte del Triregno: il regno terreno. Qui, e
soltanto qui, vediamo coincidere in pieno e senza riserve l’indagine
storica di Giannone e le sue convinzioni filosofiche, in un sistema cui
molto difficilmente si potrebbe applicare la formula adottata dal De
Ruggero, che lo definiva come ‘la costruzione più completa della teologia’ » (Sapegno).
Intanto si discute ancora sul sistema « materialistico e deistico »
del Triregno; sul pensiero libertino e illuminista del suo autore; sul significato politico e religioso; sul riformatore di una religione ispirata a
un moderno spirito di tolleranza o sulle più limitate proposte di autonomie gallicane; e sempre con indicazioni che tuttora invitano a una
verifica.
In merito, sulle ascendenze o influssi e stimoli da Francesco
D’Andrea, Aulisio, Argento, accolti da Giannone, è sempre molto diffusa l’attenzione degli studiosi, mentre, per quanto egli debba a Giuseppe Valletta, quale assiduo lettore della biblioteca e dell’opera di
costui, a parte le esplicite indicazioni dello stesso Giannone nella Vita,
rari, sebbene preziosi, gli accenni (Marini, Comparato) e i suggerimenti indiretti (Mastellone). Un approfondito esame comparativo tra
l’Istoria civile e il Triregno di Giannone e il trattato Intorno al procedimento ordinario e canonico nelle cause che si trattano nel Tribunale
del S. Ufficio nella città e regno di Napoli e la Historia filosofica
dell’erasmiano e groziano Valletta porterebbe certamente a risultati di
rilevante interesse. Nasce appunto da un clima culturale instaurato da
Di Capua, D’Andrea, Valletta quel notato orientamento « gallicano »
di Giannone « che fece di lui un europeo »; da una scuola cioè che aveva risolutamente affermato la libertà di leggere, di conoscere, di
meditare.
E’ noto il tentativo per un’edizione viennese della Historia filosofica vallettiana da parte di Giannone. L’opera di Valletta è, tra l’altro,
una ris oluta risposta alle Lettere apologetiche del gesuita De Benedictis, con affermazioni di ardito rovesciamento di tesi circa la « empietà
della filosofia aristotelica » e la « innocenza di » quell’altra « che si
chiama moderna ». L’Historia filosofica « maturatasi tra il 1694 e il
1704, segna il passaggio dalla discussione sull’Inquisizione come fatto
giuridico alla cultura condannata dal Santo Ufficio, ed è il più sorprendente documento del ‘libertinisme’ erudito napoletano, tanto più
11
PASQUALE SO CCIO____________________________________________________________________________
caratteristico perché lo scritto è indirizzato al Papa » (Mastellone).
Valletta non appoggia le sue argomentazione sull’autorità dei Padri
della Chiesa o su quella della filosofia scolastica ufficiale, ma sulla
moderna diffusissima filosofia anglo-franco-olandese. « Siamo malignamente tacciati chi per Eretico e chi per Ateo, Chi potrà mai agli
uomini di buona mente negar la libertà di filosofare? »; ed è in fondo
una decisa rivendicazione di libertà di pensiero quale condizione indispensabile in filosofia per rintracciare la verità. « ‘Nostro intendimento non è d’andar co’ lumi della Filosofia ricercando le Divine cose’
(VI) né mi si dica, egli aggiunge, ‘che anzi i moderni Filosofanti riputano lor sommo pregio di non jurare in verba Magistri; perché da ciò
non siegue, ch’eglino contraddicano ad ogni Maestro: né che, se gli
contraddicono, ciò facciano in ogni cosa, e per vaghezza di contendere, ma si riserbano solo la libertà di filosofare, acciò non abbiano, fra
mille altri, questo altro impedimento di rintracciare la verità (CCXIII)
».
Libertà di filosofare, dunque, di giudicare, di dissentire, di ricercare spregiudicatamente la verità, insofferente di ogni arrogante potere
censorio, occulto o palese, con atteggiamento di lotta fermamente coraggioso e tenace. Si trattava di operare incisivamente in un tessuto
storico la cui trama era ordita dai due massimi poteri, spesso in complice collusione, con fili e nodi inestricabili: di cui la connessione tra
politica e religione e il conseguente relativo nesso tra idea e prassi; di
qui l’impegno morale per scuotere dalle fondamenta la rigidità di un
traliccio millenario; di qui quella volontà riformatrice per una religione dal volto umano e per una moderna e più giusta società; di qui
quella ricordata « missione » (Omodeo) che in effetti è volontà educativa e, si vorrebbe dire, apostolica. Questa (che sottende tono e timbro
delle opere maggiori dalla Istoria al Triregno), diviene esplicita dichiarazione nella Vita, anzi lo scopo della sua stesura: « Prendo a scrivere la mia vita… sopra tutto perché sia a gli altri di documento, e
spezialmente a gli uomini probi ed onesti ed amanti del vero, quanto
sia per essi dura e malagevole la strada che avran da calcare, per passar la loro vita in questo mondo liberi e sicuri, fra la turba di gente improba ed infedele e tra l’infinito numero degli sciocchi e de’ malvagi,
massimamente a chi avrà sortita la disgrazia di nascere sotto grave e
pesante cielo, in terreno servo e soggetto e ferace di pungenti spine e
d’inestricabili pruni e triboli; e molto più in questi tempi ne’ quali » è
« spento ogni raggio di virtù » (Proemio). Ponendo così l’accento sul
fine educativo, pensando particolarmente ai giovani, annoterà più oltre
con legittimo orgoglio: « La mia opera » (cioè l’Istoria civile) « era da
tutte le nazioni ricercate ed avidamente letta e commendata. Ed in Napoli avea rischiarati molti, spezialmente la gioventù; sicché cominciavano nelle loro menti a germogliare altre idee di quelle che i libracci forensi e’ goffi canonisti le tenevan ingombrate » (VI, 1).
Premessa per una società migliore, peculiare era insomma l’esi-
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_________________________________________________________________________L’ANNO DI GIANNONE
genza di una religione monda da scorie di potere terreno e di
un’azione educativa adeguata ai tempi da mutare.
A Napoli, nel giro di un biennio (1723-25), in un clima culturale
ormai di respiro europeo, maturarono prodigiosamente due frutti cospicui dovuti alla genialità di due menti meridionali, l’Istoria civile e
la Scienza nuova: due bibbie che determineranno una svolta nella storia della politica e del pensiero giuridico e filosofico. Non si attribuisca allo scrivente un’alzata di tono dovuta alla solita enfasi conclusiva: Vangelo era per i giovani del Settecento l’Historia civile, come era costretto a riconoscere suo malgrado lo statista B. Tanucci;
mentre, con invida ammirazione, augurandosi un eguale testo per la
nazione tedesca, nuova Bibbia per gli italiani era ritenuta da Goethe la
Scienza nuova: libro sacro e profetico di un Altvater, e sacra era per
Goethe tutta la storia umana.
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18)
19)
20)
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P. GIANNONE, Vita scritta da lui medesimo, per la prima volta integralmente
pubblicata con Note, Appendice ed un copioso Indice da F. Nicolini, Napoli 1905.
P. GIANNONE, Vita scritta da lui medesimo, a cura di Sergio Bertelli, Milano
1960.
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1922.
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Giannone, in « Giornale critico della Filosofia italiana », 1973, fasc. III.
(P. S.)
14
IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
1. — Le origini del problema.
Il ventotto gennaio millenovecentosettantasette la nostra già copiosa legislazione amministrativa si è arricchita di un’altra legge, da tutti,
e da sempre, ritenuta fondamentale: quella sulla riforma del regime dei
suoli.
Per arrivare a tanto è stato necessario attendere oltre trent’anni,
quanti, cioè, ne passano dalla prima legge urbanistica del 1942. In
quest’arco di tempo la peggiore imprenditoria italiana, affiancata da
massicce schiere di politicanti, a livello locale e nazionale, ha portato
a termine una delle più gigantesche speculazioni edilizie di tutti i tempi, rendendo inabitabili le nostre città, sconvolgendo pinete e boschi,
cementizzando marine, distruggendo per sempre un ingente patrimonio culturale, storico, archeologico, paesaggistico. Se a tutto ciò si aggiungono il bilancio fallimentare dell’agricoltura (non solo in termini
di abbandono di colture, ma anche, e soprattutto, in termini di brutale
devastazione della civiltà contadina) ed una disorganica, sciatta e, non
di rado, pericolosa industrializzazione, il conto, che la nostra rapinosa
imprenditoria e la classe politica dominante devono pagare alle forze
sane del Paese, appare lungo e pesante. I fini meramente speculativi di
questa politica si fanno ancora più evidenti se si pensa al fallimento
cui è stata condotta la politica delle grandi riforme, di quell’unica politica che avrebbe potuto validamente contribuire a rimuovere le secolari ingiustizie della nostra società e ad avviare il Paese lungo la via di
un progresso articolato intorno ai fondamentali valori dell’uomo. Ci
sono, invece, toccati in sorte la speculazione sul territorio, la devastazione ecologica ed un miope sviluppo economico, fondato in gran parte sulla creazione di bisogni artificiali e sulla produzione di beni di rapido consumo.
Ma torniamo al regime dei suoli. La prima legge che affrontò, sia
pure in un più ampio e variegato contesto di problemi, la questione fu
la legge n. 2359 del 25 giugno 1865. Tuttavia, alle spalle di questa
legge, che fu una delle prime grandi produzioni di legislazione amministrativa dello Stato unitario, vi è un ricco territorio dileggi, disposizioni e regolamenti, italiani ed europei, che costituiscono l’humus da
cui si sono sviluppate le legislazioni degli Stati moderni.
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ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
Per avere un’idea del quadro storico nel quale è germogliata la
complessa problematica legata al regime dei sudi, bisogna risalire al
‘600 e al ‘700, quando non si era formata ancora una vera coscienza
della necessità dell’intervento pubblico nella gestione delle aree urbane. Non era solo un problema di mancanza di leggi e di un effettivo
potere di controllo pubblico, era la stessa concezione, che allora si aveva dello Stato e del suo potere di intervento, che faceva considerare
abnorme ogni limitazione all’uso e all’abuso della proprietà privata in
vista di un vantaggio comune. La vecchia concezione romanistica di
assoluta salvaguardia della proprietà aveva ancora un peso determinante.
Tuttavia già nel ‘700, con l’enciclopedismo e l’illuminismo, e sotto la spinta dei problemi causati dai primi consistenti fenomeni
d’inurbamento, si cominciò ad avvertire l’esigenza di un intervento
pubblico che avesse reso le città meno caotiche e più vivibili, soprattutto sotto l’aspetto igienico. Le prime enunciazioni teoriche trovarono
applicazione in seno al nuovo tipo di Stato sorto dalla rivoluzione
dell’89 e furono poi sviluppate dalla successiva legislazione napoleonica, che, per le note vicende storiche, influii in modo determinante
sulla produzione legislativa di molti Stati europei. In particolare, nel
1807 fu emanata in Francia una legge che obbligava ad allineare le
nuove costru zioni secondo direttrici preordinate. Era già questo un
primo tentativo di disciplina urbanistica e di controllo pubblico
dell’uso dei sudi.
La presenza francese in Italia, dalla campagna d’Italia alla fine
dell’era napoleonica, influenzò anche la prima timida, legislazione urbanistica degli Stati pre-unitari. Gli Statuti Murattiani per la città di
Bari, la legge sulle espropriazioni per pubblica utilità del Regno
d’Italia, i Rescritti Borbonici per Napoli, nascono tutti sulla scia della
legislazione francese. Ma fra queste leggi, che possono essere considerate a buon titolo le fonti del nostro ordinamento urbanistico, un posto preminente spetta alla legge piemontese n. 1221 del 7 luglio 1851
sui piani di allineamento e di ampliamento, non solo per il fatto che
essa precedette di qualche anno la famosa legge francese del 1852, ma
anche per il suo contenuto largamento anticipatore e per quei principi
generali che saranno accolti dalla legge n. 2359 del 1865 sulle espropriazioni per pubblica utilità.
Dopo l’unità si avvertì l’esigenza di varare una serie di norme per
la disponibilità pubblica delle aree private. Il Ministro di Grazia, Giustizia e dei Culti, Pisanelli presentò un disegno di legge che conteneva
« disposizioni intorno alle espropriazioni per causa di pubblica utilità
». Il progetto Pisanelli, che si ispirava scopertamente alle legislazioni
francese e belga, divenne, dopo alterne vicende e la modifica di alcuni
articoli, ritenuti da talune forze politiche troppo lesivi dell’interesse
privato, la famosa legge sugli espropri n. 2359. Ditale legge solo gli
articoli 22, 39-41, e 78 incidono più direttamente sul regime dei suoli.
L’art. 22, accogliendo un principio già presente nella legislazione
francese, disponeva l’esproprio non solo dei terreni necessari al-
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__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
l’opera pubblica, ma anche di quelli attigui. Gli artt. 39-41 stabilivano
che, nella determinazione dell’indennità di esproprio, non si doveva
tener conto dell’aumento di valore delle aree causato dall’esecuzione
di opere pubbliche. L’art. 78, considerato l’aumento di valore della
proprietà, imponeva ai proprietari il pagamento del cosiddetto « contributo di miglioria ». Questo articolo, pur restando in pratica largamente inapplicato, rappresentò una norma fortemente innovatrice poiché veniva a sancire il principio che il plus valore, acquisito dai privati
per effetto dell’opera pubblica, spettasse integralmente alla collettività.
Tale legge fu la prima « adottata dal nuovo Stato italiano in materia edilizia ed urbanistica dopo la conseguita unità: essa costituì indubbiamente, insieme alle altre leggi della stessa epoca, uno dei pilastri della nostra legislazione nazionale, su cui saldamente si assestò
l’ordinamento amministrativo del giovanissimo Regno, e per gran parte del territorio nazionale rappresentò una ardita e profonda innovazione dato che, al compimento dell’unità d’Italia, non tutti gli Stati italiani disponevano di leggi disciplinatrici degli espropri per pubblica
utilità; ad esempio ne erano privi gli Stati della Chiesa, la Toscana, e il
Regno delle Due Sicilie, nei quali le espropriazioni erano affidate a
provvedimenti amministrativi, da emanarsi caso per caso » 1 .
Per molte ragioni, tra cui principalmente la mancanza di adeguati
mezzi finanziari da parte dei Comuni, sui quali incombeva l’obbligo
dell’elaborazione ed attuazione dei piani regolatori, le norme urbanistiche contenute nella legge n. 2359 rimasero inattuate. Di fronte a tale
situazione, e mosso dalla necessità di rendere più igieniche le città,
che si andavano intanto rapidamente espandendo sotto la spinta
dell’inurbamento della popolazione rurale, il Governo dovette piegarsi
ad emanare una serie di leggi speciali, che, se da una parte, risolvevano urgenti e drammatiche situazioni locali, dall’altra non spianavano
certo la strada ad una legislazione urbanistica generale che affrontasse
il problema alle radici con soluzioni chiare, inequivoche e valide per
tutto il territorio nazionale. Sotto la spinta di queste motivazioni, e, più
in particolare, per la epidemia di colera che nel 1884 provocò a Napoli
oltre settemila morti2 , nacque la legge n. 2892 del 15 gennaio 1885
per il risanamento di Napoli, il cui art. 12 disponeva che l’indennità di
esproprio doveva essere calcolata facendo la media tra il valore venale
e dei fitti « coacervati dell’ultimo decennio o, in mancanza,
dell’imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati ». Tale criterio, introdotto su proposta di Crispi, fu adottato « per
tutelare i proprietari espropriandi, dato che gli immobili destinati
all’esproprio avevano uno scarso valore di scambio a causa delle loro
pessime condizioni locative, ma avevano prodotto e continuavano a
1
G. FURITANO, Istituzioni di diritto urbanistico ed edilizio, Periodici Scientifici,
Milano, 1971, pag. 2, 3.
2
Cfr. Russo, Il risanamento e l’ampliamento della città di Napoli, Napoli, 1955.
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produrre un reddito molto elevato (grazie allo stato di sovraffollamento dei quartieri da risanare) » 3 .
2. — Dalla legge urbanistica del ‘42 alla « 167 ».
Dal 1885, con un salto di oltre cinquant’anni, si giunge al giugno
del 1942, quando il Ministro dei Lavori Pubblici, Goria, presentò un
disegno di legge, che, approvato dalla Camera dei Fasci e delle Corporazioni il 2 luglio e successivamente, il 21 luglio, dal Senato del
Regno, divenne la legge urbanistica n. 1150 del 17 agosto 1942.
La legge attribuiva ai Comuni, dopo l’approvazione dei piani regolatori, il potere di espropriare le aree comprese nelle zone di espansione urbana e conferiva agli stessi la facoltà di formare i cosiddetti
comparti edificatori e di lottizzare le aree, previa l’approvazione dei
piani particolareggiati. I vincoli di zona non erano risarcibili, mentre
l’indennità di esproprio doveva essere calcolata in base al costo di
mercato del bene, con esclusione, quindi, di ogni plus valore causato
dall’approvazione dei piani regolatori. Era questo un tentativo, largamente fallito alla prova dei fatti, di bloccare la speculazione sui terreni
e di assegnare alla collettività, sottraendole ai privati, le plus valenze
sulle aree edificabili.
La legge urbanistica nacque nel momento peggiore, quando cioè il
Paese era impegnato più a sopravvivere e a difendersi dalle terribili
devastazioni della guerra, che non a produrre e a costruire.
La legge, pur costituendo il primo serio tentativo di disciplinare la
complessa materia urbanistica, non ha prodotto, a giudizio di molti,
quegli effetti positivi che il legislatore intendeva perseguire. In particolare essa è stata ritenuta carente per quanto riguarda l’avocazione alla collettività delle plusvalenze dei suoli. Bisogna sottolineare, tuttavia, che sulla insoddisfacente applicazione della legge hanno influito,
oltre alle carenze normative intrinseche, anche le obiettive difficoltà
nella materia, nonché le mutate condizioni politico-sociali del Paese.
Nel dopoguerra, soprattutto, nessun Comune ha potuto assumersi il
ruolo di gestore del territorio, così come disponeva la legge.
L’inadeguatezza crescente delle finanze locali non ha consentito né
l’acquisizione di ampi demani comunali, nè una massiccia realizzazione di opere pubbliche. Così, di fronte all’inerzia delle Amministrazioni Comunali, e sotto la spinta di necessità sempre più impellenti,
quali la fame di case, la pressione di centinaia di migliaia di disoccupati, e l’urgenza di mettere comunque in moto un qualsiasi processo
produttivo, i costruttori e, in primo luogo, i proprietari di suoli, hanno
avuto facilmente buon gioco, travolgendo quelle residue possibilità di
controllo e di intervento, che ancora restavano ai poteri pubblici. Lo
Stato stesso, d’altra parte, attraverso i suoi organi (Consiglio di Stato,
Magistratura, ecc.)4 ha notevolmente contribuito a cedere ai privati la
3
G. D’ANGELO, Urbanistica e Diritto, Morano, 1969, Napoli, pag. 31.
Per un giudizio estremamente critico sull’operato della Magistratura di fronte alle
vicende urbanistiche cfr.: FALCONI FERRARI, SANTOMAURO, STROBBE, Abusi
edilizi e potere giudiziario, Feltrinelli, 1976, Milano.
4
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__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
gestione effettiva del territorio.
Ma, a parte le deficienze della legge, alla base della speculazione
sui suoli vi è un groviglio inestricabile di interessi politici ed economici, sia pubblici che privati, tale da rendere quanto mai problematica
una chiara distinzione delle parti, « non potendosi operare una netta
scissione tra la categoria operatore privato e quella operatore pubblico,
in quanto il secondo non sempre è « anti », anzi, con gli strumenti di
pianificazione urbana, è supporto, suggeritore, facilitatore, ha cioè una
rendita; l’operatore privato, invece, giustifica spesso il ricorso alla
speculazione per la continuità della sua azione imprenditoriale. Se le
categorie si identificano, da una parte, nelle componenti proprietario
del suolo, proprietario dell’immobile, proprietario dell’impresa costruttrice, proprietario del cemento, del ferro, dei mattoni (l’operatore
definito privato) e dall’altra nell’inquilino, nel sindacato, nell’Istituto
per le case popolari, nell’Ente locale (se si vuole anche nello stato, attraverso il ministero dei Lavori pubblici), cioè nell’insieme che costituisce il cosiddetto operatore pubblico, non è facile individuare quale
delle due categorie diriga, innesti, suggerisca, l’operatività della rendita. Si sa solo chi (o quale società) ne beneficia in termini monetari, ma
non chi l’ha voluta: forse tutti, in un felice rapporto sado-masochistico
dove la denuncia (ovvero la conseguente strategia) diventa campo d’azione (operatività) per nuove rendite, a loro volta oggetto di nuove denunce-strategie per nuove operazioni speculative da combattere e così
di seguito » 5 .
Nel lungo periodo che va dal dopoguerra al 1962, anno della legge
167, si ebbe una assoluta carenza legislativa, anzi un totale vuoto di
potere nel settore urbanistico, perché alla mancanza di nuove e più aggiornate norme corrispose la più assoluta disapplicazione della vecchia normativa. Fu quello il periodo della prima e più brutale speculazione sui sudi: il periodo, come fu detto in un celebre film, delle «
mani sulla città ».
In questo periodo lo Stato fu in prima linea. Il Piano Casa, varato
nel 1949, aveva per obiettivo la esecuzione di 13.500 vani, che equivaleva al 25% della produzione edilizia nazionale. t appena il caso di
segnalare che il C’entro e il Nord d’Italia fecero la parte del leone nella distribuzione dei contributi governativi, accaparrandosene 1’86%,
mentre appena il residuo 14% fu assegnato al Mezzogiorno. La maggior parte dei nuovi quartieri Ina-Casa venne ubicata alla periferia delle città, mentre lo spazio intercorrente tra essi, benché destinato a suolo agricolo o a verde pubblico, divenne rapidamente a sua volta suolo
edificatorio, con un notevole aumento di valore, determi-
5
P. L. CERVELLATI, Rendita urbana e trasfo rmazione del territorio, in « L’Italia
Contemporanea » 1945-1975, Einaudi, 1976, Torino, pagg. 338-339.
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ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
nato oltre che dalla rivalutata posizione, anche dalle opere di urbanizzazione che allacciavano i nuovi quartieri al vecchio corpo della città.
Il plusvalore creato con i soldi dello Stato, e cioè a spese di tutti i contribuenti, venne così incamerato, senza alcuna contropartita, dai costruttori e dai proprietari di aree. Poiché la logica del Piano Casa era
quella di fare dell’edilizia un volano economico, si produsse tutta una
serie di fenomeni che andavano dall’agricoltore il quale viveva
nell’attesa che anche il proprio fondo fosse coinvolto nel processo di
urbanizzazione, per poterlo vendere e lucrarne il plus valore,
all’industriale che sottraeva sostanziosi capitali all’industria per immetterli nella più lucrosa attività edilizia.
In questo fervore edificatorio gli istituti bancari giocarono un ruolo
di primo piano « sia per l’istituzione delle cartelle fondiarie, che assicurano un saggio d’interesse superiore a quello normale garantito
dall’investimento effettuato dall’istituto di credito nel settore immobiliare, sia, e soprattutto, nella concessione di mutui fondati sulla garanzia-ipoteca di un immobile o di un’area fabbricabile. La garanzia
può essere data o dal piano regolatore o dalla presenza di una licenza
edilizia; in entrambi i casi dalla garanzia della « possibilità » edificatoria. In questo modo la banca esercita una funzione stimolatrice del
settore edilizio, e come investimento diretto di capitale e come prestito
di capitale stesso. Questo meccanismo impedirà per moltissimo tempo
un diverso uso e un controllo del suolo edificabile — per esempio la
formazione di un demanio pubblico di aree da assegnare ad imprese
edificatrici in « diritto di superficie » — proprio perché l’istituto di
credito esige la « proprietà » del suolo per consentire il prestito, così
come ne pretende l’edificabilità » 6 .
Fra il ‘55 e il ‘60, intanto, il Paese subiva una serie di profonde
trasformazioni culturali ed economiche. Esauritosi il periodo della ricostruzione post-bellica e della politica legata alla riforma agraria, si
cominciava a manifestare quel grande esodo demografico che sposterà
enormi masse di lavoratori dal Sud, agricolo e sottosviluppato, verso il
Nord in piena espansione industriale. L’esodo fu ben più massiccio e
complesso, per le sue implicazioni economiche e sociali, di quello di
cui il Mezzogiorno era già stato vittima qualche decennio dopo
l’unità, e si svolse non solo dal Sud al Nord, ma anche dalle campagne
verso i centri urbani, con movimenti demografici che interessarono
anche il Centro e il Nord. Fu proprio in questi anni che l’Italia cominciò a staccarsi dalla sua antica cultura contadina, per assumere il ruolo,
per altro malamente realizzato, di società industriale ed urbana.
Il massiccio inurbamento provocò il rigonfiamento delle periferie,
mentre il problema della casa si aggravò oltre ogni previsione. La speculazione sui suoli cominciò a vivere la sua epoca d’oro. Tutto sembrava cementizzabile, senza alcuna remora, di natura storica, paesag-
6
P. L. CERVELLATI, op. cit., pag. 351.
20
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
gistica, archeologica, o urbanistica. I piani regolatori, laddove esistevano, e ve ne erano pochissimi, vennero completamente stravolti e si
limitarono, attraverso la procedura delle varianti, a legalizzare quanto
già si andava costruendo. Le città si svilupparono in modo abnorme,
seguendo, piuttosto che delle linee razionali di sviluppo, le tendenze
imposte dai grandi proprietari di suoli, e dai grandi costruttori, in ciò
validamente assecondati dagli amministratori locali e dagli organi dello Stato. Così, mentre non veniva risolto il problema della casa, la
comu nità regalava ai proprietari dei suoli un enorme plus-valore, ottenendo in cambio città prive di scuole, di fogne, di trasporti, di verde
pubblico, e di altre indispensabili attrezzature urbane. Nel ‘54 fu varato il piano Vanoni che calcolava in tredici milioni di vani il fabbis ogno da coprire in un decennio. Il piano, mentre denunciava i limiti del
precedente Piano Casa, affermava che lo Stato non avrebbe mai potuto
risolvere il problema della casa ed apriva un varco attraverso cui irruppero vecchi e nuovi costruttori. Nel ‘62 vennero immessi nel giro
della speculazione edilizia e fondiaria i duemila miliardi che lo Stato
aveva pagato ai privati per la nazionalizzazione dell’energia elettrica.
Si mise in moto, così, una reazione a catena, perché il guadagno ricavato venne « investito nuovamente nel settore edilizio o fondiario. Sono gli anni della formazione e del consolidamento delle finanziarie
che fiancheggiavano i grandi gruppi industriali e monopolistici e la cui
attività si esercita anche nel settore edilizio, analogamente a quanto
avviene per le assicurazioni o per gli Istituti previdenziali » 7 .
Ma se il ‘62 fu l’anno del massimo impegno speculativo, fu anche
l’anno della prima normativa urbanistica di qualche rilievo dopo la
legge del ‘428 . Il 18 aprile 1962 fu approvata, infatti, la legge n. 167
che avrebbe dovuto facilitare l’acquisizione di aree per l’edilizia economica e popolare. Questa legge, nata dalla coscienza che i vari piani
fin lì varati non avrebbero mai potuto risolvere il problema della casa
per i lavoratori, rappresentò un grosso avvenimento politico perché era
una delle prime manifestazioni della volontà riformistica dei nuovi governi di centro-sinistra, ma nello stesso tempo costituì anche un grosso
fallimento per i gravi errori di fondo che conteneva. La legge, infatti,
sia per motivi di legittimità costituzionale, sia per la carenza delle fonti di finanziamento, non riuscì mai ad operare veramente e a dare quei
frutti che ci si aspettava.
La « 167 », se prevedeva l’elaborazione e l’adozione, obbligatoria
per i comuni superiori ai 50.000 abitanti, di piani per l’edilizia economica e popolare, e la formazione di un « demanio pubblico di aree al
fine di dirigere disciplinatamente lo sviluppo degli aggregati urbani e
di impedire l’eccessiva speculazione delle aree fabbricabili » 9 , com-
7
P. L. CERVELLATI, op. cit., pag. 351.
Si ricordi, tuttavia, il decreto luogotenenziale n. 154 dell’1-3-45 che conferiva ai
Comuni la facoltà di espropriare aree per nuove costruzioni.
9
G. D’ANGELO, op. cit.. pag. 64.
8
21
ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
metteva l’errore di disporre che l’indennità di esproprio dovesse essere calcolata sul valore che avevano le aree due anni prima
dell’adozione dei piani. Questa norma era stata introdotta nel tentativo
di abbattere ogni eventuale plus-valore e bloccare la speculazione sulle aree. Ma il tentativo incappò nelle maglie della Corte Costituzionale, che, con sentenza n. 22 del 9 aprile 1965, dichiarò incostituzionali
alcuni commi degli articoli 12 e 16. Il legislatore corse ai ripari con la
legge n. 904 del 21 luglio 1965, adottando per la determinazione
dell’indennità espropriativa il criterio previsto dall’art. 12 della legge
per Napoli del 1885.
Ma la « 167 », malgrado questi aggiustamenti legislativi e un certo
interesse col quale fu inizialmente accolta, si dimostrò col tempo un
vero fallimento (9 bis ). E questo per due motivi fondamentali, da una
parte essa sembrava rinviare indefinitamente nel tempo una legge di
riforma urbanistica, dall’altra si scaricava sulle esangui finanze comu nali l’enorme costo delle aree necessarie alla formazione dei demani.
Fu necessario, allora, per consentire ai Comuni un minimo di operatività, approvare la legge n. 246 del 5 marzo 1963, che, oltre ad imporre una tassa sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili, consentiva di retrodatare a dieci anni prima l’imposizione di tale tassa. Si
tentava così di recuperare alla collettività una parte del plus-valore lucrato dai privati nel decennio di maggiore fervore speculativo. Ma anche questa norma fu dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale
con « grande vantaggio per le proprietà fondiarie, che non riconsegneranno alla comunità neppure una infima quota di quanto alle spalle di
questa hanno lucrato » 10 .
Si tentò, quindi, di riparare alle carenze della « 246 » con un altro
provvedimento: la legge n. 847 del 29 settembre 1964. Il rimedio fu
peggiore del male perché questa legge, mentre autorizzava i Comuni a
contrarre mutui agevolati, non provvedeva ai finanziamenti a fondo
perduto. A queste condizioni furono pochissimi i Comuni che poterono reperire i soldi per gli espropri. In sostanza la vita della « 167 »,
e delle due leggi di finanziamento fu resa impossibile da « ogni sorta
di ostacoli giuridici, politici e finanziari...; ed il risultato non poteva
mancare. Diversi Comuni hanno progressivamente diminuito il proprio entusiasmo per la legge, che applicano oggi stancamente e senza
convinzione; nè sono poche le amministrazioni locali che della 167
hanno sempre contestato i princìpi ed apertamente sabotato l’applicazione » 11 .
9 bis
Per una critica particolarmente severa della « 167 » si cfr. A. GUIZZI, I Magliari dell’urbanistica, Napoli, 1974, Giannini.
10
G. CAMPOS VENUTI, Amministrare l’Urbanistica, Einaudi, 1967, Torino, pag.
109.
11
G. CAMPOS VENUTI, op. cit., pag. 110.
22
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
3.— Primi tentativi di riforma urbanistica.
Intanto, con l’avvento degli anni sessanta si annunciavano importanti mutamenti. Con la formazione dei primi governi di centro-sinistra si allargava e si approfondiva il dibattito sulle riforme. Si cominciò a parlare di programmazione economica, di assetto del territorio e degli stretti nessi che legavano i due problemi. Nella stessa opinione pubblica, che per tutti gli anni cinquanta era stata a guardare,
si faceva strada, sia pure timidamente, la coscienza che la cementizzazione indiscriminata del territorio produceva, accanto a pochi effetti
benefici, una serie di ripercussioni negative di enorme portata. Cominciava ad essere avvertita in modo crescente la necessità di verde
pubblico, di strutture urbane, di servizi. Tutto questo era anche il risultato delle mutate condizioni economiche e produttive del Paese. Lo
sviluppo industriale, infatti, si consolidava e si espandeva. I prodotti
italiani si affacciavano con maggiore sicurezza sul mercato europeo.
Quelli che erano stati fin lì i massimi gestori dell’economia nazionale,
gli imprenditori edili, cominciavano a trovarsi su posizioni arretrate rispetto ad una imprenditoria industriale di nuovo tipo, più dinamica e
audace, e con forti ambizioni tecnologiche. Nel vecchio blocco di interessi si andava operando una frattura: da una parte gli imprenditori
edili e i proprietari di aree, dall’altra gli industriali più evoluti, produttori di beni di consumo. Il grande capitale prendeva le distanze dai
fruitori della rendita urbana, ritenuta ormai non più remunerativa come un tempo e incapace di moltiplicare le iniziative produttive al ritmo necessario. L’esigenza di un più razionale uso del territorio, soprattutto nelle grandi aree industriali del Nord, e, di conseguenza, di
una legislazione urbanistica inequivoca, si faceva sempre più pressante.
In questo mutato clima politico e sociale si inserirono le prime iniziative di riforma urbanistica. Nel dicembre del 1960 l’Istituto Nazionale Urbanistica (I.N.U.) fece il primo passo, presentando nel corso
dell’ottavo Congresso una proposta di riforma, il cosiddetto « Codice
dell’Urbanistica », che modificava radicalmente il regime dei suoli.
Secondo le proposte I.N.U. i Comuni avrebbero potuto espropriare le
aree da urbanizzare e cederne, poi, il diritto di proprietà, o soltanto il
diritto di superficie, a quei privati o a quegli Enti che si fossero impegnati a costruire secondo le disposizioni del piano. I proprietari di aree
potevano riunirsi in Consorzio (istituzione del Comparto) per provvedere, a proprie spese, alle opere di urbanizzazione primaria.
Nell’ambito del Comparto tutti i proprietari dei suoli avevano diritto
alla perequazione dei volumi edificabili. L’incremento di valore delle
aree, dedotte le spese già affrontate per l’urbanizzazione primaria, veniva ceduto per il 50% al Comune. In questa logica era naturale che
l’indennità di esproprio fosse calcolata in base al valore che avevano
le aree prima dell’approvazione dei piani.
Il progetto dell’I.N.U. rappresentò per quegli anni un documento
23
ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
urbanistico molto avanzato perché, con la devoluzione alla collettività
di almeno una parte del plus valore, si ipotizzava un regime dei suoli
del tutto nuovo rispetto al passato. Il progetto fu a lungo e vivacemente dibattuto, e, se non fu formalmente recepito in iniziative a livello parlamentare, fu, tuttavia, accolto molto favorevolmente dalle forze
politiche più avanzate e rappresentò un punto di riferimento ed uno
stimolo per quelle iniziative parlamentari di riforma, che, sia pure senza successo, di lì a qualche anno si sarebbero moltiplicate12 .
Ma anche la classe politica cominciava a muoversi. A Napoli, nel
giugno del 61, la D.C. organizzò un Convegno sulla « Pianificazione
Urbanistica in Italia ». Si parlò anche del regime dei suoli. Il prof. Leonardo Benevolo affermò esplicitamente che la soluzione di questo
problema era il presupposto per una qualsiasi politica di pianificazione
territoriale e chiarì che una nuova legge urbanistica, senza una nuova
disciplina giuridica delle aree, sarebbe stata inutile, mentre una nuova
legge sulle aree, anche senza una legge urbanistica, o conservando
quella del ‘42, sarebbe stato già un grande passo avanti.
Dal Convegno di Napoli nacque l’impegno di Fanfani, Presidente
del Consiglio dei Ministri, di presentare al Parlamento un progetto di
riforma nel corso della legislatura. Da tale impegno scaturì il disegno
di legge preparato dal Ministro dei LL. PP., on.le Zaccagnini, che, per
quanto riguardava il regime dei suoli, proponeva l’utilizzazione diretta
delle aree espropriate da parte del Comune, o la cessione in uso o in
proprietà delle stesse; l’estensione del diritto di prelazione agli Enti
che operavano nel campo della edilizia economica e popolare; la limitazione delle lottizzazioni solo alle zone nelle quali non era prevista la
formazione obbligatoria dei piani particolareggiati; l’obbligo dei proprietari di provvedere all’urbanizzazione primaria e una più efficace
repressione degli abusi; la perequazione dei volumi edificabili e
l’estensione del Comparto anche alle aree destinate ad opere pubbliche; l’applicazione delle misure di salvaguardia dal momento
dell’approvazione del piano (generale e particolareggiato) fino
all’emanazione del decreto di esproprio.
Lo schema di legge Zaccagnini, pur ampliando l’istituto del comparto ed accogliendo la proposta dell’I.N.U. circa la perequazione dei
volumi, restava, per quanto riguardava il regime dei suoli, nell’ambito
degli indirizzi della legge del ‘42. Una delle critiche maggiori fu che
esso non avrebbe risolto, a favore della collettività, il problema delle
plusvalenze delle aree e non avrebbe tenuto in alcun conto la disparità
di trattamento riservata ai proprietari dalle diverse destinazioni delle
aree previste dal piano regolatore 13 .
12
La proposta INU fu elaborata sulla base di un analogo documento dell’arch. Luigi Piccinato. Ambedue i lavori sono oggi reperibili in F. SULLO, Lo scandalo Urbanistico, Vallecchi, 1964, Firenze, pagg. 165-244.
13
Zaccagnini formò una Commissione di studio di cui fecero parte anche gli architetti
Astengo, Piccinato e Samonà, come rappresentanti dell’I.N.U. Il progetto fu reso pubblico nel settembre del ‘61, ma non fu mai portato all’esame del Parlamento. Cfr. F.
SULLO, Lo scandalo urbanistico, op. cit., pagg. 245-285.
24
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
Sparito nel nulla il progetto Zaccagnini, fu la volta del nuovo Ministro dei LL. PP., on. Fiorentino Sullo, che, nel giugno del ‘62, presentò un progetto che innovava tutta la legislazione urbanistica precedente, sia in riferimento al regime dei sudi, punto dolente di tutta la
questione, sia per quanto riguardava l’intera problematica urbanistica14 .
Il progetto Sullo prevedeva l’esproprio non solo di tutte le aree inedificate, comprese quelle statali, inserite nei piani particolareggiati,
ma anche di quelle edificate in difformità ai piani e di quelle che si
fossero rese, per qualsiasi motivo, edificabili successivamente
all’approvazione dei piani. L’indennità di esproprio veniva determinata, per i terreni che, prima dell’approvazione del piano, non avessero
destinazione urbana, in base al loro valore agricolo. Per i terreni inedificati, invece, ma compresi in zona urbanizzata, l’indennità era fissata
« in base al prezzo di cessione dei più vicini terreni di nuova urbanizzazione aumentato della rendita differenziale di posizione in misura
non superiore ad un coefficiente massimo stabilito dal Comitato dei
Ministri »15 . Per i terreni edificati, invece, l’indennità veniva calcolata
in base al valore delle costruzioni. In ogni caso essa doveva essere determinata in modo « da prescindere da qualsiasi incremento di valore
causato direttamente o indirettamente per effetto della progettazione,
dell’adozione e dell’attuazione del piano regolatore generale » 16 .
Acquisite le aree, il Comune doveva provvedere alle opere di urbanizzazione primaria e cedere, con asta pubblica, il diritto di superficie, non la proprietà, ad un prezzo nel quale confluivano l’indennità
di esproprio, gli interessi maturati, il costo delle opere di urbanizzazione e quello per lo sviluppo dei servizi pubblici. Veniva, inoltre, vietata ogni utilizzazione edilizia fino all’approvazione del piano particolareggiato e fino al completamento dell’urbanizzazione primaria.
Come è facile vedere da questa rapida sintesi il progetto Sullo, con
l’istituzione dell’esproprio generalizzato, col devolvere alla collettività
ogni plus valore delle aree, e con la cessione del solo diritto di superficie, modificava « profondamente il regime proprietario delle aree: di
proprietà privata resta soltanto una parte delle aree edificate, le altre
aree — edificate o edificabili — passano gradualmente in proprietà
dei Comuni » 17 .
14
Anche Sullo formò una commissione di studi. Ne facevano parte Piccinato, Samonà, Astengo, l’economista Lombardini, i giuristi Guarino, Savarese e Rubino, i sociologi Compagna e Ardigò. La Commissione iniziò i lavori nel marzo del ‘62 e li terminò nel giugno dello stesso anno. Lo schema di legge ottenne il parere favorevole della
Presidenza del Consiglio, ma, inviato per il parere al C.N.E.L., fu, in tale sede, ritenuto
parzialmente incostit uzionale e rinviato per modifiche.
15
Art. 24 del progetto Sullo in F. SULLO, Lo scandalo urbanistico, op. cit., pag.
298.
16
Ibidem.
17
V. DE LUCIA, E. SALZANO, F. STROBBE, Riforma urbanistica, edizione della Lega per le Autonomie e i Poteri Locali, Roma, 1973, pag. 23.
25
ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
Ma le proposte di Sullo, come si sa, non si trasfusero mai in una
legge. La cronaca di quel fallimento, che spezzò la carriera politica del
lungimirante e battagliero Ministro, è la lampante manifestazione dell’insulsaggine della classe politica dominante, dell’avidità dei piccoli
e medi proprietari, e dell’enorme capacità condizionatrice delle grandi
immobiliari, ma fu anche il frutto dell’inerzia delle classi lavoratrici e
di molta parte delle forze di sinistra. « Se i lavoratori, non proprietari
di case — scrisse lo stesso Sullo nel ricostruire la storia di quegli anni,
— non erano sufficientemente mobilitati a favore della legge, la mobilitazione dei proprietari di case era invece massiccia. In realtà, la legge
era diretta prevalentemente contro le grandi immobiliari detentrici del
monopolio di accumulazione del plusvalore fondiario di speculazione.
Le grandi immobiliari non riescono a difendersi in prima persona. Il
suffragio universale non lo consente. Devono mobilitare psicologicamente milioni di cittadini insinuando il sospetto che il pericolo riguarda la vita di ogni giorno del cittadino medio. Alle grandi immobiliari
non mancano mezzi. Esse riescono ad insinuarsi in tutti i partiti, non
solo nei partiti di destra. Tante volte si servono di partiti di sinistra (o
di semi-sinistra) con maggiore abilità che dei partiti mo derati, dopo
averli lasciati scoperti. Le grandi immobiliari mobilitano gli astri del
diritto e dell’economia, che, sotto l’usbergo del lavoro professionale,
mettono a disposizione della difesa delle strutture esistenti il meglio
del loro ingegno. Eccitano la stampa quotidiana. Vellicano la stampa
periodica. Il tutto con un generoso dispendio di centinaia di milioni di
lire, che, ovviamente, difettano a coloro che vogliono modificare
l’assetto attuale. Le grandi immobiliari trovarono terreno fertile nella
primavera del 1963. E lo trovano ancora. La sociologia ci aiuta a individuare i loro alleati, che non sono immaginari » 18 .
Ma seguiamo i fatti. Il disegno Sullo, pronto nel giugno del ‘62, fu
trasmesso alla Presidenza del Consiglio, che, il 14 luglio, rispondeva
al Ministro con una lunga relazione in cui, dopo una serie di osservazioni, comunicava in sostanza di condividere « i criteri informatori
della nuova disciplina ». Il progetto fu inviato, allora, per il parere al
C.N.E.L.: i tempi si allungarono. Si avvicinava rapidamente la fine
della legislatura e il Paese si preparava alle elezioni politiche
dell’aprile del ‘63. Fu allora che gli oppositori del progetto, che avrebbe rivoluzionato uno degli aspetti fondamentali della vita della
collettività, uscirono allo scoperto con l’aiuto dei loro manutengoli politici e della peggiore stampa nazionale. Si scatenò, così, contro Sullo
e la sua riforma una campagna scandalistica che finì per travolgerli entrambi. Fu divulgato il sospetto che dall’esproprio generalizzato si
giungesse, con successivi provvedimenti legislativi, all’esproprio delle
case. In una pubblica opinione, poco informata e timorosa di perdere i
propri beni, questo timore fece l’effetto di una bomba. A nulla valsero
le assicurazioni dello stesso Ministro: « la
18
F. SULLO, Lo scandalo urbanistico, op. cit., pagg. 20-21.
26
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
proprietà della casa non è in pericolo »19 . Il Tempo replicava: « Quale
garanzia avrà in proposito il cittadino? A una legge di espropriazione
del suolo potrà seguire altra legge di espropriazione degli edifici. E, in
caso di morte del concessionario, e di passaggio della proprietà ai discendenti, che cosa avverrà? E in caso di demolizione dell’abitazione,
il terreno su cui « insiste » la costruzione, a chi apparterrà?
L’attribuzione al comune di tutto il suolo rende oltre-modo precaria e
discutibile la proprietà della casa »20 . Il 13 aprile « Il Popolo » dissociò la D.C. dall’azione politica di Sullo affermando che « nello schema non è in alcun modo impegnata la responsabilità della Democrazia
Cristiana. Questo partito, come è detto chiaramente nel suo programma, persegue l’obiettivo di dare la casa in proprietà a tutti gli italiani
senza limitazione alcuna nella tradizionale configurazione di questo
diritto. Anche nella legislazione urbanistica saranno pienamente rispettati per quanto riguarda la D.C. i principi costituzionali e i diritti
dei cittadini » 21 .
Era la fine del progetto di legge. Sullo rimase Ministro dei LL. PP.
nel breve governo Leone dell’estate del ‘63, ma nel Governo di centrosinistra, presieduto da Moro, malgrado che in più occasioni, anche
alla Camera, avesse dichiarato che il problema del diritto di superficie
poteva essere riveduto, fu sostituito dal socialista Pieraccini22 .
Nelle trattative fra i partiti per la formazione del Governo Moro,
primo Governo organico di centro-sinistra, il problema urbanistico
ebbe una parte rilevante. Nel documento finale, al quale lo stesso Sullo dette il suo contributo, si stabiliva che nell’uso delle aree edificabili
« l’interessato pubblico deve avere assoluta preminenza rispetto
all’interesse priva », che « le plus vacanze comunque determinatesi
nelle aree edificabili dovranno essere pubblicate nella massima misura
possibile », e che l’indennità di esproprio doveva essere calcolata »
prescindendo da qualsiasi incremento di valore » 23 .
Questi principi furono, poi, accolti dal progetto elaborato dall’on.
Pieraccini, che, come quello di Sullo e quello, successivo, di Mancini,
non giunse mai in Parlamento. Anzi non ebbe nemmeno il crisma della ufficialità. Fu soltanto il prodotto di una Commissione di studio insediata dal Ministro il 27-12-63 e di cui facevano parte molti esperti
19
F. Sullo, dalla lettera indirizzata a « Il Tempo » il 7-4-63, ora in SULLO, op. cit.,
pag. 455.
20
U. D’ANDREA, in « Il Tempo » del 7-4-63, ora in Sullo, op. cit., pag. 456.
21
Ora anche in F. SULLO, op. cit., pag. 459.
22
« Avevo desiderio di rimanere ministro dei lavori pubblici per fare la legge urbanistica e per provare che le paure della primavera del 1963 erano grossolane: che si viveva in un clima rovente di passioni e di allucinazioni. Credevo di aver diritto a dimostrare non solo la buona fede, ma il mio realismo. E tut tavia, avrei cercato di non affossare i principi fondamentali de lla riforma. Altri non ha apprezzato sufficientemente gli
aspetti morali di questa mia richiesta e le cose sono andate diversamente ». Così scrisse,
poi, Sullo ne « Lo scandalo urbanistico », pag. 24, rievocando quei giorni.
23
Il documento è in F. SULLO, op. cit., pag.. 480 ss.
27
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della vecchia Commissione Sullo. Il progetto fu comunque pubblicato
il 27-3-64 sul quotidiano « Il Tempo » e fu accettato, in mancanza di
smentite da parte del Ministro, come quello effettivamente elaborato
dalla Commissione. La proposta accoglieva, per il regime dei suoli,
molte delle soluzioni già indicate dallo schema Sullo. Se ne discostava, invece, per l’introduzione di un piano urbanistico nazionale e per
una minore estensione degli espropri.
Anche intorno al progetto Pieraccini si scatenarono le polemiche.
Nell’aprile del ‘64 l’Unione delle Camere di Commercio organizzò un
convegno in cui fu ventilato il pericolo che una riforma urbanistica,
così concepita, avrebbe causato la paralisi delle attività edilizie e sarebbe costata un prezzo insostenibile. Critiche giunsero anche dall’U.C.I.D. e dall’A.C.E.A. Quest’ultima divulgò un proprio schema di
legge con cui rifiutava l’esproprio generalizzato e proponeva forme di
associazionismo tra i proprietari dei suoli che potevano essere espropriati solo in caso di inerzia.
Intanto, tra il ‘63 e ‘65, cioè tra il progetto Pieraccini e quello successivo di Mancini, le Camere parvero percorse da una vera febbre urbanis tica. Le proposte di legge piovvero da ogni parte. Mentre qualcuna accoglieva in sostanza le soluzioni già proposte da Sullo 24 , altre respingevano l’esproprio generalizzato, che, a parere dei proponenti,
non sarebbe servito né a far diminuire il costo delle case e delle aree,
né a creare lo stato di indifferenza tra i proprietari dei suoli, e proponevano, invece, l’istituzione del Comparto urbanistico. I proprietari di
uno stesso Comparto, riuniti in Consorzio, avrebbero dovuto provvedere alle opere di urbanizzazione primaria 25 . Altre proposte, ribadivano la necessità dell’indifferenza dei proprietari rispetto alle scelte urbanistiche, l’istituzione del Comparto e l’accollo ai proprietari delle
spese di urbanizzazione, proponendo che l’indennità di esproprio venisse calcolata in base al valore di mercato. Queste proposte, inoltre,
sottolineavano una pretesa incostituzionalità dell’esproprio generalizzato, in quanto lesivo della proprietà privata. Questo tipo di esproprio
avrebbe, poi, gravemente compromesso l’attività edilizia 26 .
Si andava, intanto, verso la formazione del secondo Governo Moro
del luglio 1964. Nel corso delle trattative si discusse anche della riforma urbanistica. Il testo definitivo dell’accordo programmatico tra i
partiti di centro-sinistra prevedeva, per il regime dei suoli, l’esproprio
obbligatorio delle aree comprese nei piani particolareggiati, mentre
per l’indennizzo si faceva esplicito riferimento ai criteri già adottati
con la vecchia legge su Napoli del 188527 . Le linee generali, cui si sa-
24
Cfr. Proposta di legge Natali ed altri, Atti parlamentari, Camera dei Deputati atto
n. 296 del 26-7-63.
25
Cfr. Proposta di legge Guarra ed altri, Camera dei Deputati, Atti parlamentari,
atto n. 1665 del 23-9-64.
26
Cfr. Proposta di legge Cottone ed altri, Atti parlamentari, Camera dei Deputati,
atto n. 2892 del 18-1-65; Proposta di legge Bergamasco ed altri, Atti parlamentari, Senato della Repubblica, atto n. 1518 del 13-1-66.
27
Cfr. « L’Unità » del 26 luglio 1964.
28
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rebbe informata la legge di riforma, furono confermate in varie occasioni: da De Martino, il ‘27 luglio, al Comitato Nazionale del PSI, dallo stesso Moro, il 31 luglio, alle Camere, e, più tardi, il 24 ottobre, dal
nuovo Ministro per i LL. PP., on. Mancini, in un Convegno a Firenze
organizzato dall’I.N.U. Questo fervore di iniziative accreditò
l’opinione che il nuovo Governo di centro-sinistra avesse finalmente
la forza e la volontà di affrontare uno dei punti cruciali della politica
nazionale, di battersi, cioè, seriamente contro la speculazione edilizia,
che, imperterrita, continuava ad imperversare in tutto il Paese. I fatti
successivi smentiranno questa opinione: ci fu solo un ennesimo dis egno di legge che non andò più in là della trasmissione puramente formale alla Presidenza della Camera. E ci fu, invece, la legge n. 765,
detta legge ponte, che, se risolveva alcuni problemi particolarmente
pressanti, rinviava ancora una volta indeterminatamente l’avvento della riforma.
Ma vediamo in dettaglio la vicenda. Il disegno di legge Mancini28
proponeva l’esproprio obbligatorio dei suoli compresi nei piani particolareggiati, di quelli destinati ad opere pubbliche, e di quelli edificati
contravvenendo alle norme dei piani, ma esonerava dall’esproprio
ampie categorie di aree, tanto che il disegno venne definito non più
dell’esproprio, ma dell’esonero generalizzato. Beneficiari degli esoneri erano i beni pubblici, quelli di istituzioni culturali, assistenziali, ecclesiastiche, e i suoi privati destinati ad abitazioni di tipo familiare. Il
disegno Mancini proponeva due tipi di indennità: la prima, per le aree
edificate, adottava i criteri della legge n. 2892 del 1885 sul risanamento di Napoli, la seconda, per le aree edificabili, teneva presente il valore dei suoli al momento dell’esproprio, detratto il plus valore determinatosi per effetto dell’approvazione del piano regolatore 29 . Il principio
della separazione dello jus aedificandi da quello di proprietà veniva
definitivamente abbandonato e le aree erano cedute con il sistema delle gare ad un prezzo base calcolato sommando l’indennità di esproprio
alle spese di urbanizzazione.
4.— Il disastro di Agrigento e la legge ponte.
Intanto, mentre il disegno Mancini iniziava il suo travagliato,
quanto inutile, cammino, la crisi edilizia, già in atto da qualche anno,
si aggravava dando spazio e voce agli abituali avversari di ogni riforma: « la parola d’ordine prevalente è che prima di porre mano alla riforma bisogna tornare alla normalità »30 . E la normalità consisteva nel
dare « fiato alla speculazione con indiscriminate provvidenze a spese
28
Cfr. Disegno di legge Mancini ed altri, Atti parlamentari, Camera dei Deputati,
atto n. 3774 del 3-2-1967.
29
A questa soluzione si giunse dopo aver scartato il criterio di ancorare l’indennità
ad un valore anteriore alla data di approvazione dei piani, tenuto conto della sentenza n.
22 del 9-4-65 della Corte Costituzionale che aveva dichiarato incostituzionale analoga
norma della legge n. 167.
30
V. DE LUCIA, ed altri, op. cit., pag. 27.
29
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del pubblico erario. La riforma urbanistica esce di scena » 31 .
Invano l’on. Moro, presentando alle Camere il suo terzo Governo,
riaffermava, nel marzo del ‘66, che la riforma dei suoli costituiva un
impegno prioritario dei quattro partiti di centrosinistra. Invano, perché
la realtà, una realtà mai ostacolata e combattuta seriamente, risultò
sempre più forte dei discorsi, dei programmi e delle buone intenzioni.
Nel decennio ‘60-70 l’iniziativa privata, anche a causa della contrazione degli interventi pubblici, calati dal 25% degli anni cinquanta al
5%, realizzava « il 90% della produzione di case. Spesso lo ha fatto
con il concorso dello stato, che ha concesso mutui a favorevoli tassi di
sconto o prestiti a bassissimo interesse a quell’edilizia agevolata con
cui intere categorie di superburocrati, alti funzionari e altri esponenti
di ceti certo non disagiati hanno ottenuto con minima spesa la proprietà di abitazioni che hanno poco da spartire con l’edilizia economica. Edilizia e urbanizzazione pubbliche sono quasi inesistenti e il mercato libero fa salire gli affitti a livelli impossibili anche in periferia » 32
Nel ‘68 una inchiesta del Ministro dei LL. PP. rendeva noto che i
Comuni avevano promosso la lottizzazione di 15 mila ettari con 18
milioni di vani costruiti33 . « Le zone investite dalle lottizzazioni sono
quelle di massima concentrazione abitativa (il triangolo industriale, la
piana veneta, l’area romana e napoletana, ecc.) ovvero quelle più pregiate per valori paesaggistici, le coste soprattutto. La localizzazione
degli insediamenti e l’utilizzazione del suolo ubbidisce esclusivamente alla convenienza dei proprietari che accollano alle esaurite finanze
comunali le spese per strade, acqua, luce, ecc. « Il lottizzatore italiano
— scrive Michele Martuscelli, che ha diretto l’inchiesta — non è nemmeno un imprenditore, ma un semplice mercante dei terreni »; il suo
interesse per il completamento dell’iniziativa cade non appena la maggior parte dei lotti è stata venduta ed è stata intascata la differenza fra
il valore dei terreni divenuti edificabili e quello agricolo originario. La
maggioranza dei comuni italiani si trova così sottoposta alle manovre
degli speculatori, molto spesso sostenuti dagli organi dell’amministrazione statale. L’autonomia comunale è sacrificata alle esigenze
del potere economico dominante e, in generale, alle esigenze degli interessi privati; è umiliata dalle interferenze prefettizie e dagli interventi censori della magistratura amministrativa. Senza riferirsi ai casi, pure frequentissimi, di esplicita complicità fra amministratori, professionisti disponibili ad ogni avventura, e speculatori, anche laddove i comuni seguono criteri di comportamento diversi da quelli indotti dal sistema. La lotta è faticosa ed è duro realizzare obiettivi che si muovono
controcorrente rispetto alle idee ed ai valori che l’orientamento prevalente tenta di imporre come modelli universali » 34 .
31
Ibidem.
FALCONI FERRARI ed altri, op. cit., pag. 41.
33
Cfr. MINISTERO DEI LL. PP., Direzione Generale dell’Urbanistica, Indagine
sulle lottizzazioni, Roma, 1968.
34
V. DE LUCIA ed altri, op. cit., pag. 28.
32
30
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Così, mentre tutto il territorio nazionale subiva, ancora una volta,
l’urto del cemento e il progetto Mancini dormiva sonni tranquilli negli
uffici della Commissione LL. PP. della Camera, si ebbe notizia di
quello che fu chiamato lo « scandalo di Agrigento ». Il 19 luglio del
‘65 una frana di inconsuete dimensioni, improvvisa, miracolosamente
incruenta, ma terribile nello stritolare o incrinare irrimediabilmente
spavalde gabbie di cemento, ed impietosa, al tempo stesso, nello sgretolare vecchie abitazioni di tufo, in pochi istanti, ha buttato fuori casa
migliaia di abitanti ponendo Agrigento sotto nuova luce e nuova dimensione » 35 .
L’impressione nel Paese fu enorme: sessanta edifici distrutti, diecimila cittadini di Agrigento senza casa. Sotto la pressione della stampa36 e dell’opinione pubblica, la quale si rendeva ormai conto che il
caso di Agrigento era solo la proverbiale punta di un ben più gigantesco iceberg, il Governo dovette correre in qualche modo ai ripari.
Nacque così la legge n. 765 del 6-8-1967, che modificava alcuni
articoli della normativa urbanistica del ’4237 . La legge se, nell’ansia di
porre un freno alla devastazione del territorio, conteneva alcune norme
interessanti e innovatrici, quali quelle che proibivano le lottizzazioni e
limitavano l’edificazione nei Comuni privi di strumenti urbanistici (il
che avrebbe dovuto spingere i Comuni a dotarsene nel giro di un anno), conteneva anche alcuni errori di fondo, che, ancora una volta, avrebbero vanificato gli aspetti positivi del provvedimento. Questi errori erano gravi e determinanti. Anzitutto nell’arco di un anno pochissimi Comuni avrebbero potuto dotarsi di idonei e meditati piani, se si
pensa che, alla data del ‘67, malgrado precise disposizioni in vigore
fin dal ‘42, il 90% dei Comuni ne era ancora sprovvisto38 . Il blocco
dell’edilizia, poi, che ne sarebbe automaticamente scaturito, oltre alla
crisi del settore, gravissima per se stessa, e per il collasso improvviso
dei livelli occupazionali, avrebbe agito da paurosa moltiplicatore causando una ben più vasta e grave crisi in molti altri settori produttivi. A
ciò si aggiunga l’opinione, subito diffusasi tra gli esperti, che, a quel
35
MINISTERO DEI LL. PP., Commissione d’indagine sulla situazione urbanisticoedilizia di Agrigento, Relazione al Ministro, on. Giacomo Mancini, Roma, 1966, pag. 5.
36
Così in FALCONI FERRARI ed altri, op. cit., pag. 79: « Contro i giornalisti e i
loro direttori il procuratore della Repubblica di Palermo ordina un giudizio direttissimo
per propalazione di notizie false e tendenziose, per le quali poteva essere turbato
l’ordine pubblico ».
37
La legge 765 modificava i seguenti articoli della 1150 del ‘42: 8, 10, 11, 16, 26,
27, 28, 30, 31, 35, 36, 41.
38
Così A. GUIZZI in « Socialismo ’70 », n. 5-6, pag. 115: « Il mancato rispetto, da
parte dei comuni, degli adempimenti prescritti dalla legge ponte, trova spiegazione nella
impreparazione dei piccoli comuni, nella disorganizzazione dei grandi,
nell’insufficienza numerica dei quadri periferici del Ministero dei LL. PP. (le sguarnite
sezioni urbanistiche dei Provveditorati alle OO. PP. sono gli organi competenti per
l’istruttoria di base di tutti i piani e i programmi) nella brevità del tempo tecnico concesso, reso ancora più insufficiente dal « tempo morto » che è st ato necessario per la “percezione” dell’avvenimento ».
31
ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
punto, difficilmente la maggioranza governativa avrebbe trovato un
accordo per risolvere quello che restava sempre il punto centrale della
questione, e cioè l’approvazione di una legge organica di riforma urbanistica39 .
Ma l’errore più grave contenuto nella legge 765, detta legge ponte
perché doveva essere un momento di passaggio tra la soluzione di un
problema urgente, ma limitato e particolare, e la riforma urbanistica
generale, fu la introduzione del cosiddetto « anno di moratoria »40 . Si
pensò, infatti, per evitare il blocco immediato di tutte le attività edilizie, di rinviare di un anno l’attuazione delle limitazioni imposte dalla
legge. I proprietari di aree e le grandi immobiliari, di cui parlava Sullo, avevano ancora una volta piegato ai propri interessi le leggi dello
Stato. Con l’anno di moratoria, infatti, ci fu una vertiginosa corsa alle
licenze edilizie. Furono autorizzati in quella occasione 8 milioni e
mezzo di vani41 mettendo in moto una gigantesca operazione edilizia
in tutto il Paese, che, mentre causò enormi problemi ai costruttori, la
lievitazione del costo dei materiali e il conseguente aumento del valore delle case, avvantaggiò, in definitiva, proprio le categorie tipicamente parassitarie, e cioè i proprietari dei sudi, i quali potettero «
commerciare lucrosamente i loro terreni ,realizzando, senza alcuni
merito proprio, ma per la bonafficiata provocata dalla legge, profitti
esosi, ingiusti, socialmente illeciti » 42 .
Intanto la Corte Costituzionale si apprestava ad emettere quella
che è stata, forse, la sua più famosa sentenza in materia urbanistica.
5. — La sentenza 55 della Corte Costituzionale.
Nel 1968 il Pretore di Campobasso e il Consiglio di Giustizia
Amministrativa per la Regione Siciliana chiesero alla Corte un parere
di legittimità costituzionale su alcuni articoli della legge del ‘42. Si
39
Si noti che l’art. 41 quinquies della « 765 » disponeva che il Ministro dei LL. PP.
emanasse, entro sei mesi dalla data di approvazione della legge, un decreto con gli standards edilizi, cioè i limiti di densità, d’altezza, di distanza, e i rapporti massimi tra gli
edifici. Il decreto fu emanato 1 2 aprile ‘68, con due mesi di ritardo, e divise il territorio
comunale in sei zone: agglomerati urbani con valore storico e artistico; agglomerati occupati da costruzioni in misura superiore a un ottavo della loro superficie; terreni destinati a nuovi insediamenti industriali; terreni per insediamenti residenziali; terreni agricoli; terreni per strutture pubbliche.
40
Lo stesso Ministro Mancini, qualche anno più tardi, riconobbe che « l’errore è
stato commesso nell’estate del 1967, quando si introdusse nella legge ponte la nota moratoria », da A. Guizzi, in « Socialismo ‘70 », n. 5-6, pag. 123.
41
Nella indagine sulle licenze edilizie rilasciate nel periodo 1-9-67 - 31-8-68, disposta dal Ministero dei LL. PP., a pag. 36, sono riportati due casi significativi: il Comune di Ceriale rilasciò licenze edilizie per un numero di vani superiore al numero degli abitanti, mentre Pescasseroli. nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, presentava
un incremento percentuale di autorizzazioni per vani residenziali superiore al 500%.
42
A. Guizzi, I magliari dell’urbanistica, op. cit., pag. 565.
32
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
chiedeva se gli articoli 7 (commi 2, 3 e 4) e 40 della legge urbanistica,
che sancivano la imposizione a tempo indeterminato, e senza indennizzo di alcun genere, di vincoli alla edificabilità dei privati su suoli
destinati ad opere pubbliche, fossero conciliabili con l’art. 42 della
Costituzione che garantiva, invece, il pieno uso della proprietà privata.
Si chiedeva, in sostanza, alla Corte se tali norme non configurassero di
per sé un esproprio di beni.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 55 del 9 maggio 1968,
mentre ribadiva la legittimità di « limiti diretti a dare un ordine ed
un’armonia ai centri abitati » e di limiti « che stabiliscono il vincolo di
inedificabilità limitato nel tempo di immobili destinati al trasferimento
coattivo in vista delle programmate utilizzazioni », sottolineava la garanzia costituzionale di cui gode la proprietà privata e la illegittimità
di quelle norme che comunque sottraessero « aree fabbricabili alla
normale destinazione da parte dei proprietari, con il piano regolatore,
senza indennizzo e senza operare un trasferimento o in attesa che si
operi un trasferimento, incerto nel « se » e nel « quando ». La Corte,
pertanto, dichiarava, con la sentenza n. 55, che l’art. 7 (commi 2, 3, 4)
e l’art. 40 della legge n. 1150 del ‘42 erano « incostituzionali nella
parte in cui non prevedono l’indennizzo per l’imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti
di diritti reali, quando le limitazioni stesse abbiano contenuto espropriativo » 43 .
La sentenza scatenò un vero putiferio e divise quanti, a vario titolo,
si interessavano dei problemi dell’urbanistica in diverse e contrastanti
correnti d’opinione. Da una parte vi furono i proprietari dei suoli e tutto il sottobosco dell’edilizia, i quali ritennero, a torto e dopo una lettura superficiale, che la sentenza, avendo fatto saltare i vincoli, favorisse
una ulteriore speculazione sulle aree edificabili. Dall’altra vi furono
gli urbanisti, i pianificatori, la stampa impegnata, i quali dissero che la
sentenza rappresentava « il giorno nero dell’urbanistica ». Una terza
corrente d’opinione fu quella dei giuristi, i quali fecero notare che la
sentenza non era né conservatrice, cioè fautrice degli interessi di quanti per decenni avevano speculato senza rischio e senza lavoro sulle aree fabbricabili, né affetta da formalismo giuridico, in quanto si limitava, con la dichiarazione di illegittimità degli articoli della legge del
‘42, a rendere operante la lettera e lo spirito della Costituzione. Osservavano i giuristi, sia pure con qualche opinione contrastante44 , che
la sentenza era irreprensibile sotto il profilo giuridico
43
Si noti che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 56 del 9-3-1968, cioè nello
stesso giorno e nella stessa seduta in cui dichiarava illegittimi i vincoli urbanistici, riteneva, invece, pienamente legittimi quelli paesaggistici.
44
M. S. Giannini, ad esempio, intervenendo da giurista all’Assemblea dell’I.N.U.
del 10-7-68, dichiarava che « la sentenza è giuridicamente sbagliata » per non aver tenuto conto del fatto che « nel nostro sistema positivo la proprietà edilizia non è una proprietà del tipo romanistico, caratterizzata dall’assolutezza dei poteri del dominus; è invece una proprietà il cui uso è disciplinato dalla legge, e, per la legge, dai piani regolatori. Il credere che nel nostro diritto positivo esista un solo tipo di proprietà, che subisce
un numero più o meno grande di limitazioni, è una di quelle vecchie idee, a cui la Magistratura, ivi compresa la Corte
33
ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
in quanto la Corte, mentre ribadiva la garanzia costituzionale della
proprietà, sottolineava che il concetto di espropriazione, accolto dalla
Costituzione, « non coincide con quello dell’espropriazione in senso
stretto, cioè col trasferimento coattivo del diritto di proprietà da un
soggetto ad un altro. Hanno, cioè, natura espropriativa — e quindi
danno diritto ad indennizzo — anche gli atti di imposizione, i quali
comportino limitazioni tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà o impedendo l’utilizzazione economica essenziale del bene o
determinando una penetrante incisione del suo valore di scambio. Da
questi principi deriva logicamente la dichiarata illegittimità costituzionale della mancata corresponsione di un indennizzo per i vincoli
d’inedificabilità derivanti dai piani regolatori generali » 45 .
A parte le argomentazioni dei giuristi, che non mutavano la sostanza delle cose, la sentenza apriva una grossa falla nel regime giuridico dei suoli e prestava inevitabilmente il fianco ad ulteriori speculazioni sul territorio. Intorno a questo problema, che era essenzialmente
politico, e solo marginalmente giuridico, si accese una violenta ed aspra polemica, nella quale intervennero un po’ tutti gli «addetti ai lavori ».
L’onorevole Achilli de IPSI si schierò decisamente contro la sentenza affermando che essa vanificava sia la legge del ‘42 che la « 167
», mentre Mancini, Ministro dei LL. PP., fu ancora più duro, dichiarando che rappresentava un passo indietro anche rispetto alla vecchia
normativa del 1865 sugli espropri. Saltato, ormai, il principio dei vincoli non indennizzabili, Mancini sottolineava l’urgenza di risolvere, in
modo chiaro e definitivo, il problema del regime dei suoli e sollecitava, pertanto, una integrale riforma della legislazione urbanistica, una
riforma che sottraesse ai privati il godimento di ingiuste plus-valenze
delle aree46 .
Anche i Sindacati, in un documento del 4-6-68, si espressero contro la sentenza, mentre il « Sole-24 ore » del 19-6-68, che militava su
tutt’altro fronte, respingeva, come già aveva fatto in passato, la proposta dell’esproprio generalizzato, nuovamente avanzata da alcuni settori
della cultura di sinistra, e sottolineava piuttosto la necessità di
Costituzionale, appare singolarmente attaccata, mentre ormai da oltre trent’anni si sta
dimostrando che nel nostro sistema positivo non esiste « la proprietà », ma esistono « le
proprietà », fort emente differenziate tra di loro: le proprietà ad uso regolate da pubbliche utilità non sono proprietà privata limitata, ma proprietà « confermate » in modi diversi da atti delle autorità pubbliche, sulla base di leggi », in G. CAMPOS VENUTI,
Urbanistica incostituzionale, Marsilio Editore, Padova 1968, pag. 109.
Di parere diverso, D’ANGELO, op. cit., nota n. 3, pag. 228: « non è esatto richiamare la nota dottrina sull’esistenza di diversi tipi di proprietà privata, perché la Corte Costituzionale ha deciso proprio tenendo presente il particolare regime giuridico vigente della proprietà delle aree fabbricabili ».
45
D’ANGELO, op. cit., pag. 228.
46
Cfr. Dichiarazioni dell’on. Giacomo Mancini, Ministro dei LL. PP., 1 giugno
1968, in G. CAMPOS VENUTI, Urbanistica incostituzionale, op. cit., pagg. 86-87.
34
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
ricercare « altre soluzioni che, pur proponendosi il compito di favorire
lo sviluppo di una razionale pianificazione del territorio, non creino
nuovi carrozzoni pubblici, non si propongano di sovvertire del tutto
l’ordinamento esistente e rispettino, nei limiti consentiti dall’interesse
generale, la proprietà privata ».
La polemica continuò a lungo, su quotidiani e riviste specializzate,
nel corso di dibattiti, conferenze, interviste. L’architetto Marcello Vittorini, esponente della cultura urbanistica impegnata, intervenendo sul
« Paese Sera » dell’ 11-6-68, diceva che, fino alla sentenza 55, alla
privatizzazione degli investimenti statali la « collettività poteva opporre soltanto il debole baluardo dei vincoli di piano regolatore », spesso,
d’altra parte, vanificati da « furiose contestazioni e pressioni da parte
dei privati interessati ». La sentenza della Corte Costituzionale concludeva, secondo Vittorini, « in maniera tragicamente farsesca una battaglia ventennale per una legge urbanistica capace di garantire alla collettività il recupero di valori umani finora calpestati dagli interessi privati, dal lassismo dei pubblici poteri, dalla ipocrisia qualunquistica dei
benpensanti, battaglia che solo ora cominciava a dare i primi risultati
».
Il 10 luglio ‘68 l’I.N.U. promosse un Convegno a Roma, durante il
quale la sentenza 55 fu duramente attaccata, che si risolse con un invito al Governo e al Parlamento affinché si fossero adoperati, « nell’attesa della futura legge urbanistica, a promuovere, nel più sollecito
dei modi, l’adozione di un provvedimento legislativo », che avesse
modificato il regime dei suoli adottando il principio della netta distinzione del diritto di proprietà dallo jus aedificandi, e con una indennità
di esproprio che non tenesse conto del plus-valore derivante ai suoli
dall’opera della collettività47 .
Alla valanga di critiche, che si abbatté sulla sentenza, tentò di rispondere lo stesso Presidente della Corte Costituzionale, Aldo Sandulli, con una intervista concessa alla rivista « L’Astrolabio »48 . In
quella occasione Sandulli chiarì che la sentenza non era un « fulmine a
ciel sereno », in quanto si ispirava a « principi già affermati da anni
dalla Corte »49 e che non accordava alcuna « prevalenza all’interesse
privato su quello pubblico ». Richiamandosi alla Costituzione il Presidente ricordava che l’art. 42, mentre conferiva al Parlamento il potere
di stabilire quali categorie di beni possono essere possedute dai privati
e quello di limitarne l’uso mediante l’istituto dell’esproprio, precisava
47
La mozione I.N.U. è ora in G. CAMPOS VENUTI, op. cit., pag. 108.
Cfr. E. CAPOCELATRO, Intervista con il Presidente della Corte Costituzionale,
« L’Astrolabio », n. 27 del luglio ‘68, ora anche in G. CAMPOS VENUTI, op. cit.,
pagg. 102-107.
49
E’ opportuno ricordare che, due anni prima della sentenza 55, la Corte aveva emanato la sentenza n. 6 del 20-1-66, riguardante l’illegittimità dell’imposizione senza
indennizzo delle servitù militari, e che, come ricordò significativamente lo stesso Sandulli nell’intervista a « L’Astrolabio », in ottemperanza a tale sentenza era stata, poi,
emanata una legge che concedeva per i casi di servitù militare, l’indennizzo fin lì negato.
35
48
ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
che « in tal caso i singoli hanno diritto ad un indennizzo ». Nel caso in
questione, argomentava Sandulli, la legge urbanistica del ‘42 mentre
riconosceva ai privati la proprietà dei sudi per scopi edificatori, ne limitava, poi, la naturale destinazione, a tempo indeterminato e senza
indennizzo, qualora i suoli fossero stati assoggettati ai vincoli del piano regolatore. « In sostanza la Corte ha affermato: libero il legislatore
di stabilire, per categorie, quali cose possono essere di proprietà privata e quali no, e di fissare i limiti di godimento della proprietà; ma, una
volta stabilito che una certa categoria di beni (nella specie, il suolo)
può formare oggetto di proprietà privata, e che per essa una certa utilizzazione (nella specie, quella edilizia) rientra tra le utilizzazioni consentite in via di principio al proprietario, non può poi il legislatore disporre legittimamente che solo questo o quel proprietario venga privato senza indennizzo del diritto di utilizzare un certo bene della medesima categoria in modo conforme a quella utilizzazione, tanto più
quando si tratti della utilizzazione tipica della categoria » 50 .
Quanto all’accusa che la sentenza fosse reazionaria, destinata « a
far saltare i piani regolatori e ad aprire la corsa a nuove speculazioni
sulle aree », il Presidente Sandulli, rispondeva che « la speculazione
sulle aree è stata sempre alimentata e continua ad essere alimentata
proprio da quella legislazione che la Corte ha condannato. Se dopo la
sentenza della Corte si porrà mano con tempestività e fermezza a una
riforma risanatrice, la speculazione, lungi dall’essere alimentata, sarà
definitivamente soffocata » 51 .
Lo stesso Sandulli si rendeva conto, d’altra parte, che la sentenza
55 aveva creato dei grossi problemi, che, tuttavia, reclamavano una
soluzione da parte del legislatore e non della Corte. E a tal proposito,
al termine dell’intervista a « L’Astrolabio », suggeriva una serie di soluzioni dalle più temperanti alle più radicali, ma che tutte passavano
necessariamente « per il divieto, in via di principio, della utilizzabilità
a fini di edilizia urbana delle aree che non abbiano ancora formato oggetto di una pianificazione di dettaglio (e cioè di piani particolareggiati o di lottizzazione). Questa è, del resto, la strada per la quale si è
già posta la legge ponte. Quanto alle aree che abbiano formato oggetto
di pianificazione di dettaglio, si potrà optare: per il sistema dei comparti a partecipazione obbligatoria (salvo espropriazione) onerati delle
opere di urbanizzazione; oppure per un sistema (più radicale) che configuri la facoltà di costruire non più come connaturata al diritto di proprietà, bensì come l’effetto di una concessione pubblica da accompagnare con la imposizione di un tributo pari all’intero o a una preponderante, o comunque notevole, parte dell’incremento di valore derivante alle aree dall’edificazione (l’importo dovrebbe confluire a un
fondo destinato alle spese di urbanizzazione ed eventualmente,quando
50
E. CAPOCELATRO, Intervista con il Presidente della Corte Costituzionale, in G.
CAMPOS VENUTI, op. cit., pag. 104.
51
IDEM, pag. 105.
36
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
non si intendesse colpire per intero gli incrementi lucrati dagli altri,
agli indennizzi); o ancora per il sistema dell’acquisizione alla mano
pubblica, a prezzo di terreno agricolo, di tutte le aree comprese nei
piani particolareggiati, con successiva vendita di esse all’asta pubblica; o per sistemi a base tributaria (una soluzione di tal fatta fu da me
esposta nel fascicolo di luglio del 1962 di Nord e Sud); o anche per sistemi misti; o infine per altri sistemi (le proposte potrebbero essere
tante) » 52 .
6.— Legge tappo, nuove iniziative di riforma, e problema della casa.
A parte ogni altra considerazione sulla sentenza della Corte Costituzionale, è certo che essa è stata un momento fondamentale della
complessa storia urbanistica italiana. Il fervore di iniziative, gli interventi, i dibattiti, dei quali fu causa, servirono certamente a ridestare
negli ambienti politici e culturali un interesse che sembrava ormai essersi assopito da tempo, mettendo in moto un meccanismo, che, sia
pure girando lentamente, e con molti colpi a vuoto, non si è, da allora,
più arrestato.
Sul piano pratico, poi, essa, non produsse alcun effetto. Il pericolo
di una ulteriore, e ancora più disordinata, cementizzazione del territorio fu, una volta tanto, prontamente scongiurata dal legislatore. Il
Governo Leone, infatti, « tappò » la falla aperta dalla Corte con un disegno di legge trasformato dal Parlamento nella legge n. 1187 del 1911-68. La legge, se da una parte ribadiva che «nessun indennizzo è
dovuto per le limitazioni e i vincoli previsti dal piano regolatore »53 ,
dall’altra, però, dichiarava che tali limiti e vincoli perdevano « ogni
efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore generale non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionata » 54 .
Col fissare in cinque anni la durata dei vincoli, la legge tendeva a
superare il problema della illegittimità costituzionale posto dalla Corte, ma, nello stesso tempo, impegnava il legislatore a provvedere nello
stesso arco di tempo all’approvazione della riforma. « Non è certamente pensabile — disse, a tal proposito, il Ministro Natali al Senato
— che allo scadere di tale termine si possa o si voglia procedere ad
una proroga legislativa, anche perché in tal modo verrebbe sostanzialmente a modificarsi il sistema che è stato prescelto, riproponendosi
così le ragioni di incostituzionalità che hanno ispirato la decisione della Corte ».
Le « ragioni di incostituzionalità » furono, invece, ampiamente riproposte, se si pensa che dal ‘68 in poi, per circa dieci anni, la scadenza dei vincoli, per il mancato accordo tra le forze politiche, è stata,
con successive leggi tappo, continuamente rinviata senza che si af-
52
53
54
IDEM, pag. 107.
Art. 5 legge n. 1187 del 19-11-1968.
Art. 2, idem.
37
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frontasse e si risolvesse il problema di fondo. Se mancò, tuttavia, un
intervento risolutivo del Governo, non mancarono, viceversa, iniziative, sia all’interno del Parlamento che al di fuori di esso. Fra le iniziative parlamentari più interessanti vi furono le proposte di legge « Luzzatto » e « Curti »55 , che proponevano, la prima, la separazione dello
jus aedificandi dal diritto di proprietà, la seconda, che suggeriva un tipo di indennità non oneroso per gli enti locali e una equa distribuzione
dei costi di urbanizzazione a carico dei proprietari.
Al di fuori del Parlamento le indicazioni più stimolanti vennero
dall’I.N.U., dalle Federazioni Lombarde del PSI e dalla Sezione enti
locali della Direzione del PCI. Le tre proposte, pur partendo da motivazioni culturali sostanzialmente identiche, tendenti a stabilire una
stretta connessione tra problemi economici, politica urbanistica e partecipazione popolare, si differenziavano, poi, nelle parti più strettamente connesse al regime dei suoli e alla determinazione
dell’indennità di esproprio. L’I.N.U. e il Partito Comunista, infatti, evidenziavano, ancora una volta, la necessità di separare nettamente lo
jus aedificandi dal diritto di proprietà, di adottare l’esproprio generalizzato dei suoli edificabili, e di determinare l’indennità in base al solo
valore agricolo. Il documento socialista, invece, proponeva forme facoltative di esproprio, assegnava alle Regioni il compito di stabilire il
regime dei suoli espropriati, e un tipo di indennità che risarcisse i proprietari non solo del valore del suolo, ma anche della eventuale perdita
del diritto di edificare 56 .
Intanto, se la discussione legata alla complessa problematica urbanistica era, tutto sommato, riservata ancora agli « addetti ai lavori », vi
era un aspetto di essa, certo il più grave, che toccava direttamente le
classi lavoratrici: il problema della casa. Ai lavoratori, dei milioni di
vani costruiti dal dopoguerra in poi, non erano andate che le briciole.
La ricerca di una casa, di un appartamento, di un alloggio qualsiasi, si
faceva, specie nelle grandi città, sempre più difficile e più oneroso. Si
mise, così, in moto un meccanismo, che non veniva più da un gruppo
isolato di urbanisti, di giuristi, o di politici illuminati, ma direttamente
dalle grandi masse popolari. Le prime avvisaglie si ebbero nell’area
torinese, quando la Fiat, nei primi mesi del ‘69, comunicò di voler reclutare nel Mezzogiorno, per trasferirli al Nord, circa 15.000 operai. Si
pose subito, e in modo drammatico, il problema degli alloggi.
Dall’area torinese il problema della casa si ribaltò in tutto il Paese e
divenne uno dei punti centrali della lotta dei lavoratori. Nell’autunno
del ‘69 le Confederazioni Sindacali presero ufficialmente posizione e
presentarono al secondo Governo Rumor un documento unitario nel
55
Cfr. Proposta di legge Luzzatto, Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, n. 200
del 15-7-68; Proposta di legge Curti, Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, n. 237 del
23-7-68.
56
Le proposte del PCI, dell’I.N.U. e del PSI sono reperibili in DE LUCIA ed altri,
Riforma Urbanistica, op. cit., pagg. 163 ss.
38
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quale, dopo aver denunciato la trentennale « manovra speculativa sulle
aree » da parte di operatori privati e l’inerzia del potere politico, che,
viceversa, avrebbe dovuto sostenere l’offerta di abitazioni di tipo popolare, si dichiarava che « la politica della casa deve considerarsi una
componente essenziale della generale riforma urbanistica e di un assetto del territorio che raggiunga soddisfacenti equilibri tra l’esigenza
delle attività produttive e quella della residenza » 57 .
Tra il ‘69 e il ‘71 la pressione della base si fece fortissima. I ripetuti scioperi generali , indetti dalle Confederazioni Sindacali, anche se
in prospettiva possono essere considerati come un momento di generale partecipazione e di spinta per una politica globale di riforme, avevano come centro e motore il problema della casa. Si giunse, così, sia
pure tra contrasti gravissimi, incontri burrascosi tra le forze sindacali,
imprenditoriali e politiche, Governi che si bruciarono, alla formulazione del cosiddetto « pacchetto Lauricella », che fu approvato, come
disegno di legge il 16 febbraio 1971 dal Consiglio dei Ministri, e rimesso, per la discussione, alle Camere. Ma l’iter parlamentare apparve
subito irto di difficoltà, mentre premevano le elezioni amministrative
del 13 giugno. Si pensò, allora, in attesa di trasformare in legge il decreto, di varare subito una sorta di provvedimento congiunturale che
servisse ad accelerare le procedure in materia di opere pubbliche e a
dare un impulso immediato all’edilizia. Furono, così, stralciati dal disegno di legge ministeriale i primi otto articoli, che, in brevissimo
tempo, furono trasformati dal Parlamento nella legge n. 291 dell’1-671. Ma l’elemento pericolosamente innovatore di questa legge fu l’art.
4, che prevedeva la sospensione delle limitazioni previste dall’art. 17
della legge 765, e che di questa legge rischiava di vanificare proprio
quella parte che doveva essere « uno strumento destinato a porre un
freno al disordine edilizio, all’espansione indiscriminata, alla distruzione del verde, del paesaggio, insomma dell’habitat civile » 58 .
Le critiche alla legge non si fecero attendere. Uno dei primi a segnalarne gli errori fu l’urbanista napoletano Antonio Guizzi, che, appena qualche giorno dopo, e cioè l’8 giugno, scriveva che « un’altra
idiozia, l’ultima e forse la più grave e la più irreparabile, è stata compiuta » 59 .
Queste critiche spinsero il Ministro a correre ai ripari e a varare in
tutta fretta alcuni decreti nei quali si elencavano i Comuni che non avrebbero potuto utilizzare la sospensione decretata dall’art. 4.
Finalmente, superate le elezioni amministrative, ed esauritesi le discussioni in seno alle Commissioni Parlamentari, il disegno di legge
sulla casa, sia pure dopo molti rimaneggiamenti e momenti di grave
57
C.G.I.L. C.I.S.L., U.I.L., Per una nuova politica della casa e per la riforma urbanistica, in « Politica economica, fisco, sanità e casa », Roma, 1970, pag. 23.
58
A. GUIZZI, I magliari dell’urbanistica, op. cit., pag. 527.
59
A. GUIZZI, sul « Roma» dell’8-6-71, ora anche in I magliari dell’urbanistica,
op. cit., pag. 526.
39
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tensione, fu approvato dalle Camere e divenne la legge n. 865 del 22
ottobre 1971.
La legge copriva un arco d’azione molto vasto. Consentiva
l’acquisizione da parte dei Comuni, mediante l’esproprio, di aree per
l’edilizia sovvenzionata, di aree per la « 167 », di aree per
l’urbanizzazione primaria e secondaria, e di aree da destinare ad impianti industriali. Per i sudi era stabilito un doppio regime: assegnazione in proprietà o in concessione. Anche per la determinazione delle
indennità di esproprio vigeva un doppio regime: per i suoli esterni ai
centri edificati essa era commisurata al valore agricolo medio dei terreni con coltura uguale all’area da espropriare; viceversa, per i suoli
interni ai centri edificati l’indennità era commisurata al valore agricolo
medio delle colture più redditizie tra quelle che, nella regione agricola,
coprivano una superficie superiore al 5% della superficie totale coltivata. Fu, poi, abrogato l’art. 16 della legge 167 che consentiva ai proprietari di suoli, compresi nei piani di zona, di intervenire direttamente. L’abrogazione dell’art. 16 fu ritenuto un elemento indispensabile per il rilancio dell’edilizia economica e popolare, perché i Comuni ottennero finalmente, attraverso l’esproprio delle aree e la successiva cessione in proprietà o in concessione, più ampi poteri per la
gestione del territorio.
La legge sulla casa fu variamente commentata e fu oggetto, in seguito, di ripetuti attacchi da parte delle forze conservatrici che tentarono in ogni modo di vanificarne il carattere innovatore. La legge, se
non risolse del tutto il problema della rendita, né significò un sostanziale passo avanti sulla via della riforma urbanistica, certamente
incise notevolmente sul regime dei suoli, malgrado i numerosi punti
deboli e il complicato meccanismo su cui si reggeva59 bis .
7. — Secondo tappo, terzo tappo, progetto « Bucalossi ».
Dalla legge per la casa si giunge al 1973, cioè alla scadenza dei 5
anni prevista dalla prima legge tappo. Come era stato già previsto da
molti, la riforma urbanistica era ancora in alto mare. Si provvide, allora, con la legge n. 756 del 30 novembre 1973 a tappare per la seconda volta la vecchia falla aperta dalla sentenza 55, rinviando ancora
di due anni la scadenza dei vincoli.
La legge 756, prevista e scontata, se era il frutto di una politica urbanistica fallimentare, costituì anche l’occasione per un ulteriore e approfondito dibattito in Parlamento, durante il quale si delinearono, intorno alla vecchia questione del regime dei suoli, ancora una volta, le
tre fondamentali posizioni di sempre: esproprio generalizzato, gestio-
59 bis
Si ricordi il D.P.R. n. 8 del 15-1-1972, con cui, in attuazione dell’ordinamento
regionale, venivano trasferite alle Regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative
statali in materia di urbanistica, viabilità, acquedotti e lavori pubblici d’interesse regionale, nonché i relativi uffici e il personale.
40
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ne del territorio mediante i comparti, separazione dello jus aedificandi
dal diritto di proprietà.
Poi, altri due anni di impasse legislativo e un ulteriore « tappo »,
questa volta il terzo, con legge n. 696 del 22-12-75, che rinviava la
scadenza dei vincoli di un altro anno, cioè fino al 30 novembre ‘7660 .
Questa volta, però, il terzo tappo era accompagnato dal più sospirato
avvenimento legislativo di questi ultimi anni: dal disegno di legge n.
4176 per la riforma del regime dei sudi, che, dal Ministro dei LL .PP.,
fu chiamato progetto « Bucalossi » e che, successivamente fatto proprio, senza modifiche, dal Ministro Gullotti fu riproposto al Parlamento col numero 500.
Il disegno di legge si articolava in 18 norme e, secondo le dichiarazioni dello stesso Bucalossi, avrebbe dovuto concludere « un dibattito che a tutti i livelli si è svolto nel nostro paese sul problema della riforma del regime dei suoli. Tale riforma rappresenta il punto d’arrivo di un’evoluzione legislativa che, sia pure faticosamente e tra numerosi ostacoli, è stata caratterizzata da una sempre maggiore oggettivazione del controllo pubblico » 61 .
Il disegno sanciva la fine della licenza edilizia. Essa era sostituita
dall’istituto della concessione, atto dovuto e rilasciato solo al proprietario dell’area, sempre che l’attività edilizia richiesta non fosse in contrasto con le disposizioni degli strumenti urbanistici. Inoltre la concessione « si trasferisce insieme all’area. Essa non incide sulla titolarità
della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per
effetto del suo rilascio ed è irrevocabile » 62 .
Con l’istituto della concessione si cercava di porre rimedio alle
conseguenze della sentenza 55 della Corte Costituzionale: « l’attività
edificatoria viene infatti subordinata alla concessione rilasciata
dall’autorità pubblica e quindi non può più parlarsi di vincoli che la
colpiscono prima del formale provvedimento di concessione » 63 . Il rilascio della concessione, secondo l’art. 3, comportava il pagamento di
due « aliquote: una commisurata all’incidenza delle spese di urbanizzazione ed una corrispondente ad una quota parte del costo di costruzione delle opere realizzate »64 . Erano, però, gratuite le concessioni relative ad opere di edilizia rurale, ad impianti di interesse generale, ad
opere di restauro e di ristrutturazione, che non comportassero aumento
delle superfici esistenti; onerose, ma commisurate ai soli costi di urbanizzazione, qualora i costruttori si fossero impegnati a praticare
prezzi di vendita o canoni d’affitto precedentemente concordati con il
60
Il 25-1 1-75 fu presentata una interpellanza al Governo da parte dei deputati
D.C.: Costamagna, De Maria ed altri, con cui, ispirandosi alla legislazione francese, si
prospettava la tesi di assicurare ad ogni proprietario un plafond edificatorio minimo, oltre il quale sarebbe scattata la concessione onerosa.
61
« Il Tempo » del 30-11-75.
62
Art. 4 del disegno di legge n. 500, Atti Parlamentari, Camera dei Deputati.
63
IDEM, Relazione introduttiva, pag. 2.
64
IDEM, pag. 3.
41
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Comune; onerose, e senza alcuna riduzione, in tutti gli altri casi. Il costo della concessione doveva essere deciso con delibera dei Comuni in
base alle tabelle parametriche della Regione. I contributi ottenuti dai
Comuni, per il rilascio della concessioni, dovevano essere « destinati
alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria
nonché al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici
» 65 .
Si sarebbe, così, tentato di far pagare ai privati i costi di tutte quelle opere che è sempre stato estremamente difficile realizzare.
Un altro elemento innovatore del disegno era da individuarsi nell’obbligo dei Comuni di dotarsi di un programma pluriennale di attuazione degli strumenti urbanistici, programma la cui durata non doveva essere inferiore ai tre anni e superiore ai cinque. I proprietari del
suoli, a loro volta, sarebbero stati obbligati a chiedere la concessione
nei tempi indicati nel programma pluriennale, singolarmente o riuniti
in Consorzio. In caso di inerzia avrebbero subito l’esproprio delle aree
da parte del Comune. Per l’indennità di esproprio si proponeva un
prezzo che, a giudizio dell’Ufficio Tecnico Erariale, doveva « essere
attribuito all’area quale terreno agricolo considerato libero da vincoli
di contratti agrari al momento dell’emanazione del decreto di esproprio, secondo le colture effettivamente praticate e in relazione
all’esercizio dell’azienda agraria. Nelle aree comprese nei centri edificati l’indennità è commisurata al valore agricolo risultante dalla media di quello di tutte le colture praticate nel Comune moltiplicato per
tre. Qualora sull’area da espropriare insiste una azienda agricola condotta dal proprietario, l’indennità di esproprio, come sopra determinata, è moltiplicata per il coefficiente 1,5 se l’espropriato dimostra
che detta indennità viene impiegata per investimenti in agricoltura » 66 .
Per le eventuali sanzioni il disegno prevedeva, a parte quelle relative al mancato pagamento del contributo, l’acquisizione gratuita al
Comune delle opere eseguite in difformità o in assenza della concessione. Si prevedeva, inoltre, la demolizione, a spese del concessionario, di quelle opere eseguite in contrasto con rilevanti interessi urbanistici o ambientali. Nel caso di parziale difformità dell’opera, e di conseguente impossibilità all’abbattimento, veniva applicata una sanzione
pari al doppio del valore della parte difforme 67 .
Nel rilascio della concessione, fermi restando gli oneri di urbanizzazione, la quota relativa al costo di costruzione non era dovuta «
per le istanze presentate fino a sei mesi dalla data predetta »; era ridotta « al 30 % della misura stabilita dalle norme della presente legge
per le istanze di concessione presentate entro diciotto mesi dalla stessa
data »; era ridotta « al 60 % della misura medesima per le istanze di
65
IDEM, art. 12.
IDEM, art. 14. Il disegno di legge proponeva così la sostituzione dei primi
quattro commi dell’art. 16, del primo comma dell’art. 17, e l’abrogazione del terzo
comma dell’art. 17, della legge n. 865 del 22 ottobre 1971.
67
Cfr. art. 15, IDEM.
66
42
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concessione presentate entro 36 mesi da tale data »68 . Questa normativa transitoria era stata proposta per « evitare effetti negativi sull’attività costruttiva ed anzi per incentivare detta attività nella prima
fase di applicazione della legge » 69 .
Queste in sintesi le proposte del disegno Bucalossi, proposte che
ottennero consensi e critiche. L’on. Giannotta del PSI, subito dopo
l’approvazione del disegno di legge da parte del Consiglio dei Ministri, dichiarò alla stampa che il provvedimento si muoveva « lungo la
linea approvata dalla direzione del PSI » e che il regime concessorio,
senza incidere sulla proprietà, costituiva « un efficace strumento di
una mo derna attività pianificatrice dei comuni » 70 .
Virgilio Testa, su « Il Tempo » del 30 novembre ‘75, scriveva che
« del provvedimento che il Governo ha inviato al Parlamento è da approvare senza riserve il criterio di fondo: quello cioè di mantenere
fermo il diritto di proprietà dell’edificio costruito, abbandonando il sistema — che pure era stato ventilato — di concessione di un diritto di
superficie, che ripeteva quello ispirato dalla legge sulla casa del 22 ottobre ‘71 n. 865, non gradito alla maggioranza degli italiani. I risparmiatori infatti avrebbero continuato ad investire nelle costruzioni solo
alla condizione di poterne mantenere la disponibilità anche nel più
lontano futuro. Ostacolare questo desiderio dando la preferenza alla
concessione in superficie, sia pure a scadenza secolare, avrebbe portato ad allontanare il risparmio privato dalle future costruzioni e questo
non avrebbe potuto non incidere in senso negativo sulla auspicata incentivazione dell’attività edilizia residenziale... ».
Su posizioni critiche si attestò, invece, il Presidente della Confedilizia, Delli Santi, il quale, in una intervista alla stampa, dichiarava che
il progetto Bucalossi era « così equivoco da far temere che si sia voluta abbindolare l’intera categoria dei proprietari di case, che rappresenta più del 50% della cittadinanza, svuotando il diritto di proprietà
di prerogative che gli sono proprie attraverso un concatenarsi di disposizioni che esiliano la libera iniziativa nel settore immobiliare ad
attività marginali » 71 .
Le critiche maggiori furono rivolte all’art. 17, cioé a quelle norme
transitorie che rinviavano a scadenze diverse il pagamento delle quote
per l’ottenimento della concessione. « Che accadrà all’ex Bel Paese
durante questa lunga moratoria? » si chiedeva Vittorio Emiliani su « Il
Messaggero » del 30 novembre. « Ci sarà una corsa all’edilizia speculativa o il Governo la parerà dedicando sul serio finanziamenti massicci all’edilizia sovvenzionata, agevolata e convenzionata? ». Le stesse perplessità le esponeva qualche mese dopo Franco Busetto su « Politica ed Economia ». La fase transitoria, troppo lunga, comportava per
68
69
70
71
Art. 17, IDEM.
IDEM, Relazione introduttiva, pag. 6.
« Avanti! », del 30-11-75.
« Il Mattino »,del 2-12-75.
43
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Busetto « il rischio molto serio, che, come accadde con la legge ponte
765, un’altra alluvione in cemento si abbatta sulle città, ancora una
volta compromettendo in modo irreparabile il territorio e non certo destinata a soddisfare la drammatica esigenza di case per i lavoratori e
per il ceto medio »72 . Busetto aggiungeva, inoltre, che, se un corretto
regime dei suoli era necessario, esso non era « sufficiente a garantire
la buona pianificazione del territorio, il contenimento dei costi delle
aree fabbricabili e le case per tutti. Occorre quindi dotare i Comuni
degli strumenti urbanistici e dei mezzi finanziari necessari per attuare
una politica di piano; estendere e consolidare le potenzialità e le possibilità offerte dalla 865; guidare le centrali del credito secondo la volontà politica dei pubblici poteri, affinché il risparmio sia convogliato
all’edilizia pubblica e in quella privata (che deve assolvere una funzione sociale, ma non certo essere costretta a rinunciare ad una equa
remunerazione del capitale). In tale contesto il nuovo regime d’uso dei
suoli, se impostato in modo corretto e coerente e tenendo conto della
realtà storica e sociale della formazione della proprietà in un paese
come il nostro, può diventare una riforma credibile e praticabile » 73 .
Ma la critica di fondo, più articolata e complessa, al progetto governativo venne dall’I.N.U., che, in una serie di conferenze e convegni, sottolineò più volte i punti deboli della riforma. Le osservazioni
dell’I.N.U. sono state, poi, riunite in un documento divulgato, ancora
in bozza non corretta, nell’ottobre del ‘76, con l’evidente speranza di
poter influire sulla discussione allora in corso presso la Commissione
LL. PP. della Camera 74 . Le critiche dell’I.N.U., davvero radicali, furono anche rifuse in uno schema di proposta di legge, che, fin dal titolo,
denunciava la diversa angolazione da cui è stato studiato il problema.
Infatti, a differenza del progetto governativo, che si limitava alle sole
aree edificabili, l’I.N.U. tenne presente anche quelle già edificate, intitolando lo schema: « Proposta articolata per la riforma del regime
d’uso dei suoli e dell’edificato ».
L’unificazione, anche nel titolo, dei due problemi denunciava chiaramente la volontà di non suggerire un doppio regime con la conseguenza di privilegiare le rendite urbane immobiliari che costituiscono
la grande occasione per il capitale immobiliare. Lo schema dell’I.N.U.
affermava che « l’utilizzazione del territorio.., è riservata agli enti territoriali elettivi... »75 che avrebbero dovuto provvedervi « direttamente
oppure a mezzo di concessione amministrativa intrasferibile, disciplinata da convenzione... »76 , ignorando, di proposito, anche nel linguaggio, il vecchio problema dello scorporo dello jus aedificandi dal diritto
72
F. BUSETTO, Il nuovo regime dei suoli, in «Politica ed Economia », n. 6, dicembre 1971, pag. 30.
73
IDEM, pag. 41.
74
Cfr. I.N.U., Documenti di lavoro sulle leggi per la riforma del regime dei suoli e
per l’equo canone (bozza non corretta), Roma, 1976.
75
IDEM, art. 1 dello schema I.N.U.
76
IDEM, art. 2.
44
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di proprietà, proprio per evitare la conferma dell’opinione che al suolo
potesse essere comunque connesso il diritto di edificare.
E’ opportuno notare che, secondo il documento I.N.U., la concessione doveva essere rilasciata tenendo presente le finalità sociali
dell’edificazione e dell’uso dell’edificato, tra le quali l’istituzione
dell’equo canone, e ciò per abolire il processo di mercificazione degli
alloggi e favorire l’affermarsi del principio della casa come uno dei
fondamentali servizi sociali. Di particolare interesse, poi, era la proposta di costituire presso i Consigli di quartiere delle « apposite commissioni le quali dovranno provvedere per tutto il patrimonio immobiliare
di quartiere alla determinazione dell’effettiva titolarità aggiornata, del
nominativo degli inquilini, dell’uso pratico della disponibilità,
dell’imponibile dichiarato secondo la dichiarazione dei redditi » 77 .
La proposta del controllo popolare, attraverso gli organismi democratici di quartiere, sull’uso della casa era diretta a prevenire ogni
prevaricazione da parte dei proprietari di case e ad evitare che eventuali azioni legali, gestite con gli abituali ritardi, si fossero risolte in un
vantaggio per i proprietari che avessero violato le disposizioni di legge. L’abusivismo veniva severamente perseguito: ogni costruzione
abusiva, e il relativo suolo, passavano a far parte del patrimonio indisponibile del Comune. Come si vede la critica serrata e minuta dell’I.N.U., fatta articolo per articolo, si poneva su di un piano di netta
contrapposizione al progetto governativo ed allargava il discorso anche ad altri problemi, come l’equo canone, che è stato, poi, affrontato
anche dal Governo.
8. — Discussione e approvazione del progetto « Bucalossi-Gullotti »:
nasce la legge n. 10 del 28-1-77.
Intanto il disegno di legge iniziava l’iter parlamentare. Assegnato
alla IX Commissione LL. PP. della Camera il 14 ottobre, fu discusso
la prima volta il 20 ottobre ‘76. Il relatore, on. Giglia, svolgeva una
dettagliata relazione, osservando come da troppo tempo, ormai, si avvertisse « l’esigenza di una organica riforma in materia urbanistica in
grado di sciogliere quei nodi che ostacolano una corretta gestione del
territorio da parte degli enti istituzionalmente preposti all’attività di
pianificazione » 78 .
La discussione proseguì nella seduta del 21 ottobre. Dopo l’intervento del deputato Pellizzari, vi fu l’attacco frontale dell’on. Costamagna della DC, che definì il disegno di legge fortemente lesivo della
proprietà privata perché introduceva di fatto lo scorporo dello jus aedificandi dal diritto di proprietà, scorporo ritenuto dall’oratore « costituzionalmente illegittimo e tale da non sanare la situazione dei vin
77
IDEM, art. 6.
CAMERA DEI DEPUTATI, Atti parlamentari, Disegno di legge n. 500, IX
Commissione LL. PP., seduta del 20-10-76.
78
45
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coli urbanistici »79 . La nuova disciplina non avrebbe né sconfitta la
rendita fondiaria, nè provocato l’abbassamento del costo delle aree e
delle costruzioni. La soluzione del problema urbanistico andava ricercata, per Costamagna, in tutt’altra direzione, abbandonando cioè l’istituzione della concessione e ricollegando invece « lo jus aedificandi al
diritto di proprietà per effetto di una attività demandata dalla legge alla
pubblica amministrazione, che potrebbe consistere nell’adozione di
strumenti urbanistici o nello stesso rilascio della licenza a quelli conforme, o, in mancanza di tali strumenti, aderente ad una generale previsione normativa »80 . Solo in tal modo, secondo Costamagna, si sarebbe realizzata l’indifferenza dei proprietari e si sarebbe consentito
agli enti pubblici di procurarsi i mezzi finanziari per la realizzazione
dei servizi sociali e delle opere di urbanizzazione.
Per l’on. Todros, del PCI, il rilancio dell’edilizia, la casa come
servizio sociale, l’equo canone, l’abbattimento di ogni tipo di rendita
fondiaria, erano problemi strettamente legati l’uno all’altro da risolversi contestualmente nell’ambito di un più articolato e più meditato
disegno di riforma urbanistica. A tal fine chiedeva che ai provvedimenti in discussione fosse stata data « una nuova dimensione estendendo il campo di applicazione della legge n. 865 uniformandone il
contenuto al regime della concessione, varando la nuova legge urbanistica, ampliando l’obbligo di formazione dei piani di zona a tutti i comuni investiti dallo sviluppo, creando un unico utilizzo delle aree modellato sul diritto di superficie, ridimensionando i piani urbanistici e
rapportandoli alle previsioni pluriennali in cui calare i programmi di
attuazione, imponendo maggiori vincoli nei comuni inadempienti all’obbligo di dotarsi di strumenti urbanistici » 81 .
Purtroppo, lamentava Todros, ancora una volta bisognava registrare l’esistenza di posizioni di retroguardia, come quelle dell’on. Costamagna, che tentavano di vanificare gli sforzi dello schieramento
progressista.
L’on. Borri esprimeva un giudizio sostanzialmente favorevole, sia
perché il disegno governativo non intaccava il regime della proprietà,
sia perché assegnava notevoli poteri pianificatori alla pubblica amministrazione, e invitava, pertanto, la Commissione a riflettere
sull’opportunità di introdurre alcune modifiche « per il regime transitorio, per i criteri di indennizzo e per il contenuto del programma poliennale: mo difiche, comunque, che dovranno far salva l’impalcatura
del provvedimento anche se esso, affrontando solo alcuni dei problemi
sul tappeto, dovrà essere seguito da una legge quadro sul territorio,
dalla dotazione ai comuni di adeguati strumenti di intervento, dalle
misure sull’equo canone e da quelle per il recupero e la qualificazione
79
80
81
IDEM, seduta del 21 ottobre ‘76.
Ibidem.
Ibidem.
46
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
del patrimo nio edilizie, specie nei centri storici, nonché da una seria
riforma del credito fondiario » 82 .
Nella riunione del 27 ottobre vi furono gli interventi degli on.li
Guarra, Achilli, Alborghetti, Ascari Raccagni.
Per Guarra, del MSI, era assurdo pensare di poter risolvere gli annosi problemi dell’urbanistica con un provvedimento che si limitava a
mutare solo l’etichetta di vecchi istituti e si attestava su un piano di riforme meramente nominalistiche. A suo parere, per risolvere i problemi posti dalla sentenza 55, era necessario adottare o l’esproprio generalizzato delle aree, come indicato dalle sinistre, o l’istituzione dei
comparti urbanistici, come suggerito dalla destra. Il disegno governativo non rispondeva, invece, « nè alle esigenze di una moderna politica urbanistica, nè a quelle poste dalla sentenza della Corte, introducendo per altri versi i motivi di incostituzionalità insiti in ogni forma
di espropriazione surrettizia senza indennizzo, che potrebbe essere disposta solo con una legge di revisione costituzionale che desse alla
pubblica amministrazione la potestà di disporre di un diritto, come
quello di edificare, che è invece attualmente connesso al potere dominicale. Il fatto è che l’errore fondamentale di certi ambienti politici ed
urbanistici di oggi è di aver ridotto tutta la problematica in materia a
quella del regime della proprietà dei sudi, il quale rappresenta invece
un aspetto secondario rispetto a quello, di fondamentale importanza,
della pianificazione urbanistica del territorio, cui l’attività delle regioni — che costituiscono ormai una realtà con cui vanno fatti i conti —
deve indirizzarsi nell’ambito dei principi posti da leggi-quadro dello
Stato secondo il disposto dell’articolo 117 della Costituzione » 83 .
Nessuno dei tre elementi fondamentali, sui quali si reggeva il disegno governativo, e cioè la concessione, i programmi edilizi pluriennali e il potenziamento dell’edilizia abitativa, affrontava, per Achilli
del PSI, quelli che erano da sempre gli aspetti più spinosi della politica urbanistica: l’indifferenza dei proprietari di aree e l’abbattimento
della rendita parassitaria. A parere di Achilli sarebbe stato necessario,
per privilegiare l’attività edificatoria rispetto alla proprietà parassitaria, l’adozione di « un regime di concessioni conferite per asta pubblica sui terreni situati nelle zone di espansione, abbandonando decis amente l’idea, rivelatasi irrealizzabile, di attuare la perequazione mediante il prelievo totale della rendita. In questo modo si consentirebbe
un rilancio dell’attività dell’edilizia pubblica a bassi costi, secondo
programmi pluriennali pilotati dalle regioni e dagli enti locali e sostenuti da un’adeguata manovra del credito, sia o non agevolato, da cui
andrebbe esclusa l’edilizia cosiddetta libera. Solo così si potrebbe andare oltre le indicazioni della Corte Costituzionale, evitando i rischi di
nuovi contenziosi cui potrebbe dar luogo una riforma puramente nominalistica » 84 .
82
83
84
Ibidem.
IDEM, seduta del 27 ottobre ‘77.
Ibidem.
47
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L’istituto della concessione e gli stessi piani pluriennali, disse a
sua volta l’on. Alborghetti, dovevano essere meglio definiti in modo
da poter incidere, non solo sull’assetto del territorio, ma anche sulle
situazioni economiche e finanziarie, ponendosi, mediante più stretti
collegamenti con i bilanci degli enti locali, come momenti attivi di una
generale programmazione di tutte le attività. In tal modo sarebbe stata
esaltata anche la funzione sociale della proprietà privata, secondo le
disposizioni della Costituzione, e non si sarebbe più fatto dipendere lo
sviluppo urbano esclusivamente dall’arbitrio e dagli interessi dei privati.
Ascari Raccagni, repubblicano, sottolineò gli aspetti positivi e innovatori del disegno, ma si dichiarò perplesso sulla possibilità che esso avrebbe potuto realizzare l’indifferenza dei proprietari dei sudi. Per
questi ed altri motivi annunciava che da parte del suo partito sarebbe
stato presentato un emendamento perché i proventi delle concessioni
fossero utilizzati dai Comuni per l’acquisto di aree, ed altri emendamenti « per ridurre i tempi sanciti dall’articolo 17, per un più attento
riconoscimento dell’indennità di esproprio per le aziende agricole
condotte dal proprietario » 85 .
A tutti gli interventi replicava il relatore Giglia, che raccoglieva o
respingeva alcune delle osservazioni, ed esortava, tuttavia, riferendosi
particolarmente a quei gruppi che avevano presentato progetti del tutto
alternativi al disegno del Governo, a proporre, per giungere più rapidamente alla discussione in Assemblea, solo modifiche che avessero
come base il testo governativo e che non ne stravolgessero le linee
fondamentali.
Il 19 novembre la Commissione LL. PP. si riunì per l’ultima volta
per approvare gli emendamenti. Il testo che ne risultò, pur contenendo
correttivi ed aggiornamenti, non si discostava nella sostanza da quello
governativo. Per il regime dei suoli si restava nella linea già indicata
dal disegno « Bucalossi ». Era importante, tuttavia, che la Commissione LL. PP. avesse nel corso delle sue riunioni sottolineato ancora
una volta la necessità di una soluzione contestuale dei tre problemi
fondamentali: regime dei suoli, equo canone, e piano decennale per
l’edilizia popolare. La Commissione, pur senza instaurare norme rivoluzionarie, aveva accentuato il criterio di fondo del disegno « Bucalossi » che legava l’attività edilizia e la gestione del territorio non più
all’abuso e all’arbitrio dei proprietari e dei costruttori, come era accaduto per decenni, ma piuttosto alla concezione che ogni trasformazione del territorio dovesse comportare vantaggi più generali.
La discussione alla Camera iniziò il 22 novembre ‘76, dopo aver
discusso e respinto una pregiudiziale di legittimità costituzionale posta
dal MSI, e proseguì rapidamente il 22, il 23, il 24 e il 25, giorno in cui
si ebbero gli ultimi interventi e la votazione finale.
L’on. Malagodi, intervenendo il 22 novembre, annunciava l’atteg-
85
Ibidem.
48
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
giamento critico, ma costruttivo del PLI evidenziando i numerosi errori del progetto e soprattutto quelle norme che, sia pure indirettamente,
introducevano ancora una volta la distinzione « tra diritto di proprietà
e jus aedificandi che si ritenevano definitivamente superate e risolte
» 86 .
Di parere contrario fu Pinto, di Democrazia Proletaria, il quale disse che, alle posizioni arretrate della Corte Costituzionale espresse nella sentenza 55, il legislatore avrebbe dovuto rispondere « distinguendo
nettamente tra diritto di proprietà e jus aedificandi »87 . Sulla gratuità,
poi, della concessione per le opere di restauro e di risanamento dei
centri storici, l’on. Pinto fu ancora più severo: « si consegnano addirittura i centri storici alla speculazione. Gli speculatori si presentano
come i salvatori dei centri storici »88 . Rincarò la dose l’on. Eirene
Sbriziolo, del PCI, per la quale un progetto di riforma non poteva risolversi solo in un aggiustamento degli errori legislativi denunciati
dalla Corte, ma doveva, invece, collegarsi ai più importanti problemi
della vita politica, quali quelli connessi alla casa come servizio sociale
e ad una corretta gestione del territorio. Il provvedimento in esame
conteneva, a suo parere, fondamentali ambiguità. Mentre faceva riferimento alle Regioni, non teneva in alcun conto ciò che esse, in un documento unitario, avevano richiesto e cioè una « chiara distinzione del
diritto di proprietà dal diritto di edificare ed elaborazione di un unico
istituto di concessione, per altro manovrabile da Comuni e Province in
funzione incentivante o disincentivante. Auspicavano inoltre che si istituissero per tutti i Comuni i piani attuativi, riservando a se stesse i
compiti di programmazione e di fornitura dei mezzi necessari perché
tali strumenti venissero predisposti nei tempi stabiliti » 89 .
L’ultimo intervento della seduta fu quello del democristiano Costamagna, che ribadì quanto aveva già sottolineato alla Commissione
LL. PP., e cioè di essere nettamente contrario al progetto nel suo insieme, poiché costituiva il primo passo verso la collettivizzazione della proprietà e il « riconoscimento della casa quale servizio sociale gestito dalla mano pubblica »90 . Di fronte al pericolo che la sacralità della proprietà privata fosse contaminata dalle norme in discussione, Costamagna fece appello addirittura al Concilio Vaticano: « Il principio
che i comunisti vogliono affermare con questa legge... segna la fine di
quella proprietà privata il cui rispetto è affermato anche nei documenti
del Concilio Vaticano II »91 . Per prevenire la disgregazione del nostro
sistema economico e sociale, Costamagna proponeva la
86
CAMERA DEI DEPUTATI, Atti Parlamentari, Resoconto sommario, seduta di
lunedì 22 novembre 1975, pag. 6.
87
Ibidem.
88
IDEM, pag. 7.
89
IDEM, pag. 8.
90
IDEM, pag. 9.
91
Ibidem.
49
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sostituzione in tutto il disegno di legge, del termine « concessione »
con il termine « autorizzazione ».
La seduta del 24 novembre, dopo gli interventi di Guarra, relatore
di minoranza, e di Giglia, relatore di maggioranza, che ribadivano le
posizioni già espresse in Commissione, e dopo un invito dell’on. Padula, sottosegretario ai LL. PP., ad approvare sollecitamente il disegno
di legge, fu dedicata alla discussione articolo per articolo e alla illustrazione degli emendamenti. Ma la Camera li respinse tutti e finì con
l’approvare solo quelli proposti dalla Commissione LL. PP.91 bis . Il
giorno dopo si passò alle dichiarazioni di voto e alla votazione finale.
Con la prevista astensione di liberali, socialisti e comunisti, il disegno
di legge fu approvato con 193 voti rispetto ad una maggioranza richiesta di 113 voti.
Il disegno di legge passava, quindi, al Senato, lasciando dietro di
sé molti dubbi e perplessità. Lo stesso giorno della votazione alla Camera l’on. Achilli rilasciava all’« Avanti » una dichiarazione estremamente critica in cui affermava che la DC si era schierata ancora una
volta in difesa della rendita fondiaria e aveva impedito l’approvazione
di una più seria riforma urbanistica. « La legge approvata, proseguiva
Achilli, pur contenendo ampi spazi per una corretta gestione urbanistica, presenta tali margini di ambiguità da non potere essere sicuramente indenne da censure da parte della Corte Costituzionale ». Sull’ «
Unità » del 27 novembre, l’on. Todros scriveva: « La legge conserva
dei limiti, poteva essere meno vulnerabile di fronte all’attacco privato,
più semplice, più chiara, meno contraddittoria, doveva compiere scelte
più precise sul convenzionamento generalizzato, sull’obbligo dei piani
pluriennali attuativi, sulla definizione della concessione. In considerazione di questi limiti, ci siamo astenuti nel voto. Il nostro è stato un atto di responsabile valutazione politica. Abbiamo considerato importante per il Paese avere una legge che avvii processi nuovi. Insistere
sulle altre modifiche da noi proposte, significava bloccare la legge,
farla cadere, dare motivi a una parte della democrazia cristiana, che la
legge non voleva, di utilizzare la nostra insistenza per affossare la riforma. Va lutazione analoga hanno fatto i compagni socialisti con
l’astensione sulla legge ».
Ai primi di dicembre, in un Convegno promosso dall’Unione degli
Ingegneri di Napoli, la legge veniva definita « un nuovo grosso pastic-
91 bis
Con eccezione dell’art. 14, relativo all’indennità di esproprio, per cui il Governo produsse un testo completamente nuovo, secondo gli accordi presi dal sottosegretario
Padula in sede di Commissione dei LL. PP., che prevedeva per le aeree da espropriare,
interne ai centri edificati, coefficienti moltiplicativi tali da incrementare da due a dieci
volte, in relazione alla grandezza dei Comuni, il valore agricolo medio della coltura più
redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l’area da espropriare, si estendevano per una superficie superiore al 5% della regione agraria stessa. Con questa
modifica furono così raddoppiate le indennità previste dalla legge 865.
50
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
cio legislativo, determinato dalla necessità di conciliare orientamenti
contrastanti » 92 .
Al Senato il disegno di legge fu assegnato alla Commissione LL.
PP., che, dopo la seduta preliminare dell’1 dicembre, si riunì il 9 dello
stesso mese per ascoltare il relatore Gusso93 . Dopo aver riassunto le
vicende che avevano portato alla legge in discussione, Gusso affermava che il problema delle aree fabbricabili era strettamente legato al
concetto costituzionale della proprietà, al significato che alla proprietà
stessa viene attribuito dalla coscienza popolare, e alla rilevanza dell’attività edilizia nell’economia italiana. Il disegno di legge, secondo
Gusso, aveva tenuto conto di questi molteplici elementi e, pur non introducendo uno scorporo netto dello jus aedificandi dal diritto di proprietà, aveva tentato con l’istituzione della concessione di disciplinare
in modo più idoneo il diritto di proprietà avendone presente soprattutto la funzione sociale. Gusso osservava, poi, che il disegno di legge,
pur rappresentando un momento importante nel processo di pianificazione urbanistica, non esauriva tutti i problemi sul tappeto. Si rendeva
indispensabile « un piano pluriennale di investimenti per l’edilizia economica e popolare, che dovrà consentire un’incidenza dell’iniziativa
pubblica di almeno un quarto sul totale del fabbisogno annuo di abitazioni ed occorre inoltre, per incentivare il risparmio privato, sciogliere
il nodo rappresentato dai canoni di affitto, che dovranno essere equi
sia per i proprietari che per gli inquilini » 94 .
Nella seduta del 10 dicembre il sen. Ottaviani osservò che i problemi connessi alla gestione del territorio non erano stati soltanto l’occasione di uno scontro di massimalismi ideologici, ma soprattutto il
campo ideale per la proliferazione dei peggiori interessi speculativi. Il
disegno di legge in discussione costituiva, così, un importante passo
avanti, anche se era preferibile che fosse stato affiancato a provvedimenti legislativi relativi « all’equo canone e al programma pluriennale
di interventi nel settore edilizie, considerate le connessioni esistenti fra
tali materie » 95 .
Nel corso della seduta del 20 dicembre, che vide riunite le Commissioni Giustizia e Lavori Pubblici, si ebbero numerosi e variegati
interventi. Il sen. Scamarcio, relatore per la Commissione Giustizia,
disse che la riforma non risolveva la questione principale, e cioè non
provvedeva ad abbattere la rendita fondiaria, poiché non operava una
sufficiente disincentivazione « dell’edilizia libera a favore di un reale
incremento di quella convenzionata e controllata. L’imprenditoria speculativa può anzi avvalersi della disposizione transitoria dell’art. 17
per continuare a stipulare convenzioni estremamente vantaggiose.
92
Cfr. il « Roma » del 4-12-76.
Con decreto legge n. 781 del 26-11-76, veniva, intanto, prorogato ancora di due
mesi, e cioè al 30-1-77, il termine di validità dei vincoli urbanistici.
94
SENATO DELLA REPUBBLICA, Atti Parlamentari, Commissione LL. PP., seduta del 9-12-76.
95
IDEM, seduta del 10-12-76.
93
51
ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
Anche la gratuità della concessione per le opere di restauro e di ris anamento potrebbe offrire il destro a manovre speculative, in particolare nei centri storici » 96 .
Per Cleto Boldrini il disegno di legge rappresentava un punto a favore di una migliore gestione urbanistica, in quanto « lo jus aedificandi era sicuramente sottoposto ad un affievolimento in cui la concessione da parte del Sindaco, prevista dall’art. 1, si pone come atto
propriamente costitutivo del diritto »97 . Il sen. Degola, dopo aver sottolineato gli elementi positivi del disegno, esponeva le proprie perplessità sul regime transitorie e sulla concessione gratuita per le opere
di restauro. Questa tesi era appoggiata anche da Ottaviani, mentre Segreto chiedeva che venisse migliorato il quantum dell’indennità di esproprio per le piccole proprietà contadine.
Il 21 dicembre le Commissioni passarono, finalmente, alla discussione sugli emendamenti e modificarono molti articoli del disegno.
Tuttavia nessuno di questi emendamenti mutò nella sostanza il testo
approvato dalla Camera. Le modifiche introdotte servirono solo a
chiarire qualche punto ancora tecnicamente incerto. La seduta, tuttavia, non si chiuse senza contrasti: il sen. Scamarcio chiese, poiché dissentiva totalmente dalle soluzioni adottate dalle Commissioni, di essere esonerato dall’incarico di preparare la relazione per la discussione
in Senato. L’incarico venne così affidato al sen. Gusso. Il 12 gennaio
‘77, dopo due giorni di discussioni, durante i quali i vari gruppi politici ripeterono ancora una volta, e piuttosto stancamente, le posizioni
già espresse alla Camera e durante i lavori delle varie Commissioni, il
Senato approvò, a sua volta, il disegno di legge con una votazione
analoga a quella camerale: astensione da parte di comunisti, socialisti
e liberali, approvazione di democristiani, repubblicani e socialdemocratici, voto negativo da parte dei missini. Neanche il Senato aveva
introdotto emendamenti sostanziali, limitandosi solo a perfezionare
ancora qualche norma e a chiarire alcuni punti. Veniva, ad esempio,
introdotto un collegamento tra le vecchie norme urbanistiche, ancora
valide, e la nuova disciplina, e si chiariva che le norme penali previste
dalla legge del ‘42 restavano tutt’ora in vigore.
Dopo gli aggiustamenti del Senato il disegno tornava di nuovo alla
Camera per la seconda approvazione e diveniva la legge n. 10 del 281-77, contenente nuove « norme per la edificabilità dei sudi » 98 .
9. — Gli ultimi sviluppi.
Tre mesi dopo l’entrata in vigore della nuova legge, il Ministero
dei LL. PP. emanava una Circolare 99 a chiarimento di alcuni quesiti
96
IDEM, seduta del 20-12-76.
Ibidem.
Cfr. « Gazzetta Ufficiale », n. 27 del 29-1-1977.
99
Cfr. Circolare del Ministero dei LL. PP., Direzione Generale Urbanistica, 22 aprile 1977, n. 759, legge 28-1-1977 n. 10. Norme per l’edificabilità dei suoli, art. 5,
determinazione degli oneri di urbanizzazione.
97
98
52
__________________________________________IL REGIME DEI SUOLI NELLA LEGISLAZIONE ITALIANA
sorti a proposito della determinazione degli oneri di urbanizzazione e
del contributo di concessione. La Circolare, dopo aver ricordato che la
legge n. 10 imponeva, per il rilascio della concessione, il pagamento
di un contributo commisurato sia alla incidenza degli oneri di urbanizzazione sia al costo di costruzione, e dopo aver sottolineato che il
pagamento di questa seconda quota non era dovuto fino alla scadenza
dei sei mesi dall’entrata in vigore della legge, poneva il problema di
come determinare gli oneri in attesa che le Regioni avessero approvato
le tabelle parametriche. La Circolare risolveva il quesito distinguendo
tre fasi: nella prima fase, dalla entrata in vigore della legge fino alla
approvazione delle tabelle parametriche Regionali, i Comuni avrebbero continuato ad applicare quanto disposto dalla legge n. 765 del ‘67;
nella seconda fase, e cioè dal centoventesimo giorno dall’entrata in
vigore della legge n. 10 e fino alla approvazione delle tabelle, i Comuni avrebbero potuto autonomamente provvedere con deliberazione
dei Consigli Comunali; nella terza fase, poi, i Comuni avrebbero deliberato nei limiti indicati dalle tabelle regionali100 .
Ma l’avvenimento più rilevante per il suo significato politico, seguito alla legge n. 10, è quello costituito dal Documento Unitario elaborato dalle Regioni, nel Convegno dell’aprile 1977101 .
Con tale documento le Regioni, pur sottolineando che la nuova
normativa urbanistica non attuava quella « riforma urbanistica da tanto tempo rivendicata dalle forze democratiche e della cultura, dai lavoratori, dai poteri locali e regionali — per porre fine a uno sviluppo totalmente distorto, fondato su un irragionevole consumo di risorse e
sullo spreco assurdo del territorio, rispetto ai primari bisogni del Paese
» 102 prendevano atto che essa costituiva una legge quadro particolarmente significativa sia per i poteri assegnati alle Regioni e ai
Comuni, sia perché si proponeva come uno strumento abbastanza idoneo ad arrestare i gravi processi di degenerazione del territorio.
Tuttavia le Regioni, e questo era il significato ultimo del documento unitario, sottolineavano la necessità che il legislatore nazionale
varasse, nel più breve tempo possibile, sia la legge sull’equo canone
sia il piano decennale per l’edilizia pubblica103 , indicando in questi
100
Si ricordi che il Ministro dei LL. PP., ha emesso il 10 maggio 1977 il decreto
sulla determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici (vedi G.U. n. 146 del 31
maggio 1977).
101
Cfr. Documento Unitario delle Regioni del 14-4-1977, Orientamenti delle Regioni per l’attuazione della legge 28-1-1977, n. 10. Il testo del documento è oggi reperibile in varie pubblicazioni tra cui: DOMENICO DI GIOIA, L’edificabilità dei suoli, Editore Cacucci, Bari, 1977; FELICIA BOTTINO e VITO A. BRUNETTI, Il nuovo regime dei suoli, Edizioni delle Autonomie, Roma, 1977.
102
Ibidem.
103
A proposito dell’equo canone si tenga presente che il Senato, dopo il parere favorevole delle Commissioni e LL. PP., ha approvato il 27-1-1977 il Disegno di Legge
governat ivo (Disciplina delle locazioni immobiliari) n. 465,
53
ROSARIO MICHELINI__________________________________________________________________________
due provvedimenti gli strumenti indispensabili per una reale applicazione della legge n. 10, i soli, cioè, capaci di far davvero « emergere
nuovi obiettivi di sviluppo basati sull’espansione dei consumi sociali e
sul prevalere degli interessi collettivi, in un quadro di effettive riforme
» 104 .
Le Regioni, coerenti con la loro natura di enti di programmazione,
riproponevano, ancora una volta, il territorio come un bene collettivo
di base, indispensabile sia per una corretta impostazione di qualsiasi
pianificazione economica, sia per una più generale e migliore qualificazione della vita concludendo così un lungo e tormentato itinerario
durante il quale troppi valori erano stati sacrificati sull’altare degli interessi privati, ma, al termine del quale, molto ancora può essere salvato, corretto e recuperato, nelle sue componenti culturali, storiche,
archeologiche, paesaggistiche ed, in definitiva, umane, affinché le generazioni future non giudichino troppo barbara e devastatrice la nostra
epoca105 .
ROSARIO M ICHELINI
e che tale disegno è ora all’esame della Commissione LL. PP. della Camera, che dovrà
esprimersi in sede referente. Per quanto riguarda, poi, il piano decennale dell’edilizia, il
Governo ha presentato il Disegno di Legge n. 1000 bis (Norme sui programmi di edilizia residenziale pubblica), che è stato approvato in sede legislativa e con numerose modifiche dalla Commissione LL. PP. della Camera il 22-12-1977, e trasmesso, poi, con il
n. 1061 ed il titolo lievemente modificato (Norme per l’edilizia residenziale), al Senato
il 12-1-1978, dove è stato assegnato alla Commissione LL. PP. che dovrà pronunziarsi
in sede referente. La Commissione ha iniziato l’esame nei primi giorni di aprile.
104
Ibidem.
105
Si segnala che, per iniziativa dell’on. Canotto della D.C. ed altri, il 24 marzo
1977 è stata presentata alla Camera dei Deputati (Atto Camera n. 1285) una Proposta di
Legge contenente modifiche ed integrazioni alla legge n. 10 del 28 gennaio 1977. La
proposta, costituita da un unico articolo, contiene miglioramenti a favore degli addetti
all’agricoltura. In particolare propone che, se l’area da espropriare è coltivata dal proprietario diretto coltivatore, il prezzo di cessione sia determinato in misura tripla rispetto
alla indennità provvisoria.
54
FOGGIA — L’URBANIZZAZIONE STORICA
Il processo di urbanizzazione dell’area di Foggia ha delle modalità
di attuazione abbastanza peculiari.
La città, oggi, per il tipo di economia che la caratterizza e per il
ruolo che ha nei confronti del territorio circostante, può definirsi una
città terziaria, di servizi.
Prima di verificare quali sono i meccanismi socio-economici che
mettono capo a questa configurazione socio-spaziale pare interessante
premettere una, seppure breve, retrospettiva storica volta ad identificare la dinamica dei processi storico-economici che hanno via via configurato lo spazio urbano; processi che pur nelle diverse attestazioni
hanno designato e rafforzato, quindi mai eluso, quello che ci sentiamo
di definire davvero « l’inquadramento terziario » della città.
Il Tavoliere di Puglia, al cui centro è collocata Foggia, è una estensione pianeggiante di oltre 420.000 ha per gran parte di emersione marina; perciò, soggetto da sempre, specie nelle zone delle ‘marane a
produrre l’annosa malaria 1 .
Terreno prescelto per la cosiddetta ‘mena delle pecore’, che scendeva dai pascoli montuosi dell’Abruzzo nei periodi invernali e perciò
soggetto solo alla periodica presenza umana dei pastori d’Abruzzo, da
sempre il problema della bonifica del Tavoliere è stato innanzitutto
quello dell’insediamento umano, e, quindi, dell’intervento risanatore
sul territorio palustre.
A testimonianza d’una mancante cultura etnica, valga quanto è riportato da Ciasca2 a proposito di una prima colonizzazione agraria ai
margini del Tavoliere, attuata dal Regno di Napoli, di cui faceva parte,
con l’insediamento di una colonia di braccianti in Stornara, Stornarella, Ordona e Orta, dopo l’abolizione della Compagnia di Gesù, che le
aveva possedute, nel 1775.
In seguito alla guerra francese, per il gravare del fisco, il dominio
di queste terre passò a privati. Orta passò a Schierini; Stornata ai Sabini di Napoli e quindi ai Margiotta e ai Gaia di Cerignola; Stornarella
ai Carmignano e quindi ai Fania di San Severo.
L’importanza di Foggia derivava dal fatto che in essa era insediata
la Regia Dogana delle pecore, punto di confluenza dei tratturi lungo
1
Questa caratteristica, prettamente fisica, a suo modo rende conto dello sviluppo
indotto dell’urbanizzazione.
2
R. CIASCA, Storia delle bonifiche del Regno di Napoli. Laterza, Bari, 1928.
55
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
i quali si svolgeva la transumanza, oltre naturalmente ad una serie di
confraternite e organizzazioni religiose, supporti dell’espansione futura della città.
Il terremoto del 1731 distrusse la città e la successiva ricostruzione
segno una netta cesura con il passato; il centro divenne appoggio esclusivo delle classi agiate, legate al possesso della terra nonché alla
gestione della stessa Dogana; basti citare, per esempio, la famiglia
Giordano, feudataria del Molise, di cui un rappresentante divenne credenziere della Dogana; oltre ad un vasto numero di feudatari3 giunti a
Foggia dal Napoletano e dagli Abruzzi, che divennero amministratori
e funzionari nella gestione della economia delle terre del Tavoliere,
costituendo il primo supporto delle classi dominanti della città.
‘La città pulsava di nuova vita; apparivano delle « schiere cortina
»fatte di edilizia più decorosa, lungo l’attuale Corso Garibaldi dove si
immetteva la strada che veniva dalla Regia Napoli, lungo l’attuale
Corso Cairoli (ex strada di S. Francesco Saverio) e che congiungeva il
palazzo della Regia Dogana con la Chiesa di Gesù e Maria; lungo
l’attuale Corso Vittorio Emanuele (ex strada di S. Antonio abate); e
lungo le strade (ex tratturelli) che confluivano a Piazza Palazzo, dinanzi al nuovo Tribunale della Dogana.
Sotto il dominio dei Borboni, prima metà dell’800, si attuarono nel
Tavoliere altre migrazioni colonizzatrici; gli stessi feudatari fondarono
borghi rurali, fra cui Poggio Imperiale. In seguito, le riforme del governo francese, specie la legge 2 apr. e sett. 1806, proclamarono
l’eversione dell’intero sistema feudale, e il beneficio e possesso individuale delle terre.
« Oltre all’abolizione della feudalità.., il governo francese appagò
l’aspirazione della parte migliore del paese, ordinando la ripartizione
dei demani, concedendo le parti a censo breve e redimibile, e anche
donandone ai più poveri. Questa distesa.., pressoché fin da epoca storica, era stata sostenuta a pascolo perpetuo. Lì scendevano dai monti
dell’Abruzzo e della Basilicata per gli armenti da svernare. Tutta una
serie di disposizioni, di prammatiche, di ordini regi e vice-regi... mira
a conservare immutata la distribuzione economica del Tavoliere » 4 .
Gli scarsi redditi « che la finanza Regia ricavava » per il tradizionale sostentamento che il Tavoliere apportava all’Abruzzo, posero
la necessità di abolire « i privilegi dei fittuari del Tavoliere e la Dogana di Foggia che amministrava e decideva le quistioni vertenti il
Tavoliere » 5 .
Con la restaurazione borbonica, anche il tentativo di coltivare le
terre di pascolo (era proibito perfino piantare alberi) ebbe una fase di
arresto.
3
C. VILLANI, Foggia nella storia. Raccolta di studi foggiani a cura del Comune,
1930, pag. 87-107.
4
R. CIASCA, op. cit., pag. 88-90.
5
R. CIASCA, ibidem.
56
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
Al 1860 le opere di bonifica dei Borboni erano 17; attuata solo
quella del Volturno.
Fumosa e frammentaria fu la visione che all’epoca dell’Unificazione il Governo dimostrò di avere in materia di bonifiche
per le paludi e i sistemi idraulici del Mezzogiorno, tanto che la legge
piemontese del 20 nov. 1859, non contemplando affatto l’istituto della
bonifica, non poteva adattarsi alla realtà geografica del Mezzogiorno,
divenendo legge sulle opere pubbliche dello Stato Italiano il 20 mar.
1865.
In questo programma il problema della irrigazione era lasciato all’interesse dei singoli, riuniti o meno in Consorzi. Lo Stato, infatti,
contribuiva solo ai lavori fatti dai Consorzi e dai Comuni per lavori
che interessassero « alla navigazione e alle opere nazionali » essenzialmente, quindi, non certo quelli del Tavoliere, ed inoltre « il sussidio statale era subordinato alla iniziativa della provincia, del comune,
o del consorzio »6 che dovevano approntare i progetti relativi ed imporre la tassa sui cittadini o sugli interessati. Inoltre, la legge del 26
mar. 1865 distingueva fra paludi private e pubbliche e, in seguito
l’assunzione del carico di bonifica di certe zone fu legato alla maggiore produttività che dalla salubrità della zona si potesse trarre, per cui
lo Stato poteva accordare sussidi solo per mezzo d’una legge speciale.
Solo nel 1878, col Beccarini, si affermò che « allo Stato competono la tutela e le ispezioni su tutte le opere di bonifiche » 7 .
Questione urbana e sottosviluppo storico.
Sono già reperibili, da quanto detto, i caratteri strutturali che contrassegnano per Foggia e il suo Tavoliere il tipo di sottosviluppo storico:
1)Aspetto dicotomico della realtà nazionale al momento
dell’Unificazione;
2) Presenza dei ceti agrari;
3) Assunzione della centralità dello spazio urbano ad appannaggio
esclusivo delle classi agrarie legate al possesso e alla gestione delle
terre.
Con la legge del 1865 il Tavoliere di Puglia era definitivamente affrancato dal regime feudale e dalla economia di pascolo nomade, per
quanto si verificassero lotte fra pastori e cerealicultori nelle terre di
Foggia.
Altrettanto duro e penoso doveva essere il riscatto dal sistema doganale esistente e il possibile investimento di capitali in una atmo sfera
nazionale caratterizzata dal pareggio del bilancio che sgravava sul Meridione i costi di ricostruzione nazionale.
« Nel 1871, il governo corse ai ripari..., poiché la maggior parte
6
7
R. CIASCA, op. cit., pag. 187.
R. CIASCA, op. cit., pag. 193.
57
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
dei debitori non poteva pagare l’affrancamento, e la legge da benefica
si risolveva in un privilegio odioso di pochi danarosi. Il dominio diretto del Tavoliere fu convertito in un debito ipoteticamente privilegiato
verso i censuari, composto di un capitale di ventidue volte il canone,
pagabile in quindici rate annue, con decorrenza dal primo gennaio
1872. Il suolo valutato da 200 a 250 milioni, si gravò così di 102 milioni di debito ipotecario » 8 .
La trasformazione dell’economia e la struttura fondiaria vedeva il
circondano di Foggia volgersi a colture dì cereali mentre già a S. Severo si andavano realizzando colture vinicole e oleifere. In ogni caso,
ancora estese, pur in una pluralizzazione dell’agricoltura, le terre incolte e abbandonate alla tradizionale pastorizia. Vale solo citare il
grosso divario esistente fra le basse retribuzioni dei salari e i salari
giornalieri degli artigiani in città, di cui ci dà approfondita testimonianza il libro di M. Papa9 .
Dall’Unità in poi, s’accrebbe lo sviluppo ineguale fra Sud e Nord,
nonostante le numerosissime inchieste parlamentari per il Mezzogiorno e l’impegno di quei meridionalisti, che tentarono sin d’allora di
presentare il problema del sottosviluppo del Meridione come problema nazionale.
La posizione di Foggia, nel clima di ripresa dal secolare abbandono economico del Tavoliere, già risentiva di una più ampia dinamica
interna10 . Gli antichi tratturi si trasformavano in strade, l’inserimento
di una ferrovia nella rete Ancona-Brindisi nel 1861 evidenziava il relazionamento e l’apertura economica di quella zona nel contesto regionale e nazionale.
La composizione sociale degli abitanti di Foggia, se sì escludono
le classi dominanti legate al latifondo era così descritta dal Perifano: «
l’ultima classe dei cittadini di Foggia si suddivide in tre classi almeno,
tre borghi presentano tre distinte classi: il ceto dei ‘terrazzanì’ alle
Croci, il ceto dei ‘carrettieri’ e il ceto dei ‘bifolchi o cafoni’11 »; la collocazione fisica degli ultimi due si situava a sud e sud-est della città.
Sin d’ora va designandosi, anche spazialmente, la destinazione di certe zone autonome rispetto alla città.
La tipologia umana dei ‘terrazzani’, a stare alla descrizione di C.
Villani, era rappresentata da gente legata a strutture socio-economiche
quasi primitive: « Tutto in loro, quasi direi, era rimasto allo stato preadamitico, e sì differenziavano quindi dal resto degli abitanti:
8
M. PAPA, Valori e progressi economici di Capitanata 1866-1936, pagg. 36-37.
Raccolta di studi foggiani a cura del Comune, Foggia.
9
M. PAPA, op. cit., pag. 46-47.
10
Nella fase del capitalismo commerciale, sebbene la città abbia già un ruolo predominante rispetto alla campagna, la disponibilità dei capitali non muta ancora il volto e
l’uso del territorio essendo la produzione ancora un misto di agricoltura e artigianato e
provenendo i prodotti commerciabili ancora dalla campagna. Il lavoro, d’altro canto,
viene organizzato a livello di unità familiare e la manodopera resta sostanzialmente legata al modo di vita agricolo.
11
PERIFANO, Cenni storici sull’origine della città di Foggia, 1831.
58
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
l’ignoranza più crassa, la superstizione, il turpiloquio, erano la loro caratteristica più schietta e comune, nonché la facilità selvaggia al maneggio del coltello. Sino al dialetto ‘crocese’ come nota il Lo RE più
aspro e gutturale, ha qualcosa di diverso dal vernacolo parlato dal resto del popolo ed è quasi prova tangibile di differenza etnica » 12 .
La tipologia edilizia di questo borgo non era diversa sostanzialmente dagli altri borghi: casa baracca in muratura; diverso il relazionamento delle parti.
Nei quartieri settecenteschi, a sud e sud-est, lo spazio si disponeva
a ventaglio intorno al centro del largo Palazzo, e la tipologia umana
veniva ulteriormente connotata come borgo dei ‘caprari’ per
l’antecedente etnico rappresentato da quei gruppi che per il pagamento
del pedaggio si erano andati stratificando nei pressi di Palazzo Dogana.
La città rimaneva, per altro, già divisa in quartieri, aggregati intorno alle parrocchie Basilica, S. Francesco, S. Angelo, S. Tommaso,
S. Giovanni.
Nella prima metà del secolo 190 Foggia presentava i presupposti
della sua espansione futura: la Villa Comunale, sorta sull’area del convento di Gesù e Maria, il teatro Ferdinando; il centro era ormai Largo
Palazzo! Largo Gesù e Maria rappresentava il nucleo di potenziale
sviluppo da quella parte.
S’è detto della stazione ferroviaria; il suo iniziale progetto non
venne assunto nel relazionamento con la città.
La presenza della strada Foggia-Manfredonia, la presenza della
collinetta su cui sorgeva la Janara, che doveva essere spianata, la proprietà fondiaria, decisero la collocazione di quest’eco della società industriale, trionfante altrove, lontano dal centro città e legato unicamente, attraverso una strada, al piazzale della Villa Comunale.
L’economia liberistica, che aveva aperto anche per il Tavoliere
nuove dinamiche di commerci, vedeva proprio in questa ferrovia il
suo strumento cardine. Già una fiera nazionale nel 1869 poneva Foggia all’attenzione nazionale per i suoi prodotti vinicoli e zootecnici. La
trasformazione della produzione conduceva a esportare nel 1869 chilogrammi 40.573.215 e nel 1870, a mezzo ferrovia, Kg. 56.695.013 di
cereali dalla provincia.
Manfredonia era già un discreto centro di scambi con l’Austria e
Rodi con la costa dalmata.
Se comunque si esamina il censimento del 1871, attinente alle attività lavorative, a parte i ceti professionali e impiegatizi, la manodopera per terzi resta per nulla qualificata, se non a livello di manovalanza e bracciantato agricolo. Infatti la voce ‘operaio’ non esiste affatto.
Grosso modo, verso gli inizi del secolo, i cosiddetti ‘Monti frumentari’, sorti come embrionale tentativo di accumulazione di capitali,
insieme alle Casse Comunali di credito, per organizzare il credito
12
C. VILLANI, op. cit.
59
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
agrario, che consentisse agli « affittuari e ai compartecipanti di affrontare con sufficiente tranquillità il ciclo produttivo »13 , si ridussero
progressivamente, incapaci, di per se stessi, di essere motori di sviluppo, e dovendosi, d’altro canto, far fronte al riscatto demaniale del Tavoliere, per l’assoluta inadeguatezza degli stanziamenti di bilancia
che, per alcune opere pubbliche, ebbero un valore pressoché simbolico; la « rigidezza degli stanziamenti stessi precludeva...l’applicazione della legge... » alle esigenze accertate14 .
Agli inizi del 1894 il piano di crescita della città si orientava già
intorno a piazza Cavour; già appariva un primo tratto di Corso Giannone, un edificio scolastico (attuale sede del Tribunale), la caserma
dei Carabinieri.
D’ora in poi la città non sarebbe più cresciuta su se stessa, anzi
l’intervento che si verificava lungo il Viale della Stazione evidenziava
il ruolo nuovo che le mutate strutture di base imponevano a Foggia;
per lo spazio restante le soluzioni erano solo di riempimento e perciò
di edilizia essenzialmente a scacchiera.
Le condizioni della Capitanata, intanto, rimanevano quelle di sempre; la persistenza di mali secolari; le terre scarsamente bonificate
producevano la malaria e decimavano la popolazione; le imposte statali sulle terre erano difficili da sgravarsi e, perciò, scarsa rilevanza
poteva avere il tentativo di liquidare l’aumento del tributo fondiaria
facendo convogliare i crediti popolari nelle 27 banche in Puglia, di cui
una Banca agricola e cooperativa a Foggia. Intorno agli inizi del secolo, una ‘Inchiesta parlamentare’15 testimoniava che Foggia e Bari
toccavano tassi elevati di immigrazione ed emigrazione. Foggia diminuiva la sua popolazione, mentre da Bari giungevano masse di braccianti avventizi in provincia di Foggia. In particolare l’emigrazione si
era mossa dalle zone montuose del foggiano, preceduta di poco di
quella delle zone pianeggianti del Tavoliere, « cagionata dalla crisi del
piccolo fitto e dalla introduzione in notevole quantità delle macchine
agricole che non fecero diminuire i salari, ma resero più lunghi i tempi
di disoccupazione » 16 .
Verso il 1900, l’emigrazione partiva anche dalla zona marittima
del Gargano, determinata dalla crisi dell’oliveto e degli agrumi. All’inizio del ‘900 « il principio di una più equa ripartizione della spesa
pubblica fra Nord e Sud viene sancito con le leggi speciali, l’impegno
di esecuzione ed il relativo finanziamento, nel bilancio statale, di determinate opere pubbliche.., l’intervento statale viene esteso dai settori
tradizionali della viabilità statale, ferroviaria a quella degli acquedotti... del credito e delle attività agricole. Si tende a riconoscere l’impos-
13
ANNESI, La legislazione per il Mezzogiorno, su, SVIMEZ, Il Mezzogiorno nelle
ricerche della SVIMEZ. Roma, 1947-1967.
14
ANNESI, op. cit., pag. 289.
15
Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nell’Italia meridionale e in
Sicilia.
16
ANNESI, op. cit., pag. 287.
60
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE ST ORICA
sibilità dei Comuni meridionali di provvedere con le loro deficitarie
finanze ai compiti istituzionali in materia di opere pubbliche » 17 .
In più, nella serie delle leggi speciali, in questa fase inizia a manifestarsi una diversa concezione della bonifica... « La legislazione sulla
bonifica... particolarmente adatta alle istituzioni del Settentrione si appalesa infatti inadeguata per il Mezzogiorno, ove il problema del ris anamento idraulico ha un’importanza assai relativa e ove predomina la
necessità della trasformazione fondiaria di un intervento dello Stato
per l’esecuzione di opere che interessano interi bacini fluviali e torrentizi. Principi, questi, già affermati dalla legge per l’Agro Romano
(1887) che viene estesa ad altri territori del Mezzogiorno » 18 .
Incomincia ad emergere, sin d’ora, un atteggiamento di fondo che
si ritroverà in tutto un settore dell’impegno meridionalistico: il problema del Sud posto solo in termini di disponibilità di capitali per gli
investimenti per il risanamento fondiaria e per le innovazioni tecniche.
Mentre, proprio l’ottusa mentalità dei latifondisti, da un lato, e la stessa struttura fondiaria indivisa e tenuta pressoché a grano, dall’altra,
non contribuivano a rendere l’economia più snella. Da qui il motivo
per cui gli interventi statali determinati dalle leggi speciali non ebbero
rilevanza innovatrice e stimolante dello sviluppo.
« Nell’Italia Meridionale gli investimenti erano preferiti in terra; il
capitale monetario andava altrove. Mancava l’abitudine della speculazione in Borsa, specie sui titoli pubblici. Perciò il Meridione non ha
mai posseduto molta rendita pubblica, in specie la Capitanata » 19 .
Le prime organizzazioni di classe nelle campagne di Foggia si
hanno intorno al 1902, superando nel 1908 la provincia di Bari con 6
scioperi e 4604 scioperanti. A quanto detto, bisogna aggiungere che
Foggia si configura in una sorta di « ignavia » sul piano della tensione
sociale, specialmente nei confronti del Sud-Tavoliere (in cui Cerignola, ai tempi delle lotte contadine divenne la sede del « piccolo cremlino »), nonché di altre città contadine del Nord-Tavoliere (S. Severo) e
del Sud-Appennino (S. Nicandro Garganico e Candela). Queste città
hanno animato il moto rivoluzionario prima ancora della lotta attuata
sotto la spinta della fame di terre, nell’immediato dopo-guerra, talché
non è errato riferire che i motivi della suddetta tensione, partono sì
dall’hinterland torinese agli inizi del secolo ,a mezzo della lettura del
‘Semi-anarchico’, di cui arrivava qualche copia nel Sud, ma è pur vero
che subito dopo, i motivi della tensione sociale e la tensione stessa
pervengono al Nord, passando per la centrale sindacale parmense del
De Ambris. Senza tralasciare che in questa situazione emerge la figura
di G. Di Vittorio, vero leader naturale, il quale condusse le masse con
quel profondo senso dell’unità che lo distingueva.
In seguito alla crisi sociale che investì l’Italia nel dopoguerra, il
17
18
19
ANNESI, ibidem.
ANNESI, op. cit., pag. 287.
M. PAPA, op. cit., pag. 201.
61
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
problema del Meridione si propose in termini perentori; emerse la necessità di coordinare l’intervento dello Stato nel Mezzogiorno, dis sanguato dalla guerra e carico di conflittualità. A tale scopo, venne riformato l’ordinamento del Ministero dei Lavori pubblici « attribuendo
competenza in materia di irrigazione, di bonifica ed edilizia scolastica
» 20 . Lo Stato veniva, così, a sostituirsi ai Comuni e alle Province incapaci di definire i compiti istituzionali loro affidati attraverso gli ordinamenti legislativi.
Per l’assetto territoriale della città di Foggia l’Ufficio Tecnico del
Comune redigeva nel 1894 il Piano Regolatore di ampliamento della
città.
Essenzialmente due i temi da affrontare:
1) La stazione ferroviaria, assunta non già come elemento da
relazionare alla città (considerando, almeno, per città il vecchio centro
e gli attestamenti sul suo perimetri dei quartieri settecenteschi e la
frangia di questi ultimi estesa verso Piazza Cavour), ma come elemento generatore dell’asse di supporto per la città futura.
2) La progettazione di una scacchiera di tipo ottocentesca che
dall’asse Corso Giannone-Ferrovia, con lievi rotazioni, avvolgesse tutta la città.
Questa programmazione sul tessuto urbano andava ad esprimere
semanticamente i nuovi valori della società borghese che nella città
delle vecchie mura non potevano avere significato.
La progettazione a scacchiera eludeva così la vecchia circumvallazione nella parte meridionale della città e non ne prevedeva un’altra
attorno alla città futura.
Insieme al vecchio tratto della circumvallazione scomparivano i
tratti terminali dei tratturi e perciò a Nord, nei pressi della Stazione, si
preparava il nuovo centro e a Sud, la nuova periferia.
Attraverso queste trasformazioni, Foggia si preparava a svolgere
un nuovo ruolo storico, rompendo lo stretto rapporto città-campagna,
accumulando nello spazio urbano valori formali e mettendo in moto
uno dei processi che l’avrebbe portata da città di transumanza a città
di servizi.
L’infrastruttura viaria, pensando ad uno spazio dilatato, senza confini, rispondeva ad una realtà sociale e morfologica che mutava di dimensioni.
Già all’epoca si vedeva che il modello di crescita della città non
poteva ricalcare lo sviluppo urbano delle città industriali del Nord.
Non mancarono, connesse ad un diverso uso dello spazio urbano
chiare proposte alternative, nel momento in cui anche in Foggia si formarono le prime associazioni operaie. Di fronte e contrapposta alla
pianificazione effettuata dalle classi dominanti, venne a porsi, innanzitutto, la corretta dimensione storica di una crescita che non avrebbe
dovuto contraddire le strutture economiche di base e quindi l’urgenza
20
ANNESI, op. cit., pag. 290.
62
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
di case popolari per abitazioni a buon mercato e case per i contadini.
Si rendeva difficilmente credibile la tipizzazione della casa operaia attuata nel Nord, poiché anche il rapporto residenza-lavoro era da assumere diversamente che altrove, dal momento che gli operai d’arti
comuni continuavano, comunque, a vivere e lavorare nella stessa abitazione.
L’epoca fascista: il rapporto città-campagna
I1 programma fascista, in Meridione e, con specifico riferimento al
Tavoliere, mirò ad esasperare la differenza città-campagna. In entrambe è possibile reperire una modalità di gestione e decisione abbastanza
precisa.
E’ fin troppo noto, per essere qui riportato, l’appoggio di massa
che il fascismo riscosse nelle campagne e, in specifico modo, nel Meridione.
Si sa il ruolo dei grandi proprietari terrieri e della più vasta massa
di piccoli e medi contadini che nell’immediato dopo-guerra tentarono
di espandere i loro possedimenti soffocando la secolare fame di terre
dei braccianti agricoli.
Il programma politico del fascismo nelle campagne fu di lotta, ancora che verso gli operai, verso il movimento rivoluzionario bracciantile.
Contro la tendenza ad uno sviluppo del moto rivoluzionario nelle
campagne, il fascismo portò avanti (1921) la politica della riforma agraria, volta a creare una classe ‘cuscinetto’ alle spinte rivoluzionarie:
i piccoli e medi proprietari. Sarebbero stati proprio questi « la base
oggettiva del fascismo della campagna al momento della presa del potere »21 . La politica economica del fascismo, volta a sostegno del capitale industriale finanziario, doveva in un secondo momento contraddire le prime impostazioni del problema delle campagne.
« Con il 1938, praticamente cessa ogni intervento statale diretto ad
attuale una politica di sviluppo economico delle regioni meridionali;
la preparazione della guerra mobilita l’apparato finanziario dello Stato
» 22 .
La politica fiscale che venne a gravare sui contadini era il necessario complemento dello sviluppo industriale e della continua necessità di capitali.
La cosidetta “battaglia del grano” se, da un lato, ebbe come conseguenza diretta l’aumento dei dazi sulle terre coltivate, d’altro canto,
produsse un impoverimento progressivo dei piccoli coltivatori, che
non riuscivano a smerciare i loro prodotti sul mercato, nonché una
stretta connivenza fra i capitali bancari e quelli provenienti dalle grandi aziende contadine.
21
22
P. TOGLIATTI, Lezioni sul fascismo. Editori Riuniti, pag. 123 e segg.
ANNESI, op. cit., pag. 291.
63
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
Anche la “bonifica integrale “ fece sì che si riunissero nei Consorzi
di bonifica i grandi capitali agricoli per il risanamento delle terre paludose e scarsamente produttive, sicché i piccoli proprietari si trovarono di fronte una organizzazione del mercato agricolo che certamente
aveva come scopo di fissare i prezzi di vendita, ma che avendo come
soggetti propulsori i capitalisti della campagna, poneva la sperequazione fra piccoli-medi proprietari e i grandi e determinò l’abbandono
delle terre da parte dei ceti medi agricoli e l’ingigantimento del latifondo.
La politica di “sbracciantizzazione”, altro eclatante proclama fascista nella campagna, attuò quello che fu definito lo “schiavismo agricolo”; infatti, in seguito a tale politica, si sistemarono gruppi di braccianti su fondi di difficile coltivazione, attraverso un contratto che non faceva di loro né dei proprietari, né dei mezzadri, solo degli strati semiproletari, sistematicamente depauperati del loro prodotto.
Il Ricchioni23 mette in evidenza la positiva necessità per la coltivazione del latifondo, difficilmente realizzabile altrimenti, della creazione della piccola proprietà. Ma, risulta altrettanto chiaro che questa
divisione del latifondo non volle essere una riforma ma un argine alle
lotte contadine. “Nella storia delle agitazioni dei contadini del dopoguerra, di quelle serie a contenuto economico, non figurano infatti rappresentati quei paesi che più ebbero diffusa la piccola proprietà, in tutto il territorio e non solo ai margini di zone latifondiste”24 .
Anche l’affitto a miglioria, accanto alla piccola proprietà coltivatrice, fu una delle componenti fondamentali, anche se di breve durata,
della trasformazione fondiaria; in ogni caso, risulta particolarmente
significativo quanto segue: « Non potendosi perciò ottenere che il lavoro si trasformasse dapprima in capitale e poi questo in lavoro per
l’esecuzione di migliorie, fu necessario addirittura che il lavoro venisse impiegato, in parte, non per procurare al lavoratore fonti di risparmio, ma per il diretto investimento in miglioramenti fondiari25 .
Proprio in Capitanata, Queste fasi di politica e di economia trovarono una loro ampia esemplificazione.
L’istituzione dell’O.N.C., a favore dei reduci di guerra costituiva il
primo tentativo di spezzare il latifondo formando la piccola e media
proprietà; furono infatti colonizzati oltre 22.000 ha, costituendo 773
poderi della superficie media di 30 ha, dotati di fabbricati colonici e
relativi annessi rustici.
Anche l’istituzione in Bari nel 1919 dell’Acquedotto Pugliese (Ente Autonomo), che doveva contribuire a sanare la secolare siccità del
Tavoliere attraverso opere di irrigazione, aiutò a portare avanti la politica di bonifica integrale di questa zona.
Non va negato che in questo periodo la Capitanata tutta conosceva
23
V. RICCHIONI, Il lavoro nella creazione di nuovo capitale fondiario. Vol. 11
(Studi sulla piccola proprietà coltivatrice), Bari 1930.
24
Ibidem, pag. 6.
25
Ibidem, op. cit., pagg. 7 e segg.
64
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
un certo incremento produttivo, messo in atto da una più veloce circolazione del denaro.
In quest’epoca, le opere pubbliche, attraverso la mediazione del
Ministero dei LL. PP., furono, solo riguardo alle opere stradali, di L.
13.058.324, per le opere di bonifica di L. 16.175.000, per opere idrauliche di L. 2.612.603; per un totale di 59 opere e di una spesa generale
di L. 67.871.501.
La battaglia frumentaria portava la Capitanata e il suo centro, Foggia, al primato della produzione nazionale con 2.457.900 q.li, e faceva
del Tavoliere il cosiddetto ‘granaio d’Italia’, toccando, nel 1932, i
3.313.000 q.li. Le campagne del Tavoliere si volgevano, così ad essere
caratterizzate dalla monocoltura anche se la viticoltura, nella zona di
Cerignola e di S. Severo raggiungeva un buon tasso di produzione e,
nel 1932 anche gli oliveti riuscivano a produrre un quarto della produzione nazionale.
Il credito agrario fu sostenuto, in questo periodo, dal Banco di Napoli, (il cui intervento determinò il fallimento delle 27 banche), sia riguardo i prestiti per conduzione, per acquisto di bestiame, sia riguardo
agli acquisti di macchine, concimi chimici, con un totale generale di
L. 150.825.475 a favore degli affittuari sprovvisti di capitali liquidi.
Resta un tratto caratteristico della storia del Tavoliere che solo in
epoca fascista siano apparse le prime case sparse sulla pianura, a testimonianza e della rottura con un passato desolato, e l’impiego forzato e dissanguante del materiale umano in una “battaglia economica”,
tutto sommato ben poco rispondente alle reali esigenze dei contadini,
depauperati dei loro prodotti e della terra che le opere di bonifica rendevano, comunque, disponibili a ben più che alla monocoltura di grano.
Per quanto attiene agli interventi sullo spazio-città, le operazioni
del fascismo mirarono ad attuare, come s’è detto, una netta separazione fra cultura urbana e cultura rurale attraverso l’ottica specifica della
divisione del lavoro in manuale ed intellettuale.
Lo spazio in questa fase si divideva, si circoscriveva, si chiudeva
su se stesso; la città scelta in questa programmazione non si spandeva
oltre un certo limite.
Dal Piano Regolatore e di Ampliamento del 1927, si desumono
una serie di fasi di programmazioni che rispecchiano, in sostanza, nel
modello di crescita della città borghese, esigenze di decoro urbano e di
compiutezza formale degli spazi cittadini.
E’ di questa fase la zonizzazione dello spazio urbano: il relazionamento delle strutture e delle infrastrutture urbane a specifici ruoli
separati e diversificati26 . Queste, in sintesi, le linee programmatiche:
26
Le operazioni attuate dal fascismo in materia urbana hanno un ben preciso modello in quella che fu l’ideologia della città espressa dalla teoria funzionalista e poi dalla
Scuola di Chicago negli anni 20/30.
65
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
I) zona riservata alla grande industria (nei pressi della ferrovia e
della costruenda circumvallazione);
II) zona per la piccola industria;
III) zona centrale per abitazioni a carattere intensiva;
IV) zone collocabili nelle aree di ampliamento per abitazioni a carattere semi-intensiva;
V) zona per case di tipo popolare, circoscritta da spazi verdi possibilmente lontano dalle vie principali, per il risanamento delle
Il riferimento a tali matrici ideologiche, più che essere essenzialmente storico e tendere a dimostrare come da esse siano derivate conseguenze ideologiche e pratiche che
hanno influenzato direttamente altrettante scelte in senso ideologico e programmatico
dello sviluppo urbano, mira, in una metodologia di approccio ai fenomeni urbani che li
ponga in una concatenazione strutturale e dialettica, a evidenziare come tali esperienze
siano state l’espressione di uno specifico modo di organizzazione della società capitalistica.
La città, considerata una nuova configurazione spaziale risp etto alla campagna, diviene un oggetto specifico di ricerca per spiegare il variare dei modelli di vita e di comportamento che si registra nel passaggio della cultura rurale, in progressivo disfacimento, alla comparsa di una nuova dinamica di rapporti sociali.
La formulazione teorica generale della teoria funzionalista si fondava sui concetti di
sistematicità, di globalità esplicativa e « il mutamento non è visto in termini dialettici,
ma cumulativi, non per contrapposizione, ma per evoluzione a stadi successivi » (Della
Pergola: La conflittualità urbana. Feltrinelli, 1972, pag. 47). Perciò, la città, nuova base
ecologica, osservata in un approccio essenzialmente oggettivo, colta come luogo di emergenza di nuove problematiche da mettere in diretto rapporto con fenomeni comportamentali affatto nuovi, segnava, in un arco teorico decisamente positivista, le modificazioni avvenute nel passaggio dalla campagna/vita comunitaria alla città/vita associata.
In tale ottica, i rapporti interpersonali venivano a ricost ruirsi, in una organizzazione della vita designata qualitativamente dalla divisione del lavoro, dalla segmentazione dei
ruoli, a livello di associazioni specifiche e si legavano essenzialmente al posto e alla
funzione degli attori sociali.
L’ulteriore sviluppo di questo tipo di analisi psico-sociologiche, realizzato da Simmel e Spengler, portò il primo all’estrapolazione di tipologie umane che nella loro particolarità avrebbero dovuto designare una civiltà: l’urbana, guidata dalla razionalizzazione economica, e l’altro, seppure in un atteggiamento essenzialmente culturalista, a trovare una corrispondenza reciproca fra forma ecologica e specifica forma culturale d’una
civiltà, che poi, nello specifico del mondo occidentale, avrebbe dovuto rendere conto
della equivalenza fra urbanizzazione e modernizzazione.
In territorio americano, questi approcci teorici trovarono la loro compiutezza accademica quando la Sociologia urbana venne a definirsi come scienza autonoma.
Il nuovo campo scientifico individuato dalla Scuola di Chicago doveva, pionieristicamente, render conto della corrispondenza esistente fra marginalità sociale e segregazione urbana dei gruppi etnici ed esaminare le condizioni delle abitazioni negli slums
degli immigrati. In seguito ,però, dalla problematica delle aree naturali, giunse alla teorizzazione della necessità storica delle stesse, della destinazione voluta spontaneamente
di certe zone ad habitat di gruppi marcatamente omogenei al loro interno.
Quando, perciò, si spiegava la suddivisione della città di Chicago in zone funzionali
a specifici ruoli nell’organizzazione complessiva dello spazio urbano si pretendeva dì
dare un carattere di universalità alle aree che venivano così individuandosi:
66
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
zone di cui ai numeri precedenti.
VI) zona per la popolazione rurale finché non venga spostata nelle
costruende borgate rurali.
La cosiddetta “disurbanizzazione” sceglieva uno spazio urbano
monumentale di cui si costruivano i momenti caratterizzanti: Palazzo
degli Studi; Palazzo del Podestà; Palazzo delle Statue; Campo Sportivo del Littorio; sistemazioni stradali atte a rendere più agibile la circolazione interna e di ingresso della città.
a) zona del centro urbano, destinata alle sedi sociali delle imprese e dei centri amministrativi;
b) zone dell’originario ambiente urbano, destinate alla localizzazione, economicamente
vantaggiosa, delle prime industrie nel tessuto urbano e, inoltre, alla costruzione delle
residenze per i lavoratori. Sono quelle che più subiscono la distruzione a causa della «
ragione sociale delle imprese e dell’importanza strategica dei loro centri direzionali
concentrati all’interno di un ambiente fortemente organizzato ». (M. CASTELLIS, La
questione urbana, pag. 149);
d) zona derivata dalla funzionalizzazione delle precedenti alla produzione in senso stretto; è la zona delle residenze delle classi superiori, che marca così, in senso fisico la
distanza sociale;
e) zona comprendente i quartieri satelliti e anche gli insediamenti produttivi di data più
recente.
Queste condizioni generali di base, in verità, permetterebbero di capire
l’urbanizzazione di numerose città europee, basti pensare alle ricerche di Chombart de
Lauwe su Parigi e di McElrath su Roma (M. Castells: op. cit.). Ma nel caso varia, come
in effetti accade, specie col sorgere delle aree metropolitane, il modello di urbanizzazione di qualche area rispetto a queste condizioni di base così esplicitate, cade ogni pretesa
di attendibilità e validità universale.
Le ulteriori modifiche apportate a queste ricerche, nei successivi studi di Hojt sulle
distinzioni settoriali, come anche la teoria dei nuclei multipli, riguardante le aree metropolitane, nonché le ricerche della scuola neo-ortodossa dell’ecologia umana che elabora
una nuova sistemazione definita ‘eco-sistems o complesso ecologico’, che relaziona
come fondamentali gli elementi popolazione, ambiente fisico, tecnologia, organizzazione sociale, non mutano sostanzialmente l’orizzonte generale di ricerca.
In particolare, considerando l’organizzazione spaziale determinata dalla relazione
fra specie umana-ambiente naturale e sempre nuovi livelli di appropriazione tecnica, gli
ecologi non sfuggono la realtà, ma la riproducono in una sorta di materialismo piatto è
‘volgare’.
Il vero tallone d’Achille della Scuola di Chicago e di quelle da essa derivata non
sta, comunque, nella non verificabile attendibilità universale delle condizioni reali che
sottenderebbero alla produzione dello spazio o nella impostazione etnocentrica di questa
ultima, quanto piuttosto nella « conoscenza impolitica della realtà sociale esistente, considerata solo come realtà da razionalizzare ». (DELLA PERGOLA, op. cit., pag. 55).
Il mancato passaggio dalla lettura, seppure critica, dello sviluppo urbano, alla evidenziazione delle strutture di potere che dalla programmazione d’un certo tipo di produzione si diramano fino alla pianificazione del territorio e, perciò, allo sviluppo d’un diverso ruolo per lo spazio-città, fa apparire le ricerche, cui si è fatto riferimento, non come critiche rispetto al potere esistente, ma come un’accettazione acritica e giustificante
il potere stesso, nel momento in cui le deduzioni dimostrano un coinvolgimento ed assoggettamento totale. E ciò ò ancora più vero se si considera che la teoria è sempre una
pratica-teorica, legata allo sviluppo delle forze produttive e dei rapporti di produzione e
alle posizioni all’interno delle classi sociali
67
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
Tutte sontuose testimonianze, prorompenti nello spazio e presuntuose nella volizione, dell’epoca fascista.
Le mutate condizioni di vita27 imponevano un nuovo volto alla città, occorreva che essa si abbellisse e si trasformasse mediante nuovi
edifici privati e pubblici. Occorreva risanare gli alloggi nei vecchi
quartieri dove esistevano monovani detti bassi o grotte (dove si abitava con molta frequenza con gli animali, specie nei già menzionati
quartieri a sud e sud-est) con un indice di 33.115 ab. in grotte e bassi
su una popolazione di 89.427 ab.
Di qui nasce il profondo ideologismo delle ricerche della Scuola di Chicago.
Lo spazio, l’ecologico, non esiste in quanto, tale; esso si produce e si configura storicamente; resta legato direttamente al modo di produzione, alla ge stione politica della
società che in ogni specifico settore decide il mantenimento e l’articolazione del potere
dei gruppi dominanti, nei confronti e in contraddizione ai gruppi dominati e che determina le rappresentazioni ideologiche all’interno dei gruppi.
Prescindendo da tutta la segmentazione di questi elementi, che soli rendono conto
del movimento reale della società e, nel contempo, spiegano il perché possa diventare
importante lo studio autonomo della città, ogni ricerca finisce per gravitare intorno ad
un elemento che, non avendo la ragione storica in sé; ma altrove, è sovrastrutturale e fa
dell’urbano un feticcio, un elemento mistificatore della dinamica strutturale.
27
E’ questa la fase in cui la crescente accumulazione di capitale rende possibile uno
sfruttamento più accentuato delle materie prime; i commerci più redditizi richiedono
una fornitura di prodotti sempre maggiore; le scoperte tecniche inseriscono macchine
sempre più perfezionate nella produzione e, di conseguenza, questa abbandona il carattere sparso e si concentra in spazi definiti: gli stabilimenti. La forza-lavoro reclutata abbandona la residenza di campagna e si raccoglie nei pressi degli insediamenti produttivi;
ne deriva una diversa organizzazione spaziale. Sorgono i quartieri operai. La massiccia
presenza di manodopera abbassa il prezzo della forza-lavoro e, nello stesso tempo vengono a crearsi nuove possibilità di investimenti, e sorgono nuove fabbriche. In questa
fase, la concentrazione spaziale si cerca zone strategiche e tutto il meccanismo (trasporti, case...) concorre a non disperdere gli elementi della struttura realizzata. A causa
dell’urbanizzazione forzata « le città si estendono molto lentamente per le difficoltà di
comunicazione; la densità demografica raggiunge valori elevatissimi: all’agglomerato
pre-industriale si aggiungono nuovi quartieri dove baracche e caseggiati popolari sono
addossati alle fabbriche » (AA. VV., Città e conflitto sociale, Feltrinelli, 1975); lo spopolamento della campagna spinge masse consist enti di popolazione in città per fornire
manodopera all’industria e ai servizi, ma crea anche una classe sempre crescente di disoccupati, disposta a tutto pur di sopravvivere: il sottoproletariato urbano.
Col cambiamento della composizione organica del capitale, cioè con il passaggio
del capitale da industriale a finanziario e con l’incremento dell’apparato produttivo, della rete dei trasporti, la città perde il carattere disomogeneo, entra nei costi di produzione,
e, assumendo specifici ruoli, funzionalizza le sue parti. Così la città diviene il « centro
di controllo della vita economica, politica, culturale dell’intero paese », perdendo il carattere di luogo di raccolta della manodopera. (AA. VV., op. cit., pag. 18). Il territorio
urbano diviene un territorio altamente privilegiato e costoso dove la rendita fondiaria
assume valore molto elevati. (AA. VV., op. cit.). Mentre il dislocamento delle fabbriche
a ridosso delle fasce periferiche urbane permette una maggiore agibilità per il trasporto
dei prodotti finiti, in città vanno ad insediarsi le attività amministrative, finanziarie connesse all’industria in modo più o meno stretto.
68
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
A tale scopo si attuò il risanamento di Borgo Scopari che, situato
nel centro urbano, mal si armonizzava, per la sua caratteristica di zona
depressa, all’aspetto decoroso e funzionale che si andava a scegliere
per il centro città. Tagliata in due dall’attuale via Dante, questa zona si
apriva sui due versanti di corso Garibaldi e corso Cairoli, passando da
zona depressa a zona residenziale della medio-alta borghesia.
L’attività dell’I.A.C.P., costituitosi a Foggia nel 1928, rispose in
grandi linee alle tematiche pianificatrici redatte dall’amministrazione
Podestarile.
Si è detto della monumentalità del centro città e dello spostamento
alla periferia dei centri rurali di provvisoria sistemazione, attraverso il
decentramento abitativo della restante forza-lavoro presente nella zona; appartengono a tale scelta la costruzione del villaggio di via Lucera, centro di raccolta degli abitanti di Borgo Scopari.
Nella programmazione, questa nuova zona doveva divenire per le
strutture inseritevi, un quartiere satellite. In seguito, è andata sempre
più rafforzandosi la marginalizzazione dei gruppi insediativi, sino a
poterlo connotare come vero e proprio ghetto a ridosso della città.
Gli stessi materiali edilizi, abbastanza scadenti, hanno portato ad
una rapida obsolescenza edilizia.
Lo I.A.C.P. si prestava all’epoca a realizzare, nei pressi della Cartiera, per gli operai addetti, l’operazione fabbrica-casa, creando a circa
tre Km. dalla città il Rione Cartiera, attuale Rione Diaz. La Cartiera
rappresentava il primo s’ero insediamento industriale sorto per la trasformazione della paglia del Tavoliere.
Nell’antico Borgo Croci, l’intervento dell’I.A.C.P. ridisegnava uno
spazio residenziale per i ceti disagiati. Già nel ‘29 un attestamento
lungo viale Scillitani a ridosso della stazione ferroviaria, aveva sistemato i ferrovieri lungo un’altrettanta fitta schiera di case popolari.
D’altro canto la progettazione delle borgate rurali Incoronata,
Daunilia, Segezia, nella misura in cui conduceva un discorso di razionalizzazione dell’economia, tipico delle società in via di industrializzazione, evidenziava la persistenza di zone altamente depresse, in
un clima di apparente sviluppo. Inoltre, dei centri rurali previsti, solo
le borgate Incoronata, Segezia e Carapelle furono realizzate; infatti,
per il poco capitale investito nel Sud, mancava ancora una serie di infrastrutture fondamentali, che almeno nei programmi, avrebbe dovuto
relazionare questi spazi al vasto territorio. La mancanza della acqua,
della luce nelle campagne a lungo andare contribuì, per proprio verso,
al trasferimento di buona parte delle giovani generazioni dei contadini
in città e all’impiego di molti di essi nella Pubblica Amministrazione,
nel settore scolastico, e nella rete dei servizi ampliatisi con
l’espansione della città.
69
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
LA RICOSTRUZIONE TERRITORIALE
NELL’AMBITO DELLA RICOSTRUZIONE NAZIONALE
La Cassa per il Mezzogiorno e l’Ente Riforma agraria
Lo sviluppo produttivo, dalla seconda metà degli anni cinquanta
fino al 1962, s’incrementò senza trovare « effettivi limiti in quelle due
tare strutturali che gli economisti e i politici di sinistra individuano nel
capitalismo italiano, e cioè senza incappare nella trappola della debole
capacità di consumo e di investimento del mercato nazionale, e senza
portarsi dietro, come una palla, al piede, né la questione agraria, né il
problema del Mezzogiorno »28 . Anzi l’arretratezza dei settori e delle
aree geografiche depresse incentivava più che indebolire la dinamica
dell’industria esportatrice.
Il persistere di zone sottosviluppate rappresentava il livello cui ricorrere per il reclutamento di manodopera a basso prezzo che creasse
la possibilità di maggiori profitti.
Nel complesso, il settore agricolo, oltre a garantire l’afflusso di
forza-lavoro nell’industria, sussidiava la stessa attraverso « l’acquisto
dei mezzi di produzione di origine industriale » 29 .
L’esigenza di creare una domanda interna dei mezzi di produzione
specie nelle zone sottosviluppate fu l’impostazione di fondo dell’Ente
di Riforma agraria. La riforma agraria e la sua applicazione significò
la cesura con un particolare tipo di struttura della proprietà fondiaria e
l’inizio di una nuova ripartizione delle terre.
Il possesso delle terre in Italia e, in particolare, nel Tavoliere era
diviso fino al 1951 fra pochi grandi latifondisti e molte piccole proprietà contadine. Ambedue erano caratterizzate da una intensità di capitale estremamente bassa, da un sistema di coltura primitivo, e un tipo di rotazione delle colture che devastava le terre due o tre volte
all’anno. La piccola proprietà era effettivamente autonoma soltanto in
zone limitate di agricoltura intensiva, in tutte le altre zone essa era solitamente troppo ridotta, troppo poco fertile 30 .
La maggior parte delle piccole e medie proprietà era in effetti posseduta dai contadini sottoforma di affittanza, a mezzadria e in un rapporto semi-feudale con i vari possidenti che riscuotevano solo le rendite delle loro terre.
I grandi latifondisti preferivano affidare lo sfruttamento delle loro
terre, più che a salariati agricoli e a metodi di coltura moderni, ad affittuari e coloni a termine. La monocoltura di grano rappresentava il
settore più adeguato a questa realtà socio-economica di sottosviluppo.
I forti squilibri derivavano essenzialmente dalla coesistenza dei
28
M. D’ANTONIO, Sviluppo e crisi del capitalismo italiano, De Donato, Bari,
1973, pag. 169.
29
Ibidem.
30
S. G. TARROW, PCI e contadini nel Mezzogiorno, pag. 169, Einaudi, 1972.
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grandi latifondisti e delle proprietà parcellizzate, per lo più in prossimità dei centri abitati.
« Tali zone erano partecipi, quindi, allo stesso tempo degli inconvenienti del sopra-dimensionamento e di quelli del sotto-dimensionamento. I contadini… i quali non potevano realizzare sulle loro esigue
proprietà neppure i livelli minimi di sussistenza, erano costretti a riversarsi sul latifondo, oltre che come braccianti, come piccoli affittuari
e come compartecipanti. Il latifondo, benché costituito da grosse unità
di possesso, era di fatto, almeno in parte suddiviso in una molteplicità
di piccole e piccolissime conduzioni » 31 .
La dipendenza dei contadini dai latifondisti, la loro instabilità economica e occupazionale furono all’origine sia della disorganizzazione
politica dei contadini, sia della conseguente dipendenza politica dal sistema del clientelismo.
Scopo della Riforma fu quello di sanare gli squilibri fra proprietà
contadina e latifondo, creando per la prima la possibilità di autoreggersi e per il secondo colture modernizzate per un ampio mercato. Inoltre, rimosse il rancore contadino e creò una chiara distinzione sociale in precedenza offuscata dal rapporto simbiotico tra proprietari latifondisti, proprietari contadini e braccianti, e colpì le terre nella misura della loro capacità produttiva perciò quelle a regime estensivo e non
già quelle « aziende commerciali a cultura intensiva » 32 .
Ma è pur vero, come afferma il Sylos Labini33 , che « l’azione politica nei riguardi del Mezzogiorno è stata finora carente non solo per
difficoltà obiettive, ma anche per la cospicua influenza che ancora esercitano, al centro e alla periferia, i gruppi meridionali più reazionari
».
Inoltre, la depressione con cui l’agricoltura veniva fuori dalla guerra, l’elevato indice di sovraffollamento in rapporto alla povertà delle
risorse e, ancor di più, la situazione tendenzialmente esplosiva creata
dai primi grandi scioperi dei braccianti e delle prime occupazioni di
terre da parte dei contadini, creavano una seria minaccia per l’ordine
pubblico.
L’intervento nel Mezzogiorno, dunque, più che mirare a sanare la
piaga storica del sottosviluppo, mirò dapprima a riequilibrare la tensione sociale.
Sotto la spinta della fame di terre da parte del bracciantato, che
trovò il suo mallevadore nel P.C.I., fu attuata la Riforma agraria, che,
purtroppo, lasciata priva di organizzazione, finì col far diluire la tensione sociale. Tutto a beneficio dell’agrario che poteva, ormai, tranquillizzarsi in ordine a due fattori: la pace sociale e l’esiguità dello
scorporo. Infatti, i braccianti, anche per via dell’esodo, lasciarono la
31
S. T ARROW, op. cit., pag. 260.
S. T ARROW, op. cit., pag. 262.
33
SYLOS LABINI su « Lo Stato, la Cassa, il Mezzogiorno ». A. Landolfi, pag. 12,
Savelli, 1974.
32
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ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
presa, mentre in Capitanata, con una popolazione residente di 600.000
ab. (con una densità di 30 unità per kmq) e con una superficie territoriale (agraria e forestale) di 750.000 ha di terreni (con una pianura di
420.000 ha), si attuava uno scorporo in ordine a 54.000 ha di terreno.
Per di più i braccianti andarono a reclutare poderi privi di scorte in
zone lontane da quelle di origine.
Se la riforma agraria fu uno strumento di tutela dell’ordine costituito, è anche vero che segnava quella caratteristica di fondo che sarebbe appartenuta a tutte le forme di intervento nel Sud: far convogliare il conflitto sociale nei sistemi clientelari e speculativi, fiancheggianti i gruppi reazionari già esistenti e facendo del clientelismo una nuova
piaga storica.
E’ questa la prima fase in cui ancora non veniva lumeggiata la
possibile conversione industriale del sistema produttivo.
Questo, anche perché l’industria del Nord, gravata dei problemi di
recupero e di riconversione, era refrattaria alla industrializzazione del
Sud.
Il problema del Sud, negli anni del ‘miracolo economico’, « si andava così confermando — riconosce il Graziani — negli ambienti industriali — attraverso « una visione dualistica dell’economia italiana,
costituita da un gruppo di regioni industrializzate e progressive cui si
contrapponeva il gruppo delle regioni meridionali la cui funzione precisa era quella di esportare forza-lavoro » 34 .
Perciò gli strumenti programmatori tralasciavano la politica della
industrializzazione vera e propria e convertivano l’intervento in una
politica di opere pubbliche per le infrastrutture civili, tese « a rafforzare il settore agricolo, a favorire lo sviluppo del turismo ed eventualmente a predisporre il terreno per gli insediamenti industriali che vi
fossero spontaneamente sviluppati »35 , per tale scopo fu realizzato anche un accordo politico.
Se guardiamo la normativa riguardante l’assetto territoriale, in
primo luogo emerge la sostituzione della legge del ‘42 con i piani di
coordinamento negli anni ‘60, un più raffinato sistema di mediazione
delle istanze emergenti dalle esigenze della popolazione e la pianificazione regionale.
Il comprensorio era assunto come il livello capace di assumere « in
un quadro organico i problemi urbani e territoriali...unico livello al
quale si può iniziare la pianificazione...che coinvolga i sociologi, gli
economisti, gli urbanisti, le popolazioni dei territori interessati »36 , per
tentare di sanare gli squilibri creati dalla disintegrazione dei rapporti
fra una cultura ed una società caratterizzati da standards urbani e industrializzati, ed una società rimasta ad un livello rurale-arcaico.
34
LANDOLFI, op. cit., pag. 17.
Ibidem.
36
M. FABBRI, La pianificazione: dialogo a quattro voci, su « Comune e programmazione » Lacaita ed., pag. 17.
35
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________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
A parte la prospettiva culturalista di fondo di quanto sopra riportato e il richiamo alla interdisciplinarietà dell’intervento (che, a nostro
avviso, può recuperarsi non attraverso una giustapposizione di ambiti
accademici, ma solo all’interno di un intervento politico, alternativo),
la programmazione degli anni ‘60, pur apparendo agli operatori « occasione storica per dare alle comunità locali una funzione e un ruolo
fondamentale, relative al proprio territorio » e tali da andarsi a concretizzare sia « nella programmazione economica, nella legge urbanistica e nell’attuazione delle Regioni e... nel quadro della programmazione regionale, e di quella nazionale » 37 , mirò in una ottica politica riformista, ad attuare tecnicamente il coordinamento dei criteri preliminari per individuare e delimitare le ‘zone industriali’.
In questa fase, anche la regolamentazione urbana veniva assunta
alle nuove scelte politico-economiche38 .
37
Ibidem.
Siamo, chiaramente, nella fase della produzione monopolistica in cui si inaspriscono le differenze fra i centri urba ni e le periferie, fra grandi e piccole città, e il rapporto città-campagna è sostituito dalla contrapposizione fra aree centrali e aree marginali.
Se tutte le contraddizioni del sistema produttivo in questa fase si spingono ad un livello
più alto e grave, anche quelle prodotte « nell’ambito del territorio sono momenti della
contraddizione più generale del modo di produzione dominante, quello fra sviluppo delle forze produttive sociali che essa induce ed esige e i rapporti sociali di produzione che
lo consentono e ne definiscono la transitorietà storica specifica.
Lo spazio fisico tende sempre più a mostrarsi come luogo del sociale, ..ad essere
usato e costruito come condizione del lavoro combinato, ovvero una delle forme del capitale fisso che partecipa di complessivi cicli di produzione tra loro sempre più integrate
e distribuite sul territorio, secondo le mutevoli concentrazioni e dispersioni spaziali che
questi richiedono » (M. FOLIN: La città del capitale, intr. di L. Calabi - De Donato, Bari, 1972).
In questa fase, non solo si porta a compimento la funzionalizzazione delle aree urbane a usi specifici, con l’aiuto della pianificazione degli Enti pubblici, ma la dislocazione delle industrie abbandona le grandi città (per gli alti costi delle aree, per la manodopera reclutabile a prezzi elevati) e va a stabilirsi a ridosso delle metropoli per poter,
comunque, beneficiare delle infrastrutture esistenti. E’ opportuno compiere un salto
qualitativo: quando riteniamo che il capitale determini un particolare tipo di città, potremmo compiere un’astrazione se non aggiungessimo che tale rapporto non esiste nella
forma causa-effetto, come afferma il LELLI, (Dialettica della città, De Donato, Bari,
1974), esiste un « continuum dialettico » per cui la città è « un elemento del capitale fisso sociale, forma spaziale della organizzazione capitalistica del lavoro ». (M. FOLIN,
op. cit.).
La realizzazione del plus-valore-profitto, non avviene più unicamente nella fabbrica, ma anche attraverso l’uso dello spazio urbano. La città è così luogo fisico di vita economica, espressa nella forma della distribuzione e del consumo. In pratica, la logica
del capitale (quella di estrarre profitto dalla organizzazione sociale) oltre alla organizzazione della riproduzione del valore in fabbrica, gestisce la ricostruzione della forzalavoro nel territorio.
Perciò la città diviene merce, oltretutto ideologica, che da una parte tende ad essere
l’opposto della fabbrica, spezzettamento alienato della socializzazione del posto di lavoro, appropriazione individuale o di unità familiari, dall’altro luogo della liberazione
dell’individuo; solo che questa liberazione si attua nei
38
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ENRI CHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
Dall’anno 1957 in poi muta anche la direzione programmatica della Cassa per il Mezzogiorno, votandosi sempre più al fenomeno della
pre-industrializzazione, ritenuto necessario capitolo iniziale per una
industrializzazione vera e propria.
Proprio la SVIMEZ, attraverso i suoi studi mise in rilievo la funzionalizzazione dell’intervento pubblico non più a favore delle infrastrutture per il settore agricolo (sistemazioni montane ed idriche) ma
volta a controbilanciare gli scarsi investimenti degli industriali del
Centro-Nord per uno sviluppo decisamente industriale nel Mezzogiorno.
Scopo dell’Ente fu quello di «convogliare nel Sud capitali attinti
fuori dell’economia meridionale, sia in altre regioni d’Italia, attraverso
condomini fuori città, nei quartieri-dormitorio, nei super-markets, attraverso i massmedia.
Ma è pur vero « che la città oltre che come dispersione dei lavoratori sul territorio,
distruzione ideologica della classe, è anche un momento specifico di accumulazione e
queste due funzioni, se pure in momenti particolari della nostra storia hanno interagito,
oggi entrano in conflitto». (M. LELLI, op. cit., pag. 110).
La compartecipazione dei capitali industriali, bancari e imprenditoriali nella attività
delle grandi immobiliari, costituisce oggi un sistema di alleanze contro cui matura un livello nuovo dello scontro di classe, che accomuna il barraccato all’abitante di periferia e
del quartiere dormitorio.
Infatti, la pianificazione, opera degli enti pubblici (edilizia popolare) interviene a
gestire anche il consumo dell’abitazione, attraverso l’abolizione e l’assorbimento della
rendita fondiaria.
Inoltre, tutto il mutamento e la destinazione rinnovata delle aree urbane da residenziale ad essenzialmente amministrativo « avviene, soprattutto in Europa, con la mediazione della rendita e del profitto che nelle città hanno un ruolo specifico di controllo e
guida dello sviluppo » (AA. VV., Città... op. cit., pag. 22).
Il meccanismo che determina il diverso valore ed uso delle aree urbane, quelle centrali rispetto alle periferiche, è guidato dalla logica della rendita e da quella del profitto.
Il profitto è direttamente legato all’impostazione economica generale, ma trova un
suo particolare modo d’essere nei profitti delle imprese edili per la produzione del benecasa.
La rendita fondiaria ha un duplice ruolo: parassitaria, se è « collegata soltanto al
possesso e non all’uso socialmente produttivo » (AA. VV., op. cit., pag. 23), differenziale, ovvero conseguente dalla dislocazione delle infrastrutture nella città, se rappresenta la possibilità di diminuire i costi di produzione e di aumentare il saggio di profitto e
per il proprietario la possibilità di pretendere dall’uso di tale area una rendita direttamente proporzionale.
Quando il capitalismo industriale e speculazione edilizia operano ancora in « gruppi
concorrenziali » (AA. VV., op. cit., pag. 25), la rendita parassitaria crea forti squilibri
nel rapporto capitale-lavoro, poiché nel salario, pagando la riproduzione dell’operaio si
remunera la rendita fondiaria.
In questa fase si può parlare di sottrazione di profitto da parte della rendita fondiaria, perché i salari sono mantenuti a livello di semplice sussistenza; ma quando il capitale industriale ed edile coincidono in una stessa figura e i salari possono accedere a nuove forme di consumi, la rendita fondiaria, ricade tutta, con il peso del suo valore, sul potere d’acquisto dei salari.
Nella città, intesa come spazio di consumo, si attua il processo spaziale di riproduzione della forza-lavoro, e per consumo si intendono gli spazi verdi, le attrezzature varie
e le abitazioni.
Nel caso specifico delle abitazioni, la crisi degli alloggi va rapportata alla situazio74
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emissioni obbligazionarie, sia all’estero »39 , creando così la possibilità
di investimenti per lo sfruttamento di materie prime agricole ed indu-
ne di mercato. Il dislivello fra bisogno socialmente definito dell’habitat e la produzione
dell’alloggio, pone e definisce la crisi.
L’alloggio, pur essendo un bene prodotto per un mercato e per realizzare un profitto, non riesce, nella richiesta, ad essere soddisfatto in materia completa. Questo per tre
motivi fondamentali la disponibilità dei terreni, i materiali da costruzione, l’uso della
forza-lavoro per la costruzione degli immobili.
Questi elementi vanno ad articolarsi in una organizzazione di produzione che vede
si la rendita fondiaria passiva rispetto al profitto capitalistico, ma nel contempo il mercato fondiario gestito dagli stessi organismi finanziari che attraverso l’attività di prestiti
e finanziamenti rafforzano la speculazione edilizia. La mancanza di alloggi viene acquisita come possibilità d’incremento del valore dei terreni e quindi di profitto, valorizzando e funzionalizzando certe zone più che altre.
Il prezzo degli alloggi, la loro rarità, dipendono anche dal rifiuto dei proprietari di
vendere, per realizzare un alto tasso di profitto, quando gli acquirenti, siano grandi società, creando per questi la possibilità di una ulteriore e più grave speculazione.
« Il prezzo delle abitazioni e, di conseguenza, il profitto delle società edili sono
quindi in stretta connessione con la rendita fondiaria e con l’intervento pubblico.
Infatti, i vantaggi della rendita fondiaria si ricollegano direttamente al profitto delle
società edili in maniera specifica, cosicché queste possono recuperare attraverso la parte
di rendita che percepiscono un profitto pari o superiore a quello degli altri settori
dell’industria che, in genere, sono molto più produt tivi anche perché possono servirsi di
tecniche avanzate e di altri concentrazioni di capitali » (AA. VV., Città... op. cit., pag.
26).
Così, i capitali inseriti in questo settore sono meno redditizi di quelli di altre industrie poiché «il tasso di rotazione.., è particolarmente lento » per « la lentezza della costruzione, per l’alto costo del prodotto e l’acquisto che limita gli acquirenti e si rifà
sull’affitto, per il fatto che il termine di ottenimento del profitto viene protratto a lungo,
in ragione del pagamento dei fitti e soprat tutto della sensibilità dell’alloggio alle rivendicazioni sociali che motivano l’intervento frequente dello Stato con misure come il
blocco dei fitti che minacciano la realizzazione del profitto ». (M. CASTELLS, op. cit.,
pag. 189).
La nuova « rete dei servizi, il cui solo scopo è quello di speculare sui blocchi e sulle
difficoltà del settore » (M. CASTELLS, pag. 190), formata dalle immobiliari, dalle cooperative, dai crediti bancari ha cercato « di stabilire un mercato della costruzione prefabbricando la domanda.., giocando sulla insicurezza, mantenuta dalla crisi degli alloggi, degli strati medi della popolazione, che possono acquistare un alloggio solo se esistono meccanismi di credito ». (M. CASTELLS, pag. 191).
L’intervento sulla domanda, fatto dallo Stato, ha creato il cosiddetto « sussidioalloggio » per i meno ricchi e una serie di crediti per gli « alloggi-sociali »; l’intervento
sull’offerta attraverso crediti e prestiti, interessando coloro che hanno un reddito medio
ed elevato ha, in pratica, escluso gli strati sociali più bassi, e, infine, anche le leggi che
ammettono l’esproprio generalizzato di terreni urbani sanciscono il riformarsi della rendita fondiaria mediante il pagamento del terreno al valore di mercato. D’altro canto, lo
strumento della pianificazione è necessario alla classe dominante per risolvere alcune
delle contraddizioni che si producono all’interno della produzione, della distribuzione e
del consumo; in pratica, avvalla tutte le contraddizioni fondamentali e, come espressione di una specifica volontà politica riformista, garantisce la riproduzione allargata, regola gli antagonismi e conserva un preciso modo di produzione.
39
SVIMEZ, op. cit. dalla relazione del Consiglio di Amministrazione della SVIMEZ « Disponibilità di capitale e modificazioni », 1968.
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ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
striali. In pratica, all’epoca, si intese assecondare le disposizioni di assoluta libertà per lo sviluppo industriale del Sud.
Si tentava una tipologia di sviluppo sul modello del Nord: corsi
ambulanti, scuole professionali, specializzazioni, attraverso una iniziale spesa pubblica per la creazione di un mercato locale.
La Cassa fu lo strumento cardine di questa politica, in quanto come Ente finanziario pubblico avrebbe potuto arrischiare più dei sistemi bancari e finanziari.
Si affidarono, in definitiva, allo Stato una serie di premesse atte a
favorire la formazione del capitale fisso sociale « alla cui mancanza si
imputa quella insufficienza di economie esterne che rende sfavorevoli
i termini dei calcoli privati di convenienza.
Non si tratta più, dunque, di lavori pubblici aventi lo scopo di venire incontro a bisogni urgenti, così come essi congiunturalmente vengono manifestandosi, ma piuttosto di un complesso di opere coordinate a lungo respiro, finalizzato alla facilitazione di attività produttive »40 . Si trattava, in effetti, di passare da una fase di pre-industrializzazione ad un’altra che avesse come « obiettivo il conseguimento del grado di industrializzazione necessario per soddisfare la
presumibile offerta di lavoro »41 , evitando, comunque, di creare una
industria di Stato a Sud di contro una industria privata nel Nord
(1956).
Fu quella che si definì la politica di sviluppo delle ‘aree depresse’
che, per altro, avrebbe dovuto risolvere il problema della eccedenza di
manodopera che l’economia agraria, nonostante gli avanzati presupposti tecnici, non era in grado di assorbire.
« L’istituto della ‘zona industriale’ si concreta nella individuazione
e delimitazione di determinate aree, nel cui ambito si predispongono
particolari condizioni giuridico-amministrative ed amministrative ed
ambientali atte a favorirvi l’impianto e l’esercizio di stabilimenti industriali » 42 .
La suddivisione, in base ai diversi tipi di situazioni locali in cui ci
si proponeva di intervenire, distingueva:
a) località ad economia industriale depressa-caratterizzata o da un
regresso o da una stasi delle attività industriali preesistenti;
b) località ad economia sbilanciata — caratterizzata da ‘attività
primarie e/o terziarie’, ma insufficientemente sviluppate nel campo
delle attività secondarie e pertanto, affette da vasti fenomeni di disoccupazione cronica e ricorrente; in questi casi si mirava a promuovere
una integrazione territoriale su base industriale; tra queste, le località a
prevalente economia agricola in cui si intendeva avviare — o anche
accelerare — un processo di transizione verso forme di economia mista agricolo/industriale. Tra le località a preminente funzione
40
P. SARACENO, su SVIMEZ op. cit., pag. 239-241. Premesse culturali ad una
politica di sviluppo economico.
41
Ibidem.
42
MOLINARI E TURCO, su SVIMEZ, op. cit., pag. 308.
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________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
« terziaria » potevano annoverarsi quelle che costituivano centri dotati
di particolari funzioni burocratico-amministrative, eventualmente associate a funzioni commerciali e/o turistiche;
c) località ad economia strutturalmente arretrata — in cui lo sviluppo industriale doveva agire come « volano propulsore e tonificante
del processo economico in ogni settore di attività » 43 .
Fino a che punto i Piani di coordinamento, pur nel più vasto ambito territoriale, siano riusciti a sanare gli squilibri fra zone sviluppate e
sotto-sviluppate, fra piccoli e grandi centri è verificabile nell’esame
del mutamento della struttura fondiaria dei settori occupazionali, del
tasso di migrazione della zona di studio: Foggia e il suo hinterland,
che per tali caratteristiche definiamo città terziaria del sottosviluppo.
Per altro, bisogna sottolineare che il nuovo tipo di sottosviluppo meridionale è necessario complemento dello sviluppo del capitalismo nazionale.
Infatti, il Meridione, in questi anni, non risulta più tanto essere il
centro di raccolta della manodopera a basso prezzo, zona sottosviluppata per la formazione del cosiddetto ‘esercito industriale di riserva’; piuttosto, tutto rende conto del fatto che, in luogo di uno sviluppo
in orizzontale delle reali esigenze di base della zona, si è avuto una
penetrazione più o meno diretta del capitale monopolistico nazionale
ed internazionale, che ha trovato nelle zone più predisposte all’incremento industriale le infrastrutture necessarie per gli insediamenti produttivi, nonché la disponibilità di materie prime e di forza-lavoro.
L’intervento straordinario dello Stato è valso per altro a favorire la
costruzione di quelle infrastrutture la cui carenza scoraggiava gli investimenti di capitali.
Gli incentivi finanziari e fiscali, la costituzione di consorzi degli
Enti locali per attrezzare aree specializzate dotate di infrastrutture a
servizio dell’industria e l’obbligo fatto a carico delle imprese pubbliche di localizzare nel Mezzogiorno non meno del 40% di tutti i loro
investimenti, furono gli strumenti principali con cui lo Stato intervenne, dalla fine degli anni ‘50 in poi, per stimolare l’industrializzazione
del Mezzogiorno » 44 .
Sorsero così insediamenti siderurgici e petrolchimici, senza effetto
propulsore ovvero, senza un collegamento col resto dell’economia locale, senza un mercato regionale.
Le stesse agevolazioni attraverso i mutui industriali, destinate
all’inizio alle piccole e medie industrie rifluirono nelle industrie medio! grandi, mentre una benché minima parte si disperse fra industriali
locali che, in genere, potevano ben poco sostenere il grosso balzo in
avanti per tenersi al passo con le industrie tecnologicamente avanzate.
Negli anni sessanta la « crisi dell’industria tipica delle regioni
43
44
MOLINARI E TURCO, op. cit., pag. 307.
M. D’ANTONIO, op. cit., pag. 237-238.
77
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
meridionali »45 fu in misura davvero minima bilanciata dalle installazioni delle nuove imprese di grandi dimensioni.
« Alla fine del 1957 erano in attivazione le zone industriali » di
Ancona (1950); Vicenza (1954); Padova (1956); Cremona (1957)
mentre erano allo studio i progetti relativi a zone industriali in Ascoli
Piceno, Avellino, Bari, Chieti, Foggia, Taranto, Teramo » 46 .
La problematica delle ‘zone industriali’, reperita attraverso la « definizione ed eventuale istituzionalizzazione dei principi e dei criteri
fondamentali di una coordinata e unitaria politica di localizzazione
delle industrie: una politica cioè che si contrapponga all’azione di un
intervento ‘frammentario’ e ‘puntiforme’ ed ‘estemporaneo’, sinora
prevalentemente esperite nel nostro Paese »47 mirava a rendere « evidente l’importanza che, in ordine alle possibili soluzioni di quel problema, assume il coordinamento fra pianificazione urbanistica e pianificazione comunale » 48 .
Al di là del pur apprezzabile impegno meridionalistico e dei suoi
rappresentanti, per una programmazione di sviluppo organica per il
Sud d’Italia, una zona, qual’è quella di Foggia, sin dall’epoca della
sua ricostruzione bellica, doveva rimanere per lo più spettatrice di
fronte al grosso balzo in avanti della sua regione.
La connivenza, mediata politicamente dal partito al potere, degli
interessi dei gruppi agrari, del capitale finanziario nazionale e internazionale, della imprenditorietà locale, sulla base di una economia agraria incentivata solo settorialmente e di una industrializzazione davvero, « puntiforme » avrebbe mantenuto dagli anni ‘60 questa zona in
una nuova forma di dipendenza.
La ricostruzione urbana
La città di Foggia, infatti, situata in una posizione militarmente
strategica, al centro del Tavoliere, avendo nelle sue vicinanze il campo
di aviazione Amendola, oltre al grosso nodo ferroviario che controllava le comunicazioni tra i maggiori centri italiani, venne, per questa
serie di motivi, distrutta da numerosi bombardamenti che decimarono
la popolazione, durante l’ultima guerra.
Alla fine del conflitto, la situazione della città era davvero grave; il
40% delle costruzioni era distrutto e malamente danneggiato.
L’Ufficio Tecnico del Comune affidò agli architetti Rutelli e Vitale la redazione di un nuovo Piano Regolatore Generale che sarebbe
stato approvato definitivamente nel 1956.
E’ interessante notare come il P. R. G. edilizio del 1956, abbia mirato a mettere in relazione le esigenze urbane alla situazione territoriale del Tavoliere.
45
46
47
48
Ibidem.
MOLINARI E TURCO, op. cit., pag. 314.
MOLINARI E TURCO, op. cit., pag. 329.
MOLINARI E TURCO, op. cit., pag. 329.
78
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
Infatti, è opportuno ricordare che già la legge urbanistica del 17-81942 era ispirata da direttrici programmatiche volte a prendere in considerazione l’intervento « dell’azione pubblica sia nel ristretto ambito
comunale, sia in un ambito più elevato, territorialmente non definito,
ma facilmente individuabile in quello regionale considerata la Regione
non come entità amministrativa; ma come attività geoeconomica e
demografica, da individuare e delimitare caso per caso. Alla redazione
del Piano intervengono tutte le amministrazioni interessate, alcune
delle quali (LL. PP. e Industrie)49 hanno particolari potestà nella fase
di approvazione. Le direttive fissate nel Piano fanno particolare riferimento alle zone da riservare a speciali destinazioni alle località da
scegliere da sedi di nuovi nuclei edilizi e impianti di particolare natura
ed importanza e alla rete delle principali linee di comunicazioni stradali, ‘ferroviarie, elettriche e navigabili esistenti e in programma » 50 .
Perciò dalla analisi della condizione urbana di Foggia, semidistrutta dalla guerra, emerse, in primo luogo, come problema di immediata
necessità, la crisi degli alloggi (il coefficiente di affollamento era di
2,40 ab. per vano, il più alto d’Italia) ed inoltre l’urgenza di portare la
situazione ad un indice tollerabile di 1,5 ab. per vano con bisogno
immediato di circa 20.000 vani pari ad un complesso di 4.000 alloggi.
Su queste necessità l’I.A.C.P. interveniva attraverso la costruzione
di buona parte degli alloggi previsti; realizzando, a tale scopo, inizialmente, il risanamento di Borgo Serpente (tra via Mazzini e viale Ofanto) mediante una fitta schiera di case popolari, essenzialmente fruibili
da parte della piccola e media borghesia ovvero dei funzionari pubblici, sul tipo delle città-giardino inglesi.
Inoltre, l’intervento su scala urbana prevedeva due diversi livelli di
attività: una di ristrutturazione, l’altra di espansione, quest’ultima in
rapporto alla dimensione di sviluppo del territorio.
Il primo tipo di attività interessava essenzialmente il centro antico,
ed altre soluzioni erano previste per i quartieri situati tra le vie Garibaldi, Crispi, Matteotti ed i quartieri popolari Nord-Occidentali.
L’espansione era prevista per la zona della stazione, la scacchiera
ottocentesca e i quartieri periferici a Nord-Est, Sud-Est e Sud.
In rapporto alla scelta della localizzazione industriale, una a NordEst ed uno a Nord-Ovest della città, per gli addetti all’industria (circa
10.000) si previde la costruzione di unità residenziali in prossimità
delle zone suddette e precisamente nella zona Nord dopo la fascia ferroviaria e lungo la statale per Bari, oltre il campo fiera, ma sempre a
debita distanza dalla città.
La scelta di fondo che sottostava alle direttrici del Piano di espansione era così motivata in uno stralcio della relazione allegata al Piano: « La determinazione delle direttrici di espansione è pressoché
49
50
Per Foggia, essenzialmente, la Cartiera e la pre-industrializzazione.
ANNESI, op. cit., pag. 292.
79
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
stabilita dalle caratteristiche negative di talune zone e dai loro vincoli
».
L’espansione della città fu auspicata fra la S.S. 17 AppulaSannitica e la S.S. 16 Adriatica per Bari, per un arco di 180°, con la
creazione di un quartiere delimitato dalle vie Roma, Ofanto, Mezzogiorno, con un quartiere satellite a Sud-Est, un quartiere Camporeale,
(attraversato dall’omonimo tratturo), un quartiere Biccari, uno lungo
via Lucera. Si previde anche il rafforzamento di alcuni nuclei residenziali già esistenti esternamente: Rione Martucci, Rione Posillipo e
Borgo Diaz).
Il piano, in sostanza, previde per le zone di espansione quartieri residenziali semi-intensivi.
La sistemazione dell’aggregato urbano esistente sarebbe stato attuato mediante l’allargamento e l’apertura di strade e nella concentrazione delle aree di fabbricazione su lotti più estesi.
Il sistema di penetrazione nella città doveva essere attuato a mezzo
delle strade statali e il ripristino di alcuni tratturi.
Inoltre, fino a questi anni, nel rapporto mobilità sociale/processi
produttivi innovativi, il settore autenticamente industriale aveva avuto
un ruolo abbastanza modesto, tranne la Cartiera che, a tutt’oggi, anche
sotto il profilo occupazionale, ha esaurito ogni carica promozionale.
L’espansione verso le direttrici Sud-Ovest della città, negli anni
’50 fu determinata da « una serie di piccole e medie aziende industriali
nelle immediate vicinanze dell’abitato » 51 .
Ma lo sviluppo urbanistico, lungo le direttrici già dette, fu determinato, più che altro, dall’incremento di un settore di attività che andava sempre più ingigantendosi: la Pubblica Amministrazione, i cui
addetti al censimento del 1961 risultavano essere 5.661 pari al 16%
della popolazione attiva, e la cui sistemazione residenziale determinava « l’ultimo balzo dell’abitato lungo le direttrici Sud-Ovest »52 - Rione S. Pio X mentre restava ancora urgente la necessità di favorire attraverso diverse innovazioni del settore industriale un rapporto pari fra
il ritmo della popolazione e quello dello sfruttamento delle risorse, necessario « supporto socio -economico » alla già attuata espansione urbanistica della città » 53 .
Il ruolo della città terziaria
Le vicende dell’urbanizzazione foggiana, in questi ultimi anni, sono legate alla espansione della città attraverso direttive socio-economiche abbastanza peculiari.
La caratteristica di fondo è quella di uno sviluppo economicoindustriale per poli, che ha interessato anche la nostra zona, per cui
51
S. GAROFALO, Piano Regolatore territoriale, vol. I, pag. 20, Consorzio per
l’area di sviluppo industriale di Foggia.
52
S. GAROFALO, op. cit., pag. 26.
53
S. GAROFALO, op. cit., pag. 21.
80
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
lo sviluppo non è da assumere nella misura di installazioni di imprese
con prevedibile sviluppo trainante e stimolante rispetto al resto della
economia, poiché si riscontra che grosse innovazioni non sono derivate dalla installazione di unità o settori di imprese.
L’aggregato, urbano, in seguito all’assunzione di aree fabbricabili,
attraverso il meccanismo della legge 167 per la edilizia economica e
popolare, si è dilatato lungo:
— la zona Croci-Nord (o Borgo Candelaro) con un indice abitativo
di piano di 6.000 abitanti;
— la zona Croci-Sud, già «comprensorio di bonifica edilizia da
parte del P.R.G. del 1956 data le sue sconnesse caratteristiche, il 90%
circa degli edifici presentandosi fatiscenti dato che parte di essa era
stata a suo tempo eseguita con carattere di provvisorietà » 54 , per un indice abitativo di piano di 4.300 unità circa;
— la zona Biccari, a Nord-Ovest della città, anche esso già assunto
dal P.R.G. del ‘56 come area per l’insediamento residenziale autosufficiente per circa 10.000 ab.;
— la zona Camporeale-Est per completare « l’unità di levante che
comprende già a Nord verso Viale Ofanto vasti nuclei di edilizia sovvenzionata, la Chiesa di S. Ciro, l’attuale stadio municipale (per il
quale è previsto la sostituzione con un nuovo impianto a Sud della
Tangente Meridionale), le aree di servizio a parcheggi di quello, e
numerosi edifici di iniziativa privata e di cooperative.
La rimanente area è inserita nel presente Piano e destinata al completamento delle attrezzature: mercato e gruppi di negozi, zone verdi a
parco e sportive nel centro del quartiere e, a Sud della Tangente, un
complesso scolastico idoneo per una scuola consolidata nel cuore del
quartiere e con ampie aree libere a verde, . . .ed infine per comparti residenziali con diverso indice di fabbricabilità in relazione alla circostante situazione del verde e delle attrezzature » 55 .
— la zona Ofanto-Sud (Tratturo di San Lorenzo) caratterizzata da
una situazione non omogenea, su cui intervenire per regolamentare gli
già verificati attestamenti di edilizia statale e sovvenzionata interessanti particolarmente l’intervento dell’I.A.C.P.;
— la zona Ordona-Sud, compresa fra i tratturi di Ordona e di S.
Lorenzo, quasi affiancata al quartiere CEP, legata nella sua sistemazione viaria sia al CEP, sia al quartiere Ofanto-Sud e « ai collegamenti per le zone industriali, per una popolazione complessiva di
6.100 unità;
— la zona Incoronata « frazione comunale geografica del territorio, per la quale è stata prevista in P.R.G. la costituzione ufficiale
54
COMUNE DI FOGGIA, Ufficio Tecnico, Piano Acquisizione aree fabbricabili
da destinare all’edilizia economica e popolare, Relazione Generale allegata al Piano,
pag. 8, Foggia, 30-3-1964.
55
IDEM... pag. 12.
81
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
in frazione amministrativa.., ai fini del suo potenziamento e per il decentramento di numerose attività comunali » 56 .
L’urbanesimo foggiano, per le caratteristiche che lo accompagnano, può senz’altro, definirsi di transito, ovvero il trasferimento in città
delle famiglie non avviene in genere in seguito ad « un effettivo cambiamento di status tanto dal punto di vista economico quanto dal punto
di vista sociale in senso lato... Spesso i componenti adulti della famiglia si trasferiscono non perché già assicurato un’occupazione, ma per
avere opportunità di trovarla rendendosi così reperibili per la sfera della sottoccupazione, nel settore terziario a carattere precario della manovalanza generica » 57 .
In pratica, in queste condizioni anche l’intervento pubblico nella
edilizia risente d’uno sviluppo socio-economico difforme; la richiesta
di case per gli immigrati può spesso restare a livello di aspirazione,
salvo ad essere convogliabile nel settore privato.
Sicché le sacche esistenti all’interno della città, coincidenti con il
centro storico, su cui l’intervento risanatore è stato settoriale, rappresentano, pur nella loro decadenza sociale ed edilizia, il primo livello cui ricorrere non appena insediati in città.
La realtà di Foggia, oggi, non è difforme nel suo aspetto tendenziale dalla dinamica di sviluppo che ha investito in questi ultimi anni
l’intera Puglia.
« Lo strumento dei nuclei e delle aree di industrializzazione, creato
dalla nuova cultura meridionalistica, si riallaccia direttamente alla
concezione spaziale dello sviluppo economico favorevole ai poli di
concentrazione»58 , ma non è riuscito a sanare non solo le disparità fra
Nord e Sud ma nemmeno quelle all’interno di regioni in via di sviluppo fra zone altamente sviluppate e zone in un grado ancora relativamente basso di crescita.
Per altro, lo sviluppo puntiforme basato sul principio di legittimità,
ovvero del diritto delle popolazioni a sfruttare « le risorse locali dei
territori che esse abitano »59 — in loco — per un salto qualitativo e
quantitativo e del grado di industrializzazione e dei livelli occupazionali per le unità lavorative indigene, non è riuscito a creare uno sviluppo capace di offrire « eguali opportunità di impiego e di retribuzione per le forze lavorative disponibili » 60 .
Il divario creato fra « gli investimenti industriali nei nuclei e nelle
aree di industrializzazione »61 e la reale esigenza occupazionale, non
andrebbe, allo stato attuale, sanato in una alternativa concezione
56
IDEM… pag. 15.
I.A.C.P. - I.S.E.S. di Foggia: Piano decennale di intervento di edilizia popolare e
sociale in provincia di Foggia.
58
S. GAROFALO, Op. cit., pag. 22.
59
IDEM, pag. 22.
60
IDEM, pag. 23.
61
Ibidem.
57
82
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
a livello generalizzato e diffuso, quanto piuttosto reperito nella scollatura « esistente fra lo strumento di politica economica (nuclei ed aree)
ed istanza socio-politica (eliminazione degli squilibri) » 62 .
In complesso, gli strumenti di intervento straordinario nel Mezzogiorno ha sminuito anche il ruolo degli Enti, dei Consorzi, relegandoli
a rango inferiore per l’attività di programmazione.
Per altro, l’intervento, essendosi molto spesso articolato su un
‘pragmatismo pasticcione’ più che in una visione generalizzata ha portato anche alla obsolescenza di numerosi impianti infrastrutturali creati per una loro conversione ad uso dei Consorzi e dei privati.
Di questo può essere simbolo la Diga di Occhito che, nelle intenzioni avrebbe dovuto essere un fatto rivoluzionario nelle terre di Foggia per la possibilità di irrigare 140.000 ettari di terreno a Nord del capoluogo, dove più estese sono le terre tenute a grano. Rimarrebbe da
effettuare una serie di opere di canalizzazioni, invece l’acqua del lago
rimane inutilizzata e la grande opera muraria resta lì, a testimoniare
che, a Nord di Foggia, la proprietà terriera (per lo più appartenente a
professionisti che vivono in città) per il tipo di rendita che offre non
ha interesse ad un diverso tipo di coltura, quindi lo sperpero del denaro pubblico, il reale orientamento clientelare della Cassa, infine, la
lentezza dei finanziamenti e l’emarginazione del problema agrario.
Dall’esame di alcuni dati, emerge che la regione pugliese è stata
l’unica, a raffronto con le altre regioni meridionali che, nel decennio
‘61-’71, ha visto incrementare sia le attività produttive che gli occupati nel settore industriale.
In questa zona, infatti, dal ‘51 in poi gli addetti al settore sono aumentati in media del 70% rispetto alle altre zone e le unità produttive,
sempre rispetto al resto del Sud, del 16%. A Foggia, dal rilievo dei dati, emerge che dal 1951 gli addetti sulla percentuale della popolazione
attiva, alla industria sono passati da 8.450 del 1951 (su popolazione
complessiva di 118.608) e a 30.046 (su popolazione complessiva di
141.667) del 1971.
« Per contro; l’emigrazione soprattutto delle forze più giovani costituisce ancora una vistosa e patologica emorragia: l’incremento demografico pugliese è solo del 4,2% contro il 6,7% della media nazionale. Sfuggono a questa tendenza solo i poli del processo di industrializzazione Taranto e Bari (rispettivamente con saldi positivi del 9,07%
e 6,47%). Intorno lo spopolamento sembra inarrestabile. La popolazione di Foggia che ha visto solo qualche limitata iniziativa nel capoluogo e gli investimenti del capitale pubblico a Manfredonia, chiude il
decennio con un saldo negativo dell’1,47% » 63 .
La provincia di Foggia nel decennio 1961-1971 ha visto ridurre la
consistenza dei residenti di 9.753 unità (— 1,47) nonostante il saldo
62
Ibidem.
G. AMENDOLA, Bari, la Puglia e l’Europa viste da un sociologo da « Itinerari
», 1974.
63
83
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
attivo del movimento naturale sia risultato di 103.343 unità. La provincia ha accusato una perdita netta per saldo migratorio di 116.096
unità, il che significa che Foggia, nonostante detenga meno di un
quinto della popolazione regionale ha alimentato circa un terzo della
perdita netta per fatto migratorio.
Questo per altro, è derivato, nella quasi totalità, dagli altri comuni
(cioè dalla provincia, escluso il capoluogo) che hanno subito nell’arco
del decennio una diminuzione della popolazione del 6% (Fonte ISTAT).
Inoltre di fronte al rallentamento del ritmo di sviluppo della popolazione che ha interessato tutti i comuni, il capoluogo non ha rappresentato un significativo fattore gravitazionale; una tendenza verso
l’aumento si trova « lungo l’arco che da Cagnano, Varano, Lesina,
Sannicandro volge su Apricena, San Severo e Lucera » 64 .
Definire la terziarizzazione di Foggia, oggi, vale da un lato a riformulare i termini della centralità urbana, per cui non ha più mo lto
senso parlare di contrapposizione città-campagna, se mai di aree industrializzate — aree non jndustrializzate, aree urbanizzate — aree non
urbanizzate, e dall’altro a ridefinire i termini della ‘periferia’ da intendere non più come un retroterra per lo più focolaio esplosivo di rivolta
sociale.
Oggi, le fascie periferiche sono definibili come zone che a livello
di incremento produttivo non sono state toccate affatto dai processi di
modernizzazione, a differenza di altre zone periferiche che, per tutta
una serie di scelte (dalle economiche, alle politiche, alle clientelari)
sono rientrate, seppure a livello di isole industrializzate (le più che
famose cattedrali nel deserto), nelle nuove aree di sviluppo e di centralità produttiva.
Pensiamo, per la provincia di Foggia, alla zona di Biccari dove
l’insediamento della fabbrica IRB di materie plastiche (ANIC), in questa terra tradizionalmente caratterizzata da un notevole sottosviluppo,
con assi migratori rilevanti, oggi, ha portato a ‘standards di vita urbani’ la suddetta zona contrapponendola così alle sue ‘consorelle’ di ieri,
il subappennino dauno, toccate da un tasso di incremento minimo annuo del livello di vita, per le quali prosegue il processo di emarginazione, il peggioramento relativo della condizione di vita, di impiego
minimo di risorse attuato soprattutto per conservare un certo consenso
politico-elettorale.
Valga lo stesso discorso per la zona di Candela, Ascoli Satriano in
cui la azienda della « Filatura cucirini », con un totale di 120 addetti,
non solo non risponde alle esigenze occupazionali della zona, ma rappresenta un notevole sbalzo in avanti di cui risentono negativamente le
zone circostanti, incapaci di adeguarsi ai nuovi standards di vita.
64
REGIONE PUGLIA, Lineamenti di un quadro generale... (bozza di Stampa), Bari, 1974.
84
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
Per queste zone lo sviluppo non viene determinato dalla espansione delle aree industrializzate, ma dal processo di urbanizzazione,
anche se « la quota di popolazione che vive in aree urbane e quella che
in essa ha chances di ottenere un reddito da attività produttive, specialmente industriali, sono del tutto sproporzionate » 65 .
Come si è già detto, è questo il dato saliente della mobilità sociale
e produttiva del Sud nei confronti del Nord.
Qui, l’urbanizzazione e la industrializzazione non si coestendono,
se non a livello minore; si inaspriscono unicamente le differenze fra
zone sviluppate e zone non toccate dallo sviluppo stesso.
Nella definizione di Foggia città terziaria, rientra innanzitutto la
già menzionata politica dei poli che ha investito il suo circondano, non
inducendo, comunque, fenomeni di « gigantismo urbano », infatti la
polarizzazione industriale ha determinato uno spostamento dei centri
gravitazionali per cui, anche l’intervento I.A.C.P. si è spostato nei
centri della provincia che registravano un certo incremento produttivo
(Biccari, Manfredonia, Ascoli Satriano). Inoltre, l’impiego produttivo
per molte classi d’età, non ultimi i giovani e non solo in cerca di I occupazione, nell’amb ito dell’urbanesimo di transito, molto spesso resta
a livello di aspirazione, salvo ad essere convogliato nei sistemi clientelari del sottoimpiego urbano e della marginalità;(questi ultimi due
sfuggono ad una reale classificazione).
In particolare, Foggia resta nei confronti della sua provincia quella
che ha chiuso il decennio ‘61-’71 con un saldo demografico positivo
del 19,4% nei confronti del saldo migratorio dei suoi comuni al —
6,0%.
La tabella, che segue, per quanto approssimativa, al ‘71 (non disponendo di dati ufficiali disaggregati li desumiamo dalle tabelle del
censimento ‘71) presenta per Foggia e la sua provincia le seguenti caratteristiche occupazionali:
F O GGI A
Pubblica Amministrazione
Servizi
Credito ed Assicurazioni
Trasporti e comunicazioni
Commercio
Agricoltura, caccia, foreste
Industrie estrattive e manifatturiere
Industrie delle costruzioni e installaz. impianti
Energia elettrica, gas, acqua
16.249
14.551
2.165
15.667
12.824
15.749
19.524
15.844
1.557
65
C. DONOLO, Sviluppo ineguale e disgregazione sociale su “Quaderni Piacentini” 1972-1973.
85
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
P R O VI N C I A
Pubblica Amministrazione
Servizi
Credito ed assicurazioni
Trasporti e comunicazioni
Commercio
Agricoltura, caccia, foreste
Industrie estrattive e manifatturiere
Industrie delle costruzioni e installaz. impianti
Energia elettrica, gas, acqua
39.343
41.503
4.712
36.013
43.989
200.000
71.502
75.720
3.798
La specificità di Foggia è da reperirsi nella dinamica profondamente ambigua della zona, poiché coesistono e si sovrappongono pro cessi di sviluppo e di sottosviluppo. Definirla una città terziaria del
sottosviluppo significa evidenziare il livello monolitico della zona;
porla all’interno d’una realtà regionale e provinciale in sviluppo tendenziale, ai valori demografici più alti della provincia, con una struttura occupazionale abbastanza statica, con un settore produttivo quale
l’agricoltura scarsamente trainante per una serie di motivi di vertice
economico. Sono, infatti, ancora estesi i latifondi, e le aziende capitalistiche sono più invogliate a convogliare il plus nella partecipazione
azionaria delle industrie locali che ad apportare innovamenti produttivi nel settore agricolo; le piccole e medie aziende, ben poco sorrette
dalla trasformazione industriale del prodotto agricolo, non provano
grande interesse per i miglioramenti della produzione; a ciò si aggiunga quella rendita agricola statica, costituita dalle terre dei professionisti di città, che, essendo a coltura estensiva, presenta una bassa densità
occupazionale a fronte di una alta specializzazione tecnica.
Vengono, così, meno le condizioni strutturali per un verso, e,
dall’altro una cultura industriale in grado di fornire agli imprenditori
modelli generali di intervento e quindi di conoscenze specifiche necessarie.
E qui, torna con evidente attualità, la Diga di Occhito che, come
abbiamo detto, resta quale interesse passivo, per mancanza della rete
scolante ad essa connessa in grado di convogliare l’acqua del Tavoliere. La mancanza della suddetta realizzazione della rete idrica, in tempi
tecnici paralleli all’impianto centrale, lega il suo danno alle colture estensive, le quali, in fatto di cerealicoltura, comportano dalle 4 alle 5
giornate lavorative annue per ha, a fronte delle colture specializzate da
pieno campo, come a dire, le colture industriali, vocate ai mercati nazionali ed esteri, che comporterebbero, viceversa, dalle 180/200 giornate annue lavorative per ettaro.
Per di più, il costo d’un lavoratore del settore primario non va oltre
i 60 milioni (nella programmazione del costo di produzione) mentre il
lavoratore della industria supera di gran lunga i 100 milioni.
86
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
A ciò si aggiunge il risparmio che lo Stato farebbe, a mezzo della
integrazione relativa al prezzo politico del grano che andrebbe convogliato sui futuri investimenti, mentre diminuirebbe, al tempo stesso, la
pressione demografica sulla campagna, una volta che a premere in
questa non fosse più il bracciante generico, ma l’operaio addetto
all’utenza irrigua.
Tenuto presente che, l’indice di pressione sulla campagna, in provincia di Foggia è molto alto, oltre il 40%, si potrebbe distribuire il lavoro oltre che ai disoccupati da specializzare ad una gran parte di quel
saldo migratorio che compone l’intero esodo della Capitanata (oltre
200.000) e ciò va riferito soprattutto all’impiego che discenderebbe
dalle 200 giornate lavorative della suddetta irrigazione.
Per quanto attiene, specificatamente, il settore industriale il totale
degli addetti al settore risulta essere di 36.925 unità per Foggia su un
totale della provincia di 151.020.
Il recupero analitico del processo di sviluppo del Mezzogiorno
nell’arco di tempo ‘51-71 ha una specifica significanza perché il 1951
è l’anno d’inizio dell’intervento pubblico, mentre il 1971 registra una
svolta nella attività della Cassa.
Nei vent’anni che vanno dal 1951 al 1971 il reddito prodotto
dall’intera Puglia, stando ai recenti dati del Tagliacarne66 , e aumentato
del 517,1% (l’aumento nazionale è del 479,9%) ma le varie provincie
registrano tassi d’incremento assai diversi fra loro: accanto alla provincia di Taranto col 726,0%, compare il più basso dell’intera regione;
quello della provincia di Foggia col 452,9%. Ciò sta a significare che
l’incremento relativo a Foggia non ha sortito l’effetto confidato, a differenza di Taranto, in quanto in Capitanata non si sono concentrate attività industriali notevoli.
Per quanto, poi, riguarda i dati relativi all’incremento demografico,
notiamo, innanzitutto che, questo, per il Mezzogiorno, è di un terzo rispetto a quello registrato nel resto del Paese.
NORD
CENTRO
SUD
17,75%
18,90%
6,30%
Tale incremento non è dovuto ad un basso tasso di crescita naturale quanto al fatto che la crescita stessa della popolazione del Mezzogiorno è stata ridotta a causa del movimento emigratorio.
Per di più. suddividendo il periodo in due parti, cioè 1951/1961 e
1961/1971, si nota che l’incremento migratorio è stato notevole nel
primo periodo, mentre nel secondo la popolazione residente è aumentata di solo 225.502 unità.
66
G. TAGLIACARNE, “Puglia” da “Nuovo Mezzogiorno “, n. 3, pag. 18, Roma,
1974.
87
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
E’ da rilevare che l’emigrazione interessa le classi di età più giovani e produttive, mentre le classi di età più anziane non sono toccate
da tale mobilità.
Si desume perciò che, per quanto la Puglia abbia visto notevolmente ingigantito il proprio apparato produttivo nei confronti con le
altre regioni meridionali, pure al suo interno sono visibili gli effetti di
molte contraddizioni irrisolte e, a questo riguardo il caso di Foggia diviene davvero emblematico.
Vediamo i quozienti di emigrazione di Foggia, la sua provincia e il
rapporto con la regione.
— a Foggia le cancellazioni (per 1.000 ab.) per emigrazione al
1970 risultavano essere di 33,99 (di poco superiore alla annata precedente; 33,24 nel 1969, e inferiore rispetto al 1967: 35,84), contro il
28,89 della Regione;
— nei suoi comuni il quoziente è nettamente elevato rispetto a
quello della Puglia tutta: 40,35 (inferiore però alle annate precedenti
1969: 45,21 e 1968: 47,23) contro il 29,86.
La media delle immigrazioni nella città di Foggia non registra
grossi sbalzi nei confronti con la media regionale: 28,08 a fronte del
26,92 (media che per altro, l’indice di Taranto, 31,60, contribuisce a
tenere alto).
Questi dati rendono conto del notevole divario esistente fra le provincie (e all’interno di queste fra piccoli e grandi centri) di una regione ritenuta trainante rispetto al Meridione tutto. Infatti, per la Calabria,
la percentuale degli addetti all’industria sono diminuite a circa 8.000
unità.
D’altra parte, gli interventi straordinari hanno favorito molto più
l’inquadramento terziario delle aree urbane che dotare il sistema produttivo delle infrastrutture viarie che invece non mancano nell’« armatura urbana ».
Perciò ha più senso parlare di urbanizzazione del Mezzogiorno che
di vero e proprio decollo industriale, specie per Foggia che risente dei
limiti e delle contraddizioni di un intervento polarizzante, guidato
complessivamente da una specifica logica di sviluppo.
Un accenno va fatto riguardo all’andamento produttivo ed occupazionale, che registra questi indici: l’occupazione è aumentata maggiormente nel settore abbastanza composito del Credito. Assicurazioni
e Servizi vari, nella Pubblica Amministrazione mentre solo al quinto
posto si colloca l’industria manifatturiera.
La produttività, (prodotto per addetto) è aumentata maggiormente
nell’industria manifatturiera, nel settore del Credito, Assicurazione e
Servizi Vari67 .
Non va disatteso il discorso che sembra ovvio, solo perché è caduta la tensione sul fronte del meridionalismo, e che si riferisce a
67
REGIONE PUGLIA, Op. Cit.
88
________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
quella piaga storica, nota col nome di clientelismo, che nell’area del
sottosviluppo foggiano compendia non soltanto la crescente ed ulteriore prassi dello stesso, quanto inficia quella volontà politica emersa al
tempo della prima generazione democratica post-fascista.
Ad alimentare la piaga stessa, a ridurre la tensione meridionalistica
e a far dilatare il clientelismo, fino a debellare totalmente la volontà
politica alternativa, diviene responsabile la classe dirigente, alimentata
dall’alta burocrazia cittadina, seguita a sua volta dalla media e piccola
borghesia, oltre che dagli strati che ristagnano nel sub-urbio.
‘Non si tratta, quindi, di un esempio di malcostume, ma di un vero
e proprio arco sociale riflesso che parte dal parlamentare, postulante, e
perviene alla gran massa degli elettori, postulanti anch’essi, sia pure
diversamente.
Fa da trade-union la città di servizi, che si gonfia di elementi parassitari, mentre, man mano che passa il tempo, per via della inerzia
dei cittadini scadono i valori delle istituzioni.
Infine, i gruppi che, all’interno della città non intervengono a modificare l’assetto generale sono i ceti professionali più reazionari, gli
imprenditori, i coltivatori diretti e i commercianti e, anche qui, una
classe politica ben consolidata che cogestisce, insieme alla imprenditorietà locale, il particolare andamento discontinuo della zona.
Gli imprenditori edili, gli agrari, la D.C. locale costituiscono il vero nuovo blocco di potere, contro cui va ad infrangersi la richiesta delle case per operai, di una città a misura d’uomo contro i casamenti indifferenziati, e che fagocita anche la piccola imprenditorietà locale.
Anche per Foggia, « è la sfera pubblica che costituisce il punto di
incontro-scontro dei gruppi sociali significativi della città; è la dialettica tra continuo allargamento della sfera pubblica e sua progressiva
privatizzazione da parte appunto di questi gruppi sociali, che può dar
conto della traettoria storica dell’organizzazione sociale » 68 .
Si tratta, in definitiva, di un ruolo strategico di unificazione della «
sfera pubblica e dello Stato che deve necessariamente mediare i rapporti sviluppo-sottosviluppo e saldare intorno a questo ruolo il sistema
complessivo di mantenimento » 69 .
Infine, nel settore edile, in particolare, convogliano i capitali dei
proprietari terrieri, dei commercianti sottoforma di investimenti, ricollegandoli alla modalità d’essere di questo settore: alla crisi degli alloggi, alla speculazione sulle aree, alla presenza notevole del fenomeno della seconda casa’.
Il settore edile, nell’ambito delle attività industriali, è stato quello
più soggetto ad un andamento tempestivo, con un boom seguito da
stagnazione e crisi.
L’edilizia, nella sua crescita è stata collegata all’incremento demo grafico della città, allo sfruttamento della rendita urbana, nonché allo
68
69
G. AMENDOLA, op. cit., pag. 346.
IDEM, pag. 349.
89
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
sviluppo dei servizi e alla presenza, sempre più pressante, del ceto
medio impiegatizio.
Può, senz’altro, dirsi che il settore edile, negli anni ‘60 è stato trainante dello sviluppo cittadino. Questo per due motivi: 1) per l’incremento della domanda di abitazioni creatasi con l’allargamento del
mercato interno, negli anni del boom; 2) per la partecipazione alla
domanda di questo bene di consumo della base popolare del vecchio
ceto dei terrazzani. Per contro, l’occupazione nel settore ha seguito direttamente l’andamento economico dello stesso, aumentando nel periodo del boom, riducendosi nei periodi di crisi.
Questo rinvia alla logica specifica che la crescita urbana ha seguito
e cui hanno messo capo la scarsa validità degli strumenti urbanistici,
la collusione fra politica e speculazione edilizia, l’assenza di un intervento dello Stato nel senso di una edilizia popolare (infatti, in base alle leggi 167 e 865, sarebbe possibile individuare nei piani di zona le
possibilità insediative tuttora rimaste allo stadio potenziale), tutti fattori che hanno incentivato la rendita fondiaria, attraverso la combinazione fra rendita e profitto e che sono oggi gestiti dai ceti reazionari
e parassitari della città.
Anche nella città sono visibili fenomeni di polarizzazione ed emarginazione; ne è evidente testimonianza la degradazione di certi quartieri: Carmine, Cattedrale, Parisi (assunti come zone di bonifica edilizia dalla redazione del nuovo P.R.G.) che per le loro caratteristiche
fisico-ambientali riportano nell’antico centro della città i termini classici della periferia, anche se, in queste zone è ancora possibile ritrovare i segni d’un rapporto positivo fra forma della città e città stessa, a
fronte della espansione a macchia d’olio lungo Viale Ofanto, Via Napoli, Via Bari, Corso del Mezzogiorno.
Lo sviluppo incontrollato lungo queste direttrici ha fatto spostare i
poli di crescita della città.
Queste nuove zone cresciute a dismisura, in termini strutturali rappresentano i nuovi centri gravitazionali e terziarizzati, dove si spezza
l’antico valore socio-ambientale della piazza, della strada, dell’isolato.
* * *
In conclusione, vanno ribadite le modalità strutturali della produzione del sottosviluppo ponendole all’interno di una riqualificazione
del rapporto marginalità-centralità.
Per il Meridione, oggi più che ieri, le categorie d’analisi vengono
fuori dalla formulazione stessa della ‘Questione Meridionale’ (Capecelatro Carlo: Contro la ‘questione Meridionale’, Savelli 1973).
Parlare del Meridione come d’un polo intorno a cui si addensano e
precipitano una serie di contraddizioni dello sviluppo ineguale, aiuta a
vincere la facile tentazione dei neo-meridionalisti che guardano ai
processi avvenuti attraverso la felice ideologia della modernizzazione.
Il problema di fondo, oggi, non è quello del mancato sviluppo ma
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________________________________________________________FOGGIA - L’URBANIZZAZIONE STORICA
della produzione verticale di una nuova disgregazione sociale, che pone il problema del Meridione come aspetto dello sviluppo dipendente
neo-capitalistico.
A mio avviso, la peculiarità d’uno studio incentrato su un’area di
‘produzione del sottosviluppo’ risulta interessante poiché, pur nei suoi
aspetti disaggregati il Meridione è oggi il terreno dove si riperiscono
tutti gli effetti dell’accumularsi dei meccanismi di disparità, di dis eguaglianza e dipendenza.
In questo, il Meridione più che ieri è interno alla bipolarità dell’apparato produttivo nazionale.
Oggi, non ha molto senso parlare in termini di contrapposizione
globale fra Nord sviluppato e dinamico, e Sud statico e sottosviluppato.
Il sottosviluppo, oggi, va guardato non come stagnazione isolata,
ma all’interno del processo della produzione capitalistica, che necessariamente per svilupparsi, ha bisogno di creare il sottosviluppo. Il quadro generale è dialettico e il Sud rappresenta oggi la contraddizione
più esplosiva.
Questo tratto è caratteristico dello sviluppo del dopo-guerra, e, da
una parte gli interventi hanno finanziato attività capitalistiche intensive esterne ai reali interessi del Sud e con ben difficili effetti moltiplicativi, da un’altra questi, se sono avvenuti, si sono concentrati in situazioni limitate e comunque già caratterizzate in partenza da una minore marginalità relativa.
Gli interventi correttivi hanno agito particolarmente in zone dove
bisognava arginare il conflitto sociale nascente dal sottosviluppo economico.
Tutti gli interventi non hanno affatto eluso la bipolarità tendenziale, se mai l’hanno rafforzata. La marginalità è solo in parte un fattore autoriproducentesi e autorafforzantesi; la marginalità è necessario
complemento dello sviluppo del modo di produzione e riproduzione
capitalistico.
I termini del sottosviluppo sono quelli del tasso di analfabetismo,
della disoccupazione intellettuale e manuale, dello ipersfruttamento
dei pochi convogliati nel sistema produttivo attraverso la politica
clientelare; il consumismo e gli standards di vita ‘metropolitani’ si
impongono anche nelle zone dove l’incremento produttivo è settoriale
e disaggregato.
La ‘sanatoria’ proposta dalla politica meridionalistica per ovviare
agli squilibri ‘storici ‘ del Sud, in confronto col Nord, innestando una
serie di meccanismi ritenuti propulsivi, è decisamente fallita.
Lo sviluppo, come il sottosviluppo, nel Sud si inserisce nell’egida
della produzione del capitalismo monopolistico.
Dalla nuova lettura della ‘questione meridionale’ emergono rilevanti contraddizioni: « tra le tendenze principali ricordiamo la concentrazione degli investimenti produttivi e anche quelli sociali in aree
limitate del territorio; lo squilibrio fra livelli e tassi di urbanizzazione
91
ENRICHETTA FATIGATO_______________________________________________________________________
e quelli di industrializzazione, le forti differenze di produttività fra settori e all’interno dello stesso settore, la crescente biforcazione fra domanda e offerta di forza-lavoro sia quanto alle dimensioni che alla
struttura delle qualificazioni » (C. Donolo: Sviluppo ineguale e disgregazione sociale - su Quaderni Piacentini 1972-73).
Il dualismo storico che contrapponeva Nord e Sud, città e campagna, industria e agricoltura, operai e contadini è stato sostituito dal
rapporto dialettico fra centro e periferia, polarizzazione ed emarginazione.
Questo sviluppo ineguale è accompagnato da delle manifestazioni
strutturali quali la « forbice industrializzazione-urbanizzazione e quindi la sproporzione fra la quota della popolazione che vive in aree urbane e quella che ha possibilità di ottenere un reddito da attività produttive, dalla differenziazione all’interno del proletariato fra gruppi
più o meno integrati nel processo produttivo, dalla difficoltà di formazione della classe operaia ostacolata sia dagli strati intermedi che
sono interessati di un certo sviluppo ineguale, sia ai fenomeni socioeconomici della terziarizzazione ipertrofica, della rendita urbana e della speculazione.
In questi termini, si parla di nuovo blocco di potere, ovvero della
capacità produttiva determinata in positivo o meno, non solo dal meccanismo complessivo, ma anche dai ceti medi urbani che di fatto controllano lo sviluppo e sono in grado di disgregare le classi antagoniste.
Ha oggi, più senso parlare di centro e periferia, reperendo attraverso questa generalizzazione un insieme di rapporti di superioritàsubordinazione al livello territoriale ed istituzionale. In altri termini le
categorie di centro e periferia servono ad analizzare una polarizzazione tendenziale nella rilevanza funzionale di parti del sistema sociale e conseguentemente una disparità o sproporzione nella distribuzione
delle risorse fra tali parti e i gruppi sociale ad essi vincolati » (C. Donolo: op. cit., pag. 106).
ENRICHETTA FATIGATO
92
a Angelo Celuzza
PROBLEMATICA POETICA E REALTA’ UMANA
in SAVERIO CAPEZZUTO
Le cose, non direi « ebbre di pianto », ma comunque sature di note
malinconiche, possono costituire punti di appoggio per i ricordi. Le
idee delle cose certo; anche se tenere tra le mani un oggetto è talvolta
fermento di evocazione, quasi per un esperimento di personalis sima
psicometria. Ove s’intraprenda una strada difficile, il ritrovamento
dell’anima di un poeta, si può sentire il bisogno di ancorarsi intuitivamente ad un che di fisico e di personale. Ho dunque sotto gli occhi
due oggetti. Il primo riguarda la mia infanzia. E’ un libro, un’antologia di liriche italiane di formato tascabile, stampata a Londra, ma
nel nostro idioma. Ha nella prima facciata una dedica: tutta ottocentesca nel colore, nella classicità letteraria, nella calligrafia, ed è firmata da Saverio Capezzuto che faceva dono a mio padre. Il libro poi mi
capitò tra mano e, prima ancora vi leggessi e imparassi i versi ch’erano dentro, m’impressionò quella dedica, ed insieme il fatto che, a
colui che scorreva la nota dedicatoria, gli occhi si velassero di tristezza. Ne seppi appena qualcosa: sentii parlare di morte, sentii dire o capii che quel libro aveva appartenuto ad uno che non era più. All’età tenera la morte desta impressione rapida e dura, ma non si concreta a
lungo in immagine, resta confinata in qualche scompartimento di superficie. Ma ha pure una sua potenza, almeno sulla immaginazione; ed
infatti ricordo che il Morto, l’abitante un mo ndo più o meno in oscillazione, per me, tra il pauroso, il misterioso ed il romanzesco, diede
grande importanza a quel libro, più del fatto che le pagine di poesia
fossero difficili da capire.
In seguito, con altri libri e ricordi di casa, mi ritornò alla mente il
lontano senso di aspro e d’interessante che in me suscitava quel nome.
Tornò infine, sotto forma di un autografo di Benedetto Croce, un «
giudizio » in fondo, ma uno di quei giudizi che servono poco o nulla
ormai agl’interessanti e possono al più confortare gli altri. Il Croce affermava praticamente: Saverio Capezzuto sarebbe stato un poeta completo, se avesse avuto il tempo di perfezionarsi e di sviluppare la propria potenza di vita interiore, già comunque chiara per persuadere la
penna di un critico non facile. La morte mi riapparve allora, si riflesse
sulla semplicità fragile del pezzo di carta in visione. Richiamava il tono diafano di un corpo consumato il quale conteneva onde preziose,
93
CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
ma in sé era terribilmente, atrocemente povero.
In quale modo sarà più consigliabile o idonea, a questo punto, la
interpretazione della poesia del Capezzuto? Su quale linea ancora si
deve porre, ciò che è vivo, liricamente vivo in lui?
Comincerei proprio da un problema: ci ha dato egli tutto ciò che
poteva o voleva darci, vicino com’era all’idea di un destino rapido e
risolutivo? Oppure il tempo gli è stato completamente, inflessibilmente nemico, e la sua poesia è rimasta allo stato iniziale, e non ha avuto
agio di fiorire, di fruttificare e di espandersi, per mescolarsi alla luce e
fare corpo per sempre con la luce stessa?
Chi avrà seguito attentamente tutta l’opera sua e per intero le pagine note o non ancora venute alla luce causa l’avarizia del tempo e
l’incombere della miseria e della sventura, potrà dare forse una risposta. Io preferisco ora vivere questo profilarsi di Lui sulla scia dell’interrogativo che mi accompagna. Esso affonda in un terreno difficile. Quando si è del tutto poeti? Sarebbe la stessa cosa che incasellare
nel tempo, il primo amore. Si è poeti quando si è fanciulli, o la infanzia interiore fiorisce nel ciclo in cui l’animo abbia scavato se stesso? Ma esiste davvero un metro delle età? Sono io « vecchio » ora che
mi sento maggiormente incline a guardare Saverio Capezzuto ed alla
realtà insuperabile del suo stato di non-essere; ora che posso comprendere cosa voglia dire per esempio, l’ansia di parlare al mondo, e
contemporaneamente la stanchezza della penna e la rassegnazione alla
necessità? Certo, la tosse che mi ha dato la polvere nella ricerca di
quel libro giocante con me a rimpiattino, non è la tosse la quale dovette scuotere a lungo e schiantare infine il petto di Saverio che qui
stringerei al mio. Ora posso capire tutto meglio, o almeno, per me, prima sarebbe stato più scintillante e rapido l’immaginare, ma più difficile la consistenza intima della memoria. Prima avrei pianto anche,
ma non avrei provato il freddo sottile che rendeva meravigliose ed
amare, a quel ricordo, le parole di simpatia, le delicate vene di colore
ed i passi marcati insieme da Giovanni suo fratello e da me.
Il problema rimanda ad un altro interrogativo critico. La poesia
di Saverio deve considerarsi nella pienezza di una sua innegabile nota
formale, classico-letteraria, con le rime, i metri, le pagine ampie della
tradizione carducciana, o contiene qualcosa di diverso e di più mo derno che maggiormente l’avvicini a noi? Saverio Capezzuto non fu
solo poeta, ma uomo di cultura, e pure se la vita dolorosa che condusse, non gli permise di compiere gli studi cui era destinato, la capacità di assimilazione ed il lavoro inimmaginabile cui dovette sottoporsi, gli fecero assorbire in pieno la qualità e la forma dell’atmo sfera
letteraria più elevata dei tempi. Aveva il dono della larghezza degli orizzonti e maneggiava assai bene la parola ed i suoi riflessi sonanti.
Ma cosa volle dire in fondo con i suoi versi. Egli che sentiva la morte
e scriveva, in semplicità desolata ed umile, delle proprie sventure e
dell’angoscia del futuro incombente? Dove volle condurre in realtà la
sua vena creativa?
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
Verso il punto d’arrivo di Leopardi, no. Scorrendo ad esempio i
Canti de l’Umanità, ove non ci si convinca di un disegno almeno inizialmente affine alle Laudi del D’Annunzio, si ha la impressione comunque di qualcosa di più aspro e martellato che il tono di un poeta
classificabile nella forma mentis paseoliana. Si penserebbe allora a
Victor Hugo, a quello strano, magico alternarsi di spunti graziosi, di
cinguettii innamorati e di squadrature sbalzate dal maglio di uno scalpellino intento ad erigere le fondamenta alla casa dell’avvenire. Vi si
attende infine, con una sfumatura alla Nietzsche, un superuomo riplasmato dal sangue.
L’antitesi critica che mi sento di riscontrare in Capezzuto, non è
il punto interrogativo: fu poeta, ma fino a quale punto se gli mancò il
tempo ,ed infine cosa il tempo gli avrebbe permesso di dare? Questa
domanda è importante, ma confesso di scorgerla, almeno al presente,
piuttosto sul piano sentimentale; e magari metafisico, dato che i portatori di siffatti destini, non sono “cari al Cielo”, bensì conducono dinanzi ai nostri occhi l’impostazione di un dramma. Su di esso, noi che
(non “cari” per fortuna), abbiano maggiore tempo a disposizione, siamo invitati, non vi è dubbio, a riflettere e a dire qualcosa. Forse anche
ad uno scopo: che nelle miriadi di scintille costituenti, simili a spruzzaglia multicolore, l’ondata espressiva di quella cascata del Niagara
che è la Vita, si faccia strada - e ricomponga un lontanissimo piano di
armonia - la consapevolezza non dell’Ignoto o dell’Incomprensibile e
del Mistero, ma della idea e della Ragione.
L’antitesi critica che dicevo di riscontrare per mio conto è un’altra, ed è puramente storico-letteraria. Credo si debba sceverare in Capezzuto, quanto influì la letteratura e quanto invece fu suo, spontaneo
e personalissimo. La Letteratura ha un torto e lo rivela chiaro, quando
opprime e spersonalizza i poeti. Ha mietuto vittime illustri, che l’uso
voleva si chiamassero “poeti” proprio là dove non lo erano, mentre
sapevano essere grandi lirici, dimenticando la meccanica delle rime
.Qualcosa anche qui penso, si debba ritrovare, oltre il velo ambientale,
classico, ottocentesco; qualcosa che a prima vista, non sarà oggettivamente accordo, ma pure sarà suono e rivelerà in fondo, ritmica inattesa. Un’armonia non intuita o affidata allo scandire dei metri, bensì
pensata e fatta da sé dentro, e per sé giustificante anche la forma, con
un tanto di retorica, ma sempre sorretta da un forza-pensiero la quale
si fa strada a colpi di ansia, a lampi di desiderio. Vi è insomma nelle
pagine del Capezzuto, un contrasto. Esso si ordina e prende consistenza con lo spasimo di suscitare presto, più presto che sia e comunque una vita ed il cullarsi nella chimera di un tempo il quale consenta di indulgere alla bellezza esteriore, con qualche imitazione istintiva e linea orpellante. E’ la chimera di fare consistere in eterno - nella
luce, mentre le lingue dell’ombra già lambiscono e annegano - un palazzo incantato, un alveo fiorettante di piacevole “poesia”.
Questa è l’antitesi artistica del Capezzuto, e rimanda naturalmente ad un’antitesi psicologica, che forse contiene la conclusione.
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
Sono in ogni modo convinto che meravigliosa fu da parte sua, la forza
di esteriorizzarsi e di evadere dalla psicosi del “mal sottile”. Aveva i
polmoni disfatti ed apriva l’ala della fantasia come mantice da fucina,
per raccogliere la maggiore estensione possibile degli orizzonti. Era
moribondo, e parlava di forza. Perdeva la vita e scandiva inni all’energia rinnovellatrice del mondo, alla potenza del « sangue ».
Non si tratta di semplice contrasto nato dalla istintiva reazione di
chi nel sangue contava ormai la micidialità dell’anima. Il contrasto
stesso sarebbe comunque comprensibile. Se grande resta Leopardi,
che pure fu introverso e metafisicizzò perfino la natura, fisso nello
strazio dell’universale dolore, nulla vieta di essere grande a chi scateni
fuori di sé, il mito della salute e della pienezza vitale, e l’adori fino
all’esagerazione. Dal punto di vista dei diritti del sistema nervoso,
perché non si vuole capire Nietzsche? Qui è ancora diverso. La potenza che Capezzuto idealizza è fatta di martirio. Non s’intende bene di
quale martirio si tratti, ma non è certo la potenza di chi vince e schiaccia la polvere dei senza storia. Cosa dunque sentì la sua anima? E’ indispensabile domandarselo perché la poesia traduce quanto si pensa
dentro in profondità, ed il lirismo del Capezzuto offre proprio tale impressione, e comunque in essa si spiega e s’integra in profilarsi di personalità. Gli eroi di Capezzuto, hanno volto vario, perché il suo ideale
di vita si materiò di aspirazioni e di contrasti, di speranze e di delusioni, di rapimenti e di fame, di versi e di sputi sanguigni. Ma si possono comprendere sotto il profilo dell’angoscia, forse la vera segreta,
sotterranea nota del suo intimo, quella da cui cercò evadere con la bellezza sonante dei metri e la scenografia di gusto dannunziano. L’angoscia di vedere chiaro il proprio destino ed insieme quella di non capirsi mai; l’angoscia di sperare un trono aereo, in pari con il terrore
della caduta negli abissi; l’angoscia di sentirsi poeta e poi subito uomo
e dunque sofferenza, impossibilità; l’angoscia di una giovinezza senza
futuro. Ma essa può benissimo rappresentare lo spasimo e l’ignoto di
tutti, esistere, non più esistere, troppo presto, sempre. E’ l’angoscia
che si chiama vita.
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
II
LA STORIA, IL MONDO E L’IO
Se vogliamo essere noi stessi, dobbiamo apprendere la vita: ciò
che non siamo o non siamo ancora. Più che mai per l’arte, vige questa
legge dell’uscire fuori di sé e del realizzare un contatto col mondo,
ove sia né imposizione dal di dentro né accettazione dal di fuori, ma
organicità sperimentale.
Che cosa offriva il mondo a Saverio Capezzuto?
Per rispondere a questa domanda — cui credo adeguatamente rispondano, insieme ai primi versi, sopra tutto le tre “canzoni” — penso
ci si debba rifare ad un tempo, non molto lontano cronologicamente,
lontanissimo per certi aspetti nella linea di un cronometro invisibile.
Esso si plasmava, lasciandosi alle spalle la epopea risorgimentale e
toccando, in mezzo ad un tempo imprevedibile di fatti, movimento,
aspirazioni, delusioni, ricerche, illusioni e speranze, i punti fermi di
una nuova possibile realtà individuale e collettiva. Guardando un poco
le cose in sede di critica storica — essendo l’artista figlio comunque
del tempo non so quale potrebbe essere la migliore maniera per capirci a fondo nei cervelli dei nostri nonni, quei cervelli ci sembrerebbero, a detta di alcuni, fissi nella serenità di una vita semplice, ancora
patriarcale, immune dall’attuale incertezza ed insoddisfazione, contenti insomma di qualche cosa e pronti a vivere specialmente la giovinezza, non a morire, essiccandola e bruciandola. Secondo altri invece, erano agitati da una problematica che a noi, abituati a inventare problemi da quando siamo bambini, quasi non ne avessimo abbastanza,
non è dato raffigurare. La dinamica dei problemi era forse più generale che individuale, ma concerneva fatalmente il pathos dell’Europa
avviata ormai, dopo il secolo delle Patrie, ad approfondire un linguaggio di rispetto e di equilibrio, per le sue parti diverse ed in qualche linea divelte dal recente comune lavoro di rifarsi nella consistenza delle
particolari libertà.
In questa fase storica di assestamento e di cris i, da cui si doveva
venire fuori, come svegliandosi da illusione rosea o da incubo terribile, con l’estate arroventata del 1914, due tendenze forse possono rappresentare la svolta della poesia italiana, o direi essere sostanza dello
stato lirico dell’anima nazionale: quella del D’Annunzio e l’altra del
Pascoli. In esse Saverio Capezzuto ha realizzato il ponte di contatto tra
la propria ricerca e la realtà ambientale.
Si tratta forse di due linee essenziali della nostra tradizionale psicologia, di cui il Carducci si presenza come l’interprete base. La traduzione poetica si riscontra probabilmente nella stessa interpretazione
che il Capezzuto ci ha lasciato, con i canti di Milano, de la Patria, di
Giovanni Pascoli.
Portava dentro un destino tale da renderlo automaticamente interprete di ambedue i motivi dominanti dello spirito del tempo.
Il lirismo dannunziano aveva tratto dal Carducci la simpatia anti—
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
chissima della tradizione italica e l’aveva, si direbbe, proiettata in una
efflorescenza che, alla prima, sembrava meno consapevole e maggiormente immaginosa e intuitiva. Infatti, dal quadro dell’anima etrusca, greca, romana, ritrovantesi in ideale di equilibrio, di serenità concreta, di ius e di associazione civile, D’Annunzio, diventando davvero
“pagano” nel comune senso della parola, passava alla glorificazione
del godimento oltre ogni limite. Giungeva all’abbraccio incondizionato della vita attraverso le sue immagini mosse e incomposte, e tanto
più feconda di gioia quanto più legata, a contrasto, al senso del mistero e dell’ombra che attende e rapisce. Il canto stesso diviene qui, vita a
sé, o ancora la supervita dell’arte, per una ripresa inconsapevole — in
mezzo a molta mitologia — del vicino sogno romantico. La “canzone”, la nuova “lauda” della terra, della “virtus”, e della umanità superiore (ma più che tutto terrena), appariva della espressione, lo strumento completo. Conteneva infine la dichiarazione di una gloria bandita al mondo tra l’orgoglio sfrenato ed il senso sottile del nulla. Esso
già aveva suggerito a Zarathustra la immagine delle anime — fontane
zampillanti, nel seno di una notte, metafisica e terribile quanto quella,
conciliatrice della morte, di Ugo Foscolo. Ma, per la dialettica operante già in Foscolo e in Byron e poi in D’Annunzio, si veniva a ripercorrere quel processo evolutivo che il Romanticismo, come in sede storica mostra il Croce, subì tra noi, a contatto del moto liberale del primo
Ottocento. Forse anche per esigenza lontanissima e profonda della economia dei rapporti tra l’individualismo fatale del sentimento e la
problematica universalistica del pensiero; per cui, quanto più è vibrante l’aspirazione al possesso del mondo, tanto più si avvicina alle porte
della consapevolezza, la necessità logica del completamento dell’io
nell’altro da sé. Si matura dunque il motivo della consistenza sintetica
delle opposizioni tracciate innanzi: l’egocentrismo terreno ed il sommergersi nel “mare” dell’universo. Tale motivo è ancora, dal punto di
vista storico-letterario, punto distante di contatto con la linea generatrice del Carducci, lo spirito più vicino nel tempo alla passione risorgimentale ed ugualmente tormentato sul problema della nuova strada
delle successive generazioni. E’ l’idea dell’associazione dei liberi, che
estingue il lato “umano troppo umano” della gloria e la spiritualizza:
come in un coro si rende più profondo e pieno perfino il timbro del
virtuoso. E’ l’idea della Patria.
L’origine dell’idealità nazionale in Italia, è legata ad un problema
di economia storica. Quando non era ancora divenuta da “razionale”,
reale”, non si era ancora cioè attualizzata e non aveva penetrato gli
strati più umili della vita, con l’aiuto potente del sentimento e della
popolare spontaneità, quell’idea si custodiva e veniva vagheggiata dagli uomini d’intelletto. Era stata dunque per secoli retaggio dei poeti e
dei colti. Non di tutti i poeti e non in tutti, aveva assunto la veste di
coscienza trasmessa dalle lotte del pensiero e dalla ricerca della forma
giuridica della esistenza associata. Ma, pure con la intonazione critica
e raziocinante più diffusa, la idea civile (se non nazionale ancora)
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
aveva rappresentato un sogno e per i sogni è sempre difficile astrarre
la bellezza dall’ essenza, il lirismo dalla meditazione. Il Risorgimento,
essendo certo, epoca aurea della nostra vita — e più della vita degli
antenati nostri che componevano poesia in mezzo alle fucilate — resta
sotto più aspetti, ancora oggi un sogno. Se ne cerchino o prevalgano
spiegazioni diverse, sempre resterà ribelle al passaggio analitico, la discesa di una energia demiurgica che, simile a quella dei costituzionalisti di Locke, dei pionieri di Washington o dei cittadini della Rivoluzione, ha elevato, sotto il sole mediterraneo, un nuovo albero alla Libertà.
Era naturale dunque che la Patria ancora significasse, all’epoca
della formazione di Saverio Capezzuto, poesia, e che la poesia —
suonando amore alla Patria, a parte s’intende le eccedenze retoriche
derivate proprio dalla insoddisfazione romantica generatrice ad un
tempo del culto della potenza e della gloria — intendesse rispondere
alla verità di se stessa.
Al centro di quest’area, i maggiori documenti dannunziani del
Capezzuto restano probabilmente ne
La canzone di Milano:
« Ma ne l’erranti raffiche de ‘1 vento
il popol di Milano alza le spade,
e squillan le campane a tocco lento.
Già tutt’è pronto, là, nelle contrade
stillate a pianto e pur bagnate a sangue,
il popolo ch’attende e mai non cade.
Attende muto ne la vita esangue
il suon de la campana de ‘1 comune:
ch’i figli chiama nell’età che langue
E a l’opra e a l’ombra, de ‘1 vessillo immune
da macchia, e lance e spade, ed aste, in terra
volte, attendon………………………………….
……………………………………………………
Resta ne’ cori e si scolpisce immota,
resta ne’ cori il gran decreto invitto,
resta ne’ cori la canzon remota.
……………………………………………………
Silenzio nella notte pien di stelle
non s’ode, il popol di Milano è a ressa,
per vincere sublime le procelle
su per l’erta crudele. Ed indefessa
è la vigilia ne l’ugual chiarore.
sembra immortale ricantar se stessa
ne la vittoria. A l’ultimo bagliore
de ‘l tuo palpito, o popol nascituro,
avanti, avanti più oltre co ‘l valore »;
99
CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
e ne La Canzone di Antonio Salandra:
« Italia! Italia! de la tua vittoria
è giunto il sacro giorno della prora,
ne l’alba de la forza imperatoria.
Di te la terra brulla si cobra
e si rispecchia nel tuo gran destino,
mentre una voce grida: — E’ giunta l’ora
de la fatal riscossa! — Più divino
mi sembra il volto de la tua grandezza,
che ride ancora nel gentil mattino.
E tu copri d’alloro la fortezza
per foggiarla ne le virtù di Roma
eterna: e pur risplendi di bellezza
innanzi al mondo, col diritto, e indoma
un’essenza di vita che si spanda
nova e tu porti entro la bronzea chioma
gli aulenti fiori de la tua ghirlanda,
che a l’alba sospendemmo su la sponda
quarta …………………………………..
………………………………………….
e la vittoria pura e ancor senz’ali,
ne la sua maschia grazia redimita,
celebrava del mare i tuoi sponsali
e de la forza la tua nova vita!
Italia! Italia! gloria su la terra,
gloria ne i cieli, o madre già munita
e forte del destin che ti disserra,
gloria ne i mari, gloria nel tuo sguardo,
gloria e gloria nel grido della guerra,
che già ha issato il motto e lo stendardo
su la traccia gentil de la tua sorte
occulta, con un palpito gagliardo.
O messagera alata, de la morte
ti beffi. Con la gesta d’oltremare
ti spingi fiera presso le tue porte,
dove riluce vergine l’altare
sul sangue sparso, ne la notte estrema,
per la veglia immortal, sul limitare
de la memoria pura……………».
Ritornando ora all’edonistica ansia del D’Annunzio ulissiaco, ricordiamo quel senso più o meno tenebroso o affascinante, del mistero,
cui il lirismo pascoliano dava nuovi profili. Partiva dalla ispirazione
della morte, e per essa l’anima dei tempi riassorbiva, in forma più
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
consapevole e quasi serena, il dolore. A paragone della maniera “pagana”, quest’altra mirava alla sfumatura nella forma, all’anticorposità
nella immagine, ed alla coscienza profonda nel sostanziale. Ma registrava pure, in comune con la espansione panica, il procedere della
condizione dell’io alla sete del tutto, onde ne veniva l’ansia della lirica
comunione con la luce, con l’aria, i colori, e le stelle. L’origine italica
e mitica era forse la stessa, ma rivelava il suo nuovo volto: alla divinizzazione del visibile sopraggiungeva il concetto della catarsi e del
rinascere dell’anima nel divino, attraverso la sofferenza dell’involucro
opaco destinato a frangersi per condurre alla luce il seme di Proserpina redenta dall’ombra.
Anche questa nota è viva in Saverio Capezzuto. Non per un semplice fenomeno di eclettismo ambientale, ma per la naturale assonanza
interiore dei due momenti, di amore e morte, di espansione estroversa
e d’interna mestizia, di gioia di vivere e di preannunzio del dissolvimento. Mistero, L’ultima dea, Nulla, Simbolo ecc. potrebbero essere,
di questa linea, altrettante tappe o sfumature:
«……….. O bimbo, ne la vita immensa.
Ricordati che sei
Vestito d’ombra e nei destini miei
T’avanzi, o bimbo, pensa!
Per un desio supremo, ne la vita,
Cercherai una memoria,
Quale smossi dell’eterna storia
E de l’età romita.
Ma ti sarà celata ogni parola,
O figlio de ‘1 mistero.
O ingranaggio vivente nel mistero
Di chi domina sola.
La lunga strada tu continuerai
Tra l’immane tempesta.
Fino alla tomba la tua china questa
Sarà, dovunque andrai.
In un’ora non nota de ‘1 tuo dì.
Ne ‘I regno de l’oblio,
Ti condurro, o simbolico fior mio! »
Il bimbo prima attese, poi vagì ».
(Mistero) a Lina Bruno
Il ritmo della celebrazione amara della nascita (per chi è già destinato alla sofferenza, alla fatica e alla lotta) di Ada Negri, si è sfumato con il più remoto e profondo impero della Vita sulla illusione degli
esseri, di Schopenhauer. Il pascoliano pellegrino esistenziale invece
compare ne
L’ultima dea:
« A notte oscura bevvi l’acqua a ‘1 fonte
E pur bagnai con essa il volto mio,
Legai per bene le bisacce pronte
Al grosso pomo de ‘l bordone pio;
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
Ed a l’aurora cominciai l’avvio,
Con alta a ‘l sole la mia grande fronte,
Coperte d’un gentil drappo d’oblio
Le membra giovani già scevre d’onte.
Superbo camminai fino a la sera,
E al bivio d’una strada, tutto forte,
Presi riposo ne la quiete austera.
Mentre m’addormentavo e la mia sorte
Si cullava con l’anima severa.
Comparve ritta innanzi a me la morte ».
Qualcosa del Guido Boggiano di D’Annunzio si è sovrapposto
qui alla tonalità pascoliana, anche prima presente con quell’innocente
vagito (la “risposta” della Cavallina Storna). La conclusione però è
fedele al versante ideologico che ho prima descritto. E vi è fedele anche, malgrado la breve insorgenza e la stessa tenuità della composizione, il quasi gozzaniano
Nulla:
« ……………………………………………..
La morte che s’avvinghia a le domate
Fragili spalle e co ‘1 mister si culla
Ne l’ombra, con le leggi irrefrenate,
O la morte fatal, ne ‘1 tutto è nulla! ».
Ma il Nulla non è terribile, ha pure un volto buono; per colui nel
quale l’esistere s’identifichi all’illusione di desiderare ed all’ansia di
non sapere, l’oscurità finale diventa consolazione:
« A l’alba gli disse una voce:
E’ bella la vita ne ‘l canto
Nel sogno pur fece la strada,
Alzando alla vita un tripudio,
Attese benigno il momento,
Con l’inno del nuovo preludio.
Ma presto la sera gli venne
E l’ombra l’avvolse inumana.
Mistero de ‘1 sogno infinito!
O grande pietà sovrumana! ».
(Disinganno) a Rodolfo Giuliano
La contemplazione di se stesso come emergenza dal mistero e
sua finale parte, si rivela da qualcuna delle liriche purtroppo formalmente più affrettate e meno valide, perché forse quel motivo di cogliere nel proprio sguardo, il destino, doveva inchiodare l’autore, sconvolgerlo e strappargli la serenità della poesia:
«…………………………………………………..
Ed ecco scorgo un’ombra triste e diaccia,
D’una perduta donna, tra i corrosi
Odor de l’alghe, sola a la minaccia,
In lotta coi marosi.
102
_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
E m’avvicino affranto e disperato,
Verso que l’ombra madita e scultoria,
Per domandarle, ne ‘l mistero innato
De ‘1 suo destin la storia.
« Ombra, chi sei ne ‘I tuo gran martirio,
E lotti con la forza che in te nacque,
Senza un aiuto e forte ne ‘1 delirio
De l’oceaniche acque? »
L’ombra ne ‘1 buio lanciasi errabonda,
Fendendo l’acqua come ferrea prua,
E poi mi dice con sua voce fonda:
Son’io l’anima tua! ».
(Ne ‘l profondo)
Espressione più serena, più intensamente pascoliana del motivo del
mistero, è
Simbolo (a Giulio Garlanda):
« E, stanco finalmente potè dire
Il povero viandante ne ‘1 mistero:
« Basta il pianto, l’orrore ed il soffrire!
Ho cercato desioso tra l’impero
De l’odio, stretto da la gran minaccia,
Il perenne e sublime sacro vero:
Consacrai a ‘1 dolore le mie braccia
E feci a tutti noto, umanamente,
La ferita mortal de la mia faccia ».
E guardò in alto, la mattina ardente,
L’affranto, (e vide un’ombra funeraria)
Ne la serena calma d’un paziente.
Dominava, ne l’ora solitaria,
La grande forma d’una rozza croce;
‘Ama, o fratello’, ripetè una voce ».
Si è già profilato, credo, a questo punto, il fattore di mediazione
e di sintesi fra le varie correnti ambientali e di formazione del Capezzuto, l’elemento cioè personale, per la fedele, integrale proiezione del
suo io: ed è proprio una forma intensa di soggettivismo. E’ la coscienza della poesia che rifonde missione ed orgoglio di significativa alternanza. In L’Ardire:
« O mondo, o gran mondo, sei mio;
Io sono il poeta gigante
Che scaglio, superbo qual dio,
La sfida suprema ed ansante.
E, sbarro le vergini porte
Ferrate ben salde, da ‘1 voto
Eterno e fatal de la morte,
Ne ‘1 grande mistero non noto;
103
CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
………………………………………..
E chiamo la turba ch’attende
A l’opera immensa e perenne
E, mentre la luce risplende,
S’eleva il mio genio solenne.
La vita s’abissa inumana,
E tremano i cieli sospesi.
Sol de la mia forza sovrana
Imperano i canti non lesi ».
In Sosta:
«……………………………………
Io vivo. Da ‘1 core trabocca
Il canto novello e immortale,
E trema gentil su la bocca,
E dolce si culla su ‘1 male.
E, ne la mia sosta, un segreto
Io chiudo ne l’alma ferace:
San grande. Lottando son lieto
E canto la forza mordace,
Pe ‘1 vasto ed umano sterminio
Rimbomba solenne il mio verso,
Io regno, ne ‘1 grande dominio
Su ‘1 nulla del folle universo.
E invito puranche a ‘1 mio loco
La morte superstite e diaccia,
Per fare con essa un bel gioco
E riderle poi nella faccia ».
Siamo sulla linea di un trasumanare egoistico il quale, nella scia
dannunziana, perviene al
Dubbio:
« Ed una voce disse: « O turba giovane,
In mischia disperata,
Che cerchi ansante amore e forza vergine,
E da un marchio gentile
Hai la fronte temprata:
Dove vai?
………………………………………………..
Superba, pallida, silente e libera,
Interroghi l’abisso,
Co ‘l crine disciolto, chiuse ne le tenebre.
Alte le mani e imprechi
Co ‘1 guardo a ‘1 cielo fisso:
Quale forza? ».
Prima che l’amore, metà fatto di sogni, metà probabile esperienza, non divenga componente efficace della sua poesia e renda più
comprensivo e dolce un siffatto atteggiamento, la dichiarazione di
principi di Saverio resta quella dei vent’anni, con un preannunzio di
sofferenza solitaria che è poi anche il consuntivo di un’adolescenza
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
triste. Il libriccino Faville nell’ombra (dedicato in segno di gratitudine
ad Ettore Va lentini) riproduce qualcosa dei Canti de l’Umanità appena pubblicati e qualcosa forse del materiale precedente e più giovanile: doveva essere invece un’advance dei Canti pronta da molto e venuta fuori quando già altre vie si erano battute. La presentazione ha suono rituale: è il prendere coscienza di un destino aristocratico, anzi ieratico, ove non è altro posto se non alla memoria degli affetti dei parenti, ma ricordati con lo stesso animo di chi parta a voto d’impresa: « E’
uopo ch’io mi ammanti di gramaglia e segua il mio cammino tracciatomi da ‘1 destino, tra il mistero e l’ignoto de la vita. Bisogna ch’io
parta perché prepari, tra i baccanali d’una festa e le beffe d’una folla,
il Vangelo poetico, rinnovellato ne l’amore, che presto, offrirò a ‘l popolo ». Il resto reca in qualche modo il peso di una retorica che si respirava più o meno da parecchie autorevoli pagine stampate, ma la decisione è sincera e le ultime dannunziane battute (« Mi scopro il capo,
apro le braccia e, riverente, curvo la fronte. Il mio destino celebra: è
l’elevazione ») che si rifarebbero all’offrirsi di continuo al destino,
non elidono un principio di dilatazione incalcolabile dell’io: « ...sento
le scintille de l’amore rivivere, come l’anima de ‘l tutto, in me stesso
». E’ motivo ricorrente anche nei versi più o meno distinto o adombrato. Questa pagina comunque (datata “equinozio autunnale 1914“ ) mi
sembra piuttosto retrospettiva e magari da legare con lo spirito de I
miei vent’anni invece che con I Canti de l’Umanità. Mentre compaiono come tentativi d’impostare universalmente le forme del mondo poetico, essi rientrano certo in un giro di fasi assai brevi di tempo. Difficile è in sostanza, maturare distinzioni cronologiche e psicologiche insieme, perché le tappe, in un caso del genere, si bruciano molto rapidamente insieme con le speranze e la salute. Anche l’amore dovette
sbocciare ad un tratto, in violenza multiforme, ed il Capezzuto ne trasse semi d’armonia per la missione dell’arte.
« A colei, che consacrandosi all’ideale, vivrà meco una vita di
lotta » è dedicato il Commiato che segue a La Canzone di Milano, che
pure è del 1913. L’ambientazione precisa de I sonetti dell’amore mi
sembra impossibile, dato che sarebbero comparsi parallelamente a i
Canti de l’Umanità, cioè nel 1914 e non esistono, a differenza di altre
cose, nelle bibliografie di annunzio nel 1913, mentre risultano improvvisamente l’anno dopo. Il Capezzuto stampò e ristampò evidentemente le sue liriche staccate o in gruppi, in base alle possibilità occasionali. Le Faville ne l’ombra restano per me apparizione frammentaria e magari preludio a i Canti de l’Umanità — ove l’amore ha importante ed idealistica notazione e chiara è la figura della donnaispiratrice e compagna anche se per qualche comprensibile contingenza a Teramo era uscito nello stesso anno l’altro libro. L’egotismo
del sonetto sui vent’anni — che si tempera solo col ricordo dei genitori e delle sorelle — rispecchia un animo assorto in visioni di gloria
non gioiosa per altro, ma fatale e terribile. Le prime due quartine non
dicono molto e le rime sono convenzionali, ma il resto è cosa viva:
—
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
« Soffro, sanguino, creo; e in me s’espande
La brama immensa, per la lotta ascosa,
D’irrorar la mia meta co ‘l mio pianto.
E attendo ancora, forte ne l’incanto,
Che mi dica una voce maestosa:
Tu sapesti il dolore e sarai grande! ».
Anche quando Saverio Capezzuto partiva per Milano, praticamente in cerca di fortuna e lasciando dietro di sé (o sperando di lasciare) ricordi di povertà e di privazioni, il tono, sincero e triste, pure se
appesantito dall’enfasi letteraria, si ritrova sull’eguale timbro di un destino di gloria satura di tributi al dolore: « Addio, dunque, casa mia natale! Io partirò molto lontano da te esponendo la mia giovanissima energia a la lotta, e aprendomi sanguinando il fatal varco de la vita.., io,
non curerò le bave dei rettili, perché l’ideal mio superbamente è fiso a
la gloria.
No, casa, non piangere la mia partita ... E’ necessario ch’io mi
metta ne ‘1 fulgore de la vivifica luce ed attenda l’ora per dibattermi
tra il furore di una folla guatante e l’alato canto de la vittoria... Il destino ha già deciso la fine de la mia poco più che trilustre attesa, additandomi lontano il principio dell’azione. Se per caso il destino non
vorrà ch’io ti riveda... Ricordati che ‘1 tuo Saverio, il biondo poeta da
la fronte alta e severa e da l’ideale fiero, e che troppo presto uscì in
piena luce a lottare; silenzioso, avvolto ne l’ombra de la tenebra con ‘I
petto dilaniato, esangue e ne la sua figura sconvolta, dorme sotto una
canna di bambusa co ‘l sogghigno su le labbra smorte: d’un atleta non
vinto, vicino a l’acqua del mare che si frange spumeggiante a ‘1 lido
con qualche superstite capelvenere, e nell’agonia una sola parola gli
eruppe dal petto e fu la sfida misteriosa de ‘1 perdono e, per te, un
canto memorando ».Quello che di eremitico e di ridondante, di prezioso magari (“ Xaverius civis Medioelanensis “) potrebbe qui risaltare,
perde qualsiasi pericolosità di artificio nella dolcezza spontanea del ricordo della madre e nella immediatezza umana delle memorie di mis eria e di rinuncia: « credo che lei continuerà ad abitarti, o casa, dov’io
soffersi e meditai, dov’io piansi ne le notti insonni... E partendo da te,
non celerò alla demente folla ch’io vissi ne‘1 casolare, dove vegliava
la madre mia, ne l’officina del mio martire genitore (intento all’opra
sua), ed io, ne‘1 sacrificio e ne lo studio era dedicato, per prepararmi
alla vita ». In un quadro di umanità che s’intravede tra visi silenziosi
di adolescenti impalliditi nel tempo, senza odio, solo in nome del diritto universale al pensiero, Ada Negri direbbe qui: anch’io fui fior di
spina. Sembra infine, echeggiare e precorrere, analoghi sogni di dis eredati, ansia e tormento di opere, e finale umanità di problemi.
Il calore sentimentale e la ricorrente memoria della personale
sofferenza conducono la coscienza della poesia, nelle pagine di Saverio, a rivelarsi idea di predestinazione amorevole più che gioiosa illusione egocentrica. Bisognerebbe per esempio porre Odimi, o Mondo
accanto a Voce, anche se l’ordine dei Canti è diverso per la oscillazione psicologica dei due momenti. In Odimi è quasi uno Sturm di battaglia:
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
« E sacro s’eleva il mio canto
Ne ‘I voto gentil de l’aurora,
………………………………………..
Tu sfoghi, o gran mondo, il singulto
Scavato ne l’imo del fondo
De ‘1 tuo desiderio occulto,
E celi nell’alma il profondo
Insulto, lanciato davanti
Ai palpiti tuoi raggianti.
A me i grandi affanni infiniti,
A te le promesse gentili
D’amore, di fede e di riti,
A me le vendette de i vili;
Sferzati da ‘1 canto solenne
Già pieno d’ardore perenne ».
La ridondanza stessa delle parole gettate come vengono purché
siano rimate, che è il difetto di tutta l’ansia creativa del Capezzuto, si
scioglie per evidente maturazione in alcuni passi della Voce e comu nque in uno sguardo compenetrato della missione dell’umanità e
dell’arte:
« Sia benedetto
chi lottando crea,
Ed offre a tutti la suprema forza,
Qual simbolo gentile che non smorza
Il gran pensiero della sacra idea.
…………………………………………….
chi a l’ideal fraterno
Cinge per sempre la veggente face,
E su ‘1 pio labbro smorto ch’ancor tace
D’una donna suggella il bacio eterno ».
Quella figura misteriosa che doveva sorgergli dinanzi per dargli la
significazione completa del suo destino solare, diverrà dopo pochi anni la Morte, o, in rapido balenare di speranze ormai inutili, l’aiuto materiale personificato, per la povertà dei suoi. « L’ora è suonata! Già
sento le scintille dell’amore fraterno rivivere, come l’anima del tutto,
in me stesso.., lo vedo un mecenate che mi sbarra il passo ed in nome
dell’Iddio mi prende ad aiutare... Vedo nella mia casa brillare una luce
novella e le mie sorelle e i miei genitori divenuti un po’ gai: — Raccogliti e prega. Il tuo destino celebra: è l’elevazione! — Allora io non
sono più un ‘anima inghiottita dall’abisso? Davvero debbo riprendere
serenamente i miei dolci studi? Davvero le mie sorelle avranno da me
un aiuto ed i miei genitori, sebbene un po’ tardi saranno consolati?...
Davvero?... ». Così scriveva, vendendo a 20 centesimi la copia, un
opuscolo intitolato Cuor che sanguina. E’ una lettera a Massimo Farina e nello stesso tempo una lettera aperta sulle proprie sventure. Appare nel 1917, e dunque, tra la dichiarazione dei vent’anni e la vigilia
della scomparsa, il cerchio si chiude. Da questo punto di vista. Capezzuto potrebbe avere un riscontro psicologico nella devozione senza
speranza alla poesia, di Dino Campana, e forse più ancora in un altro
esempio di lucida follia vicinissimo a noi, in Lorenzo Calogero, il
quale alla poesia rende, con l’olocausto di ogni cosa, quasi sacrificio
elementare ed assoluto. Saverio Capezzuto, convinto sempre di
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
trovarsi al centro di una missione fatale, non elimina da sé — e questa
è forse la sua originalità più umana e suscettibile di simpatia — nulla
che sia dovere e partecipazione alla vita degli altri: « ...non si perda
nell’ombra il mio grido doloroso, il quale è anche il grido d’altre anime ignote, che sanno soffrire in silenzio, appassionatamente » (Cuor
che senguina, pag. 7). E’ morto dicendo alla vita: sono un predestinato e debbo annunciare all’umanità la trasformazione del mondo. Ma
contemporaneamente non si è vergognato di dire alla società: ho due
braccia e voglio lavorare semplicemente per portare a casa il pane.
Anche solo nell’area della valutazione estetica, questo è innegabile valore.
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
III
IL FONDALE PURPUREO
Nella parte idealmente conclusiva della poesia di Saverio Capezzuto, appare, in specifica incidenza, il richiamo ad una immagine singolare. Essa stabilisce una contemporaneità di relazione rispetto ai due
poli opposti dell’essere: la vita e la morte. E’ la immagine del sangue.
Emerge con la invocazione e la scenografia in parte delle pagine
dannunziane di Merope, (nel Preludio dei Canti de la Umanità), quasi
volesse richiamare una tradizione di dolore imposta al “latin sangue
gentile” e condensata in una sorta di rito evocativo.
Vi sono però in questa dannunziana attesa di una superumanità o
di un superpopolo forse (quasi io sovrano collettivizzato), alcuni spunti che preannunziano la dilatazione cosmica della immagine del sangue. E’ in atto una estensione (già al D’Annunzio non estranea) del disegno dell’arte che si sforza di compenetrarsi con la vita e di uscire dal
culto “immaginifico Appare così, quasi categoria estetica risolutiva,
l’ignoto, nella spazialità del mondo e nella individualità della sofferenza. L’avvenire dell’aristocratico Annunziatore si materia per una
retrospettività fatta di tormento e di contrasto “oscuro”, mentre la dedica “a i martiri de l’idea” (Preludio alla prima raccolta dei Canti), è
ambivalente e può condurre, specie per la tonalità storico-collettiva, a
psicologici incontri tanto con i sognatori della narrativa dannunziana
(che erano ben altro dai martiri), quanto con i sognatori della nascita
risorgimentale. Nei suoi versi dunque, il dannunzianesimo, più che imitazione (formalmente innegabile), è se mai intima riviviscenza di
motivo italico-sacrificale:
“.
« E tutto il popolo non stretto a ‘1 giogo
Ma co ‘1 soffio supremo de la vita,
Bagnò di sangue l’infinito luogo;
E così pronto all’opera fornita,
Divinizzò il futuro e sacro voto,
L’alma purificandosi forbita.
In terra, in mare ed in ciel, tutto ignoto,
Non vi passò crudele il popol sculto,
Ma co ‘1 suo sangue il tutto mise in moto.
Mister del sangue e del soffrire occulto
……………………………………………….
…………….un immortale genio, che, repente,
Ne ‘l suo mistero, per te alzò la tazza
Ch’accolse il sangue, ne la notte ardente,
Per celebrare de la pugna oscura:
La forza e la vittoria di tua gente,
E festeggiarti per l’età futura ».
Dopo poche pagine, lo stesso motivo ricompare, liberato direi
dalla imitazione delle Laudi e rifatto in propria consistenza semplice e
viva.
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
La Designata è il preannuncio di una donna, il cui colore romantico è
fatto solo di grazia e ha assai poco di cerebrale. Si tratta di una creatura che, se non è tutta la “bionda Maria”, è una delle “figlie nate nella
libertà e cresciute nella virtù" di reminiscenza carducciana e garibaldina. L’esistenza è imperversare di ostacoli, dice il Capezzuto, ma la
voce della speranza “che canta con l’ardore e per la gloria gl’inni della
vita risorta, il pensiero e l’opera, il dolce mistero dei giorni che verranno, riecheggia d’immagini pure. Il Poeta è l’apostolo della verità e
del coraggio, egli è eletto a soffrire per essere libero e vincere l’ombra
e la morte; l’eternità sarà sua conquista e prenderà le forme della consolatrice. Come lui, ella ha patito e non ha deposto dignità e fede: per
lui, è destinata a trasfondere la gentilezza in amore e l’amore in maternità”.
Ma questa creatura, malgrado la tenace invocazione di amore, di
spontaneità, di forza, ha “le braccia sanguigne “. Perché?
Il sangue ritorna e si trasfigura in veicolo d’ideazione e creatività
nell’inno a La Vita. Il timbro è qui maggiormente libero e personale e
si spiega in una forma di umanitarismo progressista e gioioso:
« L’onnipossente energia del pensiero
Che tra l’immensa lotta e il sangue crea ».
Il sangue dunque non è ancora fantasma di dispersione e presenti-mento di morte, ma alimento di armonia.
« La pace de la vita che s’inclina
E’ ne l’amore tanto e ne ‘1 perdono,
Ecco il tutto de l’opera divina,
E de la nostra gioia il più gran dono.
D’una lotta d’amor rinnovatrice
La vita sia e con la libertà
Regni la gloria, già fecondatrice,
Sol su chi visse per l’Umanità ».
Ottimismo quasi positivistico, ma poetica di superficie, sembrerebbero assorbire definitivamente il motivo; ma non è così, perché
quel motivo assume altri volti.
Il mito prometeico di Schelley e di Rapisardi ha capovolto
l’egocentrismo iniziale e l’uomo “forte e altero” che “va verso
l’aurora”, auspica “la vittoria del sangue” in una consacrazione solare,
nel “battesimo sacro della forza", per la riviviscenza del mito cavalleresco ed illuminante:
« Come un’ardente coppa la mia fronte
Rosseggia e regna a ‘l sole ».
(Battesimo di forza - a Maria Guerra)
Il sangue si mescola all’ombra, si vitalizza in senso macabro, rimanda allo spasimo della vergogna, della disperazione, della miseria,
diviene traccia penosa sulle facce scavate e sulle labbra scolorite. Alimentava prima “il verso divino “, era suggello della “immortale forza” (Nostalgia) e s’intravedeva sul corpo maciullato dagl’ingranaggi
della Vittima, più ancora rivelandosi nei visi esangui
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
dei sopravvissuti che dovranno combattere da soli. Ora invece è il
“sangue vivo consumato a stilla a stilla” della donna inutilmente salvata dal trivio e incalzata dal passato atroce verso la morte, oppure rifluisce, nell’orrore del delitto, dalle mani, non più di donna, ma di
“larva” dell’Infanticida. Per altre larve, consacra l’accusa disonorante
del Rifiuto, erompe dalle visceri rose dalla fame, come simbolo di
condanna inesorabile, nella impossibile fruttificazione dell’Aborto, e
si disperde infine in rivoli inutili dal “corpo informe del fratello esangue” e suicida.
Ma la pietà salva e benedice (“io benedico il sangue”) perché la
vita è insieme sacralità e dolore, anche ne La figlia de ‘l peccato, che
“nasconde esangue il marchio consumato, avidamente, da la trista sorte”, che “cerca pietà con le sue man congiunte, su ‘1 petto scheletrico,
in crocea posa”, che ha “le labbra desolate e smunte”, ormai lontane
dal peso dei baci impuri ed “esangue il corpo giovanile”. Che l’amore
salvi, sempre, con la sua forza di finale catarsi; che salvi tutti, anche la
donna del Dramma, la quale ha avuto le carni “tinte di sangue, per infamia” ed ha risposto alla violenza versando il sangue, dopo che il sole è disceso agonizzante in mare” come il presagio della propria verginità dissolta! L’amore salvi dunque “la donna tutta velata da l’effusa
chioma” che desidera i baci per rivivere la sua “storia bella ed eterna”
perché il sorriso che va oltre il desiderio ha letto il proprio dolore “ne
le sue piaghe” (L’amor ti salvi). La intonazione affine al Praga e allo
Stecchetti, ha già ampiamente dimostrato fino a qui la impossibilità
che il Capezzuto si conchiudesse perfettamente nel dannunzianesimo,
e così il mo tivo vagamente sociale e di certo umanitario, della donna e
della maternità, di Ada Negri. La esaltazione della femminilità, quasi
sororale, con-chiude tale sviluppo. Il sangue infine sembra assurgere a
simbolo della storia del mondo, se l’Innominata si fa seguire “tra le
genti su le tracce sanguigne de l’amore “ o ribolle nella fu cina della
“dolce fiamma per la incruenta vittoria, per la pacifica evoluzione della terra (La Fiamma). E’ il colore di una nuova tunica di centauro, di
cui il Poeta si veste per “muovere alla vita, avvolto nella luce, sul sangue fatale “. Il sangue cobra il gorgo della vita donde emerge, sovrastando la folla di Calen di Maggio, il canto della giustizia e della fraternità, annullatore dell’odio. Il rinnovato ottimismo non riconduce il
Capezzuto al peso solenne delle Laudi; la sua poesia riecheggia piuttosto, autonomamente, la aspirazione sociale victorhughiana. Il motivo
del sangue comunque è diventato personale e quasi autobiografico. Ho
raccolto l’acqua monda “nel concavo vermiglio de la mia mano” ed ho
nutrito le mie pagine delle mie lagrime e della mia “carne ardente”
(Salve!); ho contemplato il “sangue gentile della giovinezza” (Vaticin
io), ed ho visto che la fronte de I forti è baciata da “l’amore sanguinoso” mentre per essi “il grido eterno del dolore” sale “tra il sangue e il
fuoco “, come per un invito al rinnovamento “ne la forza e ne ‘1 martirio”, nel “sangue vivo” (Rinnovazione), che sgorga nella veglia ansiosa d’un fratello, dalle ferite di un martire, dalle piaghe di un vinto
(Voce).
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
IV
LA PREDESTINAZIONE AGONICA
La consistenza del rapporto d’individuo ed eternità, di elemento
autobiografico e fattore sacrale, è data per il Capezzuto da un legame
alterno tra la gloria e la morte, l’eternità ove trionfa la luce e
l’incombere ineliminabile del mistero. Perfino nella elezione della
donna predestinata a generare con il poeta la umanità futura dei forti e
dei liberi, il richiamo dell’ombra non venne mai meno ed è strano contrasto comunque con la fiducia incrollabile che Saverio ebbe in se
stesso, in mezzo a qualunque traversia e sotto il peso di ogni disinganno:
« Sento una voce fioca,
Non interrotta, a sera,
Che canta con ardore
L’inno di primavera.
E canta per la gloria
La vampa de 1’ pensiero,
De l’opra rinnovata
Racconta il suo mistero
……………………………………..
Ne l’ombra ignota e fosca
T’arriderà la sorte,
Che splenderà superba
Su l’ala della morte;
Fiero, e d’un motto eterno
Che nella vita crea,
Tu apostolo sarai;
De la novella idea.
………………………………………
Co ‘1 canto della fede
E quel de l’agonia ».
Alla donna eletta (“Vergine sposa da le sacre tempre / Che hai ne
l’alma la forza de l’impero”), la quale deve avere conosciuto la disperazione e la condanna dell’ombra, egli dice:
« Tu, redenta co ‘1 sangue, a la follia
Amar potrai con infinito ardore,
Un tuo fratello che temprò d’amore
L’eterno voto per la sorte ria.
E uniti ne la pugna de la morte,
Fra l’ombra de ‘1 piacere e de ‘1 mistero
Sorgerà nova la suprema sorte ».
Lo stesso orientarsi verso i temi del dolore, de i Canti, impressionante per la estrema giovinezza del poeta e per il contatto fraterno
con l’umanità, che risolve il male in una specie di morsa impersonale
stritolante gli uomini — tanto che a nessuna volontà si maledice —, ci
spiega come la interpretazione della vita nei termini del dramma del
sangue, dell’ombra, della sofferenza e del mistero, è base, psicoanalitica forse se si
112
_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
vuole, ma fondamento ispirativo ineliminabile, del Capezzuto. Egli,
trova nell’amore, nella pietà, nell’arte, le vie del superamento e la salvezza dell’abbandono. Non giungerà mai alla conclusione del “lasciarsi vivere”, anche se la sua poesia contiene il profilo di un’angoscia
permanente, e forse l’aristocraticismo dei predestinati lo salva
dall’abbandono a questa regola comune, così che “l’ansimar forte su
l’erta faticosa” (Gozzano) resta retaggio dei più e degli inconsapevoli.
Ma la elezione è concepita solo a patto di comprendere gli altri e prima che mai la donna, la quale, in queste pagine è spesso raffigurata
nelle vesti de L’Ombra di Mastriani e di Sue, e nell’ombra si confonde, riconducendo al punto focale la problematica della vita come mistero e tenebra e peso innegabile della tenebra sulla Luce. La coscienza di siffatto spasimo, che il Capezzuto, nella sua giovanile freschezza, istintivamente collega in forma predominante alla figura femminile, è quello che direi lo stato agonico sul quale s’innesta il connubio
apparentemente impossibile, il prorompere con la gioiosa certezza, del
trionfo dell’io, del canto dannunziano.
Può essere effettivamente, nel Capezzuto, una contraddizione
questa; ma fa pensare ad un altro, meno fantastico e più scientifico
ruolo di contraddizione svolto dalla morte. Senza arrivare alle energie
sprigionate dallo stato agonico che ha scoperto il Cerletti, senza ripetere la quotidiana constatazione del tramonto sanguigno che prelude
alla bellezza del giorno futuro, la stessa concomitanza romantica
dell’Amore con la Morte, ci richiama all’idea di un possibile trionfo
dello spirito a prezzo dell’accettare l’annullamento delle forme emp iriche e del loro fascino illusorio. E’ forse il riflesso di processi psicologici che per l’età del Capezzuto erano allo stato intuitivo e che non
hanno avuto il tempo per maturarsi adeguatamente e per proiettare la
loro bruniana “ombra d’idea” nell’aria espressiva e sentimentale. Certo è che Saverio era fisicamente predestinato alla disfatta, non personalmente o per ambiente o altro, ma per la miseria che subito
gl’impose l’usura della denutrizione e lo fece vulnerabile a mali mo lteplici, fino a stroncano. Perciò lo stato agonico della vita e la conseguente cornice di mistero riflessi nella sua poesia, possono benissimo
essere le emergenze subconsce di una premo nizione naturale. Ne deriva il canto perenne del sangue che caratterizza il libro dalla prima
all’ultima pagina e spiega per via occasionale che il più intenso avvicinamento al D’Annunzio l’abbia vissuto a proposito della Canzone
graalica e sanguigna. Fondamentalmente è certo il dannunzianesimo
del giovane poeta, non soltanto nel letterario ripercorrere, con le pesanti canzoni a Milano e a Salandra, le strade di Merope, ma nella psicologica consistenza della necessità subconscia di elevare il più sonante e panico inno alla Vita, poiché vicina era una conclusione senza
speranza, come i drammi e le lacrime di tutte le migrazioni; e la monodia tonante della Forza, dell’Orgoglio, del Piacere, ma anche della
Trasmutazione dell’uomo nella Natura e nella Bellezza, era la forma
non solo più storicamente vicina, ma anche idealmente più idonea a
creare nella economia psichica del poeta, l’equilibrio indispensabile al
compimento (anzi al non-compimento) della propria missione di umanità e di arte.
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
V
YBRIS ETERNA
Capezzuto non esclude una rivelazione della impersonalità della
folla, intesa come voce degli umili, che spiega al poeta la sua missione
(Chi sono?: “Perché mi chiedi, o folla, chi son io “) e questa immagine sembra cozzare sia con la posizione aristocratica di origine dannunziana, sia con l’atto di accusa agli aspetti negativi, specialmente alla insensibilità ambientale, che gli proviene dalla ispirazione sociale
della sua poesia. (Confessione: “Presto la gente mi macchiò la fronte /
di disonore, mi chiamò perduta / Mi negò il pane...”). La comune realtà del sangue spiega forse tale varietà, non contrasto, di prospettive o
succes sione di momenti. Il sangue diventa allora il simbolo della sofferenza di vivere, che è di tutti. Si comprende per esempio la voce ispirata da un finalismo che implicitamente sfugge all’individuo:
Per scrivere co ‘1 sangue la tua storia
E farti mio in ogni gran battaglia,
Per additarti a l’immortale iddio;
Perché tu viva ancor tutto travolto
D’amore e di suprema fede, e, poi
Ne l’ombra de ‘1 mister tu segua attento
La breve traccia de la strada umana » ;
«
e si comprende anche il cammino del predestinato in mezzo alle sventure, alle lotte, agli orrori ed al tormento della storia, fino alla condanna:
Perché questa demente razza umana
Si scava presto la sua fossa negra,
S’adagia con le proprie mani sozze,
Si compone in novella e spenta forma,
Ne ‘1 sonno de ‘1 mistero e poi ridorme,
Eternamente……………………………» .
«
Segue la consacrazione della gloria che risponde alla invocazione
de “il dolore supremo” ed allo stato di evidente tensione panica del
miste (“ L’alma mia / Ed il mio cor si résero di foco “), con
un’austerità ch’è tipica anche del D’Annunzio, quando, nel culmine
della tensione erotico-superumana di Maia, configura per esempio
l’attesa dell’assoluto spegnersi della brama di piacere nella grandezza
massima del dolore, o traduzioni giovanili e caste dell’Ulisside, od
ombre serene, ammonitrici ed olimpiche (Demetra per esempio):
« Una gran voce
S’udi lontano accompagnata a tratti
Da l’ululo del vento.
Era la gloria
Che mi parlava, mentre un fascio vergine
D’alloro mi gettava ai piedi nudi,
M’inghirlandava il fronte della vita,
114
_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
Mi copriva le membra e mi diceva:
« Qui non vive l’infamia.
…………………………………………….
Qui la sede, resti
De la potenza eterna de l’amore,
Qui s’attenda la fine, ne la lotta! »
Ed io restai a la porta de la vita,
Glorioso, per cantar la fede umana;
Mentre la gloria, in atto già supremo,
M’additava a la folla sanguinante:
Novello vate de l’umanità ».
Resta, fattore positivo, la certezza della comunione con i viventi,
pure legata ad una superiorità ieratica:
« E a tutti fui compagno, sposo, figlio,
Amico e consigliere e ne ‘l mistero,
Tutta la turba si curvò tremante,
Elevò una preghiera e benedisse
Chi, mostrando le stimmate sanguigne
De ‘1 dolore, il compendio immortale
De l’opra e de la fede farà in uno,
In uno solo, pel divino voto
Che sarà scritto su ‘l vergine sangue,
Sparso gentile per l’umanità! ».
Accanto ai caldi echi di Laus Vitae, Capezzuto ha tracciato qui, sia
pure confusamente, una palingenesi estetica non priva di qualche ricordo ancestrale italico (il principio di conoscere se stesso per apprendere l’universo e il finale destino, la prova del dolore, il pellegrinaggio in cerca del transumanare, il raggiungimento di un luogo sacro
in mezzo ai turbini ove si udrà la voce della gloria, lo spettro del “dolore supremo” simile al pascoliano Cerbero (Psiche), che terrorizza
ma non fa male, e sopra tutto il passaggio attraverso il fuoco per una
sorta di autocombustione interiore che trasforma il Poeta nella millenaria Fenice).
Si pensi alla poesia delle Laudi, specialmente a Maia e ad Alcyone,
che è tutta imperniata su una morte e rinascita dell’io, attraverso l’inserimento nel veicolo di forze cosmiche mediatrici (la conoscenza della Guerra - madre eraclitea e della Fecondità Universale per esempio,
nel colloquio con Venere e Marte), al principio dell’iter ulissiaco, al
continuo ricorrere nelle Laudi, del congiungimento dell’individuo con
i quattro elementi a simboleggiare una rinascita dell’individuo in piena consonanza con le forze della natura.
Da Maia si possono isolare parecchi motivi di un approfondimento
graduale della tradizionale consapevolezza italica delle Metamorfosi,
inserita nella storia dell’uomo anzi che vista teogonicamente, ma in
parallelo sempre con la trasfigurazione della natura. Il contatto con la
Diversità sirena del mondo è dunque la conoscenza della chiave delle
trasformazioni e la vicenda dell’uomo è riflesso dell’anima del mondo
per “La forza silente di cui palpitavano le amiche Pleiadi “ la quale
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
sale “al petto” umano” dal mare profondo”. Il viaggiatore di Laus vitae non è soltanto riconoscibile nella superficiale espansione della potenza di vivere; è anche l’amico dell’aquila solare evocata nel canto
pindarico, colui che aspira alle conoscenze capaci di trasformare “ i
mostri in fanciulli divini”, e che ha ascoltato “ l’ansito del seno della
terra” per “trarre una vita divina dalla faticosa materia”, ed infine accogliere l’ammonimento supremo “Vivi della Vita universa”. Tutto
ciò naturalmente, anche per eredità letteraria, è circonfuso dell’atmosfera della scoperta, ed allora ricorrono in D’Annunzio, le immagini del Dio del silenzio Ermarpocrate e del “vigile gallo” apollineo
e socratico (il risveglio della luce della conoscenza) e quelle solenni e
pure delle Genitrici terrena ed ultraterrena (che sono i due volti della
Natura-madre, la fisionomia cangiante e persuasiva delle forme vis ibili e la sintesi interna delle leggi che quelle forme regolano). La tradizione orfica greco-italica spiega del resto l’atmosfera di rivelazione
della poesia (per esempio con la visione di Zagreo, ossia la conoscenza del sacrificio dello Spirito che si disperde senza perire, nella dilatazione multiforme della storia del mondo). In tutto questo itinerario, vi
è una esigenza oscura, tenace, inappellabile, qualcosa tra l’Eroico Furore e la Predistinazione; e “la voce del despota”. Essa costringe
l’uomo a vedersi nella fenomenicità del proprio destino legato alla
ruota d’Issione, come il patibolo di Baudelaire nel Viaggio a Citera.
La significazione umana più che dottrinale dei miti riaffiora nella poesia:
Supino giacente il mio corpo
Non aveva più ombra nel mondo.
L’immutabilità del dolore
Era la mia sola grandezza ».
«
E rinasce naturalmente il tradizionale viaggio classico agl’Inferi ( “
vedere le creature tra la vita e la morte”) che non è solo sforzo di approfondimento delle conoscenze naturali, insieme al cibo divino di
Demetra. Siamo con il motivo de “L’eternità dei Misteri” ossia delle
tradizioni spirituali mediterranee, come nell’Alcyone, quando le forze
naturali subconsce vengono riassorbite dalla religiosa atmosfera della
divinità fluviale (l’offerta dei cavalli e dei corpi di Glauco e di Ardi)
per una rinascita orfica (ne L’Ulivo, il poeta è, in sogno, il viandante
che ha attraversato le acque purificatorie e non ha piegato l’asfodelo o
il giunco di Dante). In modo affine si staglia la comunicazione d’Icaro
con il sole attraverso le penne degli uccelli rivitalizzate dall’opera magica di Dedalo.
In Capezzuto, quel senso di fatale comando che spinge l’uomo prescelto dai Fati a seguire fedelmente il destino e a superare gli ostacoli
della illusione, è una personificazione imponente che sta tra la Poesia,
la Gloria, la voce dell’Umanità. Interessante comunque è la ripresa del
motivo di un antico mistero filtrato attraverso la lettura di Laus Vitae.
Non si può parlare qui d’imitazione, ma piuttosto di una resurrezione
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ancestrale, perché Maia ha trovato una tensione già intensa. e perciò
una risposta da di dentro del giovane poeta: Vittoria (a Beniamino Natola).
Elementi fondamentalmente dannunziani sono l’elevarsi del predestinato su la “misera caterva umana”, la programmazione sovrumana (“che il tuo ricordo mi trasmuti in Dio”); elementi genericamente ricollegabili alla tradizione italica (e quindi virgiliana), sono la
partenza nell’alba e la discesa negl’Inferi per vincere la morte:
« Io mi ribello al procelloso fato
Che mi prospetta l’ombra della morte,
Rabbrividisce ancora la natura,
E da un velo si copre il sole immenso,
Cadon le stelle su la terra impura
Quand’io ritempro il mio pensiero intenso ».
Mentre quest’ultima parte adombra una specie di autoipnosi, cui
effettivamente seguirà un contenuto affine al viaggio dantesco, con il
naufragio nell’oscurità e la riconquista faticosa della terra, è interessante notare l’urgenza psicologica del motivo catartico e gli spunti apocalittici di una palingenesi (guardare “verso l’aurora de la nova età
“ ) che hanno origine piuttosto carducciane e rapisardiane e delineano
un altro fondale, non secondario anche se incerto e scarsamente delineato, del quadro psicologico-poetico del Capezzuto.
Quel ritemprare il pensiero è comunque una specie di affondamento in se stesso, nelle più profonde e tenebrose latebre dell’umano e
personale Inferno, una specie di trance ove compaiono “fiumi dissolti”, “onde maestose”, “livore di spume”, “scrosciare di nembi”, e gli
avernali “gran burroni d’un’immensa valle” ed “uno” che lo spinge
senza pietà per sentieri tenebrosi, sdrucciolevoli, impervi. La visione
del dramma interiore dell’uomo che crea se stesso, emerge dalla tradizionale immagine dell’eroe disceso nelle viscere della terra alla conquista del ramo d’oro di Proserpina (da Enea a Dante). La raccolta di
situazioni che segue è plastica e convincente:
E un turbine m’avvolge a tardi sera,
E ancor mi spinge verso il mare infido,
Così travolto, ne la gran bufera,
Io resto a notte sospirando il lido.
«
Orrenda notte! L’onda mi minaccia,
M’avvolge ne le spire procellose,
Mi batte spumeggiante in su la faccia
E m’inghiotte con forze disdegnose;
Ma nella lotta pur non cedo. E’ giorno!
A fremere con l’onde, audacemente,
Io resto; a tratti spingo il guardo intorno,
Su tante forze già con l’onde spente ».
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
Una interessante notazione è la presenza - in questo viaggio affine
al penetrare nelle caverne sentendosi chiudere le porte alle spalle senza speranza, degli aspiranti alle conoscenze elusinie - del permanere
dell’io in seno ai quattro elementi (fiumana, turbini, cioè l’Acqua e
l’Aria, ed infine la Terra, la “riva malsicura” dell’approdo, ed il Fuoco
nelle vesti di una “febbre di sangue”).
Realizzata questa spasmodica ed avventurosa cognizione degli elementi, la paura umana è vinta e l’uomo è rinato dio:
« ... Ad alta fronte, per la gloria,
M’avanzo e non m’arresto; qual’iddio
Novella mi saluta la vittoria
……………………………………….»
Credo che Vittoria sia la pagina più lineare di tale processo evocativo e di trasformazione che per la verità è sparso un poco da per
tutto nei Canti de l’Umanità. Sentenza (a i miei maestri), riprendendo
il motivo e la immagine del principio luminoso precipitato “ne ‘l fondo de l’abisso vivente”, ha qualcosa di confuso e d’impreciso che da
un lato sembra luciferico, dall’altro umanitario, e del quale resta comunque uno spunto di consacrazione sanguigna e solare, quasi ricordante quella d’Icaro dell’Alcyone che assorbe il dannunziano probabile di qualche antico mito agreste di mediazione (germoglio della vita, erba, maternità della terra, il corpo umano strumento del connubio
tra il basso e l’alto, il sole, la luce che sovrasta la terra, ma che, in essa
infuso dal pellegrinaggio dell’uomo -portatore, genera l’affiorare di
nuova verità e potenza creativa):
E scendo e scendo ne l’abisso muto
Per leggervi remoto l’atto sacro ».
«
L’idea dannunziana del ritrovamento dell’antica anima dell’Ellade
e di Roma, mista ad un che di faustiano (la base romantica di tali poetiche scene di palingenesi sature di finale ineffabilità (“La sola traccia” è appena “contemplata”), si trasfonde poi nel futuro “parlare nel
silenzio “ all’Umanità, posseduti da ‘l’iddio tetro “che dovrà concedere si parli e si svegli il mistero “per sacrare il voto de l’ombra", “a la
sua riscossa” impadronendosi delle penne dei volatili abbattuti e del
loro sangue, quasi ad imbeversi di una potenza aligera e luminosa.
L’aspersione del neofita del culto solare con gocce di sangue era del
resto forma di tradizioni classiche congiunta alle penetrazioni di luoghi sotterranei ed alla vittoria psicologica di scene d’orrore:
«
Dovunque è tenebra dovunque è morte
E, ne ‘1 silenzio vi gorgoglia il sangue,
………………………………………………
Io scendo ne ‘1 profondo……………».
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
Il “verde alloro in bocca” è un assorbimento apollineo e solare,
come una specie di cibo mistico e la irrorazione del sangue (“un fil di
sangue già mi cola ...” egli dice).
La preparazione di sciogliere i capelli e scalzarsi (“mi scapiglio,
mi scalzo”), a parte la retorica delle immagini e le possibili letterarie
reminiscenze, ha raffronto nel contatto elementare del Discepolo dell’Alcyone con le forze terrigene (“ sentire l’erba sotto i nudi piedi”).
Appunto in tale atto si configura il dono del Maestro di fargli mirare
l’ombra del lauro”. La stessa combinazione d’immagini è in Capezzuto - e l’abbiamo visto già in Chi sono? - il quale è sostanzialmente rimasto impressionato dalla riviviscenza.
La conclusione però non s’intravede aristocratica ed incomunicabile, se Saverio insiste sulla propria qualificazione di “apostolo di amore umano”. E questo si deve sopra tutto, credo, ad una esperienza
personale, diretta e quasi spasmodica, della sofferenza quotidiana che
apriva le porte, accanto all’entusiastica adesione allo spirito dannunziano, al verbo sociale di Ada Negri ed alla espansione umanitaria di
Giovanni Pascoli. In tale inquadratura si può capire il dannunzianesimo di Saverio Capezzuto, che resta comunque vitale emergenza e
compenetrazione psicologica sul piano di una missione estetica di cui
egli ebbe ardente consapevolezza e tenace speranza.
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
VI
« PER LE MIE STRADE AMARE »
La donna è per lo più la personificazione diretta di tutte le forme
liriche e, se si pensa al significato di consolazione e di conforto che
l’amore poteva rivestire per un giovane pieno di sogni e nel tempo
stesso tanto provato dalla sventura, si comprende come l’amore di Saverio Capezzuto riviva sotto molteplici sfumature, in grande parte delle sue pagine. Nei Canti de l’Umanità, la donna ci è apparsa sopra tutto, o tragica vittima della sventura, creatura insozzata dall’egoismo
dell’uomo e soffocata dall’indifferenza e dall’insensibilità
dell’ambiente, oppure compagna fervida e austera della missione
dell’intellettuale. E’ concezione ottocentesca nel senso sociale del
termine e victorhughiana della femminilità e pone un Contrasto Interessante con il dannunzianesimo di Saverio: le sue donne certo potranno diventare le pascoliane Kursistki, mai le vamps tipo Basiliola.
Di quest’ultimo tipo sembra quasi abbia terrore, mai ripugnanza comunque, piuttosto pietà, ed è un altro indice della bontà dell’animo
suo.
Ma questo non toglie che Saverio non sia un sensuale, ed è assai
interessante la contemporaneità dei due motivi, uno caldo, vibrante,
passionale, ma forse più fatto d’immaginazione che di realtà, ed uno
sfumato, sororale, pascoliano, umanissimo. E’ il suo uno stato psicologico-poetico quasi affine a quello di Guido Gozzano. Ne danno documento completo un gruppo di liriche che, mescolato a pagine scelte
dei Canti e di altre raccolte di versi, ho tratto da una raccolta di sessanta poesie varie manoscritte, destinate evidentemente a costituire un
altro libro che non vide la luce. Non ha titolo; doveva essere comunque il suo canzoniere d’amore. Si apre con un poemetto in due
tempi sulla Voluttà e si chiude con Il canto del vespero (dedicato a
Neera).
Come il Capezzuto definisce l’Amore? Con tono e forme gozzaniane così:
« E’ una fatale austera prigionia
ove ne le medesime ritorte
gemono avvinti il debole e il
forte per arcane virtù di simpatia.
Ed è una brama ardente, una follia
breve, un giuoco, un capriccio della sorte;
spesso (nè scampo è la vicina morte)
una lunga ineffabile agonia.
E’ una fiamma vorace che s’apprende
a tutto, e tutto, inesorabilmente,
ne l’infinito suo potere incede.
Pure dal fondo de l’umano cuore,
da l’universo intero, alta, possente
voce divina si sprigiona: Amore! »
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_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
Questa potrebbe essere esercitazione letteraria, ma la tonalità delle
altre pagine è assai viva e immediata, per esempio in
Implorazione:
Perché, perché la bocca,
hai sbiancida così?
Vuoi che il mio cor di piangere si strugga?
Fugga la gioventù, la gloria fugga,
or nulla più mi tocca;
ma quel dolente riso
de la tua bocca, si.
……………………………»;
«
ne La sera dell’incantesimo:
Io guardo e taccio, e nel divin miracolo
penso al mio novo amore………………
Penso a l’amore che mi dà le lacrime,
penso a l’amore che mi dà l’ebrezza,
penso a l’amore che mi dà il delirio,
il gran delirio de la sua bellezza!
E mentre l’ombre de la sera piovono,
ascende un sogno ne la fantasia,
così divino che m’inebria l’anima
Un sogno d’ombra e di melanconia » ;
«
in La confessione triste:
« …………………………………………………….
Ella tremò per tutta la persona,
mi guardò in volto, poi chinò la testa,
e lieve, e smorta, sussurrò « Perdona! »
ahimè straziante mormorio che suona
da quella bocca scolorita e mesta » ;
in La tempesta:
Oh quella sera che triste a guardarla!………
Ella meco sen va lungo l’arene;
il sole è morto e la tempesta viene,
ella ha freddo, mi guarda, e dice: « Parla! »
«
…………………………………………………………….
« Povera bimba stanca, un gran poeta
è morto dietro i monti, è morto il sole. .
a la sua tomba levan le viole
la vaporante salmodia quieta.
Piangon le terre, i firmamenti, l’onde,
greve un’ombra s’addensa…………Oh bimba stanca,
quanto dolor ne la tua faccia bianca!
…………………………………………….
Folte, immense vedrai scender le brume,
e dove il gorgo fragorando aprissi,
sovra il clamor de le ribelli spume,
udrai nel vuoto rimbombar gli abissi!
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CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
…………………………………………………………………..
Tutto combatte, s’agita, ruggisce,
geme, tuona, si schianta, insorge, piomba!………
Tutto cade, si perde, annichilisce
ulula, fischia sibila, rimbomba!
……………………………………………………
Oh come trema la bianca figura!……………
Ella meco sen va lungo l’arene;
il sole è morto e la tempesta viene,
ella mi guarda e mormora: « Ho paura! ».
Il rivivere umano del dramma delle forze inconsapevoli coincide
con la personificazione, con il sapore psicologico dello spettacolo naturale. La dolcezza della figura femminile che ha qualche lontana eco
di una situazione pascoliana (Maria stanca, piccolo grande profilo di
candore nella bianchezza di morte della notte invernale) catalizza le
possibilità di tale interscambio di luce. Tra i monti Abruzzesi invece
ripete la tradizione dell’idillio:
-
-
« ……………………………………………..
E mi chiami, e mi chiami…….O impaziente
amica, eccomi; eccomi; ove sei,
che non ti scorgo? Fiore a fiore aggiungi
curva tra i cespi? o vuoi trarmi fuggente
di divo in divo? parlami! ove sei?……….
O sogno……..è muto il bosco, e tu sei lungi ».
La natura è un fondale ripreso dal Capezzuto sempre con una animazione di bellezza; nella Calmeria di scirocco (a Francesco Pastonchi), l’intonazione è generica e piuttosto debole e deve appartenere ai primi tentativi.
Ne l’ampia oscurità del firmamento
la rossa luna sboccia come un fiore
di foco: un soffio pregno di calore
investe a tratti il suolo sonnolento.
«
Il mare stracco ansa fra le carene
ammaliate, e liquide faville
sciamano nei suoi gorghi a mille a mille:
un cupo affanno l’alte rive tiene.
………………………………………………
Sola ne l’ombra perpetuamente
singhiozza un’invisibile fontana:
dolce compianto d’una voce umana
sul tedio e sul dolore onnipresente » ;
in Alba d’estate:
Una gloria di rose si diffonde
da tutti i cieli nel giardino all’alba,
e il mattiniero pargolo, con bionde
chiome, s’affaccia mezzo ignudo, e balba » ;
«
122
_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
ne il canto del vespero (a Neera):
Sfuma ranciato il vespero sul mare
sazio di luce: calano da l’erta
le mandrie tarde: esita un ciciorare
fioco su i lecci de la via deserta.
Ma nel silenzio inviolato trema
a la lontana d’improvviso un canto,
empiendo il ciel d’una dolcezza estrema
d’una repressa smania di pianto » ;
«
fino a quello che mi sembra possesso di significati umani e della vita
ambientale in trasfigurazione tra il surrealistico e il musicale:
Puro e fragante de i notturni geli
ascese il vento ai nivei fior del rogo;
e un infinito tremolio di steli
effuse il tocco suo di luogo in luogo.
«
Il tremolio salì, diffuso in veli
di luce, in fiamme cerule di rogo,
insino ai cieli; e piovvero dai cieli
falene d’oro su l’alpestre giogo.
Ed io sentii con impeto deliro
romper da l’imo cuore una sorgiva
di luci e d’estri e di parole ignote.
E strinsi in note magiche quel giro
d’armonia che la terra al cielo univa.
Poi piansi; e il pianto cancellò le note ».
(Il vento della vallata - a Virgilio La Scola)
Su questo che è senza dubbio qualcosa di più di un fondale ed assume tonalità autonoma di espressione, onde accanto ad un poeta umanitario e civile trova posto adeguato un poeta dell’idillio si stendono le pagine di un album di amanti. Sono pagine intense e limpide e
la dolcezza dei versi esercita sempre verso la passione, una funzionalità ombrante e catartica, così che perfino l’unico punto in cui Capezzuto nota della donna il semplice trionfo di carnalità pesante con
tipico (ingiustificato) attributo (Femina oscena), lascia intravedere una
specie di selvaggio, rito panico della giovinezza, sullo sfondo “de la
foresta antica “ e “ne l’ora blanda del solenne incanto”, onde la superbia” e 1’ “amor possente” di questa non eterea Bella Addormentata
(più statua che donna), mentre danno un’idea della Gigantessa di Baudelaire (e del perdersi dell’io nella immensa pienezza della femminilità - specie), sono meno pesanti della “protervia” della diabolica amazzone - perdizione di Arturo Graf. Il poemetto sulla Vo luttà (Amore e
Vita e Inganno e passione) è più un fremito d’indipendenza che un
abbandono al piacere ( “ possente ed eletto/io cerco l’amore e fanciullo
mi rendo “). E’ quasi una confessione psicologica ove la
-
-
123
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voluttà viene vista in funzione di qualche altra cosa (“... L’orgoglio/è
il demone mio...”). Ne verrebbe un egocentrismo maschile come conseguenza logica, ed invece è il contrario perché l’ansia stessa del Capezzuto è sempre affettiva, dolce, satura di ammirazione o almeno di
tenerezza per la femminilità ch’egli è praticamente più incline a trasfigurare che esasperato di possedere. E certo dovette essere un’amante
appassionato ed insieme timidissimo, malgrado la conclamata consapevolezza di poetica elezione alla gioia ed ai sorrisi. Salvo che tutto o
quasi non sia nato e rimasto nei sogni. La tentatrice è esercitazione.
Quadri un poco eleografici sono Le bellezze de l’amata (a Teresah).
Bellezza, Confessioni d’amore. Solitudine (a Roberto Bracco). Il frutto
(a Salvatore Di Giacomo), La piena di grazia, T’amo, La vittoria dell’amore (a Sem Benelli), i quali si collegano in parte ad Amore che già
si è visto ed in parte hanno il colore de Il Novelliere e de La Scena Illustrata (i commenti poetici alle illustrazioni, del primo Novecento).
Hanno meno compiacimento descrittivo e più partecipazione intimistica: La redenta, La vergine bianca ed il poemetto L’amante del
sogno in cinque temp i dei quali i migliori mi sembrano il terzo (L’incanto) e il quarto (Il saluto de l’offerta). Sono tutti d’ispirazione gozzaniana non tanto nel senso di affinità formale, quanto nella fragilità,
nel sensualismo ombrato, nella incertezza del volere e nella dolente fisionomia di quelle creature dolcemente, ma inesorabilmente, legate ad
una fatalità di dolore:
«………………………………………………...
Fosti redenta’………………Da la tua follia
nacque deterso un indomato ardore,
e pur rivisse quel perduto amore
pel tuo volto. Il ricordo non s’oblia
ancora, e un dolce riso senza tregua
sfiora sul labbro mio. Ancora ho bisogno
di te quest’oggi. L’onta si dilegua!
De la mia giovinezza pur t’ammanto,
o donna, e pel tuo amor novo t’agogno.
Al poeta l’amor basta soltanto ».
(La redenta)
Le immagini gozzaniane di Cocotte qui sono più evidenti, ma
sempre rifuse nella personale pietà che il Capezzuto nutre per la debolezza femminile. In La vergine bianca il contatto è appena sfumato
con una punta di finale esasperazione (che immette nel mondo più decisamente sensuale di Risveglio e specialmente de I Segreti
dell’alcova):
Oh, se voi foste un poco,
donna, un poco più bianca………
La voce un po’ più stanca,
un po’ meno di fuoco…………… . . .
«
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Se, invece de la gioia
che vi scoppia nel cuore,
gemeste di dolore
e piangeste di noia……………. .
Le vostre labbra sono
turgide, fresche, edaci;
ed io vorrei dei baci
di pianto e di perdono.
Baci lunghi, febbrili,
d’un viso moribondo…………..
ch’io fossi tutto il mondo
per le labbra sottili!
E trarvi, o donna, meco
per le mie strade amare,
e sentirvi cantare
d’ogni mio verso l’eco.
…………………………………………
E invece……………….
l’anima mia dolente.
Donna bella e fiorente,
io son la preda vostra ».
Ma a Saverio questo stato d’animo non dové essere abituale; egli
sognava l’impeto del piacere misto o a rinnovata tenerezza, o al mo tivo già visto della coscienza della propria missione poetica, per cui
anche l’amplesso diventa un tributo che la Femminilità concede alla
Poesia sempre carica di fluidi di azione e di rinnovamento:
«……………………………………
più buona se l’alma sognante,
più mite nel voto d’amore,
più bella nel viso raggiante
…………………………
appena sul pio fronte intatto
l’amante sfiorò d’improvviso
un bacio e il suo volto disfatto
s’accese d’un pallido riso
- Poeta, mi piaci sei bello
sei mio - e m’inebriò d’un sorriso
sagace - ti voglio, o fratello
…………………………….».
Il tono più personale e la spontaneità più intensa e nello stesso
tempo delicata sono ne I secreti de l’alcova che pure adombra un dis sidio interno od una situazione gozzaniana e cerebrale:
Poi che d’altro pudor sciolsi le bende,
e d’amor scesi a le frementi prove,
odiai la donna che al desio s’arrende
poi che facil de l’uom pietà la muove.
……………………………………………
Inesausto è l’amor ch’ella m’ispira,
ed ogni sera quando ella si dona
più la mia mente, il sangue mio delira.
«
125
CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
Par muova ai baci tutta la persona,
e se ne l’invocarmi ella sospira,
vergine torna e vergin s’abbandona ».
Nell’atmosfera malinconica de L’amante del sogno, compare forse
per la prima volta un nome femminile che sarebbe stato un amore a
diciotto anni con baci “folli” su “la soglia de l’alcova intatta”, passeggiante nella villa all’ora del tramonto, prime armi con il “maqiulllage” per sembrare meno ragazza (ancora sotto il nome però di “belletti”), e piccoli bisticci a lieto fine: Liliana. E’ la reminiscenza di un
fatto reale o quella che avrei potuto amare? Capezzuto dice:
« Ed io non mi vergogno
di leggerti i miei versi
leggendo i tuoi segreti.
Non sai che nei miei canti
rivive l’amor tuo,
l’arte de la tua grazia ».
Su questa linea si può inserire La camera solitaria:
Ho sognata una camera deserta
in un placido albergo di campagna
e parmi che sana troppa dolcezza,
………………………………………………
se tu sedessi a canto a quel camino,
in un tramonto squallido d’inverno.
C’era, quand’io sognai, su la coperta
bianca del letto, vasto come un’ara,
c’era un tuo guanto, e i lini di bucato,
e le cortine fatte di ricamo,
parea guardasser pien di stupore
quel guanto così piccolo. Non c’eri
tu, ne la stanza, e so che t’aspettavo ».
«
La limpidezza formale raggiunta qui si ritrova accanto ad una
compenetrazione perfetta di sogno e ispirazione. La donna di Capezzuto non è mai fuori della influenza benefica della poesia, come La
Musa per esempio:
«…………………………………………
« Non arrestare il tuo canto!
ci sono ancora le cose
che sono nate dal pianto…………………
ci sono ancora le rose,
di là dai freddi rottami
di strani amori dispersi…………………..
- Voglio sapere se m’ami,
voglio sentire i tuoi versi ».
Si può capire allora il significato, sostanzialmente rituale e di elevazione, di Connubio, ove la idealità del vincolo suggella il motivo etico e sociale dell’amore per Saverio: la redenzione della donna nell’opera sororale della poesia:
126
_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
« A l’alba gioconda t’avvolse
crudele il velame del pianto,
o fiore desioso de l’alma,
o turgido fiore d’incanto!
Per sempre smarristi la via;
e nel taciturno cammino
soltanto imperava più tetro.
ne l’ombra il tuo grande destino.
O cara, con l’inno sublime
cercasti la dolce carezza,
e offristi a l’affetto sincero
l’ardor de la tua giovinezza.
Smarrito nel sogno pur io,
la gioia m’apparve novella,
e forte ti venni d’incontro;
la vita m’arrise più bella.
……………………………………..
E, uniti facemmo la strada,
e vergine al sole fulgente
rivisse d’ardore immortale
il nostro connubio possente ».
Il completamento logico del cliché femminile, direi anzi il presupposto ideale, è la Madre alla quale ha dedicato segni d’affetto in
ogni occasione: ella gli ha dato il sangue, la nozione del dolore, il culto della sventura con i racconti commoventi di « Zvanì », e l’ultima
parola, se la morte lo coglierà, sarà per lei. Stato psichico pascoliano
ed universale che si traduce parallelamente nel culto sororale. Amelia
è definita “sposa de ‘1 mio animo “ e Vincenza è concepita, decenne,
nel destino della poesia ‘de l’amore e de la libertà “per autentica
proiezione fraterna. Voto filiale non è nel gruppo delle pagine forse
inedite che stanno al centro di questa rassegna, è anzi di un periodo
precedente anche per qualche oscillazione stilistica tipica dei primi
tentativi, ma possiede grande e bella semplicità:
«……………………………………….
Tra il gaio riso de le foglie bionde
tu viva sempre come una madonna,
e per le labbra loro sitibonde
d’amor novo t’accendi, o santa donna! ».
Su questo mondo femminile, naturale, materno, di cui il gruppo
degli ultimi manoscritti mi sembra contenere fondamentale documentazione, poggiano quelli che potrebbero benissimo essere – almeno idealmente, per la impossibilità di accertare le date di composizione gli estremi pegni della consapevolezza umana di Saverio Capezzuto:
Per me stesso, La morte della giovinezza, Ammonimento. Nel primo
sonetto (a Roberto Bracco), il suono è diluito e oggettivato e beneficia, se così si può dire, di una stemperatura un poco preziosa e quasi
arcadica:
127
CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
« Rientra ne la grotta ond’è fiorita
- miracol di beltà - la giovinezza:
ella fu dolce e dette ogni dolcezza:
ella fu aspra e inferse ogni ferita
………………………………………..
Or ch’è noto il mister de l’ansie prime
rientra nel mister la dolce rea.
Ma ben che morta resta ella sublime ».
Possiede però qualche intuizione delicatamente lirica:
« Baciale ancora, o tu che sai, la mano!
Il bacio è la carezza de l’idea
che fu sognata e non espressa invano ».
Siamo alla interpretazione oleografica, diciamo così, della morte,
ma in Ammonimento dove la malinconia ,se non l’invettiva, del Guerrini echeggia più frequente, almeno nelle prime due strofe, il tono,
malgrado la solennità finale ed anche per la stessa non definita destinazione del monologo, è intimo, raccolto, quasi sereno:
« Quando tu su la soglia alta verrai
di giovinezza, in vaghe ansie sospeso,
io sarò nella fredda ombra disceso
di morte, e non ti rivedrò più mai.
Forse le carte industri che vergai
ti ridiranno il sogno, onde fui preso,
d’arte e di gloria: quando il core offeso
in silenzio portò, tu non saprai.
La vita, a cui sorgesti, è una battaglia:
ma chi s’onora di gentil legnaggio,
arditamente conviene che vi saglia.
Propizia o avversa la tua stella sia,
va, senza patti, in armi di coraggio,
probo, ma risoluto: ecco la via ».
In Per me stesso, i motivi dell’amore e della poesia riescono a
comporsi in un momento d’abbandono almeno strano, in un “cupio
dissolvi” che potrebbe essere al massimo, presentimento e che troverà
riscontro nell’incompiuto Martirio:
« Muoio. Ma fresca ho l’anima
ove rinasce la speranza lieta.
Muoiono i versi; il palpito
del cuor mi dice: « Non sei più poeta! ».
Donna, son la tua vittima.
Tu m’hai guardato; ed ecco nel mio cuore
illanguidisce e tremola
la fiamma del mio vergine dolore.
128
_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
Muoio. La vita splendida
mi sorride: ma solo dal mio pianto
poteva, eco più florida,
sorger, portento imperituro il canto.
Non rimpiango; non piangere.
De l’affetto per te non mi vergogno.
Siano i tuoi baci i petali
di crisantemo sul mio spento sogno ».
129
CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
VII
L’UOMO E L’OMBRA
La tonalità dannunziana è certo la più immediata e plastica della
poesia del Capezzuto, rispondendo anche ad una esigenza psicologica:
guidare la “quadriga imperiale” almeno una volta con la fantasia, se
anche le più elementari soddisfazioni, la vita quotidiana gli contendeva. Ma, oltre questa dipendenza formale, altre considerazioni sono
indispensabili per incasellare definitivamente la sua poesia. Benché
abbia pagato il tributo a quell’entusiasmo panico che qualche critico
ebbe a definire la rosolia dei giovani”, se si getta un’occhiata globale
alla sua personalità storica, si vede che Saverio Capezzuto avrebbe
dovuto appartenere ad una qualsiasi corrente di tardi romantici e comunque di sentimentali. Egli presentiva di essere un vinto; e, malgrado la giovinezza, è difficile, specie con l’acuirsi patologico della
sensibilità, combattere in eterno con la fame e le malattie. Ma ciò che
colpisce in Saverio è la trasposizione della sofferenza nel piano di una
positività umanitaria. Verso per verso, almeno nelle parti più costruttive della sua opera, egli anela a confondersi con la umanità. Incrollabile - sansimoniana direi - è la sua fede nell’avvenire libero del mo ndo. Gli spunti della pietà, che sono così frequenti in lui e riconducono
in alcune linee di delicatezza, le note malinconiche di Lorenzo Stecchetti e di Emilio Praga, s’impongono da sole per plasmare quella che
definirei la poesia della speranza. Come tale, essa è ancora, poesia della fede e della certezza: un lirismo che ha quasi sempre per punti essenziali la Coscienza ed il Mistero. Onde anche i richiami alla elevazione civile dei poveri - nati da una congenialità personale di lui venuto faticosamente su da difficoltà innumerevoli, con la poesia di Ada
Negri - trovano serenamente il loro posto in un concetto umanitario
che risale alle tradizioni di pensiero e di sentimento dal Comte al De
Amicis. La religione sociale comtiana echeggia, per alcuni spunti, sulla base di un contatto intuitivo, e forse anche culturale, nelle pagine
del Capezzuto. Ciò si verifica quando canta - sia pure sull’aristocratica
cadenza dannunziana - l’Umanità mediatrice storica e metafisica fra la
Coscienza dell’individuo ed il Mistero delle cose e del destino, fra il
ritrovarsi dell’io nell’angustia dei termini storici e lo slargarsi magico
ed impressionante delle prospettive dell’Universo.
L’elemento umanitario svolge infine una mediazione psicologica,
riassorbendo qualche emergenza esistenzialistica che mi sembra potere identificare, alternata ad un “elan vitale” abituale, per esempio in
Battesimo di forza (a Mario Guerra):
« La natura è in gran festa. In ogni fibra
Scorrere pur mi sento
Un èmpito di forza, che mi vibra
Come il pensier che frémita co ‘1 vento.
130
_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
E forte e altero, co 1’ mio canto alato,
Vado verso l’aurora.
Lungi da ‘1 mondo e da ‘1 mortal peccato.
Con una fede che risplenda ancora!
……………………………………..
Così sugello il moto a ‘l mio destino
Che regna senza nome.
Ma che vuole l’offerta, ne ‘1 mattino.
Quando sciolgo le bronzate chiome
In un raggio di luce, ne ‘1 gran giorno.
Il mio genio fecondo
Si consacra all’idea, e, ne l’intorno
S’abissa vèrgine il mister profondo!
Ma da ‘1 ciel piove una suprema essenza
Che ne l’alma si smorza,
E’ quella de l’amore la potenza,
ne ‘1 battesimo sacro de la forza ».
La sutura fra lo spirito di conquista e il senso dell’ignoto che accomp agna i più arditi voli, si compie in Suicida (a Luca Bismani), con
la oggettivazione dell’angoscia nel « fratello esangue » il quale si è tolta la vita; egli rappresenta il cliché dell’antitesi che l’io intende superare, benché il sangue “accechi di spavento” e il “mistero” ancora
tenga in sé prigioniere “la forza e la speranza de la vita”. Fino a quando quella impenetrabilità ha avuto permanenza, il suicida confessa:
« Ne ‘1 sogno orrendo de la grande sorte
La vita mi sembrò un vanente gioco ».
La Sentenza, (ai miei maestri), malgrado qualche tortuosità ed imperfezione, sembra alimentare la immagine di un superuomo plasmato
di sangue e d’ombra su un fondale notturno che ha qualcosa di sacrificio umano e spunti di misteriosità, più che pascoliani, vicini al Graf,
e perfino evangelico-giovannei, malgrado i riecheggiamenti dannunziani del cielo precipitato nel mare e della luce preda dei gorghi:
La luce fuma ne la notte estiva,
Offerta consacrata a ‘1 patto ignoto,
Sembra solenne: ne l’età festiva,
Che si consuma pe ‘1 supremo voto,
«
I nugoli di fumo rosseggianti
E s’alzano e s’addensano ne ‘I cielo,
Cosi coprendo di nerastri manti
Tutto l’eterno misterioso velo!
Il velo immenso de la vita occulta
Stretto e sospenso da una forza immune
Da macchie per la vita ancora sculta
Sotto il comando d’un etrusco nume.
131
CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
Tutto il mister precipita ne ‘1 fondo
De l’abisso vivente e grande sta;
Solo la luce, preda da ‘1 profondo,
Forse s’immola per l’eternità! ».
Il quadro di esaltazione del superuomo -poeta che ha quasi mo menti di discesa agl’Inferi, non si compenetra formalmente nella elevazione sognata, ma non è privo di una soluzione positiva:
Morir non devi quando l’ombra scende,
O immagine de l’ombra che sarà,
Ombra ne l’ombra che dissolta pende,
Tu sei la forza de l’Umanità».
«
L’Umanità è il principio risolutivo del dramma io-mondo ed il suo
valore rende possibile una unità etico-estetica, come in La vita:
« Perché demente, pallida e sconvolta,
Tu cerchi, invano ne ‘1 mistero, un’orma
De la felicità ch’ha come scolta,
La morte bieca da la triste forma?
La pace de la vita che s’inchina
E’ ne l’amore tanto e ne ‘1 perdono,
Ecco il tutto de l’opera divina,
E della nostra gioia il più gran dono.
D’una lotta d’amor rinnovatrice
La vita sia e con la libertà
Regni la gloria, già fecondatrice,
Sol su chi visse per l’Umanità ».
L’Arte dunque si allinea con la Pietà ed acquista valore di redenzione, è liberatrice per l’individuo e per le genti. La Poesia è strumentalità catartica.
In certo senso si può dire che, secondo il Capezzuto, abbia la funzione di rendere gli uomini consapevoli del significato del loro valore.
Almeno per chi non viva in beata incoscienza, il dolore è fatto innegabile e, di conseguenza, nota universale. Ma quale dolore? Non quello
autocontemplativo di Andrea Sperelli dinanzi alla Chimera; neppure
quello fatalisticamente insuperabile del Leopardi; forse è il soffrire
degli uomini abbandonati dalla insensibilità degli Dei, come per Lucrezio, ma la soluzione che subentra, ipotesi o proposta a siffatto constatare, non è l’aspirazione nichilistica alla indifferenza. Si tratta invece del riconoscimento universale della umanità in base alla quale Saverio, come Zvanì, vede nei propri simili, altrettanti fratelli e sorelle.
In seno a tale dolore germoglia la speranza dei vinti. Non la speranza
di vincere a loro volta; piuttosto l’ansia di servire ad una purificazione
dell’intero genere umano, di affrettare l’era in cui, vinte la miseria e le
malattie, gli uomini dovrebbero essere un poco migliori.
Saverio Capezzuto dunque si può davvero riconoscere, com’egli
132
_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
sentì e disse, al centro di un dramma universale e direi che lo consacri
questa l’ultima sua forse poesia incompiuta, la prima de Il trittico del
Martirio che aveva trascritta in testa ad una nuova progettata raccolta
dei suoi canti, su un quaderno che porta la data “Foggia Sabato, 24
Marzo 1917 “ ed il titolo “Martirio”. Mentre il contenuto raccoglie le
punte più limpide del suo dramma umano, il suono delle terzine offre malgrado qualche impercettibile reminiscenza del “cuore profondo”
del protagonista de Il Piacere - una sintesi stilistica di quell’ideale approdo cui, secondo il giudizio stesso del Croce, sarebbe senz’altro
giunto col tempo. Ma al tempo, Saverio quasi più non apparteneva:
-
-
Vent’anni’………….Si, vent’anni di martirio
E d’abbandono, e questo non nascondo
Nell’alterezza del mio gran delirio.
Nel nome del dolore io venni al mondo,
E seppi del dolor l’atroce morso,
E di quel morso il dolce canto inondo.
«
Ancora………….. ancora nel vitale corso
Il dolore m’insegue e mi corteggia:
Io piango; ma di me non ha rimorso.
Ed il mio grido gitto mentre albeggia
Novo travaglio; ma nel ciel si spazia;
Allora io canto ed il mio canto echeggia.
Del mio martirio l’anima si sazia,
E nell’iride pura del mio sogno
Contemplo del dolore la sua grazia.
Lungo il calvario ad aspre lotte agogno,
E raggiante di luce il guardo tendo
Se nel risveglio palpita il bisogno.
E dai domini dell’ignoto attendo
La voce che m’insegue dalla culla;
Ma nell’attesa l’anima protendo.
Spasimare in silenzio non è nulla
Per me…………Cerco la strada dolorosa,
Perché l’anima mia sempre fanciulla
Diventi un dolce bocciuol di rosa ».
CARLO GENTILE
133
CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
VIII
MATERIALI DI NOTIZIA
A NOI! (a cura della Federazione Studentesca Saverio Capezzuto di
Foggia. Direttore Ferdinando Guerra. Cappetta. Lucera. E’ un numero
di saggio contenente una protesta contro il progetto della riforma Croce e risale all’epoca del primo dopoguerra: introduzione degli esami di
Stato).
AURORA (L’) Recensione dei Canti dell’Umanità (Foggia, 15 novembre 1914).
BUCCI A.O. S. C. il poeta povero (Momento sera, 17 settembre
1957).
id. S.C. il poeta della lame (Il Foglietto. Foggia, 18 agosto 1960).
id. S.C. (Vecchia Foggia, 3a serie, Cappetta, Foggia, s.d.).
CAPEZZUTO G. Onoriamo S.C. (lettera, con commento redazionale.
Il Gazzettino Dauno. Foggia, 12 gennaio 1957).
COMUNE DI FOGGIA Intitolazione della via S.C.
CROCE B. Lettera al Tramonte (Napoli, 10 giugno 1948).
LUONGO G. La poesia di S.C. saggio critico (Aldina, Napoli, 1917;
dedica al fratello Eugenio e cop. ill. con caricatura di S.C.).
RASI G. S.C. poeta povero; per l’anniversario della morte: 21luglio
1917 (Il Rinnovamento. Foggia, 27 luglio 1924). id. PUGLIA, n. 7-8,
1926.
RAVA’ G. Un giovane poeta (Il Risorgimento. Roma, 24-31 maggio
1917. E’ la recensione dei Canti dell’Umanità).
TARONNA M. S.C. (Il Messaggero, 2 gennaio 1957).
id. In tema di toponomastica foggiana. Ricordiamo S. C. (Nuovo Corriere di Foggia, 3 marzo 1971).
(C.G.)
134
_________________________________________________________________________SAVERIO CAPEZZUTO
IX
BIBLIOGRAFIA (accertata)
La Canzone di Milano. (da il Poema de la Gloria). Prem. Tipografia
Operaia. Foggia, 1913 (dedica a Francesco Gentile. Presentazione di
Ugo Mariani. In appendice: La mia vita e Commiato).
La Canzone di Giovanni Pascoli id. 1913 (dedica ai Genitori Salvatore e Maria ed alle Sorelle Amelia e Vincenza).
Faville nell’ombra. Versi. id. id. 1914 (dedica ad Ettore Valentini).
Canti de l’Umanità. (con copertina di Luca Bismani). La Fiorita. Teramo, 1914 (dedica alle Anime grandi).
La Canzone di Antonio Salandra. La Tipografica Romolo Fuiani. Foggia, 1915.
Cuor che sanguina. Monodia. Prem. Tipografia Operaia. Foggia, 1917
(dedica a Massimo Farina. Stampata a beneficio della famiglia
dell’autore).
Pietà! Monodia. id. id. 1917 (dedica a Matteo Incagliati. Pubblicata a
cura dei soci del Circolo “ Italia Nova “).
(C. G.)
135
CARLO GENTILE______________________________________________________________________________
X
BIBLIOGRAFIA
(di probabili edizioni esaurite e introvabili o di preparazioni e progetti)
La Canzone della Patria. 1913
Sicut Lilia (bozzetti). 1915
Le novelle de l’ignota.
I sonetti de l’Amore.
La Canzone di Milano 2a edizione.
Il Poema della Gloria (La Canzone di Milano ne dovea essere una
parte, V I, I).
La Vergine dei fiori (tragedia in 4 atti). Amalasunta (dramma in 5 atti).
Verginità (liriche).
Amore novo (liriche).
Verginità corrotta (romanzo). Di questo e dei due libri precedenti appare un annunzio nel 1913 (sulla copertina de La Canzone a Giovanni
Pascoli): “volumi di circa 300 pagg. ciascuno a Lire 3 presso M. Rana
e C. Milano”.
Liriche de la Trilogia (Il Fuoco, il Sangue e la Terra).
Appunti (critici) di letteratura contemporanea (ne parla a Massimo
Farina (ved. Cuor che sanguina) come di probabile materiale di collaborazione a “Vela Latina” di Ferdinando Russo). Potrebbero essere
anche Le Note critiche della letteratura moderna destinate ad una rivista di Ettore Arculeo. “I nuovi Romantici”).
Note su Bergson e Paulsen (cfr. precedente cenno al Farina). L’offerta
de ‘i sangue (romanzo).
La via fiorita. Voluttà d’amore (una o due raccolte progettate di poesie
varie (anche pubblicate in precedenza) la cui dedica sarebbe suonata
probabilmente cosi’: “a Liliana/che ho amata ed amo/perché/nel suo
dolce riso/riviva onnipossente e solenne/il voto sacro dell’amore/pel
nostro connubio/avvenire, oppure a Liliana/l’amante ignota/del mio
sogno).
Inediti: quattro poesie (Figlio del Popolo, Miniatura, L’Occulto
dramma, Il Poeta allo specchio) e sei componimenti lirici senza intitolazione. Materiali di epistolario, dediche ecc.
(C. G.)
136
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XI
PROSE INEDITE (accertate e probabili)
Articolo in difesa di Nicola D’Atri contro Pietro Mascagni (dedica al
Dottor Francesco Paolo Bucci). Lo spunto proviene da una corrispondenza da Cerignola sul “Rinnovamento” circa una frase denigratoria
che il Mascagni avrebbe pronunziato in casa Cavalli; il tono è violentemente polemico. Datata 1914.
Il salotto Rococò (novella dedicata a Virgilio Guarducci). Il tono convenzionale degli “epicurei” di fine secolo e la stanchezza
dell’intreccio, si costellano d’interessanti riferimenti forse anche biografici. Liliana, Rodolfo Giuliano, Leonardo Novelli, Rosalba Ghirlanda, Rina Diana, Antonio Ritrovato, Roberto Fini, Michele Gentile,
Erasmo La Scola, Ferdinando Nardella, Teobaldo (?), Giulio Ranone
Vitelleschi, Icilio Branconi, Teodoro Reniani, Cleonice Piumani, la
pasticceria di Manlio Del Canto, l’albergo Risorgimento ecc. Alcuni
naturalmente rientrano nella fantasia manieristica di origine dannunziana.
Rinascita e fierezza italica (conferenza). Risale forse al 1915: riprende, a parte la polemica occasionale, il motivo della dignità nazionale
rivendicata, specie per quanto concerne — in pascoliana e sociale tonalità —il problema dell’emigrazione. Contiene anche un panorama
delle Città d’Italia e evidenzia quell’atmosfera di sconfinata speranza
che caratterizzò l’inizio della guerra. Termina: « E dal Campidoglio al
Quirinale, dalle Alpi al mare, l’Aquila delle nostre vittorie celebra la
nostra rigenerazione, la rinascita di un grande popolo... ».
Vojislav I. Ilye saggio critico sul Poeta slavo con un cappello (forse
anche per una conferenza) ispirato agli avvenimenti del 1914 (« Belgrado è in armi. Dalla reggia dell’austero re Pietro è partito il grido di
guerra. Guerra di liberazione... ». Il saggio (di cui si possono riscontrare la minuta e una bella copia forse non mai spedita) comprende
una larga scelta di brani poetici tradotti (non saprei se personalmente
dalla lingua originale). 1914 (probabile data).
(C.G.)
137
LOTTE POPOLARI E FORZE POLITICHE
NEL MEZZOGIORNO D’ITALIA
(1 a parte)
IL MOVIMENTO METANIFERO NEL SUBAPPENINO DAUNO
(maggio - luglio 1969)
Premessa
In seguito al rinvenimento di circa 50 miliardi di metri cubi di metano, nel Subappennino foggiano meridionale nacque un movimento
popolare, che, dal 1964 al 1969, prima in modo piuttosto informe e
confuso, poi (maggio - luglio 1969) con richieste ed articolazioni più
chiare ed incisive, rivendicò, attraverso una serie di lotte, lo sfruttamento sul posto della preziosa ricchezza, o, comunque in contropartita, la creazione di un adeguato numero di posti di lavoro, per arginare l’emorragia migratoria.
In queste note, dopo aver fornito rapidi, ma essenziali, cenni sulla
storia dell’intera vicenda e sugli atteggiamenti delle forze economiche
e politiche coinvolte — un’ampia e dettagliata ricostruzione, con taglio spiccatamente « politico », è apparsa in altra sede, alla quale peraltro si rinvia per una più esauriente informazione1 —viene operato un
tentativo di analisi, in chiave storico-sociologica e con le implicazioni
politiche connesse, della complessa fenomenologia, che caratterizzò in
modo originale quella specifica lotta popolare.
Il ricorso a motivi e categorie proprie della sociologia, di « quale
sociologia » si dirà, non dovrebbe conferire a queste note un’aura di «
neutralità oggettiva », continuando a credere, chi scrive, che anche su
questo piano debba scegliersi un preciso punto di vista politico e porsi
in una conseguente prospettiva storica.
I FATTI: CENNI STORICI
I luoghi
Si può ragionevolmente dividere la provincia di Foggia in tre distinte aree economiche: Gargano, Tavoliere, Subappennino.
Mentre le prime due trovano nel turismo, il Gargano, e nell’agri-
1
M. GIORGIO, Cronaca esemplare di una lotta popolare nel Mezzogiorno: La
sconfitta del Subappennino Dauno. La scoperta del metano - La « marcia dei trentamila
». In: « BASILICATA », Roma-Matera, A. XX (1976), nn. 3/4, 5/6, 7/8, pp. 25-34, 3139.
138
_________________________________________________LOTTE POPOLARI NEL MEZZOGIORNO D’ITALIA
coltura, il Tavoliere, i settori di chiara caratterizzazione e di evidente
suscettività di progresso, il Subappennino, per contro, non presenta alcuna valida prospettiva di sviluppo: siamo nel profondo Sud, nelle
lande più desolate della cosiddetta « questione meridionale », nelle
zone — secondo la legge — di « particolare depressione economica »,
nei territori dell’« osso », per ricordare la locuzione fortunata del Rossi Doria.
Le linee del dramma sono note: emigrazione, spopolamento, povertà, polverizzazione aziendale, degradazione territoriale, deterioramento e senescenza umana.
Focalizzando l’attenzione sull’area meridionale, e specificamente
sui cinque comuni interessati dal ritrovamento del metano — Ascoli
Satriano, Candela, Deliceto, Racchetta S. Antonio e S. Agata di Puglia
—, ci si limita, in questa sede, a confrontare i dati, relativi alla popolazione, dei censimenti 1951 e 1971.
Con un decremento del 34,6%, si passa da 38.794 a 25.657 abitanti: una perdita secca di 13.137 unità; lo sfacelo registra questi dettagli: 46% in meno a Candela; 40,2 a Racchetta; 33,7 a S. Agata; 28,6
ad Ascoli; 24,5 a Deliceto; densità ridotta a 45 abitanti per Kmq.2 .
Per concludere: « Il Subappennino dauno — afferma il Panerai —
è la parte più povera della Capitanata ed a ciò concorrono fattori naturali e deficienze di infrastrutture; vi predominano i seminativi nudi e,
con largo scarto, i pascoli permanenti nei terreni non guastati dalle valanghe » 3 .
Nella realtà così sommariamente descritta, il 13 maggio 1962 appare il metano.
Vicende preparatorie: 1962-1968
Meglio, la notizia appare su la stampa provinciale e nazionale, e vi
resta, piuttosto confusamente, in attesa degli « schieramenti » delle
parti politiche e della stessa stampa, fino al dicembre 1963, quando il
Ministro per l’Industria Giorgio, Bo, interrogato da parlamentari comunisti della zona, ammette l’esistenza di « orizzonti gassiferi », senza peraltro precisarne entità e possibili utilizzazioni.
Intanto le « posizioni » delle forze economiche e politiche si sono
a mano a mano delineate: da un lato la SNIA-Viscosa con parte della
DC — nel cui ambito l’esponente di spicco è il presidente del Nucleo
Industriale on.le De Meo —, il PSDI, attraverso il dott. Grosso consigliere provinciale della zona, e il MSI; dall’altro l’ENI con l’on.le
Russo e le forze dc. da questi controllate, e, indistintamente, le « sinistre ».
2
Vedi, in appendice, gli allegati n. 1-5; si tratta di schede socio -economiche dei
cinque comuni, tratte dal « Piano zonale del Subappennino Dauno » approntato
dall’ESA, nel 1970, su richiesta delle popolazioni interessate.
3
A. PANERAI, La montagna del Mezzogiorno peninsulare nei suoi fondamentali
aspetti e problemi economico-agrari. Bari, 1961, pag. 79.
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Nel febbraio-marzo 1964 corrono voci relative all’utilizzazione del
metano per un’industria tessile a Manfredonia e per lo sfruttamento in
loco della bauxite di S. Giovanni Rotondo. Sempre nel marzo il Comune di Lucera indice un convegno sullo sviluppo economico del Subappennino e si costituisce, ad Ascoli Satriano, un « Comitato Intersindacale » per lo sfruttamento del metano, che organizza una prima
manifestazione popolare il 5 aprile e, successivamente, un convegno,
nel corso del quale viene ammessa pubblicamente l’esistenza di non
meno di 10 miliardi di metri cubi di metano e auspicata « la necessaria
comprensione» di tutte le autorità politico-amministrative locali, provinciali, nazionali.
I lavori per la costruzione di due metanodotti — il primo dell’AGIP-SNAM da Biccari a Napoli, l’altro dell’IMI (MontecatiniSNIA) da Candela per Barletta — procedono alacremente.
Sempre nel febbraio 1964 la stampa annuncia la costruzione di uno
stabilimento petrolchimico nell’area Salerno-Napoli per lo sfruttamento del metano subappenninico. Si parla ancora di metano al Comune di Foggia e si registra una conferenza molto calda, nella Camera
di Commercio, da parte del condirettore della SNIA-Viscosa comm.
Dessy.
L’alto esponente dell’industria milanese avanza cinque richieste
pregiudiziali per insediare a Manfredonia un grosso stabilimento per
la produzione di 40.000 tonnellate annue di « caprolattame », con un
investimento di 45 miliardi di lire e l’impiego di 1.200 unità lavorative: 1) sgravio delle royalties e dell’imposta di fabbricazione; 2) utilizzazione in proprio delle fasce perimetrali dei pozzi attivi che spettano
per legge allo stato; 3) infrastrutture; 4) ampliamento del porto di
Manfredonia; 5) autorizzazione alla produzione in proprio di energia
per il funzionamento dell’impianto. Tali richieste, secondo attendibili
calcoli, sarebbero ammontate a 100 miliardi di lire.
Il periodo aprile-luglio ‘64 aveva registrato, intanto, un intervento
del Partito Liberale, una nota della C.G.I.L. in risposta alle richieste
della SNIA, la sortita di due esponenti del PSI, Ferraretti e Bucci, una
dichiarazione del segretario regionale C.I.S.L. Bruno Mazzi e le interviste dell’on.le De Meo, del citato Bucci, del segretario provinciale
del PCI, conte, e dei deputati De Leonardis, dc., e De Lauro Matera,
PSI, consigliere della Cassa per il Mezzogiorno.
Nel settembre i deputati dc. De Meo e De Leonardis « dichiarano
guerra » al collega Russo, interrogando in Parlamento sul metano di
Biccari, dove l’ENI possiede quattro concessioni. In risposta Russo fa
convocare d’urgenza il comitato provinciale DC per un chiarimento,
presumibilmente assai « vivace » con i due colleghi e contrattacca, nel
corso di un convegno dc. a Biccari, ridimensionando proprietà e consistenza dei giacimenti ENI in soli 2 miliardi di metri cubi e indicando
in Montecatini e SNIA le società che possiedono quasi tutto e che,
perciò, devono fare qualcosa, in risposta alle « giuste » rivendicazioni
popolari.
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Sotto la presidenza del sindaco di Foggia, avv. Forcella, e del presidente della « Provincia », avv. Consiglio, sorge un Comitato Provinciale Interpartitico, del quale è chiamato a far parte un terzo esponente
dc., il sindaco di S. Severo, e subito si provvede ad indire un. nuovo
convegno: su acqua e metano.
A Foggia l’anno si chiude tra vibrate proteste ed altissime lamentazioni per l’esclusione della stessa dall’ipotesi di piano C.E.E. per la
Puglia, impostata su una linea di sviluppo basata sull’asse BariBrindisi-Taranto.
Le ostilità si placano per un paio di mesi.
Per riprendere a marzo del ‘65, quando l’on.le De Meo fonda « Il
Progresso Dauno », un settimanale evidentemente « ispirato » dalla
SNIA; con una serie di articoli a firma « il trivellatore » (è l’ing. Casini della SNIA?) l’opinione pubblica viene abbondantemente informata su molti particolari, finora oscuri, della vicenda metano: i pozzi
in produzione sono 31, il giacimento è stimato intorno a 22 milioni di
metri cubi; viene resa pubblica anche la « carta » delle fasce in concessione.
Il gruppo avverso non resta a guardare; fa « calare » un alto funzionario dell’ENI, che annuncia la totale rinunzia di Montecatini e
SNIA all’insediamento di Manfredonia; il PCI, vigile, coglie
l’occasione per attaccare il Nucleo Industriale e il suo presidente De
Meo.
I comunisti, ovviamente, sostengono che è lo Stato a dover intervenire, tramite l’ENI, collegando lo sfruttamento del metano ad un vasto programma di sviluppo economico della zona, ma è « tuttavia favorevole » ad immettere il metano foggiano nella rete dei metanodotti
nazionali gestiti dall’ENI.
Il mese di maggio si apre con una manifestazione popolare a Candela; prosegue con l’atteso « convegno provinciale su acqua e metano
», al quale partecipa il Sottosegretario all’Industria F. M. Malfatti. In
apertura, l’avv. Consiglio, presidente della Provincia, tiene a precisare
che si è inteso, in tal modo, « assorbire le iniziative più diverse.., specie dei comuni più direttamente interessati, ed evitare... mozioni spesso contraddittorie ed oltranziste... senza un necessario coordinamento
e senza una serena e pacata valutazione dei fatti ».
A giugno le elezioni comunali e provinciali.
Nel corso dell’estate, mentre i metanodotti arrivano a Barletta e
avanzano sugli Appennini verso Benevento-Napoli, la SNIA-Viscosa,
all’insaputa delle « prime linee », vende tutto il metano all’ENI e si
appresta a smobilitare.
Mentre l’on.le Russo riesce ad imporre un suo uomo, l’avv. Salvatori, alla carica di sindaco di Foggia, facendo fuori l’avv. Forcella
malgrado un « richiamo » del vescovo, all’Amministrazione Provinciale viene eletto presidente l’avv. Tizzani e si continua a « parlare »
di metano.
In compenso il ‘65 si chiude con la decisione dell’ANIC di costruire in provincia di Foggia un impianto petrolchimico: investimento 30
miliardi di lire, assorbimento annuo di 400 milioni di metri cubi di
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metano, produzione 1.000 tonnellate al giorno di ammoniaca e urea.
Nel 1966 le « ostilità » quasi tacciono, per avere come un sussulto
nell’anno successivo.
Tra febbraio e marzo ‘67 si tengono, a cura di democristiani della
zona, due convegni nel Subappennino: il primo a Troia, nel quale si
discute anche di viabilità e turismo, e il secondo ad Ascoli Satriano.
Il 23 febbraio, poi, i Comitati popolari dei Comuni del « triangolo
metanifero » — Ascoli, Candela e Deliceto — organizzano a Foggia
una manifestazione « imponente, forte ed unitaria ». I partecipanti si
danno appuntamento per il 6 marzo, quando occupano « simbolicamente » la centrale metanifera di Masseriole in un « grande e spontaneo moto popolare ».
In verità la manifestazione si risolve, diranno i protagonisti, in una
« scampagnata primaverile ». Serve, comunque, a rompere il silenzio
calato sulla vicenda metano: il presidente dell’ANIC conferma l’impegno per il petrolchimico e l’ing. Crosti, nuovo presidente della
SNIA-Viscosa, fa sapere che la società sta progettando uno stabilimento tessile da ubicare nella zona del « triangolo ».
Il 22 marzo e il 18 maggio i Comitati popolari di Ascoli, Candela,
Deliceto e, si è aggiunto, S. Agata di Puglia votano due ordini del
giorno, con i quali chiedono all’ENI di « programmare investimenti
industriali nella zona metanifera ed alla SNIA-Montedison di fornire
notizie più dettagliate sulle reali intenzioni di insediamenti industriali
».
I comuni di Bovino e di Troia, « montati» dall’ex presidente della
Provincia Consiglio, pongono la loro candidatura come la più idonea,
rispetto a quella del « triangolo », per eventuali insediamenti: il segretario provinciale del PCI, sen. Conte, condanna duramente questi tentativi di divisione fra deboli e poveri.
L’autunno del 1967 vede un altro convegno DC ad Ascoli, l’annunzio ufficiale del CIPE sul IV Centro Petrolchimico a Manfredonia
e la trasformazione del « Nucleo » in « Area di Sviluppo Industriale ».
Altro « annuncio » all’inizio del 1968: uno stabilimento di motori
agricoli FIAT per un investimento di soli 5 miliardi, rispetto ai 100
previsti per l’asse Bari-Brindisi-Taranto. Ma anche questa idea verrà
abbandonata e ci si orienterà per un « grandioso » insediamento di industrie aeronautiche.
In primavera circola insistentemente la voce che lo stabilimento
promesso ai comuni del « triangolo » sarà ubicato a... 10 Km. da Foggia; infatti, verso la fine dell’anno si costituis ce la « Filatura Foggia
S.p.A. » tra Breda-Insud, SNIA-Viscosa e Cucirini Cantoni Coats:
produrrà filati acrilici all’Incoronata.
NASCITA E SVILUPPO DEL MOVIMENTO POPOLARE
Nel gennaio 1969 ad Ascoli Satriano, Lucio Moscano, Potito Moscato, Giuseppe Salsarulo, Salvatore Ruscigno, Michele Aliazzo (detto
« Cipolla ») nel salone di barbiere di quest’ultimo e insieme con altri
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amici, tutti democristiani ai margini del partito, chiacchierando del più
e del meno, si ricordano poi... quella faccenda del metano.., morto tutto da un anno e mezzo... vedere di fare qualcosa... riprende il discorso...: si poteva e doveva fare qualcosa.
Ne parlano col segretario della Camera del Lavoro, Vincenzo Giusto; si riuniscono infinite volte; si... costituiscono in... Comitato Popolare Unitario, sottoscrivendo un fondo di cassa di 11.000 lire, 500 a testa.
Operano su due fronti: quello esterno chiedendo man forte ai comuni di Candela, Deliceto, Rocchetta S. Antonio, S. Agata di Puglia, e
quello interno, cercando di coinvolgere i partiti politici in quanto tali.
Il lavoro si protrae per tre mesi.
Il comitato è composto da: 12 democristiani, 6 comunisti, 2 socialisti, i socialproletario e 1 liberale (che è operaio disoccupato). Dal
punto di vista dell’estrazione sociale troviamo: 7 piccoli coltivatori diretti, 6 disoccupati, 4 braccianti agricoli, 2 piccoli commercianti, 1
muratore, i barbiere e 1 sindacalista4 .
L’« intellettuale » del gruppo risulta Lucio Moscano, licenza media inferiore e disoccupato, perciò sopportato; perché, viene pacificamente convenuto, l’esperienza dei precedenti comitati, composti da diplomati e laureati, era fallita, proprio per la naturale predisposizione
dell’« istruito » a non eccedere, ed « essere ragionevole e comprensivo
», ad agire « con senso di responsabilità ». Si condanna, in altri termini, l’operato dei presidenti dei comitati del 1967: il missino Agostinacchio, il socialdemocratico Grosso, il democristiano Savino.
Diversa è, però, la composizione dei comitati degli altri centri, che
si vanno organizzando a seguito dell’azione stimolante di quello di
Ascoli5 .
La democrazia cristiana, intanto, oppone una dura resistenza alla
costituzione dei comitati popolari e fa affiggere dei manifesti, il 13
maggio a Deliceto e il 14 ad Ascoli, attraverso i quali si invitano chiaramente le popolazioni a non partecipare alla lotta ormai prossima e a
« confidare » nel partito: « Cosa ci si può attendere del resto — dichiara il consigliere provinciale democristiano della zona dott. Perfetto — da un comitato nato in una bottega di barbiere? ».
Gli appelli, comunque, restano inascoltati e moltissimi democristiani, anche se non pochi a titolo personale, partecipano da protagonisti all’incipiente movimento ed entrano nei comitati popolari, che
perfezionano la loro composizione ufficiale entro la prima decade di
maggio.
Il 9 di questo mese, infatti, i nuclei dei comitati si riuniscono a
Candela e giungono ad elaborare e programmare una piattaforma che
prevede:
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5
Vedi allegato n. 6.
Vedi allegati nn. 7-10.
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1) cortei e comizi unitari nei singoli paesi, per il 15 maggio;
2) marcia sui pozzi ed occupazione degli stessi, il 16;
3) approvazione del « Programma dei Comitati Comunali per lo sviluppo economico e sociale del Comprensorio di Ascoli Satriano, Candela, Deliceto, Rocchetta S. Antonio, S. Agata di Puglia ».
In più il 13 maggio, per protesta contro l’atteggiamento ostile e
sordo del Comitato Provinciale democristiano, il segretario sezionale
di Candela si dimette e i soci, come ad Ascoli, decidono di non votare
per i delegati al Congresso Provinciale.
Due giorni dopo, come annunziato, vengono tenuti comizi nei centri interessati, con foltissima partecipazione di popolo: la prova generale è riuscita!
Occupazione della centrale e chiusura dei pozzi
Il 16 maggio si marcia sui pozzi di metano, che vengono occupati
e chiusi: una fiumana di gente tesa, ma composta ed ordinata.
Non più fiori, questa volta, ai rappresentanti della SNIA, ma il disegno di un condannato che sale il patibolo e la scritta: « SNIAViscosa, abbiamo deciso », rende, anche visivamente, le intenzioni
degli occupanti.
Da tutta la provincia giungono attestati e prove tangibili di solidarietà. Due consiglieri comunisti chiedono l’urgente convocazione
del consiglio comunale di Foggia, mentre il segretario provinciale dello stesso partito, Carmeno, chiede che l’Ente di Sviluppo Agricolo e
l’Ente Irrigazione prendano contatti con i comitati popolari e approntino il richiesto Piano Comprensoriale.
Ogni giorno, fino al 19, 14/15 mila persone si portano alla centrale, dove intanto sorge una tendopoli per gli occupanti.
La SNIA, attraverso Dessy, fa conoscere che è disposta ad assumere nei paesi del metano l’80% della manodopera per la costruenda
fabbrica dell’Incoronata. I comitati respingono la proposta e, mentre
ad Accadia sorge un sesto comitato popolare unitario, pensano di ristrutturarsi attraverso la creazione di un Comitato Intercomunale, meno pletorico e più adatto per controllare tutto un meccanismo di iniziative, quindi con un migliore coordinamento dell’azione e una gestione
più concentrata e duttile dell’immensa carica politica e psicologica del
movimento6 .
Il 20 si decide: 1) sciopero generale in tutti i comuni, per venerdì
23; 2) marcia su Foggia per lo stesso giorno; 3) adeguata pubblicizzazione di tali iniziative, attraverso la stampa, manifesti e volantini.
Il Consiglio Provinciale, convocato d’urgenza, stanzia 10 milioni a
favore degli EE.CC.AA. dei comuni interessati e siede in permanenza;
il Consiglio Comunale di Foggia aderisce alla manifestazione del 23 e
stanzia i milione a favore degli occupanti: questi soldi, in verità, non
6
Vedi allegato n. 11.
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arriveranno mai agli occupanti e avranno solo l’effetto di spegnere una
generosa sottoscrizione popolare.
La « marcia dei trentamila »
Il questore di Foggia autorizza la manifestazione sul capoluogo, «
a condizione che si svolga nei limiti della legalità »; lo si avverte che
non si risponde di eventuali infiltrazioni provocatorie e si consiglia di
affidare il servizio d’ordine, oltre che ai comitati, ai carabinieri dei
singoli comuni: la proposta è accettata.
Venerdì 23 maggio da tutto il Subappennino migliaia di contadini,
braccianti, artigiani, commercianti, piccoli coltivatori, studenti, casalinghe giungono a Foggia, attesi da settemila studenti, da rappresentanze di tutte le categorie cittadine, da sindacalisti, politici, dai consigli comunale e provinciale, da privati cittadini e da delegazioni di altri
comuni della provincia: trentamila persone!
Comitati, sindaci e presidente della Provincia illustrano al Prefetto
un pacchetto di precise richieste, ma la risposta non può che essere
evasiva. In serata viene diramato un comunicato, in cui si afferma di
voler continuare ad occupare la centrale metanifera e a lottare fino ad
« impegni precisi ed inequivocabili delle autorità governative ».
Il giorno dopo la DC di Troia esprime agli occupanti la propria solidarietà; si recano sui pozzi anche il sindaco e il vescovo di Bovino;
la SNIA preannunzia l’arrivo di tecnici per la scelta dei terreni, sui
quali far sorgere l’impianto destinato all’Incoronata.
I parlamentari comunisti Pistillo, Magno, Di Vittorio Berti, Specchio e Mascolo protestano, insieme con il comitato, per il rinvio « sine
die » di un incontro fissato col Ministro degli Interni.
Viene localizzata sulle rive del Carapelle, in agro di Ascoli Satriano, la zona per la costruzione della fabbrica di cucirini.
Il 29 maggio il Presidente della Provincia, accompagnato dai capigruppo consiliari e dai sindaci di Ascoli, Candela e Deliceto, viene ricevuto dal capo gabinetto della Presidenza del Consiglio, dott. Piga,
che « prende atto » del pacchetto di richieste ed assicura un « benevolo » interessamento. Tornata da Roma, la delegazione chiede una
tregua della lotta, sostenendo di aver ottenuto un « impegno autorevole... in maniera chiara, aperta, ufficiale »; inutile dire che i comitati
non prendono neanche in considerazione la richiesta.
L’on.le Lenoci, PSI, e i comunisti Reichlin, Pistillo ed altri continuano ad « interrogare » in Parlamento.
Il primo giugno il prefetto fa circolare un telegramma, col quale la
Presidenza del Consiglio assicura di « aver fermato particolare attenzione su alcuni problemi provincia ». Il giorno successivo il Ministro
per il Mezzogiorno Taviani si reca a S. Agata, dove, in clima eletto-
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rale, s’impegna coi comitati a finanziare tutti i progetti esecutivi pronti
della zona: dopo un rapido giro di ricognizione presso le amministrazioni locali si accerta che di progetti pronti non esiste nemmeno uno!
Nella riunione del 3 giugno i Comitati decidono di impegnare il
presidente della Provincia a rendersi promotore di un incontro con gli
enti pubblici preposti e le forze sindacali per la elaborazione di un
Piano Comprensoriale e un blocco di proposte concrete. Si decide pure di convocare tutti gli esponenti politici della circoscrizione per un
esame congiunto della situazione e per impegnarli a far finanziare i
piani preparati dagli enti tecnici.
Nel corso di tale riunione i sottosegretari Di Vagno e Pellicani assicurano il loro impegno e chiedono, a loro volta, una tregua, che i
comitati rifiutano ancora.
Espansione del movimento e sciopero regionale
Mentre l’occupazione della centrale continua, a Cerignola, Bovino,
Casalvecchio di Puglia, Castelnuovo della Daunia ed in altri centri
sorgono comitati popolari, in appoggio alle popolazioni dei comuni
metaniferi e per loro specifiche rivendicazioni.
Il 10 giugno tutta la Puglia attua uno sciopero generale.
Segni di stanchezza e di esasperazione cominciano intanto a serpeggiare tra le popolazioni: si minaccia l’occupazione delle stazioni
ferroviarie e di far saltare in aria la centrale; c’è anche chi pensa di minare il ponte Parozzo sulla ferrovia Foggia-Potenza. Comunque, pur
essendo tempo di massimo fervore nei lavori agricoli, i turni di guardia alla centrale vengono regolarmente mantenuti.
Ancora un comitato popolare si costituisce a S. Giovanni Rotondo
in appoggio a quelli della zona metanifera e, soprattutto, per rivendicare dal Governo l’impegno a non far smobilitare la miniera di bauxite, sfruttata da trentanni dalla Montedison.
Il 14 giugno i braccianti di Cerignola « marciano » sulla Marana
Capacciotti per sollecitare l’inizio dei lavori di costruzione della diga
da tempo progettata: attualmente i lavori sono ben lungi dall’essere
terminati.
Nella seconda quindicina di giugno, chiuse le scuole, gli studenti
della zona prendono il posto degli operai nei turni di guardia ai pozzi.
Gli inviti alla tregua si moltiplicano, anche da parte dei vescovi.
Convocate dai comitati, il 19 e 23 giugno alla Provincia, si tengono
due riunioni coi presidenti e i tecnici dell’Ente Irrigazione, dell’Enel,
della Camera di Commercio, con rappresentanti sindacali e politici,
che vengono messi impietosamente sotto accusa.
Il i giugno, intanto, era « calato » a Foggia il gruppo dei « meridionalisti baresi » a portare la solidarietà della « cultura » e per un
primo incontro con « le forze amministrative, politiche, sociali, sindacali e culturali della provincia ». Vittore Fiore, segretario del gruppo,
presenta un documento, nel quale rivela « clamorosamente » che la
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provincia di Foggia è « uno scrigno chiuso, pieno di immense ricchezze, totalmente o quasi da aprire ». Il dibattito viene aggiornato, per un
secondo round, al 5 luglio in Deliceto.
Il prefetto, il 24 giugno, firma e fa circolare il decreto di autorizzazione all’accesso nei terreni privati per l’ubicazione precisa, nel territorio di Ascoli, dello stabilimento di cucirini.
Il giorno successivo i Comitati si riuniscono alla centrale e decidono di continuare la lotta e occupare la centrale fino al 7 luglio,
(giorno fissato per una riunione del CIPE).
Il 6 luglio, per la scissione del partito socialista, si dimette il Go verno Rumor.
Verso l’epilogo
Nella riunione del 7 luglio accade un fatto nuovo: il comunista Nicola Di Stefano, praticamente il più alto dirigente politico — presidente dell’Alleanza Contadini — in seno ai comitati, si presenta col
testo bello e pronto del documento, che sarebbe dovuto scaturire dalla
riunione stessa, e con un elenco-bilancio degli impegni assunti.
La considerazione altamente « positiva » dei successi che, secondo
i comunisti, sarebbero stati raggiunti, insieme con la riconosciuta risonanza nazionale avuta dal movimento, fa intuire che evidentemente
il Partito Comunista ha deciso di mollare.
E, di fatto, si assiste, d’ora in poi. al progressivo sgretolamento e
infiacchimento della lotta: S. Agata di Puglia e Accadia si ritirano tacitamente; Candela e Rocchetta non sempre riescono ad assicurare i
turni di occupazione; Ascoli Satriano e Deliceto, col passare dei giorni, vengono meno.
Il 10, l’11 e il 13 luglio i comitati unitari si riuniscono nei vari comuni e decidono, non senza qualche difficoltà e dopo le assicurazioni
sull’acquisto dei terreni entro luglio e sull’inizio dei lavori di costruzione della fabbrica di cucirini entro agosto, di abbandonare la centrale. Dopo 56 giorni d’occupazione.
Sull’eco di un ventilato accordo tra ENI e SNIA per un grosso insediamento industriale, i comitati si riuniscono ad Accadia il 26 settembre, invitano il presidente della Provincia a promuovere incontriverifica degli impegni assunti e decidono di effettuare manifestazioni
e comizi nei comuni interessati per domenica 5 ottobre.
Iniziati regolarmente i lavori per la costruzione dello stabilimento
di cucirini, l’8 ottobre viene presentato ufficialmente il « Piano Zonale
Agricolo » del Comprensorio. Il documento prevede una spesa complessiva di 24 miliardi di lire; esso viene consegnato ai sindaci e al
presidente della Provincia per essere ridiscusso, in una successiva riunione, alla luce di eventuali suggerimenti e proposte che gli stessi vorranno avanzare. Ma non se ne farà più niente.
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Denunzie e « festa grande »
La lotta è finita. Restano, amaramente, 305 lavoratori denunziati,
alla maggioranza dei quali verrà negato il « visto » sui passaporti,
chiesti per andare a trovare all’estero quel pane che non sono riusciti a
procacciarsi in Italia. C’è, poi, la beffa finale!
Il 25 settembre 1971, alla presenza di un foltissimo stuolo di autorità, il sottosegretario ai Lavori Pubblici Vincenzo Russo inaugura lo
stabilimento di cucirini, che occupa 150 unità lavorative.
Stampa e TV, giubilanti, osannano l’ultimo successo della classe
dirigente democristiana: - Ad Ascoli, si scrisse, oggi è festa grande -!!
* * *
SVILUPPI E CONSIDERAZIONI
« ... Ogni uomo vive per sé, si vale della libertà per il conseguimento dei suoi fini personali e sente, con tutto il suo essere, che può
immediatamente compiere o non compiere una data azione; ma non
appena la compie, questa azione, compiuta in un dato momento del
tempo, diviene proprietà della storia, nella quale ha un significato non
libero, ma predeterminato da tempo immemorabile... » 1 .
In tale prospettiva finanche Napoleone diventa prestanome, etichetta; il tempo, del resto, è convenzione umana come tante altre; e
voler isolare, nel suo eterno presente, eventi e situazioni è arbitrio e
forzatura, che comportano il grosso rischio di non permetterci di capire, per carenza prospettica, cosa e chi c’è dietro, e prima, di fatti, persone, avvenimenti; senza dire che anche queste dimensioni spaziotemporali sono di mero carattere euristico.
Il « taglio » di un fatto, nella storia, ci appare, solo, espediente utile a situare, nell’arco vitale che ci compete, una serie di accadimenti
che la nostra finitezza e temporalità dimensiona come macroscopici,
emblematici e, perciò, degni di richiamo per valutazioni più attente;
sempre affidate, s’intende, a specifiche sensibilità e capacità d’inquadramento storico.
Tuttavia non crediamo all’indeterminato o al predeterminato, e
meno che mai all’ineluttabile, consci come siamo del valore pregnante
di ogni esistenza, del significato, pur’esso storico, di qualsiasi testimo nianza, dell’importanza, ai fini della determinazione del reale, di ogni
personale impegno etico-politico2 .
1
L. T OLSTOI, Guerra e pace. Traduzione di Erme Cadei. Milano, 1971, 4a ed., pp.
13 e 15.
2
« Incalzante per noi, che viviamo e pensiamo tutti storicamente — afferma il
LÖWITH —, non è la natura sempre identica dell’uomo, bensì il mutamento della sua
situazione storica. Risalta il fatto che lutto diventa diverso da come era. Mentre non si
nota che in tutti i mutamenti delle condizioni di vita la natura dell’uomo permane — per
quanto l’uomo in generale rimane un uomo, e il ‘tipo’ uomo non si ‘dissolve’, come af148
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Movimenti organici e movimenti occasionali
Rivendicando l’esperienza dei singoli, però, nello spaccato di storia sociale e politica di una comunità del Mezzogiorno che si è tentato
di delineare, non si dimentica, altresì, che proprio « la storia sociale...
si interessa prima di tutto dei comportamenti collettivi e si basa su dati
quantitativi, mettendo in primo piano quegli elementi che, di solito,
costituiscono lo sfondo del racconto storico convenzionale. Nella «
tragedia » della storia sociale, invece, la collettività è tutto e gli attori
che giocano i ruoli principali non sono che delle comparse... I protagonisti sono sì uomini; ma non individui isolati, bensì categorie,
masse, folle, classi, popolazioni... qui non vi è posto per primi attori e
personalità eccezionali » 3 .
L’ambito in cui ci si muove è quello di pervenire ad un maggiore «
controllo » di uno specifico fenomeno sociale, di per sé non dotato di
concretezza e di una esistenza reale ed oggettiva ai fini di una « lettura
» scientifica — per la natura complessa, sfuggente, talvolta irridu-
ferma Dilthey, nel processo storico... I destini della storia da noi subiti, che ci colpiscono e in pari tempo siamo noi a provocare, sembrano determinare a tal segno l’uomo in
tutta la sua esistenza, che egli può soltanto pensare di essere, nolens-volens, vincolato
per la vita e per la morte alla storia. L’uomo attuale non vive nell’ambito della natura,
ma esiste nell’orizzonte della storia, di una storia il cui movimento si fa sempre più ampio e rapido, e con il quale noi dobbiamo bene o male tenere il passo, per non perdere il
terreno di sotto i piedi. Una storia che sempre muta volto all’improvviso, esige
dall’uomo determinate decisioni con le quali egli vuole il più possibile influenzare il suo
corso. Ciò che in nanzitutto occupa l’uomo comune di oggi e lo tocca direttamente, non
è quindi il tacito sorgere, il crescere e perire dei fenomeni naturali terrestri, né tanto meno il movimento regolare, le rivoluzioni dei corpi celesti, bensì le crisi e le rivoluzioni
storiche, i trapassi e i tramonti... Eppure vi può essere un tempo storico solo in quanto
nel corso e nel processo fuggevole della storia compare un elemento duraturo, anche se
non eterno. L’informazione storica perderebbe qualsiasi interesse e senso, se anche gli
avvenimenti della storia fossero solo transitori e non rimanessero almeno relativamente
durevoli. Anche le rivoluzioni politiche, che fanno piazza pulita di tutto quanto esisteva
in precedenza, sono significative per la storia e storicamente considerevoli soltanto se
hanno conseguenze ampie e durature, e quindi sopravvivono a se stesse. La durata rappresenta la forma più elementare della storiografia e della vita storica », in: Critica
dell’esistenza storica. Napoli, 1967, pp. 210-217 passim.
3
T. CAPLOW, L’enquéte sociologique. Paris, 1970, IIe ed., pp. 243-244; intanto, si può
convenire che « la storia so ciale si mostra ancora come un oggetto quasi completamente
da definire, al punto che pensarla come ‘scienza in formazione’ risulta restrittivo, perché essa si presenta più come un’impostazione di ricerca e un’esigenza fortemente sentita da tutte le scienze sociali, che una disciplina particolare da affiancare alle altre », in:
Storia (La) sociale. Fonti e metodi. [Colloquio dell’Ecole Normale Supériore di SaintCloud, 15-16 maggio 19651. Edizione italiana a cura di Fabrizio De Vecchis e Fiammetta Mignella Calvosa. Firenze, 1975, p. 8; nello stesso volume si vedano, segnatamente, i contributi di Albert SOBOUL e Maurice CRUBELLIER; ma anche F. BRAUDEL, Scritti sulla storia. Milano, 1973, in particol. pp. 168-182; e, soprattutto, le considerazioni avanzate da E. J. HOBSBAWM, Dalla storia sociale alla storia della società.
In: « Quaderni storici ». Ancona A. VITI, n. 22, p. 49.
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cibile, propria dei fenomeni sociali —, attraverso una ricostruzione
storica dello stesso.
Avvertiti anche che « l’errore in cui si cade spesso nelle analisi
storico-politiche consiste nel non saper trovare il giusto rapporto tra
ciò che è organico e ciò che è occasionale, perché si finirebbe così o
con l’esporre come immediatamente operanti cause che sono operanti
mediatamente o con l’affermare che le cause immediate sono le sole
cause efficienti; nell’un caso si ha l’eccesso di ‘economismo’ o di dottrinarismo pedantesco; nell’altro l’eccesso di ‘ideologismo’; nell’ un
caso si sopravvalutano le cause meccaniche, nell’altro si esalta
l’elemento volontaristico e individuale.
La distinzione tra « movimenti » e fatti organici e movimenti e fatti di « congiuntura » o occasionali, dev’essere applicata a tutti i tipi di
situazione, non solo a quello in cui si verifica uno svolgimento regressivo o di crisi acuta, ma anche a quelli in cui si verifica uno svolgimento progressivo o di prosperità, e a quelli in cui si verifica una stagnazione delle forze produttive. Il nesso dialettico tra i due ordini di
movimento e, quindi, di ricerca difficilmente viene stabilito esattamente; e, se l’errore è grave nella storiografia, ancora più grave diventa nella politica, quando si tratta non di ricostruire la storia passata, ma
di costruire quella presente e avvenire » 4 .
Sulla scorta di tale suggerimento metodologico si è pazientemente
perseguito il tentativo di ricostruzione storica dei fatti; non si disponeva di alcun modello teorico, peraltro, da verificare 5 ; né ci si sarebbe
voluti attardare in considerazione ex post, che taluno potrà ricavare —
i fatti essendo quelli descritti — sia sul piano storico-sociale che su
quello più precipuamente politico.
E pure, per quanto attiene ai problemi del Subappennino dauno, un
bilancio dei risultati, e delle ripercussioni riscontrabili nel tempo, è lecito tracciare; e non inutili sono da ritenere alcune riflessioni sulla dinamica degli avvenimenti, sui fenomeni rilevati e sulla problematica
sollevata da quell’« unicum storico » che fu il movimento pro-metano.
Se si pensa, infatti, allo stato ed alla politica di abbandono totale,
in cui era tenuto relegato il Subappennino non solo in passato, ma anche dagli strumenti programmatori che si andavano apprestando in
4
A. Gramsci, Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno. Roma,
1971, pp. 65-66.
5
Del resto, « di fronte alla rigogliosa rinascita dell’utopia degli ‘ingegneri sociali’,
avverte Robert BOGUSLAW, la teoria sociale è rimessa invece allo stato di scienza puramente empirica. Parte con l’accettazione dello ‘status quo’ per quanto riguarda
l’ambiente fisico, la fisiologia umana, lo stato attuale o progettato della tecnologia.
Considera i bisogni di alimenti, di abitazioni, di riproduzione e di divertimento come
sono oggi, e procede a spiegare come i gruppi umani possano adattarsi o si adattino al
mondo in cui si trovano. I principi, le conclusioni empiriche, le teorie, le ipotesi e le interpretazioni sono quindi un risultato ‘a posteriori’.
Il mondo della realtà fisica diviene una costante, alla quale la realtà sociale deve
confermarsi », in: I nuovi utopisti. Una critica degli « ingegneri sociali ». Torino, 1975,
p. 4.
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quel tempo — come il « Primo Schema regionale di sviluppo », preparato dal Comitato Regionale Pugliese per la Programmazione Economica — si può in qualche modo valutare quale forza di rottura e di eversione rappresentò un movimento di lotta di quelle dimensioni e con
quelle specifiche caratteristiche.
Congressi e convegni...
Le forze politiche, in seguito a quegli avvenimenti, faranno letteralmente a gara nell’organizzare convegni e «tavole rotonde »; le elezioni amministrative e regionali del 1970 battono alle porte e urge,
quindi, essere presenti e dimostrare di aver recepito le istanze espresse
nella lotta appena terminata.
Apre, nei primi di ottobre ‘69, il P.S.I. a Deliceto, dove raccoglie i
comuni del Subappennino meridionale 6 ; per poi spostarsi, per i comuni del Nord, a Carlantino, dove, l’8 novembre, è il vice presidente
della Provincia, Bios De Maio, a tenere la relazione ufficiale 7 .
Di questi giorni, domenica 16 novembre, è anche la visita a Foggia
di Mariotti, che viene interessato alla questione dei lavoratori denunziati — perché ne parli al Ministro della Giustizia Zagari — e del metano in generale.
Il ministro Mariotti, tornato a Roma, fa sapere la buona disposizione di Zagari — fatto salvo l’iter giudiziario — sul problema delle
denunzie, ma suggerisce anche di lasciar cadere il discorso del metano, perché oggetto, a suo tempo, di definitivi accordi tra E.N.I., D.C. e
P.C.I.
Successivamente, ma con maggiore spiegamento di forze e di
mezzi, è la D.C. a chiamare a Foggia, il 24 gennaio del ‘70 nel teatro «
U. Giordano », i dirigenti e gli amministratori di tutto il Subappennino. Presiede il sottosegretario Russo, relaziona l’avv. Consiglio 8 : si
parla di tutto e ci si impegna su tutto. La cosa si risolve, in verità, nella
« presentazione » del prossimo candidato alle elezioni regionali della
corrente dorotea — il neo-acquisto avv. Consiglio, appunto, bovinese
e quindi della zona — ai dirigenti locali del partito, che, nella circostanza, ricevono anche assegni con non meno di cinquantamila lire per
sezione. E il relatore risulterà poi eletto.
Mentre l’on. le Russo ha occasione, a Napoli, di reclamare «
l’assegnazione dell’Aeritalia a Foggia anche come contropartita del
metano dirottato » 9 , il P.S.I. realizza, il 22 febbraio a Biccari, un « Il
6
« La Gazzetta di Foggia ». A. VIII, nn. 36-37, 5-12 ottobre 1969, pp. 1 e 4 e p. 3.
« Note Socialiste - Notiziario settimanale d’informazioni a cura della Federazione
Provinciale del P.S.I. di Foggia ». A. I (1969), n. 22.
8
G. CONSIGLIO, Problemi e prospettive del Subappennino Danno. Relazione al
Convegno Provinciale della Democrazia Cristiana in Foggia il 24 gennaio 1970. Roma,
s.d. [ma 1970].
9
« La Gazzetta di Foggia ». A. IX, n. 7, 22 febbraio 1970, p. 3.
7
151
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Convegno (il primo fu tenuto il 5 settembre 1965) per l’utilizzazione
di parte dell’acqua e del metano e lo sviluppo economico di Biccari e
del Subappennino » 10 .
Non è da meno la costituenda corrente D.C. di « Forze Nuove »,
che, presso l’Hotel « Gran Turismo » di Bovino, relatore Tonino Pandiscia ed altri, testimonia il suo impegno, il 7 marzo del ‘71, con un
incontro sul tema: « Espansione economica nel Subappennino Dauno» 11 .
Ma, com’è logico, è l’Amministrazione Provinciale, che precedentemente aveva predisposto uno studio sulla viabilità collinare, che
comportava una spesa già finanziata di 12 miliardi e 200 milioni e da
finanziare di 31 miliardi e mezzo 12 , a produrre l’iniziativa più ris onante, organizzando, il 17 aprile 1971, un convegno su « L’occupazione e
lo sviluppo economico della Capitanata », nelle cui mozioni conclusive, riguardanti il turismo , l’industria e l’agricoltura, al Subappennino
viene riservato lo spazio maggiore 13 .
La « cultura », da parte sua, tramite i vari Dilio, Satalino ecc, del
‘Gruppo dei Meridionalisti di Puglia’ effettua, il 2 agosto ‘71, un « intervento straordinario » ad Ascoli, dove, la settimana successiva e
sempre a cura dell’Associazione Mazziniana locale, Pietro Bucalossi
parlerà su: « Gli ospedali dell’« osso » e gli ospedali della « polpa » 14 :
nel Subappennino, non è superfluo ricordare, ospedali non esistono.
Ma anche in sede regionale il problema del Subappennino tiene
subito banco: tra gennaio e marzo del ‘71 si registrano vari interventi
di consiglieri della zona, una mozione del gruppo comunista e la votazione unanime di un documento 15 .
Su un versante più operativo il Consorzio di Bonifica della Capitanata elabora un dettagliato e pregevole « Piano generale di bonifica
montana del Sub-Appennino Dauno », interessante 17 comuni della
zona per una spesa, al ‘71, di 64 miliardi e 641 milioni di lire 16 ; ma
sull’importante strumento programmatico cala una cortina di silenzio
fino alla primavera ‘74, quando lo stesso ottiene il parere favorevole
del Provveditorato Regionale alle opere pubbliche di Bari17 : si è facili
profeti nel prevedere, data l’attuale difficile congiuntura economicofinanziaria e nella risaputa linea degli indirizzi di spesa della politica
10
« La Gazzetta di Foggia ». A. IX, n. 9, 8 marzo 1970, p. 3.
« Forze Nuove - Agenzia di informazioni politiche ». Pentasettimanale. Redazione di Foggia. A. II (1971), n. 6.
12
PROVINCIA DI FOGGIA, Gruppo di studio. Collegamenti stradali del Subappennino. Foggia, s.d. [ma 1968].
13
« Il Progresso Dauno ». Foggia, A. VI, n. 16, 24 aprile 1971 pp. 1-4-5 e 6.
14
« La Gazzetta del Mezzogiorno », 3 agosto 1971, p. 10.
15
« La Gazzetta di Foggia », A. X, gennaio e marzo 1971 e « Stampa - La Settimana di Puglia ». Foggia, A. II, n. 12, 25 marzo 1971, p. 5.
16
CONSORZIO GENERALE PER LA BONIFICA E LA TRASFORMAZIONE
FONDIARIA DELLA CAPITANATA - Foggia. La bonifica montana del Subappennino Dauno redatto dal Dr. Giulio Rotella. Compendio a cura di Francesco Erario. Foggia,
l971.
17
« La Gazzetta del Mezzogiorno », 2 e 17 aprile 1974, pp. 13 e 6.
11
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nazionale, che anche questa volta piani e programmi resteranno sulla
carta.
Come pure inoperanti e fantomatici sono restati gli altri istituti,
chiesti nel manifesto-programma dei Comitati unitari all’inizio della
lotta: la Finanziaria Pubblica Regionale e la Comunità Montana.
La prima è finita annegata nella Finanziaria Meridionale; il CIPE
ne approverà l’istituzione verso la fine di luglio ‘74, con una dotazione iniziale di 100 miliardi di capitale da elevare a 200 nel corso di un
quinquennio 18 ; ripresa blandamente nel programma del V governo
Moro, è stata costituita con un capitale iniziale di appena 10 miliardi il
7 aprile 1975, ma non si vede la sua entrata in funzione in un futuro
molto prossimo.
La Comunità Montana. In attuazione della Legge 3 dicembre
1971, n. 1102, che detta nuove norme per lo sviluppo delle montagne,
l’Assemblea Regionale Pugliese approva all’unanimità, il 28 luglio
1972, l’istituzione di cinque comunità montane con Legge 5 settembre
1972, n. 9.
Il Subappennino viene ripartito in due zone:
1) Subappennino dauno settentrionale, 13 comuni, 53 mila ettari:
2) Subappennino dauno meridionale, 14 comuni, 69 mila ettari, 43
mila abitanti: è quella che ci interessa da vicino.
Fino ad oggi è stata scelta solo la sede della comunità, Bovino; si è
atteso — anche da parte delle altre 4 comunità — che il Consiglio Regionale approvasse lo statuto negli ultimi giorni della legislatura e poter, così, iniziare a spendere la parte spettante degli 850-900 milioni
assegnati nel quinquennio 1972-1976.
Agricoltura e Industria: Aeritalia e diga di Occhito
Il dis corso dell’industrializzazione provinciale registra, però, due
punti abbastanza significativi: gli annunzi relativi all’Aeritalia e ad un
impianto per la costruzione di motori diesel-veloci: deciso,
quest’ultimo, nella riunione CIPE del 7 giugno 1974, prevede una spesa di 144 miliardi, un’occupazione di 2.300 unità, tempi d’attuazione
24 mesi dall’acquisizione dei terreni, rapporto capitale addetto 49 milioni, localizzazione Incoronata, società composta da FIAT, Alfa Romeo e Renault-Samiem19 .
Per quanto riguarda l’Aeritalia il discorso, molto legato alle vicende del metano, è piuttosto lungo, ma lo risolveremo in poche battute.
La società, composta da capitale pubblico, privato e straniero —
IRI FIAT e Boeing —, fu concepita, in un primo tempo, come lo
18
« CIVITAS - Rivista mensile di studi politici ». Roma, Nuova Serie, A. XXV, n.
8/9, agosto-settembre 1974, p. 145.
19
« La Gazzetta del Mezzogiorno », 8 giugno 1974, p. 1.
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strumento per attuare una autentica politica nazionale nel settore aereonautico.
Il progetto, però, non prese quota, dapprima per l’aspra contesa
sorta fra le regioni e le province meridionali per assicurarsi
l’ubicazione degli impianti e in un secondo tempo per la sua usurata
credibilità economica in rapporto al ristretto mercato mondiale; si
pensi, fra l’altro, alle travagliate vicende del ‘Concorde’ francoinglese.
Tuttavia, fra ridimensionamenti successivi, l’idea non venne mai
abbandonata, anche se Agnelli avrebbe preferito, in tempi di acutissima crisi dell’industria automobilistica, una localizzazione piemontese
con riconversione, nel nuovo settore, di notevole parte di quella manodopera in funzione di alleggerimento; non importava che, nel 1969,
l’amministratore delegato dell’azienda, ing. Bono, avesse manifestato
al presidente del nucleo industriale, De Meo, l’orientamento per Foggia, senza, peraltro, lasciar cadere del tutto l’impegno di realizzare,
sempre nel foggiano, una fabbrica di motori agricoli20 ; ma nel successivo annunzio di 10 insediamenti FIAT nell’Italia meridionale, con investimenti dell’ordine di 240 miliardi e la creazione di 20.000 nuovi
posti di lavoro, Foggia rimarrà esclusa e il fatto provocherà le dimissioni di De Meo da presidente del Nucleo21 .
S’è verificato, intanto, il movimento metanifero e l’insediamento
dell’Aeritalia viene chiesto, e fatto passare, come contropartita del dirottamento della preziosa fonte energetica; il Consiglio Provinciale, i
consigli comunali di Foggia e di un po’ tutti i comuni della provincia,
gli studenti, le forze politiche e sindacali, l’Assemblea Regionale, che
taglia corto alle « avances » delle altre province, votano documenti e
ordini del giorno, manifestano in tal senso22 .
L’annunzio, finalmente, viene dato a conclusione della riunione
CIPE del 22 settembre 1972: impianti a Foggia, centro prove e ricerche a Napoli. Nessuno conosce le dimensioni dello stabilimento e il
relativo impiego di manodopera. Ma la gioia è tanta che tutte le pareti
disponibili vengono tappezzate con manifesti inneggianti alla vittoria.
Medaglie, ricordini, telegrammi, cerimonie si sprecano; la cosa è
così marchiana e di cattivo gusto che Lietta Tornabuoni dedica su «La
Stampa » una pungente nota23 , la rivista « Basilicata» una ironica e
preoccupata « Lettera da Foggia »24 e il Comitato intercomunale prometano una puntigliosa « messa a punto » 25 .
20
« Il Progresso Dauno ». A. IV, n. 3, 16 gennaio 1969, p. I.
« Il Progresso Dauno ». A. V, n. 3, 24 gennaio 1970, p. 1.
22
« La Gazzetta del Mezzogiorno », 28 ottobre 1969, p. 23.
23
L. TORNABUONI, Brevi incontri: Grazie, zio. In: « La Stampa », 22 settembre
1972, p. 2.
24
« Lettera da Foggia: Il primo risultato dell’Aeritalia è il volo dell’artefice unico
». In: « BASILICATA - Rassegna mensile di politica e cronache meridionali ». Diretta
da Leonardo Sacco. Matera, A. XVI, a. 12, dicembre 1972, pp. 11-13.
25
« Il Progresso Dauno », A. VII, n. 31, 30 settembre 1972, p. 1.
21
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Il documento, proprio l’ultimo dei comitati, afferma tra l’altro: «
Nella corsa alla primogenitura e all’accaparramento di lodi ed elogi di
questo o quel personaggio, di questo o quel partito si va perdendo il
senso della misura e di un certo stile che anche in politica non guasterebbe, ma soprattutto si dimentica, o si tenta di far dimenticare, un
patrimonio di lotte civili e democratiche di tutta una popolazione, che,
con fiera compostezza, ha reclamato incessantemente il soddisfacimento del diritto al lavoro e ad una esistenza più dignitosa.
Ci si vuol riferire alle lotte dei braccianti e dei contadini, dei professionisti e degli impiegati, degli studenti e ad alla manifestazione
che accomuna un po’ tutte le altre; la « marcia del pane dei Comuni
del Subappennino ». Soltanto in quello spirito e in quella prassi politica, e con la convinzione e la forza delle proprie ragioni, è possibile,
per la nostra gente, raggiungere ulteriori tappe di civiltà e più equi traguardi di giustizia sociale » 26 .
In verità lo stesso on.le Russo, l’« artefice unica del decollo », nel
corso della solenne cerimonia di ringraziamento che il suo partito volle tributargli nel teatro « U. Giordano » il 2 ottobre 1972, ricevendosi
una « targa con la raffigurazione di un aereo pronto al decollo », ebbe
a « riconoscere il merito dell’iniziativa innanzi tutto a quegli amici
che nel 1969 occuparono i pozzi di metano: li occupavano affinché la
classe dirigente nazionale capisse che nella nostra responsabilità avevamo diritto alla particolare considerazione di reciprocità. Avevamo
diritto ad esprimere la complessità della situazione ed il limite del nostro stato di attesa » 27 .
Nel marzo 1974 il progetto, dai ventilati 300 miliardi di investimento e 5.000 unità lavorative, verrà definito dal Ministero delle Partecipazioni Statali, con i rappresentanti dell’Aeritalia e dei sindacati
dei metalmeccanici, sulla base del programma residui predisposto
dall’azienda in un investimento globale di 20 miliardi per 1.000 unità
lavorative; il « l° modulo » comporterà un investimento di 8 miliardi,
500 addetti e dovrebbe entrare in funzione entro il 197628 .
A definizione avvenuta, la solita gioia, manifesti, volantini, ecc.; il
segretario provinciale del P.C.I. commenta: « Dopo il parere di conformità del CIPE, la D.C’. locale, con clamore irresponsabile quanto
sfrontato, è tornata, dopo una parentesi di imbarazzato silenzio, a tappezzare i muri di manifesti inneggianti al mantenimento degli impegni
assunti, all’ormai avvenuto decollo economico della provincia... Tanta
pubblicità è ingiustificata, se è vero che la richiesta di industrie aviatorie civili nacque a seguito delle grandi lotte unitarie del poligono
metanifero, che diedero un reale potere unitario di contrattazione alle
forze politiche e sociali del Foggiano, per la loro ampia incidenza nell’opinione pubblica anche nazionale e per la pressione economica
26
27
28
« La Gazzetta del Mezzogiorno », 4 ottobre 1972, p. 15.
« La Gazzetta del Mezzogiorno », 3 ottobre 1972, p. 12.
« La Gazzetta del Mezzogiorno », 31 marzo 1974, p. 13.
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esercitata col blocco dei 40 pozzi metaniferi della SNIA Viscosa per
ben 60 giorni » 29 .
Questi concetti, per non essere da meno, vengono ribaditi in un
manifesto.
A coronamento di tutta la vicenda, una rivista non sospetta, «
Mondo Economico », facendo il punto sulla politica d’investimento
nel Mezzogiorno, così si esprime: « ...anche la fallibilità economica di
questo impianto (il 1° modulo) ha subito una forte erosione critica. In
un mo mento in cui l’industria aeronautica mondiale (con particolare
riguardo a quella americana) è in crisi, perché, cessata la guerra nel
Vietnam, le commesse si sono rarefatte, sembra quanto meno avventuroso che l’Italia debba imbarcarsi in un settore a così alta tecnologia e
con così alti investimenti per la ricerca scientifica (se si vuole fare una
cosa seria) senza alcuna rispondenza nella richiesta del mercato.
L’impressione penosa è che anche questa volta si punti più al sussidio di beneficenza, più o meno sostenuto da complicati equilibri politici, che alla realizzazione di un concreto programma di industrializzazione » 30 .
In seguito alle note vicende Lockheed-Crociani-Antilopi varie — e
nello stile tipico democristiano — Otto giorni dopo le elezioni politiche del giugno ‘76, il progetto viene definitivamente insabbiato31 .
Ma quelle dell’Aeritalia non è che uno, dei tanti episodi, che segnano la « logica » dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno; in provincia di Foggia, poi, ce n’è un altro di proporzioni assai vistose: la
diga di Occhito, venuta alla ribalta nazionale in seguito all’inchiesta
televisiva del 3 gennaio 197532 .
29
P. CARMENO, Aeritalia: una lotta che continua. In: « NUOVA PUGLIA Mensile di dibattito politico e di attualità». Bari, A. Il, n. il, marzo 1974, pp. 6.8.
30
A. LANUCARA, La strategia d’insediamento. In: MONDO ECONOMICO ».
Milano, A. XXIX, n. 24, 22 giugno 1974, pp. 53-56; gli sviluppi della Vicenda Aeritalia
avevano visto l’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri nella seduta del 20
febbraio 1975, di «un disegno di legge — poi L. 26 maggio 1975, n. 184, G. U. n. 153
del 12 giugno 1975 — riguardante il finanziamento di 150 miliardi per la ricerca e la
produzione aeronautica, localizzata in provincia di Foggia », in: « LA GAZZETTA
DEL MEZZOGIORNO », 21 febbraio 1975, p. 2; in verità « Tutti sanno — sostiene,
non smentita, « RINASCITA » del 7 marzo 1975, n. 10, pag. 10 —che questi soldi non
saranno spesi in Italia, ma girati alla Boeing per una ricerca a quanto pare già conclusa
negativamente e per cui 1’I.R.I. sarebbe debitore »; intanto mentre la FIAT « scende
dall’aereo », riducendo la sua partecipazione azio naria dal 50 al 25% (I.R.I. - Finmeccanica 75%) la Boeing cerca affannosamente in Europa e Giappone altri partnersfinanziatori del fantomatico 7 x 7, il cui costo si aggirerebbe sui 650 miliardi e sia la
progettazione che le fasi più importanti della costruzione avverrebbero negli Stati Uniti,
in: « PANORAMA ». Milano, A. XIV, nn. 480, 482 e 486 del 3, 17 luglio e 14 agosto
1975, pp. 110, 82-84 e 66.
31
F. Russo, L’Aeritalia sospende i finanzia menti per il progetto di Foggia In: « LA
GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO », 1luglio 1976, p. 7.
32
La « filosofia » — e la storia — dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno sono
tracciate da L. FERRARI BRAVO - A. SERAFINI, Stato e sottosviluppo. Il caso del
Mezzogiorno italiano. Milano, 1972, al quale si rimanda per un’esauriente bibliografia
sulla « questione meridionale »; a livello regionale illuminante appare lo
156
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Della diga si occupa anche « l’Espresso » del 12 gennaio, perché,
si legge, « può rappresentare l’emblema della storia del Mezzogiorno
negli ultimi vent’anni, la lentezza della burocrazia, la forza delle clientele, le camorre della Cassa per il Mezzogiorno, lo sperpero del denaro
pubblico, il perpetuo inganno verso i contadini ». Il settimanale romano ripercorre le tappe per la costruzione della gigantesca opera (il
più grosso manufatto in terra battuta del mondo, con un invaso di 300
milioni di metri cubi d’acqua), e, « nel frattempo — si legge — l’economia della zona regredisce rapidamente. L’agricoltura, immobile da
secoli sulla coltura del grano, dà pingui rendite ai grandi proprietari
(seicento famiglie possiedono la metà del territorio), ma non offre occasioni di lavoro. Comincia l’emigrazione verso il Nord, il drammatico esodo verso Torino e Milano.
Parte dai borghi della Capitanata il 70% della popolazione attiva.
Restano i vecchi e quei pochi che si intestardiscono a scavare i pozzi
con le mani e a trovare l’acqua per conto proprio. Son passati più di
vent’anni. La diga-fantasma c’è, l’acqua abbondante rimane inutilizzata e viene svuotata a mare e di ettari irrigati, invece dei 140 mila promessi, non ce n’è neanche uno: c’è la diga, ma la vergogna è straripata
» 33 .
studio di S. SCIARELLI - V. MAGGIONI, Un’industria acefala: primi risultati di
un’in dagine svolta in Campania. In: «RASSEGNA ECONOMICA - Pubblicazione trimestrale del Banco di Napoli ». Napoli, A. XXXIX, n. 6 Novembre-Dicembre 1975, pp.
1493-1511; gli effettivi risvolti e ripercussioni socio -economiche dell’insediamento Alfa Sud, a Pomigliano d’Arco, sono rilevati da D. DE MASI - A. SIGNORELLI,
L’industria del sottosviluppo. Napoli, 1973; ma la sintesi più lucida ed efficace resta,
comunque, quella tracciata da A. GRAZIANI, Il Mezzogiorno nell’economia italiana
degli ultimi cento anni. In: « NORD e Sud nella storia e nell’economia italiana di oggi.
Atti del Convegno promosso dalla Fondazione Luigi Einaudi. Torino, 30 marzo - 8 aprile 1967 ». Torino, 1968, pp. 23-73; mentre l’ispiratore della linea « ufficiale »può considerarsi P. SARACENO, del quale vanno visti, soprattutto, «Il meridionalismo dopo la
ricostruzione (1948-1957) a cura e con introduzione [vasta e densa] di Piero Barucci.
Milano, 1975 » e, per quanto riguarda la «periodizzazione» del dibattito meridionalistico, l’articolo: « Meridionalismo vecchio e nuovo ». In: «MONDO ECONOMICO », Milano, n. 1, 1974, pp. 41-47; la storia della legislazione, misera, tanto per restare in tema,
sulle « zone di particolare depressione » si può leggere in: S. CAFIERO, Le zona particolarmente depresse nella politica per il Mezzogiorno. Roma, 1973; e si veda anche:
FENOMENOLOGIA e intervento sociale nelle zone di particolare depressione nel
Mezzogiorno. In: « RASSEGNA DI SERVIZIO SOCIALE ». Roma, 1970, n. 1/2, pp.
11-25; del pari utili ed aggiornate appaiono le considerazioni svolte da A. SAVIGNANO, Le «zone interne » al soffio della con giuntura. In: « NORD E SUD ». Napoli, A.
XXIII, Terza Serie, n. 13, febbraio 1976, pp. 78-90 e da R. FANFANI, Prospettive
dell’agricoltura nelle zone interne del Sud. In: « POLITICA ED ECONOMIA ». Roma,
A. VII, Nuova serie, n. 2/3, Marzo-Giugno 1976, pp. 69-79.
33
« ESPRESSO (1’) » Roma, A. XXI, o. 2, 12 gennaio 1975, p. 57; ma anche «
EUROPEO (L’) ». Milano, A. XXXII, n. 27, 2 luglio 1976, p. 23 e, per considerazioni
socio-politiche, più articolate, A. SPINOSA, Dentro la Puglia. In: « NORD E SUD ».
Napoli, A. XXIII, Terza serie, nn. 15 e 16, Aprile e Maggio 1976, pp. 67-85 e 54-72,
segnatamente 57-58.
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Potere senza governo
Di fronte a simili fatti balza in primo piano, ove ci fosse necessità
di ricordarlo, l’aspetto squisitamente politico della questione meridionale, la scelta dell’attuale modello fallimentare di sviluppo e il
metodo e le tecniche adottate per portarlo avanti, gli istituti e le leve
manovrate per imporlo, i gestori di questo processo e il loro punto di
aggregazione, i blocchi storici successivi e i momenti unificanti degli
stessi; lo specifico politico di questi ultimi trent’anni rappresentato
dalla Democrazia Cristiana, l’essere questa un partito di mediazione
pura 34 tra potentati economici e potere politico e l’escrescenza da essa
di una nuova « razza »35 di imp renditori e amministratori dell’impresa
pubblica, dove una linea di demarcazione tra fine pubblico e fine ed
interesse privato o di partito è impossibile; l’intreccio inestricabile e
contagiante del suo interno processo di feudalizzazione correntizia e
regionale; e la conquista, costruzione ed esercizio del potere
sull’abbrivio di un innegabile consenso popolare 36 .
34
M. TRONTI, La DC: il partito della mediazione pura. In: « RINASCITA ». Roma, A. XXXI, n. 49, 13 dicembre 1974, pp. 7-8.
35
E. SCALFARI - G. TURANI, Razza padrona. Milano, 1974.
36
Gli studi, la saggistica e la pubblicistica politica, in proposito, è ormai abbondante; ci limitiamo a segnalare, oltre a quelle già precedentemente richiamate, alcune serie analisi e un ventaglio di opinioni, di diversificato orientamento politico, ma tutte fortemente critiche: G. AMENDOLA, Partecipazioni statali e programmazione democratica. In: « MONDO ECONOMICO ». Milano, A. XXX, n. 4, 1 febbraio 1975, pp.
29-30; A. ARDIGO’, Evoluzione, crisi e prospettive della presenza politico-sociale dei
cattolici in Italia. In: « AGGIORNAMENTI SOCIALI ». Roma, A. XXV, n. 9-10, sett.ottobre 1974, pp. 557-582; A. CANALE, Le stampelle inutili dello Stato. Partecipazioni
tutto fare. In: « MONDO (IL) » . Roma, A. XXV, o. 37, 13 settembre 1973, pp. 4-5; P.
FARNETI, Problemi di ricerca e di analisi della classe politica italiana. In: «RASSEGNA ITALIANA DI SOCIOLOGIA ». Bologna, A. XIII, n. 1, Terza Serie, GennaioMarzo 1972, pp. 79-116; « MEZZOGIORNO (IL) del giudizio. Governo: Dalla Calabria alle Puglie alla Campania brucia la miccia che potrebbe far saltare il centro sinistra di Rumor. Ne parlano gli uomini coinvolti nella polemica [Donat-Cattin e
Mancini] ». A cura di Giuseppe Galasso e Salvatore Rea. In: « ESPRESSO (L’) ». Roma, A. XIX, o. 34, 26 agosto 1973 pp. 6-7; « POLITICA (LA) del PCI per una nuova
direzione del paese. Tavola rotonda con Nicola Badaloni, Guido Fanti, Pietro Ingrao,
Luciano Lam a e Giorgio Napolitano ». In: « RINASCITA ». Roma, A. XXXII, n. 4, 24
gennaio 1975, pp. 7-11; « POTERE (IL) in Italia. Chi comanda adesso. Ecco la nuova
mappa, regione per regione: 10: la Puglia a cura di Mino Monicelli, Salvatore Rea e
Giuseppe Galasso ». In: « ESPRESSO (L’) ». Roma, A. XVIII, n. 32, 6 agosto 1972,
pp. 4-5; « POTERI economici, poteri politici e istituzioni. Scritti di Napoleone Colajanni, Enrico Filippi, Antonio Caruso, Roberto Maffioletti ». In « POLITICA ED ECONOMIA - Rivista bimestrale del Cespe ». Roma, A. V, n. 2-3, Nuova Serie, marzogiugno 1974, pp. 13-42; « QUESTIONE (LA) democristiana ». [Scritti di:] Gerardo
Chiaromonte, Aniello Coppola, Aris Acconero, Gaetano Di Marino, Luciano Barca,
Vincenzo Galetti, Adriana Seroni, Giu seppe Chiarante, Umberto Cerroni. In: « RINASCITA ». Roma, A. XXX, n. 21, 25 maggio 1973, pp. 13-34; G. SIVINI, Partiti e partecipazione politica in Italia. A cura di Giordano Sivini. Milano, 1969; L. TAMBURRANNO, L’iceberg democristiano. Milano, 1974; S. VACCA, Partecipazioni [statali]
e potere politico. In: «MONDO ECONOMICO ». Milano, A. XXX, n. 4, 1° febbraio
1975, pp. 33-35.
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Oggi questo mondo, questa gestione democratico cristiana del politico e dell’economico, non essendo riuscita a costruire una passabile
sintesi politica della società, che, nonostante tutto, si rinnova ed evolve, e avendo perduto, quindi, legittimità di rappresentanza sul piano
storico, è in crisi, esaurita nella sua consumata duttilità e capacità di
potere soltanto, quando invece si chiedeva e si chiede una capacità di
governo; « una politica economica in funzione della politica e basta, il
governo al servizio del partito e dei potentati da esso nascenti o protetti, il controllo della contraddizione sociale subordinato agli equilibri
del sistema di potere », questo il « budino » che ci è stato ammannito e
che si è rivelato di sapore insolitamente amaro per il Mezzogiorno37 .
« C’è l’abitudine di trovare dieci cause per una sola conseguenza e
tenere presente il complesso della situazione serve, spesso, a farsi
sfuggire il tratto che decide..., bisogna, invece, scegliere, tra i dati disponibili, quello decisivo; in tal modo il resto viene veramente compreso, organizzato, classificato e passa a diventare conoscenza della
realtà in funzione dell’attività pratica... » 38 ; conoscere per fare.
La realtà è quella nota; si tratta di cambiarla. Qui, ora.
E il dato è politico, perciò totale.
L’emergere del presente, come valore dominante, è riscontrabile a
tutti i livelli della realtà contemporanea: è fenomeno ubiquo.
Nuovi protagonisti e nuova ricerca
Il futuro è tramontato. Le leggi della storia, l’intelligenza della storia, la sua concezione lineare e dinamica verso un futuro di progresso
sono cadute come un mito miserando: trappole ideologiche, chimere;
il velo è stato strappato; i vecchi legami vanno cadendo; « le magnifiche sorti e progressive » sono fanfaluche, chiacchiericcio, ‘cymb alum tiniens’39 .
La realtà è crisi, lotta; è dramma.
Ognuno ha una parte; assegnata, subita o autonomamente scelta,
non è più consentito ad alcuno restarsene in platea: la ribalta è di tutti.
37
« La prova del budino sta nel mangiarlo », in: P. A. BARAN - P. M. SWEEZY, Il
capitale monopolistico. Saggio sulla struttura economica e sociale americana. Torino,
1968, III ed., p. 14.
38
M. TRONTI, op. cit., p. 7.
39
« ... Quel bell’avvenire era sempre prossimo; doveva iniziarsi tra poco, quasi non
si aveva che da stender le mani e afferrarlo, appena si cominciasse a rendersi conto di
un errore, a superare un malinteso, a convertirsi alla virtù. Il cambiamento era considerato un capovolgimento... E la rivoluzione, in quanto idea, rimase sempre in armonia
coll’antico concetto di un atto salutifero compiuto una volta per sempre. Ora, contro
questa secolare rappresentazione di un capovolgimento della società improvviso e coscientemente voluto si volge la moderna e ben fondata opinione, secondo cui tutti i fatti
naturali ed umani si debbono ritenere come il risultato di innumerevoli forze interdipendenti, e con effetti di lunga durata ». In: J. HUIZINGA, La crisi della civiltà. Torino,
1966, III ed., pp. 8-9.
159
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I protagonisti vanno cambiando e, con essi, il vecchio canovaccio;
gli addetti alle scene e alle luci, i trovarobe, i costumisti vanno in primo piano; la regia è sconvolta.
Sullo scacchiere mondiale sono affluiti i popoli del cosiddetto terzo e quarto mondo, i diseredati, gli sfruttati, i sottosviluppati, i « barbari »: si imboccano le scorciatoie della storia 40 .
L’armonia economica mondiale è stravolta, le ricchezze cambiano
rapidamente padrone, le « leggi » di mercato stanno per essere sovvertite ad onta delle grida e minacce dei custodi ufficiali; l’uomo cosa,
l’uomo forza lavoro, l’uomo merce si scopre inestimabile, si scopre
uomo ad ogni latitudine ed afferma il valore elementare e dirompente
di questa faticosa, illuminante scoperta.
La magmatica fluidità del presente lambisce tutto e tutti.
Si lotta per un più ampio spazio dell’esistere, per una diversa qualità di vita, per una quotidianità più viva e pregante41 , per un assetto
societale che ponga al suo centro l’uomo e unifichi, a livello protagonistico, la imposta frammentarietà e molteplicità degli attori storici.
Ma « la ricomposizione intorno ad un progetto politico — ché di
questo si tratta — di forze e gruppi di avanzata disgregazione sociale o
di rapida e squilibrata transizione, non è compito da poco. Esso va
connesso alla dinamica ed alla dialettica reale della società, che definisce, con connotazioni specifiche, gruppi e soggetti storici, aggregandoli e disaggregandoli, integrandoli ed espellendoli, promu ovendoli o subordinandoli, agendo sui diversi, interconnessi processi
strutturali, culturali, politici.
Il processo politico di ricostruzione del piano storico possibile di
azione non può, pertanto, muoversi da formule astratte, che postulano
o l’irreversibile separatezza dei gruppi sociali o la loro necessaria ricomposizione. Può scaturire solo da un’analisi sociale che dia conto
della deriva e della traiettoria specifica di tali soggetti, ricostruibile
dalla comprensione del senso storico complessivo della dinamica sociale » 42 .
Senza un progetto politico non è possibile alcuna analisi seria, alcuna comprensione del reale, perché mancherebbe il termine di riferimento, la verifica ad quem, la tensione portante del conoscere. Di
qui la crisi e il brancolamento delle scienze umane, specie della sociologia, che, « concepita come tecnica adiafora, essenzialmente intercambiabile, buona per tutti gli usi, indifferente rispetto ai fini, ritenuta
per definizione apolitica » 43 , ha finito per girare a vuoto, quando non
40
Cfr. J. ORTEGA Y GASSET, La ribellione delle masse. Bologna, 1974.
Cfr. A. HELLER, Sociologia della vita quotidiana. Prefazione di György Lukàcs.
Traduzione di Alberto Scarponi. Roma, 1975.
42
G. AMENDOLA, Sottosviluppo, imperialismo, analisi sociale. Bari, 1974, pp.
88-89.
43
F. FERRAROTTI, Una sociologia alternativa. Dalla sociologia come tecnica del
conformism o alla sociologia critica. Bari, 1972, p. 7.
41
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strumentalizzata per fini conservativi o coercitivi, ritorcendosi su se
stessa e diventando, di fatto, sociologia della crisi della sociologia 44 .
Era inevitabile, mancando il paradigma politico; « una ricerca, inevitabilmente, pone sempre un parametro politico. Ogni analisi sociologica implica la modificazione dell’oggetto cui si rivolge » 45 .
La società è in continuo stato di movimento e di mutazioni, risultato dell’attività degli esseri umani in determinate circostanze, in un
dato spazio e tempo, in una specifica situazione di reciproci rapporti,
che dimensionano una teoria economica, e quindi politica, del diritto,
della religione, della cultura, del proprio modo di essere; e di sentirsi46 .
Nel volgere della storia gli « individui che si trovano nelle medesime circostanze tendono ad avere una comune prospettiva, interessi
comuni e quindi ad agire in maniera consimile; mentre quelli che si
trovano in circostanze diverse tendono ad entrare in conflitto. I gruppi
che si determinano e si delimitano in tal modo sono chiamati classi, e
la loro apparizione è chiamata lotta di classe. Sulla scena della storia
sono le classi gli attori principali. Sono i loro sforzi e le loro lotte le
forze motrici del mutamento e dello sviluppo sociale...
Questa teoria si può usare come guida allo studio e alla classificazione di quei fatti che lo storico saprà estrarre dalle fonti a sua disposizione.
Tale impostazione può essere applicata al presente come al passato. In realtà essa acquista il suo significato più pieno come metodo
di considerare il presente, poiché ci mette in grado di vedere gli avvenimenti contemporanei nella giusta prospettiva e di comprendere le
forze che stanno formando il futuro. Applicata al presente, perciò, non
è solo un canone d’interpretazione, ma è anche una guida all’azione
che mira alla creazione di una società migliore...
Secondo questa teoria, se si vuol capire che cos’è accaduto in una
determinata parte del mondo, durante un determinato periodo del tempo
44
S. N. EISENSTADT, Quelques réflexions sur la « crise » de la sociologie. In: «
CAHIERS INTERNATIONAUX DE SOCIOLOGIE ». Paris, Nouvelle Série, A. XXI,
Vol. LVII, Juillet-Decembre 1974, pp. 223-246; ma anche G. D. AMENDOLA Introduzione a: A. ABDEL - MALEK, La dialettica sociale. Introduzione di Giandomenico
Amendola. Bari, 1974, spec. pp. 24-28; e soprattutto A. GOULDNER, La crisi della sociologia. Bologna, 1972; DIALETTICA e positivismo in sociologia. A cura di Heinz
Hans e Friedrich Fiirstenberg. Torino, 1972; RICERCA sociologica e ruolo del sociologo. Bologna, 1972; M. LELLI, La sociologia degli « altri » - Saggi alternativi di
metodologia e storia della sociologia. Roma, 1975; e, per certi aspetti, anche G. A.
GII.LI, Come si fa ricerca. Guida alla ricerca sociale per non-specialisti. Milano, 1971;
A. TOURAINE, La produzione della società. Traduzione e introduzione di Alberto Melucci. Bologna, 1973, in partic. pp. 13-239 e 587-603.
45
F. FERRAROTTL, op. cit., p. 7.
46
K. MARX - F. ENGELS, L’ideologia tedesca. Critica della più recente filosofia
tedesca... Traduzione di Fausto Codino. Introduzione e note di Cesare Luporini. Roma,
1972, II ed., specialm. pp. 12-13.
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storico, si devono anzitutto esaminare le circostanze che determinarono il comportamento degli uomini in questione » 47 .
Se, per esempio, per quanto riguarda il Mezzogiorno, in questa
prospettiva del farsi storico e nel porsi degli attori in atteggiamenti dinamici e dialettici, non sia il caso di ricercare il momento di specificità, oltre che nel presente e in un recente passato, in certi elementi
politici, economici, sociali, civili, da considerare in certa misura « distinti » ed « autonomi » dalla stessa storia d’italia.
La domanda e il problema sollevato non ci appaiono retorici e meno che mai oziosi; poiché nella intelligenza del presente, oltre ad alcune determinazioni particolari, possono apportare un ulteriore, importantissimo dato generale, utilizzabile in sede di inquadramento globale della realtà meridionale.
E la « risposta al nostro problema, nel riferimento pregiudiziale al
quadro ed alle linee di sviluppo della storia italiana degli ultimi cento
anni, può in effetti essere positiva, nella misura in cui di tal genere sia
quella che la stessa storia d’Italia, nel secolo trascorso dall’unità ad
oggi, ci offre ».
E’ quanto sostiene il Galasso48 , che ricorda come valido ed attuale
quanto scriveva, nel 1911, G. Fortunato: « Il problema che ancora ci
resta da risolvere, sotto pena di essere fatalmente respinti nella tragica
fortuna del passato, è sempre quello della stessa unità; vi sono ancora
due Italie..., non solo economicamente disuguali, ma moralmente diverse »49 ! e che, in questa particolare visione, non ci si trovi di fronte
ad uno pseudo-problema, ma ad una necessità obiettiva di consapevole
articolazione temporale di un oggetto di studio — il Mezzogiorno come entità peculiare e nettamente individuata nel quadro della contemporanea realtà italiana — che, essendo vivo ed urgente per i politici,
economisti, sociologi, ecc., non può non esserlo anche per lo storico
» 50 .
Un assetto statuale — il « reame » —, risultato di secoli di concrezioni e sovrapposizioni giuridiche, amministrative, di costume e vicende intricatissime, il corpo sociale, le tradizioni culturali, il sistema
economico vengono travolti dalla « conquista » piemontese, come per
larghissimi strati fu la rivoluzione unitaria; la politica fiscale del nuovo stato, che prendeva più di quanto non desse51 e gettava così le basi,
a spese del Sud, di un definitivo decollo industriale del Nord 52 , che
aveva modo di espandersi per l’apertura e la protezione di un vasto
47
P. M. SWEEZY, Il presente come storia. Saggi sul capitalismo e il socialismo.
Torino, 1970, pp. 284-285 passim.
48
G. GALASSO, Mezzogiorno medievale e moderno. Torino, 1965, p. 55.
49
G. FORTUNATO, Il Mezzogiorno e lo Stato italiano. Discorsi politici (18801910). Bari, 1911, vol. I, p. 6.
50
G. GALASSO, op. cit., pp. 57-59.
51
F. S. Nittis, Scritti sulla questione meridionale. Il bilancia dello Stato dal 1862 al
1896-97. A cura di Armando Saitta. Bari, 1958.
52
R. ROMEO, Risorgimento e capitalismo. Bari, 1970, II ed., spec. pp. 178-179.
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mercato nazionale, e che registrava, contemporaneamente, la progressiva eliminazione della gracile industria meridionale 53 e l’aprirsi le
rotte e le vie dell’emigrazione, le cui rimesse, poi, non verranno mai
impiegate nelle terre d’origine.
Quand’anche, perciò, si fossero soppesate e valutate tutte le possibili componenti e cause, resterebbe pur sempre, a questo punto,
quella entità geografico-storica autonoma »54 , di cui si diceva in precedenza, di difficile riducibilità teorica e sfuggente ad ogni tentativo
di fredda quantificazione; resta l’esperienza storica di popolazioni che
mal si presta ad essere scientificamente compresa e catalogata; resta,
in definitiva, una profondità e realtà storica, determinata dai gruppi
sociali dominanti, che, evidentemente, non potevano volerla diversa55 .
Pure, constatata l’estrema difficoltà d’una esauriente definitiva
spiegazione, e, nello stesso tempo, dopo aver inteso storicizzare il problema del particolare sottosviluppo del Mezzogiorno56 , una ricognizione
53
A. CARACCIOLO, La storia economica. In: « STORIA d’Italia. A cura di Ruggiero Romano e Corrado Vivanti. Volume terzo: Dal primo Settecento all’Unità. Torino,
1973, pp. 509-604, in particol. pp. 572-577.
54
Il T OSCHI, richiamando le « Considerazioni geografiche sulla Questione Meridionale, Bari, 1946 » di C. MARANELLI, ribadisce che, anche geograficamente, « il
fatto di mettere in luce allo stato delle cose odierno è la differenziazione esistente tuttora
che individua un “Sud” con caratteristiche proprie. Questa differenziazione “è” il fatto
geografico: non si può dire che ci sono, di esso, dei fattori geografici... ed altri non geografici. Se ci sono differenziazioni (nello spazio),distribuzioni spaziali di razza, di struttura sociale, di organizzazione politica, di generi di vita — queste differenziazioni e distribuzioni sono fatti geografici. E nei confronti della determinazione delle condizioni
che pongono in essere una a questione meridionale a sono fattori geografici di essa non
meno del clima, del suolo, della forma in piano di questa parte della Regione Italica ».
In: « Geografia economica. Torino, 1959, p. 403; per l’aspetto strettamente geografico
del sottosviluppo si rinvia a Y. LACOSTE, La geografia del sottosviluppo. Traduzione
di Maria Vittoria Catalano. Milano, 1973, IV ed.; utili appaiono anche UTILITÉ (L’)
de la géographie. In: « REVUE INTERNATIONALES DE SCIENCES SOCIALES Revue Trim estrielle publiée par l’Unesco a. Parigi, Vol. XXVIIIe (1975), n. 2, pp. 242438; H. ISNARD, Il concetto di sottosviluppo e la geografia. In: « BOLLETTINO
DELLA SOCIETÀ GEOGRAFICA ITALIANA a. Roma, Serie X, Voi. X, Fasc. 1/3,
Gennaio-Marzo 1976, pp. 11-20; e soprattutto, ai fini di una revisione sulle capacità della geografia istituzionale a cogliere veramente le peculiarità scientifiche e politiche del
sottosviluppo, D. SLATER, Critique de la géographie du dévelo ppement. In: CAIIIERS INTERNATIONAUX DE SOCIOLOGIE a. Parigi, Vol. LXe, Nouvelle Série, A.
XXIII, Ianvier-Juin 1976, pp. 59-96.
55
E’ appena il caso di richiamare le brucianti accuse alla « piccola borghesia intellettuale del Mezzogiorno a, lanciate da G. SALVEMINI, Scritti sulla questione meridionale (1896-1955). Torino, 1955, pp. 412-426; la dibattuta questione, per quanto attiene al periodo pre-unitario, sulla presenza o meno di una borghesia capace di giocare
un decisivo ruolo economico, ci sembra definitivamente risolta, negativamente, in uno
dei primi tentativi di storia ad indirizzo economico-sociale, anziché etico-politico, compiuto da P. VILLANI, Feudalità, riforme, capitalismo agrario. Bari, 1968.
56
Si ricorda che, oltre alle stimolantissime pagine di C. W. MILLS sull’« uso della
storia » in sociologia, ne: « L’immaginazione sociologica ». Milano, 1963, pp. 153-175,
grande import anza viene assegnata alle « componenti ideologiche e culturali a: « St udiando le fasi di rapida industrializzazione dei principali paesi europei non è troppo dif-
163
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della specificità meridionale, quanto più possibile aderente alla realtà,
si rende indispensabile, necessaria.
E qui gli strumenti d’indagine abbondano, almeno sul piano teorico; salvo, poi, a verificarne la pratica applicabilità, calando la modellistica in una realtà peculiare, che presenta, fra le sue caratteristiche,
quella di essere parte integrante di un paese tra i più industrializzati, o,
se si preferisce, il primo dei sottosviluppati, appunto per la rilevanza
demografica e territoriale del Mezzogiorno e delle altre zone depresse
del paese57 .
Rendere conto, in questa sede, del lungo e travagliato dibattito, del
resto ancora in corso, sul sottosviluppo e sulle connesse implicazioni
politiche ed occidente-centriche, esula dall’assunto e sarebbe oltre tutto imperdonabile, le formule ed i modelli essendo diversissimi: uno
studioso, il Liebenstein, arriva ad elencare ben 35 caratteristiche, proprie del sottosviluppo, divise nelle quattro categorie di economia, demografia, cultura e politica, tecnologia e diversi!58 .
Qui serve richiamare soltanto quel filone di pensiero e quelle
ficile individuare alcune particolari ideologie dell’industrializzazione, sotto i cui auspici
si attua io sviluppo: in Inghilterra il liberalismo economico, in Francia il sansimonismo,
in Germania il nazionalismo, nella Russia dell’ultimo decennio del secolo il marxismo
sembrano aver svolto una fun zione importante nel processo di sviluppo e certo tutt’altro
che negativa. Ora ciò che colpisce chi osserva il corrispondente sviluppo italiano nel periodo 1896-1908 [considerato notevolmente fiacco] è l’assenza di un vigoroso stimolo
ideologico all’industrializzazione a, in: A. GERSCHENKRON, Il problema storico
dell’arretratezza economica. Prefazione di Ruggiero Romano. Traduzione di Carlo e
Andrea Ginzburg. Torino, 1974, p. 84; si veda anche, per una rassegna: A. MUTTI, Il
sottosviluppo contemporaneo in prospettiva storica. In: « QUADERNI DI SOCIOLOGIA a. Torino, Nuova serie, Vo l. XXIII, n. 1/2, gennaio -giugno 1974, pp. 5-47; una
buona sintesi delle ultime acquisizioni storiografiche sul problema del Mezzogiorno
d’Italia e dei nodi politici connessi è quella dovuta a P. DE MARCO, Il secondo dopoguerra in Italia: orientamenti della storiografia. Aspetti del problema del Mezzogiorno.
In: « ITALIA CONTEMPORANEA » - Nuova serie de « Il Movimento di liberazione
in Italia a Rassegna dell’Istituto Nazionale per la storia del Movimento di liberazione».
Milano, A. XXVI, n. 116, luglio-settembre 1974, pp. 3-95, in particol. pp. 85-95.
57
Per evitare l’uso indiscriminato di termini e concetti diversi, si adotta la specificazione e distinzione operata, fra aree arretrate, sottosviluppate e depresse e tra aree depresse decadenti e quelle, invece, recuperabili, operata da F. VITO, I fondamenti della
politica di sviluppo economico regionale. In: « SVILUPPO (Lo) » regionale a cura di
F. Vita, F. Feroldi, O. Mazzocchi... Milano, 1961, pp. 11-40, in particol. pp. 16-22.
58
P. BOUVIER, La notion de développement: une approche nouvelle. In: « REVUE DE L’INSTITUT DE SOCIOLOGIE - Université Libre de Bruxelles a. Bruxelles,
A. 1974, n. 1, pp. 35-84; il problema è quant’altri mai intricato, che l’Unesco, nel tentativo di metter un pò d’ordine ai fini di una più aderente comprensione, vi dedica un intero numero della sua « REVUE INTERNATIONALE DES SCIENCES SOCIALES a.
Les indicateurs socio-économiques: théories et applications. Parigi, Vol. XXVII (1975),
n. 1, pp. 240; interessante, a tal proposito, il tentativo, « sistematico a, di W. ZAFT, Les
systèmes d’indicateurs sociaux: approches et problèmes. In: « REVUE INTERNATIONALE DES SCIENCES SOCIALES - Revue trimestrielle pubbliée par l’Unesco a.
Parigi, Vol. XXVII (1975), n. 3, pp. 507-529.
164
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analisi, che, con particolari aggiustamenti e correttivi, possono aderire
alla realtà considerata, almeno come quadro teorico e discriminante
politica59 .
« Se tagliassimo — per tornare in oggetto — con un’ipotetica linea
l’Italia in due aree geografiche, Nord e Sud, e le analizzassimo separatamente non potremmo non riconoscere le diversità dei rispettivi
connotati economici, sociali e territoriali, e non concludere di trovarci di fronte ad un’area sviluppata e ad una sottosviluppata. Apparato produttivo relativamente equilibrato al Nord, diffuso parassitismo,
ipertrofia del terziario (a Bari si percepiscono ben 40 mila stipendi
dalle casse statali), disoccupazione e sottoccupazione, esodo patologico dalle campagne nel Meridione: questi sono i primi dati che emergono dalla comparazione delle due aree. Eppure queste due aree, a
un’analisi attenta, appaiono inscriversi in un’unica realtà, la recente
storia del capitalismo italiano. La riforma agraria, gli investimenti
straordinari della Cassa, la politica dei poli, non hanno trasformato il
Mezzogiorno in una Lombardia, anzi ne hanno acuito gli aspetti del
sottosviluppo; sono stati però funzionali, come pure le massicce migrazioni interne, allo sviluppo complessivo del capitalismo italiano,
che a integrato il Sud nei suoi meccanismi introducendovi nuove contraddizioni. Sicché è all’interno dello stesso Mezzogiorno che oggi si
prolunga e vive lo squilibrio tra area avanzata e area arretrata.
Si pensi alla Puglia, ad esempio, dove alla fascia costiera di Brindisi, Bari, Manfredonia, Monopoli, Taranto, sede di notevoli impianti
petrolchimici, siderurgici e meccanici e di un’agricoltura fiorente, si
contrappongono le zone interne, isolate e degradate a fabbriche di emigranti. E così alla Calabria, alla Sicilia, ecc., dove sviluppo e sottosviluppo si confrontano come cause di squilibri, più che momenti suc-
59
Ampia sintesi critica del ventennale dibattito teorico, e politico, è quella tracciata
da G. D. AMENDOLA, Op. cit., che riporta un’antologia dei testi più significativi; una
buona rassegna è dovuta al CENTRO STUDI INVESTIMENTI SOCIALI (CENSIS),
L’idea dello sviluppo nella letteratura degli ultimi venti anni. Roma, 1966; ma anche
quelle, agili e chiare, di A. MUTTI, Op. cit., e P. LOMBARDI, La letteratura del sottosviluppo. In: «VITA E PENSIERO». Milano, Nuova serie, n. 4, Luglio-Agosto 1972,
pp. 103-110; la P. BOUVIER, Op. cit., rende conto di un particolare filone in chiave «
psicologica »; le categorie «NORD» - « Sud » vengono adottate, a livello mondiale, per
significare le tradizionali dicotomie ricchi-poveri, città-campagna, centro-periferia, in
group-out group ecc. da A. RONCHEY, Prospettive del pensiero politico contemporaneo. In: « STORIA delle idee politiche, economiche e sociali». Diretta da Luigi Firpo.
Vol. VI: Il Secolo ventesimo. Torino, 1972, pp. 609-694; una ipotesi teorica, mediante
l’impiego dello schema logico proposto da G. RANIS e J. C. H. FEI, la prospetta L.
Cuoco, Il processo di sviluppo di un’area sovrappopolata: il Mezzogiorno d’Italia. Milano, 1971; mentre la « falsificazione » più macroscopica dell’uso della statistica la perpetra G. TAGLIACARNE, Livello di vita e tendenze di sviluppo delle aree socio economiche del Mezzogiorno. Milano. 1974, dove si « riequilibra » la zona subappenninica, aggregandola all’area socio-economica di Foggia — la 39a delle 116 delimitate —
sconvolgendo totalmente la fisionomia statistica e socio -economica della zona che ci interessa.
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cessivi di un processo organico, secondo il facile schema della propaganda corrente.
Le nuove contraddizioni determinatesi nel Mezzogiorno sono state
riassunte da Carlo Donolo nella contrapposizione tra « centro » e «periferia », contrapposizione che, in forme diverse, investe tutto il territorio nazionale: — La vecchia contrapposizione Nord-Sud, mentre
un tempo assorbiva anche quella tra città e campagna, industria e agricoltura, viene tendenzialmente sostituita dalla polarizzazione tra aree
già industrializzate e in via di ulteriore industrializzazione, e aree
non industrializzate oppure con industrie in crisi o appena avviate che
sono in via di emarginazione, spopolamento o stagnazione60 .
Questo processo avviene tramite una concentrazione ulteriore degli
investimenti e degli insediamenti industriali all’interno delle aree già
da tempo sviluppate sotto questo profilo, tramite un’estensione dell’industrializzazione alle zone immediatamente adiacenti a quelle in dustrializzate, e infine tramite la creazione di nuove isole industriali
all’interno di regioni che nel complesso appartengono all’area sviluppata del paese, anche se sono divise da aree stagnanti o emarginate,
oppure comprendono al loro margine ampie zone in via di abbandono
e di degradazione socio-economica. Nel corso del « miracolo economico », e poi in misura più limitata, si è avuta certamente
un’estensione territoriale della base industriale. Nel Sud questo processo avviene nella forma di insediamenti macroscopici (« cattedrali
nel deserto ») e in quella di una industrializzazione minore territorialmente dispersa, ma comunque sempre all’interno delle aree più urbanizzate (specialmente costiere). Ciò è connesso alla costante ristrutturazione del settore industriale nel Sud che vede il grande insediamento
spesso sostituire piccole e medie aziende diffuse, oppure la contrazione in senso assoluto di forme quasi industriali di attività.
Nel Sud l’estensione dell’area industrializzata appare meno significativa che al Nord, in quanto accompagnata più che là da contrazioni
territoriali e settoriali di attività economiche e da processi di semplice
sostituzione (concentrazione); e l’estensione relativa territoriale può
essere accompagnata da una relazione relativa e anche assoluta in termini di occupazione.
Questi processi appaiono più evidenti se invece della dicotomia area industrializzata — area non industrializzata prendiamo l’altra aree
urbanizzate — non urbanizzate. Infatti, nel Sud, i processi di urbanizzazione sono stati più intensi di quelli di industrializzazione, per
cui la quota di popolazione che vive in aree urbane e quella che in esse
60
Lo schema centro-periferia, che ormai gode di una vasta letteratura, è stato riferito sia ai livelli di estensione ed intensità nella partecipazione politica, che ai rapporti di
dipendenza socio-economica delle aree sottosviluppate rispetto ai centri dello sviluppo,
ma anche per indicare, più in generale, i processi di modernizzazione e di formazione di
uno stato nazionale; relativ amente all’ultima applicazione si veda B. Moore jr., Le origini sociali della dittatura e della democrazia. Torino, 1969.
166
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ha possibilità di ottenere un reddito da attività produttive, specialmente industriali, sono del tutto sproporzionate.
Così mentre al Nord l’estensione delle aree urbane è stata più consistentemente accompagnata da insediamenti industriali, per cui si può
parlare propriamente di estensione dell’area sviluppata, nel Sud ciò è
avvenuto in misura molto più ridotta, pur con un acuirsi della polarizzazione tra aree in via di sviluppo (ma più urbano che industriale) e
aree emarginate...
« Centro » sono ormai non solo le aree tradizionalmente più sviluppate ma anche tutte le nuove aree o isole in cui è avvenuta l’espansione della base industriale. Esse si distinguono sia dalle aree non-industriali che da quelle urbane non adeguatamente industrializzate.
Specialmente nel Sud, però, è opportuno considerare « centro » anche
i poli di attrazione della popolazione, in cui è avvenuta e continua
l’espansione delle aree urbanizzate e in cui tendono a concentrarsi le
attività rilevanti connesse alla circolazione delle merci e
all’amministrazione. se non alla produzione.
Lo stesso processo si riproduce nelle campagne stesse con la polarizzazione tra aree a redditività alta o crescente (sempre più ridotte
in termini di superficie) e aree a produttività stagnante e quindi in via
di abbandono.
Il punto fondamentale è che il «centro» non solo comprende ormai
la maggior parte della popolazione, e in questo senso perde peso la
tradizionale contrapposizione città-campagna, ma è anche la sede delle
maggiori contraddizioni, quelle capaci di tradursi in potenziale di conflitti sociali.
La « periferia » — a differenza che nel contesto della Questione
Meridionale storica e di altre situazioni di sottosviluppo — non è più
la zona che comprende la maggioranza della popolazione e quindi anche focolaio di conflitti e movimenti sociali; le contraddizioni delle
zone periferiche emarginate sono secondarie, perché è la parte relativamente irrilevante del sistema sociale, sia come possibile mercato di
sbocco che come fonte di forza lavoro. Perciò questa zona è anche
priva del potere di sanzione che consiste nella possibilità di rifiutare
prestazioni rilevanti per il sistema o di minacciarne la stabilità sociopolitica.
La « periferia », ormai svuotata di popolazione e di funzioni essenziali, non è più capace di agire politico autonomo ed è più interessata a concessioni marginali che alla risoluzione della contraddizione. Si tratta solo di garantire un tasso minimo annuo di livello di vita, che allevi il senso di deprivazione relativa, anche se prosegue il
processo di ulteriore emarginazione e quindi un peggioramento relativo delle condizioni di vita. Ciò è possibile con l’impiego di risorse
minime e di fatto viene praticato, specialmente in presenza di necessità clientelari ed elettoralistiche.
In quello che chiamiamo « centro », cioè le zone urbane e/o in-
167
MARIO GIORGIO______________________________________________________________________________
dustrializzate in via di sviluppo, per quanto detto sopra si riproduce
però la dicotomia integrazione-emarginazione. Ma mentre al Nord
questa contraddizione passa attraverso l’integrazione oggettiva della
classe operaia e la sua subalternità socio-culturale nella società civile e
nella vita urbana, nel Sud, per la distorsione segnalata tra urbanizzazione e industrializzazione, la marginalità, rispetto ai rapporti di produzione propriamente industriali, riguarda una massa crescente di popolazione, che non è oggettivamente integrata e lo è soggettivamente
nella misura in cui è penetrata dai modelli di consumo della società
del benessere, ma nello stesso tempo è continuamente confrontata con
la propria marginalità sociale politica e culturale. Per questo le aree
urbanizzate del Sud sono potenzialmente esplosive, in quanto possono
seriamente minacciare la stabilità politica (ordine pubblico, spostamenti elettorali, cris i di sistemi clientelari)61 .
Questa proposta di schema interpretativo coglie, a nostro avviso, la
nuova dislocazione della questione meridionale determinata dal passaggio dell’economia e della intera società del Mezzogiorno da un
rapporto di separazione ad uno di integrazione, rispetto al complesso
dell’economia nazionale; inoltre ci fornisce gli strumenti per capire la
natura di quei conflitti sociali, come la rivolta di Reggio Calabria per
il capoluogo62 , che sembrano essere divenuti i conflitti caratteristici
del Meridione. Si è parlato, al tempo dei fatti di Reggio, di rivolta urbana, sottintendendo lo stupore che suscitava un movimento di lotta
popolare tanto diverso dalle tradizionali lotte contadine per il possesso
della terra. I connotati dalla lotta di classe del Mezzogiorno sembravano stravolti; in realtà non esprimevano altro che le nuove con-
61
C. DONOLO, Sviluppo ineguale e disgregazione sociale. Note per l’analisi delle
classi nel Meridione. In: « QUADERNI PIACENT INI ». Piacenza, A. XI, n. 47, luglio
1972, pp. 101-128; dello stesso si veda: « Crisi organica e Questione meridionale ». In:
« QUADERNI PIACENTINI ». Piacenza, A. XIV, n. 55, maggio 1975, pp. 49-67; e, ai
fini di una comprensione della tematica e fenomenologia delle particolari lotte del Mezzogiorno, soprattutto: «Il Mezzogiorno, oggi ». In: « MANIFESTO (IL) ». 10-11 gennaio 1975, pp. 2 e 2; e « Lotte sociali per l’occupazione nel Mezzogiorno ». In: «
QUADERNI PIACENTINI ». Piacenza, A. XIV, n. 57, novembre 1975, pp. 15-26; sostanzialmente lungo la stessa linea analitica delle lotte meridionali si colloca D. PIZZUTI S.J., Il proletariato nel Mezzogiorno. In: « AGGIORNAMENTI SOCIALI ». Milano, A. XXIII, n. 5, maggio 1972, pp. 339-354.
62
I migliori saggi sui fatti di Reggio sono quelli di V. FOA, Dopo Reggio di Calabria. In: « GIOVANE CRITICA ». Roma. n. 24, Autunno 1970, pp. 2-6; P. FERRARIS,
I cento giorni di Reggio: i presupposti della rivolta e la sua dinamica. In: « GIOVANE
CRITICA ». Roma, n. 25, Inverno 1971, pp. 2-42, che contiene una lucida analisi, in
questa ottica, delle forze sociali e politiche protagoniste di quella vicenda; V. PARLATO, Reggio Calabria: 3 mesi di rivolta urbana. In: « MANIFESTO (IL) ». Bari, A. IL,
n. 10/11, ottobre novembre 1970, pp. 17-23; F. D’AGOSTINI, I moti di luglio 1970febbraio 1971. Milano, 1972; gli atteggiamenti della stampa, a livello nazionale e locale, sono esaminati dal Ferraris, quelli dei quotidiani meridionali da M. ISNENGHI, I
quotidiani meridionali e la rivolta di Reggio Cala bria. In: « BELFAGOR . Rassegna di
varia umanità ». Firenze, A. XXVII, n. 1, 31 gennaio 1972, pp. 30-53.
168
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traddizioni del nuovo assetto socio-economico. A Reggio era insorta
quella massa urbanizzata « marginale rispetto ai rapporti di produzione » che fa del « centro », come osserva Donolo, l’area di esplosivi
conflitti sociali » 63 .
Questo modello di interpretazione, desunto dalla linea di pensiero
Sweezy-Baran-Frank, viene adottato — con opportune varianti atte a
cogliere da un lato la specificità storico-economica del Mezzogiorno e
privilegiare gli aspetti più squisitamente sociologici che nel modello
originario appaiono marginali, e dall’altro per attutire l’eccessivo
schematismo espropriazione-appropriazione applicato rigidamente a
livello internazionale, in chiave macro-economjca e storica, volta a
spiegare le vicende del processo mondiale di accumulazione capitalistica, i meccanismi di funzionamento e le conseguenze economiche —
in una ipotesi di ricerca sulla provincia di Salerno, rivelando la sua efficacia metodologica, anche se a scapito della suggestione derivante
dalla sua violenza demistificatrice64 .
L’équipe di ricercatori è giunta ad individuare tre costanti, che presiedono al meccanismo di persistenza di un sottosistema economicopolitico, che, se sono validi per un’area di marginalità relativa quale il
Salernitano, risultano ancora più calzanti per le aree interne di più accentuata marginalità:
a) principio di mantenimento: nel processo di sviluppo capitalistico nazionale si verifica una divisione del lavoro a livello del si-
63
L. MARELLI, Sviluppo e sottosviluppo nel mezzogiorno d’Italia dal 1945 agli
anni 70. Napoli, 1972, pp. 17-21.
64
G. BONAZZI - A. BAGNASCO – S. CASILIO, Industria e potere in una provincia meridionale. L’organizzazione della marginalità. Prefazione di F. M. FerrerPacces. Torino, 1972; degli studiosi sopra richiamati si vedano anche: P. M. BARAN, Il
« surplus» economico e la teoria marxista dello sviluppo. Milano, 1962; Saggi marxisti.
T orino, 1976, in particol. pp. 251-340; A. G. FRANE, Capitalismo e sottosviluppo in
Am erica Latina. Torino, 1969; Sociologia dello sviluppo e sottosviluppo della sociologia. Milano, 1870; Sul sottosviluppo capitalistico. Milano, 1974, dove, a pag. 61,
tale posizione è così chiaramente esposta: « La mia tesi è che il sottosviluppo, come Io
conosciamo noi oggi, e lo sviluppo economico, sono prodotti simultanei e relativi dello
sviluppo su vasta scala e di una storia di almeno più di quattro secoli di un unico sistema economico integrato: il capitalismo. Penso che l’esperienza del mercantilismo e del
capitalismo dovrebbe essere intesa come parte non solo di un unico processo storico, Io
sviluppo del capitalismo, ma dello sviluppo di un sistema unico ed integrato, il sistema
capitalista, che raggiunse una portata mondiale... Una parte sfrutta l’altra, nonostante ridiffonda in essa alcuni frutti dello sviluppo economico e culturale basato su quello sfruttamento. Lo sfruttamento e lo sviluppo da una parte si conclude ed è accompagnato dallo sviluppo del sottosviluppo dall’altra parte. Nonostante ne risulti un concentramento
regionale di sviluppo e sottosviluppo, ci sono anche settori sviluppati in regioni sottosviluppate e settori sottosviluppati in regioni sviluppate come conseguenza di uno stesso
processo di un irregolare sviluppo capitalista. La contraddizione tra sviluppo e sottosviluppo può essere associata alla contraddizione fra una classe e l’altra, quella tra i beneficiari dello sfruttamento e quanti allo sfruttamento contribuiscono nel processo di sviluppo capitalista »; per l’applicazione al Mezzogiorno di siffatti orientamenti teorici cfr.
L. LIBERTINI, Integrazione capitalistica e sottosviluppo. I nuovi termini della questione meridionale. Bari, 1970, II ed.
169
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stema generale, per cui alcune funzioni produttive esplicate dalle economie marginali prima dell’attivazione della dialettica centralità-marginalità vengono in certa misura conservate ai margini;
b) principio di riproduzione: l’agire imprenditoriale nelle aree
marginali dello sviluppo capitalistico nazionale, sollecitato dalle opportunità istituzionali di sviluppo, non è in grado di ricomporre e sviluppare un sistema industriale locale organico, efficiente, autonomo e
autopropulsivo, ma tende a ricreare dinamicamente le caratteristiche di
un sistema marginale;
c) principio di organizzazione: l’apparente disorganizzazione dell’economia nelle aree di tentato sviluppo è in realtà l’aspetto fondamentale dell’organizzazione che la società locale dà alla sua struttura
per poterla adattare nel tempo, sostanzialmente conservandola, in armonia con le esigenze di crescita del sistema capitalistico centrale.
Agire economico e agire politico si combinano per produrre questo
adattamento...
La dialettica centralità-marginalità ha implicazioni sociali profonde, che derivano dalle concrezioni di poteri che si sono formate intorno ad essa, tanto al centro, quanto ai margini. Rompere i vincoli di
dominanza significa toccare interessi consolidati e classi dominanti.
Le forze sociali per tali trasformazioni non potranno che essere trovate
nei gruppi oggi esclusi, tanto al centro quanto ai margini, dal controllo
dei processi produttivi. E proprio perché la tesi che lo sviluppo non è
solo un problema tecnico, ma anzitutto un problema politico, come i
risultati di indagini sul problema specifico del Meridione italiano documentano abbondantemente, è difficile sfuggire alla conclusione che
la prassi politica sarà in grado di svolgere il ruolo per lo sviluppo che
le compete, soltanto se invece di razionalizzare l’esistente si porrà
come obiettivo una trasformazione radicale dei rapporti economici e
sociali » 65 .
E soltanto in questa realtà storica è spiegabile il movimento metanifero, specie se si pensa al tempo in cui si svolse, il 1969 appunto,
quando « la volontà delle masse di essere protagoniste » attinse i vertici più alti di tensione e di realizzazione.
« La novità fondamentale portata in questi anni di sviluppo e di
crisi delle forse operaie, popolari e giovanili è certamente — sostiene
De Giovanni — l’affermazione di una nuova volontà di protagonismo.
Si può specificare che questa nuova volontà non si riduce a una rinun-
65
G. BONAZZI - A. BAGNASCO - S. CASILIO, Op. cit., pp. 433.446 passim: la
categoria socio-politica « marginalità », col dibattito teorico che la sostiene, è ampia.
mente illustrata in « MARGINALITÀ e classi sociali ». Interventi di Germani, Nun,
Murmis... a cura di Gabriella Turnaturi. Roma, 1976; puntuali. lungo questa linea e riferiti specificamente all’aericoltura meridionale, i saggi di G. MOTTURA - E. PUGLIESE , Agricoltura. Mezzogiorno e mercato del lavoro. Bologna. 1975; del pari utile anche
se rivolto a problematiche di respiro internazionale, R. STAVENHAGEN, Le classi sociali nelle società agrarie. Conflitti e contraddizioni nei paesi del Terzo Mondo. Milano, 1971.
170
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cia alla delega, ma si estende all’assunzione in proprio di responsabilità, a un nuovo livello di iniziativa politica e ideale...
Che cosa significa questa volontà di protagonismo se non una risposta che, nell’epoca della transizione, le masse danno a un problema
oggettivo e reale, al problema della loro organizzazione? Mi pare che
questo sia l’orizzonte politico nel quale debba essere visto il problema...
E’ chiaro che nel momento in cui le masse pongono il problema
della loro iniziativa sul terreno della partecipazione alla vita reale della politica, della cultura e si sforzano di calare quest’iniziativa in istituti reali, è l’autorganizzazione delle masse dal basso verso l’alto che
diventa il centro del discorso » 66 .
Carenze e colpe delle organizzazioni storiche
A fronte dei compromessi ormai diventati pratica costante tra le
forze politiche storiche, e che l’episodio del metano, come abbiamo
testimoniato, confermerà ancora una volta, si è acquisita ormai la coscienza che « oggi, ancor più di ieri, le sezioni locali dei partiti politici
nazionali diventano passive proiezioni di « centri esterni », e perdono
qualsiasi capacità di esprimere, in autonoma domanda politica, le istanze collettive periferiche, poiché esse contano solo in virtù del credito che hanno e dei favori che possono mendicare presso i loro amici
che stanno in alto, che stanno « fuori », che stanno presso quelle « sedi
nazionali ».
E’ di fronte a questa realtà, che esplode la forte esigenza di autonomia politica, la quale giunge a porre, come premessa di un reale «
far politica » nel Mezzogiorno, una organicità piena ai bisogni delle
masse e delle comunità locali, che sente spesso la necessità di essere
sancita con un atto di separazione da ogni struttura politica che si presenti già bella e fatta, nella sua compiutezza nazionale..
Lo spazio vitale preliminare di una ripresa politica di massa del
Mezzogiorno si conquista evitando di affidare nuovi ruoli di supplenza (alla classe operaia del Nord, al sindacato nazionale, al partito di
opposizione parlamentare), o di rivalutare vecchi ruoli di nuove clientele » 67 .
Non è un caso fortuito che il luogo e il momento di nascita dell’intero movimento avvenga nella bottega di un barbiere, « Cipolla »,
punto di incontro e di socializzazione proletaria, e non nella sede di un
partito politico, per esempio di sinistra; né è pura combinazione che
66
B. DE GIOVANNI, La volontà delle masse di essere protagoniste. In: « RINASCITA ». Roma, A. XXXII, n. 4, 24 gennaio 1975, pp. 12-13.
67
F. FERRARIS, Note di un « nordista » sulla giovane sinistra meridionale. In: «
GIOVANE CRITICA ». Roma, 1971, n. 29, pp. 82-91.
171
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nei comitati entrino a far parte iscritti di tutti i partiti, che, tuttavia,
nell’arco della vicenda, anche se, per le considerazioni di cui sopra,
sembrano in un primo tempo scavalcati, emergono poi prepotentemente, sotto diversi aspetti, a gestire o ad ostacolare la lotta, a seconda se si tratti del Partito comunista o della Democrazia cristiana.
Gli è che le popolazioni, e ancor più i nuclei dei comitati promo tori che erano i più avvertiti e politicizzati, avevano coscienza di condurre una vertenza squisitamente politica, che era sì una incontrovertibile condanna della classe politica provinciale, ma soprattutto del
modo di far politica delle sezioni locali; è chiaro che, come è dimo strabile dalla « colorazione politica » dei membri dei comitati, il discorso investe in primo luogo la Democrazia cristiana.
Ma non soltanto questa, se, a partire proprio dai giorni e dalle esperienze di lotta per il metano, anche in seno al partito comunista, almeno da parte di quei dirigenti provvisti di più acuta sensibilità, ci si
comincerà a chiedere se il partito fosse veramente preparato, anche attraverso le sue strutture locali, a cogliere ed interpretare la « domanda
politica » che saliva da più vaste e duttili aggregazioni popolari.
Non va dimenticato che il l° giugno del 1969 esce il primo numero
de « Il Manifesto », nel quale Luigi Pintor parla del « dialogo » dei
vertici dell’opposizione parlamentare di fronte al « pericolo che aumenti, per le grandi masse, la difficoltà di cogliere un qualche plausibile nesso tra un’ipotesi tattica così impalpabile e una moderna linea
rivoluzionaria, un progetto limpido di fondazione di una nuova società. Un progetto che ha bisogno di affidarsi, comunque lo si voglia graduare nel tempo, a una tensione di lotta, a una contrapposizione di valori, a una strutturazione del movimento, a un « clima » ben diverso
dall’afa debilitante e avvilente che ci circonda. Può altrimenti derivarne una frustrazione, un impoverimento ideale, il rischio di un disarmo, che sono il prezzo più alto che una collettività possa pagare e
la premessa di una compromissione non solo del presente ma
dell’avvenire » 68 .
Del resto è proprio uno dei dirigenti più acuti e più attenti del partito comunista, Pietro Ingrao, ad avvertire « nuovi momenti di potere
(e quindi di nuove aggregazioni sociali) a livello della società civile,
pena l’impossibilità di avviare un nuovo ruolo delle assemblee elettive: in che cosa sta, oggi, la carenza di un « potere adeguato ai problemi », anche in sede parlamentare? La risposta a questo quesito e da ricercare muovendo dalle « domande » nuove, che sorgono dal paese e
che non si esauriscono certo in una generica richiesta di « partecipazione ». Basta riferirsi agli originali strumenti di potere e di controllo che il movimento sindacale sta costruendo nella fabbrica, al lavoro per stabilire un collegamento tra le assemblee elettive perife-
68
L. PINTOR, Maggioranza e opposizione. Un dialogo senza avvenire. In: « MANIFESTO (IL) ». Bari, A. I, n. 1, giugno 1969, pp. 5-8.
172
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riche e i momenti di organizzazione unitaria dei lavoratori della terra,
per affermare una più forte e strutturata « presenza » contadina nello
scontro sociale, al tentativo di avanguardie culturali di ritrovare
un’autonomia e una novità di contenuti rispetto alle manipolazioni del
sistema.
E’ evidente che questi processi non esauriscono il sorgere di nuovi
« soggetti collettivi »: ma è certo che tali processi ne sono una componente importante per le aggregazioni che determinano, per i primi mo menti di selezione e di unificazione che rappresentano, per il riverbero
che ne viene sui partiti.
Prospettando questa dialettica tra « sociale » e « politico » non si
discute di categorie astratte, ma ci si riferisce a movimenti qualificati,
costruiti attraverso decenni di ricerca teorica e di lotte, che stanno
conquistando nuove forme di intervento delle masse: mo vimenti « organizzati », capaci cioè di elaborare (attraverso sconfitte e vittorie) esperienze collettive durature, autonomi sì, ma non separati dalle forze
politiche. Si gioca insomma una carta difficile, ma non arbitraria » 69 .
Queste riflessioni, dopo i fatti di Battipaglia e Avola, gli incendi
dei municipi di Castel Volturno e Villa Literno, le esplosioni incontrollate di Palermo, Crotone, della Sicilia, la collera di migliaia di
braccianti pugliesi, vengono riproposte a Cosenza il 29 giugno 1969,
nel corso di un’Assemblea Nazionale della Lega per le autonomie e i
poteri locali, con accenti più chiari: « Se vogliamo vincere dobbiamo
cambiare. Il sindacato non deve essere più (perché viene contestato e
scavalcato dai lavoratori) il vecchio tipo di sindacato, né a Torino né
qui: deve imparare nel vivo della lotta, deve cambiare pelle. Deve
cambiare il nostro stesso partito, che non può più essere il vecchio
partito che guidava i vecchi grandi movimenti per la rinascita: eravamo nel 1948, ora siamo nel 1969; il Mezzogiorno d’Italia è cambiato e
deve avere un partito diverso » 70 .
Il disagio di non sentirsi all’altezza dei tempi e dei modi che la richiesta politica di massa è andata a mano a mano costruendo e avanzando, a partire dal 1968-1969, specialmente nel Mezzogiorno, troverà i dirigenti comunisti meridionali impegnati in uno sforzo continuo di ripensamento critico, documentato dagli interventi, su « Rinascita », di Pecchioli, Valenza, Occhetto, Reichlin, Vacca71 . Ed è
69
P. INGRAO, Potere delle masse e ruolo del Parlamento. In: « RINASCITA».
Roma, A. XXVI, n. 22, 30 maggio 1969, pp. 5-6.
70
P. INGRAO, Intervento all’Assemblea Nazionale della Lega per le autonomie e i
poteri locali - Cosenza 28-29 giugno 1969. In: « COMUNE (IL) DEMOCRATICO Rivista delle autonomie locali ». Roma, A. XXIV, Nuova Serie, n. 7-9, luglio.settembre
1969, pp. 18-27.
71
U. PECCHIOLI, Il rapporto partito -masse. In: « RINASCITA ». Roma, A.
XXVIII, n. 50, 17 dicembre 1971, pp. 5-6; P. VALENZA, Il Partito « non totalizzante
». In: « RINASCITA ». Roma, A. XXVIII, n. 51, 24 dicembre 1971, pp. 13-14; A. OCCHETTO, Per un sindacato meridionalista. In: « RINASCITA ». Roma, A. XXIX, n.
47, 1 dicembre 1972, pp. 5-6; A. REICHLIN, Dieci anni di politica meridionale. 19631973. Roma, 1974, che raccoglie vari scritti apparsi su « Rinascita » e « l’Unità » nel
corso di questi anni.
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proprio quest’ultimo a centrare il discorso sulla « struttura portante
dell’organizzazione: la sezione. Sotto questo profilo — scriverà infatti
il Vacca — non possiamo dirci soddis fatti dello stato del nostro partito
nel Mezzogiorno.., nata, venticinque e più anni fa, come centro
dell’iniziativa politica e delle masse povere meridionali, in quella
grande stagione di lotte di popolo che fu, nel Mezzogiorno, la lotta per
la rinascita e la conquista della terra, abbiamo bisogno di riguadagnare
oggi, all’altezza dei tempi mutati, appunto questa dimensione della
nostra sezione, in una fase della lotta di classe, che, vedendo il movimento sindacale dislocato sul terreno delle riforme, ripropone con urgenza tutti i caratteri tipici di una grande lotta di popolo...
Il partito nelle città meridionali, poi, non riesce ad essere l’organizzatore di lotte di massa contro il blocco urbano, e dunque finisce
per non avere neppure un’analisi corretta delle contraddizioni attuali o
latenti in esse... le sue capacità di effettiva mobilitazione si vanno
sempre più restringendo ai momenti della campagna elettorale o di
grande controllo sui temi dell’antifascismo e della valorizzazione e difesa delle istituzioni democratiche. Di qui anche l’impoverimento delle capacità analitiche ed organizzative dei suoi quadri intermedi:
essi sono sempre più dei tramiti propagandistici della politica di
partito verso le masse, e sempre meno dei reali interpreti e dirigenti di
essa » 72 .
Ma sarà soprattutto Reichlin, segretario regionale per la Puglia responsabile meridionale a livello centrale, direttore di « Rinascita » prima e poi de « l’Unità », a interpretare e tentare di precisare, anche con
appassionate autocritiche, il ruolo e la funzione del partito comunista
nel Mezzogiorno. Gli scritti che compongono il suo recente volume
(Dieci anni di politica meridionale. 1963-1973. Roma, 1974) si « legano intorno all’urgenza di ridefinire i protagonisti di massa della crisi
meridionale, di individuare le figure sociali (vecchie e nuove) che trasformano oggi la « questione meridionale », e le contraddizioni politiche che la stringono da vicino. I problemi della direzione politica emergono all’interno di questo quadro, e sono i problemi del partito nel
Mezzogiorno, della sua forza e dei suoi limiti anche gravi, della sua
capacità di far politica e delle difficoltà che spesso incontra nel trasformare l’opera di propaganda in iniziativa reale... Le sue riflessioni,
dopo i fatti dell’Aquila e di Reggio Calabria, non sono un elenco astratto delle debolezze del partito, ma un’analisi politica dello
72
G. VACCA, « La sezione cardine di unità e di alleanza » e « Nuovo terreno di sviluppo e d’iniziative per le sezioni comuniste. Temi del dibattito sul ‘compromesso storico’». In: « RINASCITA » del 18 febbraio 1972, pp. 7-8 e del 23 novembre 1973, pp. 89; si veda anche l’intervento attribuitogli al convegno comunista di Napoli del luglio ‘71
da « FORZE (LE) politiche italiane verso gli anni settanta ». In: « BASILICATA ».
Matera, A. XVIII (1973), n. 5/6, pp. 5-14.
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scompenso fra il suo livello di organizzazione ed il livello nuovo del
protagonismo politico delle masse » 73 .
Sarà ancora Reichlin ad indicare nel movimento per il metano quel
tipo di lotta nuovo, che è sì in rapporto dialettico con i partiti, ma in
certo senso li supera e sposta molto più avanti i normali confini del «
far politica », allarga la richiesta a tutte le possibili contro-parti in modo articolato e contestuale, attribuisce dimensioni più mo derne e connotati autenticamente democratici ad enti e strutture della società civile che li avevano smarriti od oscurati.
« t questo il tema affascinante e maturo che sta di fronte a noi nel
Mezzogiorno. t un tema, afferma, ricchissimo di implicazioni come
dimostrano già le prime esperienze: per esempio i comitati popolari
del Subappennino dauno che rifiutano la « fabbrichetta », cioè la concessione dall’alto, la provvidenza che lascia le cose così come stanno,
ed hanno invece aperto una vertenza globale con « tutte » le controparti (pubbliche e private) per una trasformazione generale dell’ambiente. E così scoprono un nuovo rapporto anche con il comune e gli
altri organi della democrazia rappresentativa, nel senso che ne mutano
la collocazione reale: non più mediatori tra masse indistinte e potere,
non più il sindaco postulante con il cappello in mano nell’anticamera
del ministro, ma case del popolo, strumenti di lotta e di auto-governo
di masse già organizzate in modo autonomo » 74 .
Evidentemente, però, l’esattezza delle analisi non significa automatica trasposizione e riproposta di un mo dello, da applicare in altre
situazioni con una certa analogia di connotati.
C’è una scelta precisa e inderogabile alla base della linea di lotta
sviluppata in trentanni dal partito comunista e perseguita con assoluta
fedeltà e sempre maggiore chiarezza, quella di una politica « entrista
», riformista, mirante ad alcuni « elementi di socialismo », alla compromissione del potere e del governo. Le lotte, allora, di tipo nuovo o
vecchio, ci si limita a controllarle, gestirle, smorzarle; perché, a parte
la linea politica di fondo, c’è come una rinunzia ideale e teorica e un
abbassamento continuo di tensione, tatticamente volto a fugare ormai
storiche paure ed accreditarsi con aspetto « responsabile », pensoso
delle sorti della patria.
Né vale richiamare — a parte il corrompimento, la degenerazione
e il burocratismo — la contraddizione reale tra la coscienza emergente
dalla lotta e nella lotta e il dato istituzionale, rappresentato dal partito
in quanto tale, in quanto struttura necessariamente unificante, mediatrice: Giorgio Amendola, su « l’Unità » del 21 e 29 agosto sempre del
1969, poneva, d’allora, l’esigenza di un « richiamo alla realtà » con
estrema urgenza e, di fronte a un Paese alla deriva, proponeva perento73
B. DE GIOVANNI. Meridionalismo ieri e oggi. In: « RINASCITA ». Roma, A.
XXXI, n. 31, 2 agosto 1974, p. 24.
74
A. REICHLIN, Il germe di un nuovo potere. In: « RINASCITA ». Roma, A.
XXVI, n. 31, 1 agosto 1969, pp. 9-10.
175
MARIO GIORGIO______________________________________________________________________________
riamente il Comunista come « partito di governo » e di riforme.
E la proposta percorrerà molta strada.
E’ una sorta di processo di involuzione politica ad investire, in
modo progressivo, la maggioranza delle forze di sinistra italiane. Se si
pensa che proprio il 1969 rappresenta il momento in cui le tensioni e
le contraddizioni della società sfociano in una lotta frontale e violenta,
nella quale gli operai dispongono di una forza unitaria e di una coscienza politica per certi aspetti superiore a quella raggiunta durante la
Liberazione, si deve concludere che in Italia si è verificata, nel tempo,
una contraddizione, che da un lato investe il mondo operaio e
dall’altro il capitale: mentre questo guadagna in vitalità ed efficienza e
si lega sempre più, attraverso un rapporto di dipendenza, alle sorti del
capitalismo internazionale in una integrazione dai risvolti protettivi
economico-politici, il mondo operaio, proprio perché vede crescere la
sua forza politica e il suo peso decisionale attraverso le sue organizzazioni sindacali e politiche, si integra sempre più nel sistema, accontentandosi di chiedere una « razionalizzazione » dello stesso, in nome di
un blando, generale, e perciò generico, riformismo.
Il sostegno delle sinistre al capitalismo di stato è una riprova ed
una scelta strategica; ed in questa luce va vista la coincidenza solo apparentemente singolare, sul problema dello sfruttamento in loco del
metano, delle posizioni di un Russo, notoriamente uomo dell’E.N.I., e
del partito comunista, che del resto nei confronti di quest’ente è stato
sempre particolarmente arrendevole e comprensivo, anche dal lato
strettamente sindacale 75 .
75
F. SILVA - E. TARGETTI, Politica economica e sviluppo economico in Italia, pt. IV.
In: « MONTHLY REVIEW - Edizione italiana ». Bari, A. V, n. 4/5, aprile-maggio
1972, pp. 29-44; per il « collaborazionismo » tra PCI ed enti di stato ed in particolare
L’ENI, oltre a P. H. FRANKEL, Petrolio e potere. Enrico Mattei. Firenze, 1970, spec.
pp. 66-67, si veda S. BOLOGNA - E. CIAFALONI, I tecnici come produttori e come
prodotto. In: « QUADERNI PIACENTINI ». Piacenza, A. VII, n. 37, marzo 1969, pp.
52-71, ma anche A. BANDINELLI, Industria di Stato e PCI. In: « PROVA (LA) RADICALE - Trimestrale politico ». Roma, A. I, n. 2, inverno 1972, pp. 5-9; per le conseguenze sul e nel Mezzogiorno, soprattutto nel mondo agricolo, della politica « conciliare
» delle forze di sinistra sono da tener presenti C. DANEO, Agricoltura e sviluppo capitalistico in Italia. Torino, 1969 e S. TARROW, Partito comunista ecc., citato, ma molto
stimolanti sono il RAPPORTO su alcuni aspetti attuali della questione agraria a cura
di G. Mottura ed altri, le PREMESSE a un lavoro politico nel Mezzogiorno a cura del
Centro di Coordinamento Campano, il saggio « Fabbrica e Stato » di E. CIAFALONI
apparsi su « QUADERNI PIACENTINI », nn. 38, 40 e 48/49; ma i contributi più politicamente problematici e pregnanti ci sembrano quelli di L. MAGRI, Crisi, movimento,
alternativa. In: «MANIFESTO (IL) ». Bari, A. I, n. 2/3, luglio-agosto 1969, pp. 5-11; E.
MASI, Le radici del riformismo e F. CIAFALONI, Sul partito comunista italiano. In: «
QUADERNI PIACENTINI », Piacenza, A. XII, n. 50, luglio 1973, pp. 7-16 e 17-34; M.
SALVATI - B. BECCALLI, Divisione del lavoro - Capitalismo, socialismo, utopia. In:
« QUADERNI PIACENTINI ». Piacenza, A. IX, n. 40, aprile 1970, denso di particolari
spunti teorici; ancora M. SALVATI, L’origine della crisi in corso. In: « QUADERNI
PIACENTINI ». Piacenza, A. XI, n. 46, marzo 1972, pp. 2-30, di una lucidità analitica e
predittiva a dir poco sorprendente; un vaglio critico « ortodosso », dal punto di vista del
PCI, degli atteggiamenti e linee t eoriche sopra richiamate, e di altre simili, è condotto da
G. VACCA, Politica e teoria del marxismo italiano negli anni sessanta. In: « MARXISMO (IL) italiano negli anni sessanta e la formazione teorico-pratica delle nuove
generazioni. A cura dell’Istituto Gramsci. Roma, 1972, pp. 71-157.
176
_________________________________________________LOTTE POPOLARI NEL MEZZOGIORNO D’ITALIA
La linea strategica di favorire l’espansione del capitalismo di stato,
e quindi arrivare ad un controllo progressivo del potere attraverso le
leve economico-politiche della struttura statuale da conquistare per
tappe successive, è andata però incontro a quelle che il Merton chiama
« conseguenze inattese », per significare la discrepanza tra intenzioni
soggettive e oggettive conseguenze dell’agire 76 , e che la realtà storica,
rappresentata dalla « razza » che la Democrazia Cristiana ha prolificato nella gestione del parastato, indica come sempre più inattendibili.
L’apparato di gestione clientelare del potere ha prodotto quella
griglia di retribuzioni, « la giungla retributiva », che, in un intersecarsi
di interessi a mano a mano sempre più degradanti e marginalizzati,
puntella, in un gioco di spinte e controspinte, un sistema che fa leva
soprattutto su una dequalificazione morale e politica, che si esprime in
una domanda biecamente parcellizzata e particolaristica e produce una
coscienza deformata e sorda77 .
« I tumulti di Reggio Calabria offrono una tragica riprova... La
mobilitazione di massa e i tumulti non sono scoppiati sulla parola
d’ordine dell’industrializzazione, ma su quella di « Reggio capoluogo
»: come dire che al di sotto delle lotte campanilistiche per strapparsi
uno stabilimento [come la « guerra dei poveri » tra Eboli e Grottaminarda, fomentata dagli stessi onorevoli democristiani], c’è un gradino ancora inferiore di marginalità, quello delle lotte campanilistiche
per strappare un po’ di posti improduttivi nelle pieghe ipertrofiche dell’amministrazione pubblica. Questa considerazione non contrasta con
il fatto che la suddetta mobilitazione sia stata promossa, egemonizzata
e strumentalizzata per altri fini da forze politiche dell’estrema destra.
Seminai, proprio il fatto che questi moti eversivi, su parole d’ordine
76
R. K. MERTON, Teoria e struttura sociale. Bologna, 1966, Il ed., p. 85
Oltre ai saggi richiamati precedentemente, si vedano: P. A. ALLUM, Anatomia
di una repubblica. Potere ed istituzioni in Italia. Milano, 1976; dello stesso autore, emblematico per la specificità meridionale, ancora « Potere e società a Napoli. Traduzione
di Aldo Serafini ». Torino, 1975; R. CATANZARO, Potere e politica locale in Italia.
In: « QUADERNI DI SOCIOLOGIA ». Torino, Nuova Serie, Vol. XXIV, ott.-dic.
1975, pp. 273-322, che traccia una sintesi sugli studi di sociologia del potere in Italia;
un tentativo di definire la valenza teorica delle categorie so cio-politiche di « clientela »
e « padrinaggio » lo persegue L. GRAZIANO Schema concettuale per lo studio del
clientelismo. In: « STUDI DI SOCIOLOGIA ». Milano, A. XII, Luglio-Dicembre 1974,
Fasc. 111-1V, pp. 360-391; ma fondamentale, comun que, resta M. MAUSS, Saggio sul
dono. Forma e motivo della scambio nelle so cità arcaiche. In: M. MAUSS, Teoria generale della magia e altri saggi. Introduzione di Claude Lévi-Strauss. Traduzione di
Franco Zannino. Torino, 1965, pp. 153-292.
77
177
MARIO GIORGIO______________________________________________________________________________
così rozze e fuorvianti, abbiano avuto successo, è segno ulteriore di
estrema marginalità » 78 .
Di contro a situazioni di marginalità estrema, come quella di Reggio Calabria, da considerarsi tuttavia « centro » per la sua accentuata
urbanizzazione, vi sono situazioni addirittura di marginalità assoluta.
E’ il caso, per esempio, di tre comuni del Subappennino dauno settentrionale — Carlantino, Celenza Valfortore e S. Marco la Catola —,
dove, nell’estate del ‘74, addirittura i sindaci hanno tentato una mobilitazione di forze per un estremo tentativo di impedire una morte civile, che avanza implacabile, inarrestabile.
Richiamato da un « documento », stilato dalle tre amministrazioni,
ecco come il cronista descrive la sua ricognizione « — Grande sete
non solo di acqua, ma di giustizia. E giustizia per tutti. Qui sta il punto. Per tutti... — ripete, calcando, il sindaco di Carlantino. L’ho incontrato nella piazza, tipica come la piazza di tanti paesini del Subappennino, senza ore di punta, anzi senza ore, o meglio piazze all’ora zero:
semideserta, con una striminzita fila di alberi, qualche panchina, un
mucchietto di vecchi, bambini che saltano nella polvere, qualche donna, e un cane al sole. Aria di abbandono. Piazza senza giovani e senza
vita, senza tempo. Nessuno, stando qui in questo mo mento, penserebbe che siano le dieci di un radioso mattino. — Carlantino è finita, sta
all’ultima calata di lucignolo —, dicono qui ed aggiungono: — Carlantino sta fuori Carlantino — e si chiedono se il loro paese, con gli
altri, è moribondo o sia pure un morto che può essere risuscitato » 79 .
L’assurdo è che i tre paesi hanno fornito centinaia di ettari produttivi per l’invaso della diga di Occhito.
Il tentativo di mobilitazione, è superfluo precisano, abortisce sul
nascere, non trovando forze sufficienti, nelle sparute popolazioni residue, per essere portato avanti. L’appello si perde nel deserto.
A metà strada, tra questi due punti di marginalità assoluta, può essere collocata la situazione dei paesi metaniferi, in via di spopolamento, nel 1969, ma non ancora completamente vuoti: in un contesto
urbano e socio-economico degradato, ma non moralmente e politicamente dequalificato, per una ormai storica tradizione di lotte civili e
democratiche — si resta nella zona di influenza diretta dell’azione politico-sindacale di Di Vittorio —, per l’origine autenticamente popolare e la gestione squisitamente democratica dei comitati popolari,
di estrazione, almeno nei loro nuclei portanti, coscientemente antifascista.
M ARIO GIORGIO
(continua)
78
G. BONAZZI - A. BAGNASCO - S. CASILIO, Op. Cit., p. 59.
A. LUPO , A pochi chilometri dalla più grande diga d’Europa. Carlantino
all’ultimo atto: l’emigrazione l’ha svuotata. In: LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO ». 2 giugno 1974, p. 22.
79
178
CENTRO STORICO E SQUILIBRI TERRITORIALI:
IL CASO DI MONTE SANT’ANGELO∗
Dai primi anni del secondo dopoguerra ad oggi si è sviluppato in
Italia un intenso dibattito in campo urbanistico-architettonico, psicosociologico e politico-economico relativo alla problematica dei Centri
Storici e del loro ruolo e funzione nel contesto territoriale complessivo. Il carattere di centralità che investe tale problematica viene sottolineato, con forza e drammaticità, dall’emergenza nell’ambito del
sociale di nuovi patterns e standards di vita promossi dallo sviluppo
caotico e frenetico del sistema capitalistico e dall’espansione delle aree metropolitane, che hanno prodotto la polverizzazione ed atomizzazione degli organismi antichi con conseguente loro emarginazione e
degradazione. Il punto focale del dibattito verte intorno alla necessitàurgenza di salvaguardare e preservare la ‘storicità’ dei tessuti antichi
in quanto testimonianze-ricordo in forme cristallizzate e « monumentificate » della storia, della cultura, della tradizione, dei valori,
dell’organizzazione e della lotta di un popolo. Centro Storico come
monumento; non monumento morto, statico o pietrificato ma monumento vitale, dinamico, funzionale, la cui specificità oggettuale va ricercata nell’articolato intreccio forma-significato, storia-cultura, storia-società di cui esso rappresenta uno dei veicoli più significativi. Il
Centro Storico, in quanto fascio simultaneo di rappresentazioni storicamente e socialmente significative, si definisce non soltanto come
presenza oggettuale di una storia passata, ma soprattutto con ‘realtà
relazionale costituita di molteplici e diversificati rapporti, in cui il
nesso passato-presente, componente fondamentale ma non esaustiva,
assume pregnanza significativa soprattutto se rapportato al nesso presente-futuro. Il Centro Storico, infatti, come organismo « attuale » si
protende dal passato verso il futuro e come realtà dinamica si pone alla confluenza tra il vecchio e il nuovo, di cui il vecchio (preesistenze
residuali) è già esaustivamente dato e compiuto e il nuovo (trend innovativo) è ancora da scoprire e ricercare appieno. La difficoltà a decodificare e a ricodificare il senso-significato-funzione del Centro Storico risiede nel suo carattere sincretico di soggetto di storia dialetticamente evolventesi, di oggetto di modifiche internamente stratificate, di
campo sociale, problematicamente organizzato, di sistema di relazioni
∗
Testo della conferenza tenuta a Monte Sant’Angelo il 18-19 dicembre 1976 sul
tema « Centro storico e Piano Regolatore » promossa dal C.S.C. Società Umanitaria di
Manfredonia.
179
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
in continua evoluzione. Le coppie dicotomiche ‘diacronia-sincronia’ e
‘unità-complessità’ rappresentano le principali categorie analitiche ed
esplicative dell’oggettualità del Centro Storico dal cui intreccio si ricava la sua specificità come totalità fisico-sociale organicamente costituita e dialetticamente organizzata. Il Centro Storico si afferma soprattutto come organismo vivo e vitale nella misura in cui, da un lato,
rappresenta il prodotto effettuale di una dinamica sociale passata e storicamente determinata, dall’altro il campo fisico-sociale dell’attuale
dialettica di sviluppo sociale: monumento-documento, quindi, ma anche sistema relazionale in cui si condensano e precipitano i rapporti
economici, sociali, politici, culturali tipici e specifici di un popolo. Di
conseguenza risulta evidente che il decadimento e la disgregazione dei
tessuti antichi non è da imputare soltanto al processo di progressivo
logoramento delle strutture tipologico-formali, quanto piuttosto al
processo di de-funzionalizzazione del sistema economico e sociale che
di quelle strutture era il supporto ed il sostegno fondamentale. La rottura d’equilibrio tra forma e contenuto è resa tanto più drammatica
quanto più si rinviano i tempi della ri-funzionalizzazione del Centro
Storico e della sua ridefinizione in chiave di ri-uso.
Il problema del suo recupero e salvaguardia assume una duplice
polarizzazione e finalizzazione: da un lato si pone come conservazione
del patrimonio artistico-culturale in esso presente, dall’altro come sua
ri-valorizzazione e ri-utilizzazione in chiave di funzioni e ruoli nuovi
adeguati alla realtà dei processi storici e di sviluppo del territorio; il
‘restauro conservativo’, non più obiettivo e finalità ultima ed autonoma, diventa parte integrante di una strategia più ampia volta alla riqualificazione del Centro Storico nel quadro attuale di sviluppo societale.
Il problema del Centro Storico, in chiave di trend e modalità nuove di
articolazione ed organizzazione, va affrontato e risolto all’interno di
linee programmatico-decisionali a grande scala, relative all’assetto del
territorio sul piano economico-funzionale 1 . Ed è a questa altezza del
discorso che si coglie un’ulteriore determinazione e specificazione
della questione, importante sia sul piano analitico-interpretativo che
economico-politico: il Centro Storico cessa di essere considerato realtà autonoma e isolata, organismo chiuso e circoscritto, universo definito e significato dalla sua intrinseca logica costitutiva, per diventare
parte integrante di un orizzonte socio-territoriale più ampio, momento
storico di una storia più generale che lo determina e significa, valore
specifico di una più complessa struttura codificata di valori. Il Centro
Storico in questa dimensione prospettica assume la funzione di «
specchio diagrammatico »2 del modo di essere di un popolo e della sua
evoluzione storica all’interno del suo ambiente pecu-
1
Cfr. Bologna: Politica e metodologia del restauro a cura di P. L. CERVELLATI e
R. SCANNAVINI, Il Mulino, Bologna, 1973.
2
Cfr. M. TAFURI, Il problema dei Centri Storici all’interno della nuova dimensione cittadina, in AA. VV. La città territorio, Leonardo da Vinci Editrice, Bari,
1964.
180
_________________________________________________CENTRO STORICO E SQUILIBRI TERRITORI ALI...
liare che non è mero supporto esterno ma organismo dialetticamente
conglobante e funzionalisticamente organizzato. I Centri Storici non
devono essere più soggetti condannati alla paralisi (o peggio al progressivo degrado), e quindi oggetti di interventi passivi, ma devono e
possono rinnovarsi nel rapporto dialettico con la specifica realtà del
territorio, che è realtà di rapporti economici, di forze sociali, di lotte
politiche, di modelli culturali storicamente determinati. La politica
d’intervento, l’azione di recupero e restauro, il programma di conservazione-innovazione dei tessuti antichi deve tenere conto della loro
specificità contestuale ed ambientale, implicante una differenziazione
di realtà, problemi, situazioni e domande. Troppo spesso, invece, si
assiste ad una dinamica interventistica che prescinde completamente
dalla aderenza alla complessità-peculiarità dei Centri Storici e che sfocia nella proposizione di moduli tipologici e formali uniformi e
nell’attuazione di scelte tecnocratiche ed autoritarie scollegate dalle
reali esigenze socio-territoriali. Occorre pertanto operare una ricontestualizzazione e ridefinizione della politica d’intervento3 tanto
più urgente quanto più è implicata la trasformazione del territorio, la
modifica dell’ambiente sociale, di vita e di lavoro, e della sua fruizione da
parte della collettività. L’esigenza di specificità d’analisi e
d’intervento assume un ruolo centrale nella dinamica della realtà italiana nella misura in cui lo sviluppo territoriale non si precisa in forme
e tendenze lineari ed omogenee, ma presenta una scala differenziata di
articolazione ed espansione, come conseguenza dell’andamento difforme, diseguale, segmentizzato del sistema economico-produttivo
nazionale. La contraddizione fondamentale dello sviluppo e
dell’assetto territoriale italiano passa attraverso il rapporto squilibrato
città-campagna e Nord-Sud, nel quadro del peculiare modello di sviluppo capitalistico perseguito dal sistema economico nazionale, che ha
prodotto una marcata differenziazione funzionale per settori e rami
produttivi e in parallelo una « specializzazione territoriale » ad ampio
spettro di gradazioni4 . Fenomeno ormai a tutti noto è la polarizzazione
del tessuto territoriale in aree ipertrofiche, connotate da intensi processi di urbanizzazione e caotico sviluppo in quanto polmoni sani e vitali dell’apparato produttivo, e in aree ipotrofiche, deprivate di funzionalità produttiva e di conseguenza investite da violenti processi di
svuotamento e capillare abbandono. La polarizzazione socioeconomica, inoltre, procede lungo un asse in cui vengono a disporsi
gerarchicamente e a intrecciarsi funzionalisticamente aree metropolitane (centri di sviluppo, direzione, controllo) e aree satelliti (centri dipendenti e subalterni) secondo una precisa logica di dominiodipendenza e sviluppo-sottosviluppo5 . Lo squilibrio territoriale ma
3
Cfr. « Città e Regione» anno 2°, n. 2, 8-9 agosto settembre 1976, Sansoni, Fi-
renze.
4
P. Ceri. Introduzione generale in « Casa città e struttura sociale », a cura di P.
Ceri, Editori Riuniti, Roma, 1975.
5
Per una maggiore specificazione delle categorie utilizzate si rimanda alla lettura
dei lavori di A. G. FRANK, F. H. CARDOSO, C. FURTADO, DOS SANTOS.
181
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
territoriale ma soprattutto sociale che ne deriva viene maggiormente
acuito dalla ulteriore frammentazione delle singole aree in un insieme
articolato di sottoaree, riproducenti a livello medio e micro-spaziali la
contraddizione centro-periferia. L’atomizzazione e parcellizzazione
del territorio, inserita nella più complessa logica di scomposizionericomposizione verticale e centralistica, pone inequivocabili problemi
sul piano della appropriazione conoscitiva come su quello della programmazione empirica, in quanto risulta teoricamente scorretto e praticamente fuorviante un appiattimento omogeneizzante del sociale che
prescinda dalle sue specificità contestuali, così come risulta paralizzante il rimanere subalterni all’ottica particolaristica delle isolate microstrutture. Occorre individuare con esattezza e precisione il trend
unitario di sviluppo nazionale per poter di conseguenza riunificare il
reale in un progetto alternativo e democratico di sviluppo.
Il forte divario Nord-Sud, in chiave territoriale, si precisa inoltre
nel Sud in un processo di forte differenziazione interna che vede, pur
nella comune situazione di dipendenza e subalternità alle formazioni
oligopolistiche settentrionali, una stratificazione e gerarchizzazione
delle aree per la presenza-intreccio di fenomeni di svilupposottosviluppo-non-sviluppo6 . Vengono così a coesistere spazi affollati
e congestionati (aree di ‘polpa’ o di pianura o di polo di sviluppo) con
spazi in progressivo spopolamento e degrado (aree di ‘osso’ o di mo nte o di serbatoio)7 . Assume, di conseguenza, una valenza diversa e
specifica la modalità di intervento e gestione del territorio, poiché nelle aree congestionate i Centri Storici diventano oggetti di scelte ed investimenti speculativi, mentre nelle aree periferiche e marginali vengono condannati all’abbandono e al processo irreversibile di distruzione fisico-sociale. Infatti nelle aree centro-metropolitane, al Sud
come al Nord, il Centro Storico diventa il terreno privilegiato della
speculazione in connessione al forte peso e remuneratività della rendita urbana che è una funzione diretta dello sviluppo del sistema di produzione capitalistico8 : quanto più un centro urbano diventa polo di attrazione, sviluppo, investimenti, tanto più il territorio, luogo fisico della produzione, registra una lievitazione dei valori fondiari. Il processo
di speculazione che ha investito tali aree si è concentrato soprattutto
negli spazi centrali, sede dei meccanismi direzionali e di sviluppo, che
hanno registrato fenomeni di supersfruttamento e superutilizzazione;
di conseguenza l’impossibilità a reperire e ad accedere a spazi nuovi
ha spinto la speculazione, a partire dagli anni ‘70, ad intervenire ed «
investire sull’esistente » 9 : vengono riscoperti i Centri
6
Una ricomposizione critico-metodologica della problematica del sottosviluppo,
con particolare riferimento al caso italiano, è contenuta nel lavoro di G. BONAZZI, A.
BAGNASCO, S. CASILLO, Industria e potere politico in una pro vincia meridionale,
Torino, LIED, 1972.
7
Cfr. G. MOTTURA, E. PUGLIESE, Agricoltura, Mezzogiorno e mercato del lavoro, Il Mulino, Bologna, 1975.
8
Cfr. K. MARX, Il Capitale, Editori Riuniti, Roma, 1970, libro III.
9
Cfr. P. L. CERVELLATI, Rendita urbana e trasformazioni del territorio, in AA.
VV., L’Italia contemporanea, Einaudi, Torino, 1976.
182
_________________________________________________CENTRO STORICO E SQUILIBRI TERRITORI ALI...
Storici, da molto tempo condannati al ruolo di realtà degradate, centri
ghettizzati, sedi fatiscenti dell’esercito industriale di riserva (sottoutilizzabile in attività economico-urbane precarie e marginali). Il
Centro Storico diventa il campo di una nuova e selvaggia speculazione, che punta alla sua ri-utilizzazione in senso terziario e/o alla sua riconversione in chiave di residenza di lusso da attuare attraverso
l’espulsione violenta delle classi sociali in esso presenti10 . Da ghetto
marginale a residenza e/o servizio di ‘prestigio’, il Centro Storico si
sviluppa comunque secondo una logica esterno-estranea disfunzionale
alla sua specifica realtà, che è in primo luogo realtà sociale caratterizzata da un sistema particolare di bisogni-necessità, esigenzeaspirazioni.
Il trend di sviluppo delle aree periferico-satelliti, pur con le necessarie diversificazioni interne, segue una logica particolare connessa ai
processi di funzionalizzazione subalterna e sviluppo dipendente, che
ha assunto, soprattutto nel meridione, la patologia tipica del sottosviluppo. Ed è proprio nel Sud e specialmente nelle fasce internomontane che il degrado economico, sociale e territoriale finiscono per
coincidere in una unica realtà di sottosviluppo di cui al Centro Storico
rappresenta la condensazione più emblematica. Da centro di raccordo
sociale e di espansione economica — principalmente agricola — il
Centro Storico, investito da forti processi di defunzionalizzazione e
caduta verticale del suo tessuto produttivo originario, privato delle
mansioni di coordinamento e direzione politico-sociale, diventa serbatoio di forza lavoro da inviare nelle aree di attrazione, sede della pendolarità di massa, centro disabitato (se non da donne, bambini, vecchi,
animali), struttura fatiscente e sempre più degradata. Lo stato di abbandono e di mortificazione in cui versa il Centro Storico è reso più
acuta dal fatto che né operatori privati né operatori pubblici sembrano
seriamente interessati al suo programma di riuso spaziale e riconversione produttiva. Appare evidente che una reale politica di salvaguardia e promozione dei tessuti antichi, inseriti nelle maglie di uno sviluppo dipendente, passa neces sariamente attraverso la riqualificazione
e ricostituzione di patterns di sviluppo economico-sociali rispondenti
alle specifiche e peculiari necessità dell’area territoriale complessiva.
Centro Storico-Territorio, Territorio-Nazione rappresentano le categorie fondamentali e inscindibili di una corretta ricostruzione teorica e di
una adeguata progettazione empirica.
Appare evidente, dopo questa schematica introduzione critico-metodologica, che il caso Monte Sant’Angelo è decodificabile solo
all’interno di linee di lettura che tengano conto della generale dinamica di sviluppo territoriale, di cui esso è parte integrante. Inoltre dato il
carattere micro-strutturale dell’area spazio-territoriale di M.S.A. e data
la sua stagnazione in termini di espansione economico-produttiva, non
risulta significativo e pertinente, sia sul piano della scomposizione analitica che su quello della ricomposizione progettuale, operare una
10
Per una analisi più approfondita di tale problematica si rinvia al lavoro di G.
AMENDOLA, Casa, quartiere, rinnovo urbano, Dedalo, Bari 1977.
183
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
delimitazione netta tra un centro storico e un centro moderno in quanto entrambi inseriti e coinvolti ‘nella stessa logica di emarginazione e
depauperamento nel contesto delle linee di sviluppo economicosociale meridionale. Per la scarsa diversificazione e settorializzazione
in ruoli, funzioni, destinazioni ed uso delle aree, che comunque non è
di entità tale da minacciare e compromettere l’equilibrio interno,
M.S.A. si configura essenzialmente come condensazione sociospaziale unitaria, al cui interno si distinguono aree a maggiore rilevanza storica. t da sottolineare, infatti, che la configurazione territoriale di
M.S.A. è rappresentata da una struttura di cresta che si allunga sulla
direttrice est-ovest per circa 2 km con la presenza di quartieri storici
nella parte occidentale, rappresentati da Junno, San Francesco e
Sant’Antonio Abate nelle rispettive conche, e di quartieri più recenti
nella cresta orientale come Coppa, Fosso e Via Nuova. Nella parte
storica va inoltre distinta un’area più antica, individuata essenzialmente con criteri storico-filologici, corrispondente alla parte del territorio
racchiusa entro il cinto murario, e un’area ottocentesca, individuata
con criteri soprattutto tipologicoarchitettonici, che comprende per lo
più il quartiere di Sant’Antonio Abate, e s’inoltra verso est con la
classica tipologia ottocentesca e contadina di case a schiera sovrapposte. Qualsiasi intervento su M.S.A. deve tener conto del prezioso e
ricco patrimonio storico e culturale in esso presente e salvaguardarlo
tramite una politica di protezione, tutela, restauro e valorizzazione che
riqualifichi l’ambiente storico in connessione all’espansione del circostante territorio. t indubbio che la soluzione in positivo del centro storico passa attraverso la ridefinizione di nuovi ruoli, funzioni, sviluppo
da attribuire a M.S.A. nel contesto dell’economia regionale e meridionale e nell’ambito di nuove forme di organizzazione territoriale (sistemi comprensoriali, ad esempio).
La vicenda di M.S.A. è, nelle sue linee fondamentali, simile a
quella di tanti centri piccoli e medio-piccoli dell’entroterra pugliese e
meridionale, che sono stati le principali vittime della scelta politica di
mantenere il Mezzogiorno in condizione arretrata, sottosviluppata,
marginale, ma soprattutto subalterna alle esigenze delle concentrazioni
capitalistiche e monopolistiche settentrionali. La storia di M.S.A. è
storia emblematica e paradigmatica di un processo di progressivo decadimento, depauperamento, arretramento che non solo ha segnato e
fortemente condizionato il suo passato, ma che soprattutto rischia di
compromettere il suo prossimo futuro. Il forte isolamento geografico
della montagna garganica, il suo ergersi sia dalla parte del Tavoliere
che da quella del mare con poderose gradinate, la difficoltà di ascesa e
penetrazione nel monte hanno indubbiamente contribuito per tutto il
secolo scorso e fino all’apertura di nuove e più agevoli vie di comunicazione a rafforzare l’isolamento e la chiusura verso l’esterno di molti
centri interni, come ad esempio M.S.A. che sorge nella parte più alta
del monte a circa 800 m. sul mare. Ma le cause reali del trend negativo
di sviluppo registrato in queste zone non sono da ricercare all’interno
della composizione geografico-naturale, che al massimo può fungere
184
_________________________________________________CENTRO STORICO E SQUILIBRI TERRITORI ALI...
da fattore decelerante della dinamica espansiva, quanto piuttosto nella
logica complessiva di sviluppo del sistema meridionale e nel ruolofunzione attribuitogli nell’ambito dello sviluppo nazionale. Il circolo
vizioso del sottosviluppo meridionale nato e consolidatosi in relazione
ai processi di immobilizzo e disgregazione della struttura agricolocontadina, ai processi di contenimento dell’evoluzione industriale negli anni ‘50 e alla politica dei poli di sviluppo negli anni ‘60, ai processi di terziarizzazione dell’apparato economico meridionale ha come
risultato fondamentale la formazione e costituzione della società meridionale in chiave di sviluppo dipendente e funzionale al meccanismo
espansivo del sistema capitalistico settentrionale. Dapprima in quanto
mercato interno stabile e sbocco sicuro ai prodotti del settore industriale settentrionale, poi in quanto serbatoio di mano d’opera bassamente qualificata da inviare ed utilizzare al Nord, infine in quanto area
burocratico-parassitaria, il Mezzogiorno si specifica come area subalterna economicamente e politicamente alle grandi concentrazioni monopolistiche e di Stato rispetto a cui ha assolto il compito fondamentale di garantire le condizioni interne e generali della valorizzazione del
capitale — domanda interna in espansione, esercito industriale di riserva, equilibrio politico-sociale in chiave conservativa. Tale ruolo,
fortemente disfunzionale per l’autopropulsione della società meridionale, ha prodotto come conseguenze catastrofiche il degrado della agricoltura, la rottura del vecchio tessuto sociale contadino e braccantile11 , la dissoluzione e disgregazione dei centri collegati alle attività
produttive agricole, la fuga coatta dalle campagne, la crisi di valori
della cultura contadina. All’intensificazione del flusso Sud-Nord corrisponde, nel Mezzogiorno stesso, l’estendersi di correnti migratorie
interno-esterno e campagna-città come risposta all’urgente bisogno di
lavoro e di nuovi patterns di comportamento che la campagna ormai
depauperata, e l’ideologia contadina, ormai frammentata, non sono più
in grado di offrire e che la città sembra poter soddisfare. La struttura
portante del Mezzogiorno rimane l’agricoltura anche se lo spopolamento delle campagne, la crescente sottoutilizzazione delle risorse, la
permanenza di insostenibili e arretrati rapporti di produzione, la mancata riforma agraria e il taglio dei finanziamenti ne hanno decretato la
dissoluzione in termini di capacità espansivo-produttiva. Nella generale carenza nel Mezzogiorno di possibilità occupazionali
nell’agricoltura e dato il carattere ipotrofico delle concentrazioni industriali meridionali, ad alto contenuto tecnologico e a basso assorbimento di mano d’opera, si produce l’elefantiasi del terziario, soprattutto commercio e pubblico impiego, attraverso cui si inaugura e consolida una nuova forma di dipendenza meridionale e un nuovo sistema
di potere a base fortemente speculativa e clientelare.
In questo contesto, così rapidamente delineato, il processo di evoluzione o di involuzione della realtà di M.S.A. assume una configura-
11
R. VILLARI, La crisi del blocco agrario, in AA. VV., L’Italia contemporanea
cit.
185
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
zione più significativa. Un forte processo di spopolamento ha colpito
M.S.A. che è passato da un totale di popolazione residente nel 1951
pari a 27.551 unità a 21.601 nel 1961 e a 18.388 nel 197112 . A fronte
di questo decremento di popolazione si registra la forte diminuzione
della popolazione attiva che ha esattamente dimezzato i suoi valori,
passando da 11.512 nel 1951 a 7.627 nel 1961 a 5.697 nel 1971. La
popolazione residente attiva in condizione professionale nel settore
agricoltura, foresta e caccia passa da 8.654 a 4.430 a 1.785, con un decremento notevole pari a circa 7.000 unità e con una variazione percentuale elevatissima: 80% nel 1951, 60% nel 1961, 34% nel 1971,
come testimonianza della crisi che ha colpito l’agricoltura e del processo di abbandono della campagna da parte dei suoi antichi abitanti e
lavoranti.
Nonostante ciò nel 1971 gli attivi in agricoltura rappresentavano
il 34% sul totale della popolazione attiva contro il 29,7% del Mezzogiorno e il 17,2% dell’Italia; percentuale quindi particolarmente elevata che sottolinea l’esigenza di potenziare l’agricoltura in vista di una
espansione delle endogene possibilità occupazionali, di un blocco della emorragia di forza lavoro, ma soprattutto in vista di una piena ed
adeguata utilizzazione delle risorse interne del paese. Il potenziamento
dell’agricoltura implica la trasformazione dell’intero settore e del suo
peso nel contesto generale delle attività economiche meridionali, e richiede in via prioritaria la realizzazione di impianti di irrigazione, il
mutamento del sistema creditizio-finanziario, la ridefinizione delle
forme produttive passante attraverso lo sviluppo di forme cooperative
ed associative, lo sviluppo deciso di forme di commercializzazione,
trasformazione e conservazione dei prodotti.
La popolazione attiva nel settore industriale passa da circa 1.571
unità nel 1951 a 3.867 nel 1961 a 2.020 nel 1971, con un notevole incremento negli anni ‘60 soprattutto nella voce industria estrattiva e
manifatturiera’, da ricollegarsi all’espansione industriale dell’area
manfredoniana, mentre subisce un calo negli anni ‘70 che sarebbe stato più evidente qualora non fosse stato compensato dall’industria delle
costruzioni, che passa da 444 unità a 769 e a 1.175, triplicando quasi il
valore iniziale, contro gli 845 attivi nel 1971 del restante settore industriale. Si conferma in questi anni il ruolo dell’edilizia quale settore in
espansione per le caratteristiche precarie e marginali che lo contraddistinguono e che sono connesse al basso contenuto tecnologicoscientifico richiesto, alla bassa intensità di capitale investito, alla scarsa capacità manageriale implicata e soprattutto alla possibilità di utilizzo e sfruttamento di forza lavoro non qualificata in condizione di
precarietà. Nel 1971, dunque, M.S.A. riconferma il suo ruolo agricolo
e la sua sostanziale esclusione da processi di sviluppo industriale, se
non da quelli a carattere precario, che ne confermano il ruolo subalterno e marginale.
12
186
Fonte: ISTAT, Censimento generale della popolazione, anni 1951-1961-1971.
_________________________________________________CENTRO STORICO E SQUILIBRI TERRITORI ALI...
Nelle altre attività, terziario e Pubblica Amministrazione si registra un progressivo incremento del numero degli attivi che passano da
1.287 nel 1951 a 1.275 nel 1961 a 1.405 nel 1971, con una forte incidenza del commercio che segna i valori più alti, seguito dalla voce
‘Servizi’ e Pubblica Amministrazione.
Dai dati appare evidente che la popolazione attiva extragricola ha
registrato un incremento molto basso nel periodo considerato pari a +
567 unità, raggiungendo complessivamente il valore percentuale nel
1971 del 66% contro il 70% dell’Italia meridionale e l’82,7% dell’Italia. Il forte decremento della popolazione attiva e la sua bassa incidenza sul totale della popolazione — 28% contro 32,7% della Puglia, 30,1% dell’Italia meridionale e 34,7% dell’Italia — è inoltre
complementare ai forti indici registrati nel campo della popolazione
non attiva che è passata da 9.809 a 9.076 a 7.214. E’ questa la specifica conseguenza, da un lato, del forte esodo migratorio che coinvolgendo soprattutto la popolazione in età lavorativa ha prodotto una diminuzione della fascia attiva, e un aumento della parte non attiva, rappresentata da bambini, vecchi, pensionati, etc., dall’altro dalla mancata
espansione economica e dalla compressione delle risorse interne che
ha prodotto una restrizione della dinamica occupazionale, con grave
disagio soprattutto per i giovani che si sono riversati sempre più massicciamente nelle scuole superiori e nelle università, destinate ad assolvere il ruolo di aree di parcheggio nell’attesa di uno sbocco professionale che sempre più tarda a profilarsi.
Degrado dell’agricoltura, nonostante la sua centralità nell’economia del paese, sviluppo irrisorio delle attività industriali propriamente
dette e crescita sproporzionata del settore edilizio e della connessa occupazione precaria, incremento del terziario (soprattutto commercio,
servizi vari e Pubblica Amministrazione) queste sono le caratteristiche
peculiari e fondamentali della realtà di M.S.A., espressioni tipiche del
processo di non-sviluppo e sottosviluppo che ha coinvolto intere zone
e paesi del Mezzogiorno.
Eliminare lo stato di depressione ambientale e sociale di M.S.A.
rivitalizzare la struttura economica, rompere il cerchio della emarginazione e spoliazione, bloccare il processo di distruzione del paesaggio
naturale, recuperare appieno il senso storico-artistico-culturale e sociale di questa realtà rappresentano sfaccettature diverse ed inscindibili di
un unico problema, che può essere affrontato adeguatamente solo attraverso una politica di piano complessiva e una gestione pubblico-democratica del territorio.Occorre, cioè, superare la logica passata che
privilegiava come momento centrale la formazione di piani ed interventi settoriali e che era diretta funzione di una gestione privatisticocentralistica del territorio; nel contempo occorre vagliare attentamente
le scelte di politica territoriale rispetto ai settori produttivi fondamentali, quali l’agricoltura e l’industria, ai settori propulsivi di aggiuntivo
sviluppo, quale il turismo, alle risorse primarie fondamentali, acqua ed
energia, alla tutela del patrimonio storico-culturale, alla
187
STELLA VITUCCI______________________________________________________________________________
salvaguardia dei sistemi boschivo-forestali. Programma arduo e complesso che può essere portato avanti solo nella collaborazione tra Regioni e Comuni, e nell’adeguato funzionamento di organismi vecchi e
nuovi preposti alla gestione di alcuni servizi (comunità montane, consorzi particolari, unità socio-sanitarie, ecc.)13 . Diventa centrale, inoltre, riprendere il dibattito sui Comprensori e sulle loro modalità di
funzionamento per formulare e raccordare linee unitarioprogrammatiche di sviluppo, troppo spesso frammentizzate dallo scollegamento e differenziazione, per dimensioni e capacità operative, di
organismi di gestione quali i Comuni. Solo all’interno di un profondo
e reale rinnovamento del quadro politico-istituzionale e all’interno di
un vasto ed esteso dibattito tra tutte le forze politico-economicosociali autenticamente democratiche, è possibile ipotizzare linee alternative di sviluppo economico e di gestione territoriale che mirino alla
difesa e salvaguardia dei tanti centri meridionali che come Monte
Sant’Angelo hanno pagato e continuano a pagare le conseguenze della
dissennata politica economica fino ad oggi perseguita.
STELLA VITUCCI
13
Cfr. Documento pro grammatico per l’avvio della pianificazione territoriale in
Puglia, Regione Puglia, Assessorato Urbanistica e LL. PP. Settore Urbanistico Regionale, Bari, 1975.
188
la Capitanata
Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia
Direttore: dott. Angelo Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale.
Direttore responsabile: m 0 Mario Taronna
Tipografia Laurenziana - Napoli
Autorizzazioni del Tribunale di Foggia 6 giugno 1962 e 16 aprile 1963
Registrazione presso la Cancelleria del Tribunale di Foggia al n. 150
la Capitanata
Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia
BOLLETTINO D'INFORMAZIONE
della
Biblioteca Provinciale di Foggia
Anno XIV (1976)
Parte Il
N. 1-6 (genn.-dic.)
« FOGLI VOLANTI »
CULTURA DI BASE IN CAPITANATA
Ricerche e interventi del sistema bibliotecario
FOGLI VOLANTI 1 è l'inizio di un'informazione periodica su un'attività di
ricerche e interventi che partendo dalla Amministrazione e dalla Biblioteca
provinciali si articolerà nell'intera provincia attraverso il Sistema Bibliotecario.
A questa iniziativa si è data l'enunciazione di Cultura di base in Capitanata.
Espressione individuale e partecipazione collettiva delle classi subalterne e i Fogli Volanti
costituiranno progressivamente materiali, contributi, sollecitazioni emergenti
dal lavoro di ricerca che si imposterà in collaborazione con quanti saranno
interessati come singoli operatori, istituti, organizzazioni.
Si tratta di un lavoro di ricerca generale sul campo a livello provinciale
diretto a raccogliere materiali relativi alla tradizione orale e scritta, alle
manifestazioni collettive, a una documentazione visiva e sonora, all'archivistica
minore, che andranno a costituire progressivamente l'archivio della
fonocineteca provinciale. Non si tratta di costituire un archivio " totale " ma di
riunire in maniera comunque corretta sul piano scientifico i materiali intorno a
problemi unificanti che solle-
1
citino ulteriori ricerche, che diano all'archivio un ruolo di promozione e di
interventi decentrati e successivamente la possibilità di preparare sintesi
audiovisive che andranno in dotazione alle biblioteche del sistema.
Come programma ulteriore la ricerca dovrà svolgere un ruolo graduale
e costante di diffusione e socializzazione di materiali e tematiche, definendosi
come intervento e strumento promozionale attraverso una serie di incontri
decentrati in quartieri del capoluogo e in alcuni comuni, durante i quali saranno
presentati materiali audiovisivi.
Durante il corso dell'anno saranno impostate due ricerche particolari
su La partecipazione e i momenti di aggregazione: La Cavalcata degli Angeli (Incoronata)
e Il primo maggio (Cerignola). La prima è una manifestazione religiosa legata al
pellegrinaggio all'Incoronata (che si concentra da molti comuni della provincia e
dalle regioni limitrofe), con preparazione e sfilata di carri (quadri viventi). La
seconda è una manifestazione laica di carattere politico celebrativo che ha le sue
radici nei riti agrari di fertilità e nella celebrazione del Maggio come festa legata
alla terra e al raccolto.
2
cultura e
territorio
Se da un lato la ricerca consisterà necessariamente nella rilevazione sul
campo di documenti, testimonianze, manifestazioni folcloriche, avrà cioè come
riferimento il patrimonio culturale per lo più orale delle classi subalterne,
cercherà di essere contemporaneamente uno strumento che si inserisca come
presenza quotidiana nelle esigenze, nelle contraddizioni, nelle espressioni che
sono distintive e particolari di ogni ambiente; sia rispetto ad una propria
tradizione politica e culturale che rispetto ad una programmazione che nasca
come occasione di incontro e di scambio tra gli organismi e la base e momento
di partecipazione reale.
Politica e cultura di un territorio sono anche le situazioni materiali, il
lavoro, le lotte, la quotidianità, la storia non raccontata, i miti, l'espressione
orale e gestuale, le manifestazioni politiche e religiose, che sono memoria
collettiva e attualità storica di contadini, braccianti, operai. Cultura quindi intesa
non unicamente come manifestazione artistica legata a modelli borghesi di
riferimento, ma come modo di vita, come coscienza -della propria presenza
attiva nella storia e soprattutto nella contemporaneità.
Anche la conoscenza del retroterra culturale di queste classi può servire
ad intervenire nell'oggi senza scardinare quelle che sono alcune delle strutture
portanti e progressive di una visione del mondo subalterna (che ha tuttavia una
3
sua organicità), sovrapponendo illuministicamente contenuti e forme e
limitandosi ad una importazione di prodotti culturali dai centri privilegiati.
Ogni situazione locale deve rappresentare una riflessione e
un'impostazione di interventi che tengano conto delle diversità culturali, dei
rapporti tra i gruppi e le classi e tra questi e le strutture, del problema della
riappropriazione e della produzione di cultura. In questa prospettiva si pone
come necessità l'elaborazione di strumenti e di metodologie che entrino in
rapporto con la domanda di cultura, con la crescita politica delle masse popolari
e con l'esigenza della partecipazione come coscienza e azione all'interno delle
strutture.
La base operaia e contadina si pone come ampio interlocutore per
l'individuazione del rapporto tra conoscenza dell'ambiente e intervento
operativo nella realtà. Intervento attraverso la realizzazione di strumenti e canali
di comunicazione che si facciano espressione della creatività di base e che
divengano anche elementi di informazione e di scambio di esperienze.
PUBBLICHE ISTITUZIONI
E ORGANIZZAZIONE
DELLA CULTURA DI BASE
In vari ambiti la prospettiva del collegamento tra apparati istituzionali e
organizzativi ed esigenze espresse dalla realtà territoriale, ha portato alla
necessità di una programmazione che nasca come spinta e risultato delle forze
attive e compresenti, come collaborazione effettiva di istanze organiche, di
singoli contributi, di organismi e strutture operanti.
Tale prospettiva non si è ancora tradotta però in una pratica diffusa e
concreta di interventi e di proposte organizzative e permane in molti casi la
frattura tra quella che da un lato comunque resta l'istituzione, intesa spesso
come apparato centralizzato, decisionale, distributore, talvolta burocratico e
sclerotico e le sporadiche iniziative più o meno spontanee, più o meno radicate:
un lavoro di base isolato, denutrito, sorretto
4
con sforzo, incapace di diffondersi e di sviluppare energie interagendo con altre
forze. Questa che sembra una condanna forzata all'isolamento è l'elemento
pregiudiziale di una enorme risorsa di esperienze e di capacità che attraverso
l'aggregazione e la circolazione potrebbero acquisire una rilevante potenziale di
affermazione e di produzione culturale.
La biblioteca come luogo deputato di deposito di libri ha ormai
esaurito la sua funzione sia pratica che concettuale. Forse però ha più esaurito
la sua funzione concettuale, dato che non basta l'affermazione di una volontà
per determinare quel processo vivificatore, quel coagulo di forze, quella
convergenza di organismi operanti, quelle energie intersettoriali che
garantiscano almeno l'avvio di un'attività. Attività che abbia come asse portante
proprio l'interazione di una serie di interessi e di iniziative, che sappia
conoscere ed adattarsi alle sollecitazioni espresse dall'ambito in cui si inserisce
qualsiasi intervento, che sappia cogliere ed organizzare i contributi e le
disponibilità che si offrono a disposizione.
L'ambiente urbano può fruire di sollecitazioni che provengono dalle
attività in ambito teatrale e cinematografico, dalla possibilità di organizzare
incontri, discussioni, dalla presenza organizzata dell'intervento politico e di
strutture associative culturali e sociali come primi luoghi di aggregazione. Se in
città l'incontro e la circolazione di esperienze divengono un fatto traumatico ed
irrisolto per il frazionamento, la parcellizzazione, il ritmo coatto che si è
costretti a subire, la realtà decentrata, extraurbana, manca degli spazi, dei luoghi
di riunione, di strutture che possano almeno configurarsi come luoghi di
riferimento e di aggregazione di una volontà di crescita, di elaborazione e di
autogestione delle proprie iniziative.
L'ambito urbano ha comunque i suoi luoghi di riferimento, anche se
effettivamente manca tra questi luoghi un collegamento e un coordinamento.
La programmazione a livello urbano, passando attraverso potere decisionale,
pubbliche istituzioni, strutture associazionistiche, prodotti culturali, spesso ha
coinvolto la periferia, il circondario, la provincia in modo burocratico ed
egemonico, limitandosi al trasferimento di edifici e prodotti, non basandosi su
una scelta e su un potere decisionale che esprimessero la volontà e la necessità
del luogo
5
di esportazione o di immigrazione di edifici e prodotti; i quali spesso sono stati
vissuti come corpi estranei, calati da una volontà anonima, non corrispondenti,
non adatti alla realtà che li accoglieva.
Nel migliore dei casi si è determinato un adeguamento passivo, una
fruizione acritica e sterile.
Quando si parla di programmazione territoriale, di rifondazione del
movimento associ azionistico, di stimolazione alla partecipazione, di capacità di
gestione delle strutture da parte della base, si dovrebbe proprio intendere una
disponibilità delle istituzioni e delle organizzazioni politiche e culturali, sia
come messa a disposizione di strumenti e mezzi, sia come sollecitazione
attraverso indicazioni e proposte su cui può avvenire il confronto, che però si
fondino, si concretizzino, sì realizzino a partire dall'individuazione di istanze
problematiche, di richieste chiare o latenti; un innesto sulla realtà che significhi
anche collaborazione e confronto tra singoli ed enti, tra forze politiche e
organizzazioni culturali, tra operatori di base, tra istituzioni e base, tra realtà
locali e realtà provinciale, regionale, nazionale.
E' in questo senso che acquistano potenziale iniziative nelle quali un'istituzione
come la biblioteca si fa stimolo, tramite, diffusore e contenitore di una serie di attività,
che, attraverso la biblioteca e il sistema bibliotecario, possono trovare la loro
organizzazione, i canali di diffusione, gli strumenti adatti per intervenire.
Rispetto ad una impostazione di ricerca quale quella che qui viene illustrata.
singoli ricercatori, singoli operatori, rischiano di restare in una prospettiva di raccolta e
di sistemazione di conoscenze e di materiali che se non hanno possibilità di circolazione
sono semplici documenti, validi come tali, ma il cui valore sta soprattutto nell'uso
divulgativo, esemplificativo e critico che se ne può fare, disponendoli ad una ricettività
che divenga sollecitazione per una nuova creatività, per il ripristino e l'uso di una
propria capacità espressiva.
6
tradizioni
popolari?
Tradizioni popolari rischia di diventare il sinonimo di esercitazione di
moda, passaggio obbligato di una cultura alternativa, rimedio ad una stanchezza
intellettuale troppo a lungo esercitata sui classici. Terreno ormai ampiamente
sfruttato o addirittura saccheggiato ha spesso dato un prodotto fine a se stesso
o meglio non finalizzato ad una traduzione pratico-operativa, all'individuazione
di una metodologia di intervento, ad un'analisi che non restasse il patrimonio di
pochi addetti e specialisti.
La cultura popolare ha fornito un ampio campo di esercitazione per gli
intellettuali di un secolo fa, raccoglitori e coordinatori di un ricco patrimonio
affidato ad archivi e musei, materiale inerte, scollegato dal proprio contesto e
dalle proprie motivazioni, privo ormai di qualsiasi capacità espressiva e
comunicativa. Ha sollecitato la penna dei cultori di usi e costumi locali, spesso
nei moduli di una retorica immagine di un popolo indiscriminato e non meglio
identificato e delle sue " pittoresche e sane tradizioni ".
Quanto al collegamento tra folclore e cultura alternativa si è verificata
una facile indulgenza all'identificazione tra popolare e rivoluzionario, che è stata
il baluardo contestativo della ricerca di un nuovo modo di espressione e di
connotazione politica e sociale di studenti e intellettuali soprattutto negli anni
della contestazione. Se da un lato tale confronto si limitava al documento
immediato e comunicativo per eccellenza quale il canto (peraltro confuso e
identificato con tutta
7
la produzione della canzone di protesta, politica, militante) non è da
sottovalutare l'esigenza espressa soprattutto a livello giovanile di ritrovare anche
attraverso tale strumento una propria identità e una capacità di comunicare con
la realtà e col sociale.
Ma la cultura folclorica non può essere intesa tout-court come
alternativa e potenziale rivoluzionario sia dal punto di vista di chi si accosta a
tale cultura sia dal punto di vista dei contenuti che essa esprime. Si pensi che
durante il periodo fascista l'intensificazione delle indagini sul patrimonio
popolare si è verificata un ulteriore strumento repressivo e mistificante, che ha
trasformato le classi popolari e le loro forme espressive in un repertorio aulico
e macchiettistico sovrapposto alla realtà di intensificato sfruttamento e di
vessazione esercitati dal sistema. E si pensi alla matrice reazionaria e regressiva
di certe manifestazioni popolari, conseguenza del dominio di classe e
dell'accettazione passiva di tale dominio.
Il folclore di moda è l'espressione del recupero massiccio che
l'industria culturale ha operato nell'ambito della musica e del canto popolari,
determinando il dilagare di un folk mercificato, macchina per fare denaro, per
contrabbandare una immagine infiorettata e mistificata, privata dei contenuti
politici e culturali intrinseci, attraverso una manipolazione dei moduli musicali
adattati ad esecuzioni facilmente orecchiabili.
8
Ricerca
e
impegno
politico
Si tratta quindi di individuare un'impostazione metodologica, di attuare
un accostamento, su posizioni di classe, al fenomeno folclorico che significa
non rilevamento di dati o razionalizzazione dell'esistente, ma un ribaltamento di
prospettiva. che incida anche a livello strutturale, producendo risultati effettivi e
un'affermazione sul piano politico e culturale della classe subalterna.
Nel quadro dell'interesse elitario o accademico da un lato, del recupero
all'interno della cultura di massa dall'altro, che sì è fatto della cultura popolare,
si sono inserite iniziative che in questa dimensione stanno svolgendo un ruolo
notevole di informazione, di approfondimento, di collegamento del settore
etnomusicologico, demologico, folclorico, con le istanze primarie espresse dai
conflitti culturali, politici e sociali, in funzione di una conoscenza e di un ruolo
di classe. Sono singoli operatori, centri, istituti universitari, pubbliche
istituzioni, Enti locali che svolgono iniziative in ambito territoriale fondandosi
su un intervento diretto, su una pratica di equipe, sull'uso di una pluralità di
strumenti tecnici e divulgativi.
Non può essere questa la sede di approfondimento di queste direzioni di
ricerca e di intervento pubblico né dei fondamentali contributi teorici, di analisi
e di interpretazione che la dimensione folclorica ha sollecitato. Ci limitiamo ad
9
accennare ad alcune iniziative che si potranno successivamente ampliare ed
approfondire.
La Regione Lombardia si è data istituzionalmente un servizio per le tradizioni
popolari che fa capo all'assessorato alla cultura, informazione e partecipazione, diretto
interlocutore degli Enti pubblici e della rete del sistema bibliotecario. Attraverso tali
organismi la diffusione della cultura popolare si affianca alle iniziative del
decentramento teatrale e musicale della Regione. Sempre in Lombardia dal '65 l'Istituto
Ernesto de Martino sta conducendo complessi di ricerche e di interventi sul 'mondo
popolare e proletario ' a cui si affiancano l'attività del Nuovo Canzoniere Italiano, le
edizioni del Gallo (prima ed. Avanti!), i dischi, gli interventi teatrali, i convegni di studi.
Tra le attività più radicate sia nel tempo che come impegno politico si colloca la Lega di
Cultura di Piadena, in provincia di Cremona.
Tra gli interventi di altre regioni ricordiamo il Centro F.L.O.G. (Fondazione
Lavoratori Officine Galileo) di Firenze e il Centro Etnografico Ferrarese, che ha svolto
un'attività notevole in collaborazione con le scuole, le strutture aggregative e le
organizzazioni politiche (sindacati, Enti locali, fabbriche ecc.): un altro esempio di
lavoro culturale nel territorio collegato alle istituzioni e all'amministrazione locale.
Molte sono le impostazioni di ricerca che partono dall'Università, soprattutto su
iniziativa delle cattedre di Storia delle Tradizioni Popolari, Antropologia Culturale,
Etnologia e anche Storia del Teatro. Ricerche che vertono sullo spettacolo popolare
(Parma, Siena, Lecce), le forme di tradizione magico-religiosa (Pisa), i riti del Carnevale
(Salerno), la cinesica popolare (Roma), la religiosità popolare (Napoli). per non citarne
che alcune.
Dopo queste schematiche considerazioni è necessario valutare che
l'interesse che attualmente si va diffondendo per la cultura popolare non può
essere liquidato condannandolo come uria moda o tacciandolo di superficialità
di approccio.
E' vero che questo interesse si è spesso focalizzato sulle espressioni
musicali, tralasciando e mutilando componenti essenziali e inscindibili -dal
documento sonoro in sé e per sé. E lo stesso può valere. per il teatro le cui
operazioni di ripristino incondizionato del dialetto o di canovacci popolari rischiano talvolta di tradursi in una totale incomprensione dei significati e delle
funzioni spesso latenti nel materiale popolare e quindi in una frettolosa e
superficiale proposta non più adeguata ai moduli comunicativi attuali e incapace
di esprimere quelli passati se non attraverso un puerile vagheggia-
10
mento o un comico stereotipo. Se da un lato il rigore stilistico (inteso come
analisi ed esercitazione sulla gestualità popolare e sulle strutture melodiche,
armoniche, vocali e stilistiche della musica e del canto) si pone come essenziale
per evitare la banalizzazione, il recupero grossolano, la manipolazione della
cultura popolare, è altrettanto vero che non ci si può fermare ad una riproposta
per quanto corretta, tecnicamente valida e utile per una conoscenza e una
diffusione di quei fenomeni disconosciuti, repressi o negati dall'imposizione di
una cultura borghese a cui si è finito per adeguarsi in forma massificata e piatta.
Il valore di tale conoscenza, di tale circolazione, dovrebbe trovare il suo
momento di ulteriore crescita e affermazione attraverso un atteggiamento
critico e globale certo, che porti però all'individuazione di nuovi modelli
espressivi, di nuovi strumenti della comunicazione che siano risultato di una
reale collaborazione, sia sul piano politico che culturale, con i portatori di tale
cultura. Una collaborazione che divenga crescita ulteriore della coscienza di
classe e della cultura delle classi proletarie e che dia un riferimento nuovo per
una linea operativa non più settorializzata, ma che coinvolga e comprenda i
diversi piani del politico, del culturale, del sociale.
Accanto all'esaltazione si collocano l'indifferenza, il rifiuto, la negazione
della tradizione orale come cultura di classe, che viene liquidata in quanto
arcaica, residua, morente. In questo,senso si intende la tradizione come
qualcosa di estremamente radicato nel tempo, ma sostanzialmente sradicato e
decontestualizzato rispetto alla realtà attuale. E in effetti molti modi di
comportamento, di espressione, di manifestazione, di partecipazione dei gruppi
subalterni appaiono immediatamente inadeguati in ambienti in cui i contenuti
dei mass media, l'adattamento a nuovi modelli sociali, il grado di informazione
e di politicizzazione, l'evoluzione delle condizioni strutturali, hanno finito per
condizionare e trasformare anche i livelli sociali più " bassi ". Spesso questi "
spezzoni " di culture tradizionali continuano ad esprimersi in sicretismo con i
nuovi modelli: l'assimilazione cioè di elementi diversi di cultura non fa cessare
quelli precedenti. E dal momento che esistono e continuano a manifestarsi,
realizzano comunque una loro funzione
11
rispetto ad una situazione che li alimenta, una realtà che spesso si è portati a
sottovalutare o a non considerare. Il passato della cultura popolare ne rivela
anche il presente ed è quindi anche con questo presente che si deve andare a
confrontarsi e a costruire.
12
il “mondo popolare e proletario”
Nelle aree meridionali di sottosviluppo e di esodo verso l'industria del
nord, zone in cui maggiormente si avverte la contraddizione tra sottosviluppo
economico e monopolio neocapitalistico, la cultura subalterna si è mantenuta
ancorata ad una matrice agro-pastorale e contadina con tutta una serie di
fenomeni rivelatori a pieno di una struttura legata a modelli di produzione
particolari.
Negli anni '50, anni in cui il conflitto politico-economico assumeva nel
meridione speciale rilevanza e giungeva a grosse tensioni (sono di questo
periodo le occupazioni delle terre ed episodi violenti di rivendicazioni
bracciantili), si è riattivato tutto un filone di studi folclorici e demologici di
rinnovata impostazione (ricordiamo la grossa opera teorica, di studio e ricerca
sul campo di Ernesto de Martino) che si impostavano proprio sul potenziale
eversivo allora espresso dal sud. Successivamente, nel, periodo congiunturale
che ha coinciso con il boom economico e con il neocapitalismo industriale,
quindi con ingenti ondate migratorie, il contesto urbano la metropoli
industriale del nord è divenuta il concentrato di innumerevoli forze proletarie e
il luogo privilegiato del conflitto e della lotta di classe, oltre che luogo di
elaborazione di nuove forme culturali.
E' negli anni '60 che, con indirizzi del tutto nuovi e attraverso un
intervento culturale che era anche militanza politica, le ricerche sul
mondo popolare e proletario ' trovano in ambito settentrionale un inne-
13
sto particolarmente efficace, approdando a risultati notevolissimi in diversi
settori di intervento e di ricerca (sono di quegli anni la formazione del Nuovo
Canzoniere Italiano e la fondazione dell'Istituto Ernesto de Martino ' per la
conoscenza critica e la presenza alternativa del mondo popolare e proletario ').
Nell'ambito degli scontri e delle tensioni la classe operaia è andata così
sviluppando una ulteriore maturazione politica e una nuova cultura proletaria.
In aree come la Capitanata, ad economia prettamente agricola, dove la
città manca in sostanza di industrie e presenta il gonfiamento del terziario, il
problema si pone in maniera diversa. Nonostante le sovrapposizioni e i
mutamenti avvenuti nella situazione materiale, i grossi risultati delle lotte
bracciantili, la cultura conserva una matrice legata a modelli che hanno
mantenuto una struttura più originaria rispetto ai condizionamenti avvenuti
nella vita collettiva attraverso i processi di acculturazione, di integrazione
sociale, di trasformazione delle strutture produttive e delle condizioni di lavoro.
Questo divario tra la componente strutturale e quella sovrastrutturale, rallentata
in rapporto alla prima, è da tenere presente nell'indagine di tutte quelle
componenti ideologiche e culturali che formano il tessuto sociale.
Spesso la cultura dei mass media provoca anche negli strati contadini
l'assunzione di quegli standard socio-culturali dietro i quali tuttavia continua a
sopravvivere la cultura d'origine che diviene momento conflittuale all'interno
del quale si manifestano, magari in sincretismo, gli atteggiamenti della cultura
propria. E' così che si è creato quel profondo contrasto tra il processo di
acculturazione coatta e il permanere di forme tradizionali che vanno comunque
a scontrarsi con le nuove esigenze sociali, determinate anche da quelle grosse
contraddizioni costituite dall'esodo e dal rientro migratorio, dalla necessità di
un nuovo modello di sviluppo economico e sociale, dalla frattura tra città e
campagna. Ricercare alle origini gli andamenti di tale processo significa anche
ricollegarsi a tutte quelle forme culturali in cui si è espressa la vita della classe
contadina e bracciantile, nelle manifestazioni collegate alla vita politica,
religiosa, ai momenti collettivi, di partecipazione, di testimonianza di sé.
Dunque interrogare questa cultura non in maniera populistica, né
romanticamente, ricercando una tradizione scomparsa, ma nelle dinamiche che
ne svelano il processo di creazione e di trasformazione, in una dimensione che
vada ad integrare quella riconosciuta e adottata, nelle sue forme progressive che
testimoniano l'adesione al momento di lotta, come in quelle regressive; in quelle
forme orali, scritte, gestuali, documentate o meno che ancora oggi
costituiscono il modo di continuità, di presenza, di scelta di questa cultura.
Civiltà contadina che non è né mondo immobile, né passato da vagheggiare, ma
testimonianza e contraddizione attuale di un movimento di massa in una fase di
lotta e di affermazione all'interno della quale è necessario agire in base alle
esigenze reali espresse da un gruppo sociale o da una comunità, nella
prospettiva di una gestione sociale della ricerca stessa.
14
cultura di base
in capitanata
Ponendo dunque il riferimento in una pratica di collaborazione da
costruire sulle sollecitazioni dell'oggi, non si intende in questo ambito rifare una
storia dei contributi e degli studi demologici né si vuole necessariamente
privilegiare tale aspetto nei confronti di altri canali della comunicazione e della
ricerca che potranno essere contemporaneamente affrontati (per esempio in
direzione antropologica, sociologica, delle comunicazioni di massa, delle
tecniche audiovisive ed espressive). In modo che cultura di base significhi sia un
superamento delle tradizioni popolari intese come approccio esclusivamente
specialistico, che una dilatazione problematica che vada oltre la ricerca generica.
Quindi semmai una tradizione e una storia che si fanno a partire da un
intervento su tutti i livelli della realtà soprattutto da parte di chi di questa realtà
è protagonista e che è quindi indispensabile che l'assuma in prima persona,
criticandola e trasformandola partendo da quello che è il proprio retaggio di
esperienze e conflitti quotidiani.
15
Arrivare dunque ad un'analisi, ad una critica, ad una produzione non più
sviluppata dal teorico sugli " altri ", ma dagli “altri " come agenti primari che
possano scegliere di raccontarsi, di manifestarsi, di analizzarsi, facendolo anche
come modo di riflessione e di produzione culturale.
In questo senso i contributi storici, critici teorici provenienti dalle
ricerche di studiosi intellettuali e militanti forniscono un retroterra
indispensabile e una precisa prospettiva sia ideologica che metodologica.
Si tratta di riferimenti che contribuiscono ad avviare attività che si
innestino sui conflitti dell'oggi, sulle contraddizioni determinate da un certo
tipo di situazione economica, dai fenomeni strutturali collegati ai singoli
problemi quali il fenomeno migratorio, la disoccupazione, il lavoro e al
problema dell'istruzione, dell'acculturazione, dell'aggregazione a livello politico
e sindacale, dell'integrazione sociale, della base e delle organizzazioni, in modo
da accogliere il contributo espressivo, interpretativo, contraddittorio della
cultura proletaria, non solo come documento o testimonianza particolari, ma
come il prodotto di una coscienza di classe che come tale si esprime a tutti i
livelli e a diversi livelli.
Il documento in quanto tale, ufficialmente inteso, è esatto, univoco,
irrevocabile. Rispetto a tale documento però si possono sviluppare diverse
interpretazioni, diversi modi di racconto e anche diversi modi di esprimerlo la
cui importanza non sta tanto nell'esattezza o nell'inconfutabilità. ma nella forma
che gli dà espressione, nel fatto che venga comunicato, nel rapporto che si
stabilisce con esso, il che è appunto un rapporto di classe, individuale e
collettivo, di un gruppo o di una comunità che prende la parola, si confronta, si
analizza rispetto ad un avvenimento. Si può esserne direttamente o
indirettamente protagonisti, può trattarsi di un confronto reale o fantastico, ma
è anche dalla molteplicità di queste posizioni che si costruisce e si manifesta un
evento storico, si crea un mito, si determina un movimento
16
IPOTESI DI LAVORO
Dal momento che Cultura di base in Capitanata vuole porsi immediatamente
in una Prospettiva di socializzazione oltreché come ipotesi aggregante delle
sollecitazioni che emergeranno dall'area della ricerca, è fondamentale che
l'iniziativa si imposti subito come forma di collaborazione attraverso la
conoscenza del territorio e l'identificazione dei propri interlocutori.
Per un primo riferimento generale su alcune possibili direzioni della
ricerca di cui il Sistema Bibliotecario costituirà il filo conduttore e per poter
disporre di un nucleo globale di informazioni, la Biblioteca Provinciale si pone
come punto di raccolta e di coordinamento dei contributi che potranno
pervenire dalle diverse località della Capitanata. Partiamo da questo riferimento
per l'impostazione di una mappa culturale della provincia di Foggia mediante la
generalizzazione di ogni ricerca particolare e l'integrazione tra ricerca sul campo
e ricerca bibliografica.
Si tratterà possibilmente di contributi che indichino anche la disponibilità
non soltanto personale alle varie iniziative e l'eventuale esistenza di attività
precedentemente svolte o in corso -che possano riguardare la presente ricerca da parte di gruppi di base, gruppi teatrali e musicali, singoli operatori o
ricercatori, organizzazioni.
Dato che l'impostazione generale della ricerca riguarda l'espressione
individuale e la partecipazione collettiva saranno utilissime tutte le informazioni
che nell'ambito delle classi popolari individuino da un lato:
la specificità della cultura contadina in rapporto ai diversi contesti materiali
(braccianti, piccoli contadini, artigiani, operai e altri) e in rapporto alle
caratteristiche distintive locali sul piano storico economico politico sociale.
La cultura materiale: il lavoro, le tecniche, l'alimentazione, l'abitazione, l'ambiente
naturale e sociale.
La visione del mondo: ideologia, atteggiamento politico e religioso, linguaggio e
accultazione, comportamento quotidiano.
La tradizione orale: testimonianze, autobiografie (anche in eventuali documenti
scritti), canti, esecuzioni musicali.
E individuino dall'altro lato:
Le manifestazioni che si svolgono nel corso dell'anno (processioni, sacre
rappresentazioni, feste patronali, pellegrinaggi, feste a carattere laico, sagre,
ecc.), descrivendo la manifestazione, da chi viene organizzata, quale la sua
collocazione calendariale.
Le manifestazioni che si svolgevano in passato e che ora non hanno più
luogo, ricostruibili a memoria d'uomo o attraverso materiale d'archivio.
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Le attività di tipo tradizionale nei diversi settori dello spettacolo popolare
(filodrammatiche, compagnie di marionette e burattini, cantastorie,
saltimbanchi, macchiettisti) o che comunque abbiano in passato avuto una
presenza localmente.
Contributi riguardanti i due momenti di ricerca particolari che si
svolgeranno quest'anno: la cavalcata degli angeli e il primo maggio. In Particolare per
quanto riguarda l'Incoronata, il comune che è sede di partenza di gruppi di
pellegrini potrà dare notizie sull'organizzazione (preparazione, partenza,
percorso, addobbo dei carri e partecipazione)
Su queste direzioni di ricerca si imposteranno:
Documentazione sull'archivistica minore attraverso bibliografie locali riguardanti
aspetti della storia e della tradizione orale; giornali, articoli, opuscoli,
documenti; raccolte, studi e opere antiche e recenti.
Documentazione fotografica: materiale iconografico e fotografico recente e d'epoca;
eventualmente materiale cinematografico.
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STRUMENTI DI LAVORO
Una prospettiva di lavoro che si fondi su una pratica e su una
elaborazione interdisciplinari, intende sia l'accostamento metodologico a diversi
piani di intervento, sia l'uso di strumenti diversi in rapporto alla rilevazione di
uno stesso fatto o materiale; anche possibilmente con una certa autonomia del
mezzo usato, che consenta, ad esempio, per strumenti quali la fotografia e il
cinema, anche una ricerca stilistica rispetto alla specificità del mezzo.
In campo audiovisivo non è da sottovalutare una certa qualità tecnica dei
materiali prodotti (senza peraltro fare di questa tendenza un principio rigoroso)
nel senso che nastri sporchi o mal comprensibili o filmati scadenti rischiano di
compromettere la ricomunicabilità degli stessi ai fini di una divulgazione e di
una circolazione delle ricerche effettuate.
Un lavoro di ricerca sul campo oggi, se ha come riferimento una fase di
interpretazione, di riproposta o comunque di intervento culturale attraverso
l'uso dei materiali di lavoro, non può non tener conto e, non utilizzare quello
che la tecnologia della comunicazione mette :,a disposizione. La registrazione su
nastro magnetico, la fotografia, il film, il videotape sono strumenti che
affiancati al libro, al fascicolo illustrativo, non solo :consentono una maggiore
possibilità di lettura e analisi scientifica dei fatti su cui s'interviene (soprattutto
se si rispetta lo specifico del mezzo e se si esaminano gli stessi fatti usando
punti di vista differenti), ma sollecitano e permettono un lavoro culturale che
renda protagonisti, anche nel momento della riflessione e dello straniamento
critico coloro che già sono protagonisti delle manifestazioni individuali e
collettive che andiamo a ricercare.
Scientifico è anche questo lavoro, questo modo di organizzare la cultura,
di socializzare materiali che altrimenti diverrebbero patrimonio derubato e
museificato.
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espressione
individuale
partecipazione
collettiva
Il concetto di cultura - tenuto conto dell'elasticità che il termine ha
progressivamente assunto giungendo a comprendere un ampio arco di
forme e di manifestazioni - rimanda comunque a tutto un patrimonio di
valori, di acquisizioni, di impostazioni teoriche che si rifanno ad una
matrice scritta. alla elaborazione da un punto di vista di classe degli
avvenimenti, dell'analisi, della critica, della produzione poetica e letteraria.
L'uso, la diffusione, l'accettazione indiscriminata di tale modello, assunto
come unico e universalmente rappresentativo mezzo di espressione di idee e
forme, distinto e settorializzato in diversi campi di teoria e di esercitazione,
corrisponde ad una prospettiva ideologica che rappresenta la visione del mondo
della classe egemone, cioè la rappresentazione sociale della realtà di questa
classe che attraverso la sua cultura ha profondamente condizionato e permeato
di sé ogni tipo di attività genericamente denominata culturale.
Quella che si esercita attraverso la cultura, campo apparentemente
neutro e autonomo, è una vera e propria egemonia, un'imposizione di valori e
di ideologie elaborate da una classe che ha fatto dei mezzi che le sono propri
uno strumento ulteriore di dominio e di controllo.
Inutile parlare dei risvolti che tale processo ha avuto con il dilagare della
cultura di massa, che attraverso cinema, radio e televisione ha irradiato di
infiniti contenuti ogni strato della popolazione finendo per essere introiettata in
maniera indiscriminata, spesso producendo un passivo adeguamento a qualsiasi
messaggio divulgato e appositamente scelto e preparato per essere facilmente
recepito.
LA TRADIZIONE ORALE
Secondo il concetto antropologico di cultura si intende come tale tutto
quel complesso di atteggiamenti, di comportamenti, di manifestazioni relative
all'individuo e al gruppo sociale, non in base a una gerarchia di valori, ma
ritenendo ognuna di queste espressioni un valore
20
culturale che rimanda ad una propria concezione del mondo, nel processo
storico e nella quotidianità, nelle relazioni col privato e col sociale.
•
Il mezzo espressivo delle classi subalterne è principalmente la
comunicazione orale, depositaria e memoria di un patrimonio di
conoscenze e di esperienze che si trasmettono da un gruppo a un altro,
da una generazione a un'altra.
•
Le classi subalterne, subalterne in quanto subiscono il dominio
di classe, non hanno una autonomia culturale intesa come possibilità
costante di esercitare criticamente la loro cultura e di farne uno
strumento proprio di organizzazione e di emancipazione. Cultura che si
esprime in forme strettamente collegate alla situazione materiale (il
lavoro, l'ambiente, le condizioni quotidiane) e che si innesta su un filone
storico che non ha riscontro nelle cronache ufficiali, nella grande storia,
scritta diffusa analizzata, compendiata.
•
E' una storia legata alle condizioni di sfruttamento, di miseria,
di sorda ribellione o di aperta lotta, di militanza politica o di rifugio
disperato in una dimensione magica. Nei documenti folclorici quali il
canto si ritrovano queste condizioni, più o meno chiaramente descritte
(sia dal contenuto che dallo stile di esecuzione), denuncia aperta o
mascherata di una situazione precaria e misera.
E' cultura popolare anche quanto da queste classi viene assunto e
riadattato come proprio mezzo espressivo. Forme espressive e culturali
della cultura egemone vengono introiettate e trasformate, adattate ad
occasioni ed esigenze funzionali alla realtà vissuta; vengono cioè
“connotate popolarmente“.
Così possiamo parlare di musica e canto popolari, di gestualità e teatro
popolare non come entità autonome, manifestazioni di un mondo
isolato, ma come forme espressive sincretiche, che hanno trattenuto modelli precedenti, si sono più o meno trasformate, continuano ad essere
adattate ad esigenze attuali o vengono definitivamente abbandonate
quando hanno perso la loro funzione.
Le espressioni della cultura popolare non costituiscono mai un fatto
individuale, anche se materialmente l'autore può essere un individuo. Il
loro valore, la loro funzionalità, la loro ragion d'essere sta nel fatto di
nascere come espressione diretta o trasposizione fantastica della realtà, di
essere conosciute e accettate dalla collettività, di non costituire un
prodotto finito e immutabile, ma di essere suscettibili di trasformazioni
parziali o totali continuando a venire comunque riconosciute e accettate.
Può accadere che uno stesso canto, mantenendo immutata la melodia,
varii attraverso la comunicazione orale parti del contenuto o che venga
completamente riadattato in funzione di una situazione diversa.
Con questo non s’intende esaltare la comunicazione orale nei confronti
di quella scritta, ma semplicemente affermare la sua dignità al pari della
cultura ufficiale e riconosciuta e l'esigenza quindi di un consolidamento
di diversi modelli e livelli, espressione di culture diverse.
21
•
Accanto alla testimonianza orale si collocano esperienze di
scrittura, spesso frutto di una stesura collettiva (come testi teatrali,
macchiette), oppure racconti, poesie, autobiografie di persone con un
grado minimo di istruzione e che vanno dunque compresi non tanto
come un'affermazione o un riconoscimento personali, quanto in
funzione di una comunicazione o ricomunicazione di avvenimenti che
interessano l'intera comunità e che possono considerarsi spesso
l'assunto, la rappresentazione di un'esperienza collettiva.
22
I MOMENTI DI AGGREGAZIONE
Proprio per la valenza collettiva dell'elaborazione e della identità della
cultura popolare i fenomeni e le manifestazioni più immediatamente collettive
quali il pellegrinaggio, il rito religioso, le feste, la manifestazione politica,
assumono un valore di partecipazione e di aggregazione divenendo occasioni
di incontro, di scambio, di integrazione, di espressione di istanze che
assumono diversi valori politici, culturali, sociali.
•
Lo stato di emarginazione e di precarietà economica ed
esistenziale che larghi strati delle classi subalterne hanno subito e continuano
a subire ha spesso trovato sbocco e compensazione all'interno di
manifestazioni a carattere magico-religioso legate a culti extraliturgici e a
fenomeni quali la trance, la possessione, le pratiche di autopunizione.
Manifestazioni quali per esempio il tarantismo (in cui confluiscono particolari
rituali come la terapia del male mediante la musica e la danza), considerate
regressive ed espressione dell'ignoranza, della superstizione tout court,
devono essere comprese rispetto alla matrice che le ha generate, rispetto alle
loro cause profonde determinate dal contesto specifico in cui si manifestano.
Il rifugio in un sacro non istituzionale, la richiesta di protezione, il
bisogno di rassicurazione sono la conseguenza di una situazione che non ha
mai avuto altra soluzione o alternativa, di una repressione e di uno
sfruttamento di secoli. E' una violenza che non ha ancora trovato altri sbocchi
e che non va superata con una violenza di rimando o con la con danna
indiscriminata, ma attraverso un'azione che si inserisca nelle esigenze e nelle
contraddizioni di ogni singola realtà.
•
Fenomeni inerenti a forme di culto istituzionali quali il
pellegrinaggio, la processione, la sacra rappresentazione non vanno intesi
come il permanere di forme arretrate di fede, quanto come il desiderio di
ritrovare quella dimensione collettiva e comunicativa che oggi anche a livello
di piccole comunità sembra compromessa dal frazionamento e
dall'individualismo a cui ha educato la civiltà di massa, rendendo l'individuo
passivo consumatore di prodotti già confezionati, incapace di una propria
creatività.
Attraverso queste manifestazioni si ricrea questa dimensione
comunitaria, che va intesa anche come occasione di festa, ambito diverso dal
quotidiano, momento di comunicazione attraverso un reticolo simbolico che
va aldilà del linguaggio verbale e s'intensifica nel gesto, nel segno rituale.
Se è necessario valutare le motivazioni di fondo che continuano ad
alimentare questi fenomeni, capire su quali fondamentali valori si reggono,
che cosa significano aldilà del fenomeno religioso, teniamo conto
23
che la loro è sostanzialmente una funzione di mantenimento dello status
quo, che si esercita contenendo e incanalando potenzialità che
costantemente e altrimenti esercitare potrebbero diventare momento di
affermazione e di crescita reale e operativa sul piano politico e culturale.
•
Accanto a queste “ feste dei poveri “di matrice comunque
religiosa lo spettacolo popolare diviene più propriamente esplosione di festa
e di carica gestuale, in forme di teatro e drammaturgia popolare, in
manifestazioni che trovano larga diffusione soprattutto nelle ricorrenze
calendariali del Capodanno, del Carnevale. della Pasqua, del Calendimaggio.
Si tratta di forme spettacolari dilatate e agite collettivamente come le
questue, le danze tradizionali, le mascherate o di forme più specificamente
teatrali che consistono in rappresentazioni in prosa, musica e prosa o poesia
di avvenimenti storici, fantastici, leggendari, farseschi ed hanno in molti casi
delle origini piuttosto antiche.
Il discorso sullo spettacolo popolare è vasto e complesso e non può
essere questa la sua sede di approfondimento. Lo si affronterà
successivamente sulla base dei riferimenti concreti che si avranno a
disposizione
•
Se il fenomeno religioso popolare assume in molte zone del
sud particolare rilevanza trovando le sue espressioni nel!e forme sia
liturgiche che extraliturgiche a cui si è brevemente accennato; se d'altra parte
molte direzioni di ricerca si sono impostate proprio su tale fenomeno
(confronta i contributi di E de Martino, A. Rossi, L. Lombardi Satriani, L.
Mazzacane, ecc.) esiste tuttavia tutto un filone meno esplorato o perlomeno
affrontato più sul piano storiografico e sociologico che non da un punto di
vista culturale ed espressivo.
Si tratta di aspetti progressivi che sarebbe limitativo definire folclorici in
quanto coinvolgono momenti ed espressioni della lotta di classe in continua
trasformazione e tuttora in atto che hanno trovato il loro ambito di
manifestazione all'interno di canti, celebrazioni, momenti di lotta e di
organizzazione e adattandosi a forme tradizionali di cultura hanno assunto
una valenza di affermazione e di testimonianza politico sociale. E' il caso per
esempio della celebrazione del lo Maggio, di momenti di partecipazione
collegati con le occupazioni delle terre, con i lavori agricoli in cui si
concentrava molta manodopera; di canti che hanno usato alcuni brani del
repertorio lirico, della canzone napoletana, della musica da cantastorie per
narrare avvenimenti locali. Si tratta addirittura dell'uso della gestualità e del
repertorio macchiettistico per comunicare, in maniera magari indiretta, dei
contenuti di propaganda e di intervento politico.
24
IL PRIMO MAGGIO A CERIGNOLA
A.
B.
C.
D.
E.
Verifica del rapporto di continuità o sincretismo (compresenza di
elementi originariamente discordanti unificati da un'esigenza pratica)
tra la celebrazione del Maggio come festa legata ai riti agrari di fertilità
e propiziazione nella cultura popolare e il 1° Maggio come festa dei
lavoratori collegato alla acquisizione di una coscienza politica, alle
lotte internazionali e locali, alla “celebrazione“ politica degli
avvenimenti.
La “festa” come avvenimento politico e rituale in rapporto al
problema della gestione di una politica culturale da parte della classe
operaia e contadina. I modelli culturali autonomi e tradizionali
contenuti e trasformati nella festa.
Studio delle dinamiche e dell'organizzazione interna della festa nel
rapporto tra imposizione-autogestione culturale.
Rapporto tra i modelli di partecipazione legati alla cultura tradizionale
e i modelli attuali derivanti dal contesto globale e generalizzato della
manifestazione politica nell'ambito della ”festa” come veicolo
generale di segni di comunicazione e affermazione della propria
identità culturale.
Analisi delle convergenze dei moduli tradizionali di espressione e
comunicazione presenti nelle principali feste laiche e religiose (Natale,
Pasqua, Carnevale, feste patronali, anniversari, ecc.) nella celebrazione
del 1° Maggio
25
F.
Simbolismo laico e simbolismo religioso. I segni della festa laica (1°
Maggio) e i segni della festa sacra (celebrazioni liturgiche ed
extraliturgiche).
G. Il 1° Maggio nella storia locale. Individuazione dei caratteri
fondamentali dello svolgimento storico della festa in tre periodi
generali:
- Il primo ventennio del '900
- Il ventennio fascista
- Il secondo dopoguerra.
H. Il 1° Maggio come spettacolo popolare a carattere progressivo.
Individuazione dei momenti teatrali specifici e dei momenti
teatralizzati dall'insieme globale della giornata di festa.
26
LA CAVALCATA DEGLI ANGELI ALL'INCORONATA
Manifestazione legata al pellegrinaggio all'Incoronata con
rappresentazione e sfilata di carri con scene e quadri viventi, realizzati da
ogni gruppo di pellegrini e trasportati dai paesi di origine fino al santuario.
A.
B
B1
B2
C.
C.1
D.
L'indagine sarà condotta oltreché sul luogo di incontro (santuario)
di tutti i gruppi interessati, anche nei rispettivi luoghi d'origine
riguardanti la provincia di Fogaia.
Documentazione della preparazione dei carri.
I modi di costruzione; verifica dei contributi personali e collettivi;
ruoli.
Analisi e definizione dei modelli di riferimento (locali e/o comunque legati alle forme della cultura popolare; verifica delle eventuali
assunzioni di modelli della cultura egemone) per la realizzazione
delle rappresentazioni (iconografia popolare, pubblicazioni
religiose e santini, crornatismo. leggende di tradizione orale).
Organizzazione del gruppo in partenza.
Modi di aggregazione, identità sociale dei partecipanti, ritorno di
emigrati, ex voto, motivazioni.
Viaggio dal luogo di partenza al santuario (dialoghi, canti, soste).
Contesto socio-culturgle dei luoghi di origine, Raccolta di
biografie(del gruppo dei pellegrini).
27
E.
E.1
E.2
F.
G.
Al Santuario: la festa; l'incontro; la sfilata; il soggiorno; il mercato.
Modi di partecipazione: il corteo; il cibo; il pernottamento;
l'incontro tra i diversi gruppi.
Il recupero istituzionale. Il clero: prediche, divieti, interventi nella
gestione della festa.
Significati ed emergenze: bisogni, esigenze, risposte collettive,
compensazioni.
Origine del culto all'Incoronata e della ' Cavalcata '. Rapporto tra
passato e presente nel processo evolutivo della manifestazione.
28
CERIGNOLA
QUOTIDIANITA' E STORIA
L'obiettivo generale che si pone la ricerca che da oltre due anni stiamo
conducendo è l'individuazione di una serie di strumenti e di spazi di intervento
culturale attraverso l'organizzazione della cultura di base, la creazione di
momenti di aggregazione, la ricostruzione di una storia dal basso, l'analisi della
coscienza di classe in rapporto all'ideologia e al comportamento quotidiano
come rapporto tra quotidianità e storia, tra realtà e mito, tra espressione
individuale e partecipazione collettiva.
Sono questi alcuni degli aspetti che divengono a loro volta gli strumenti e
i canali per indagare e individuare l'identità culturale di un luogo ed è in questo
senso che la ricerca diventa anche un modo di approccio e di intervento in una
realtà e che aldilà di schemi operativi preordinati si struttura come conoscenza
organica di una situazione, conoscenza intesa come azione e trasformazione
quindi all'interno della realtà stessa. Una ricerca che si avvale dei modi classici
di indagine, ma anche di quei canali secondari o comunque defunzionalizzati
che se in passato a livello comunitario costituivano uno strumento primario di
comunicazione esistono ormai come forme scollegate e residue.
Il che significa anche ristabilire un collegamento problematico tra la
tradizione di lavoro e di lotta che ha culturalmente connotato e reso operativa
la coscienza di classe della vecchia classe bracciantile e i problemi e le esigenze
di oggi nel quadro di una situazione di irrigidimento politico e di carenza quasi
assoluta di strutture aggregative.
Nell'ambito di questo complesso di temi di ricerca il problema della
religiosità popolare diviene uno dei momenti di convergenza e di compresenza
di molteplici aspetti e momento privilegiato per quanto riguarda lo studio dei
modi di partecipazione, dei modelli simbolici di riferimento, degli
atteggiamenti-comportamenti individuali e collettivi.
L'atteggiamento religioso come la partecipazione politica e l'istanza
comunitaria costituiscono quei termini di rapporto attraverso i quali la
coscienza di classe si esprime e si confronta sui diversi piani dell'adesione e del
rifiuto, della consapevolezza del valore di una propria presenza culturale, della
comunicazione e/o manifestazione collettiva di istanze anche personali.
Ci è sembrato opportuno proporre subito alcuni materiali di questo
lavoro di ricerca, del resto indicativi, pur nella loro specificità, di aspetti di una
realtà non soltanto locale.
•
I brani che seguono costituiscono la base sonora di un
audiovisivo che illustra alcuni aspetti della cultura popolare in rapporto al
fenomeno religioso. Naturalmente si è trattato di fare una scelta da un materiale
molto più ampio, non scollegato del resto da ideologie, comportamenti,
avvenimenti che appartengono all'atteggiamento religioso come patrimonio
personale e collettivo di cultura e di esperienza.
Il motivo di base è dato dalla manifestazione che si svolge a Ceri29
gnola in occasione della festa patronale in onore della madonna di Ripalta, una
manifestazione di particolare rilevanza legata alla processione e al pellegrinaggio
con grossa partecipazione a carattere sia istituzionale che popolare. Si tratta
quindi di un culto e di un rito piuttosto formalizzati e tuttavia fortemente
radicati, a diversi livelli sociali.
La partecipazione attivata da questa manifestazione - che peraltro si
estende ad altre occasioni sempre di matrice religiosa - non ha trovato
attualmente una sua giusta alternativa in una partecipazione di segno diverso
che si innestasse sul grande potenziale di lotte, di impegno e militanza politica,
di emancipazione e coscienza di classe della vecchia classe bracciantile, un
retaggio tanto poderoso quanto attualmente disaggregato e disperso.
•
in questo senso un confronto tra la coscienza di classe ancora
lucida e attiva di questi vecchi braccianti e la persistenza di un atteggiamento
religioso relativo a queste manifestazioni, ci è sembrato potesse inserirsi come
espressione di una contraddizione che rimanda a problemi di natura più vasta,
di ordine politico e sociale e che non può essere liquidata con una accettazione
tanto critica quanto passiva. Contrasto che non riguarda la manifestazione
religiosa nella sua dimensione globale, ma che focalizzandosi sull'atteggiamento
politico e l'atteggiamento religioso delle classi popolari vuole metterne in
evidenza l'opposizione, la contraddizione, o la compresenza nell'ambito di
stessi gruppi o individui.
Sull'origine del culto per la madonna di Ripalta, sulle manifestazioni e le
motivazioni ad esso collegate, un bracciante di 82 anni, Giuseppe Angione,
militante politico e compagno d'infanzia di Giuseppe Di Vittorio, ha composto
uno scritto in versi in cui si può dire sia ideologicamente rappresentata, aldilà
del fenomeno religioso, la parte più politicizzata della sua generazione e quindi
tutta una serie di elementi che vanno dall'atteggiamento antireligioso, alla critica
del ruolo di potere e di repressione assunto dalla chiesa, alla scelta di una
partecipazione di matrice laica e progressiva.
Per questo il ' poema ', di cui riportiamo alcuni brani in progressione, si è
prestato all'inserimento di testimonianze orali di altri interlocutori della ricerca
oltre che di documenti riguardanti le funzioni della manifestazione religiosa e
del pellegrinaggio.
•
Questo poema è solo uno dei numerosi scritti di questo
bracciante che ha appreso la poesia in carcere e al confino subiti durante il
fascismo, passando così da una scarna alfabetizzazione ad acquistare una ricca
esperienza personale, politica e culturale.
Fino a qualche tempo fa scrivere in poesia era per Angione il modo di
ricomunicare in forma semplice e immediata dei contenuti politici e culturali a
quei braccianti semianalfabeti che erano stati i suoi compagni di lavoro e di
partito.
Esaurita questa funzione di mediazione culturale, ha ritrovato la
motivazione a scrivere nella acquisizione critica del proprio ruolo: quello di
produttore di cultura e collaboratore di ricerca.
30
Ha ripreso a scrivere su temi politici attuali (quali le elezioni, l'aborto) ma
anche a riflettere sul passato con un'ottica diversa, accettando di raccontare
attraverso la poesia e la testimonianza diretta alcune forme di religiosità
popolare che avendo rifiutato ideologicamente aveva quindi escluso dalla
narrazione autobiografica.
Storia di un miracolo scritto nel luglio '75 è il poema in cui la narrazione in
prosa di un avvenimento personale trova nella poesia la collocazione storica e
ideologica e la contestualizzazione di un evento autobiografico all'interno di
una tradizione religiosa locale.
Il poema è diviso dall'autore in due parti. La prima intitolata 'Una
leggenda ' racconta l'origine del culto per la madonna di Ripalta, la madonna
portata dal fiume che divenne la patrona di Cerignola. Si tratta di una delle tante
leggende di fondazione dei santuari, in cui si ritrovano elementi fissi quali la
manifestazione dei sacro, la contesa per il possesso tra due gruppi o due città,
gli animali intelligenti che indicano il luogo dove la divinità vuole situare la
propria sede, l'atteggiamento di fede della comunità, l'esecuzione della volontà
divina. Questa prima parte prosegue con la descrizione dell'istituzionalizzazione
del culto per la Madonna imposto o incoraggiato dal clero attraverso pratiche
penitenziali di autopunizione. Dalla descrizione di quelle che erano le forme
istituzionali del culto o comunque in tal senso recuperate, si passa poi a
descrivere quella che era la partecipazione popolare al pellegrinaggio,
partecipazione festosa e momento collettivo di celebrazione. La motivazione
della partecipazione sta per Angione nell'occasione della festa religiosa come
momento in cui i giovani potevano ritrovarsi liberamente, soprattutto le
ragazze, che dovevano rispettare norme di condotta particolarmente restrittive.
L'azione del socialismo attraverso l'alfabetizzazione, la lotta politica e
l'emancipazione femminile ha progressivamente svuotato di significato queste
manifestazioni a cui si sono andate sostituendo le organizzazioni e le feste
laiche.
La seconda parte ' Storia di un miracolo ' in prosa e dialetto è il racconto
di come Angione divenne antireligioso in seguito ad un falso miracolo che
inscenò un prete e di cui egli fu l'inconsapevole protagonista.
Nel poema si ritrovano tutti i motivi che da un lato identificano la
funzione e il significato dello scrivere (mediazione culturale e funzione
storiografica di classe), dall'altro definiscono una posizione ideologica ben
precisa che è analisi, critica, coscienza politica degli avvenimenti e messaggio
che vuol essere trasmesso.
31
STORIA DI UN MIRACOLO
Nelle Puglie v'è un fiume
che Ofànto vien nomato
d'invern'è ricco di schiume
l'estat'è quas'asseccato
Un bel giorno, chi lo sa
vi fu un grand'acquazzone
a rip'alta s'arrenò
n'quadro grosso: un tavolon
Legnaioli Canosini
boscaiol Cerignolan
quando !uron là vicini
a quel legno, esclamaron
Tocca a noi questo legno
dissero i Cerignolan,
Canosin: Nessun contegno
voi avete da Cristian
Dividiamol’ a metà
ch'a nessuno dispiace
giusta cosa si farà
e vivrem in santa pace
E così che fu deciso
di dividerl’a metà
al di dietro v'er'inciso
l'improvvisa rarità
Imbracciò la grossa scura
uno dei Cerignolan
dett'un colpo: Che paura!
spruzzav sangue quel legnam
(. . .)
32
33
Il racconto prosegue secondo i moduli che caratterizzano le tante
leggende di fondazione dei santuari, che basandosi su un avvenimento
miracoloso confluiscono nella costruzione di un edificio sacro e nell'instaurazione di un culto (1).
Il sacro si manifesta attraverso lo spruzzo di sangue dal legno in cui era
raffigurata la madonna. I boscaioli comunicano alla collettività il fatto
miracoloso; si accende la contesa per il possesso tra i cerignolani e i canosini; si
appronta un carro trainato da buoi su cui viene collocato il quadro. Il carro si
arresta sulla via di Cerignola che ottiene così il possesso della madonna. Vicino
al luogo del ritrovamento viene costruita una cappella e successivamente un
santuario in onore della madonna di Ripalta.
La madonna fu trovata
sesto gior' di settimana
fu di sabato portata
in cappella ch'er lontana
E così che fu chiamata
la madonna del sabato
poi fu ricc'ammantellata
d'un stellato bell'abito
Canto:
Capèllò dè Ripalta
s'ann(e) trät-a filò d'òrè
il pòp(o)lò di Cèrígnòla
viènghin-adiórar-a tè
Evviva Maria Maria e sempre evviva
evviva Maria e chi la cräiò
E l'òcchi(e)rò dè Ripalta
sòn òcchi(e)rò di bbèrland(e)
nói siam-i tutt(e) quand(e)
viènghin-adiórar-a tè
(. . . ) (2)
_______________
(1) G. Profeta, Le leggende di fondazione dei santuari (avvio ad una analisi
morfologica), in AA. VV., Letteratura popolare nella Valle Padana, Atti del III convegno di
studi sul folklore padano (Modena 1970), Olschki, Firenze, 1972.
(2) Canto di pellegrinaggio al santuario della madonna di Ripalta Comunicato da
Rosa La Guardia (n. 1909) casalinga (Alfonsa Taglianetti sec. voce) Cerignola (FG)
20-6-1976.
Trad.:
I capelli di Ripalta / sono come fili d'oro
il popolo di Cerignola viene ad adorarti
Rit.
E gli occhi di Ripalta/ son occhi di brillanti
noi siamo i tutti quanti / vengono ad adorarti
34
Cos'avvien adess'in più?
lo statuto del prelato:
chi vien a pregar quassù starsi deve inginocchiato
Tutt'il tempo della messa
d'ogni sabat'avvenir
far si deve una promessa
a non mai disobbedir
Chi vuol chiedere la grazia
a Santissima Ripa Alta
mai venir a pancia sazia
la madonna non v'ascolta
(. . . )
35
Preghiera alla Madonna delle Grazie:
(. . . )
Anche se tu non mi ascolterai
senti che farò mamma di grazia
inginocchiata a te dinanziti strapperò il manto
ti stringerò le mani
ti bacerò i piedi
ti bagnerò di lacrime
e tanto mi starò
e tanto piangerò gridando
fino a quando tu
intenerita e commossa
mi dirai
Alzati
che la grazia te l'ho fatta
(. . .)
(. . .)
Dunque da te l'aspetto
e tu me l'a fa' rafforzae ti prometto
mamma di grazia
fino a quando
a mia mente avrà un pensiero
la mia lingua un accentoil mio cuore
un palpito
sempre sempre griderò
nelle ore del giorno
nel silenzio della notte
ti sentirai di chiamareo mamma di
graziafammi la
graziaAqugridosaràl'ultimo
mio
respiro
così restiamo
mamma santa e così sia (3).
(3) Comunicata da Concetta Mancini (n. 1896)
custode della chiesa della Madonna delle Grazie Cerignola
(FG) 2-1-1976.
36
37
(. . .)
per esser'aggraziati
far la vita e star contento
scontar devon lor peccati,
strisciar lingua l'pavimento
Che schifezza! che sporcizia
insegnav quel cappellano
era proprio un ingiustízía
d'un fetente cristìan
Io ricordo quelle cose
come viste proprio adesso
eran tante obbrobriose
si restava molto oppresso
Chi voleva chiedere grazia
c'era lì l confessionale
prest'andar senza pigrizia
raccontand'il suo gran mal
Il ministro del buon Dio
dopo averlo confessato
gl'indicav la giusta via
per esser miracolato
E così lo condannava
ad un autodisciplina
che l' malato praticava
ogni sera e la mattina
Quanto più si fustigava
pel volere del signor
lui soffriv'e s'aggravava
il terribil suo malor
Io non ho capacità
raccontar orrid bruttezze
minimizz la verità
di migliaia di stranezze
Sò che vi siet'annoiati
nel legger questo racconto
di quei tanti umiliati:
cambio presto: son già pronto.
38
.
Nella fin dell'ottocento
na vecchietta molt'arzilla
tutt'a suo piacimento
per Rip-Alter la pupilla
Tutta si sacrificava:
ogni sabato il mattin
alle tre lei si alzava
per svegliare i cittadin
E cantand'a voce molla
con la sua melodia
affluiva tanta folla
di devoti in compagnia.
_____________
(4) Grido di richiamo com. C. Mancini, Cerignola (FG) 17-9-1976
39
Ciabattin di Valenzan (5)
vecchi ex musícanti
gente brava, buon uman
devotissimi zelanti
Si facevano trovare
sul gran pian granai siloss
per dovere ben suonare
tambur, piatti con grancass
Tzì Bùm tzì ßùm
tzì ßùm Bùm Bùm
tzì ßùm tzì ßùm
gìn gìn Bùm Bùm
Il corteo cominciava
la vecchietta sempr avanti
circondata preparava
il corale dei cantanti
Tzìn gìn gin, tàzzi pùm
e sbianici figgh sant
a truè la mama nostr
e vdài la bella nostr (6)
Cominciava la sli/ata
con candele accese in man
qualche torcia illuminata
si marciava piano pian
_______________
(5) Ciabattini di Valenzano; Gente disoccupata che veniva a Cerignola a mieter
grano con la falce: Cerignola è la terza città d'Italia che aveva 38.000 abitanti con una
superficie di 63.000 ettari. E quei ciabattini si stabilirono a Cerignola, perchè trovarono
lavoro (n.d.a.).
(6) 1 - e partiamo figli santi; 2 - a trovar la madre nostra; 3 - a visitar la bella
nostra (n.d.a.).
40
(. . .)
Quandì sò bbèll(e) i bbraccia di sta madònna
vurrì sapár(e) chái ci l'a duniit(e)
Ci l'a donat-il cuore di Ges(o)u
Maria di Ripalta e quanda grazi(e) ca fai t(o)u
Quandì è bbèll(e) u mand(e) di sta madònna
vurrì sapár(e) chái ci l'a dunát(e)
(. . .)
La frònda d(e) la madònna èll-è na frònda sanda
nòi pèllègrin(e) é tòtti quand(e)i ti vèniam-a còmbagnar
Evviva Maria Maria e sempre evviva
evviva Maria e chi la creò
41
42
43
D(e) na vóc(e) tanda lundán(e) dèlla pòpòlazion(e) che viéne
la vóc (e) d(e)i tand-aggènd(e) pér còmbagnar-a Maria addòstà
( ... ) (7)
Le ragazze in quella era
sempr'in casa in tutt'ore
né di giorno né di sera
mai uscivan: Per l'onore
Se qualche ragazz'usciva
sola-sola per far spese
criticat'essa veniva e,
disprezzata dal paese
E con quella dicitura
cosa più poteva fare
la ragazza? Per Paura a,
non potersi più sposare
(. . .)
Er'assai lo oscurantismo
(colpa della religion)
allor nacque il socialismo
che chiarì molte ragion:
Dal poema di Angione 'La Malavita':
(. . .)
Basta con il paradiso,
con l'inferno e il purgatorio:
l'uomo non è più diviso
non è più quel dormitorio
Di settanta anni fa
stanco assai del lavor
si dovev'inginocchiare
per pregare il suo signor
(. . . )
_________
(7) Canti eseguiti durante il pellegrinaggio. Gruppo di pellegrini, Cerignola (FG)
11-10-1976.
Trad.: Come sono belle le braccia / di questa madonna
vorrei sapere chi / ce l'ha donat
Rit.
Come è bello il manto / di questa madonna
vorrei sapere chi / ce l'ha donato
44
[Nelle masserie, isolate nei latifondi degli agrari. i braccianti al termine
della giornata si ritiravano per la notte assieme alle bestie: i cavalli e i buoi
impiegati per il lavoro. Alle masserie trascorrevano più settimane prima di
tornare in paese].
( ... ) (Al tramonto il soprastante) guardava verso la masseria, poi dopo: .
Mbé ang(e)nucchiat(e)v(e) » e ci inainocchiavamo. « Dire un paternostro,
un'avemaria e un gloria patre alla madonna di Ripalta » e ci dovevamo girare
dalla madonna di Ripalta. « Un'avemaria... alla madonna dei Sett(e) Vál(e) » ca
gái a Minervino Murge e ci dovevamo girare verso Minervino Murge.
«L'avemaria, u gloria patre a San Savéin(e) di Canosa» e ci dovevamo girare alla
parte di San Savino di Canosa. « Wavemaria, nu gloria al padre... » e allora n(o)u
vagn(o)un che si rideva, si tirava Ina pietra. Quidd(e) zitto, non diceva niente. «
L'avemaria e u gloria al padre alla via di Sand(e) M(e)cále bènéditt(e) » verso il
monte, il Gargano. Quand(e): « Mbè, c(e) n(e) put(e)im(e) sc(é)i m(o)u ».
Quello là diceva quella parola, ma sapeva a chi è che doveva picchiare. Dunque
e aveva un manico che era lungo come questo bastone e la frusta era lunga
quasi tre metri, che quello là per un colpo che dava ne doveva prendere sei
sette. Povero a chi è che capitava la punta: quella faceva cchiù male di tutti. (8).
_________
(8) Comunicato da Alfredo Casucci (n. 1896) ex bracciante, del Circolo ,Giovanile,
Cerignola (FG) 13-9-1976.
45
46
[E seguendo la tradizione del Gesù Socialista: (9)]
( ... ) E' così: il Signore quand'è nato e andava per terra, andava col camice
rosso. Perché la tunica è rossa. Gesù Cristo è rosso: perché è del popolo. E
quando andava che poi la chiesa si fece da mercati e lui andava in mezzo al
popolo era del popolo. Poi hanno stati i magnacci eh, è giusto?! I magnacci,
quelli che magnano assai e allora sia preti sia... e l'hanno fatto la vesta bianca. (
... ) Il Signore veramente era del popolo: rosso. Perché amava il popolo,
amava... Tu da qua il popolo, da là... e poi tradiscono i cristiani (le persone).
(10).
Ed ecco come nel poema Il terraqueo nostro mondo Angione parla di
Gesù:
_____________
(9) La concezione del Cristo come il primo socialista si collega alla cultura e
all'atteggiamento religioso delle classi subalterne fondandosi sulle istanze della
uguaglianza e della giustizia sociali. Un riferimento che in questo senso non è separato
dalla tradizione anarchico-socialista e dalle lotte politiche e sociali, in opposizione
peraltro all'immagine mistica dei Cristo della liturgia ufficiale.
(10) Comunicato da María Manzí (n. 1914) infermiera, organizzatrice di cellule
femminili comuniste durante il fascismo, Cerignola (FG) 27-12-1975.
47
(. . .)
Dopo Spartaco (11), vien Kristo
l'uomo della gran sapienza
col mantello rosso misto
propagava l'eguaglianza
L'uguaglianza'era parola
che píacev'ad ascoltar
consolav'ancor consola
la stragrande quantità
Di quei schiav'ch'ancor tutt'or
vivono su auesta terra
specie razza del color
nero che son sempr'in guerra
Quel propagandista fu
ben da tutti ascoltato
lo chiamavano: Gesù,
poi, finì crocifissato.
Non c'è tempo raccontare
tutta quanta la sua storia:
si faccv da tutt'amare
sannolo tutt'a memoria
_______________
(11) Il brano fa parte di una serie di descrizioni dei 'grandi rivoluzionari a
cominciare da Spartaco, l'artefice della rivolta degli schiavi durante l'impero ro.iano. Lo scritto è del novembre 1969.
48
Era l'uomo del progresso:
nò divin!…nè creatcr:
pìù o men era lo stesso
come tanl'a!tr'cratcr.
Lo uccísero, perché?
perché sepp'organi7zare
servi, schiavi e lacchè
per far tutto cambiare
(. . .)
Tornando al poema 'Storia di un miracolo ' vediamo le motivazioni che
vengono attribuite alla partecipazione religiosa:
( ..)
Le ragazz'allor bramavan
qualche ' festa religiosa
sol così esse sfogavan
passeggiar: gran bella cosa!
Al santuario ogni donna
specialmente le ragazze
per andar alla madonna
che gran gioia!... andavan pazze
Ogni venerdì di sera
si stiravan bluse veste
giallo, rosse, bianche, nere
ogni sabato gran feste
Quella strada del santuario
era grande meraviglia
a migliaia sul calvario
vi andava ogni famiglia
(. . .)
49
Or non più l'arretratezza
nemmen l'analfabetismo
le ragazze con franchezza
gridan: Viva il socialismo
Che sappiamo e possiam
governar l'Italia bella
grande, ricca la facciam
com descrisse Campanella (12)
Questa bella libertà
grazie alle continue lotte
ch'hanno fatt'i vecchi già
con la gioventù più forte
La Patron di Cerignola
è Maria di Rip’Alta
quando io andav'a scuola
la pregavo a voce alta
La qual dice ai prepotenti
basta a comandare voi (
mafiosi delinquenti!…)
tutt'aggiusteremo noi.
La storia d'un miracolo
voglio ve la raccontar
io dietr'un tabernacolo
feci far lampéggio chiar
___________
(12) Tommaso Campanella, La Città del Sole, uno degli opuscoli più diffusi anche a
livello di base insieme al Fra contadini di Errico Malatesta.
50
[A questo punto inizia il racconto di un fatto autobiografico accaduto ad
Angione all'età di sei anni, nel quale fu coinvolto dal prete del santuario
della madonna di Ripalta E' questo il fatto autobiografico che sta alla base
dell'intero poema].
Il 1901 io avevo appen sei anni ogni sabato mia mamma mi portava al
santuario; giunti avanti alla chiesa lì vi era il cappellano noi devoti nel vederlo
gli baciavam la mano; ogni volta il cappellano nel vedermi piccinin mi regalava
confettini, tornesi e centesimin. Un bel sabato nel rivedermi minvitò nella sua
stanza (masseria che il giovedì pernottava, n.d.a.) raccontandomi: Peppinì,
GesKrist mo ditt d chiamè a tai p ffè nu fatt ca tùu, non a dic nint a nisciùn
però, t voggh avvsè: s-non t purt bùn, mùr subbt e vè au. mpìrn *. E mi spiegò
il terribile inferno, le speranze del purgatorio ed il godimento della bellezza del
paradiso.
E' questo il preludio alla descrizione puntuale della messinscena ideata dal parroco,
sostenuta dal piccolo attore. La rappresentazione dietro le quinte - secondo le indicazioni del
sacerdote - doveva consistere, a un certo punto della messa, nel manovrare un oggetto, una
specie di 'macinin di pepe con un bottoncin rosso nel lato ', rimanendo nascosto dietro il
quadro della madonna. Al momento della elevazione il lampo di luce prodotto dall'oggetto che
il bambino la funzionare secondo la promessa fatta produce una fortissima impressione
generale. Tanto che fra il tramestio dei fedeli un sordomuto fece un grido che venne interpretato
come un miracolo della madonna, che avrebbe fatto riacquistare la parola al disgraziato.
____________
* Peppinillo, Gesù mi ha detto di chiamare te per fare una cosa, che tu però non
devi dire niente a nessuno, ti avverto: se ti comporti bene, quando muori vai in
paradiso, se non ti comporti bene muori subito e vai all'inferno.
51
I fedeli in ascolto
per sentir la santa messa
vi rimas'assai sconvolta,
paurosa ed ossessa
Oh devoti, non piangete!
io v'invit'ancor pregare!
Il miracol lo vedete?
Ripa-Alta ringraziqre
Mormorio di spavento
chi gridava chi piangeva
chi vi er'assaì contento
era il parroco: Diceva
Ritornate a Cerignola!
spiegate del miracolo
di Ripalta! ........
Ci consola:
Schiarì il tabernacolo.
Il bambino poi rivela alla madre e alla sorella i retroscena del 'miracolo
Queste decidono di mandarlo da uno zio prete per trovare un rimedio alla
situazione. Lo zio prete, saputo il fatto, reagisce violentemente prendendo a
schiaffi il bambino e dicendogli:
(. . .)
Non è vero tuttocciò!
quest'è sogno ch'hai sognato
m'afferrò, mi schiaffeggiò
diventand'un forsennato.
(. . .)
Fu d'allor' ch'ho divenuto
fervent'antireligioso
da quei schiaffi ricevuto
dal zio prete contegnoso
(. . .)
52
[Anche da fatti semplici come questo si può trarre il motivo di un
anticlericalismo che spesso si esprimeva come violenza anche personale nei
confronti dei preti:]
... e quel prete che fu rotto la testa giusto il giorno delle elezioni (13) ( ... )
Chi è che gli ha dato la bastonata in testa si chiamava Pasquale 'Ciaciàole ',
era un soprannome dato dalla delinquenza. E allora quello, la mattina
andava a zappare al Duca della Rochefaucauld (14), qui verso il '
Padreterno ', al Quarto. E allora ha visto dietro la chiesa di Sant'Antonio: '
Votate tutti per Pavoncelli (15) che ci dà da mangiare tutti i giorni '. Questo
qua: « Ma guarda, i preti... ». Dice: « Prometto che il primo prete che vedo
gli devo spaccare la testa ». Questo, il prete, si chiamava Paolo I., che tutti i
parenti suoi di discendenza sono stati tutti fascisti. E allora questo qua va
davanti, nella strada dei Purgatorio - la sezione dov'è andato questo prete a
votare era alla strada del Purgatorio, prima della chiesa - lui va là e dice: «
Zì prè, a vutät(e)? », dice « Sì »,
«Per chi hai votato? », « 11 t(e) l'agghi(e)-a dic(e) giust'a ttè! ? »,
« Ah sì!? E j(e) mò t'u dd(e) ich(c) ». Alza il bastone: Pum! E
______________
(13) Elezioni politiche del 1909.
(14) Famiglia ducale francese con vasti possedimenti a Cerignola.
(15) Giuseppe Pavoncelli, il più grosso agrario locale.
53
spacca la testa... il sangue. « Eh! Carogna! » tutti, quelli di Pavoncelli. E tutti, è
stato conosciuto chi era, ma nessuno si è osato prendere le parti. Solo
Pavoncelli, il figlio di don Peppino Pavoncelli, ha preso le parti, cioè che ha
contribuito a farlo arrestare. ( ... ) (16).
Prendendo spunto da questo fatto quelli del Circolo Giovanile Socialista
composero una canzone sull'aria di un brano dell'opera La
Geisha ':
La matäina ddì llèziò(u)n(e)
sc(e)ì nu sucialist(e)
stèv(e) n-aria acchèssi bbèll(a)
nè ma tu vè prigh-a Crist(e)
s(e) n(e) vènn-u prèv(e)t(e)
é alz-u bastoune
ca vutèv(e) a Pavungell(e)
é lu dètte-n-gappèlloun(e) (17)
_____________
(16) Comunicato da A. Casucci, Cerignola 14-4-1976.
(17) Com. da A. Casucci in data c.s.
Trad.: La mattina delle elezioni / c'era un'aria così bella
venne un prete / a votare per Pavoncelli
Arrivò un socialista / Ma vai a pregare Cristo!
E alzò il bastone / e glielo picchiò in testa
Per la pronuncia dei testi dialettali ci limitiamo ad uno schema di riferimento
semplificato ed approssimativo sia per rendere più agevole la lettura sia per una scelta
metodologica che non vuole insistere su una impostazione e un'analisi filologiche dei
materiali, quanto sulla loro funzione più immediatamente comunicativa che ponga in
evidenza le relazioni contenutistiche e ideologiche all'interno dei documenti. C'è inoltre
da tener conto che anche se i brani sono stati rilevati in uno stesso luogo la pronuncia
varia spesso da persona a persona:
è e aperta (festa)
é e chiusa (mela)
ò o aperta (rosa)
ó o chiusa (come)
ä si pronuncia tra la a e la e,
c,g dolci in fine di parola e davanti a e, i (città, geranio)
( ) attenuamento della vocale tra parentesi
nei brani in corsivo la s e la z in tondo indicano s, z sonore (naso, zona); nei
brani in tondo viceversa.
‘Storia di un miracolo ‘ è stato realizzato sulla base del lavoro di ricerca condotto da G. Rinaldi, P. Sobrero e Alberto Vasciaveo (ottobre 1976).
Le fotografie sono di Nicola Pergola e A. Vasciaveo.
Le trascrizioni musicali sono a cura di G. Balzano.
La realizzazione grafica del fascicolo è di G. Rinaldi e P. Sobrero.
Tutti i brani riportati sono trascritti fedelmente da nastro magnetico o dai manoscritti originali.
Per ogni eventuale comunicazione rivolgersi alla Biblioteca Provinciale, Viale
Milangelo, tel. (0881) 37526, Foggia.
54
DOCUMENTI DELL'ATTIVITA'
DELLA SEZIONE REGIONALE PUGLIESE DELL'A.I.B.
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
Sezione Pugliese
Il giorno 20 dicembre 1975 nei locali della Biblioteca Provinciale di
Foggia si è proceduto alla costituzione di un seggio elettorale per provvedere
alle elezioni del Direttivo Regionale. Componenti del seggio erano i Soci
Moscariello Angela, Pietro Savino e Anna Zampino; veniva incaricato di
presiederlo il Socio Pietro Savino il quale procedeva al controllo delle schede
vidimate dal Commissario Angelo Celuzza. Risultavano aver diritto al voto n.
34 Soci. Le operazioni di voto hanno avuto inizio alle ore 12,15 e si sono
concluse alle ore 13,20. Risultava che avevano votato n. 26 Soci presenti e n. 8
Soci per delega. Si è quindi proceduto, immediatamente, allo spoglio delle
schede votate con i seguenti risultati:
Avv. Michele Baranelli
Dr. Raffaele Bassi
Sig. Antonio Cedola
Dr. Angelo Celuzza
Sig. Giuseppe Colamartino
Dr. Antonio De Cosmo
Sig.na Grazia De Donato Gionzer
Sig.na Claudia De Lorentiis
Dr. Luigi Mancino
Sig Carmine Parracino
Dr. Guido Pensato
Dr. Benedetto Ronchi
Prof. Pasquale Ricciardelli
Sig. Pietro Savino
Sig. Sante Trisciuzzi
Dr. Gabriella Ulivieri Guaragnella
Dr. Anna Zampino
Dr. Giuseppe Prencipe
voti
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
»
1
18
1
30
2
27
1
14
1
1
7
26
29
1
2
29
1
26
Tutte le operazioni sono state concluse alle ore 13,45.
Gli Scrutatori: Anna Zampino, Angela Moscariello
Il Presidente del Seggio: Pietro Savino
55
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
Sezione Pugliese
Prot. N .......
Presso la Biblioteca Provinciale di Foggia si è riunita l'Assemblea
plenaria degli iscritti alla Sezione A.I.B. della Regione Puglia. L'ordine del
giorno riguardava il consuntivo dell'attività svolta durante la gestione ne
commissariale e l'elezione del Direttivo. Il dibattito che ha seguito la relazione
del Dott. Angelo Celuzza, Direttore della Provinciale di Foggia e Commissario
A.I.B., ha puntualizzato i problemi degli istituti bibliotecari della nostra regione
e gli indirizzi che i bibliotecari associati intendono seguire al fine di esercitare
un'azione incisiva dell'Associazione nei prossimi anni.
Il Direttivo Regionale eletto nella votazione che ha concluso i lavori
risulta così composto:
Dr. Angelo Celuzza - Direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia;
Dr. Pasquale Ricciardelli - Direttore della Biblioteca Comunale di
Torremaggiore; Dr. Gabriella Ulivieri Guaragnella - Biblioteca Nazionale di
Bari; Dr. Antonio De Cosmo - Biblioteca Provinciale di Foggia; Dr. Benedetto
Ronchi Direttore della Biblioteca Comunale di Trani; Dr. Giuseppe Prencipe
Biblioteca Comunale di Manfredonia; Dr. Raffaele Bassi - Direttore della
Biblioteca Comunale di Barletta.
ELETTO A FOGGIA IL NUOVO DIRETTIVO REGIONALE
DELL'ASSOCIAZIONE BIBLIOTECHE
Presso la biblioteca provinciale di Foggia, si è riunita l'assemblea plenaria
degli iscritti alla sezione Associazione italiana biblioteche della regione pugliese.
L'ordine del giorno riguardava il consuntivo dell'attività svolta durante la
gestione commissariale e l'elezione del nuovo direttivo. Il dibattito che è seguito
alla relazione del dott. Angelo Celuzza, direttore provinciale di Foggia e
commissario dell'A.I.B., ha puntualizzato i problemi degli istituti bibliotecari
della regione e gli indirizzi che i bibliotecari associati intendono seguire al fine
di esercitare un'azione incisiva dell'Associazione nei prossimi anni.
Il nuovo direttivo regionale eletto al termine delle operazioni di voto
risulta così composto: dott. Angelo Celuzza, direttore della biblioteca
provinciale di Foggia; dott. Pasquale Ricciardelli, direttore della biblioteca
comunale di Torremaggiore: dott. Gabriella Ulivieri Guaragnella, biblioteca
nazionale di Bari, dott. Antonio De Cosmo, biblioteca provinciale di Foggia;
dott. Benedetto Ronchi, direttore della biblioteca comunale di Trani; dott.
Giuseppe Prencipe, biblioteca comunale di Manfredonia; dott. Raffaele Bassi,
direttore della biblioteca comunale di Barletta.
_____________
(« La Gazzetta del Mezzogiorno » del 9-1-1976).
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ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
Sezione Pugliese
RELAZIONE DELLA GESTIONE COMMISSARIALE
STRAORDINARIA
Ci ritroviamo ancora una volta, dopo l'incontro del 1973 sul progetto
della Regione Toscana in materia di BB.CC., immediatamente successivo alla
carica commissariale conferitami dal Consiglio Direttivo. Molti di voi erano
presenti, sia ai lavori del XXIV Congresso di Pugnochiuso, sia alla
inaugurazione della biblioteca che oggi ci ospita. Nel triennio trascorso, che fa
seguito a un più che decennale silenzio della Sezione Appulo-Lucana dell'A.I.B.,
gestita verticisticamente e nella più assoluta assenza di vita democrattica e dì
partecipazione dei soci, se gli incontri da tutti auspicati non sono stati frequenti,
è facile intendere come questa sia l'inevitabile caratterizzazione di ogni gestione
straordinaria. D'altra parte, questo triennio è stato fervido di operosità e di costante iniziativa, miranti a ridare identità e credibilità alla Associazione di una
fitta rete di scambi e dì relazioni con le autorità, con la stampa, con l'opinione
pubblica e con le sezioni consorelle. Si comprenderà meglio la difficoltà e
l'importanza di un tale impegno ove si ponga mente ai grandi mutamenti teorici
che hanno informato in questi giorni, a livello centrale e periferico, il nostro
settore, e che hanno visto la nostra sezione impegnata direttamente a
contribuire con apporti di studio, di ricerca, di confronto e dì esperienza, alla
crescita di tutta l'Associazione, tesa, soprattutto, alla identificazione del ruolo
delle strutture bibliotecarie e della stessa figura del bibliotecario nella società. t
proprio per questo che riteniamo che il passaggio dalla gestione commissariale
a quella ordinaria prevista dallo statuto avvenga nel momento più giusto, più
ricco di prospettive, ma anche di grande impegno partecipativo da parte di tutti.
Se mai, nel passato, vi è stato spazio per pure e querimoniose lamentazioni, quel tempo deve considerarsi definitivamente chiuso, nella
convinzione che noi bibliotecari dobbiamo essere protagonisti del processo di
potenziamento e rinnovamento delle strutture bibliotecarie e del Paese e non
più destinatari di provvedimenti sporadici sollecitati o subiti nella assenza di
una visione chiara dei problemi e della connessione che li lega a livello locale e
nazionale. Questa esigenza di uscire dallo « sporadico » e dal « particolare ». che
caratterizza quella che possiamo considerare - non fosse altro che per ragioni di
cronologia -la storia ormai secolare delle biblioteche italiane; la avvertita necessità di dare razionalità e coordinamento alla ipotesi di un sistema bibliotecario
nazionale unico, al di là dell'appartenenza dei singoli istituti; il bisogno di
realizzare il fondamento stesso della vita democratica, la trasparenza, cioè, di
ogni intervento seguito nel finalistico itinerario dalla fronte emittente al
destinatario: l'assoluto imperativo soprattutto nell'attuale situazione del Paese,
di elimnare gli sprechi e le duplicazioni, assurdi e intollerabili e causa non ultima
di disordine e
57
di inefficienza; l'obiettivo di inserire sempre più FAIB nel vivo della società, del
dibattito sul ruolo della cultura, finalmente (pare e ci auguriamo che sia così)
individuata come fattore ineludibile dello stesso progresso politico sociale e
civile; la grande responsabilità che questo obiettivo fa cadere sulla nostra
Associazione, non più soltanto tesa nello sforzo élitario di pochi, alla culta
soluzione di problemi interessanti un ristretto circuito fruitori: tutti questi temi
impongono una chiara assunzione -di responsabilità, fatta di riflessione, di
studio, di aggiornamento, e di confronto, da parte di ciascuno, pena la irreparabile decadenza, in una burocratica routine, che, se pure garantisce la
vittoriniana pace della non-vita, emargina gli istituti e li squalifica, sottraendoli
alla loro vera funzione pubblica.
Questi temi sono da un decennio al centro del vivacissimo dibattito, che
ha animato la vita della nostra Associazione, la quale, particolarmente negli
ultimi anni, e per l'impegno assiduo di un numero sempre più grande di soci
qualificati, ha riscoperto il proprio ruolo nella società e nel confronto con altre
organizzazioni e componenti culturali, operanti sia a livello nazionale che
internazionale.
A chi fosse stato assente da questo dibattito e dal progredire di queste
idee nell'ultimo decennio, soprattutto da Porto Conte ad Alassio, la vivacissima
polemica degli interventi che ha caratterizzato lo svolgimento dell'ultimo
congresso, potrà essere apparsa il frutto di una convenzionale o strumentale
esasperazione dei toni e dei temi.
Al contrario, nel congresso di Alassio sono state ribadite le acquisizioni
tecniche di un decennio, la giustezza delle proposte fatte in questi ultimi anni in
vari campi (il problema dei BB. CC., il ruolo delle Regioni, la qualificazione
professionale, il piano decennale a Pugnochiuso) e si è riconosciuta come
fondamentale e includibile una ristrutturazione della AIB, che si fondi su una
vivacità di contributi e di partecipazione da parte delle Sezioni, chiamate, sulla
base della rappresentanza, democratica e diretta, a concorrere alla elaborazione
e all'attuazione delle linee di intervento culturale dell'Associazione stessa.
Ho creduto opportuno far riferimento ai principali temi che impegnano
attualmente FAIB per inquadrare l'azione svolta in questi anni dalla Sezione
Pugliese e che qui riassumo per grossi temi.
Dopo una fase informativa nei confronti dell'Assessorato regionale alla
P.I. e cultura, FAIB ha doverosamente fatto seguire, con ampia e disinteressata
disponibilità, un rapporto di assidua consulenza e collaborazione
tecnico-scientifica; fatto che si rese indispensabile ove si rifletta al vuoto
verificatosi nell'ambito della Sovrintendenza con il pensionamento anticipato
dei funzionari dirigenti; collaborazione che fu, d'altra parte, opportunamente
sollecitata dal funzionario chiamato « pro tempore » a dirigerla.
La nostra azione si è particolarmente indirizzata verso i Sistemi
bibliotecari esistenti, non per privilegiarli rispetto alle altre strutture,
58
ma perché ritenuti più esposti, nella fase costituente, coincidente con il
trasferimento dei poteri dallo Stato alle Regioni, a una paralisi che avrebbe
significato la fine di anni di grossi impegni, personali e degli EE. LL.
Non è mancata d'altra parte, la consulenza circa le esigenze delle BB. di
EE.LL. autonome.
Particolare attenzione l'AIB ha sempre rivolto al problema della legge
regionale, collaborando a vari livelli e in varie fasi con la Soprintendenza e con il
competente Assessorato. Se la nostra presenza e, talora, la nostra protesta non
sono state sufficienti a garantire alla Puglia, fin dalla 1a legislatura, un essenziale
strumento di programmazione e di intervento, purtuttavia, nel panorama non
brillante in questo campo dell'attività delle Regioni, non si può disconoscere che la
Regione Puglia ha operato in modo estremamente proficuo nel corso di questi
anni.
Frequentissimi sono stati i contatti con Comuni e Province sui problemi
particolari collegati alla pubblica lettura e, questo, talora, anche al dilà dei confini
regionali.
Non sono stati trascurati, pur nella limitatezza dei mezzi e della struttura
organizzativa, i rapporti con le sezioni AIB regionali e con bibliotecari italiani e
stranieri.
Ricordiamo, in particolare lo scambio di visite, ispirate a motivi di confronto
e di studio tra bibliotecari del Sistema provinciale di Foggia e quelli di Chieti, quelli
dell'Aquila, di Bari, Taranto, Lecce, Napoli, Ferrara, Melfi; sottolineiamo in modo
particolare la permanenza in Puglia del Direttore del Sistema Bibliotecario della
Contea di Cambridge, Royston Brown e la conferenza tenuta dallo stesso a Foggia,
a Bari e a Napoli; rammentiamo infine la partecipazione a Liverpool, nell'ambito
dei corsi annuali organizati dall'IFLA, di un bibliotecario italiano, in rappresentanza
dall'AIB.
Particolare apprezzamento è stato, manifestato dai bibliotecari italiani e
stranieri per l'organizzazione del XXIV Congresso di Pugnochiuso e sulle strutture
della nuova « Provinciale » di Foggia, al centro delle attenzioni degli addetti ai
lavori.
Nel corso degli incontri annuali, che da un quadriennio l’ AIB organizza
nell'ambito della Fiera internazionale del libro per ragazzi di Bologna, notevole
rilievo è stato dato quest'anno all'indagine condotta dalla Sezione Pugliese, a livello
dell'Italia centro-meridionale, sull'uso degli Audiovisivi delle biblioteche; tema,
questo, tuttora all'attenzione dell'AIB e dell'IFLA.
In occasione del centenario della Classificazione Decimale Dewey infine, la
Sezione Pugliese sta per condurre in porto la traduzione della «Guida » all'uso
della Classificazione, che insieme a quella della «Introduzione », curata dalla Sezione
Piemontese, costituirà uno strumento fondamentale per la migliore conoscenza di
questo importante metodo di classificazione e per la conseguente diffusione e
applicazione anche nelle biblioteche italiane.
59
Il frutto di altre indagini o proposte per la migliore soluzione di concreti
problemi (sistemi urbani, biblioteche scolastiche, centri di servizi culturali, beni
culturali, la situazione bibliotecaria in Puglia ... ), è contenuto nei documenti che
Vi sono stati consegnati.
Concludo con un particolare ringraziamento a tutti i miei bravi e cari
amici della Biblioteca Provinciale di Foggia e del Sistema bibliotecario
provinciale che con la loro collaborazione fattiva, intelligente e leale hanno
consentito la notevole mole di lavoro svolto, e con l'auspicio che dalle elezioni
venga fuori un consiglio direttivo efficiente,costituito da persone che alla
preparazione uniscano impegno e buona volontà.
Il prossimo triennio ci vedrà tutti impegnati nell'attuazione di un
programma di rinnovamento dell'Associazione affinché sia più vicina ai grossi
problemi che tuttora appesantiscono la vita e l'efficacia dei nostri istituti.
ANGELO CELUZZA
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
Sezione Pugliese
ANGIULI Emanuela, Bibl. Comunale- ADELFIA (Bari)
ANNESE Michele, Dir. Bibl. Civica - CRISPIANO (Taranto)
ANTENORE Nicola, Dir. Bibl.Comunale - PALO DEL COLLE (Bari)
BARANELLI Michele, Dir. Bibl. Civica - CASTELNUOVO DELLA
DAUNIA (Foggia)
BASSI Raffaele, Dir. Bibl. Comunale - BARLETTA (Bari)
CEDOLA Antonio, Dir. Bibl. Comunale - ALBERONA (Foggia)
CELUZZA Angelo, Dir. Bibl. Provinciale - FOGGIA
CERFEDA Elisabetta, Bibl. Comunale - DISO (Lecce)
COLAMARTINO Giuseppe, Dir. Bibl. Comunale - STORNARA (Foggia)
CORDA Wanda, Dir. Bibl. Comunale - PESCHICI (Foggia)
DE CAPUA Donato Antonio, Dir. Bibl. Comunale - BITONTO (Bari)
DE COSMO Antonio, Bibl. Provinciale - FOGGIA
DE COSMO Lorenzo, Bibl. Comunale - MOLFETTA (Bari)
DE DONATO GIONZER M. Grazia, Bibl. Nazionale - BARI
DE GIROLAMO Antonio, Dir. Bibl. Civica - FAETO (Foggia)
DE LORENTIIS Claudia, Dir. Bibl. Comunale - MAGLIE (Lecce)
DI PONTE Liliana, Bibl. Provinciale - FOGGIA
DI VARSAVIA Carolina, Dir. Bibl. Civica - CASTELLUCCIO DEI
SAURI (Foggia)
FONTE Cecilia. Bibl. Comunale - NARDO' (Lecce)
GIAMPIETRO Raffaele. Bibl. Provinciale - Foggia
GIARNETTI Michele, Bibl. Comunale - TORREMAGGIORE (Foggia)
INGUSCI Maria Pia, Bibl. Comunale NARDO' (Lecce)
MANCINO Luigi, Bibl. Provinciale - FOGGIA
60
MINUTILLO Giuseppe, Bibl. Comunale - TERLIZZI (Bari)
MOSCARIELLO Angela, Dir. Bibl. Civica - CANDELA (Foggia)
NIGRO Sebastiano, Dir. Bibl. Civica - BOVINO (Foggia)
PARRACINO Carmine, Dir. Bibl. Comunale - RIGNANO GARGANICO
(Foggia)
PENSATO G. Guido, Bibl. Provinciale - FOGGIA
PIETRICOLA Nicola, Bibl. Facoltà econom. e Comm. - BARI
RICCIARDELLI Pasquale, Dir. Bibl. Comunale - TORREMAGGIORE
(Foggia)
RONCHI Benedetto, Dir. Bibl. Comunale - TRANI (Bari)
SAVINO Pietro, Bibl. Civica - SAN GIOVANNI ROTONDO (Foggia)
TAFURI DI MELIGNANO M. Teresa, Bibl. Nazionale - BARI
TOZZI Velia, Bibl. Civica - MARGHERITA DI SAVOIA (Foggia)
TRISCIUZZI Sante, Bibl. Comunale - FASANO DI BRINDISI
ULIVIERI GUARAGNELLA Gabriella, Bibl. Nazionale - BARI
ZAMPINO Anna, Bibl. Provinciale - FOGGIA
ZINGARELLI Rosaria, Bibl. Comunale - STORNARELLA (Foggia)
BIBLIOTECA Facoltà Economia e Commercio - BARI
BIBLIOTECA Nazionale - BARI
BIBLIOTECA Comunale - BARLETTA -(Bari)
BIBLIOTECA Comunale - BITONTO - (Bari)
BIBLIOTECA Comunale - CASTELLANA GROTTE (Bari)
BIBLIOTECA Comunale - MAGLIE (Lecce)
BIBLIOTECA Comunale - MANFREDONIA (Foggia)
BIBLIOTECA Comunale - MOLFETTA (Bari)
BIBLIOTECA Monastero « Madonna della Scala » - NOCI (Bari)
BIBLIOTECA Comunale - PALO DEL COLLE (Bari)
BIBLIOTECA Comunale - S. VITO DEI NORMANNI (Brindisi)
BIBLIOTECA Civica « Acclavio » - TARANTO
BIBLIOTECA Comunale - TORREMAGGIORE (Foggia)
CECARO Maria, Bibl. Nazionale - BARI
SABINI Celio, Archivio Bibl. Museo Civico - ALTAMURA (Bari)
BIBLIOTECA Comunale - TRANI (Bari)
BIBLIOTECA Comunale - VENOSA (Potenza)
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
SEZIONE PUGLIESE
E’ in corso nel nostro Paese un ampio e vivo dibattito sui problemi della
Città, sulle difficoltà che le dimensioni sempre crescenti delle aree urbane
hanno trasferito nella vita amministrativa delle metropoli, sui problemi umani e
sociali che ne sono derivati e che si possono misurare nella massificazione e
nella disgregazione ampiamente diffuse.
Una delle strade che si stanno imboccando per porre rimedio alla
61
situazione, indubbiamente drammatica, è quella della « partecipazione ». Si tenta
di recuperare in tal modo fasce di cittadini che per decenni l'esclusione ha reso
indifferenti, se non ostili, ai valori comunitari. Rientrano certamente in questo
ambito gli organismi elettivi della scuola e i consigli di quartiere, strumenti di
partecipazione democratica per la soluzione dei gravi problemi derivanti non
soltanto da quanto sopra accennato, ma, soprattutto, dalla mancanza di strutture sociali fondamentali per un vivere civile.
Uno dei problemi che non può, in questo quadro, essere ulteriormente
trascurato è quello delle strutture bibliotecarie di quartiere, vista in un organico
« sistema urbano » di pubblica lettura. Ignorato per decenni, si giustificava tale
negligenza con lo stato di arretratezza dell'organizzazione bibliotecaria del
nostro Paese. Di contro alla burocratica gestione statale, lo sforzo di
elaborazione compiuto dall'A.I.B. nell'ultimo ventennio ha scongiurato il
pericolo che, almeno a livello teorico, il distacco tra l'Italia e tutti i Paesi più
avanzati (tra cui, in questo settore, non pochi sono i paesi del Terzo Mondo)
diventasse irrecuperabile. Se il moderno concetto di Biblioteca Pubblica è
consacrato, anche con tratti caratteristici originali, nei documenti dell'A.I.B.,
una concreta testimonianza del frutto di tali elaborazioni è la Biblioteca
Provinciale di Foggia, realizzata come struttura centrale di un Sistema
Bibliotecario Provinciale.
* * *
In base agli standars sulla Biblioteca Pubblica nel mondo, approvati dalla
IFLA e pubblicati di recente dalla nostra Associazione nel n. 3 della collana «
Quaderni », non possiamo ignorare che se il limite minimo di popolazione per
un servizio di pubblica biblioteca in forma autonoma è di 50.000 abitanti, la
base che costituisce l’« optimum » per l'impianto di un sistema urbano di
pubblica lettura è quella di 150.000 abitanti.
Foggia si trova quindi nelle condizioni ottimali per dar vita a un sistema
di tal genere.
Dovunque la Biblioteca Pubblica, nella sua opera attiva di conquista alla
comunità, vede attenuarsi l'efficacia del si-io raggio di azione e mano a mano
che cresce la distanza delle aree servite. E’ fondamentale il passaggio della
Biblioteca Pubblica autonoma, sia essa civica o provinciale, alla Biblioteca
Urbana, centro di un sistema di Biblioteche di Quartiere.
Questo processo non si verifica soltanto in termini quantitativi, ma si
concretizza in un passaggio qualitativo da un tipo di struttura accentrata a una
organizzazione fondata sulla cooperazione e sul decentramento, capace di
esaltare il ruolo sociale della biblioteca accanto a quello di tutela e di
conservazione del patrimonio. Alla base di tutto il discorso c'è l'esigenza di dare
razionalità agli interventi, alle proce-
62
dure, ai servizi; esigenza tanto più avvertita in un Paese che faticosamente tenta
di superare la logica della duplicazione e dello spreco.
Cooperazione, decentramento razionalità sono alla base della nascita e
della vita stessa dei sistemi bibliotecari, nei quali la grande biblioteca centrale e
le biblioteche di quartiere lavorino insieme in uno sforzo di collaborazione al
servizio di tutte l'aree urbane, con grande vantaggio degli utenti.
Determinante diventa, in questo quadro, il ruolo e le responsabilità degli
Enti Locali, chiamati, in questo, come in altri settori, a cooperare tra di loro e
con le forze culturali operanti nei settori specifici.
Si possono così evitare errori di impostazione che sempre finiscono per
svuotare fin dall'inizio l'istituzione bibliotecaria della funzionalità e del ruolo
suoi propri.
Nella situazione del capoluogo foggiano, non si ravvisa l'opportunità di
dare vita a una nuova struttura centrale che, in ossequio agli standards previsti
per quanto attiene al rapporto popolazione / estensione urbana, libro / spazi,
personale / audiovisivi, mezzi finanziari ecc. non potrebbe essere realizzata con
una spesa inferiore a 1 miliardo per la sede, 1,5 miliardi per i fondi librari e i
periodici e 400 milioni annui per le spese di gestione e così via. Queste cifre
risultano dal calcolo attuato in base agli standards che prevedono: 3 volumi per
abitante, 10 periodici per ogni 1000 abitanti, 1 bibliotecario per ogni 2.500
abitanti, ecc.
Scartata, quindi, una tale ipotesi, e considerata l'esistenza in Foggia di una
modernissima e ricca Biblioteca Provinciale, le competenze del Comune
Capoluogo nella organizzazione del Sistema Urbano consistono nel:
a) Deliberare la istituzione del Sistema Urbano, il programma finanziario
relativo, tenendo conto della gradualità della realizzazione;
b) Reperire locali idonei situati in posizione centrale nel quartiere;
c) Assicurare il funzionamento delle Biblioteche assumendo l'onere
relativo la illuminazione, al riscaldamento e alla pulizia;
d) Assumere il personale idoneo per le biblioteche di quartiere e per il
Centro Rete che potrebbe essere qualificato attraverso corsi affidati alla
Biblioteca Provinciale;
e) Collegare, attraverso telefono, le biblioteche di quartiere con la
Biblioteca Provinciale ai fini del servizio di prestito e di informazioni
bibliografiche;
1) In accordo con la Provincia, assicurare il funzionamento del Centro
del Sistema e dei servizi di collegamento tra la Biblioteca Centrale e le
Biblioteche di quartiere per mezzo di un Bibliobus;
g) Presentare alla regione il bilancio delle esigenze relative agli
arredamenti e alla fornitura del fondo librario di base e alle spese di gestione.
63
Le biblioteche succursali saranno organizzate come moderni centri di
cultura dotati di adeguati fondi librari e di documentazione; di personale
qualificato per i servizi di informazione e di lettura e per la promozione di
attività culturali; di materiale audiovisivo che consentirà l'adozione di moderne
tecniche
nel
campo
della
documentazione,
dell'informazione,
dell'apprendimento, della diffusione e circolazione dei messaggi culturali (quale
che sia il « supporto » cui si affidano).
Il patrimonio librario delle biblioteche di quartiere dovrà essere tale da
rispondere a esigenze di documentazione e di informazione di tipo medio
(senza che questo, ovviamente, escluda le opere di consultazione di base e
quelle in grado di suscitare interessi, particolarmente collegati all'attualità, in
tutti i settori), suscitando attese e domande culturali sempre più articolate e
complesse. In ogni caso, per quanto riguarda questo specifico aspetto del
problema (e per ogni tipo di biblioteca), sarà da evitare l'errore, troppo spesso
commesso, di costituire biblioteche-tipo, che, il più delle volte, prescindono da
una precisa analisi della comunità servita.
Il timore che una visione troppo schematica dei problemi potrebbe
produrre, sostanzialmente, vari livelli di accesso ai servizi è, come è ovvio,
inversamente proporzionale alla volontà politica di dare un concreto significato
alla democrazia e alla partecipazione, puntando sulla corretta e completa
utilizzazione di tutte le potenzialità offerte dall' articolazione della democrazia e,
su altro piano, da moderni programmi di automazione in grado di rendere
accessibile a tutti a mole complessiva di dati, informazioni e servizi disponibili.
Nel delineare il piano per la realizzazione del sistema urbano nel
Capoluogo, si dovrà tener conto delle biblioteche dei Centri Servizi Culturali, di
quelle degli Istituti Medi Superiori che, queste ultime, opportunamente
riordinate e potenziate nella nuova realtà della scuola che prende forma
dall'attuazione dei Decreti Delegati e dalla imminente, e ormai non
procrastinabile nascita dei Distretti scolastici, potranno, con modica spesa e
attraverso la presenza in ore serali di personale opportunamente qualificato,
essere parte integrante di tutto il sistema.
L'A.I.B. non farà mancare il suo apporto e la sua consulenza per
l'approfondimento del problema e, soprattutto, perché la realizzazione da tutti
auspicata possa avvenire nel rispetto delle indicazioni tecniche più corrette e
rispondenti alle vere esigenze di un servizio pubblico essenziale; a condizione
che da parte degli organi responsabili si sappia rinunciare a ipotesi non fondate
scientificamente né avvalorate dall'esperienza.
64
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
SEZIONE PUGLIESE
Prot. N. 33
Foggia, 1 aprile 1975
Avv. COLONNA
Presidente III
Commissione
Regione Puglia
via E. Capruzzi, 212
BARI
Siamo a conoscenza che la III Commissione, da Lei presieduta, ha
tenuto, nei giorni scorsi, una riunione dedicata ai progetti di legge in materia di
biblioteche e di CC. SS. CC. a cui sono stati invitati a prendere parte tecnici del
settore esperti, operatori culturali.
Con vivo rammarico e disappunto siamo costretti a rilevare una «
dimenticanza » di non poco conto che ha impedito a questa Sezione regionale
dell'Associazione Italiana Biblioteche (una delle poche associazioni
tecnico-professionali a carattere nazionale) di partecipare al dibattito e di far
conoscere il punto di vista di un organismo che rappresenta oltre 200
biblioteche e 500 bibliotecari a vari livelli, operanti in una Regione che, pur in
una situazione di squilibri tra le varie Province, si avvia, ad essere, per unanime
riconoscimento, all'avanguardia dell'organizzazione bibliotecaria in Italia.
Non Le saranno sfuggite le realizzazioni di questi anni sia nel campo
della organizzazione di Sistemi Provinciali, sia in quello del dibattito teorico e
politico-culturale; il tutto rappresentato in modo emblematico dalla nuova sede
della Biblioteca Provinciale di Foggia e dal XXIV Congresso nazionale delle
biblioteche italiane, tenuto nella nostra Regione nello scorso ottobre.
Il rilievo assunto da tali realizzazioni, così infrequenti in un Paese come il
nostro e, in particolare, nelle regioni del Mezzogiorno, esclude, d'altra parte
ogni ipotizzabile difetto di informazione.
Questa Associazione, che tanta parte ha avuto nello sviluppo faticoso
delle strutture e nel dibattito ventennale sulla definizione dei nuovi compiti
della biblioteca pubblica, non può fare a meno di chiedersi quali ragioni
abbiano indotto il Presidente della III Commissione Regionale a non
interpellare la Sezione Pugliese dell'A.I.B., mentre si discute sul futuro delle
strutture bibliotecarie della nostra Regione.
La cosa è tanto più inspiegabile quando si pensi che questa Sezione ha
tempestivamente discusso il primo progetto di legge in materia di biblioteche
presentato al Consiglio Regionale, facendo perve65
nire proprie puntuali osservazioni sull'articolato della legge, quale concreto
contributo per un dibattito che coinvolge forze politiche, sociali e culturali.
Pur nel rammarico di quanto avvenuto, riconfermiamo la disponibilità a
dare, nelle forme che si riterrà opportune, il contributo che esprima il punto di
vista dei bibliotecari pugliesi e le linee di politica culturale tracciate dall'A.I.B. e
più volte portate a conoscenza della pubblica opinione.
In attesa di un cortese riscontro in tal senso, porgiamo distinti saluti.
Il Commissario
(Dr. Angelo Celuzza)
Prot. n. 31
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
SEZIONE PUGLIESE
Foggia, lì 20 marzo 1975
All'Egr. Avv. Pasquale GIUFFREDA
Assessore Regionale alla P. I.
BARI
Questa Sezione Regionale dell'A.I.B. è a conoscenza dell'avvenuta
presentazione di progetti di legge regionale che concernono le biblioteche di
EE. LL. e i CC. SS. CC. pugliesi.
P questo, un fatto estremamente positivo di cui l'A. I. B., da sempre
promotrice di interventi legislativi organici e puntuali, si compiace e di cui
apprezza i possibili sviluppi attuativi. Nel contempo, l'A. I. B. regionale ritiene
di dover esprimere il proprio parere tecnico, che non può non ricollegarsi,
evidentemente, alle linee di organica e unitaria politica che l'Associazione
afferma e persegue a livello nazionale.
L'A. I. B. regionale, che rappresenta oltre duecento biblioteche popolari,
dissente totalmente da quei progetti di legge in discussione a vari livelli, che
sono frutto di una impostazione decisamente scorretta e inattendibile sul piano
tecnico e su quello politico-culturale. Essi, infatti, ignorano del tutto la realtà
effettiva delle strutture culturali operanti nell'ambito della regione e
ripropongono in maniera arretrata, anacronistica e insussistente una dicotomia
tra una fantomatica cultura statica che farebbe capo alle biblioteche, in ogni
caso destinate alla conservazione. e una cultura dinamica che, invece si
riconnetterebbe ai CC. SS. CC., i quali sarebbero, secondo il parere degli
estensori dei
66
progetti di legge, luoghi di elaborazione culturale e non, come è stato fino ad
oggi, organismi poco definiti sul piano dei compiti e delle attribuzioni, non
collegati organicamente alla realtà i- cui operano, condizionati dagli enti che ne
avevano la gestione e condizionabili da chiunque semplicemente si sostituisca
negli stessi rapporti di gestione.
L'A.I.B. pugliese non ha certo bisogno di indicare all'Assessore alla P. I.
cosa rappresenta oggi nella nostra regione la rete di biblioteche e
l'organizzazione dei sistemi bibliotecari provinciali e quali esperienze positive
siano state condotte, particolarmente nelle province di Foggia e di Lecce, da tali
strutture. Né ha bisogno di sottolineare come, a fronte di tutto questo, i CC.
SS. CC. non rappresentino né per diffusione, né per potenziali risorse
tecnico-scientifiche e di intervento, uno strumento alternativo su cui fondare
ogni ipotesi di pianificazione e programmazione politico-culturale. Essi invece
potrebbero essere utilmente ricondotti in un progetto complessivo che,
superando la dicotomia, cui si è fatto cenno, ne metta a frutto le esperienze
acquisite nei vari campi dell'educazione permanente e affidi compiti e funzioni
precisi a tutte le strutture esistenti, in vista della creazione di sistemi urbani e di
sistemi comprensoriali e provinciali.
Questa Associazione ritiene, anche in considerazione dei rapporti di
sincera stima che ha sempre dimostrato nei suoi confronti e di franca e sollecita
collaborazione che hanno contraddistinto ogni suo intervento nei confronti
dell'Assessorato Regionale alla P.I., di poter sollecitare la S. V. a farsi
promotore di un proprio progetto che, indubbiamente, non potrà non avere
tutte le caratteristiche tecnico-politiche che questi anni di esperienze dettano
alla sensibilità e alla competenza di chi ha ricoperto, con lodevole impegno e
competenza, la massima carica regionale nel settore della cultura.
Con immutata sincera stima, s; porgono i più deferenti saluti.
Il Direttore
(Dr. Angelo Celuzza)
67
Roma, 29 novembre 1975
AI PRESIDENTI DELLE GIUNTE REGIONALI
LORO
SEDI
AI PRESIDENTI DELLE AMMINISTRAZIONI
PROVINCIALI
LORO SEDI
AI SOPRINTENDENTI ED AI DIRETTORI
DEGLI UFFICI AI BENI LIBRARI
LORO SEDI
AI
DIRETTORI
DEI
CENTRI
SISTEMI
BIBLIOTECARI CIRCOSCRIZIONALI
DI PUBBLICA LETTURA
LORO SEDI
AI PRESIDENTI DELLE SEZIONI
REGIONALI DELL'AIB
LORO SEDI
ALLA FEDERAZIONE
DELLE CONFEDERAZIONI SINDACALI
CGIL - CISL - UIL
ROMA
Il Consiglio direttivo dell'Associazione Italiana Biblioteche, su
sollecitazione dei soci, ha predisposto il documento qui allegato sul servizio
nazionale di lettura. In occasione di un incontro tale documento è stato
presentato al Ministro per i beni culturali e ambientali, il quale ha riconosciuto
la necessità di intervenire per una diversa gestione del servizio.
Riteniamo che, al fine di raggiungere gli obiettivi che l'Associazione
Italiana Biblioteche si propone con questo documento, sia indispensabile un
autorevole intervento dei settori più direttamente coinvolti nella questione.
IL PRESIDENTE
(Angela Vinay)
Durante il XXV Congresso dell'Associazione Italiana Biblioteche,
tenutosi ad Alassio dal 5 al 10 maggio 1975, è stata ribadita la necessità e
l'urgenza di assegnare alla Regione i fondi previsti negli appositi capitoli 1537 e
1609 dello stato di previsione della spesa del Ministero Beni Culturali per il
1976 a favore del Servizio nazionale di lettura.
Questo servizio, organizzato in sistemi comprensoriali incentrati
ciascuno in una biblioteca pubblica dotata di autosufficienza e, insieme, di
capacità espansiva, è destinato a tutti i cittadini e consiste nell'offrire ad essi
possibilità di lettura e al tempo stesso di partecipazione a molteplici attività
culturali, che vanno dalla conferenza al dibattito,
68
dalla proiezione del documentario al cineforum, dal concerto alla rappresentazione, etc.
Nella quasi totalità dei casi il servizio fa capo alle biblioteche degli enti
locali, e solo eccezionalmente ad esse si sono sostituite, per ragioni contingenti,
alcune biblioteche statali (Governativa di Cremona e di Gorizia); comunque, in
tutto il mondo, questa attività è prerogativa delle biblioteche degli Enti locali.
E’ indubbio, quindi, che questo servizio debba esser svolto su tutto il
territorio del paese, prima o poi, esclusivamente dalle Biblioteche degli Enti
locali e che perciò debba essere ricondotto al potere legislativo delle Regioni
ogni incombenza che lo riguarda così come ad esse debba essere devoluto ogni
stanziamento relativo.
Lo stesso principio è chiaramente accolto anche in sede di programmazione nazionale, attribuendosi « il servizio nazionale di lettura » alla
esclusiva competenza normativa e amministrativa delle Regioni.
Pertanto l'intendimento del Ministero Beni Culturali di « riesaminare alla
luce dell'esperienza acquisita dall'ultimo decennio e sulla base di nuovi e più
fecondi rapporti con le autorità locali, le possibilità di potenziamento e sviluppo
del Servizio nazionale di lettura » (Circolare Ministero Beni Culturali n. 1195/u
del 21-5-1975) si pone come un tentativo da parte dell'organizzazione centrale
dello stato di riconquistare spazi d'intervento in ambiti di competenza della
regione e delle autonomie locali.
Di fronte alla interpretazione riduttiva di quanto disposto dal Decreto di
trasferimento delle competenze in materia di Musei e Biblioteche di Enti locali,
l'A.I.B. sulla base di quanto più volte espresso in materia, e sulla scorta della
esperienza acquisita nel corso della prima legislatura regionale, riconferma la
netta opposizione a interventi in spazi di giurisdizione e competenza
esclusivamente regionali, interventi che si sono in questi ultimi tempi
particolarmente intensificati in direzione dei Sistemi Bibliotecari, e che tendono
ad alimentare confusione, duplicazioni ed incertezze, e che non possono essere
giustificati nemmeno sulla base di richieste di interventi e gestioni sostitutive
(come nel caso della creazione di Biblioteche Nazionali, dipendenti
dall'amministrazione centrale, a Potenza e Cosenza).
Tutto questo, d'altra parte, si risolve in ulteriori ritardi nella assunzione
da parte dello Stato delle responsabilità e delle capacità di intervento nei settori
di sua specifica pertinenza: delineare l'indirizzo generale e assicurare il pieno
funzionamento ed il reale godimento da parte di tutti dei servizi di
informazione bibliografica e documentaria a livello nazionale, laddove «
l'espressione nazionale sta ad indicare una funzione ».
69
OSSERVAZIONI DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA
BIBLIOTECHE
SULLE « NORME SULL'ORGANIZZAZIONE DEL MINISTERO
DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI »
L'Associazione italiana biblioteche condivide i motivi di perplessità
manifestati dalle rappresentanze delle altre categorie del settore (archivi, belle
arti) nei riguardi dell'intero progetto, che, da una parte, sembra travalicare i
poteri e i limiti posti dalla delega in quanto si spinge a dettare normative
concernenti Istituti centrali e periferici (le biblioteche - art. 28, comma f semmai sono Istituti e non « Organi ») che in nessun modo possono
configurarsi come parte integrante del Ministero, e, dall'altra, sembra fallire i
suoi scopi essenziali, che erano quelli di decentrare l'amministrazione dei beni
culturali e ambientali (non sembra essere organismo efficiente di
decentramento quel « Comitato regionale » che ha funzioni e compiti del tutto
marginali, art. 34), di conferire snellezza di procedure alla stessa, e di affidarla in
prevalenza a personale delle carriere scientifico-tecniche.
In particolare l'Associazione osserva:
1) Consiglio Nazionale
Troppo esigua appare in seno al Consiglio la rappresentanza del
personale scientifico-tecnico; d'altra parte nessuna norma stabilisce che quella
rappresentanza, che si riflette, poi, sulla formazione dei Comitati di settore,
deve essere equilibratamente ripartita tra le varie componenti
dell'amministrazione dei beni culturali e ambientali, e ogni determinazione in
merito viene molto inopportunamente rimandata e demandata a un successivo
decreto del Ministro (art. 4, comma 3; art. 7, coma 3); non sono in nessun
modo presenti nel Consiglio le Amministrazioni provinciali, le quali, pure,
specie nell'Italia meridionale, gestiscono numerosi complessi interessati i beni
culturali e ambientali.
2) Comitati di settore
L'abbinamento ancora una volta del settore delle biblioteche con quello
degli « Istituti culturali » nel Comitato di settore e nel corrispondente Ufficio
centrale (si suppone che con questa nuova più generica espressione si vogliano
indicare tutti quegli Istituti prima riuniti nella Direzione generale e nel Consiglio
superiore delle « Accademie e biblioteche »), ripete un errore e un
inconveniente condannati dall'esperienza che nega l'opportunità di accomunare
la trattazione di interessi e di problematiche diversi. Gli « istituti culturali »
dovrebbero trovare collocazione diversa nell'ambito del Ministero o passare,
addirittura, alla competenza di altro Ministero (Ricerca scientifica); mentre qui
sarebbe il caso di affermare il principio che il Ministero dei beni culturali e ambientali deve esercitare i suoi compiti e funzioni sui beni culturali pos70
seduti non solo da quegli Istituti, ma anche da tutti gli altri, siano essi dello
Stato o no (ad es., per restare nel settore di interesse, le Biblioteche degli Istituti
culturali, delle Accademie, dei Conservatori, dei Ministeri, delle Scuole, dei
Centri sociali e culturali, ecc.).
I rapporti intercorrenti tra le funzioni del Consiglio nazionale, dei
Comitati di settore e degli Uffici centrali, non sono affatto chiari; in definitiva
tutto sembra demandato alle determinazioni del Ministro poiché né il Consiglio
nazionale né i Comitati di settore hanno mai autonomia e iniziativa di
intervento, né il loro parere è reso mai vincolante per il Ministro.
3) Istituti centrali
La ristrutturazione del Centro nazionale per il catalogo unico delle
biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche, trasformato in Istituto
centrale con una somma di nuove attribuzioni di evidente importanza sul piano
nazionale e internazionale, pregiudica ogni possibilità di sana riforma del
sistemama bibliotecario italiano, invocata da tempo e da più parti, non solo
entro le pareti di casa nostra, e che dovrà essere la prima grande impresa del
nuovo Ministero.
4) Personale
In nessuna parte del progetto, infine, un'esplicita norma stabilisce che la
direzione degli uffici centrali e delle divisioni in cui essi saranno strutturati,
dell'Ufficio studi e programmazione, della Segreteria del Consiglio nazionale,
deve essere affidata a personale scientificotecnico. Anzi l'ampliamento dei ruoli
organici del personale dell'Amministrazione centrale fa temere che non si abbia
1.9 minima intenzione di operare questa essenziale innovazione, che varrebbe a
distinguere il Ministero dei beni culturali e ambientali dagli altri, collocandolo
tra gli Organismi scientifico-tecnici dell'apparato statale italiano.
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
OSSERVAZIONI SULLE NORME DELEGATE
PER L'ASSETTO DEL MINISTERO BENI CULTURALI
L'Associazione Italiana Biblioteche, in una serie di incontri con i
bibliotecari, ha preso in esame il documento predisposto dalla Commissione
presieduta da Massimo Severo Giannini con cui si dà attuazione alla delega
concessa al Governo con la legge 29 gennaio 1975 n. 5 relativa alla costituzione
del Ministero Beni Culturali..
Fermo restando il consenso - più volte espresso in dichiarazioni
congressuali e documenti - per la costituzione del Ministero, i bibliotecari non
possono esprimere perplessità e preoccupazione per il modo con cui si
procede, in questi giorni, ad attuare tale delega.
71
In particolare lamentano:
1) L'esclusione dai gruppi di lavoro preparatori dei diretti interessati.
2) L'esclusione dalla «Commissione di giuristi e tecnici » dei rappresentanti dei
bibliotecari in seno al Consiglio Superiore al quale non è stato sottoposto,
neppure per un parere, il testo dell'articolato.
Rilevano:
1) Le poche proposte relative alle Biblioteche che hanno nel contesto un
carattere « episodico » e sono per lo più sommarie ed incomplete. Esse,
tuttavia, sotto l'apprenza di nulla innovare, condizionano pesantemente una
futura organica riforma del sistema bibliotecario nazionale.
2) Nel predisporle, infatti, si è ignorato il « nodo politico » rappresentato dal
passaggio alle Regioni delle competenze in materia di Biblioteche di Enti
locali e di interesse locale.
3) Appare pertanto particolarmente grave il fatto che proprio per quello dei tre
settori che, con il trasferimento alle Regioni delle Soprintendenze, ha
perduto ogni legame con le varie componenti locali, non siano stati previsti
organi di collegamento e di coordinamento.
L'interesse del legislatore è stato prevalentemente rivolto all'amministrazione delle Antichità e Belle Arti.
4) La promozione del Centro Nazionale per il Catalogo Unico in Istituto
appare nell'attuale particolare situazione bibliotecaria italiana caratterizzata
dalla compresenza di due biblioteche nazionali centrali dai compiti
istituzionali non chiaramente definiti, un'ulteriore elemento di confusione e
un'inutile appesantimento.
Per poter funzionare il nuovo Istituto avrà bisogno di notevoli mezzi
finanziari, di personale, di spazio. Così come mezzi finanziari e personale
occorrono alle due biblioteche nazionali centrali alle quali il servizio di
informazione bibliografica spetta come compito prioritario ed in stretta
connessione con la gestione dei prestiti nazionali ed internazionale .
Si ritiene che la istituzione di un terzo Istituto centrale debba avvenire
nel quadro di un generale ripensamento dei servizi bibliografici dello Stato.
72
PROGETTO DI UN CORSO DI QUALIFICAZIONE
PROFESSIONALE
PREDISPOSTO DALLA SEZIONE IPUGLIESE DELL'A.I.B.
* Il sistema bibliotecario italiano e il dibattito sui Beni Culturali.
-
Cenni storici. La biblioteca e il sistema di pubblica lettura.
I beni culturali tra ideologia e realtà.
Il ruolo dell'Associazione Italiana Biblioteche.
* Il bibliotecario e la formazione professionale.
- Chi e come ha « gestito la professionalità ».
- Prospettive. Il ruolo dello Stato dell'Università, delle Regioni, degli Enti
Locali e dell'A.I.B.
* Informazione e la biblioteca pubblica oggi
- Comunicazione e informazione.
- Automazione e biblioteca: le esperienze della situazione italiana.
- Automazione e biblioteca pubblica: il caso della Biblioteca Provinciale
di Foggia.
* Cultura nazionale e cultura regionale.
-
Introduzione generale.
Lingua e dialetti: il caso della Puglia.
Cultura locale e cultura popolare in Puglia.
Archeologia della Daunia.
La Puglia nella storia / La Storia in Puglia.
L'anno mille e l'arte pugliese.
La storia della stampa in Puglia.
* La biblioteca degli Enti Locali nella legislazione attuale.
-
Excursus storico .
La legge comunale e provinciale.
Lo Stato e le Regioni.
Il regolamento della biblioteca.
* L'uso pubblico della biblioteca.
-
Excursus storico.
La biblioteca pubblica nel mondo.
Biblioteca e società italiana.
L'organizzazione dei servizi e gli standards.
La gestione sociale della biblioteca.
73
* Biblioteca e scuola.
- Il servizio ai ragazzi.
- La biblioteca pubblIca e le biblioteche scolastiche in Italia.
- I decreti delegati, i distretti scolastici e la « nuova scuola ».
- Il ruolo della biblioteca: « corpo separato » o luogo della « società
educante? ».
- L'interdisciplinarità, la ricerca e il lavoro di gruppo.
* Seminario pratico per gruppi sulle tecniche catalografiche e di
classificazione.
* La biblioteca pubblica centro culturale polivalente.
-
Biblioteca e territorio.
La dinamica sociale e l'indagine di ambiente.
Animazione culturale e educazione permanente.
Teatro, drammatizzazione e attività espressive.
Il cinema. Le esperienze del Sistema Bibliotecario provinciale di
Foggia e le prospettive future.
* Conclusione del corso.
- Relazioni di gruppo sull'indagine d'ambiente a livello provinciale.
- Relazioni di gruppo sul corso.
N.B. -
Per ogni sezione del corso i partecipanti avranno a
disposizione testi, dispense, materiale didattico vario e
specifiche guide bibliografiche.
74
L'ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
PER UNA POLITICA DELLE BIBLIOTECHE IN ITALIA
a cura di A. CELUZZA e G. PENSATO
contiene:
A. CELUZZA - G. PENSATO: Per una politica bibliotecaria in Italia;
A. I. B.: Dichiarazione dei bIbliotecari italiani sui rapporti tra Stato e Regioni in materia
di Biblioteche;
F. BALBONI - 0. MARINELLI: Prospettive per un sistema bibliotecario italiano;
A. GUARINO (a cura): Appunti e principi per la formulazione della legge quadro ... ;
A. I. B.: Schema di una legge riorganizzativa delle biblioteche;
L. MAZZOLLA - A. M. MANDILLO: Il deposito obbligatorio degli stampati;
D. MALTESE: Natura e formazione dell'archivio regionale del libro;
E. BERTAZZONI: Natura e formazione degli archivi bibliografici regionali;
A. GUARINO: Le competenze dello Stato e delle Regioni nell'amministrazione delle
biblioteche;
G. DE GREGORI: L'A. I. B. e l'amministrazione dei beni culturali
A. I. B.: Osservazioni sulle norme delegate per l'assetto del Ministero Beni Culturali;
A. I. B.: Osservazioni alle norme sull'organizzazione del Ministero dei Beni culturali e
ambientali;
A. I. B.: Sul « Servizio Nazionale di lettura »;
N. VIANELLO: Proposta per la formazione professionale.
75
PER UNA POLITICA BIBLIOTECARIA IN ITALIA
ANGELO CELUZZA - GUIDO PENSATO
Questa
comunicazione
intende
sottolineare
l'azione
svolta
dall'Associazione Italiana Biblioteche in riferimento a tre temi: l'attuazione
dell'ordinamento regionale, il nuovo Ministero dei Beni Culturali e la
formazione professionale, particolarmente significativi nelle vicende
dell'Associazione dell'ultimo decennio.
* * *
L'A.I.B., avvertendo il peso che il decentramento regionale avrebbe
rivestito per la vita italiana e, in particolare, per l'organizzazione bibliotecaria,
non ha atteso la nascita ufficiale delle Regioni per porre all'ordine del giorno un
problema tanto rilevante. Fin dal congresso di Sorrento (1962), quando ancora
nella stessa AIB erano dominanti posizioni centralistiche, infatti, affrontò
contemporaneamente - e non fu un caso - il tema « biblioteche e Regioni » e
quello della « biblioteca pubblica ». E non fu un caso neppure che, proprio al
Congresso di Perugia (1971), alla vigilia cioè della prima legislatura regionale, l’
AIB ponesse, nell'ambito di una decisa scelta regionalistica, per la prima volta
in maniera organica, il problema di « una politica delle
___________________
Relazione presentata alla Conferenza Nazionale dei Dipendenti del
Ministero dei Beni Culturali e Ambientali - Roma, 26-27 novembre 1976.
Si è ritenuto di collocarla in apertura del « quaderno » per il suo carattere di
sia pur sommaria analisi delle posizioni assunte dall'Associazione Italiana
Biblioteche sulle questioni politico-culturali di maggior rilievo degli ultimi anni;
con tutti i meriti ma anche con tutti i limiti di un'organizzazione debole, in larga
misura espressione fedele dei limiti della storia del nostro sistema bibliotecario.
Per chi voglia ripercorrere, nell'ambito di quest'ultima, la storia dell'Associazione professionale dei bibliotecari italiani, utili riferimenti sono in «
Accademie e biblioteche d'Italia », dal 1927 « Associazione Italiana Biblioteche Bollettino d'informazioni » dal 1961 (dal 1955 al 1959 Notizie A.I.B.); A.
CALDERINI, L'Associazione Italiana per le Biblioteche - Origini, realizzazioni,
propositi, Venezia, A.I.B. - Sezione per il Veneto orientale e la VeneziaGiulia,
1959; Atti del XXIV Congresso dell'Associazione Italiana Biblioteche, Foggia Pugnochiuso, 5-10 ottobre 1974, Foggia, Amministrazione Provinciale di
Capitanata, 1976; e, soprattutto, in: G. BARONE - A. PETRUCCI, Primo: non
leggere, Milano, Mazzotta, 1976; P. TRANIELLO, Regioni e biblioteche in Italia,
Milano, Cisalpino-Goliardica, 1977 e I congressi 1965-1975 dell'Associazione
Italiana Biblioteche, a cura di Diana La Gioia, Roma, Associazione Italiana
Biblioteche, 1977, di cui il presente « quaderno » vuole essere utile
completamento almeno per quanto riguarda, fondamentalmente, i temi della
costruzione del sistema bibliotecario nazionale, la costituzione del Ministero dei
Beni Culturali, la formazione professionale.
76
biblioteche in Italia », di un sistema bibliotecario nazionale: « Non sembra - è
scritto testualmente nella relazione del Consiglio Direttivo a quel Congresso che l'Italia ne abbia già uno ». In quella stessa occasione si denunciava il caos
legislativo del quadro di riferimento - pur estremamente povero -e quello di una
pletora di iniziative scollegate (centri di lettura, centri sociali, biblioteche del
contadino, centri di servizi culturali, Servizio Nazionale di Lettura, etc.), frutto
più di una ricchezza di fantasia terminologica e di mire politico-culturali più o
meno incoffessate che conseguenza di una risposta pluralistica che meglio
aderisse alle diverse e molteplici esigenze della società. Caos del resto ben
presente anche nell'ambito delle biblioteche statali, se è vero che fatti
contingenti hanno prodotto, in assenza di ragioni tecniche o culturali plausibili
e coerenti, la nascita, anche in tempi a noi molto vicini e nel perdurante sfascio
di servizi centrali, di nuovi istituti gestiti direttamente dallo Stato.
La istituzione delle regioni a statuto ordinario non fu avvertita dall'A.I.B.
come un mero mutamento di facciata ma come l'occasione storica per proporre
« una radicale revisione di strutture consolidatesi durante un secolo ».
« Il Consiglio Direttivo ritiene in sostanza, che sia essenziale, per una
giusta impostazione di politica bibliotecaria italiana - così è scritto nella
relazione al Congresso di Perugia -un rovesciamento addirittura dei termini
delle competenze che lo Stato esercita oggi. Riduzione cioè al minimo - con la
cessione di molte biblioteche statali alle Regioni, da una parte, e alle Università
dall'altra, con l'unificazione di altre (l'esempio fatto per Roma potrebbe calzare
per altre città) - delle sue funzioni di gestione diretta; dilatazione invece e
potenziamento, nella misura più ampia, dei suoi compiti direzionali e tecnici,
promozionali e di coordinamento di carattere nazionale fino a coprire l'intera
area di un sistema bibliotecario italiano, dal quale non resti fuori nessun tipo di
istituto e di servizio. Neppure il servizio di biblioteche pubbliche... ». Quel
documento continuava riassumendo gli orientamenti dei bibliotecari italiani nei
seguenti principi:
« 1) La gestione di un servizio che deve raggiungere capillarmente e
indistintamente tutti i cittadini non può essere di competenza dello Stato ma,
come avviene in tutti i paesi che son riusciti a darsi una valida struttura di
biblioteche pubbliche, spetta all'ente territoriale minimo, il Comune.
2) Il grande numero di piccoli Comuni esistenti in Italia impedisce che
ovunque sia presente una biblioteca, fissa ed autonoma: gli abitanti invece, di
qualsiasi pur isolata e minima comunità, potranno fruire di un servizio
imperniato su sistemi comprensoriali, alla cui organizzazione e funzionamento i
co-
77
muni stessi possono consoziarsi, con il concorso delle Province, delle Regioni,
e attraverso queste, dello Stato.
3) Lo Stato - inoltre - dovrebbe abdicare a funzioni gestionali dirette di
strutture che, per la loro stessa natura, non possono servire interessi generali e
nazionali e concentrare le sue possibilità di finanziamento e di amministrazione
a potenziare nel dovuto dei modi servizi che siano veramente di interesse
nazionale e che oggi, con i legami internazionali che si vanno sempre più
stringendo, sono addirittura, di interesse sopranazionale. Come ad esempio il
servizio bibliografico di informazione e documentazione o quello degli scambi
internazionali, entrambi inefficientissimi ».
Qualora l'azione e i suggerimenti dell'Associazione avessero trovato un
interlocutore meno distratto e diffidente e più aperto al nuovo progetto di
società che si intravedeva nella istituzione delle Regioni, oggi non ci
troveremmo a dover riproporre quasi per intero tutte le posizioni espresse in
questi anni.
Il venir meno, fin dalla fase costituente e per la resistenza di forze
antiregionaliste, della funzione di coordinamento da parte dello Stato, ha
prodotto nel settore delle biblioteche la diaspora delle esperienze regionali,
avviatesi talora con tempestività ma spesso nel reciproco isolamento. E' merito
dell'Associazione l'aver tentato di ricucire nella visione di un quadro unitario,
con fitte e laboriose trame, questa realtà. Di tale confusa situazione rilevammo i
termini nel corso dei lavori del congresso di Civitanova Marche (1973), a un
anno di distanza dalla istituzione delle Regioni: frammentazione e
incomunicabilità delle esperienze, caotica moltiplicazione delle iniziative e squilibri tra le singole realtà regionali. Da tutto ciò derivava la proposta di un fondo
nazionale tendente al superamento degli squilibri e la ribadita sollecitazione a
muovere i primi essenziali passi per un servizio bibliotecario nazionale. « Quasi
tutte le Regioni - è scritto in un documento dedicato a questi temi - stanno
elaborando singole leggi sulle biblioteche di competenza, la maggior parte delle
quali con il contributo dei documenti scritti dall'A.I.B.. Queste varie iniziative
sarebbero state indubbiamente agevolate da un organica legge-quadro predisposta dallo Stato, la quale avrebbe loro consentito di uniformarsi a una unità di
indirizzo e di principi, così da creare le condizioni per un effettivo
coordinamento delle bibioteche sul piano nazionale, e quindi, per la
realizzazione di un sistema bibliotecario nazionale, che con le sue articolazioni
funzionali e territoriali e con una rete capillare di unità di servizio consenta un
agevole e rapido accesso a tutto il patrimonio librario pubblico ».
Il problema della emanazione della legge-quadro era del resto ben presente
nella relazione del Direttivo al Congresso di
78
Maratea (1972), nella quale si auspicava la definizione chiara e univoca delle
funzioni di effettivo interesse nazionale e locale: «proponiamo quindi
all'attenzione e alla discussione dei soci - è scritto in un documento di quel
Congresso - una linea di riforma del sistema bibliotecario italiano che si fondi
sul presupposto che a livello nazionale le funzioni di indirizzo e coordinamento
sul piano scientifico e tecnico siano svolte da quegli istituti di effettivo carattere
nazionale e cioè dalle due biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze.... dal
Centro nazionale per il Catalogo unico e le informazioni bibliografiche, e, per la
ricerca e la tecnica del restauro, dall'Istituto dì Patologia del Libro e dal
costituendo Centro per il restauro di Firenze, che l'ordinato sviluppo di un
sistema nazionale di pubblica lettura, basato su sistemi regionali sia promosso e
gestito dagli Enti Locali ».
L'eco preoccupata della pervicace resistenza messa in atto contro il
passaggio totale delle competenze alle regioni è nella relazione del Direttivo al
XXII Congresso, nel corso del quale venne analizzato in ogni particolare
aspetto, il D.P.R. n. 3 del 14-1-1972 e si guardò con allarmata attenzione ai tentativi di sottrarre alla competenza regionale alcuni settori e, tra questi, il Servizio
Nazionale di Lettura.
In quella circostanza l'A.I.B. si faceva carico dell'esigenza dì recupero, in
un sistema organico nazionale, delle biblioteche scolastiche e della necessità che
fossero le regioni a « provvedere alla formazione del personale delle biblioteche
a livello della carriera di concetto ».
Il Congresso di Alassio (1975) cadeva nell'anno della conclusione della
prima legislatura regionale e fu pertanto, e opportunamente, la occasione di un
primo sia pur sommario bilancio sui temi e sui problemi emersi nel
quinquennio per le biblioteche italiane (1971-1975).
Quel bilancio è lontano dall'essere completato e ancor più lontane
sembrano le indicazioni e le soluzioni di carattere generale e unificante che sole
possono liberare tutta la carica innovativa che, sia pure in modo disorganico,
l'irruzione delle regioni nel nostro settore ha lasciato indovinare. Ed è per
questo che sentiamo di dover proporre oggi l'organizzazione di un convegno
nazionale sulla diversa fenomenologia, ai vari livelli locali, dei sistemi di
pubblica lettura sopravvissuti e più in generale sulle diverse situazioni regionali
dei servizi bibliotecari nel quadro delle diverse legislazioni. Ma, ferma restando
la richiesta per la definitiva approvazione, anche se il Governo si è concessa un
ulteriore proroga, della legge 382, i risultati e le indicazioni fornite dall'eventuale
convegno, non dovrebbero, evidentemente, essere limitati a uno scambio di
esperienze. Dovrebbero invece essere l'occasione per fornire allo Stato, o
meglio, al Ministero
79
dei Beni Culturali e Ambientali, elementi e dati tali da consentire e rendere
concreti quei compiti di indirizzo unificante e di coordinamento propri del
nuovo Ministero.
Per concludere su questo punto, se l'obbiettivo generale, oggi e qui nel
nostro Paese, di ogni intervento autenticamente riformatore in ogni settore
della vita civile è quello di modificare e migliorare la qualità della vita, esso si
realizza anche attraverso la attuazione di un nuovo e diverso tipo di gestione
della prassi culturale e delle istituzioni, che non si risolve in un puro e semplice
decentramento del modo tradizionale di gestire la cultura (si perpetuerebbero
così anche i tradizionali meccanismi di esclusione) ma deve implicare
assunzione di responsabilità dirette da parte delle istanze della vita associata,
affinché tutti gli istituti culturali, e in modo preminente le biblioteche, come
strutture di base, diventino punti di riferimento della vita sociale, realizzando
un tipo di politica culturale che non miri come è stato fino ad oggi alla
conservazione del sapere e dei valori culturali acquisiti.
Tali orientamenti sono del resto nello stesso manifesto dell' UNESCO
sulla biblioteca pubblica, nel quale si chiede all'istituto bibliotecario, in presenza
soprattutto della cosiddetta « esplosione della bomba-informazione », di «
offrire l'opportunità di mantenere il contatto con la nostra epoca, di educarsi in
modo permanente e tenersi al corrente al progresso delle scienze e delle arti ».
***
Venendo al tema dei Beni Culturali, val la pena di ricordare come il
progetto che risultava dalla relazione Franceschini, basato su una ipotesi
fortemente accentratrice, di una Azienda autonoma governativa, fu discusso in
maniera approfondita nel Congresso di Fiuggi dell'anno 1967. Il netto rifiuto
dell'A.I.B. era anche giustificato dal fatto che non era dato « sapere in alcun
modo chi e secondo quali scelte sarà chiamato a far parte dell'organismo
rappresentativo » e della preoccupazione che i problemi delle biblioteche
fossero emarginati, presenti in modo episodico all'interno di una pletorica
struttura centralizzata. Consapevole delle conseguenze che tale impostazione
avrebbe avuto per le sorti degli istituti e per il Paese, l'A.I.B. è stato presente,
con autorevolezza, nel dibattito. Questa attiva partecipazione e il confronto con
altre forze ha consentito all'A.I.B. di rivedere alcuni punti di vista e di precisare
la sua posizione sul problema in generale e, sull'aspetto più specifico dell'organizzazione bibliotecaria. Il dibattito, non più contenuto nella ristretta cerchia
degli addetti ai lavori, divenne poi tema di discussione e di studio per tutte le
forze politiche e culturali del Paese particolarmente sotto la spinta della
Regione Toscana, il cui progetto, diffuso capillarmente, fu, per quel che
riguarda
80
l'A.I.B., attentamente esaminato in tutte le assemblee delle sezioni regionali; le
cui osservazioni, fatte proprie dal Consiglio direttivo, furono raccolte in un
documento unitario e trasmesse alla Regione Toscana. L'iter convulso impresso
dal Ministro
Spadolini alla legge-delega per la costituzione del nuovo Ministero fu seguito
dall'A.I.B. con preoccupato senso di responsabilità e accompagnato da puntuali
rilievi. Questi riguardavano - e riguardano - :
a) l'assenza di un approfondito preventivo dibattito in sede politica e in
sede tecnica;
b) la struttura fortemente centralistica del nuovo Ministero che solo
apparentemente si apre all'apporto delle autonomie locali e delle forze sociali e
culturali;
c) la palese incongruenza di una impostazione che ha preteso di
configurare una struttura, prima ancora di chiarirne le funzioni;
d) il venir meno a un principio espressamente sancito nella delega e
riguardante la primaria « esigenza della riqualificazione del personale »;
e) il non aver voluto provvedere a porre riparo allo scollegamento
verificatosi con il trasferimento alle regioni delle Soprintendenze bibliografiche
e quindi alla conseguente perdita di ogni legame e di ogni coordinamento con le
varie componenti locali;
f) lo scarso rilievo dato alla presenza di personale tecnico-scientifico in
seno al Consiglio nazionale, con i relativi riflessi nei comitati di settore;
g) l'aver voluto comprendere nel comitato di settore biblioteche « gli
istituti culturali » mentre da più parti si riaffermava il principio che il Ministero
dovesse esercitare i suoi compiti e le funzioni non solo sui Beni posseduti da
questi istituti,
mama anche su tutti gli altri, fossero dello Stato o no;
h) la ristrutturazione del Centro nazionale per il Catalogo unico e per le
informazioni bibliografiche trasformato in Istituto Centrale con una somma di
nuove attribuzioni sul piano nazionale e internazionale senza
contemporaneamente indicare le linee di un sistema che lo alimenti;
i) la mancanza di una norma esplicita che stabilisca il ruolo spettante al
personale tecnico-scientifico in modo da scongiurare il pericolo di una
soprapposizione del momento burocratico su quello tecnico-scientifico
appunto.
Il dialogo che il Ministro ha in questi ultimi tempi avviato con le
associazioni culturali e le forze sociali interessate, se da un lato ha messo in
evidenza carenze più volte e tempesti vamente segnalate, dall'altro è prova,
quanto meno, della volontà di raccogliere i punti di vista sui vari problemi
onde, è auspicabile eliminare i ritardi, unificare in un lavoro comune le
81
varie componenti, coinvolgendole nell'avvio, fin troppo laborioso, dei Comitati
di settore e del Consiglio Nazionale. Ed è per questo che l'A.I.B. esprime il
proprio apprezzamento per l'iniziativa che ci vede qui impegnati, anche se non
può tacere il proprio disappunto per vedere escluse componenti tecniche,
scientifiche, culturali e sociali, senza il cui apporto non si vede come possa
configurarsi il compito di indirizzo e di coordinamento a tutti i livelli proprio
del nuovo Ministero. Tanto più si pone l'esigenza di superare questo limite
proprio in vista delle iniziative che il Ministero dovrà a breve scadenza
intraprendere per la delineazione di un servizio bibliotecario nazionale tuttora
inesistente e indicato tra i compiti che la sottocommissione « Predieri »
individua come obiettivo della completa ristrutturazione su base regionale delle
competenze, delle funzioni, degli uffici, degli istituti, del personale e dei beni
strumentali.
Nell'allegato B in merito all'attuazione della legge 382 in tema di Beni
Culturali si legge e noi conveniamo che « non c'è pertanto problema di
individuare funzioni non trasferite ma, se del caso, di delegare funzioni statali al
fine di ricomporre su base territoriale regionale delle funzioni omogenee ». E
ciò costituisce una ulteriore precisazione di quella politica globale di
coordinamento cui spetta il compito non di gestire istituti ma « di imporre
standards unitari attraverso i poteri derivanti dalla delega, oltre, ovviamente, i
poteri di sostituzione in caso di inerzia delle Regioni delegate ».
L'esplicito riferimento contenuto nell'articolato proposto dalla
sottocommissione « Predieri » e relativo alla soppressione di strutture, uffici e
funzioni proliferate nel tempo; la possibilità offerta alle Regioni di istituire con
indirizzi unitari e su basi di efficienza gli uffici centrali regionali « senza ulteriori
funzioni statali residue », per una corretta politica unitaria sul territorio (alla
quale non piccolo contributo darà l'attuazione delle norme sulle circoscrizioni
comunali); la prevista suddele&zione ad Enti Locali subregionali delle funzioni
delle soprintendenze, costituiscono il concreto riconoscimento che il tema del
rapporto bene culturale-storia-territorio (« interesse locale») non era una
invenzione culturalistica se, tra l'altro, lo vediamo assunto come concetto
informatore dell'articolato proposto.
il metodo del confronto che il Ministero non potrà non consolidare nei
rapporti con le organizzazioni professionali e culturali e le forze sociali
organizzate, costituirà il terreno favorevole alla individuazione delle soluzioni,
degli indirizzi più corretti da dare, tra l'altro, ai problemi degli istituti centrali, a
quelli imposti dagli adempimenti internazionali, a quelli della pubblica lettura.
Su quest'ultimo tema lo spazio riservato al Ministero è ben chiaro e riflette
i problemi di coordinamento, di indirizzo
82
operativo nel rispetto di principi generali e di standards tecnico-bibblioteconomici a carattere nazionale.
Anche nell'espletamento di questo compito riteniamo sia indispensabile
l'apporto delle varie componenti tecniche oltre che politiche e sociali.
La proposta della convocazione di una conferenza nazionale per le
biblioteche assume un particolare e urgente rilievo tra l'altro proprio per il
settore della pubblica lettura e dei sistemi bibliotecari che, tra mille difficoltà,
continuano a vivere in assenza di una legge quadro e assumendo su di sè anche
quella « attività di promozione educativa e culturale » che vediamo sancita come
propria delle Regioni nell'articolato «Predieri ».
***
Anche nel settore delle biblioteche il problema dei problemi è quello del
personale e della sua qualificazione professionale (*). E' fin troppo nota
l'assenza di valide scuole preposte al settore. E' altresì avvertibile il fermento di
iniziative che varie regioni hanno sperimentato sotto l'assillo di dare risposte
adeguate e problemi concreti e impellenti. Nell'insieme ne deriva, tuttavia, un
quadro insufficiente e caotico proprio perché manca uno schema di riferimento
normativo e politico-culturale, organico e unitario. A partire dagli anni 70
l'A.I.B. ha affrontato il problema della formazione professionale, sull'esempio
delle valide esperienze fatte dalle organizzazioni di altri Paesi, giungendo alla
formulazione di proposte e piani di studio relativi sia alla istituzione di un corso
di laurea distinto in due indirizzi, per bibliotecari e per archivisti; sia alla
creazione, nell'ambito della struttura universitaria dipartimentale, di un «
dottorato di ricerca » con la finalità di ulteriori specializzazioni per bibliotecari e
per docenti; sia alla formazione e qualificazione dei quadri tecnici intermedi,
riservata alla competenza regionale, e destinata alla creazione di varie figure di
operatori bibliotecari in grado
________________
(*) In effetti, a questo riguardo, va rilevato che FAIB, nonostante abbia in ogni suo
congresso e nell'ambito di specifici gruppi di lavoro e commissioni di studio
continuamente dibattuto il problema della formazione professionale, non è fino ad oggi
riuscita ad esprimere una linea univoca e complessiva. Né la cosa deve far gridare allo
scandalo, dal momento che la scarsa chiarezza dei termini di questo problema, è la
diretta conseguenza dello stato di carenza, di ambiguità e di confusione in cui versa la
odierna situazione bibliotecaria dei nostro Paese, sia ai livelli dei servizi centrali sia per
quanto riguarda le strutture bibliotecarie diffuse nel territorio.
Chiarezza di funzioni e di ruolo potrà cominciare ad essere presente nelle diverse
figure tecnico-professionali e socio-culturali di bibliotecari che sostituiranno l'asfittica
sopravvivenza della tradizione, solo quando altrettanta chiarezza sarà fatta nelle funzioni
e nel ruolo di quella massa di istituti dalla confusa identità che oggi formano il nostro
sistema bibliotecario.
83
di rispondere alle mutate e accresciute esigenze degli istituti.
Per quanto riguarda la Scuola superiore e gli insegnamenti a livello
universitario è urgente che lo Stato e i ministri dei Beni Culturali e della
Pubblica Istruzione promuovano un chiarimento definitivo che consenta
l'adozione di iniziative commisurate ai bisogni attuali e, soprattutto, a quelli
futuri. Riconfermata la esclusiva competenza regionale per la formazione del
personale intermedio, e l'esigenza di inserirsi nell'alveo della riforma della
Scuola Secondaria Superiore, nel senso di porre le basi per una differenziazione
specifica dopo il biennio unitario, collegata alle funzioni degli istituti bibliotecari
pubblici, compito del Ministero in questa fase, è, ancora una volta, quello di
promuovere una verifica di tutte le iniziative in atto; verifica che dovrebbe
costituire il punto di partenza del lavoro di una commissione, largamente
rappresentativa delle istanze tecniche, professionali, culturali e sociali, i cui
risultati dovrebbero ispirare un corso sperimentale a tempo definito.
Tale corso, a carattere residenziale, dovrebbe prevedere la partecipazione
di operatori impegnati ai livelli regionali, i quali potrebbero richiamarsi ad una
tale esperienza nel programmare in piena autonomia ma con il massimo di
coordinamento nelle formule e nei contenuti le iniziative decentrate.
***
La grave situazione delle biblioteche italiane, l'incidenza che la crisi
economica ha particolarmente su questo settore in cui il semplice trascorrere
del tempo procura danni e ritardi irreparabbili, non consentono ulteriori
dilazioni. E' giunto davvero il momento in cui forze politiche, organizzazioni
culturali, forze sociali, organismi istituzionali devono assumere pienamente le
proprie responsabilità.
Le insufficienze della nostra organizzazione bibliotecaria non si superano
con una adesione puramente emotiva alla problematica.
Non è mai stata tentata nel nostro Paese un'analisi rigorosa che individui
le cause e suggerisca soluzioni organiche. Manchiamo, perfino, di dati certi.
I bibliotecari chiedono aumenti di bilancio per l'incremento dei fondi
librari e nella stragrande maggioranza dei casi non dispongono di elementi
attendibili sulla natura della domanda, dell'utenza effettiva e di quella potenziale
e ignorano quante biblioteche nel medesimo momento acquistano lo stesso
libro. Abbiamo una legge sul deposito obbligatorio degli stampati che dovrebbe
garantire la documentazione di quanto si produce nel Paese; non abbiamo
tuttavia un regolamento che faccia obbligo ad una delle Biblioteche Nazionali
Centrali di conservare come
84
archivio la copia d'obbligo, con la conseguenza che, mentre ci affanniamo a
recuperare in antiquariato, ad alti costi, il prodotto del passato, distruggiamo
inesorabilmente la documentazione del futuro. Abbiamo diverse iniziative
catalografiche per manoscritti, incunaboli, stampe, ecc., ma manchiamo di un
repertorio che ci permetta di sapere dove si possa trovare la rivista scientifica
necessaria allo studioso di oggi.
In questa situazione qualsiasi investimento in beni librari rischia di essere
improduttivo, se non risponde a criteri di organicità e di programmazione. Tali
criteri devono essere al centro di tutte le iniziative che, a partire da domani,
dovranno essere poste all'ordine del giorno. L'alternativa è di continuare nello
sperpero di mezzi e uomini e la prospettiva quella della ulteriore emarginazione
di una parte del Paese, anche per quel che riguarda l'informazione e la cultura.
85
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
XXI Congresso - Perugia, 25-29 maggio 1971
Quello di Perugia fu per l’AIB un Congresso di grande rilievo e ricco di proposte
operative.
La vigilia della trasformazione istituzionale che avrebbe portato a compimento
l'ordinamento regionale previsto dalla Carta Costituzionale, creò un clima di attesa intorno
alle posizioni dell'Associazione.
La relazione del Consiglio Direttivo, «La politica per le biblioteche in Italia »,1 il
primo serio sforzo compiuto nel nostro Paese per la individuazione delle linee direttrici di un
sistema bibliotecario nazionale organico e diffuso sul territorio; la « Dichiarazione dei
bibliotecari italiani sui rapporti tra Stato e Regione in materia di biblioteche » e l'ordine del
giorno allora approvato, che riassumono i temi, le opzioni e le proposte fondamentali emerse
dai lavori congressuali, furono una risposta seria e per molti versi legata alle attese e alle
opportunità che il momento politico-istituzionale offriva alle ipotesi di (ri)fondazione del
nostro sistema bibliotecario.
L'A.I.B., uscita dalla trentennale tutela ministeriale, si muoveva ormai su un terreno
dì autonoma proposta politico-culturale. (n.d.c.r.).
Dichiarazione dei bibliotecari italiani sui rapporti
tra Stato e Regione in materia di Biblioteche
L'art. 171 della Costituzione conferisce alle Regioni la potestà legislativa
in materia di biblioteche degli Enti locali.
A distanza di oltre vent'anni questa espressione deve essere ripensata nel
senso che le biblioteche non possono più - se mai hanno potuto - essere
distinte in base al titolo di proprietà, ma solo in base ai compiti e alle funzioni, e
in un ambito dato tutte le Biblioteche, dello Stato e degli Enti Locali,
indipendentemente dalla ragione amministrativa, costituiscono insieme una
struttura complessa e polivalente a fini culturali e sociali.
Nell'occasione favorevole che l'attuazione delle Regioni ci offre per il
potenziamento dei nostri Istituti, noi bibliotecari vogliamo richiamare
l'attenzione del Ministero della Pubblica Istru-
____________________
I Cfr. I Congressi 1965-1975 dell'Associazione Italiana Biblioteche, a cura di
Diana La Gioia, Roma, A.I.B., 1977, pp. 184-193.
86
zione, delle Regioni e del Ministero del Bilancio e della Programmazione sui
problemi di fondo del nostro settore di attività e di intervento.
I
Noi riteniamo secondario ricercare se debba toccare alle Regioni o allo
Stato (o ad antrambi, come noi crediamo) occuparsi delle Biblioteche; è
primario che sia riconosciuta la necessità e l'urgenza di dare vita ad un vero e
proprio sistema bibliotecario nazionale, unitario e articolato, che:
c)assicuri a tutti i cittadini, su tutto il territorio, a tutti i livelli menti della
nostra cultura;
b)costituisca la necessaria struttura portante della ricerca scientifica e
degli alti studi;
c)assicuri a tutti i cittadini, su tutto il territorio, a tutti i livelli di cultura, la
possibilità di disporre di una attrezzatura culturale polivalente qual è
appunto la biblioteca pubblica-centro culturale.
Noi chiediamo che, poiché è necessario e urgente dotare il nostro paese di questa
impalcatura culturale fondamentale, la legge dello Stato e il programma sanciscano l'obbligo
di provvedervi.
II
Sebbene le biblioteche siano parte integrante dell'organizzazione
culturale e civile delle singole comunità, tuttavia esse costituiscono un tutto, un
sistema nazionale, e organizzano i loro servizi secondo principi scientifici e tecnici
che i bibliotecari elaborano in comune, non soltanto sul piano nazionale ma
addirittura sul piano internazionale.
Perciò, se è certamente compito delle Regioni elaborare i programmi di
sviluppo del servizio bibliotecario, è però necessario che ì programmi si
confrontino e si armonizzino sul piano nazionale, proprio in quanto tutte le
biblioteche, degli Enti locali e statali, devono coordinarsi e completarsi a
vicenda, su tutto il territorio.
Noi chiediamo che alla elaborazione dei programmi regionali di organizzazione e di
sviluppo del « Sistema Bibliotecario Nazionale » collaborino egualmente gli enti proprietari di
biblioteche: i Comuni, le Province, lo Stato, e che in nessuna istanza sia trascurato l'apporto
decisivo dei bibliotecari che già hanno elaborato, attraverso la loro associazione, gli standards
di organizzazione e di funzionamento dei loro istituti.
III
Una delle ragioni di fondo per cui il sistema bibliotecario nazionale tarda
a formarsi nel nostro Paese sicché noi siamo oggi
87
alla retroguardia in Europa, è certamente da ricercare nella grave condizione
finanziaria di molte province e comuni, una condizione che ha indotto spesso gli
organi di tutela a bloccare le iniziative prese da Enti locali consci dell'urgenza di
provvedere.
Sarebbe vano affermare l'obbligatorietà del servizio e postulare la
collaborazione dello Stato e degli Enti locali nella programmazione dello sviluppo,
se non fosse rimosso l'ostacolo di fondo della mancanza di finanziamenti.
Noi chiediamo che nel quadro del programma economico nazionale, un « Progetto sociale »
si riferisca alla attrezzatura culturale del paese e sulla base di esso sia costituito un « Fondo
nazionale per le biblioteche » da impiegare in base a singoli programmi di sviluppo regionali. Gli
standards elaborati dai bibliotecari offrono gli elementi per una valutazione sufficientemente
approssimata delle dimensioni dell'intervento.
IV
L'esigenza di una collaborazione programmatica e operativa tra lo Stato e le
Regioni risorge con evidenza dalla proposta istituzionale di un fondo nazionale per
le biblioteche.
Poiché il fondo deve essere finalizzato al raggiungimento di certi obiettivi
che si esprimono in standards minimi; poiché la realizzazione degli standards è
condizionata dalla possibilità di disporre di una consulenza tecnica altamente
qualificata; è desiderabile e necessario che - salva alle Regioni la prerogativa di
formare i programmi di sviluppo - siano riservati allo Stato alcuni compiti che,
senza contraddire alle esigenze dell'autonomia comunale provinciale e regionale,
rendano possibile un impiego proficuo delle risorse nazionali nell'interesse di tutta
la comunità nazionale.
Noi chiediamo che, istituito il fondo nazionale per le biblioteche, spetti alla competente
branca dell'aministrazione statale:
a) elaborare gli standards per la durata di un programma;
b)svolgere un'azione conoscitiva assumendo dalle Regioni e dagli altri enti locali le notizie
sugli « stati d'avanzamento » del progetto biblioteche;
e) assicurare alle Regioni e agli altri enti locali una consulenza tecnica di alto livello;
d)elaborare, allo scadere di ogni programma e consegnare al Ministero del Bilancio e della
Programmazione una relazione sui risultati conseguiti, sugli ostacoli incontrati, sui rimedi
possibili e sulle dimensioni da dare al successivo intervento.
V
Se un Progetto Biblioteche sarà accolto nel programma economico nazionale,
migliaia di comunità minori, nel giro di dieci
88
anni, conosceranno una condizione nuova di partecipazione culturale e di
nobiltà sociale mentre nelle sedi universitarie e nelle grandi città sarà possibile
imprimere un moto di rinnovamento alle biblioteche scientifiche.
A condizione tuttavia che si provveda parallelamente a preparare alcune
migliaia di bibliotecari-animatori culturali, di bibliotecari-documentalisti, di
bibliotecari-conservatori, degni - questi ultimi - della tradizione italiana, capaci gli altri - di adeguarsi ai livelli europei.
Noi chiediamo che siano istituiti, per la formazione dei bibliotecari, corsi di laurea e
istituti professionali di vario livello e che lo stato si riservi il compito di provvedere in materia
di esami e di qualifiche e per la difesa della nostra professione.
***
ORDINE DEL GIORNO
I bibliotecari italiani presenti al XXI Congresso dell'Associazione Italiana
Biblioteche tenutosi in Perugia dal 25 al 29 maggio 1971
udita
la relazione del Consiglio Direttivo dell'Associazione su La politica per le
Biblioteche in Italia;
riconosciuta
la necessità di tracciare le linee direttrici generali dell'azione da svolgere,
in un arco più o meno lungo di tempo, per adeguare il sistema biliotecario del
Paese alle concrete esigenze di conservazione del patrimonio e di
organizzazione e valorizzazione di esso ai fini dello sviluppo della cultura di
tutti i cittadini e della ricerca scientifica e tecnica, come previsto nella
Costituzione;
riconosciuto
che questo è il momento opportuno, considerata l'evoluzione in atto
degli ordinamenti amministrativi e culturali del Paese, per intervenire a
proporre una revisione delle strutture bibliotecarie esistenti;
ritengono che:
1) sia necessario programmare un graduale ripristino a più naturali
funzioni di interesse locale o settoriale di Istituti bi-
89
bliotecari, che non avendo caratteristiche e interessi di dimensione nazionale,
non devono essere gestiti direttamente dallo Stato, ma vanno affidati, invece:
a) alle Regioni le Biblioteche dette nazionali, le quali tale prerogative
avevano (anche se talvolta denominate diversamente) negli Stati preunitari, le
cui circoscrizioni geografiche e socioculturali coincidono, presso a poco, con
quelle delle attuali Regioni;
b) alle Università le Biblioteche centrali universitarie attualmente gestite
dalla Direzione generale delle Accademie e Biblioteche e per la diffusione della
cultura.
2) Sia necessario potenziare, invece, l'azione centrale dello Stato nei
confronti delle Biblioteche Nazionali Centrali di Firenze e di Roma, alle quali,
coordinate da una direzione collegiale unica e provviste di una certa autonomia
amministrativa, dovrebbero far capo anche tutti i servizi di dimensione
nazionale come quello della Bibliografia Nazionale Italiana, della
documentazione e informazione, dello spoglio dei periodici, degli scambi di
pubblicazioni, del Catalogo unico, ecc.; operando ove appaia opportuno, la
soppressione di strutture che ormai non hanno più ragione di vivere
autonomamente e che sarebbero da riunire a biblioteche maggiori, come ad
esempio a Roma la riunione alla Nazionale centrale di alcune bilioteche minori,
fatta salva, nella fusione, sia l'individualità dei fondi antichi trasferiti nella nuova
sede, sia la monumentalità degli storici vasi che dovrebbero restare intatti nelle
architetture e nel corredo librario, come depositi distaccati, nelle attuali sedi,
della Nazionale centrale stessa, serviti da uno o due impiegati, per la lettura in
sede o per il trasferimento quotidiano dei libri richiesti in lettura o in prestito
nella sede della Nazionale centrale.
3) Sia necessario conservare all'amministrazione centrale dello Stato la
funzione di tutela del patrimonio librario raro e di pregio, a chiunque
appartenga, mediante l'azione di Organi periferici, che possono identificarsi
nelle Soprintendenze bibliografiche.
4) Sia necessario affidare all'azione di impulso, coordinamento e
assistenza tecnica di quegli uffici anche le innumerevoli biblioteche, finora
abbandonate a se stesse, dipendenti da organi centrali e periferici dello Stato
affinché possano essere inserite nella programmazione regionale e nazionale di
sviluppo delle biblioteche in posizione di efficienza e di validità tecnica e
funzionale.
5) Sia necessario, ai fini della stessa programmazione regionale delle
biblioteche, da raccordare con la programmazione nazionale, affidare alle
Soprintendenze predette anche il compito, previa opportuna ristrutturazione di
esse e modifica delle loro attuali funzioni, di mantenere localmente rapporti di
carat-
90
tere tecnico tra Stato e Regione per quanto riguarda il servizio di biblioteche
pubbliche (di pubblica lettura), che fa capo principalmente alle biblioteche degli
Enti locali.
Rilevato
che dai risultati dei Gruppi di lavoro, che per lo Statuto sono vincolanti
per il Consiglio direttivo, non è emersa nessuna opposizione di principio alla
strategia generale delle proposte, ma piuttosto l'indicazione delle necessità di
approfondire e chiarire la problematica sollevata dalla relazione nei vari settori,
propongono
di accettare le linee direttrici espresse nella relazione, dando mandato al
Consiglio direttivo di invitare i Gruppi di lavoro ad iniziare l'approfondimento
e il chiarimento nei settori di competenza.
FRANCO BALBONI e altri
91
PROSPETTIVE
PER UN SISTEMA BIBLIOTECARIO ITALIANO
DOPO L'EMANAZIONE DELLA LEGGE DELEGATA
FRANCO BALBONI - OLGA MARINELLI
A Perugia, in un momento ancora estremamente incerto e problematico,
ritenevamo che fosse essenziale, «per una giusta impostazione della politica
bibliotecaria italiana, un rovesciamento dei termini delle competenze che lo
Stato esercita oggi », e vedevamo nel decentramento regionale l'occasione
opportuna per riproporre un discorso globale di riforma.
Oggi, a un anno di distanza, molte posizioni si sono precisate, molte
incertezze superate, molti dubbi chiariti. il trasferimento delle funzioni
amministrative, già esercitate dall'Amministrazione centrale, è avvenuto con
D.P.R. n. 3 del 14 gennaio 1972 e le Regioni hanno cominciato a esercitarle dal
lo aprile di quest'anno. Il problema adesso è, semmai, quello di dare una giusta
interpretazione e una corretta applicazione alle norme contenute nel decreto
che, in verità, non riusciamo a considerare un modello di chiarezza. i colleghi
certamente ne conoscono il testo, largamente diffuso in molte sedi: tenteremo
anche noi di precisarne il contenuto, anche se, con il trasferimento delle
Soprintendenze e del relativo personale, ci sembra fuori discussione il fatto che,
intanto, debbano intendersi trasferite tutte le funzioni già esercitate da questi
uffici.
L'iter, abbastanza travagliato, di questo decreto inizia nel giugno 1971,
quando cioè un primo schema di decreto fu trasmesso alle Regioni a statuto
ordinario, che entro i due mesi successivi elaborarono ed approvarono, nei
rispettivi Consigli, le loro osservazioni, tutte fortemente critiche nei confronti
di quello schema: esso in realtà si presentava in forma semplicistica e perfino
scorretta, ma soprattutto riduttiva delle competenze che la Costituzione
attribuisce all'Ente Regione. Basti pensare che tale schema (il quale, è bene
ricordarlo, riguarda anche l'assistenza scolastica e i musei) dedicava alle biblioteche due striminziti articoli, con i quali si trasferivano funzioni mai esercitate
dallo Stato, oppure si definiva il concetto di «coordinamento dell'attività dei
musei e delle biblioteche
________________
Relazione del Consiglio direttivo al XXII Congresso - Maratea, 28 maggio-1
giugno 1972.
1 La politica per le biblioteche in Italia. Relazione del Consiglio direttivo al XXI
Congresso, Perugia, 1971 (Relatore G. de Gregori).
92
di Enti locali » unicamente « in relazione alle esigenze del turismo » (sìc!).
All'art. 4, poi, incredibilmente si escludeva il ricorso alla delega delle
funzioni residue previste dal'art. 118 della Costituzione e dall'art. 17 della legge
16 marzo 1970, n. 281. Nella relazione introduttiva allo stesso schema si
trovava inoltre l'affermazione che « le funzioni amministrative inerenti alla
conservazione, integrità, sicurezza, riproduzione e godimento pubblico »
dovessero essere oggetto di delega delle sole funzioni amministrative e non già,
come concordemente affermato nelle osservazioni dei Consigli regionali,
costituire la normale attività del servizio bibliotecario e rientrare, quindi, a pieno
titolo negli articoli 117 e 9 della Costituzione.
Le osservazioni delle Regioni furono in seguito vagliate, discusse e
sostanzialmente recepite dalla Commissione parlamentare per le questioni
regionali. Sul parere espresso da questa Commissione vale la pena di
soffermarsi, perché in esso s; trovano chiare formulazioni che possono fornire
una chiave interpretativa dello stesso decreto delegato e che autorevolmente
confortano le opinioni da noi espresse a Perugia e in molte altre occasioni. « Le
due materie - si legge nel documento contemplate nello schema, e in particolare
l'assistenza scolastica, sono considerate esclusivamente nelle loro connessioni
con il Ministero della pubblica istruzione, senza tener conto della complessità
delle interferenze proprie di altri Ministeri anche per le attribuzioni dagli stessi
esercitate sui numerosi enti storicamente germinati in situazioni diverse, i quali
hanno creato una sovrapposizione di compiti dispersiva e rallentatrice
impedendo obbiettivamente ordinati e organici programmi di sviluppo ». E più
oltre: « Per la chiara attinenza al concetto di biblioteche di enti locali, la
Commissione suggerisce che le funzioni e i compiti dello Stato relativi ai «
Centri sociali di educazione permanente », già « Centri dì lettura », istituiti con
legge 326/1953; delle « Biblioteche popolari e scolastiche » (legge 1521/1917 e
T.U. delle leggi sulla finanza locale); dei « Centri di servizi culturali del
Mezzogiorno (FORMEZ) » (legge 717/1965); del « Servizio nazionale di lettura
»; delle « Biblioteche del contadino » nelle zone di riforma (circolare 2 aprile
1955, n. 20019 del Ministero dell'Agricoltura e foreste) vengano delegati alle
Regioni ex art. 118, secondo comma ».
Queste argomentazioni della Commissione sostanzialmente coincidono
con quelle che l’AIB aveva concretato in un documento presentato a suo
tempo in sede parlamentare. I bibliotecari conoscono bene il variopinto
panorama d'iniziative che, nel campo dell'organizzazione bibliotecaria, si sono
moltiplicate senza nessun coordinamento: non è insomma difficile dimostrare
che, in un secolo di amministrazione centralizzata, lo Stato non ha
93
saputo pianificare la propria attività, neppure nell'ambito di uno stesso
ministero. Analizzeremo più oltre questi aspetti della « disorganizzazione
bibliotecaria italiana »: ci limitiamo, ora, a manifestare la nostra preoccupazione
per le resistenze che certi ambienti burocratici o certi centri di potere pubblici
(o semi-pubblici) oppongono ad una reale e democratica riforma dello Stato.
I compiti finora assolti dall'Ente nazionale per le biblioteche popolari e
scolastiche, ad esempio, sono tutti ormai di competenza delle Regioni per
quanto riguarda non solo le biblioteche, ma anche l'istruzione professionale e
l'assistenza scolastica. « L'Ente - si legge infatti nello Statuto - ha lo scopo di
promuovere ed incoraggiare, nell'interesse della collettività, lo sviluppo e la
costituzione di biblioteche di ogni tipo, favorendone la rispondenza alle varie
esigenze della cultura. A tale fine l'Ente assume anche la gestione di servizi
dello Stato che gli vengano demandati dall'autorità governativa ». Non si
comprende davvero perché questa « libera associazione di biblioteche » (come è
stato definito l'Ente) continui a svolgere la sua attività e perché l'autorità
governativa continui a « demandare » la gestione di servizi che lo Stato non
deve più esercitare. Eppure, in uno degli ultimi numeri de « La parola e il libro
», se ne rilancia l'attività e si va offrendo, a destra e a sinistra, una
collaborazione che non può, evidentemente, essere accettata, tanto più che
l'Ente, per un'attività che non è più di sua competenza, dispone di un bilancio
di oltre due miliardi, mentre alle quindici Regioni a statuto ordinario, per
svolgere i compiti loro assegnati dalla Costituzione, sono stati trasferiti
solamente 800 milioni del bilancio dello Stato!
Il decreto delegato nella sua formulazione definitiva è, come abbiamo
detto, piuttosto ambiguo, impreciso e presta il fianco a interpretazioni
discutibili. Innanzitutto si danno soluzioni diverse per musei, biblioteche e
archivi storici e non vi è il minimo cenno ad altre istituzioni di carattere locale accademie, deputazioni di storia patria ecc. -, che nel loro insieme sono tipiche
espressioni delle tradizioni culturali locali; regimi diversi, quindi, per la gestione
e la tutela del patrimonio culturale che renderanno in pratica assai difficile e
complessa una efficace programmazione d'interventi in tutto il settore dei
cosiddetti « beni culturali ».
Nel decreto, poi, s'introduce il concetto « di interesse locale »,
estendendo la portata del dettato costituzionale che, all'artic. 117, parla soltanto
di musei e di biblioteche di Enti locali. E' questo un problema giuridico che
non spetta a noi risolvere. Crediamo però che se una legge ordinaria, fissando e
precisando il contenuto di una norma costituzionale in qualche modo la
interpreta, abbia voluto comprendere un « settore organico di materia »
prescindendo dalla ragione giuridica di appartenenza; è
94
stato, del resto, da più parti osservato che nello stesso art. 117 della
Costituzione, solo per quanto riguarda i musei e le biblioteche, si trasferiscono
istituti e non materie.
Che cosa debba intendersi per biblioteca di Ente locale è noto a tutti, in
quanto anche se la biblioteca per sua natura è riferita a un territorio statale,
regionale, provinciale, comunale, trovandosi necessariamente sui territori di tali
enti pubblici, più esattamente la terminologia si riferisce all'ente proprietario, in
base al criterio di appartenenza. E' piuttosto l'espressione « di interesse locale »
che suscita qualche perplessità anche nei giuristi, per l'interpretazione quanto
mai elastica che di essa si può dare. Si potrebbe infatti discutere all'infinito sugli
elementi caratterizzanti l'interesse locale; ma a noi pare che almeno due lo siano
in maniera determinante: il carattere del materiale librario e il servizio riservato
ai membri di una comunità locale.
E' fuori dubbio che tutte le istituzioni culturali, sia per la formazione del
loro patrimonio sia per il pubblico al quale si rivolgono, estendono quasi
sempre la loro azione al di là dei limiti strettamente territoriali: è altrettanto
vero però che si possa, nella maggior parte dei casi, individuare facilmente una «
prevalenza » dell'interesse locale, o viceversa, nazionale. Le due Biblioteche
Nazionali di Roma e Firenze, ad esempio, benché oberate da funzioni
d'interesse locale (conseguenza del ritardato sviluppo di un sistema di pubblica
lettura), svolgono prevalentemente - e dovranno sempre di più in futuro concentrare la loro attività in questa direzione - compiti d'interesse nazionale e
internazionale; altre Biblioteche, come le statali di Lucca, Cremona ecc. e le
stesse così dette Nazionali, hanno al contrario una sfera di attività «
prevalentemente » locale.
Del resto nella stessa relazione premessa al decreto si legge che l'art. 7 « è
stato integrato in relazione alle richieste delle Regioni le quali hanno riaffermato
la globalità del trasferimento per effetto della quale dovrebbero comprendervisi
le attività svolte nel settore da tutti gli enti operanti localmente, intendendosi la
dizione « enti locali » della Costituzione non riferita ai soli enti locali terrioriali
».
Le Regioni, da parte loro, hanno portato l'accento sulla strana situazione
del nostro Paese, in cui lo Stato gestisce direttamente un numero enorme di
biblioteche e hanno fatto propria la tesi, che l'AIB aveva proposto a Perugia,
sulla opportunità che allo Stato siano affidati solo i due Istituti di dimensione
nazionale e quelli altamente specializzati, mentre hanno ribadito la necessità che
passino alle Regioni le Biblioteche che per la storia e la loro significativa
funzione pubblica, sono intimamente legate alla storia politica e culturale, alle
tradizioni dei territori che coincidono con quelli delle attuali province e regioni.
95
L'art. 7 del decreto delegato trasferisce dunque « le funzioni
amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di musei e
biblioteche di enti locali » comprendenti tutte le attività finora esercitate
dall'Amministrazione statale in questo settore, e non soltanto quelle contenute
a titolo esemplificativo nel secondo comma dello stesso articolo, in cui si
menzionano le « biblioteche popolari » e i « centri di pubblica lettura » istituti o
gestiti da enti locali.
Ci è sembrata pertanto arbitraria e unilaterale la circolare inviata in data
28 marzo 1972 dalla Direzione generale ai Soprintendenti, nella quale
esplicitamente s'intende escluso dal trasferimento il Servizio nazionale di lettura
perché - vi si afferma - non espressamente menzionato tra le materie trasferite
o delegate. La posizione del Ministero espressa nella circolare è insostenibile: il
Servizio nazionale di lettura, pur non essendo menzionato (ma non era
necessario che lo fosse), è compreso senza possibilità di dubbio nella
disposizione generale dell'art. 7, perché si tratta di « sistemi bibliotecari » gestiti
dagli enti locali.
« Il Servizio nazionale di lettura non è un servizio nazionalizzato - sono
parole dello stesso Direttore generale delle Accademie e Biblioteche prof.
Accardo -: non vogliamo nazionalizzare il Servizio di lettura; esso è nazionale
nel senso che riguarda tutto il paese, tutta la nazione; ma l'intervento della
Direzione generale, dell'Amministrazione statale ha solo questo significato, di
concorrere nei limiti del possibile ad eliminare gli ostacoli che rendono
impossibile l'operare delle amministrazioni degli enti locali. A questo punto
conviene che si sottolinei la considerazione di queste amministrazioni, non
come di uffici decentrati dell'Amministrazione statale, ma come dell'espressione
prima della comunità territoriale, e quindi investita di un mandato che riguarda
tutte le competenze possibili della comunità territoriale, comprese quelle della
iniziativa culturale »2.
Condividiamo queste affermazioni; ma non altrettanto possiamo dire di
quella circolare, che esprime la volontà di riservare alla gestione diretta del
Ministero funzioni trasferite, con conseguenze molto gravi sulla effettiva
possibilità di giungere a una proficua collaborazione tra Stato e Regione.
Neppure i Centri di lettura sono indicati nel decreto delegato, ma
anch'essi erano affidati alla vigilanza delle Soprintendenze bibliografiche con la
legge n. 326 del 16 aprile 1953 richiamata da una circolare ministeriale. A noi
sembra inoltre che chiaramente gli istituti di cui si è fatto cenno debbano e
possano essere inclusi nelle biblioteche di interesse locale, se ricono_____________
2 Atti del Convegno nazionale «Biblioteche per ogni Comune». Bologna, 1969.
In: « La parola e il libro », LII (1969), pp. 276-77.
96
sciamo validi almeno i due elementi caratterizzanti già ricordati. Il passaggio,
quindi, di tali istituti alle Regioni non dovrebbe più essere un auspicio, ma una
realtà. E non solo di questi ma, insieme, delle biblioteche scolastiche e delle
numerose altre istituzioni sorte da iniziative dei più svariati enti, spesso in
contrasto e in concorrenza fra loro con grave danno della tanto auspicata
politica di organizzazione culturale unitaria e con grave dispendio di denaro.
Facciamo parlare innanzitutto le cifre: la somma destinata ai Centri di
lettura, per il 1971, supera certamente il miliardo; lo schema di i progetto per la
istituzione delle biblioteche del contadino prevedeva lo stanziamento iniziale di un
miliardo di lire, somma che è stata certamente spesa anche se con scarso o
nessun successo; in quale misura la Presidenza del Consiglio abbia continuato la
sua attività non ci è noto, ma non risulta d'altra parte che l'iniziativa sia stata
accantonata. Per i centri di servizi culturali del FORMEZ nel 1967 furono
stanziati 10 milioni per ogni centro; 20 milioni nel 1968 e 23 nel 1969. Poiché
in quell'anno i centri erano complessivamente 60, di cui 15 nelle grandi città e
45 nelle città medie e :Piccole, la spesa si aggira sul miliardo e mezzo.
Cifre, dunque, molto considerevoli, che potrebbero anche far credere
che in Italia il problema della pubblica lettura sia fortemente sentito: in realtà
esse denunciano una situazione caotica, dispersiva, un'assurda concorrenza
d'iniziative che va a tutto detrimento di quello che dovrebbe essere il sistema
bibliotecario di un paese civile.
Chi doveva provvedere alla costituzione delle biblioteche del
contadino? L’ ufficio del libro e dell'editoria della Presidenza del Consiglio;
mentre un rappresentante del Ministero della P.I. avrebbe fatto parte della
Commissione insieme a un rappresentante per ciascuno degli Enti di riforma, a
un rappresentante per la Cassa del Mezzogiorno e a uno dell'E.N.B.P.S. Qual è
lo scopo fondamentale dei centri di servizi culturali della Cassa del
Mezzogiorno? Quello del « servizio di pubblica lettura », e pare dovesse essere
il compito precipuo della Direzione generale delle Accademie e Biblioteche.
Un discorso a parte richiedono le biblioteche scolastiche. Più volte nei
nostri convegni è stato toccato questo argomento e sempre è stata ribadita
l'inefficienza di tali istituti, nonostante le considerevoli elargizioni di fondi.
Definite nel r.d. 1 aprile 1909, n. 223 come « biblioteche speciali governative
non aperte al pubblico”, non sembra possano essere incluse tra gli istituti sui
quali la Regione è chiamata a legiferare, perché mancano sia la ragione giuridica
di appartenenza sia la funzione di servizio pubblico, aperto cioè a tutti i membri
di una comunità locale. Ma è altrettanto vero che la definizione risale a
97
una legge lontanissima, quando non era neppure pensabile una scuola come
centro culturale della comunità: un aspetto nuovo che va sempre più
affermandosi e ha già provocato alcune esperienze. La scuola intesa come
centro culturale di una comunità non è pensabile senza la biblioteca, la quale
dovrà essere però aperta a tutti, direttamente collegata alla biblioteca pubblica
e inserita nel sistema bibliotecario regionale. Direttamente collegata con la
biblioteca pubblica per un piano organico di acquisti e per l'organizzazione
tecnica: non dovrà più essere l'insegnante volenteroso o il più giovane, che
magari cambia ogni anno, a interessarsi delle biblioteche scolastiche, ma
personale fisso e preparato.
Queste rapide esemplificazioni vogliono soltanto ribadire che purtroppo
fino a oggi è effettivamente mancata una funzione di coordinamento e di
programmazione unitaria. Programmazione che dovrà esser svolta in seno alle
Regioni, ma solo se si eviteranno pericolose duplicazioni di funzioni che
nuocerebbero soprattutta agli utenti e solo se si vorrà effettivamente « aiutare le
Regioni ».
Le quali hanno ormai elaborato e presentato ai vari Consigli la proposta
di legge di competenza, avente naturalmente carattere di provvisorietà in
quanto i tempi brevi dall'emanazione dei decreti delegati alla stesura della
proposta di legge non hanno consentito il necessario periodo di riflessione. E'
in questo periodo che a noi pare debba inserirsi l'azione dei bibliotecari italiani,
quindi dell'Associazione, affinché nella fase di attesa della regolamentazione
definitiva delle competenze regionali si ottenga che vengano eliminate
duplicazioni di funzioni e di compiti da parte dello Stato e della Regione; che a
quest'ultima non siano affidati solo aspetti parziali della funzione delle
biblioteche pubbliche; che sia la Regione a provvedere alla formazione del
personale delle biblioteche a livello della carriera di concetto servendosi in una
prima fase, là dove è possibile, di strutture già esistenti, in attesa della
costituzione di scuole professionali di competenza appunto della Regione.
L'incontro avuto lo scorso anno a Perugia con gli Assessori regionali ci
autorizza a credere che i suggerimenti dell'AIB saranno valutati e accolti.
Quell'incontro fu definito dagli Assessori regionali « un'occasione felice e
rilevantissima », e in esso si delinearono convergenze di vedute e un'aperta,
reciproca disponibilità. Un'azione concorde potrà portare all'attuazione di
quelle aspettative che i decreti delegati hanno in parte deluso. Del resto la legge
1044 del 6 dicembre 1971 sul Piano quinquennale per l'istituzione di asili-nido
comunali con il concorso dello Stato potrebbe dare alcuni utili suggerimenti per
l'azione che l’ AIB dovrebbe svolgere. Secondo la legge citata lo Stato diviene
solo erogatore di fondi, mentre le Regioni, nel pieno
98
rispetto delle autonomie locali, fissano con proprie norme legislative i criteri
generali per la costruzione, la gestione e il controllo degli asili-nido.
E' assurdo tentare di propugnare su quella base l'emanazione di una
legge per le biblioteche pubbliche?
Allo Stato spetta la funzione di coordinamento in campo nazionale, allo
scopo di armonizzare i fini delle singole politiche regionali con quelli della
politica nazionale. E' proprio nel riconoscimento di tale funzione che più ci si
rammarica dell'assurda formulazione dell'art. 8 del titolo II, per cui ben cinque
Regioni (Basilicata, Calabria, Marche, Molise e Umbria), che fino a ieri
rientravano nella competenza di una Soprintendenza interregionale, vengano a
esserne del tutto prive, mentre nelle Regioni a statuto speciale operano le
Soprintendenze statali. Il Direttore generale prof. Accardo ha recentemente
denunciato l'abnorme situazione che si è determinata, auspicando che una
soluzione venga trovata nella medesima sede nella quale sono stati decisi i
decreti delegati. E' anche probabile che siano le Regioni stesse a trovarla, ma
non sarà possibile evitare uno squilibrio - che potrebbe anche tradursi in
qualche caso in un vantaggio - tra le varie Regioni e di conseguenza nella
fisionomia del servizio bibliotecario italiano, che volutamente abbiamo sempre
chiamato sistema.
Parallelamente altre iniziative condotte dal Governo centrale non hanno
certo contribuito a risolvere quello che consideriamo il problema centrale: la
definizione, cioè, chiara e univoca delle funzioni di effettivo interesse e
dimensioni nazionali e locali (ai vari livelli territoriali) e degli organismi e istituti
di programmazione e gestione. Né, infatti, lo schema di D.P.R. per il
riordinamento del Ministero della P.I., né il progetto della Commissione
Papaldo, né il piano Giolitti hanno, sia pure nella varietà delle formulazioni
talvolta addirittura inconciliabili fra loro (pur provenendo da un'unica fonte, il
Governo), tenuto nel debito conto la nuova realtà amministrativa del Paese.
Tutti questi documenti, elaborati in realtà da organismi non sufficientemente
rappresentativi, rivelano una tenace quanto assurda difesa di certe prerogative
centralistiche che non esistono in altri Paesi ben più avanzati del nostro, dove,
pur nelle differenze degli ordinamenti costituzionali e amministrativi, si è da
tempo dato ampio spazio alle autonomie locali raggiungendo un elevato livello
di efficienza.
Altrettanto non possiamo dire dell'attuale « sistema » bibliotecario
italiano perché, semplicemente, non è un sistema. « Ci si sarebbe aspettato un
sistema molto minuzioso di cooperazione tra le biblioteche italiane, che hanno
un così alto grado
99
di centralizzazione », osserva giustamente Humphreys in un suo recente
articolo 3.
Compito di un'associazione professionale come la nostra è quello di
elaborare e proporre soluzioni valide di riforma: la linea è già tracciata e, sia
pure tra difficoltà e resistenze, si va facendo strada. In un interessante
documento, reso noto in questi giorni, la Regione Toscana propone un modello
organizzativo per una nuova amministrazione dei beni culturali e naturali che,
per quel che riguarda il nostro settore, concorda pienamente con le tesi
dell'AIB.
Dicevamo all'inizio che non dobbiamo perdere l'occasione della riforma
dello Stato. in atto, per riproporre un serio e responsabile esame della
situazione. Occorre innanzitutto definire con chiarezza i compiti e le funzioni
delle biblioteche nel nostro Paese: proponiamo quindi all'attenzione e alla
discussione una linea di riforma del sistema bibliotecario italiano che si fondi
sul presupposto che a livello nazionale le funzioni di indirizzo e coordinamento
sul piano scientifico e tecnico siano svolte dagli istituti di effettivo carattere
nazionale, cioè dalle due Biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze,
opportunamente collegate fra loro e finalmente liberate dai compiti pesanti che
sono costrette ad assolvere; dal Centro nazionale per il catalogo unico e le
informazioni bibliografiche e, per la ricerca e la tecnica del restauro, dall'Istituto
di patologia del libro e dal costituendo Centro per il restauro del libro di
Firenze. L'ordinato sviluppo di un sistema nazionale di pubblica lettura dovrà
essere basato su sistemi regionali, promosso e gestito dagli Enti locali ai vari
livelli territoriali, nel rispetto delle autonomie garantite dalla Costituzione. In
tale prospettiva andranno ricondotte ad unità, tagliando ì rami secchi, tutte
quelle iniziative ricordate nel corso della nostra esposizione, che al presente
sono motivo di confusione e costituiscono costose duplicazioni.
L'attuale struttura organizzativa dell'AIB, articolata in gruppi di lavoro, ci
consentirà di approfondire i temi proposti e di giungere rapidamente alla
formulazione di concrete indicazioni, da portare avanti nelle sedi opportune.
____________________
3 K. W. HUMPHREYS, Le biblioteche in Italia: impressioni personali. In: « AIB.
Bollettino d'informazioni », N. S. XI, 1971, p. 94.
100
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
APPUNTI E PRINCIPI PER LA FORMULAZIONE DELLA
LEGGE QUADRO RELATIVA ALLE COMPETENZE
TRASFERITE E DELEGATE ALLE REGIONI IN MATERIA
DI BIBLIOTECHE DI ENTI LOCALI E DI
INTERESSE LOCALE
a cura di ALBERTO GUARINO
L'Associazione Italiana Biblioteche ritiene che l'articolato della Legge
Quadro debba comprendere due parti: la prima parte dedicata alle competenze
trasferite alle Regioni, la seconda parte alle competenze delegate alle regioni.
PARTE I
Una premessa sembra necessaria per definire le caratteristiche delle
Biblioteche soggette alla competenza delle Regioni perché, accanto al precetto
costituzionale, che era esclusivamente fondato sul concetto di proprietà, «
Biblioteche di Enti Locali », in occasione dell'emanazione delle Leggi Delegate,
il legislatore ha aggiunto la specificazione di « interesse locale » inserendo così,
molto opportunamente, anche il concetto di funzioni. Ed organizzare il
complesso bibliotecario in base alle funzioni piuttosto che in base alle varie
proprietà è la giusta linea di sviluppo bibliotecario del Paese, che deve
esprimersi in un disegno globale e deve reggersi su servizi di carattere nazionale
(di competenza dell'Amministrazione centrale dello Stato) e su servizi a
carattere locale (di competenza dell'Amministrazione regionale). Questi ultimi
sono i servizi di « pubblica lettura » organizzati dalle Biblioteche Pubbliche già,
nella quasi totalità, di proprietà di Enti Locali. Il concetto di « interesse locale »
-e pertanto rientrante nell'ambito delle competenze regionali - va applicato alle
Biblioteche Pubbliche non di proprietà di Enti Locali - caso estremamente raro
e a quelle biblioteche che, indipendentemente dalla proprietà siano aperte al
pubblico in modo regolare e abbiano tra le loro collezioni, anche se di carattere
generale, fondi che siano in prevalenza espressione della cultura locale, intesa in
senso lato, oppure biblioteche la cui specializzazione sia strettamente legata a
soggetti locali.
Sembra anche ipotizzabile la formulazione di un elenco regionale delle
biblioteche di « interesse locale ».
__________________
XXV Congresso - Alassio, 5-10 maggio 1975
101
I/B)
E' necessario fissare le caratteristiche dell'Ufficio regionale che deve
soprintendere alle competenze trasferite e delegate e stabilire il principio della
dipendenza della materia da un unico Assessorato. Da questo unico
Assessorato, attraverso un apposito Ufficio (Soprintendenza) devono
dipendere tutte le attività bibliotecarie che comunque siano di competenza della
Regione, ivi comprese le Biblioteche che dovessero formarsi all'interno
dell'Amministrazione Regionale stessa. Il personale tecnico addetto a questo
Ufficio, sia a livello di diplomato sia a livello di laureato, deve essere assunto
attraverso pubblico concorso specialistico o attraverso eventuali trasferimenti
di personale che sia già nei ruoli tecnici specifici delle Biblioteche dipendenti
dall'Amministrazione Centrale dello Stato o da Enti Locali e svolga mansioni
analoghe da almeno 5 anni.
L'identica norma vale nel caso che la Regione assegni alle
Amministrazioni Provinciali particolari compiti nel settore: e cioè anche le
Amministrazioni Provinciali dovranno costituire un apposito Ufficio retto da
personale tecnico qualificato ed assunto con le modalità sovracitate. E' pure
necessario affermare il principio che le attività tecniche di ufficio che possono
essere espletate dal personale regionale o provinciale non possono formare
oggetto di incarico a soggetti estranei alle Amministrazioni stesse.
I/C)
Le Regioni debbono emanare una Legge in materia di Biblioteche di Enti
Locali o di interesse locale entro un anno dalla pubblicazione della Legge
Quadro.
Detta Legge dovrà prevedere:
a) le condizioni minime di funzionamento ed i servizi che sono da
richiedere alle singole biblioteche ed ai singoli sistemi bibliotecari;
b) i mezzi di finanziamento che debbono essere forniti dai Comuni e
dalle Province osservando che detti finanziamenti, sia per il personale sia per
l'incremento patrimoniale, sono da iscrivere, nei Bilanci, tra le spese
obbligatorie e di funzionamento;
c) le norme per l'inquadramento delle biblioteche nel sistema
amministrativo degli Enti Locali;
d) le modalità di nomina del personale, il relativo stato giuridico ed il
trattamento economico, che dovranno avere, rispettivamente per gli assistenti
di biblioteca e per i bibliotecari, lo stesso sviluppo, fino al massimo livello,
previsto per le car-
102
riere dei diplomati e dei laureati dello stesso Ente, considerate le dimensioni
delle biblioteche e la complessità dei servizi;
e) le condizioni alle quali è subordinato l'intervento finanziario
integrativo da parte della Regione, che per le Biblioteche di interesse locale non
potrà essere complessivamente superiore al 2% della somma stanziata a
bilancio per i contributi alle Biblioteche di Enti Locali.
Solo le Regioni che avranno emanato la legge regionale sulle biblioteche
potranno partecipare alla ripartizione dei fondi previsti dal Piano annuale di
intervento, di cui al successivo I/D.
I/D)
Nello spirito di un equilibrato sviluppo delle Biblioteche di Enti Locali e
di interesse locale in tutto il territorio della Repubblica debbono essere previsti
contributi finanziari a carico del Bilancio dello Stato.
Un Piano annuale d'intervento sulla base delle richieste documentate
delle Regioni è predisposto dall'Amministrazione centrale dello Stato a mezzo
d'una apposita Commissione.
I contributi alle Regioni non potranno superare la somma stanziata nel
bilancio di ogni singola Regione a favore delle Biblioteche.
Il Ministero dei Beni Culturali verifica gli adempimenti previsti dal
presente articolo.
Nel primo quinquennio saranno privilegiate le richieste d'interventi
nell'ambito dell'edilizia bibliotecaria.
Il fondo stanziato annualmente nel bilancio dello Stato a tale scopo non
dovrà essere inferiore, per il primo decennio, ai 2/3 del prezzo d'acquisto di un
giornale quotidiano, moltiplicato per il numero degli abitanti della Repubblica.
Detto fondo servirà pure a finanziare sia i lavori della citata
Commissione (riunioni e visita per la verifica dei programmi) sia quelli relativi ai
controlli, previsti sull'applicazione delle Leggi Delegate, di cui alla Il parte della
presente Legge,
I/E)
Anche il problema della preparazione professionale deve trovare spazio
nell'articolato in questione. In particolare prevedere:
a) alle Regioni l'istituzione dei corsi di formazione professionali « di base
» per assistenti di biblioteca, su un programma formulato dalla
Amministrazione centrale dello Stato. Riconoscimento da parte dello Stato del
titolo rilasciato dalle Regioni;
103
b) all'Università corsi di laurea per la preparazione dei bibliotecari e
scuole di specializzazione post lauream, che siano integrati da periodi di
tirocinio presso biblioteche indicate in apposito elenco;
c) alle Regioni l'organizzazione di corsi di specializzazione e
aggiornamento per assistenti di biblioteca e bibliotecari in servizio nelle
Biblioteche Pubbliche.
Scontata l'istituzione dell'Elenco degli abilitati alla professione di
bibliotecari e di assistenti di biblioteca, l'appartenenza all'elenco sia condizione
indispensabile per partecipare a concorsi o assumere incarichi nell'ambito di
qualsiasi tipo di biblioteca o uffici interessati alla materia, compresi quelli degli
Assessorati regionali e provinciali.
PARTE II
II/A)
Le funzioni delegate dallo Stato alle Regioni dovranno essere svolte
nell'ambito delle leggi vigenti o che verranno successivamente emanate in
materia.
Al fine dell'omogeneo sviluppo nazionale del settore, l'Amministrazione
Centrale dello Stato verificherà periodicamente l'attività svolta nella materia da
parte dell'Ufficio regionale, la cui composizione e livello tecnico specialistico è
determinata nella Parte I (I/B).
Ogni Regione dovrà annualmente inviare all'Amministrazione Centrale
dello Stato un rapporto sull'attività svolta nel settore delle deleghe.
Se gravi ragioni di inadempienza o di inattività dovessero risultare a
carico di una Regione, l'Amministrazione Centrale dispone la revoca
temporanea delle deleghe (Decreto Presidente della Repubblica, 14 gennaio
1972, n. 3 art. 9).
II/B)
Al fine di garantire sicuri punti di riferimento nell'ambito del restauro,
entro un anno dalla presente Legge, verrà istituito a cura e presso l'Istituto di
Patologia del Libro, l'Elenco nazionale dei restauratori: i soli abilitati, nella
Repubblica, a svolgere lavori nel confronto di materiale previsto dalle vigenti o
future leggi in proposito.
II/C)
Ogni disposizione contraria alla presente Legge è da considerarsi
decaduta.
104
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
SCHEMA DI UNA LEGGE RIORGANIZZATIVA
DELLE BIBLIOTECHE
TITOLO I: SISTEMA BIBLIOTECARIO NAZIONALE.
Art. 1. - Il servizio bibliotecario nazionale ha per fine di fornire a tutti i
cittadini, sia adulti che ragazzi, i libri e documenti, l'informazione e l'assistenza
di cui abbiano bisogno, a qualsiasi livello di ricerca, per le esigenze inerenti alla
loro attività di carattere politico, economico, professionale, scientifico,
scolastico, sociale o culturale, attraverso l'unità locale di servizio. Questa, ove
non possa soddisfare le richieste direttamente con i suoi mezzi, vi provvede
richiedendo in prestito o le copie dei libri o documenti desiderati a quella tra le
biblioteche che costituiscono il sistema bibliotecario nazionale che ne sia in
possesso.
Art. 2. - Al fine di assicurare a tutti i cittadini, adulti, e ragazzi, ovunque
risiedano, l'accesso a tutte le informazioni di cui abbiano bisogno, è
obbligatoria l'istituzione di un servizio di biblioteca pubblica in ogni Comune e
località del territorio nazionale. Tale servizio deve essere fornito alle migliori
condizioni, secondo gli standards stabiliti per legge, e gratuitamente, salvo le
spese postali per i prestiti tra le biblioteche e le riproduzioni fotografiche.
Art. 3. - Il sistema bibliotecario nazionale è costituito dalle seguenti
Biblioteche: a) Biblioteca Nazionale Centrale; b) Biblioteche Nazionali Speciali;
c) Biblioteche Speciali (di Ministeri, Enti Statali o pubblici, Accademie, Istituti
Scientifici); d) Biblioteche Universitarie; e) Biblioteche Pubbliche; f) Biblioteche
Scolastiche.
Possono, inoltre, entrare a far parte del Sistema Bibliotecario Nazionale
le biblioteche di Fondazioni od Associazioni che ne facciano domanda ed,
avendo i requisiti prescritti dalla legge, siano riconosciute biblioteche di
pubblico interesse.
Lo Stato con leggi o decreti aventi valore di legge promuoverà e favorirà
tra tutte le suddette biblioteche, in funzione dei bisogni e con una funzionale
divisione di compiti e responsabilità, una cooperazione permanente, in
particolare per quanto riguarda:
a) la Bibliografia Nazionale, il Catalogo Unico delle Bi-
_________________
XX Congresso - Alassio, 5-10 maggio 1975.
Per la relazione allo schema di legge - relatore Alberto Guarino -cfr. I Congressi
1965-1975 dell'Associazione Italiana Biblioteche cit., pp. 254-263.
105
blioteche Italiane e l'informazione bibliografica;
b) l'organizzazione della schedatura nazionale centrale e
di altri servizi tecnici, che possano essere centralizzati a livello nazionale o
regionale;
c) l'elaborazione dei dati bibliografici;
d) l'acquisto cooperativo delle pubblicazioni straniere;
e) il prestito di libri e periodici tra biblioteche;
f) la fornitura di riproduzioni fotografiche a condizioni favorevoli per
gli utenti;
g) lo scambio di pubblicazioni;
h) la conservazione ed il restauro, con la istituzione di depositi centrali
comuni a più biblioteche per il materiale librario di uso non frequente, di
laboratori di restauro comuni.
Art. 5. - Lo Stato favorirà, altresì, la cooperazione bibliotecaria
internazionale, accogliendo le raccomandazioni dell'UNE SCO, della FIAB e di
altri organismi bibliotecari internazionali, aderendo alle iniziative e convenzioni
promosse dai medesimi e obbligando con leggi o decreti aventi valore di legge
le biblioteche italiane a parteciparvi.
Art. 6. - L'istituzione, il mantenimento, l'ordinamento e funzionamento
delle biblioteche del sistema sono responsabilità. per la rispettiva parte di
competenza, dell'Amministrazione Centrale dello Stato, degli Enti Pubblici,
delle Accademie ed Istituti Scientifici, delle Regioni, degli Enti locali e delle
Fondazioni ed Associazioni interessate.
TITOLO II: FUNZIONI DELLO STATO E DELLA REGIONE.
Art. 7. - Lo Stato promuove lo sviluppo ed il coordinamento delle
biblioteche di pubblico interesse in un sistema articolato funzionalmente e
territorialmente che estenda il loro servizio a tutto il territorio nazionale, ai fini
dell'istruzione, della ricerca scientifica, del progresso economico e della crescita
culturale e civile della popolazione, e provvede alla tutela del loro patrimonio,
assicurandone la manutenzione, l'integrità, la sicurezza ed il godimento
pubblico.
Art. 8. - All'esercizio delle funzioni, di cui all'articolo precedente, lo Stato
provvede con leggi o decreti aventi valore di legge, in particolare per quanto
riguarda:
a) i principi e le direttive generali dell'organizzazione bibliotecaria
nazionale, nel cui quadro devono inserirsi le leggi regionali in materia di
biblioteche pubbliche;
b) la classificazione delle biblioteche, in base alle loro effettive funzioni,
e la fissazione degli standards dei relativi servizi;
106
c) la regolamentazione della tutela del patrimonio librario, in particolare
di quello raro e di pregio;
d) la programmazione nazionale, di cui al successivo art. 30;
e) l'istituzione, il mantenimento, l'ordinamento e funzionamento delle
biblioteche a carico del bilancio statale;
f) la formazione professionale, la qualificazione e lo stato giuridico del
personale, con l'istituzione di Scuole Speciali, di un esame di abilitazione alla
professione e dell'albo professionale dei bibliotecari.
Art. 9. - L'esercizio delle funzioni amministrative statali, in materia di
biblioteche, è affidata al Ministero dei Beni Culturali, che vi provvede a mezzo
di una unica competente Direzione Generale. A questa viene trasferita tutta la
competenza già delle varie Direzioni Generali del Ministero P.I., salvo la gestione degli istituti, in materia di biblioteche scolastiche, Centri di lettura e di talune
attività di educazione permanente che sono tipiche delle biblioteche. E'
soppresso l’ E.N.B.P.S. e la relativa competenza è trasferita alla Direzione
Generale delle Biblioteche. E' trasferita, altresì, a questa la competenza nella
materia degli altri Ministeri, non soltanto per quanto riguarda le iniziative di
alcuni di essi (ad es.: Agricoltura, Cassa del Mezzogiorno, etc.), nel settore della
pubblica lettura, ma anche per quanto riguarda le biblioteche speciali da essi
dipendenti, salvo la loro gestione.
Al Ministero dei Beni Culturali spettano le seguenti funzioni:
a) provvedere all'ordinamento e funzionamento delle biblioteche a
carico del bilancio dello Stato;
b) esercitare la vigilanza ed il controllo sulle biblioteche di pubblico
interesse di qualsiasi categoria, ai fini della tutela degli interessi generali dello
Stato nella materia, per assicurare un servizio uniforme e coordinato, esteso a
tutte le località del territorio nazionale;
c) esercitare le funzioni inerenti alla tutela del patrimonio librario delle
suddette biblioteche e di quello raro e di pregio di proprietà dei privati, per
assicurarne la conservazione ed il godimento pubblico;
d) curare l'aggiornamento dell'elenco delle biblioteche di pubblico
interesse costituenti il sistema nazionale e l'inserimento in esso di quelle che ne
facciano domanda ed abbiano i requisiti prescritti dalla legge;
e) elaborare gli standards ed esercitare, nei riguardi di tutte le
biblioteche, funzioni di competenza tecnica in ordine:
1) all'edilizia; 2) all'ordinamento della raccolta ed alle norme di classificazione e
catalogazione; 3) alla regolamentazione di
107
tutti i servizi bibliotecari; 4) alle iniziative e servizi di cooperazione nazionale ed
internazionale; 5) al restauro del materiale librario; 6) alla preparazione e
qualificazione del personale (scuole e relativi programmi, corsi di
aggiornamento, titoli di abilitazione e qualificazione), etc., sia controllando
l'adozione delle norme e procedure regolamentari per i vari servizi tecnici, sia
fornendo un'adeguata assistenza e consulenza;
f) curare il reclutamento e l'assegnazione di sede del personale direttivo
e di concetto (bibliotecari ed assistenti di biblioteca) delle biblioteche statali, che
sarà inquadrato in un ruolo unico, articolato nelle varie specializzazioni;
g) elaborare il piano nazionale bibliotecario e gestire il fondo nazionale,
di cui all'art. 34.
Art. 10. - E' in materia organo consultivo del Ministero dei Beni
Culturali il Consiglio Superiore. Il suo parere è obbligatorio e vincolante su
tutte le leggi o i decreti aventi valore di legge che riguardino l'organizzazione
bibliotecaria nazionale, la tutela del patrimonio delle biblioteche, la
programmazione generale ed i piani annuali e pluriennali di sviluppo, e le
carriere del personale delle biblioteche statali. Il suo parere è vincolante anche
per quanto riguarda la nomina e l'assegnazione di sede dei Direttori delle
medesime.
I compiti del Consiglio, la sua composizione ed il numero dei membri
saranno stabiliti con legge dello Stato.
Art. 11. - La Regione, svolgendo le funzioni attribuitele dagli artt. 117 e
118 della Costituzione della Repubblica, dall'art. 17 della legge 16 maggio 1970,
dal D.P.R. 14 gennaio 1972, n. 3 e dalla presente legge, esercita la vigilanza ed il
controllo sulla attività delle biblioteche di pubblico interesse operanti nel suo
territorio e le coordina in un organico sistema regionale; provvede alla tutela del
loro patrimonio, assicurandone la manutenzione l'integrità, la sicurezza ed il
godimento pubblico; promuove, in particolare, lo sviluppo ed il coordinamento
delle biblioteche pubbliche.
E' trasferita alle Regioni, ai sensi del precedente art. 19, la competenza
sulle biblioteche statali dipendenti dalla Direzione Generale Accademie e
Biblioteche del Ministero dei Beni Culturali, che svolgono funzioni locali di
biblioteche pubbliche.
L'esercizio di tutte le funzioni amministrative regionali in materia è
affidato all'Assessorato alla Cultura.
Art. 12. - La Regione assume gli oneri derivanti dall'esercizio delle
funzioni, di cui all'articolo precedente ed, all'uopo, adotta tutte le iniziative e
concede i contributi necessari.
108
TITOLO III: BIBLIOTECHE STATALI.
Art. 13. - Sono a carico del bilancio dello Stato le spese delle seguenti
biblioteche: a) Biblioteca Nazionale Centrale; b) Biblioteche Nazionali Speciali;
c) Biblioteche Speciali del Parlamento, dei Ministeri, di Enti ed Istituti statali; d)
Biblioteche Universitarie e di Istituti di istruzione superiore.
Il relativo personale direttivo e di concetto è inquadrato in un ruolo unico,
gestito dal Ministero dei Beni Culturali.
Art. 14. - La Biblioteca Nazionale Centrale, che ha sede in Roma e che
riunisce in una funzionale unità gestionale le attuale, Biblioteche Nazionali
Centrali di Roma e di Firenze, svolge, con una opportuna ripartizione tra le due
sedi, i compiti di a) Archivio della produzione libraria italiana; b) pubblicazione
della Bibliografia Nazionale e delle schede a stampa; e) Centro Nazionale delle
Informazioni Bibliografiche; d) Centro metodologico delle procedure
biblioteconomiche; e) Centro di coordinamento dello sviluppo del sistema
bibliotecario nazionale e della preparazione professionale.
Gli organi della Biblioteca sono:
a) il Comitato di direzione, tecnico e amministrativo;
b) i direttori esecutivi delle sedi di Firenze e di Roma, e il Consiglio di direzione
composti dai medesimi e da altri membri eletti dal Consiglio dei bibliotecari;
c) Consiglio dei bibliotecari, il cui parere sarà sentito su ogni questione che
riguardi l'indirizzo della biblioteca, la sua organizzazione, il bilancio, la
ripartizione di compiti e mansioni del personale.
Art. 15. - Entro un anno dall'approvazione della presente legge, il
Governo è delegato ad emanare decreti aventi valore di legge diretti a stabilire i
compiti, la composizione ed il numero dei membri degli organi della biblioteca,
di cui all'articolo precedente.
Art. 16. - Saranno istituite con leggi dello Stato, utilizzando per quanto
possibile strutture già esistenti, che possiedono una ricca ed aggiornata
documentazione in una determinata materia, Biblioteche Nazionali Speciali, ad
es: per le scienze mediche, per le scienze giuridiche, per le scienze agrarie, etc.,
che saranno in stretto collegamento con la Biblioteca Nazionale Centrale, con
similari strutture straniere e con le varie strutture specialistiche del Paese
(Università ed Istituti di ricerca sia pubblici che privati).
La Biblioteca Nazionale Speciale svolge i seguenti compiti fondamentali:
a) acquisire tutta la produzione italiana ed, in coopera-
109
zione con le altre biblioteche della materia, quella straniera in modo adeguato;
b) elaborare i dati in essa contenuti (con particolare riguardo agli spogli
dei periodici), metterli a disposizione delle altre biblioteche, sia italiane che
straniere, e ricevere da queste ultime l'identico servizio;
c) funzionare da centro nazionale di coordinamento di tutte le
biblioteche della materia.
Il coordinamento del Complesso strutturale della Biblioteca Nazionale Centrale
e della Biblioteche Nazionali Speciali è affidato ad un Comitato tecnico
scientifico, organo del Ministero dei Beni Culturali, la cui composizione ed i cui
compiti saranno stabiliti da apposita legge.
Art. 17 - Le Biblioteche Speciali dello Stato saranno gestite dalle
Amministrazioni interessate al loro servizio. In materia di organizzazione,
metodologia, tecnica, cooperazione e coordinamento sono sottoposte alla
vigilanza e controllo della competente Direzione Generale delle Biblioteche.
Art. 18 - La Biblioteca Universitaria svolge i seguenti compiti:
a) porgere agli studenti i necessari sussidi per gli studi che si compiono
nell'Università o Istituto d'Istruzione Superiore;
b) offrire ai docenti gli strumenti di ricerca propri alla disciplina che
professano.
Essa si articola in una Biblioteca Centrale, che è la biblioteca principale
dotata delle opere di carattere generale e di consultazione, e in Biblioteche di
Dipartimento, il cui numero e la cui ubicazione saranno stabiliti con un'attenta
pianificazione, in base alla situazione di ciascuna Università. La Biblioteca Cen trale svolge per tutto il- complesso delle biblioteche operanti nell'ambito di
ciascuna Università, i seguenti servizi:
a) amministrazione; b) acquisto dei libri; c) classificazione,
catalogazione e preparazione del materiale librario; d) deposito centrale del
materiale librario di uso non corrente.
Tutti i membri delle comunità universitarie hanno diritto di accesso
gratuito a tutte le collezioni della biblioteca, sia a quelle collocate nella sede
Centrale che a quelle decentrate.
Norme particolari del Regolamento di ciascuna Biblioteca Universitaria
disciplineranno l'accesso degli altri lettori.
Quando in una stessa città o nell'area metropolitana di essa vi sono più
Università o Istituti di Istruzione Superiore, queste stipulano una convenzione,
previa approvazione del relativo progetto da parte dei Ministeri competenti, per
gestire in comune le Biblioteche, creando una biblioteca interuniversitaria.
110
Le Università di nuova istituzione dovranno provvedere, almeno due anni
prima della loro apertura, al reclutamento del personale della biblioteca, che per
quanto riguarda il numero e la qualificazione, deve essere rapportato alle finalità
dell'Università ed al suo previsto sviluppo, ed alla costituzione delle Collezioni
di base.
Sono organi della Biblioteca di ciascuna Università:
1) il Consiglio di Amministrazione;
2) le giunte della Biblioteca Centrale e di quelle dì Dipartimento;
3) il Direttore.
Il Direttore è nominato dal Ministero della P.I. tra i membri del personale
scientifico-direttivo delle biblioteche; previa consultazione del Consiglio di
Amministrazione della Biblioteca e parere del Consiglio d'Ateneo. Egli è
delegato dal Rettore della Università per la gestione della biblioteca, alla quale è
assegnata una propria dotazione finanziaria nel bilancio dell'Università. Il
Direttore è consultato dal Consiglio di Ateneo su ogni questione riguardante la
biblioteca ed è chiamato a far parte dei Comitati di fondazione delle Università
di nuova istituzione.
Entro due anni dall'entrata in vigore della presente legge, il Governo è
delegato ad emanare decreti aventi valore di legge diretti a stabilire la nuova
struttura organizzativa delle biblioteche universitarie, le funzioni dei Direttori
della medesima, i compiti e la composizione dei Consigli di Amministrazione e
delle Giunte, ed a regolare i rapporti amministrativi del personale addetto
all'organizzazione bibliotecaria universitaria.
Entro i limiti di tempo suddetto e nello stesso modo, sarà stabilita la
destinazione delle biblioteche Universitarie, attualmente dipendenti dalla
Direzione Generale delle Accademie e Biblioteche, di Bologna, Cagliari,
Catania, Genova, Messina, Modena, Napoli, Padova, Pavia, Pisa, Roma, è
regolato il trasferimento del relativo patrimonio e personale alle Università.
Art. 19 - E' inclusa tra le Biblioteche a carico dello Stato ed è amministrata
dal Ministero dei Beni Culturali, considerato lo interesse nazionale, che essa
riveste conservando esclusivamente materiale bibliografico raro e di pregio della
massima importanza, la Biblioteca Mediceo-Laurenziana.
Art. 20 - Entro due anni dall'entrata in vigore della presente legge ed in
conformità dei principi che la ispirano, il governo è delegato ad emanare decreti
aventi valore di legge diretti a stabilire, in base alla loro effettiva funzione ed a
quella che, considerato il prevalente carattere delle loro collezioni, possano assumere la destinazione delle altre biblioteche statali, che dipendono attualmente
dalla Direzione Generale Accademie e Biblioteche del Ministero dei Beni
Culturali ed il trasferimento della
111
loro competenza, salvi i casi in cui possano assumere le funzioni di Biblioteche
Nazionali Speciali o essere riunite amministrativamente alla Biblioteca
Nazionale Centrale, alle Regioni, alle Università o agli Enti ed Istituti interessati
al loro servizio.
TITOLO IV: BIBLIOTECHE PUBBLICHE.
Art. 21 - Le Regioni e gli Enti locali provvedono, per la parte di rispettiva
competenza ed in base ai principi direttivi espressi nella presente legge, che
saranno recepiti nella legislazione regionale, ad un servizio di biblioteca
pubblica esteso a tutte le località del loro territorio ed agevolmente accessibile.
E' responsabilità delle amministrazioni interessate di organizzare servizi di
biblioteca completi ed efficienti ed, a tal fine, impiegare il personale, fornire e
mantenere i locali e le attrezzature, i libri ed altri documenti ed adottare tutte le
misure necessarie. Queste devono, in particolare, tendere a:
a) ottenere, costituendo collezioni adeguate ed appropriate, stipulando
convenzioni con altre biblioteche e con altri mezzi idonei allo scopo, che adulti
e ragazzi possano consultare o prendere in prestito libri o altri documenti
stampati, dischi o altri tipo di materiale in misura sufficiente, per numero,
diversità e qualità, a rispondere alle loro esigenze di informazione e di cultura
generali e particolari;
b) ad incoraggiare adulti e ragazzi a trarre pienamente profitto dei servizi
della biblioteca ed a fornire agli utenti le informazioni bibliografiche o altre di
cui abbiano bisogno;
c) a fornire un adeguato servizio a particolari categorie di utenti: malati
ospedalizzati, persone anziane, minorati fisici, ed i servizi speciali, di cui
possano aver bisogno Scuole o Collegi, autorità locali, categorie professionali,
etc.
Art. 22 – I Comuni si associano tra di loro, al fine di costituire biblioteche
di dimensione adeguata a coprire in un'area con una popolazione di almeno 100
mila abitanti un servizio completo ed efficiente di biblioteca pubblica, secondo
gli standards stabiliti per legge.
A tal fine, è obbligatoria la costituzione di Consorzi tra più Comuni.
Il Comune, in cui ha sede il Consorzio e, quindi, la biblioteca centrale del
sistema locale deve essere quello che di fatto già svolge le funzioni di centro
amministrativo o commerciale di una determinata zona-comprensorio.
L'Unità Bibliotecaria Locale risulterà costituita da:
a) biblioteche autonome per una parte dei servizi e per la restante parte
servita dal Consorzio;
b) biblioteche succursali;
112
c) posti di prestito;
d) bibliobus,
cioè, da un numero di unità di servizio adeguato ad estenderlo ai quartieri
della città, ai comuni e relative frazioni del territorio circostante.
Le spese del servizio saranno ripartite tra i Comuni costituenti il
Consorzio, in ragione complessa della popolazione e delle entrate.
Art. 23 - Nei Comuni Capoluoghi di provincia, allo scopo di creare la
Biblioteca Provinciale, si costituirà un Consorzio obbligatorio tra
Amministrazione Comunale e Amministrazione Provinciale.
Nei capoluoghi di Regione si costituirà la Biblioteca Regionale con
un'adeguata ripartizione delle spese occorrenti per la sua istituzione ed il suo
funzionamento tra le Amministrazioni comunale, provinciale e regionale.
Le Biblioteche Pubbliche, pertanto, si distinguono in:
1) Biblioteca di zona
2) Biblioteche Provinciali
3) Biblioteche Regionali
Art. 24 - Sono organi delle suddette Biblioteche:
a) Consiglio di Amministrazione;
b) Direttore
c) Comitati comunali per la gestione culturale.
Art. 25 - Le leggi regionale detteranno norme per quanto riguarda:
a) l'istituzione, l'ordinamento ed il funzionamento delle biblioteche;
b) le competenze degli Enti Locali;
c) la composizione degli organi, di cui all'art. 24;
d) la programmazione regionale e le circoscrizioni territoriali dei sistemi
bibliotecari italiani;
e) i finanziamenti integrativi necessari per le spese di impianto e
ristrutturazione, in particolare per le opere edilizie, e per quelle di
funzionamento delle biblioteche e dei sistemi bibliotecari locali, che possono
essere concessi fino ad un massimo del 75 per cento del loro importo.
TITOLO V: BIBLIOTECHE SCOLASTICHE.
Art. 26 - Le funzioni amministrative statali in materia di biblioteche
scolastiche, per quanto riguarda l'istituzione, l'ornamento ed il funzionamento,
il coordinamento delle loro attività e gli interventi finanziari, sono trasferite alle
Regioni.
Art. 26 - Le Regioni assumono gli oneri derivanti dall'esercizio di tali
funzioni e provvedono ad erogare ai Comuni i contri-
113
buti integrativi necessari in base alla ripartizione stabilita dal relativo piano
annuale di spesa.
Art. 28 - Le Biblioteche Scolastiche sono di proprietà dei Comuni, che
provvederanno al loro mantenimento con propri stanziamenti di fondi integrati
da contributi della Regione.
La Biblioteca Scolastica, che si articolerà in biblioteche di classe è una
sezione della unità di servizio locale della Biblioteca Pubblica e dell'annessa
Biblioteca per Ragazzi. La sua gestione è affidata ad un Comitato di docenti e a
un bibliotecario o assistente di biblioteca, a seconda della sua dimensione, che
collaborano con la Biblioteca pubblica locale.
Art. 29 - Il servizio bibliotecario scalastico è affidato a bibliotecari e
assistenti di biblioteca che abbiano i titoli professionali e di specializzazione
richiesti.
TITOLO VI: PROGRAMMAZIONE NAZIONALE.
Art. 30 - Il programma nazionale bibliotecario, che ha durata non
superiore a quella del Programma economico nazionale, è approvato con legge
dello Stato, che, anche ai fini della programmazione regionale, stabilisce:
a)
il fabbisogno dei nuovi servizi ripartito tra i vari settori
dell'attività bibliotecaria;
b)
la ripartizione regionale quantitativa e qualitativa di tale
fabbisogno;
c)
i quozienti da applicare per ottenere sul piano nazionale e
regionale il rapporto tra entità dei servizi e popolazione interessata,
nonché la loro distribuzione, secondo le esigenze;
d)
i criteri organizzativi e funzionali, mediante i quali realizzare
un attivo coordinamento tra le diverse biblioteche che concorrono a
costituire il sistema bibliotecario nazionale.
Con la predetta legge verranno, altresì, indicati i mezzi finanziari dello
Stato da destinare agli interventi ad integrazione di quelli delle Regioni nel
medesimo settore.
Il disegno della legge di programma, di cui ai precedenti commi, è
presentato al Parlamento dal Ministero dei Beni Culturali, di concerto con i
Ministeri interessati per la parte di rispettiva competenza.
Sul relativo schema di legge è sentito il Comitato Nazionale per la
programmazione bibliotecaria, di cui all'articolo successivo.
Art. 31 - Il Comitato Nazionale per la Programmazione bibliotecaria è
composto dagli Assessori Regionali interessati, da rappresentanti dei Ministeri,
delle biblioteche, dei sindacati e delle associazioni professionali interessate, da
rappresentanti
114
dell'Unione Province d'Italia e dell'Associazione Nazionale Comuni d'Italia.
Entro sei mesi dall'approvazione della presente legge, il Governo è
delegato ad emanare un decreto avente forza di legge, che stabilirà i compiti, la
composizione ed il numero dei membri del suddetto Comitato.
Art. 32 - Il Ministero dei Beni Culturali, attenendosi alle direttive del
Programma economico nazionale, della presente legge, della legge del
programma, di cui all'art. 31, recepisce le indicazioni fornite dalle singole
Regioni ed elabora, d'intesa con i Ministri per la Pubblica istruzione, Bilancio,
Tesoro, Lavori Pubblici, per la parte di rispettiva competenza, il Piano
Nazionale bibliotecario.
Art. 33 - Il Piano Nazionale bibliotecario stabilisce i criteri per l'impiego
dei mezzi finanziari dello Stato. A tal fine, determina la ripartizione regionale,
quantitativa e qualitativa, delle spese a carico dello Stato che graveranno
sull'apposito fondo nazionale, di cui all'articolo successivo.
Art. 34 - Nello stato di previsione di spesa del Ministero dei Beni Culturali,
sarà iscritto in apposito Capitolo il fondo nazionale bibliotecario, destinato ad
integrare i finanziamenti dei piani regionali di sviluppo delle biblioteche
pubbliche ed agli interventi a favore dello sviluppo delle altre biblioteche del sistema nazionale.
TITOLO VII: PERSONALE.
Art. 35 - Il personale scientifico e tecnico, addetto ai servizi bibliotecari del
sistema nazionale, comprende i bibliotecari e gli assistenti di biblioteca.
Possono partecipare ai concorsi per posti di bibliotecari o di assistenti di
biblioteca coloro che siano in possesso rispettivamente del titolo di laurea e del
diploma di scuola secondaria superiore, e del diploma di abilitazione
professionale, di cui all'articolo 37 della presente legge.
Art. 36 - Al fine di provvedere al fabbisogno di tale personale, il Ministero
della P.I., di concerto con quello dei Beni Culturali, istituirà, presso le
Università, nel numero e nelle sedi più idonee, secondo le indicazioni del
programma nazionale e sentito il Consiglio Superiore del Ministero dei Beni
Culturali, Corsi di laurea per la preparazione dei bibliotecari e Corsi di
specializzazione post-lauream, che saranno integrati da periodi di tirocinio
presso le biblioteche indicate in apposito elenco.
Ai medesimi Istituti Universitari saranno affidati i Corsi di aggiornamento
per il personale statale in servizio.
115
Le Regioni sono delegate all'istituzione dei Corsi di formazione
professionale di base per assistenti di biblioteca, il cui programma sarà
formulato dal competente Ministero. I titoli relativi rilasciati dalle Regioni,
saranno riconosciuti da parte dello Stato.
Art. 37 - E' istituito, con legge dello Stato, l'esame di abilitazione alla
professione di bibliotecario e di assistente di biblioteca.
L'elenco degli abilitati è depositato ed è tenuto aggiornato presso il Ministero
dei Beni Culturali e gli Assessorati regionali alla Cultura; l'appartenenza ad esso
è condizione indispensabile per partecipare ai Concorsi o assumere incarichi
nell'ambito di biblioteche di qualsiasi tipo o Ufficio interessanti alla materia,
compresi quelli degli Assessorati Regionali e Provinciali.
116
IL DEPOSITO OBBLIGATORIO DEGLI STAMPATI
LUDOVICA MAZZOLA - ANNA MARIA MANDILLO
Legislazione Italiana sul diritto di stampa (Ludovica Mazzola)
La consegna di una o più copie della produzione libraria di un
territorio è stato uno dei principali mezzi di acquisizione delle più importanti
biblioteche fin dalla loro origine. In Italia possiamo portare ad esempio la
Biblioteca nazionale dì Firenze che, sorta con la donazione di Magliabechi ai
suoi concittadini, ebbe per merito di Giovanni Gastone dei Medici dal 1737 in
deposito un esemplare di tutto quello che si stampava in Toscana; o anche la
Braidense che godette del diritto di stampa per la Lombardia fin dalla sua
istituzione (1776).
La legge che regola il deposito degli stampati attualmente in Italia ha la
sua origine, inconfondibilmente, nella legge del 26 marzo 1848 del Regno di
Sardegna, che stabiliva «le regole colle quali si abbia a tenere nei Regi Stati
l'esercizio della libertà di stampa proclamata dallo Statuto» e che venne estesa a
mano a mano nei territori che venivano a confluire nello stato sardo fino alla
formazione dello stato unitario.
Negli articoli 7 e 8 di questa legge si obbligava lo stampatore a
consegnare una copia di tutto quello che produceva all'Ufficio dell'Avvocato
fiscale generale della provincia in cui risiedeva, una copia agli Archivi di corte
ed una alla biblioteca dell'Università « nel cui circondario è seguita la
pubblicazione ».
Dopo l'unità d'Italia, dal 1870, la biblioteca nazionale di Firenze
godette del diritto di stampa per tutto il territorio nazionale.
Il collegamento della funzione di controllo sulla produzione libraria
con quella della sua conservazione a fini culturali è ripreso dalla legge del 7
luglio 1910, in cui si obbligavano stampatori o editori a consegnare tre copie
della loro produzione al procuratore del Re presso il Tribunale del circondario,
i quali ne invieranno una alla Biblioteca nazionale di Firenze, una al Ministero
di Grazia e Giustizia (che a sua volta cedeva alla Biblioteca nazionale di Roma
tutto ciò che non poteva interessare la propria biblioteca) e una alla biblioteca
universitaria della provincia (o altra biblioteca da fissarsi con decreto).
Con questa legge inizia inoltre il deposito presso le biblico-
_________________
Relazione al XXVII Congresso Arezzo, 9-12 giugno 1977.
117
teche della Camera e del Senato dì una copia delle pubblicazioni dei Ministeri e
degli Istituti che beneficiassero di sovvenzioni statali.
La legge successiva del 1932 venne superata da quella del 2-2-1939 n.
374, modificata dal D.L. Lgt. 31 agosto 1945 n. 660, tuttora in vigore; essa
stabilisce le norme per la consegna obbligatoria degli stampati e delle
pubblicazioni.
In breve: lo stampatore (per tale sì intende ogni persona od ente che
riproduce a scopo di diffusione uno scritto od una figura con qualsiasi
procedimento tipografico, litografico, fotografico od incisorio) deve consegnare
quattro esemplari alla Prefettura della sua provincia e un esemplare alla Procura
di tutto quello che pubblica prima di metterlo in commercio (per le ristampe la
consegna è limitata ad una copia per la Prefettura).
Gli esemplari da consegnare devono corrispondere alla tiratura di maggior
pregio (escluse quelle speciali di gran lusso, non destinate al commercio) e
devono essere perfetti.
A parte le esenzioni per prodotti particolari (p. es. registri di ufficio,
carte-valori, partecipazioni, carte da pacchi ecc.) il Ministero dell'Interno può
concedere temporaneamente altre esenzioni e revocare le concessioni
medesime.
La pena per la violazione di questa norma va dal pagamento di una multa fino
alla sospensione temporanea dall'esercizio della professione. Il Prefetto deve
vigilare sull'osservanza della norma con l'aiuto del capo della biblioteca pubblica
del capoluogo di provincia o da persona idonea designata dal Ministro della
Pubblica Istruzione. Negli obblighi subentra l'editore nel caso in cui all'opera
concorrono officine diverse o se l'opera viene stampata all'estero.
Gli esemplari vengono così smistati dalla Prefettura:
una, dopo il controllo, alla biblioteca pubblica del capo
luogo di provincia o di altra città della regione designata dal
Ministero della P.I.;
una alla Biblioteca Nazionale di Firenze;
una alla Biblioteca Nazionale di Roma;
una alla Presidenza del Consiglio dei Ministri - Ufficio stampa che lo
usa per il Servizio informazioni bibliografiche e poi lo invia al Ministero
dell'Interno - Direzione generale P.C., che a sua volta lo fa pervenire alla
Biblioteca Nazionale di Roma.
L'esemplare della Procura è inviata da questa, dopo aver adempiuto alle sue
funzioni, al Ministero di Grazia e Giustizia, che usufruisce di parte dei materiale
per la sua biblioteca e invia il resto a istituti scelti d'intesa col Min. della P.I.
L'art. 11 riguarda le pubblicazioni dei ministeri e uffici da essi
dipendenti e quelle di tutti gli istituti od enti che godano gli assegni sul bilancio
dello stato; esse devono essere inviate alle biblioteche del Senato e della Camera
dei deputati diretta-
118
mente da questi istituti, e quindi non dagli stampatori od editori privati, a cui
eventualmente ci si è rivolti per curare la pubblicazione dell'opera.
Per un'altra legge (art. 5 del R.D.L. 23-10-1927 n. 2105) la Biblioteca del CNR
gode del diritto di stampa per le opere riguardanti il settore scientifico-tecnico.
Nel D.L.gs.Lgt. 1-3-1945 n. 82 l'art. 23 riprende questa norma e obbliga tutti i
tipografi ad inviare le loro pubblicazioni (periodiche e non periodiche) in lingua
italiana e straniera interessanti la scienza, la tecnica e la ricostruzione, entro un
mese dalla stampa, al C.N.R.
La legge 22-4-1941 n. 633 che riguarda la « protezione del diritto d'autore e di
altri diritti connessi al suo esercizio » ci può interessare per quanto è detto nel
Titolo III, capo I. Viene costituito con tale norma presso la Presidenza del
Consiglio Ufficio della proprietà artistica e scientifica un registro pubblico
generale delle opere protette, in cui vengono elencate le opere depositate entro
90 giorni dalla pubblicazione dagli autori o dai produttori presso questo ufficio
(secondo il regolamento per l'esecuzione di tale legge approvato con R.D.
18-5-1942 n. 1369: p. es. per i periodici basta un numero all'anno).
L'omissione di tale deposito non pregiudica l'acquisizione e l'esercizio del
diritto d'autore come viene definito dal Titolo I della legge e dalle disposizioni
internazionali; impedisce invece l'acquisizione e l'esercizio dei diritti sulle opere
contemplate nel Titolo II (dischi o altri apparecchi riproduttori del suono,
bozzetti di scene teatrali, fotografie, progetti di ingegneria).
Applicazione delle norme di legge (Anna Maria Mandillo)
L'esposizione di quelle che sono le norme di legge sul diritto di stampa
serve di base ad introdurre un discorso che vorremmo fare, più approfondito,
volto a promuovere il dibattito sulla problematica del deposito obbligatorio
degli stampati e ad ottenere, quindi, il cambiamento necessario, già più volte
richiesto.
Esaminiamo quindi queste norme nella realtà della loro applicazione,
guardiamole cioè da vicino per avere un quadro esatto di come funziona il
meccanismo della consegna.
Le cinque copie, che il tipografo deve consegnare secondo la legge del
1939-45, passano attraverso il filtro degli uffici stampa delle Prefetture e delle
locali Procure della Repubblica. Il perché di questo passaggio era legato, una
volta, ad adempimenti di controllo e censura sul materiale stampato; oggi tale
passaggio serve solo a ritardare. nel migliore dei casi, l'arrivo dei libri ai
destinatari previsti dalla legge.
Ammettiamo che il tipografo sia solerte e quindi la consegna delle
pubblicazioni tempestiva, cosa che non si verifica sem-
119
pre, ma una volta consegnate, l'ufficio stampa della Prefettura che deve
smistare lascia molto a desiderare. Si ha netta l'impressione che sia considerato
un compito marginale dell'ufficio; spesso manca del tutto il personale addetto o
è insufficiente, per non indagare se abbia o no un'adeguata preparazione in
materia.
Le cose stanno andando peggio, specialmente in questi ultimi anni,
perché gli uffici stampa delle Prefetture sono rimasti sguarniti, dal momento del
passaggio alle Regioni, di molti impiegati, o molto più semplicemente perché
coloro che vanno in pensione non vengono regolarmente sostituiti. Di
conseguenza, lo smistamento del materiale è soggetto a ritardi, disguidi; e
soprattutto non avviene in tempi accettabili.
Le due Biblioteche nazionali centrali, di Roma e di Firenze, lamentano in
questi ultimi tempi periodi di stasi, specie quando le Prefetture delle maggiori
città sedi di grandi aziende tipografiche non inviano materiale librario per
lunghi periodi, per poi magari svegliarsi improvvisamente con invii anche di
grossa entità che non permettono però, alle biblioteche di controllare con
tempestività se quello che viene loro inviato copre realmente la produzione
editoriale di questo o quell'editore.
Agli inviti a funzionare meglio, molte Prefetture chiedono elenchi
precisi di libri non arrivati in biblioteca, ma spesso tali elenchi sono impossibili
perché bisognerebbe arrivare a reclamare quasi tutto il catalogo delle nuove
accessioni di una casa editrice.
Per fare un esempio: dall'inizio di quest'anno alla fine di aprile, alla
Biblioteca nazionale centrale di Roma sono stati fatti invii di scarse quantità di
libri dalle Prefetture più indicative; Bologna, Firenze (che riguardava però il
1976), Milano, Varese, Roma, Napoli, Verona. E’ da notare che Varese e
Verona sono sedi delle tipografie degli editori Giuffré e Mondadori.
Solo ai primi di maggio sembra si sia sbloccata un po' la situazione con
una ripresa da parte degli uffici stampa di Milano, Bologna e Verona. Per
quanto riguarda poi l'ufficio stampa della Prefettura di Roma, dove continua a
valere una consuetudine iniziata, a quanto ci risulta, negli anni dell'ultima guerra
(regolata da scambi di circolari tra Questura e Prefettura), la consegna degli
esemplari d'obbligo prevede un passaggio in più: il tipografo consegna
all'ufficio stampa della Questura e, da qui le pubblicazioni (dopo la censura,
fino a tutto il fascismo; oggi, forse dopo, la cernia di qualche pubblicazione
pornografica) passano all'ufficio stampa della Prefettura, il quale non è certo in
migliori condizioni degli altri in Italia. Anzi. Siamo arrivati in questi ultimi mesi
alla paralisi, tanto che il responsabile dell'ufficio ha chiesto anche aiuto al
personale della Biblioteca nazionale per poter smistare il materiale. Dopo
questo episodio di emergenza, si è arrivati ad un soluzione: infatti, sappiamo
che
120
ora vi presta servizio un impiegato della carriera esecutiva che, tra sei mesi,
andrà in pensione. E così si va avanti.
Con notevole ritardo, pertanto, le copie d'obbligo arrivano a destinazione:
una alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze, una alla Biblioteca nazionale
centrale di Roma, una alla Biblioteca, designata per Decreto, nella Provincia
dove ha sede il tipografo, una alla Presidenza del Consiglio (Servizio informazioni).
Lasciamo per ora da parte le biblioteche e le loro difficoltà, consistenti
soprattutto nell'impossibilità di assicurarsi tutte le pubblicazioni che escono per
lo scarso aiuto che dà loro la legge e guardiamo agli altri depositi delle copie
d'obbligo.
Una delle quattro copie va, come abbiamo detto, al Servizio informazioni della
Presidenza del Consiglio per il « Servizio d'informazioni bibliografiche ». Tale
esemplare costituiva la base di lavoro dell'ufficio, attualmente passato al
Ministero per i beni culturali, per redigere il periodico « Libri e riviste d'Italia »,
una specie di bibliografia nazionale compilata su pubblicazioni scelte in
redazioni non si sa in base a quali precisi criteri. La rivista che è mensile, appare
inoltre con ritardo: il primo numero del 1977 era in prime bozze alla fine di
marzo ed uscirà nel mese di Giugno. Alla fine di Marzo, infine, non era ancora
arrivato agli abbonati e ai vari destinatari d'ufficio il numero di ottobre 1976.
Questo, si è detto, a causa dei ritardi del Poligrafico dello Stato che ne è lo
stampatore.
Le pubblicazioni arrivate alla Presidenza del Consiglio debbono, poi,
secondo la legge, essere inviate alla Biblioteca nazionale centrale di Roma. In
realtà tale consegna non è mai stata totale come pretende la legge, perché la
Presidenza del Consiglio, dopo l'uso d'ufficio che abbiamo descritto, se ne
riserva una scelta per la sua biblioteca, che oggi possiede circa 90 mila volumi.
In questi ultimi tempi, però, si è manifestata l'intenzione da parte della
Presidenza del Consiglio di limitare questa scelta, soprattutto per ragioni di
spazio, a settori più specializzati, privilegiando ad esempio la politica sul diritto
(dal momento che le pubblicazioni giuridiche sono conservate nella biblioteca
del Ministero di Grazia e Giustizia).
L'invio alla Biblioteca nazionale di Roma dalla Presidenza del Consiglio ha
una consistenza annuale di meno di 10 mila volumi, sui 16-17 mila volumi che
si stampano ogni anno in Italia. Negli ultimi tre anni, ad esempio, i dati sono di
6.511 tra volumi ed opuscoli per il 1974, 7.800 per il 1975, 6.889 per il 1976.
La copia degli esemplari d'obbligo per la Presidenza del Consiglio era
quella destinata un tempo al Ministero della Cultura popolare che aveva,
naturalmente, compiti di indottrinamento e di censura nello stato fascista.
Dopo la guerra, anziché sopprimere tale obbligo di consegna, fu trasferito alla
Presi-
121
denza del Consiglio. Qui il compito della ricezione, registrazione e schedatura
delle pubblicazioni fu separato da quello della redazione della rivista ed
assegnato a due diverse Divisioni. Infine, dal momento della costituzione del
Ministero dei Beni culturali (1976), la Divisione editoria - che compilava la rivista - è passata al nuovo Ministero, mentre la divisione che riceveva i libri è
rimasta alla Presidenza del Consiglio: con il risultato che i compiti della
divisione editoria vengono svolti in una sede diversa da quella in cui si
conservano i libri, che invece servono per la compilazione della rivista.
La quinta copia soggetta a consegna passa attraverso il filtro della Procura
della Repubblica, come abbiamo detto poc'anzi, poiché questa aveva compiti
censori. Attualmente questa viene inoltrata, nello stesso modo delle altre
quattro, dalla Procura al Ministero di Grazia e Giustizia (al settore che si occupa
della redazione delle pubblicazioni: « Gazzetta ufficiale », eccetera); qui le
pubblicazioni vengono divise per essere inviate successivamente ad altri e
diversi istituti: le pubblicazioni giuridiche, socio-politiche, storiche, vengono
immesse nella biblioteca del Ministero di Grazia e Giustizia (che è aperta al
pubblico), le pubblicazioni di medicina alla Biblioteca medica statale di Roma,
quelle di storia dell'arte alla Biblioteca di archeologia e storia dell'arte di Roma,
quelle scientifico-tecniche (prevalentemente ingegneria) e i periodici di
medicina alla Biblioteca universitaria di Bari, le pubblicazioni di pedagogia e
filosofia alla Biblioteca della facoltà di Magistero di Roma, gli spartiti musicali
alla biblioteca dell'Accademia di Santa Cecilia, le pubblicazioni che restano
dopo tale selezione alla Biblioteca nazionale di Napoli; ed infine una scelta di
libri, che in questi ultimi anni è diventata sempre più ampia, alle carceri (oltre ai
libri scolastici molto semplici, anche collezioni di classici, romanzi, testi di
storia, materie scientifiche, perché la richiesta di libri dalle carceri stesse è
aumentata). Il perché di questi destinatari così diversi sembra legato più alla
scelta personale dei ministri che nel Dicastero della giustizia si sono succeduti
che a decreti ministeriali improntati a criteri precisi ed ispirati ad una visione
globale.
La legge prevede ancora la consegna di una copia alla Biblioteca del Senato ed
un'altra alla Camera dei deputati. La consegna prevista riguarda le pubblicazioni
dei ministeri e degli uffici ed istituti da essi dipendenti e di tutti gli altri istituti
od enti che godono di assegni sul bilancio dello stato, o che comunque siano
enti di diritto pubblico (art. 11 L. n. 3974 del 1939). L'obbligo permane anche
quando le pubblicazioni sono affidate a stampatori o editori privati.
Alla biblioteca del Senato le pubblicazioni del diritto di stampa
costituiscono un terzo delle pubblicazioni che entrano negli scaffali ogni anno.
In massima parte sono pubblicazioni
122
« di routine » dei ministeri, cioè bollettini, annuari, ruoli del personale e raccolte
di circolari e di normative varie. La biblioteca incontra invece una certa
difficoltà nel seguire ed ottenere le pubblicazioni monografiche (saggi o studi su
argomenti particolari) stampate per conto dei ministeri e degli enti, anche da
case editrici non statali. Ad ogni modo, un arrivo in massa ed indiscriminato di
pubblicazioni (spesso anche molto costose) su argomenti scientifici o
comunque non interessanti l'indirizzo storico-giuridico della biblioteca, che è
riservata tra l'altro, ai senatori, con qualche eccezione per un pubblico
selezionato (selezionato dai senatori stessi), crea spesso dei problemi; tanto che,
in questi ultimi tempi, la biblioteca ha deciso di rimandare indietro le
pubblicazioni di scienze esatte perché non attinenti ai propri interessi.
Non diversamente avviene alla biblioteca della Camera. Essa riceve con
regolarità le pubblicazioni periodiche o in serie dei ministeri o dei vari enti
(anche perché è facile controllarle) ed incontra le stesse difficoltà della
biblioteca del Senato per le opere singole.
Identico è il problema dell'accettazione o meno di quello che non è
stato previsto nell'indirizzo della biblioteca che dev'essere funzionale al
Parlamento, cioè agli interessi e alle ricerche che i gruppi e i singoli parlamentari
esprimono. Prevale perciò, anche in questa biblioteca, l'indirizzo storico
economico, giuridico e politico.
In sostanza, dai contatti avuti con le due biblioteche, appare
abbastanza evidente che esse si trovano in posizione di conflitto nei riguardi di
questo materiale. e quindi della legge che le fa depositarie di una copia
d'obbligo, perché, da una parte. non possono sopportare la mole di tutte le
-pubblicazioni, dall'altra non possono operare una scelta o avviare una politica
coordinata anche tra di loro perché non hanno la possibilità di conoscere e
tener dietro a tutte le pubblicazioni che dovrebbero esser loro consegnate.
Alla legge del 1939 dobbiamo poi aggiungere le altre leggi che
prevedono la consegna di esemplari d'obbligo ad altri istituti. Prima, quella del
1945 (D.L.Lgt. n. 82) che, nel riordinare il CNR, prevede anche nell'istituto la
consegna delle -pubblicazioni italiane, periodiche e non, stampate da tipografi
per proprio conto o per conto di editori, che « interessante la scienza., la tecnica
o la ricostruzione ». Tali pubblicazioni costituiscono un notevole incremento
della biblioteca. centrale del CNR, tanto che la dotazione annua per gli acquisti
viene utilizzata soprattutto per pubblicazioni straniere; la dotazione annua per il
1977 è stata di 240 milioni.
La norma di legge inoltre, essendo piuttosto generica,
nell'enunciazione, fa sì che molte opere, non prettamente scienti
123
fico-tecniche, vengano consegnate alla biblioteca del CNR. In questo caso,
ultimamente, da parte della biblioteca si preferì restituirle al mittente, piuttosto
che smistarle ad altri istituti, dato che spesso è difficile individuare il
destinatario giusto. Nei casi, che spesso si verificano, di reclamo di opere
attinenti ad interessi delle biblioteche del CNR che non arrivano regolarmente,
la riposta da parte del tipografo o dell'editore è spesso irritata perché essi
ritengono di essersi liberati di ogni obbligo con il diritto di stampa, avendo già
adempiuto alla consegna prevista dalla legge 1939-45 e mostrando di non
conoscere la successiva disposizione circa il CNR.
Infine, è da ricordare la legge n. 663 del 1941 sul diritto d'autore.
Anche in virtù di questa legge, si ottiene una ennesima copia d'obbligo,
quella che « gli autori e i produttori delle opere o i loro aventi causa » devono
depositare alla Presidenza del Consiglio (ufficio della proprietà letteraria, artistica e
scientifica) entro 90 giorni dalla pubblicazione. Tale ufficio conserva nei suoi
archivi gli esemplari delle opere apponendovi un numero di registrazione e
costituisce così un ulteriore luogo di deposito improduttivo - ed intoccabile - di
innumerevoli libri e pubblicazioni. In base alle annotazioni di queste opere su
un pubblico registro viene compilato mensilmente il « Bollettino dell'ufficio
della proprietà letteraria artistica e scientifica ». Anche questa pubblicazione
esce con notevole ritardo: l'ultimo numero è quello di giugno del 1974.
Dopo qualche rassegna della pratica applicazione della legge circa le copie
d'obbligo rassegna che non è davvero consolante, appaiono più evidenti i suoi
difetti, che cercheremo ora di sintetizzare.
Anzitutto la legge è ambigua, perché vuole rispondere a scopi opposti: uno
di censura, che non sussiste più; uno culturale, cioè quello di raccogliere e
conservare la produzione editoriale del Paese. Per quest'ultimo le norme in
vigore sono addirittura peggiorative delle precedenti, del 1932, che chiaramente
vedevano gli esemplari d'obbligo « destinati ad assicurare, nel superiore
interesse degli studi, la conservazione presso determinati istituti bibliografici, di
quanto si pubblica nel Regno ». (Legge 654/1932, art. 1).
La legge è esosa per i tipografi che finiscono per dover consegnare, nella
maggioranza dei casi, otto copie, se aggiungiamo le tre dovute per le biblioteche
del Senato, della Camera e del CNR; nove se consideriamo anche la copia
depositata direttamente dagli autori all'Ufficio della proprietà letteraria e scientifica della Presidenza del Consiglio.
Inoltre, la legge è ripetitiva: i molti destinatari delle copie d'obbligo hanno
quasi tutti le stesse funzioni e finiscono per
124
ripetere sulle pubblicazioni le stesse operazioni, cosicché molteplici sono gli
archivi della produzione editoriale, ma i risultati che si ottengono ai fini della
documentazione e dell'informazione non sono né organici né unitari, ma
frammentari e spesso, inoltre, non esiste alcuna possibilità di collaborazione
concreta tra i vari istituti destinatari, quando addirittura l'uno ignora quello che
fa l'altro.
Infine, la legge, è vecchia perché, cambiate le condizioni politiche che
l'avevano ispirata, non è stata aggiornata né alla nuova realtà politica
democratica, sancita dalla Costituzione, né alla realtà editoriale in notevole
evoluzione, specie negli ultimi 30 anni.
Da ciò deriva la scarsa incisività della legge su chi dovrebbe rispettarla e su
chi, nonostante tutto, cerca di farla rispettare. Pensiamo soprattutto alle
biblioteche, di cui abbiamo accennato prima le difficoltà che incontrano
nell'opera di reperimento e recupero delle pubblicazioni loro dovute,
risultandone infine le maggiori danneggiate.
Per le biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze le pubblicazioni del
diritto di stampa costituiscono generalmente, pur con i difetti, la massima parte
dell'incremento dei fondi. I dati della Biblioteca di Roma relativi ai libri,
opuscoli, carte geografiche, riproduzioni artistiche pervenuti negli ultimi tre
anni ci danno il quadro esatto della consistenza di questa crescita: nel 1974
sono arrivate 15.758 pubblicazioni, nel 1975 15.340. nel 1976 17.550.
Già se confrontiamo questi con i dati ISTAT annuali sulla produzione
editoriale italiana, notiamo subito le sfasature e le deficienze di pubblicazioni
nelle biblioteche. Nel 1974 risultano pubblicate:
7.913 prime edizioni
1.530 riedizioni
7.852 ristampe
17.295
Nel 1975:
7.897 prime edizioni
1.290 riedizioni
7.388 ristampe
16.575
(I dati ISTAT per il 1976 escono alla fine del 1977).
125
Non ci è possibile peraltro soffermarci sulle tecniche di rilevazione dei dati
dell'ISTAT e delle biblioteche nazionali, che possono anche seguire criteri
diversi.
I mancati arrivi di pubblicazioni che ogni anno le biblioteche devono
lamentare sono imputabili, come abbiamo detto, oltre che alla consegna non
regolare da parte degli uffici stampa delle Prefetture, alla scarsa possibilità di
intervento delle biblioteche quando cercano di ottenere i libri non arrivati con
lettere di reclamo.
I reclami fatti dalle biblioteche non riguardano le pubblicazioni
correnti, come è facile immaginare, ma sono presentati per quelle opere che
rivestono carattere di pregio, di rarità, di lusso e quindi di costo elevato. La
legge non viene molto in aiuto perché soprattutto non prevede (né del resto era
possibile quando fu fatta), tutte le forme con le quali queste pubblicazioni
possono apparire. Infatti spesso esse non sono in commercio per i canali
tradizionali ma solo per sottoscrizione, oppure si trovano nelle gallerie d'arte, o
sono vendute da bibliofili che stampano per conto proprio, per esempio con
torchi a mano o in edizioni ridottissime e vendono, si può dire in casa, ad un
giro assai ristretto e selezionato di compratori.
Né minori problemi hanno le biblioteche per recuperare le opere delle
quali la parte del testo è minima: spesso un solo foglio in una cartella editoriale,
oppure una poesia, un racconto che spesso servono solo a giustificare la
pubblicazione di una o più incisioni di artisti contemporanei. Nel migliore dei
casi in biblioteca arriva solo il testo dal tipografo e non il resto, perché di
quest'ultima parte della pubblicazione sono responsabili altri. Non basta,
evidentemente, che la legge 1939-45 preveda genericalmente (art. 4 e 9) che in
casi del genere debba sempre essere consegnata l'edizione integra e migliore e
che l'editore divenga responsabile della consegna quando la pubblicazione è
fatta da affine, e diverse in tempi diversi.
Altre difficoltà esistono per ottenere regolarmente la consegna delle
edizioni anastatiche. Queste oggi sono diffusissime in tutto il mondo, ma non
potevano prevedersi al momento della promulgazione della legge.
Dagli stampatori, in genere, vengono assimilate alle ristampe (art. 1 e 2
della Legge 1939-45) e, perciò, non consegnate.
Invece, nella grandissima maggioranza dei casi, sono vere e proprie
nuove edizioni. Perché spesso sono edite da case editrici diverse da quelle che
avevano curato l'opera originaria, oppure sono edizioni comparse dapprima
all'estero e poi in questa veste di « anastatiche » per la prima volta in Italia; o
sono arricchite da introduzioni o commenti non presenti nella prima veste
editoriale; oppure, infine, sono riproduzioni di opere antiche, per esempio degli
stati italiani pre-unitari, o di periodici
126
clandestini del periodo fascista e della Resistenza, per le quali l'accessione alle
biblioteche nazionali costituisce una primaria esigenza di documentazione e di
cultura, costringendo altrimenti detti istituti ad acquistarli sul mercato privato
(così è stato fatto, ad esempio, per i « reprint » di Feltrinelli).
Difficile è inoltre, per le biblioteche, ottenere, con questa legge, una
regolamentazione della consegna dei giornali e periodici e del materiale diverso
dal libro vero e proprio, il cosiddetto « materiale minore » (ad esempio:
dépliants, opuscoli, fogli sciolti, locandine, manifesti). Per regolarizzare la
consegna dei giornali da qualche tempo si è cercato di farli arrivare direttamente
in biblioteca come se fossero in abbonamento; invece il materiale minore arriva
ancora in discriminatamente, per cui si ricevono molte pubblicazioni irrilevanti
e non magari quegli opuscoli, o locandine, manifesti, pubblicità che potrebbero
avere un interesse valdo ai fini storici, artistici o di documentazione.
Rimangono infine quasi completamente fuori dalla consegna tutte le altre
forme di pubblicazioni diverse dal libro o che sono ad esso di sussidio. Se si fa
qualche eccezione per i libri con i dischi aggiunti (specialmente corsi di lingue),
tutte le altre realtà editoriali che oggi vanno acquistando sempre più spazio
sono fuori della giurisdizione della legge. Pensiamo, per esempio, agli
audio-visivi, alle diapositive, ai nastri, alle video-cassette e, ultimi usciti, gli
audio-libri.
Gli interventi per cambiare la legge
Di tutte le cose che abbiamo fin qui c'è sempre stata coscienza, ad onor
del vero, tra gli addetti ai lavori. E diversi sono stati gli interventi che da più
parti si sono mossi per cambiare le cose.
Al problema del diritto di stampa ha rivolto spesso la sua attenzione
l'Associazione, in diversi congressi annuali. Nel 1951, a Milano, Giorgio De
Gregori nella relazione « La legge per il deposito obbligatorio degli stampati »
poneva alcune osservazioni critiche, valide ancora oggi, sul funzionamento degli
uffici stampa delle Prefetture e proponeva lo schema di una nuova legge; nel
1962, a Sorrento, Alberto Giraldi, nel suo contributo sul « diritto di stampa » si
domandava se avesse « senso l'eventuale sussistere di una preoccupazione di
altro carattere, che non sia culturale, e se non si presenti l'occasione propizia di
far prevalere questa su tutte le altre considerazioni ». Concludeva con alcune
indicazioni che avrebbero dovuto ispirare una nuova legge che privilegiasse,
naturalmente, le biblioteche: consegna diretta di un numero minore di copie, da
parte dello stampatore, alla Biblioteca nazionale di Firenze incaricata di smistarle agli altri istituti; nel 1964 Angela Vinay, a Spoleto, nell'informare sui
lavori di una commissione di lavoro dell'associa-
127
zione, costituita con lo scopo di proporre conclusioni utili alla formazione di
una nuova legge, individua, dopo un esame puntuale della situazione, i problemi
essenziali e le possibilità realistiche di soluzione, ritenendo, riguardo al numero
delle pubblicazioni da consegnare, che « le tre copie destinate alle biblioteche
non hanno mai dato fastidio agli editori, sulla cui solidarietà si può anche
contare » mentre giudicava criticamente la consegna delle altre copie, essendo
venuti meno gli scopi censori della legge; circa i lunghi viaggi delle copie
d'obbligo, così concludeva: « ogni anno, dai venti ai trentamila volumi girano
l'Italia, dalle Procure ai Ministeri, da un Ministero all'altro, ogni volta
rimpacchettati, rielencati e fatalmente dispersi ».
Negli anni settanta comincia, poi, la storia degli interventi ufficiali, cioè
quelli voluti dall'amministrazione, per giungere a modificare la legge. Tali
interventi consistono nei lavori di due commissioni consultive interministeriali,
costituite a norma dell'art. 12 della legge 1939-45 presso la Presidenza del
Consiglio con la partecipazione dei rappresentanti di tutti i ministeri ritenuti
interessati al problema del diritto di stampa (Grazia e giustizia, Interni, Pubblica
istruzione ora Beni culturali, Finanze, Industria e Commercio). Le due
commissioni, nell'arco di tempo che va dal 1970 al 1976, hanno lavorato per
predisporre le modifiche ritenute necessarie alla legge attuale. La prima
commissione, fino al suo scioglimento nel 1973, causato dal pensionamento di
molti suoi componenti per la legge dell'esodo dei funzionari dello Stato, è
arrivata alla stesura di un articolato depositato alla fine all'ufficio legislativo della
Presidenza del Consiglio. Da qui, però, è partita la richiesta di un nuovo parere
consultivo e quindi è sembrato necessario costituire una seconda commissione,
istituita per gli anni 1974-76, che ha lavorato su questo testo per apportarvi
ulteriori parziali modifiche e rinviarlo nel febbraio 1975 all'ufficio legislativo
della Presidenza del Consiglio, dove ancora oggi - a quanto ci risulta - si trova.
Le modifiche che il primo e il secondo articolato delle due
commissioni propongono sono, in particolare:
- la consegna, sempre da parte dello stampatore, delle pubblicazioni
direttamente alle due biblioteche nazionali centrali di Roma e Firenze,
mentre per la terza biblioteca, quella della provincia, rimane il tramite
della Prefettura, dove il tipografo dovrà inviare anche una distinta con
indicazione dell'avvenuta consegna delle altre copie agli altri destinatari;
- l'indicazione che le edizioni anastatiche devono essere consegnate
secondo le modalità delle ristampe, quando siano già stati consegnati gli
esemplari dell'edizione originaria;
- la possibilità di esenzione dalla consegna per le pubblicazioni di pregio,
anche se non destinate al commercio ed in tiratura limitata, solo per gli
esemplari non destinati alle biblioteche;
128
-
l'aumento dell'ammenda per chi non consegna gli esemplari d'obbligo, in
proporzioni adeguate ai tempi.
Sono, come si vede, solo parziali modifiche ad un testo di legge che, nella
sostanza, rimane lo stesso. Per esempio, anche se propone di mutare il
meccanismo di consegna di alcune copie d'obbligo (le due alle biblioteche
nazionali centrali), resta - anche con le nuove proposte - l'obbligo ai tipografi di
consegnare troppe copie d'ogni pubblicazione, copie che - come abbiamo detto
- possono arrivare ad otto per ciascun volume.
Interventi autorevoli sui problemi globali dei beni culturali, interessanti
anche per noi a motivo di alcune considerazioni sulla consegna degli esemplari
d'obbligo, sono stati quelli delle due commissioni d'indagine, prima la
Franceschini e poi la Papaldo. Quest'ultima in particolare, oltre ad aver definito,
nello schema di legge sui beni culturali, quelli bibliotecari ed audiovisivi (capo V
dello schema), in un articolo (83) parla di obblighi di documentazione: « Gli
stampatori hanno l'obbligo di consegnare alle biblioteche, che saranno indicate
dall'amministrazione, tre esemplari di ogni stampato o pubblicazione prodotta,
entro trenta giorni dalla registrazione. Gli editori sono solidalmente obbligati
con gli stampatori. L'obbligo ha per oggetto qualunque stampato o
impressione, comunque ottenuta, comprese le ristampe anastatiche, con tutti gli
allegati di qualsiasi natura e i prodotti sonori o visivi che vi siano uniti ».
Nel momento attuale, infine, in cui più aperto (almeno noi lo speriamo
ancora) e vivace è il dibattito per il decentramento alle Regioni del settore dei
beni culturali, una delle sottocommissioni in cui si è suddivisa la commissione
Giannini sul decentramento circa le linee programmatiche del passaggio di
funzioni fino accentrate dallo Stato alle Regioni, s'è occupata in particolare delle
competenze regionali in materia di musei e di biblioteche. Questa
sottocommissione, nota come Predieri, ha preparato nella sua relazione, rimasta
poi in minoranza nella fase finale dei lavori dell'intera commissione, uno
schema di legge che propone tra l'altro una soluzione per la consegna degli
esemplari d'obbligo. Non è forse la soluzione ideale, perché l'ipotesi che si fa è
ancora abbastanza legata allo schema vecchio della legge attuale. Nell'art. 5 di
questo schema di legge del 1976 si dice: « Sono trasferite alle Regioni a statuto
ordinario tutte le funzioni amministrative concernenti la consegna obbligatoria
di esemplari degli stampati e delle pubblicazioni, esercitate dagli organi centrali
e periferici dello Stato. Le Regioni garantiscono la trasmissione di un esemplare
degli stampati e delle pubblicazioni alla Procura della Repubblica avente
giurisdizione sul territorio dove ha sede l'officina grafica stampatrice, alle
biblioteche nazionali centrali di Firenze e di Roma ed al Ministero per i beni
culturali e ambientali per il Servizio d'in
129
formazioni bibliografiche, nonché alla biblioteca del capoluogo di provincia ove
ha sede l'officina grafica ».
Oltre a questi interventi a carattere ufficiale abbiamo notizia che, anche
a livello parlamentare, qualche cosa si sta muovendo. Infatti esiste già un
progetto di legge del Partito Comunista Italiano sul deposito obbligatorio degli
stampati e delle opere grafiche, di imminente presentazione.
Tale progetto mette in risalto solo lo scopo culturale del deposito
obbligatorio, cioè mira a togliere alla legge del 1939-45 ogni altra finalità, nella
convinzione che essa debba soltanto operare per ottenere la costituzione di un
archivio delle pubblicazioni italiane a livello centrale (biblioteche nazionali) e a
livello decentrato (biblioteche nella provincia). Lo stesso progetto di legge cerca
di prevedere, non solo la consegna di ogni tipo di pubblicazione, ma anche
quella di due esemplari di opere grafiche, destinati alla Calcografia nazionale e ai
musei locali; riduce inoltre il numero degli esemplari da consegnare solo a tre
per le biblioteche, cioè solo quelli necessari ai fini della legge.
Ci sembra che ad ispirare la legge sia stata una valutazione concreta del
momento di crisi editoriale che stiamo attraversando, riflesso della generale crisi
economica, per cui nella legge scompare l'atteggiamento fiscale nei riguardi
degli editori. D'altra parte si pone fine ad una concezione della cultura e del
libro che potremmo dire « assistenziale » poiché finora si tendeva a pensare che
più copie lo stato otteneva d'un libro, più poteva beneficare i suoi organismi
(parlamento, CNR, presidenza del Consiglio, biblioteca del ministero di
giustizia, carceri ecc.).
Altra caratteristica di questo progetto di legge è il trasferimento
dell'obbligo della consegna dal tipografo all'editore ad eccezione dei casi in cui
l'editore manchi e per i quali l'obbligo è lasciato al tipografo.
Proposte
Quanto fin qui abbiamo esposto è il risultato di una indagine che
abbiamo esteso ai vari aspetti del diritto di stampa, dalla situazione di fatto della
consegna delle copie d'obbligo e delle facoltà che incontra fino agli ultimi
aggiornamenti in sede di revisione legislativa.
Le conclusioni che ora vorremmo trarne hanno il fine di offrire al
dibattito alcune proposte concrete che, dopo aver chiarito a noi stessi gli
obiettivi che vogliamo raggiungere, possano tradursi in indicazioni precise per
una nuova legge che ormai ci sembra irrinunciabile e improrogabile e che dovrà
inserirsi, in seguito, nel quadro più vasto della normativa sulla tutela dei beni
culturali. Cercando perciò di sintetizzare
130
tutti gli spunti che sono emersi da quest'indagine, vorremmo indicare quanto
segue:
la legge deve avere solo uno scopo culturale che è, essenzialmente, quello
di costituire l'archivio delle pubblicazioni che si stampano in Italia; tale
archivio sarà poi utilizzato dalle due biblioteche nazionali centrali e dalle
biblioteche delle province unicamente a fini di conservazione, prima, e di
documentazione e informazione poi, con i sistemi e i mezzi che più
saranno giudicati adatti e responsabili. La consegna in Italia alle due
biblioteche nazionali centrali è legata, come tutti sappiamo, a ragioni
storiche e deve perciò prevedersi una migliore utilizzazione di queste due
copie, affidando compiti precisi di archivio alla Biblioteca nazionale di
Roma (con l'indicazione dell'uso e dei servizi da erogare con questa copia)
e la compilazione della bibliografia nazionale (come del resto già avviene)
alla Biblioteca nazionale di Firenze.
Più accurata dovrà inoltre essere la scelta della terza biblioteca nella
provincia, perché l'elenco attuale, stabilito con decreto ministeriale, indica
alcuni istituti come ad esempio le biblioteche universitarie che con la copia
del diritto di stampa rischiano talvolta di snaturare i loro fondi e i loro
servizi;
la legge deve pretendere la consegna di un numero di copie limitato (tre o
quattro al massimo) solo per quegli istituti che assolvono i compiti fissati
dalla legge stessa; ciò per por fine al caos in cui oggi viviamo, della
distribuzione libraria che grava in maniera notevole sugli editori. La legge
deve prevedere inoltre che la consegna degli esemplari d'obbligo sia fatta
direttamente agli istituti depositari dall'editore, cioè da colui che risponde
commercialmente dell'opera, che la mette in vendita nei modi e nei tempi
da lui stesso voluti. Per questa consegna, di cui dev'essere chiaro all'editore
il fine puramente culturale (che implica pur sempre una certa pubblicità
per la casa editrice) dovrebbe essere richiesta una scadenza periodica,
esattamente fissata, per gli invii delle pubblicazioni ed essere concessa una
riduzione delle tariffe di spedizione, se non addirittura la spedizione
gratuita;
il materiale bibliografico soggetto a consegna deve essere bene
individuato, né si potrà più lasciare spazio a varie possibilità
d'interpretazione delle norme di legge. Le precisazioni sono maggiormente
necessarie, come abbi-amo visto, per le pubblicazioni rare, di pregio e
d'arte, per le edizioni anastatiche, per il materiale diverso dal libro (dischi,
diapositive, ecc.) per il cosiddetto « materiale minore », per il quale si
dovrà decidere infine se sia migliore l'ipotesi di una selezione prima o
dopo la consegna.
131
NATURA E FORMAZIONE
DELL'ARCHIVIO NAZIONALE DEL LIBRO
DIEGO MALTESE
Probabilmente devo l'invito dell'AIB a parlare dell'archivio nazionale
del libro - natura e formazione - ad un mio vecchio articolo sul Bollettino
d'informazioni, in cui, credo per la prima volta in Italia, se ne parlava, traendo
occasione da una recente pubblicazione celebrativa per la nuova sede della
Deutsche Bibliothek di Francoforte. Nello scrivere quell'articolo pensavo, in
maniera più o meno esplicita e trasparente, alla Biblioteca nazionale centrale di
Firenze, in cui ravvisavo - e ravviso ancora -, appunto, il nostro archivio
nazionale del libro. Erano, quelli, anni in cui cominciavo a riflettere su certi
temi che mi hanno poi sempre accompagnato fino ad oggi: il sistema
bibliotecario italiano, la posizione e i compiti della Nazionale fiorentina al suo
interni, la Biblioteca come archivio e la ridefinizione delle sue strutture e dei
suoi servizi in funzione di tale compito, l'uso pubblico di tale archivio. Quegli
spunti di riflessione devono in qualche modo aver trovato una strada, tra
reazioni e consensi, se oggi ci ritroviamo a parlarne in un convegno
dell'associazioni professionale per verificarne la validità e l'attualità. Certo, le
biblioteche italiane sono ancora ben lontane dall'immagine di un sistema, la
Nazionale di Firenze non riesce a risollevarsi da un disastro che ha messo
brutalmente a nudo la fragilità delle sue strutture e più in generale l'assenza di
una politica delle biblioteche, che ha finito per soffocare anche il generoso
moto di riscatto degli anni - immediatamente successivi all'alluvione.
La funzione di archivio o, più esattamente, di raccolta centralizzata
della produzione letteraria nazionale (questa è l'espressione usata) figurava già al
primo posto, tra le funzioni essenziali di una biblioteca nazionale, nel
cosiddetto « rapporto Humphreys », il documento presentato alla sessione di
Roma del 1964 del Consiglio generale della FIAB, « La biblioteca nazionale di
un paese - vi si leggeva - mira soprattutto a raccogliere la produzione letteraria
nazionale ».
Vedremo più avanti di tornare su quest'assunto per meglio definirlo.
Ma intanto possiamo osservare che le due biblioteche nazionali centrali del
nostro paese hanno appunto questo com-
____________________
Relazione al XXVII Congresso - Arezzo, 9-12 giugno 1977.
132
pito per la produzione libraria corrente, in forza della legge sulla consegna
obbligatoria degli stampati. Poiché in genere si riconosce l'opportunità che la
biblioteca nazionale di un paese abbia di ogni pubblicazione due o anche tre
esemplari, di cui uno destinato alla conservazione e l'altro (o gli altri) alla
circolazione, parrebbe logico supporre che le nostre due biblioteche centrali si
dividano i compiti in una visione integrata. La Nazionale di Roma, alla quale
peraltro sembra potersi meglio attribuire, genericamente parlando, una
vocazione - e anche una più concreta disponibilità - alla gestione di un certo
tipo di servizi centrali, dovrebbe assumersi il compito della circolazione del
libro soprattutto attraverso il prestito, sia pure con le limitazioni di una
biblioteca nazionale (per esempio quando il libro non è disponibile, o non è
facilmente disponibile, presso un'altra biblioteca), mentre l'esemplare della
Nazionale di Firenze andrebbe ad integrarsi nell'archivio nazionale del libro, il
che non ne esclude l'uso, come avviene appunto di un documento d'archivio,
che è un bene culturale di cui fruire, ma nello stesso tempo da sottrarre a
qualsiasi forma di degradazione o alterazione anche funzionale.
In effetti alla funzione di archivio nazionale del libro, naturalmente per
le raccolte che rientrano in tale definizione, sembra avere maggiore titolo,
storicamente, la Nazionale di Firenze: in quale altra biblioteca italiana la cultura
del paese è rappresentata in maniera così ricca, così continua, pressoché senza
lacune, come nella Nazionale di Firenze? Certo, si tratta di una continuità non
intenzionale, da ricuperare sul piano storico, e mi auguro che qualcuno ne studi
il meccanismo e le motivazioni. Si vedrebbe allora che la continuità diacronica è
fatta in larga parte, significativamente, di sincroniche compresenze: la raccolta
Palatina, che è depositaria del diritto di stampa già con Gian Gastone dei
Medici, in aggiunta alle ricchissime, precedenti consistenze gentilizie; la
Magliabechiana, in cui la curiosità di un erudito sei-settecentesco ha raccolto i
documenti di mezzo millennio di storia: una libreria che testimonia nei fatti il
passaggio da curiosità cosmopolitica a vicenda nazionale, nel filone della
supremazia della tradizione toscana come elemento di egemonia e unificazione
culturale; i fondi dei conventi soppressi, raggruppati - ma non organicamente quelli manoscritti, fusi e dispersi nei magazzini gli stampati: ancora un
elemento, questo, di continuità, ben più rilevante del precedente, in quanto non
testimonia solo del passaggio da istituzioni preunitarie a strutture dello stato
nazionale (come è avvenuto in altre capitali di antichi stati italiani), ma del
processo di integrazione nel tessuto nazionale della maggior tradizione
culturale, quella appunto toscana.
Se passiamo in rassegna, sia pure fugacemente, i fondi della Nazionale
di Firenze, per provarne da una parte la corri
133
spondenza contenutistica al modello, in proiezione, di un archivio nazionale del
libro, dall'atra l'idoneità a tale modello in quanto piattaforma funzionale
sufficientemente definita, la risposta è largamente positiva. Dal primo punto di
vista, infatti, l'ampiezza delle raccolte manoscritte e la loro qualità attribuiscono
alla Nazionale di Firenze, per il capo storico-letterario, la posizione occupata da
Laurenziana e Marciana (a parte la Vaticana) per gli studi classici. Già
basterebbe a dimostrarlo la rassegna che ne fa Domenico Fava; è opportuno
però ricordare - come tappe ad essa successive - il contributo di codici della
Biblioteca alla mostra di codici romanzi (1956-57), alla mostra del centenario
dantesco (1965), alla mostra per il centenario di Boccaccio (1975), per quanto
concerne la carta storico-letteraria del Due-Trecento. Si faccia mente, poi, al
contributo alla mostra del Poliziano (1954) e a quanto è oggetto delle ricerche
di Eugenio Garin in L'umanesimo italiano e Medio Evo e Rinascimento nel decennio
1950-1960 (a tacere dei contributi successivi), nonché delle ricerche di
Kristeller, Baron, Vasoli e altri per quanto concerne la problematica
umanistico-rinascimentale. Il nucleo di autografi machiavelliani, gli autografi
Varchi, la recente acquisizione delle carte Michelozzi, le carte di Filippo Sassetti,
la documentazione pressoché completa della lirica nelle sue fonti manoscritte
danno rilievo alla presenza del Cinquecento, mentre per il Seicento l'innesto
della cultura scientifica è documentato dal fondo galileiano e dalle carte di
provenienza delle accademie. L'universalità del carteggio Magliabechi, le carte di
Giacomo Leopardi, G. B. Niccolini, N. Tommaseo, G. Capponi, G. Giusti, G.
Pieraccini, U.Ojetti (per fare una rapida rassegna, ad accertare una pura
continuità cronologica) sono radicate testimonianze della capacità di
aggregazione del magazzino dei manoscritti della Nazionale. Il fondo
conventuale, cui la compattezza d'origine attribuisce una saldezza di fisionomia
che ha sfidato gli smembramenti, testimonia per suo conto la continuità nel
tempo della produzione culturale della più importante tradizione istituzionale
pre-unitaria.
Per quanto concerne i libri a stampa, la loro corrispondenza
contenutistica all'assunto sarebbe garantita già dal solo fatto che i fondi antichi
che li contengono sono per lo più complementari, funzionali, alla tradizione
rappresentata nei fondi manoscritti. Delle opere conosciute come stampate a
Firenze nel Quattrocento fu fatto una volta il calcolo che mancavano assai
pochi esemplari ad una rappresentatività completa. Notevole il contributo della
Biblioteca alle occasioni celebrative prima ricordate anche nel campo degli
stampati, ricca la documentazione dell'erudizione cinquecentesca in generale,
ben rappresentata anche per i secoli successivi: ma la raccolta nel suo
complesso risente in parte di una politica di acquisizione retro-
134
spettiva che non è stata lineare nel tempo. Quanto all'Ottocento, il travaglio
dell'unificazione è stato disastroso, perché è mancata una fusione armonica
delle competenze pre-unitarie con il nuovo modello di infrastrutture di uno
stato nazionale. Se si aggiunge il dilettantismo delle classi post-unitarie, unito ad
un entusiasmo organizzativo sovente mal riposto, si ha il quadro della
documentazione che la Biblioteca può offrire dell'Ottocento: enorme, perché
enorme fu la produzione libraria del secolo della rivoluzione industriale,
epperò male ordinata, mal catalogata, sostanzialmente mal conosciuta.
Qui in particolare il richiamo all'esigenza di un archivio nazionale del libro ha
valore di modello più che di contenuto. La storia del rapporto
Ottocento-Novecento
rientra
nella
problematica
del
rapporto
Bollettino-Bibliografia, e non occorre qui toccarne.
Per quanto riguarda il secondo punto, dell'idoneità delle raccolte della
Nazionale di Firenze al modello di un archivio nazionale del libro, per il passato
la risposta al quesito appare affidata alla determinazione del loro spessore
storico. Quanto ai manoscritti, è impressionante il livello di stratificazione
raggiunto. E’ stato possibile contare, oltre ai cataloghi già noti, non meno di
cento cataloghi di antiche biblioteche in tutto o in parte confluite nella
Nazionale, che si sommano a quelli della classe X dei manoscritti
magliabechiani, occupata per intero da cataloghi librari e spogli bibliografici. Il
valore della documentazione di stratificazioni preesistenti alla data storica di
costituzione delle raccolte librarie sembra ovvio. Se consideriamo, passando al
libro a stampa, che su questo complesso di fattori si innestano da Gian
Gastone in poi i provvedimenti legislativi di attuazione dell'obbligo (pur con
tutti i limiti storici per il passato, amministrativi per il presente, che non è il
caso qui di richiamare) si può ritenere che il quadro delle raccolte, nel suo
complesso, sia predisposto a svolgere la funzione a cui ci riferiamo, di archivio
nazionale. Quando poi diciamo che in nessun'altra biblioteca la cultura del
paese è rappresentata come nella Nazionale di Firenze. non vogliamo tanto fare
una constatazione statistica, che le sue raccolte librarie sono le più ampie in
Italia, quanto riferirci al significato della stratificazione nel tempo di tali
raccolte, che offre una sincronia storica singolarmente complessa e ricca di
spessore.
Ma perché l'archivio nazionale del libro e cosa significa esattamente
conservare il libro come un documento unico?
Oltre che supporto di una comunicazione scritta il libro costituisce di
per sé, nella sua oggettività - vale a dire come oggetto tridimensionale -, il
prodotto di una tradizione, di una cultura, di un gusto e anche come tale, cioè
in quanto bene culturale portatore di una testimonianza complessa, deve
esserne conservato almeno un esemplare.
135
Il concetto di conservazione, su questo punto ormai si è tutti
d'accordo, è indissolubile da quello di fruizione: un bene culturale che fosse
sottratto alla fruizione, cioè alla conoscenza, non sarebbe più neanche un bene.
Come i documenti archivistica i in un archivio, le opere conservate in un
museo, i cimeli di una raccolta storica, i monumenti e le testimonianze
archeologiche nel loro contesto ambientale, così gli esemplari destinati
all'archivio nazionale del libro sono conservati certamente per l'uso, per lo
studio, per la fuizione, ma in un modo che può risultare diverso, sotto certi
aspetti, in confronto alle altre biblioteche, in cui la conservazione,
eventualmente, si rivolge piuttosto a prolungarne l'uso come supporti di
contenuti informazionali invece che alla globalità dei riferimenti culturali che
recano con sé nel momento in cui vengono prodotti, in modo da renderne
possibile la « lettura » a tutti i livelli.
Certo, è difficile far capire al pubblico - ma non soltanto al pubblico - il
carattere particolare dell'archivio nazionale del libro, in che cosa differisce da
una biblioteca, tanto più se la biblioteca convive con l'archivio, se le due
funzioni sono strettamente e forse inestricabilmente intrecciate. Il pubblico
capisce che un archivio è un archivio, che le stampe conservate presso il
Gabinetto nazionale delle stampe hanno una funzione diversa dagli esemplari
che può anche trovare sul mercato e tenere in casa propria, persino che è giusto
che la Discoteca di Stato conservi un esemplare di tutte le registrazioni sonore,
di un bene, cioè, di così largo consumo, quasi quanto il libro. Il pubblico
accetta anche che in una biblioteca l'uso di certi « pezzi » sia circondato da
particolari cautele, che per una certa biblioteca, per l'evidente unità storica delle
sue raccolte, vengano poste certe limitazioni all'uso pubblico, ma non che
queste limitazioni si estendano alle accessioni più recenti di una ricca e grande,
e quindi comoda, biblioteca centrale, per il suo carattere, come gli vien spiegato,
di archivio nazionale del libro. Perché c'è anche questo da dire, che per lo
stretto intreccio a cui si accennava, tra funzione di archivio e « normali » servizi
di biblioteca, anche questi ultimi vanno collocati in un contesto unitario,
coerente. La funzione di archivio nazionale del libro finisce col coinvolgere, in
qualche misura, anche il materiale librario che propriamente non ne costituisce
l'oggetto e la giustificazione e tutti i servizi della biblioteca-archivio, anche quelli
che sembrano avere il loro preciso equivalente nelle altre biblioteche, sono in
realtà diversarnente finalizzati, se non addirittura differentemente organizzati.
Prendiamo, per esempio, il servizio e le procedure di accessionamento.
Qualsiasi biblioteca ha qualcosa del genere e lo scopo è soprattutto quello di
giungere all'accertamento e alla documentazione della proprietà del materiale
librario. Nella biblioteca-archivio questo servizio ha
136
invece soprattutto il compito di accertare che l'archivio stesso viene
costruendosi senza lacune e senza ritardi e che le fonti di cui l'archivio raccoglie
l'attività versino regolarmente. Procedure di accessionamento che si
preoccupano di individuare ed evidenziare soltanto gli uffici, nel nostro caso di
regola le prefetture, attraverso cui affluisce questo fiume incessante di
testimonianze di una cultura, poveri e ormai inutili strumenti di un evento di
grande portata spirituale che si celebra ogni giorno, e non piuttosto i punti e le
fonti di cui nasce questo fiume, sono inadeguate o addirittura sbagliate. Le
procedure di accessionamento dovranno dunque essere organizzate in modo da
consentire anche la documentazione e il controllo bibliografico (non fiscale!)
dell'attività degli editori e degli stampatori le cui pubblicazioni sono d'interesse
per l'archivio del libro. Presso la biblioteca dovrebbe essere istituito uno
schedario per editori (o stampatori) come esiste in biblioteche nazionali di altri
paesi. Forse basterebbe integrare lo schedario già esistente delle collezioni,
registrando su schede a parte le pubblicazioni di un editore che non rientrano
in una serie.
L'archivio nazionale si alimenta con il materiale bibliografico che ad
esso perviene per legge. Non ho intenzione di fermarmi sulle deficienze della
legge per la consegna obbligatoria degli stampati: tutti sanno che andrebbe
modificata e tutti, più o meno, si augurano che venga modificata in modo che
sia assicurata la tempestività e la completezza dell'informazione. Ma non è su
questo che desidero fermarmi, quanto sull'identificazione di che cosa debba
concorrere a formare l'archivio nazionale del libro. Biblioteche nazionali di altri
paesi hanno il compito di raccogliere non soltanto quanto si stampa o si
pubblica nel paese, ma anche la letteratura nazionale all'estero, attraverso
acquisti sistematici. Mi sembra che anche da noi dovremmo cominciare ad
occuparci di questa importante documentazione della cultura nazionale,
acquistando tutto quello che all'estero si pubblica, in italiano.
Con questo siamo venuti a toccare un altro degli aspetti per cui la
biblioteca-archivio in qualche modo si differenzia da altre biblioteche. Diciamo,
piuttosto, che un servizio comune, quello degli acquisti, nella
biblioteca-archivio ha un contenuto e un oggetto specifici. Interesse prioritario
della biblioteca-archivio è che l'archivio stesso sia completo. Di qui la necessità,
a mio parere, di acquistare sul mercato sia quanto è di pertinenza dell'archivio e
per qualsiasi ragione non sia pervenuto per legge, sia quanto viene ad arricchire
la parte retrospettiva dell'archivio stesso. Gli studiosi devono potersi rivolgere
alla biblioteca con la ragionevole attesa di trovarvi quanto rientra negli scopi
dell'archivio. E di trovarlo sempre in sede. Il materiale bibliografico che
appartiene all'archivio solo eccezional-
137
mente può essere dato in prestito e in ogni caso sempre presso un'altra
biblioteca e con tutte le cautele che si convengono a pezzi unici.
A questo punto mi pare giusto domandarci se all'archivio nazionale del
libro debba essere destinato letteralmente tutto quello che si stampa nel paese.
Non ne sono del tutto sicuro. Penso che l'archivio nazionale del libro non
abbia il compito di raccogliere tutti i prodotti della stampa, proprio perché non
ogni prodotto della stampa è un libro (naturalmente nell'accezione più vasta
possibile). Con ciò non escludo che possa e debba esserci un interesse a
conservare una documentazione organica di prodotti della grafica che non
siano libri: mi chiedo soltanto se debba continuare ad essere la biblioteca a
conservarli e non archivi più specifici, come l'istituto nazionale per la grafica, la
Discoteca di Stato, l'istituto geografico militare. Tra l'altro spesso si tratta di
materiale che la biblioteca non è in grado di trattare né dal punto di vista
bibliotecario né dal punto di vista bibliografico e di conseguenza si limita a
conservare secondo un ordinamento più o meno grossolano. In questo senso
andrebbe riveduta la legge sulla consegna obbligatoria degli stampati, anche se
non ignoro che si tratta di problema non facile. Tuttavia non dovrebbe essere
impossibile, se alla base della nuova normativa si ponesse finalmente, senza
equivoci, il nesso della finalità della conservazione con quello della documentazione bibliografica: sono destinati all'archivio nazionale (e all'archivio locale) del
libro quei prodotti della stampa che possono e devono essere soggetti al
sistema nazionale di controllo bibliografico (bibliografia nazionale ed eventuali
altri strumenti).
Un'altra delimitazione da tentare, secondo me, riguarda il materiale librario
d'interesse locale. Dovrebbero essere lasciati a biblioteche locali (regionali) il
compito e la responsabilità del relativo controllo bibliografico.
L'archivio nazionale del libro - appare evidente da quanto si è finora detto
ed è riconosciuto in documenti sulle funzioni delle biblioteche nazionali
elaborati a livello internazionale - in un sistema informativo costituisce la
principale fonte dell'informazione disseminata, per quanto concerne la
bibliografia nazionale retrospettiva e, soprattutto, corrente. La Nazionale di
Firenze. com'è noto, assolve sin dal 1886 il compito d'informare sulla
bibliografia nazionale corrente e dal 1975 le informazioni catalografiche sono
archiviate su nastro magnetico, strutturate secondo standard accettati dal
programma di « controllo bibliografico universale »: una scelta, questa, che ne
permetterà il ricupero in una rete policentrica in via di sviluppo sul piano
internazionale.
La Nazionale di Firenze, peraltro, in quanto archivio del libro italiano e,
più in generale, in quanto rappresenta la più
138
grossa libreria del paese, costituisce un punto di riferimenti importante,
fondamentale, anche se non unico, per informazioni di carattere retrospettivo.
L'informazione sull'archivio nazionale del libro è, per la biblioteca che con
esso si identifica, responsabilità istituzionale e compito primario. La
biblioteca-archivio è soprattutto officina di informazioni bibliografiche,
produce strumenti del controllo bibliografico nazionale. Abbiamo accennato a
qualcuna delle conseguenze di questo impegno sull'organizzazione e la filosofia
dei suoi servizi, ma molte altre se ne potrebbero ricordare e immaginare, per
esempio sulla collocazione del materiale librario nei magazzini o sull'ufficio
reclami, un servizio che dovrebbe essere finalizzato al controllo costante e,
direi, preventivo di ciò che manca all'archivio, senza le assurde attenzioni per i
libri di maggior costo. Anche il personale addetto all'archivio del libro dovrebbe
essere, almeno in parte, diverso, con una diversa sensibilità e preparazione, che
si forma sul posto. Ma non vorrei chiudere senza accennare almeno al
laboratorio di restauro, che in contesto acquista, direi per forza, una funzione e
una responsabilità specifiche, proiezione dei suoi compiti istituzionali di
conservazione. Abbiamo già accennato alla necessità di tutelare, per quanto è
possibile, gli esemplari dell'archivio nazionale del libro da alterazioni anche
funzionali. Questo significa, per limitarci agli aspetti pratici della tutela
dall'usura, dalla degradazione e dalla distruzione de materiale che appartiene
all'archivio, che si deve fare quanto è possibile perché non si arrivi alle
mutilazioni della rilegatura da bottega e questo può essere garantito solo dal
laboratorio dell'archivio stesso, un laboratorio che sia responsabile della
conservazione di tutte le raccolte della biblioteca-archivio, di per sé un bene
culturale irripetibile.
DIEGO MALTESE
Ringrazio Piero Innocenti per avermi messo cortesemente a
disposizione la sua profonda e acuta conoscenza della storia della Nazionale di
Firenze.
*
_______________________
L'articolo ricordato in apertura è Bibliografia, commercio librario e archivio nazionale del
libro, in « Associazione Italiana Biblioteche. Bollettino d'informazioni », 3 (1963), pp.
84-89; sono tornato sull'argomento in un contributo al volume Informazione e gestione
bibliotecaria, Roma, [1977] (« Informatica & documentazione »; suppl. n. 4), alle pp. 9-11;
La Nazionale di Firenze nel sistema bibliotecario. La miscellanea per la Deutsche Bibliothek è
Bibliographie und Buchhandel, Frankfurt a/M, 1959. Per il « rapporto Hurnphreys » 2
rapporto Humphreysvedi K. W. Humphreys, The róle of the natìonal library: a
preliminary statement, in « Libri », 14 (1964), pp. 356-368 e, dello stesso, Les fonetions
d'une bibliothèque nationale, in « ulletìn de l'Unesco à l'intention des bibliothèques », 20
(1966), pp. 170-183. L'opera di D. Fava è, naturalmente, La Biblioteca Nazionale Centrale
di Firenze e le sue insignì raccolte, Milano, 1939.
139
NATURA E FORMAZIONE
DEGLI
ARCHIVI BIBLIOGRAFICI REGIONALI
E. BERTAZZONI
PREMESSA
L'orizzonte entro cui muovere i passi della presente ricerca è
correttamente delineato dal tema proposto, ove per natura si intenda il materiale
librario proprio degli Archivi Regionali, e per formazione, la struttura
scientificamente architettata ed in grado di consentire un corretto uso da parte
di tutti gli utenti del materiale stesso.
Il servizio bibliotecario è parte fondamentale della organizzazione
sociale e ci sembra doveroso un richiamo, non solo formale, dell'articolo tre
della Costituzione Repubblicana.
Il materiale librario, questo grosso iceberg di cui siamo soliti
intravvedere, come bibliotecari, una o più punte, mentre la gran massa resta
sotto la linea di galleggiamento, se considerato nel complesso della produzione
mondiale, ha dimensioni spropositate e tali da richiedere interventi
sopranazionali, quali: il programma MARC della Library of Congress, che raccoglie
tutta la produzione di lingua inglese e gran parte di quella mondiale1 o i servizi
garantiti dalla British Library Lending Division, che raccoglie la quasi totalità della
letteratura mondiale periodica e non2 .
Le risorse documentarie italiane ed estere, intese come incremento
costante del patrimonio delle nostre biblioteche, sono notevoli. Si può con
tranquillità dire che comperiamo molto e spesso in più copie all'interno di
strutture contigue 3.
_____________________
Relazione tenuta al XXVIII Congresso, Arezzo, 9-12 giugno 1977.
1 Per la disponibilità on-line del MARC della Library of Congress e della Biblioteca
Nazionale Italiana, rinviamo al Convegno LLAP tenutosi, a Milano il 18 marzo 1977
presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore, ed organizzato dal Consorzio
Interuniversitario Lombardo per l'Elaborazione Automatica. Si veda anche ALFONSI,
D. et al. « La struttura di un sistema informativo per un servizio di documentazione
scientifica », Roma, Accademia dei Lincei, 1976, e GERVASI, M.: « Dimostrazione di
uso di banche di dati bibliografici accessibili da Terminale », A.I.B., Bollettino
d'informazioni, 16, 4, 417-421, 1976.
2 La BLLD fa servizio di prestito nazionale ed internazionale per tutte le pubblicazioni
non periodiche e servizio di duplicazione per la letteratura periodica. Un pieghevole
illustrativo dei servizi, in lingua italiana, è disponibile presso i British Councils di Roma
e Milano.
3 VIGINI GIULIANO: « Informazione bibliografica -e servizio biblioteca-
140
Mancano purtroppo gli strumenti informativi ed organizzativi, per cui
l'utente trova con difficoltà quanto va cercando, in modi semplici e tempi brevi.
Il nostro obiettivo è tra l'altro quello di suggerire alcuni servizi che possono
ovviare a quanto sin qui evidenziato.
La produzione nazionale, raccolta per Deposito obbligatorio degli
stampati, opportunamente integrato e corretto, e selezionata secondo le norme
proprie della Bibliografia Nazionale Italiana (B.N.I.), norme a loro volta orientate
al rispetto delle raccomandazioni IFLA, trova una sua sistemazione
nell'Archivio Nazionale.
La validità di tale Archivio è tuttavia positivamente riscontrabile nella serie
di servizi (bibliografie a stampa, a schede, automatizzate ed on-line, secondo lo
schema MARC modificato della Library of Congress) e quindi disponibili per una
serie di servizi, tra cui il recupero di bibliografie per argomenti in sequenza
logica (Information Retrieval). Questi servizi, se correttamente utilizzati,
possono risolvere molti problemi tecnico-organizzativi delle singole biblioteche
e consentire la costruzione razionale di Archivi Regionali.
Posto che il MARC della B.N.I. e della Library of Congress sia entro breve
tempo disponibile nella forma on-line, almeno in un punto per ogni Regione, la
competenza degli Archivi Regionali è da intendersi come controllo della
produzione regionale, in collaborazione con la B.N.I., per la pubblicistica maggiore e come raccolto ed elaborazione bibliografica per quanto non rientra o
sfugge a tale servizio. Competenza dell'Archivio Regionale sarà inoltre il
controllo del materiale librario italiano ed estero, comunque acquisito dalle
biblioteche che compongono il Servizio Bibliotecario Regionale.
Questa prima individuazione delle risorse regionali richiede uno studio
specifico dei singoli aspetti, al fine di rendere realizzabile non solo il controllo,
ma effettiva la disponibilità stessa delle pubblicazioni collezionate.
_______________
rio - L'esperienza della Lombardia » Giornale della Libreria, 3, 63-65, 1977. Si tratta di
una prima nota sul Convegno « Sviluppo culturale e biblioteche a Milano », tenutosi a
Milano il 3-5 marzo 1977. Riportiamo qui un passaggio in cui viene chiaramente
evidenziato quanto da noi sostenuto: « ... Da recenti indagini statistiche risulta anzitutto che in
Lombardia esistono 3396 biblioteche, di cui 930 sono comunali, 1382 scolastiche e universitarie, 1084
di vari enti e aziende private. Nella provincia di Milano le biblioteche sono 1210 e di queste circa 600
si trovano nella città di Milano. Il patrimonio posseduto è immenso: in 2400 biblioteche sono stati
censiti 18 milioni di volumi e in 1600 biblioteche 90.000 abbonamenti a periodici. Si calcola che i
periodici correnti siano valutabili intorno a 25.000 testate diverse ».
141
L'ARCHIVIO BIBLIOGRAFICO REGIONALE
Premessa per un servizio bibliotecario integrato per aree omogenee di utenza.
L'esplosione della produzione letteraria, sia umanistica che scientifica, il
cui inizio si colloca intorno agli anni '60, si basa su elementi esterni, quali: un
forte aumento delle disponibilità finanziarie e produttive in generale, ma anche
dell'industria editoriale, ed un più elevato livello di scolarizzazione con
susseguente crescita di domanda culturale, ed interni quali le tecniche di
duplicazione (offset, fotocopiatura, microfilmatura, fotoincisione, ecc.), le
sofisticate fonti bibliografiche a stampa, e la loro trasformazione in banche-dati
automatizzate. La nostra opinione, circa questo fenomeno, proprio della civiltà
industriale, è che siamo orientati e ci stiamo orientando sempre più verso una
società in grado di determinare una espansione generalizzata della creatività
intellettuale dell'uomo4.
Lo spazio culturale entro cui muoverci è quello che da sempre ha
caratterizzato il lavoro del bibliotecario, e cioè adoperarsi in tutti i modi
affinché l'informazione, prodotto dello uomo, sua memoria affidata alla storia,
non resti chiusa nelle pagine di un libro, ma possa sempre essere recuperata
dall'Utente, che, con la lettura, la evoca, da informazione comunicata in potenza
all'atto.
Aree di utenza
Il Servizio Bibliotecario Regionale, con tutti i limiti delle
schematizzazioni, può e deve essere organizzato intorno a grandi aree di utenza,
affini per interessi e diversificate per domanda di servizi.
Con forte approssimazione si possono distinguere due aree di interessi:
l'area della formazione e dell'educazione permanente, dove la biblioteca è
chiamata, con servizi differenziati, a rendere effettiva l'uguaglianza del diritto
allo studio, consentendo l'accesso al libro, ed a promuovere la cultura ed ancora
l'area della professione e della ricerca umanistica e scientifica, dove la biblioteca
è chiamata a rispondere con mezzi adeguati alla domanda di documentazione
ed a garantire sia il recupero della informazione bibliografica, sia il recupero del
documento, dovunque e comunque reperibile5.
___________________
«Verso una società dell'Informazione. Il caso giapponese», Milano, Edizioni di
Comunità, 1974, pp. 158.
5 L'arca della formazione va intesa nel senso più ampio di tutti servizi
bibliotecari garantiti oggi dalle biblioteche pubbliche di comunità locali, ma
anche dalle biblioteche scolastiche ed universitarie, per la parte specifica di
supporto agli studi formativi.
4
142
Tipologia delle Biblioteche.
Secondo uno schema comunemente accettato, le Biblioteche hanno tre
funzioni fondamentali: acquisizione, conservazione e distribuzione del libro.
Il tentativo di giungere ad una tipologia delle biblioteche6 direttamente
correlate alle funzioni e non alla tradizione storica od alla situazione italiana, è
teso a chiarire i termini reali entro cui la costituzione di Archivi Regionali dovrà
muoversi.
La produzione libraria italiana, nel 1975, distribuita per tipo di
edizione, è stata la seguente:
Prime edizioni . . . . . . . . . 7.897 . . . . . 47,6%
Edizioni successive . . . . . 1.290 . . . . . 7,8%
44,6 % 7
Partendo da questo dato a quantità si può facilmente desumere che una
sola biblioteca centrale potrà in futuro disporre di mezzi sufficienti alla
acquisizione e conservazione del patrimonio librario prodotto sul territorio
nazionale. Le altre biblioteche, per quanto ampie possano essere le loro
disponibilità, saranno necessariamente costrette ad operare delle scelte e quindi
verrà a cadere la preoccupazione della acquisione di molti libri da conservare,
ove per conservazione si intenda Archivio.
La proposta è che un solo istituto regionale e per la produzione
effettuata nel territorio si costituisca come biblioteca di conservazione, con la
prerogativa aggiunta di garantire il prestito alla rete nazionale.
Si avrebbe così un Archivio Nazionale per la conservazione, ed un
Archivio Nazionale articolato per Regioni per il servizio di prestito, entrambi
garantiti dal MARC - B.N.I. on-line, per tutte
__________________
Per l'educazione permanente vale quanto sopra detto, anche se qui dovrebbe essere
privilegiata la forma culturale partecipata e comunitaria, o più precisamente della
animazione culturale.
Manca una tradizione italiana di biblioteche professionali. Alcuni esempi si
trovano tuttavia presso alcuni Ordini Professionali. Più significativi sono invece gli
esempi nella cultura anglosassone, ove la propensione all'uso di fonti bibliografiche e di
biblioteche professionali è più diffuso.
Per la ricerca, sia pura che applicata, le biblioteche pubbliche e private sono
numerose e ben dotate. Va sottolineata tuttavia una certa carenza di documentalisti, o
più precisamente di esperti in recupero di informazioni e di documenti.
6 Di notevole interesse a questo proposito sono gli interventi pubblicati da «
Italia nostra » nel n. 138 e dedicato a « La Biblioteca come servizio pubblico ».
7 Dati forniti dalla Associazione Italiana Editori, durante il Convegno su: «
Problemi del libro in Italia - editoria, distribuzione, lettura ». Roma, Biblioteca
Nazionale Centrale, 30-31 marzo 1977.
143
le operazioni di controllo, connesse al processo di acquisione8.
Le altre biblioteche che operano sul territorio regionale avranno un
impegno di acquisizione direttamente collegato alle loro funzioni e quindi
altamente selettivo se rapportato alla produzione globale.
Deduzione logica di questa premessa è che le biblioteche, ad eccezione
della Nazionale e delle Regionali, con compiti specifici di Archivio, sono
caratterizzate, condizionate e modellate dalla utenza, cui sono chiamate a
garantire il servizio.
Sono di conseguenza le aree di interesse, articolate sulle utenza territoriale
o specialistica, che determinano la tipologia delle biblioteche 9.
Il Servizio Bibliotecario Regionale, fermo restando il suo carattere di
unitarietà territoriale, indispensabile per la costituzione di un Archivio che
consenta la raccolta della pubblicazione nazionale ed estera, dovrà
necessariamente articolarsi per aree omogenee di utenza.
All'area forte dell'utenza pubblica, intesa come servizio alla formazione ed
alla educazione permanente, le leggi regionali e le attenzioni delle varie
istituzioni interessate sono rivolte alla costituzione di sistemi bibliotecari
interagenti 10.
All'area professionale della ricerca dovrà in futuro essere dedicata una
eguale se non maggiore attenzione, al fine di costituire un servizio che sappia
fondere le distinzioni territoriali con le doverose articolazioni specialistiche,
privilegiando fin dove è possibile l'interdisciplinarietà propria delle attuali
tendenze culturali, e fondendola con la intrinseca necessità della iper-spe-
___________
8 La recente attivazione sul territorio nazionale della doppia codificazione
ISBN e ISSN, con scopi prevalentemente commerciali, potrà essere di aiuto per
le fasi di controllo della stessa B.N.I.
Una doverosa precisazione va fatta per le grandi biblioteche delle nostre città che
dispongono di ricchissime collezioni storiche e che hanno obblighi di conservazione del
patrimonio accumulato nei secoli. Queste biblioteche hanno subito negli ultimi decenni
una innaturale trasformazione.
Sollecitate dalla accresciuta domanda di servizi hanno svolto compiti propri di
biblioteche scolastiche, universitarie, di pubblica utilità, ecc.
E' opportuno riprendere in esame la situazione e, coraggiosamente, proporre per
questi istituti una loro funzionale specializzazione, come supporto agli studi
storico-umanistici e/o scientifici, con personale preparato ad assistere la ristretta ma
validissima utenza.
I servizi di biblioteca pubblica debbono essere assolti o da nuove strutture con
dimensioni adeguate alle necessità della popolazione servita, possibilmente secondo gli
standards internazionali, o da sezioni separate e più agili delle grandi biblioteche.
10 Vedasi a questo proposito l'articolo 6 della Legge della Regione Lombardia 4
settembre 1973 n. 41 « Norme in materia di biblioteche di Enti Locali o di interesse
regionale». Bollettino Ufficiale della Regione, n. 36 del 5 settembre 1973 - Gazzetta
Ufficiale della R.I. n. 308 del 29-11-1973.
9
144
cializzazione, imposta più che cercata dalla quantità della documentazione.
Un esempio di chiarimento: se nel territorio regionale vi sono una o più
biblioteche specializzate in geografia economica, con utenza ristretta ai soli
operatori degli istituti di ricerca da cui dipendono, il Servizio Bibliotecario
Regionale, al quale queste biblioteche aderiscono, può garantire a tutta l'utenza
territoriale l'accesso al patrimonio di questa area specialistica, attraverso
adeguati servizi (prestito-duplicazione, ecc.).
I materiali documentari.
Ci sembra utile per l'economia del lavoro un richiamo della terminologia
adottata per i vari materiali documentari. Facciamo qui riferimento alle
definizioni ISO adottate per la codifica ISB ed ISSN.
Per « non periodica » (ISBN) si deve intendere qualsiasi pubblicazione in
sè compiuta e che non abbia in alcun modo carattere di continuità nel tempo.
Per « periodica » (ISSN) si deve intendere una pubblicazione in parti successive,
che solitamente hanno indicazioni numeriche o cronologiche ed hanno presunzione di essere stampate indefinitamente.
Dubbi sulla corretta interpretazione di queste definizioni sorgono a
proposito di pubblicazioni particolari e precisamente: le collezioni, i rapporti
tecnici, i brevetti, gli atti di congressi, simposi, ecc.
E' opportuno per questi documenti e per altri minori adottare norme
catalografiche specifiche e distinte per tipologia di documento 11 .
La norma internazionale per le monografie ISBD (M) ed il lavoro già
avviato dalla BNI consentirà un adeguamento dei vari servizi catalografici
anche regionali.
L'esperienza e l'applicazione di tali standards ed il buon senso
consentiranno poi di superare le forme più costrittive ed artificiose della norma
stessa.
Una ricerca più approfondita è necessaria per i materiali documentari
minori: pubblicazioni non periodiche universitarie (tesi e loro stralci, dispense,
comunicazioni scientifiche, con tirature e diffusioni ridottissime); pubblicazioni
non periodiche di Amministrazioni, Enti, Organizzazioni Ufficiali e non, centri
culturali, ecc. (edizioni fuori commercio, con diffusione limitata
______________________
11 Criteri simili sono adottati in genere dai servizi bibliografici nordamericani, e con buoni risultati. In particolare per le collezioni si vedano le
Norme dell'11S131) (M) International Standard Bibliographic Description for
Monographic Pubblications, Edizione italiana a cura dell'A.I.B. Roma,
Quaderni del Bollettino d'Informazioni, 1976.
145
ai soli interessati), pubblicazioni meta-periodiche (quaderni di riviste,
supplementi speciali non disponibili per la vendita, numeri speciali monografici,
ecc.) pubblicazioni periodiche di case editrici minime, o create ad hoc per un
solo intervento (numeri unici in attesa di registrazione, numeri « zero o « uno »
e senza seguito).
La competenza dell'Archivio Bibliografico Regionale può comunque
essere così sintetizzata:
1) Pubblicazioni non periodiche italiane
2) Pubblicazioni non periodiche estere
3) Pubblicazioni periodiche
4) Pubblicazioni minori.
STRUMENTI CATALOGRAFICI
La progettazione di archivi regionali deve considerare per tutte le possibili
implicazioni, le possibilità offerte oggi dall'automazione 12.
L'HAYES-BECKER formula otto osservazioni generali sulla utilizzazione
del computer in biblioteca; ricordiamo qui le più significative per l'economia del
lavoro:
a) i costi dell'operazione computer sono molto più elevati dei sistemi
manuali che sostituisce;
b) l'operazione computer, se complessa, è di solito molto più lenta del
sistema manuale fin qui usato;
c) la trasferibilità di programmi è irrealizzabile oggi e in futuro;
d) sperare che il computer riduca i costi è una chimera.
Un progetto di automazione, per essere valido, ha bisogno di grandi
quantità di dati da elaborare, deve poter ovviare a molti lavori ripetitivi
(compilazione di testi - schede - bibliografie, ecc.), e per giustificare i costi
necessita di una utenza reale e non ipotetica, in grado di coprire la sua
potenzialità di lavoro.
_________________
12 La letteratura e le esperienze estere a proposito di automazione delle biblioteche
sono notevoli. La maggior fonte è il volume di HAYES, R.M. -BECKER, J.: «
Handbook of Data Processing for Libraries. Secondo Editions. Los Angeles, Melville
pubbl. Co. 1974, pp. 688.
Sul problema dei costi citiamo ancora: FLOWERDEN, A.D.J. - WHITEHEAD,
C.M.E.: « Cost Effectiveness and Cost-Benefit analysis in Information Science ». Report
to OSTI on Projects SI/97/03, Londra, School of Economics and Political Science,
1974.
13 Vedasi a questo proposito COLOMBO, G.: Regioni e Biblioteche, Documento
sullo sviluppo delle biblioteche pubbliche in Italia negli anni 1972-75 » - A.I.B. Bollettino d'Informazioni 16, 4, 372-390, 1976. Alla scheda LOMBARDIA, si legge: «
tra gli impegni ancora in fase di progettazione vi è quello di una catalogazione regionale, per ora
limitata alle nuove ac-
146
Una catalogazione regionale impostata ex novo comporterebbe un onere
organizzativo e finanziario enorme e con risultati decisamente simili al progetto
nazionale (MARC-BNI) ma a costi duplicati 14.
Altra limitazione del progetto automatizzato: è opportuno partire da una
certa data e considerare solo le nuove accessioni. L'esperienza anche dei
maggiori archivi consiglia di avventurarsi con cautela nel recupero delle
pubblicazioni già possedute.
Pubblicazioni non periodiche.
La Bibliografia Nazionale Italiana per le pubblicazioni non periodiche
costituisce il punto di riferimento intorno a cui si costruisce l'Archivio
Nazionale.
L'Archivio Bibliografico Regionale, che disponga della BNI anche on-line
riceve periodicamente dalle (maggiori) biblioteche che partecipano al Servizio
Bibliotecario Regionale, una lista delle nuove acquisizioni con l'indicazione del
solo codice BNI o, in sua assenza, del codice ISBU. Trascrivendo il codice della
singola biblioteca sua una copia a schede della BNI, l'Archivio è in grado di
costruire un catalogo regionale delle pubblicazioni non periodiche italiane
disponibili sul territorio, oppure può realizzare un programma automatizzato
proprio e corredato di information retrieval in cui compaia il codice BNI associato
al codice della Biblioteca 14.
Questi cataloghi, la cui realizzazione va studiata ed adattata alle singole
realtà, costituiscono di fatto la prima fonte per una corretta utilizzazione delle
risorse regionali, sono una banca di riferimento di primaria importanza per il
prestito regionalizzato, e un momento attivatore della rete regionale
iterbibliotecaria.
La Banca dati della Library of Congress (MAC) per le pubblicazioni non
periodiche estere, se disponibile on-line presso lo Archivio Bibliografico
Regionale, deve essere punto di riferi________________
cessioni, con uso dell'elaboratore ». Ed ancora VIGINI, G., già citato, in cui si legge
fra l'altro: « E' stato prodotto nel dicembre 1976 un catalogo collettivo delle acquisizioni
correnti nel primo semestre 1976 di 16 biblioteche per un totale di circa 5.000 titoli (e circa
3.000 soggetti) di cui l’11% risulta ripetitivo. L'esperimento, incredibilmente dispendioso (si
è parlato al Convegno di 1 miliardo di spesa), è iniziato nel 1974 e messo a punto nel 1975.
Attualmente è esteso a un gruppo di 20 biblioteche che sono state dotate di macchine
utilizzate per la registrazione su cassetta magnetica delle informazioni bibliografiche ma che,
con opportuni adattamenti tecnici, potranno anche essere usate come terminale ».
14 La proposta, qui e di seguito formulata, è stata semplificata per
economia. Un ulteriore approfondimento potrà evidenziare la necessità di
trasferire unitamente al codice (MARC o ISBN) il nome del primo autore o la
prima parola del titolo.
147
mento per le nuove acquisizioni operate da tutte le biblioteche del Servizio
Regionale. Il codice di riferimento della Library of Congress è infatti riportato
sulle pubblicazioni americane e quindi facilmente rilevabile; per le altre si può
far riferimento al codice ISBN.
La singola biblioteca che partecipi al servizio Bibliografico Regionale
invia all'Archivio Regionale una lista di codici di riferimento (MARC o ISBN)
per le nuove acquisizioni. Verificatane l'esistenza sulla banca della Library of
Congress, l'Archivio stampa per sé una scheda, cui aggiungerà il codice della
Biblioteca.
Questa procedura dovrebbe portare ad un catalogo a schede regionale
delle pubblicazioni non periodiche estere, di enorme importanza per
l'utilizzazione delle risorse disponibili.
Data la prevedibile diversità, come contrazione di domanda, da parte
dell'utenza, una segnalazione annuale degli Archivi Regionali ad una sezione
speciale della BNI che gestisca la Banca della Library of Congress, potrebbe
portare ad un nuovo programma automatizzato in cui il codice MARC di una
data pubblicazione venga associato al codice della biblioteca che possiede tale
pubblicazione.
Al momento del recupero si dovrebbero consultare:
a) il MARC Library of Congres ed il MARC B.N.I. per sapere quali
pubblicazioni sono da ricercare;
b) la banca dei codici MARC/L.C. e B.N.I., associate al Codice
Biblioteche italiane, per sapere se e dove tale pubblicazione è disponibile in
Italia.
Pubblicazioni periodiche.
Le pubblicazioni -periodiche richiedono una attenzione diversa. Va
precisato che i reciproci, sia a stampa che automatizzati, che consentono il
recupero della segnalazione bibliografici non fanno alcuna distinzione fra
pubblicazioni di lingue diverse 15.
L'Archivio Bibliografico Regionale, valutata la consistenza delle
Biblioteche che aderiscono al Servizio Regionale, deve, per le pubblicazioni
periodiche, operare un'analisi rigorosa delle risorse ed individuare obiettivi
chiari e perseguibili. L'uso della duplicazione per la letteratura periodica di
studio è comune-
__________________
15 I repertori a stampa sono oggi oltre 2.000 e coprono per intero tutto il
pubblicato. I repertori automatizzati sono circa 200 e consentono un controllo quasi
totale della letteratura periodica umanistica e scientifica. Il progetto EURONET, che
secondo le previsioni comincerà a funzionare entro il 1978, avrà una disponibilità di
circa 120 manche dati on-line. Per l'Italia lo stesso progetto prevede entro il 1980 l'entrata in
funzione di circa 50 terminali.
148
mente accettato e c'è in questo campo un forte interesse della utenza.
Una Biblioteca solitamente ha il proprio Catalogo Periodici a schede o a
stampa, o può facilmente realizzarlo 16.
Il servizio Bibliotecario Regionale, considerata l'area regionale e le
dimensioni delle biblioteche associate può decidere di costituire cataloghi
regionali per materia17 o cataloghi generali per il Sistema, per aree urbane, per
provincie, per regioni, cataloghi per le sole materie scientifiche (Classi 5 e 6
della C.D.U.) o solo umanistiche, ecc.
Il Servizio dovrebbe avviare una nuova schedatura, con criteri uniformi
(Norma UNI 6392) dei periodici delle Biblioteche, collezionare copia di tutti i
cataloghi con codice della singola biblioteca. Sulla scorta di questa operazione e
valutato l'interesse dell'utenza si potranno decidere frasi successive.
L'Istituto di Studi sulla Ricerca e Documentazione Scientifica del CNR
ha approntato un programma per l'elaborazione automatica di « Cataloghi di
Periodici ». Tale programma già collaudato sull'area di Roma (Biblioteca
Centrale CNR e Biblioteche Universitarie) sta per essere esteso ad altre aree
urbane, ed è disponibile per una estensione sul territorio nazionale.
I singoli Servizi Bibliotecari Regionali possono farsi promotori di
Cataloghi simili, utilizzando lo stesso programma, iniziando o dalle aree urbane,
o dalle aree di specializzazione.
Alla realizzazione di Cataloghi di periodici interbibliotecari segue
immediata la necessità di normalizzare un sistema per lo scambio di servizi di
duplicazione.
Pubblicazioni minori
Due osservazioni si impongono in sede preliminare:
1) La legge sul Deposito obbligatorio degli stampati nella stesura attuale,
prevede l'invio di una copia anche alle biblioteche pubbliche provinciali. Nella
nuova normativa si dovrebbe tenere a far pervenire una copia all'Archivio
bibliografico regionale.
2) Le leggi regionali finora emanate sulle biblioteche di Enti locali, non
accennano nè al deposito obbligatorio, in quanto non di pertinenza delle
Regioni, nè alla istituzione di un
_____________
16 Vedasi a questo proposito la Norma UNI 6392, Cataloghi alfabetici di
periodici, Milano, UNI, 1976.
17 Un esempio operante è il Catalogo preparato dalla Regione Lombardia
- Assessorato alla Sanità: Riviste Mediche delle Biblioteche Lombarde a cura di
E. CUBONI, Milano, 1975, pp. 665. Hanno aderito 163 biblioteche e quasi
tutte garantiscono servizio di fotocopie.
149
Archivio o Servizio Regionale. Tali leggi fermano però l'attenzione sulla
necessità di una « raccolta e conservazione delle pubblicazioni prodotte dalle
vaie associazioni locali » 18.
Per le pubblicazioni non periodiche - periodiche e minori stampate sul
territorio della Regione dovrebbe valere il deposito obbligatorio, nella auspicata
biblioteca, per la costituzione di un Archivio disponibile anche al prestito
nazionale, come già accennato.
L'Archivio Regionale, cui dovrebbe competere anche la realizzazione di
bibliografie regionali sull'acquisto italiano od estero, dovrà disporre di una
adeguata dotazione finanziaria per coprire l'intera area o per ovviare a tutte le
difficoltà connesse con il recupero delle opere costose, di quelle in serie
numerata o delle minori fuori commercio e comunque difficilmente reperibili.
L'Archivio sarà tuttavia più completo se la raccolta, specie dei materiali
minori, raccomandata dall'Ente Regione alle singole biblioteche che aderiscono
al Servizio Bibliotecario, non sarà occasionale e sporadica, ma sistematica, in
duplice copia, l'una per la biblioteca territorialmente interessata e l'altra per
l'Archivio Regionale.
La concentrazione regionale di tutto il materiale consentir! una mappa
degli editori e dei tipografi operanti sul territorio. Quelli che normalmente
adottano il codice ISBN non presentano problemi di controllo in quanto il
codice stesso è parlante (luogo di edizione, editore, anno e numero progressivo
per anno) e in caso di una o più mancanze si può sollecitare l'editore stesso alla
consegna di ulteriore copia. Il riscontro poi di queste pubblicazioni sulla banca
della BNI dovrebbe essere automatico e positivo. Se per qualche motivo si
riscontrassero lacune, si dovrà segnalare alla BNI l'esistenza dell'edizione,
dell’editore, ecc.
Per le pubblicazioni non periodiche che non utilizzano ancora FISBN la
procedura è più complessa. Difficilmente sì avrà la certezza di aver raccolto
tutto il materiale stampato. Seguendo comunque la mappa degli editori si potrà
chiedere loro la fornitura di una lista completa delle edizioni. In caso di difficoltà si potrà procedere al recupero anche attraverso il mercato.
Queste raccolte raramente figureranno nella BNI e sarà opportuno
provvedere ad una schedatura (ISBD/M) il più possibile completa. I servizi
regionali dovranno poi valutare l'opportunità:
a) di duplicare le schede, costituendo appositi cataloghi per provincia,
sistema, ecc.;
_______________
Regione Veneto: Norme in materia di Biblioteche di Enti locali o di interesse
locale, Legge regionale 5 settembre 1974, n. 46, art. 3, comma I. Anche le altre leggi
regionali hanno dizioni consimili.
18
150
b) di stampare bibliografie annuali;
c) di elaborare un programma simile a quello BNI.
Una volta all'anno si farà il riscontro sulla BNI di questo materiale. Per le
pubblicazioni di interesse nazionale e regionale, mancanti all'Archivio
Nazionale, si dovrà provvedere allo invio della scheda ed al recupero della copia
secondo una procedura da perfezionare.
CONCLUSIONI
Le ipotesi di lavoro qui formulate partono dal presupposto che il MARC
della Library of Congress ed il MARC della BNI siano disponibili on-line.
Le proposte operative evidenziate considerano la costituzione di un
Archivio regionale articolato come la risposta più adeguata alla domanda di
utenza oggi emergente.
L'iniziativa per la realizzazione di un Servizio Bibliotecario deve essere
promossa dall'Ente Regione e deve tendere al coinvolgimento di tutti gli istituti
bibliotecari operanti sul territorio, sia pubblici (Biblioteche nazionali, di Enti
Locali, Universitarie, ecc.) sia privati (Centri di ricerca, Circoli culturali, industrie, ecc.).
L'Archivio Regionale dovrà secondo la proposta:
1) raccogliere e conservare tutto il pubblicato nel territorio e garantire il
prestito nazionale di detto materiale;
2) costituire un Archivio per codice di pubblicazione e codice di
Biblioteca per tutto il posseduto, come nuove accessioni, dalle Biblioteche
italiane (confrontate sul MARC BNI), sia per le estere (confrontate sul MARC
della Lirary of Congress);
3) presiedere alla realizzazione di « cataloghi di periodici » nelle forme
più idonee all'utenza;
4) organizzare una rete di servizi interbibliotecari regionali, favorendo al
massimo il prestito, la duplicazione, lo scambio di informazioni, di esperienze,
ecc.
Il Servizio Bibliotecario Regionale dovrà consentire a tutti gli utenti la
possibilità di accesso alle informazioni attraverso un sistema integrato regionale
di cooperazione fra tutte le Biblioteche, favorendo e finanziando collegamenti
per la trasmissione di dati (on-line, via telex, telecopier, ecc.).
La formazione di personale specializzato, anche nell'uso di questi
strumenti, ed in grado di garantire un buon livello di servizi, è problema reale.
Una valutazione positiva sul Servizio Bibliotecario e sullo Archivio
Regionale, sulla rete di interscambio fra biblioteche della Regione, fra queste e
la Biblioteca Nazionale, fra queste ed il servizio EURONET, consentirà di
affrontare anche la questione della formazione del personale in misura
adeguata.
151
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153
LE COMPETENZE DELLO STATO E DELLE REGIONI
NELL'AMMINISTRAZIONE DELLE BIBLIOTECHE
ALBERTO GUARINO
Anche un'analisi sommaria della situazione delle nostre biblioteche, che
prende in esame sia le condizioni in cui oggi esse versano, sia l'evoluzione che
tale situazione ha subito nel secolo che va dal 1876 - è l'anno in cui con decreto
n. 2929 del 30 gennaio il Ministro Ruggero Bonghi approvò il primo
Regolamento organico delle biblioteche - ad oggi, può evidenziarne la
disorganicità e frammentarietà, l'inefficienza delle strutture esistenti, come
l'inefficacia, ai fini di una soluzione organica dei relativi problemi, della lunga
serie di provvedimenti parziali: leggi, decreti, circolari, che si sono susseguiti in
tale arco di tempo. Si trattava, talvolta, di disposizioni difficilmente attuabili, si
trascuravano le questioni di fondo, si rimandavano, come si continua a
rimandare, le soluzioni dei problemi che sono a monte di tale situazione. Anche
l'analisi degli ultimi sviluppi di essa, evidenziando la frammentarietà e
contradittorietà dei più recenti provvedimenti, mette ancora più in luce la
necessità di una legge generale organica, alla cui elaborazione può oggi dare
occasione l'obbligo che ha lo Stato di predisporre nella materia una legge
quadro.
L'AIB ha, al riguardo, presentato al XXV Congresso di Alassio, nel
maggio 1975, uno schema di proposta di legge, che era rivolto a dare una
risposta adeguata ed una soluzione razionale ai problemi di fondo di
un'efficiente, moderna, democratica organizzazione bibliotecaria: il
decentramento e, perciò, la definizione del rapporto Stato-Regione, come si
configura nel nostro settore in connessione con la riforma della Pubblica
Amministrazione; gli strumenti di cui l'Amministrazione centrale competente
deve disporre per svolgere i suoi compiti fondamentali di indirizzo e
coordinamento e di direzione politica dello sviluppo delle biblioteche; i principi
del ridimensionamento delle strutture esistenti; gli standards e la classificazione
delle bi-
____________
Articolo apparso in «Associazione Italiana
d'informazioni», N.S., a. XVII (1977), n. 1, pp. 7-15.
Biblioteche
-
Bollettino
154
blioteche; la loro organizzazione in sistemi (locali, universitari e delle
biblioteche speciali o scientifico-tecniche); la dimensione dell'unità bibliotecaria
locale; il reclutamento, la formazione e qualificazione del personale; la
programmazione e pianificazione a tutti i livelli.
Una legge generale organica deve, perciò, fornire un quadro di
riferimento per tutte le biblioteche che concorrono a formare il sistema
nazionale, dando a ciascuna di esse, con una chiara definizione delle finalità e
dei compiti, una precisa collocazione, e per tutte le Amministrazioni interessate
(Amministrazione centrale dello Stato, Regioni ed Enti locali, Università,
Accademie, Istituti scientifici), dando una definizione chiara e precisa delle
rispettive competenze. Consentirà così di mettere ordine nella nostra situazione
bibliotecaria tanto disorganica e caotica, di porre rimedio alla sua
frammentarietà e polverizzazione ed allo sperpero di mezzi che ne consegue, e
di avviare un fecondo coordinamento delle iniziative e degli sforzi relativi con
una chiara delimitazione dei compiti e delle responsabilità ed un'equa
ripartizione delle spese.
Decentramento
A voler tracciare, innanzitutto, una linea di delimitazione nei rapporti tra
Stato e Regioni, questa passa, secondo un principio generale sul quale ci può
essere un ampio consenso, tra le funzioni di indirizzo e coordinamento, sia sul
piano scientifico che su quello politico-amministrativo, relative sia alla tutela e
conservazione del patrimonio librario che all'organizzazione ed allo sviluppo
delle biblioteche, che vanno affidate all'Amministrazione centrale, e quelle
operative e di gestione che vanno affidate, per trasferimento o per delega, alle
Regioni, alle quali deve essere decentrato, a tal fine, anche l'esercizio a livello
regionale di compiti di coordinamento.
Pertanto, anche perché sia possibile la realizzazione del sistema nazionale
che richiede una uniformità di indirizzo ed un efficiente coordinamento a tutti i
livelli, il decentramento non può essere che funzionale ed organico, cioè di tutta
la materia, in modo che l'Amministrazione centrale competente e quella
regionale esercitino, ai rispettivi livelli, le funzioni necessarie di indirizzo e
coordinamento, vigilanza e controllo, e che la competenza relativa non vada
dispersa, come purtroppo avviene oggi, tra vari organi amministrativi, sia dello
stesso livello che di livello diverso, e si superi l'attuale concezione settoriale, che
crea, nell'ambito della stessa materia, comportamenti stagni e veri e propri feudi
amministrativi. Si devono, perciò, creare le condizioni perché, a partire dalla
base, cioè dal livello locale,
155
si realizzi una certa compenetrazione tra gli istituti e le amministrazioni
interessate che le associ, ai livelli locale, regionale e nazionale, alla realizzazione
del sistema. La competenza oggi dispersa va, perciò, concentrata, non per
quanto riguarda la gestione delle biblioteche, che deve essere responsabilità
delle comunità interessate al loro servizio (territoriale, universitaria, accademica,
scolastica, ecc.), ma l'indirizzo sia politico che scientifico e tecnico, al livello
nazionale nel Ministero per i Beni Culturali, al livello regionale in un unico
Assessorato alla Cultura.
Al Ministero per i Beni Culturali deve, perciò, essere trasferita, e
conseguentemente decentrata alle Regioni, tutta la competenza, fatta salva la
gestione, del Ministero della P.I. anche in materia di biblioteche scolastiche,
centri di lettura, centri di educazione permanente, Ente Nazionale Biblioteche
Popolari e Scolastiche e quelle degli altri Ministeri, Enti statali o pubblici, non
soltanto per quanto riguarda le iniziative di alcuni di essi nel settore della
pubblica lettura, ma anche per quanto concerne le loro biblioteche speciali, che
sono a carico del bilancio dello Stato. Una coerente applicazione della legge 382
deve rendere possibile, come è anche il parere della sottocommissione Predieri
che ha accolto buona parte delle indicazioni contenute nella proposta dell'AIB,
di ricomporre su base territoriale regionale delle funzioni omogenee con un
trasferimento completo della materia, che sia « finalizzato ad assicurare una
disciplina ed una gestione sistematica e programmata delle attribuzioni
costituzionalmente spettanti alle Regioni per il territorio ed il corpo sociale ». Si
deve, cioè, superare quel centralismo burocratico e verticistico che determina
situazioni come quella delle nostre biblioteche statali, le quali, mentre sono
tutte collegate ad un centro (il Ministero) che sa tutto di loro, s'ignorano
vicendevolmente, perfino quando operano in una stessa città, e non hanno
alcun rapporto organico con le altre biblioteche locali, mediante l'istituzione, a
livello regionale, di un organo che colleghi e coordini tutte queste strutture in
un efficiente sistema.
Sarà così possibile por mano ad una adeguata ristrutturazione della
nostra organizzazione bibliotecaria, a partire dal gruppo delle 32 biblioteche che
fanno capo al competente Ufficio centrale del Ministero per ì Beni Culturali.
Condizione indispensabile di un'efficace azione dello Stato nel settore delle biblioteche è che esso sia liberato dai compiti attuali della gestione diretta di tali
Istituti. Il ridimensionamento di questo importante gruppo di biblioteche deve
ispirarsi al principio della effettiva funzione che ciascuna di esse svolge o che, in
considerazione del carattere preminente dei suoi fondi, può essere chiamata a
svolgere. La competenza sulla maggior parte dì esse deve essere, pertanto,
trasferita alle Regioni, alle Università ed agli Istituti interessati al loro servizio.
156
Organi e compiti centrali
Restano escluse dal predetto trasferimento le attuali due Nazionali di
Roma e di Firenze, alcune biblioteche statali romane e fiorentine, che possono
essere riunite amministrativamente alle prime, evitando una inopportuna
dispersione di collezioni, in quanto anche secondo il Regolamento vigente (art.
9), assolvono compiti che « concorrono al raggiungimento dei fini assegnati alle
Biblioteche Nazionali centrali », e quelle cui è utile affidare, perché possono
essere opportunamente collocate al centro di sistemi di biblioteche
scientifico-tecniche, le funzioni di Biblioteche Nazionali speciali. Si è, infatti,
ormai affermata nell'organizzazione bibliotecaria la tendenza alla creazione di
complessi specialistici nelle varie materie a livello nazionale ed, innanzitutto, di
una biblioteca generale di indirizzo scientifico accanto alla Biblioteca Nazionale
di indirizzo umanistico.
Per quanto riguarda la Biblioteca Nazionale, che deve essere il centro
dei servizi nazionali di acquisizione e d'informazione, la cui organizzazione e
gestione è di esclusiva competenza dell'Amministrazione centrale dello Stato,
occorre dire in maniera molto chiara che si deve superare l'attuale inutile e
costosa dualità. La situazione della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze è
paragonabile per alcuni aspetti con quella delle biblioteche nazionali di altri
paesi, in città che sono state per un certo periodo capitali ma dalle quali il
Governo centrale è stato successivamente trasferito altrove. E' il caso della
Saltykov-Shchedrin di Leningrado, alla quale è subentrata gradualmente nelle
funzioni di Biblioteca Nazionale di tutta l'Unione Sovietica la Biblioteca Lenin
di Mosca, e delle Biblioteche Nazionali di Calcutta per l'india e di Karachi per il
Pakistan, le cui funzioni e responsabilità nazionali stanno per essere trasferite
alle nuove biblioteche nazionali rispettivamente di Delhi e di Islamabad.
Nel nostro caso, anziché il trasferimento graduale e completo delle funzioni
nazionali alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele Il di Roma, appare più
opportuna una soluzione che realizzi l'unificazione amministrativa in un unico
complesso delle due Nazionali Centrali, di alcune biblioteche statali romane e
Fiorentine e dell'istituto per il Catalogo Unico. Questa proposta, dunque, più
che ispirarsi a considerazioni di analogia con altre situazioni o di ossequio
formale a raccomandazioni, formulate al riguardo dall'UNESCO e da noi
sottoscritte, si propone di dare una valida risposta all'esigenza obiettiva di
efficienti servizi nazionali, la cui realizzazione richiede la costituzione di una
Biblioteca della più vasta dimensione possibile, nella quale si abbia una adeguata
concentrazione di mezzi. Creerebbe, infatti, un grandioso articolato complesso
bibliotecario che, riunendo im-
157
ponenti collezioni librarie, fondendo in un'unità armonica le effettive tradizioni
e competenze di vari Istituti ed indirizzandole verso un'opportuna ed
attentamente pianificata ripartizione di compiti tra le due sedi, potrebbe
svolgere degnamente le funzioni di Biblioteca Nazionale e costituire il
fondamento di una moderna ed efficiente organizzazione bibliotecaria del
nostro Paese. La maggiore dimensione della biblioteca consentirà una migliore
utilizzazione del personale e l'impiego a costi economici dei più avanzati
strumenti tecnologici, per cui sarà possibile anche affrontare meglio i problemi
del Catalogo Unico, della Bibliografia nazionale e della gestione del Servizio
nazionale dì informazioni bibliografiche. Infatti, anche questi sono compiti
della Biblioteca Nazionale, insieme con quelli di archivio della produzione
libraria nazionale, centro metodologico delle tecniche biblioteconomiche,
centro di coordinamento dello sviluppo del sistema bibliotecario nazionale e
della preparazione professionale.
Si tratta di concentrare in un'articolata organica unità bibliotecaria tutti
i servizi di livello nazionale, realizzando un grande complesso opportunamente
dipartimentalizzato e decentrato, dotato della più ampia autonomia di gestione
e di un'amministrazione effettivamente democratica che si avvalga, in primo
luogo, della partecipazione del personale, e che sia il risultato, più che di
un'operazione burocratica e di vertice, di uno sforzo proficuo di associazione
ed integrazione tra le sue componenti. Non è una soluzione che umili o declassi
l'uno o l'altro Istituto, ma ne esalta le funzioni e le competenze armonizzandole
in un'organica unità al servizio di una moderna ed efficiente organizzazione
bibliotecaria, e realizza una concentrazione di mezzi perfettamente in linea con
le più avanzate concezioni biblioteconomiche. In Gran Bretagna non si è forse
realizzato qualcosa di simile con la British Library, che è lo splendido risultato
dì una lunga, laboriosa e profonda gestazione?
Non c'è dubbio che questi compiti dell'organizzazione dei servizi
nazionali centrali, visti nella loro reale dimensione, impegnino seriamente
l'Amministrazione centrale, che per svolgerli degnamente dovrebbe disporre di
strumenti legislativi adeguati, di personale qualificato e di mezzi finanziari
almeno decuplicati rispetto a quelli attuali. Ma a questi compiti si aggiungono
tutti quegli altri che le spettano in relazione alle funzioni di direzione,
coordinamento, programmazione dello sviluppo delle nostre biblioteche, in
funzione della creazione di un organico Sistema bibliotecario nazionale. Sono
compiti di indirizzo e coordinamento, di vigilanza e di controllo su tutta
l'organizzazione bibliotecaria italiana, ai fini della tutela degli interessi generali
dello Stato nella materia per assicurare un servizio biblioteca-
158
rio uniforme e coordinato esteso a tutte le località del territorio nazionale.
Spettano, perciò, alla Amministrazione centrale compiti di legislazione,
promozione e pianificazione, preparazione e qualificazione del personale, e
fondamentali attribuzioni di competenza tecnica per quanto riguarda gli
standards, l'organizzazione dei servizi tecnici (classificazione, catalogazione,
restauro, ecc.), la metodologia e l'assistenza relative.
Pubblica lettura
Inoltre, per superare gli squilibri attuali e realizzare uno sviluppo delle
biblioteche che estenda il servizio di pubblica lettura in maniera omogenea su
tutto il territorio nazionale, a tutti i livelli sociali e culturali, e fornisca servizi
tendenzialmente uniformi nella struttura tecnica e, quindi, nell'efficienza, cioè
uno sviluppo uniforme e coordinato in tutte le Regioni, sia settentrionali che
meridionali e nelle zone a più alto livello di sviluppo come in quelle di minore
sviluppo, è indispensabile che l'Amministrazione centrale gestisca, nel quadro di
un'organica pianificazione e con finalità di sostegno, incentivazione e
perequazione, un apposito fondo nazionale destinato al finanziamento
straordinario dei piani regionali di sviluppo. Spetterà infatti alle Regioni, in
particolare, la responsabilità dello sviluppo delle biblioteche pubbliche. A tal
fine le leggi regionali in materia detteranno norme per quanto riguarda
l'istituzione, l'ordinamento ed il finanziamento di esse, le competenze degli Enti
locali, la programmazione regionale, le circoscrizioni territoriali dei sistemi
bibliotecari locali, ed i finanziamenti integrativi necessari per le spese
d'impianto e di ristrutturazione, in particolare per le spese edilizie, e per quelle
di funzionamento delle biblioteche e dei sistemi bibliotecari. I problemi della
dimensione e della struttura organizzativa delle unità bibliotecarie locali, cioè
delle circoscrizioni territoriali dei sistemi bibliotecari, vanno inseriti nella già
vasta e piuttosto approfondita problematica dei comprensori.
Le Regioni sono anche chiamate, in considerazione della istituzione dei
Distretti scolastici e del conseguente avvio ad una gestione sociale, perciò
decentrata dei servizi scolastici, a svolgere un ruolo fondamentale nella
programmazione ed organizzazione delle biblioteche scolastiche. 1 problemi di
queste sono strettamente legati a quelli delle biblioteche pubbliche e, pertanto,
queste due strutture devono trovare forme valide di collaborazione ed integrarsi
l'una con l'altra. E' per questa ragione, e perché l'una e l'altra sono strumenti
fondamentali del diritto allo studio, che sarebbe opportuna la delega della
relativa competenza alla Regione, che già esercita quella sulle biblioteche
pubbliche.
159
Tutela e conservazione
L'Amministrazione centrale deve svolgere compiti molto impegnativi
anche nel settore di sua competenza della tutela e conservazione del materiale
librario, l'esercizio delle cui funzioni amministrative è stato affidato per delega
alle Regioni. Anche in questo settore il rapporto Stato-Regione si configura in
una chiara delimitazione tra funzioni di indirizzo e coordinamento, che
spettano all'Amministrazione centrale, e funzioni operative, il cui esercizio,
però, richiede anche a livello regionale un coordinamento, che spettano alle
Regioni. Per quanto riguarda il restauro, l'Istituto Centrale di Patologia del
Libro continuerà a svolgere principalmente compiti di ricerca, in relazione sia
alle cause patologiche del deterioramento dei libri sia alla prevenzione di tale
fenomeno ed all'elaborazione delle tecniche e metodologie del restauro. Tutta
l'attività operativa dovrà essere affidata alle Regioni, alle quali saranno trasferiti i
laboratori di restauro in corso di istituzione presso alcune biblioteche statali ed
il Centro di restauro della Biblioteca Nazionale di Firenze.
Formazione professionale
Le funzioni che sia lo Stato che le Regioni devono svolgere, nella più
stretta collaborazione basata su una chiara divisione di compiti e di
responsabilità, sono ugualmente impegnative e richiedono l'impiego di
personale altamente specializzato e qualificato. Il problema della preparazione e
qualificazione del personale è di estrema importanza e deve essere risolto con
assoluta priorità. La competenza in tale materia, condizionando essa l'indirizzo
tecnico-scientifico degli Istituti, deve essere ovviamente dello Stato, che può
avvalersi della collaborazione delle Regioni per i corsi di formazione
professionale degli assistenti di biblioteca o aiutobibliotecari e per quelli di
aggiornamento del personale in servizio. Tali corsi potranno svolgersi sotto il
controllo dello Stato, inteso ad assicurare un livello di preparazione ad un
tempo omogeneo ed elevato in sede regionale.
Al riguardo, una soluzione adeguata era proposta dall'AIB nello
schema di legge presentato al XXV Congresso di Alassio, anche per quanto
riguarda la qualificazione professionale, per la quale si prevedeva l'istituzione di
un esame di abilitazione professionale e dell'Elenco professionale.
L'appartenenza a questo è condizione indispensabile per partecipare a concorsi
o assumere incarichi nell'ambito di biblioteche di qualsiasi tipo o degli uffici
interessati all'organizzazione di servizi bibliote-
160
cari, compresi quelli degli Assessorati regionali e provinciali. Non è questa
dell'Elenco affatto un’aspirazione corporativa, come inopportunamente
sostengono perfino alcuni bibliotecari, in quanto il settorialismo è un aspetto
degenerativo che può manifestarsi in qualsiasi dei Sindacati ed Associazioni
professionali, Ordini, Albi od Elenchi, di cui oggi esiste una miriade. Non c'è
professione o mestiere che non ne abbia almeno uno, per cui tale mancanza per
i bibliotecari non può significare altro che la debolezza della categoria e la
scarsa considerazione, con tutte le conseguenze che ne derivano, in cui è tenuta
la professione. L'Elenco professionale serve a dare finalmente al bibliotecario
nel nostro Paese una carta d'identità, uno status giuridico che significhi il
riconoscimento della professione e, nel contempo, quella della complessità e
delicatezza del servizio bibliotecario che richiede l'impiego di personale
altamente specializzato. Serve, se non altro, a porre un argine a certe assunzioni
clientelari, perché ci si ricorda delle biblioteche spesso soltanto in tali occasioni,
ed a fornire alle nostre biblioteche personale dotato di un minimo di
preparazione e qualificazione.
Conclusioni
In considerazione di quanto si è detto, appare evidente che
l'organizzazione del Ministero dei Beni Culturali, quale risulta dall'applicazione
del D.P.R. n. 805, è assolutamente inadeguata al ruolo ed ai compiti che
l'Amministrazione centrale dello Stato deve svolgere secondo la proposta
dell'AIB, la quale rispecchia i principi fondamentali dell'organizzazione
bibliotecaria moderna, è perfettamente in linea con gli standards internazionali
dell'IFLA e pienamente coerente con la nuova realtà politico-amministrativa e
sociale del Paese.
L'organizzazione del nuovo Ministero rispecchia, invece, la vecchia
concezione di un centralismo burocratico chiuso ad un effettivo decentramento
e, non contenendo, d'altra parte, nel settore delle biblioteche alcuna misura di
ristrutturazione, salvo quella piuttosto nominalistica.
161
L'ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
E L'AMMINISTRAZIONE DEI BENI CULTURALI
GIORGIO DE GREGORI
I DOCUMENTI DELL'AIB DAL 1971 AL 1973
Il primo atto di diretto intervento dell'AIB nei progetti di
ristrutturazione dell'amministrazione dei beni culturali in Italia risale al 1967,
quando tra le varie relazioni all'ordine del giorno del XVII Congresso (Fiuggi,
14-16 maggio 1967) fu accolta anche quella della dr. Angela Vinay dal titolo «La
Commissione Franceschini e le biblioteche ».
E' noto, infatti, che il problema della carenza delle strutture
amministrative preposte in Italia alla tutela e alla valorizzazione dei beni
culturali era stato affrontato da una Commissione parlamentare, istituita con
Legge 26 aprile 1964, n. 310 e presieduta dall'on. Franceschini, la quale aveva il
compito di « condurre un'indagine sulle condizioni attuali e sulle esigenze in
ordine alla tutela e alla valorizzazione delle cose d'interesse storico,
archeologico, artistico e del paesaggio e di formulare proposte concrete al fine
di perseguire i seguenti obiettivi: 1) revisione delle leggi di tutela (in
coordinamento, quando necessario, con quelle urbanistiche) nonché delle
strutture e degli ordinamenti amministrativi e contabili; 2) ordinamento del
personale, in rapporto alle effettive esigenze; 3) adeguamento dei mezzi
finanziari » 1.
La dr. Vinay esordiva nella sua relazione riconoscendo al Consiglio
direttivo dell'AIB il merito di averla voluta inserire nell'ordine del giorno del
Congresso: nella questione poteva così farsi sentire la voce dei bibliotecari,
visto che la Commissione nominata a suo tempo dal Consiglio direttivo stesso
per seguire gli studi della Franceschini non aveva potuto, per varie ragioni, «
prendere corpo ».
_________________
Apparso in « Associazione Italiana Biblioteche - Bollettino d'informazioni »,
N.S.,a. XIII (1973), n. 2-3, pp. 87-106.
1 La relazione consta di 11 pp. (Di questo documento e degli altri citati può
aversi fotocopia).
Nella Commissione Franceschini, composta di parlamentari e di studiosi,
rappresentava questi ultimi per ì settori degli archivi e delle biblioteche il prof. Augusto
Campana, affiancato da « esperti esterni »: per le biblioteche dal prof. Francesco Barberi
e occasionalmente da altri.
162
La relazione che era, sostanzialmente, un'esposizione delle linee
generali del Progetto Franceschini con alcune osservazioni a titolo personale
della relatrice, mentre riconosceva ampiamente alla Commissione i meriti di
carattere conoscitivo circa le reali disastrose condizioni in cui in ltalia s'operava
in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali, rifiutava invece, almeno
per quanto riguardava le biblioteche, i rimedi proposti, e cioè la costituzione di
quell'Azienda autonoma governata da un Consiglio nazionale, « vero e proprio
parlamento ristretto ad alta qualificazione ». A questa non venivano
riconosciuti, innanzi tutto, gli sbandierati requisiti di democratizzazione, poiché
non era dato « sapere in alcun modo chi e secondo quali scelte sarà chiamato a
far parte degli organismi rappresentativi »; veniva, poi, messo in forte dubbio
che i problemi delle biblioteche potessero ottenere giusto posto nella
attenzione dei cinque al vertice dell'Azienda (Consiglio d'amministrazione,
posto tra il Ministro e il Soprintendente generale equivalente all'allora Direttore
generale) di « nomina presidenziale, rinnovabili vita natural durante, scelti a
livello politico senza alcuna garanzia di competenza, senza alcuna garanzia,
prima ancora, che le biblioteche, come tali, siano rappresentate ».
Questo concetto fondamentale era meglio ripetuto e ribadito nel
seguente passo della relazione: « Terzo mistero: quale possa essere il destino
delle biblioteche dello Stato che entrano in un carrozzone i cui posti a sedere
sono visibilmente prenotati da compagni di viaggio così grossi e vocianti che
sarà loro assai difficile trovare un posticino d'angolo. E' chiaro, infatti, che
l'Azienda nasce all'infuori dei concreti problemi delle nostre biblioteche... ».
Affermazione, quest'ultima, purtroppo corrispondente ad una ben nota e
ricorrente realtà, della quale non c'è da stupirsi se si considera, fra l'altro, anche
il non « avere preso corpo » di quella Commissione dell'AIB che avrebbe
dovuto seguire dall'esterno i lavori della Franceschini. Sicché la dr. Vinay
concludeva amaramente la sua relazione con le seguenti parole: « Che le cose
siano andate così avanti con questi frutti è l'aspetto doloroso della vicenda: non
siamo stati abbastanza uniti e consapevoli per seguire i lavori della
Commissione dal di fuori intervenendo nel miglior modo prima che fosse tardi;
chi ha potuto seguirli non ha pensato che potessimo avere qualcosa da dire
anche noi... Siamo stati vittime della pigrizia nostra e del paternalismo altrui, i
due vizi che più hanno cooperato all'attuale deterioramento delle biblioteche
statali ». Onesta e coraggiosa autocritica, questa, che molti bibliotecari,
certamente, sarebbero disposti a sottoscrivere, ma fatta al vento, perché la
storia successiva del problema non mostra che sia servita a far cambiare il
costume, a stringere nella categoria
163
una maggiore unità e coesione, a scrollare, soprattutto, di dosso pigrizia e
assenteismo.
Infatti, come avviene nei Congressi, a conclusione della relazione della
dr. Vinay furono approvati due ordini del giorno: uno chiedeva la nomina di
una Commissione che « approfondisca i temi della relazione e che collabori con
gli organi chiamati a tradurre in legge le indicazioni di fondo della Commissione
parlamentare di indagine »; l'altro indicava la necessità che nel quadro della
ristrutturazione dell'amministrazione dei beni culturali si tenesse presente,
specialmente ai fini dell'adeguamento dei mezzi finanziari, l'enorme quantità di
beni culturali posseduti dagli Enti locali.
Ebbene il Consiglio direttivo, subito dopo il Congresso di Fiuggi,
nominò la richiesta Commissione, che risultò costituita dagli stessi soci che
avevano fatto parte di quella mista Archivi-Belle Arti-Biblioteche; ma di quella
Commissione, dopo una prima riunione tenuta il 10 ottobre 1967, non c'è più
traccia tra gli atti d'archivio, né sulle pagine del « Bollettino d'informazioni ». In
quella riunione la Commissione si limitò a sottoscrivere e a ribadire ciò che già
nel giugno 1967 la Commissione mista sopra ricordata aveva osservato nei
riguardi della Proposta di legge del Ministero della Pubblica Istruzione sulla
Azienda autonoma dei beni culturali. Quelle osservazioni, che il Consiglio
direttivo dell'AIB presentò alla Direzione generale accademie e biblioteche e
per la diffusione della cultura, sono contenute nella seguente relazione della
Commissione 3:
« La Commissione nominata dall'AIB per l'esame della legge di delega
sull'Amministrazione autonoma dei beni culturali, nelle persone dei dr. Alaimo
(assente), Bottasso, Frattarolo (dimissionario), Lunati, Pagetti, Vinay, riunita in Roma il
giorno 10 ottobre u.s., ha espresso in linea generale un giudizio positivo sui risultati
della Commissione d'indagine presieduta dall'on. Franceschini sulla costituzione di una
Amministrazione autonoma quale organismo destinato a presiedere l'intero settore dei
beni culturali e sulla partecipazione delle biblioteche alla nuova struttura.
Ha dovuto tuttavia riconoscere che il testo legislativo predisposto dal
Ministero della Pubblica Istruzione si discosta in senso negativo dalle conclusioni della
Commissione d'indagine tradendone spesso lo spirito informatore.
A tale proposito ha ritenuto di fare proprie le osservazioni formulate da una
Commissione paritetica Archivisti Bibliotecari Archeologi in un documento diffuso
nello scorso mese di luglio, i cui punti essenziali qui di seguito si riportano:
A) Perché l’« Amministrazione autonoma » meriti davvero questo
__________
Vedi: « Bollettino d'informazioni dell'Associazione italiana biblioteche », 7
(1967), p. 128-39.
3
164
nome, e non si risolva in un nuovo apparato burocratico che erediti tutti i difetti di
quello attuale o scada addirittura a strumento di sottogoverno, è indispensabile che
vengano adottate tutte le norme atte a fondare in modo democratico e decentrato
l'esercizio dei poteri decisionali e operativi dell'Amministrazione stessa. A tal fine sono,
in particolare, da proporre come necessari i punti seguenti:
a) i poteri del ministro devono essere circoscritti nell'ambito della responsabilità
politica;
b) i cinque comitati nazionali di settore devono essere costituiti su base elettiva.
Il numero dei loro membri deve essere stabilito dalla legge.
Il corpo elettorale deve essere composto dai funzionari scientifici della rispettiva branca
dell'Amministrazione autonoma e dai docenti universitari
delle materie interessate;
c) il consiglio nazionale dei beni culturali deve essere composto dalla riunione
dei cinque comitati nazionali di settore;
d) i comitati di settori e il consiglio nazionale devono costituire il fulcro
dell'Amministrazione autonoma e i loro poteri decisionali e operativi devono essere reali
e fissati in modo chiaro e inequivocabile, usando parole che abbiano un senso preciso
nel sistema del diritto amministrativo italiano;
e) il consiglio di amministrazione deve essere l'organo esecutivo della
Amministrazione autonoma. Deve essere composto da due rappresentanti per ciascuno
dei cinque comitati nazionali di settore, eletti dai comitati stessi. Il consiglio di
amministrazione può essere integrato da non più di cinque funzionari amministrativi di
nomina ministeriale;
f) la durata dei comitati di settore, del consiglio nazionale e del consiglio di
amministrazione deve essere fissata dalla legge.
B) L'equiparazione dello status dei funzionari scientifici a quello dei professori
universitari, richiesta dalla commissione parlamentare, deve essere affermata in modo
netto dalla legge, con inequivocabile contrapposizione allo status attuale di impiegati
civile dello Stato. Solo così sarà possibile dotare l'Amministrazione autonoma del
personale culturalmente qualificato di cui essa ha bisogno.
C) Lo snellimento della procedura amministrativa e contabile deve essere
stabilito con la precisione necessaria a rendere impossibile che gli scopi sostanziali della
riforma siano poi frustrati dal sopravvento dei paralizzanti indirizzi prevalenti in seno
alla Ragioneria generale dello Stato.
Concludendo la Commissione è unanime nel riconoscere che l'approvazione
dell'attuale testo di legge delegata non porterebbe alcun rimedio alle deficienze
dell'attuale struttura dell'amministrazione e renderebbe inefficaci in gran parte i
maggiori stanziamenti di spesa previsti ».
Nessuna presenza ufficiale dell'AIB, attraverso quella sua Commissione,
nella prima Commissione Papaldo, insediata il 9 aprile 1968 e composta di ben
38 membri, che doveva studiare la revisione ed il coordinamento delle norme di
tutela relative
165
ai beni culturali: della quale, tuttavia, furono chiamati a far parte il Direttore
generale prof. Accardo e gl'ispettori generali prof. Barberi e dr. Carlo
Frattarolo. Il testo preliminare del Disegno di legge, frutto dei lavori di quella
Commissione 4 non è stato mai oggetto di discussione, né in sede
parlamentare, né in altre sedi qualificate a darne un giudizio tecnico: sicché può
sembrare anche strano che, nel mare di incertezza e di indefinitezza in cui si
navigava ancora per la mancanza della legge fondamentale sulla tutela e la
valorizzazione dei beni culturali (di cui esisteva soltanto quel « testo preliminare
di progetto »), si procedesse alla costituzione di una Commissione ministeriale
(luglio 1970), quella che fu poi chiamata «Papaldo II» perché presieduta dallo
stesso dr. Antonino Papaldo, per il riassetto delle strutture amministrative nel
settore dei beni culturali e per la formazione del regolamento di esecuzione del
disegno di legge sulla tutela dei beni stessi.
Ma così si è: e questa volta l’ AIB fu invitata ufficialmente a designare
un suo rappresentante in seno alla Commissione. La scelta cadde sulla dr. Gina
Risoldi, che aveva già fatto parte delle precedenti commissioni incaricate per i
problemi delle biblioteche statali, particolarmente interessata all'attuazione delle
nuove strutture per l'amministrazione dei beni culturali. Dall'aprile 1971, epoca
della prima convocazione della Commissione Papaldo II, al dicembre dello
stesso anno in cui fu decretata, con un« nulla di fatto », la chiusura dei lavori,
l’AIB concorse a questi con la presentazione di tre successivi documenti - quelli
che seguono - frutto di intensa attività del Consiglio direttivo, della dr. Risoldi e
di una nuova Commissione che, ad affiancarla, era stata nominata dopo il XXI
Congresso (Perugia, maggio 1971).
DOCUMENTO I
(Presentato alla Commissione Papaldo II nell'aprile 1971)5
L'Associazione Italiana Biblioteche ha consegnato recentemente al signor
Ministro della Pubblica Istruzione un documento contenente le « Osservazioni dei
bibliotecari italiani a proposito del progetto di riforma amministrativa del servizio
bibliotecario nell'ambito della riforma generale del Ministero della Pubblica Istruzione».
Tale documento è stato elaborato - come si desume dall'intitola-
______________
4 Pubblicato in: « Rivista trimestrale di diritto pubblico », 1970, p. 905-53.
5 Questo documento, con poche varianti nel preambolo, fu presentato al Ministro
Misasi il 22 marzo 1971 relativamente alla ristrutturazione del Ministero della Pubblica
Istruzione, che in quel momento sembrava dovesse essere operata in tutta fretta ed in
anticipo rispetto ai tempi previsti dalla Legge 28 ottobre 1970, n. 775.
166
zione stessa di esso - in funzione e in vista della progettata ristrutturazione del Ministero
della Pubblica Istruzione, delegata dal Parlamento al Governo con la Legge 28 ottobre
1970 n. 775, al pari degli altri Ministeri.
Nelle più ampie prospettive, ora, dello studio da parte di un'apposita
Commissione presieduta dal prof. Antonino Papaldo, « delle nuove strutture degli
organi che dovranno fare applicazione delle norme predisposte » dal disegno di legge
sulla « Tutela e valorizzazione dei beni culturali », la validità di quel documento
dell'Associazione resta circoscritta alla deteriore delle ipotesi avanzate dalla
Commissione Papaldo.
A quello, cioè, che le « nuove strutture » debbano restare nell'ambito del
Ministero della Pubblica Istruzione - così, come del resto è previsto nel progetto di
ristrutturazione del Ministero stesso - venendo a formare, insieme con le Belle Arti, una
Direzione generale dei beni culturali: ipotesi che viene considerata deteriore
dall'Associazione in quanto il suo concretarsi rappresenterebbe una ulteriore, e forse
definitiva, frustrazione delle aspettative create negli operatori del settore dei beni
culturali, sia dagli studi della Commissione Franceschini, sia dalla traduzione di essi in
schema di disegno di legge da parte della prima Commissione Papaldo.
Tra le altre due ipotesi, l'Associazione italiana biblioteche concorda nella
perplessità dimostrata in altri settori circa la costituzione di una Azienda autonoma dei
beni culturali, e propende, piuttosto, per una soluzione intermedia, che potrebbe essere
rappresentata dalla creazione di un Ministero atipico, sulla falsariga di quello, ad
esempio, dei trasporti.
Un Ministero di questo genere, infatti, senza esporci ai pericoli che possono
sospettarsi in un'Azienda autonoma potrebbe consentire, proprio per i suoi caratteri di
atipicità, da correlazionare naturalmente alle materie di competenza:
1)
speciali norme di amministrazione e contabilità, sganciate da quelle vigenti per
le normali amministrazioni statali, e più consentanee alla gestione di istituti e
servizi di ricerca, di studio, di conservazione e diffusione della cultura;
2) autonomia amministrativa per determinati istituti e servizi di preminente
interesse nazionale e centrale;
3) atipicità dei ruoli, delle carriere e delle retribuzioni del personale addetto agli
istituti e ai servizi, che non può continuare a confondersi col personale
amministrativo e per il quale è stato già elaborato un disegno di legge
prevedente la creazione di un elenco degli abilitati alla professione.
Il bibliotecario svolge lavoro di cultura e tecnico insieme, per il quale è
necessaria una preparazione specifica, come dimostrano gli stessi attuali
programmi d'esame per l'accesso alla carriera: personale che non è possibile
retribuire, perciò, nella stessa misura del personale amministrativo se non si
vuole sempre di più accettare, a danno degli istituti e dei servizi, il
depauperamento qualitativo degli operatori del settore e se si vuol far fronte
all'esigenza sempre più sentita di una certa percentuale di personale con
qualificazioni scientifiche e tecniche
167
specifiche (laureati in materie scientifiche per i lavori di classificazione,
soggettazione, indicizzazione, ecc. programmatori e tecnici dell'automazione,
ecc.);
4)
assegnazione in prevalenza a personale tecnico (bibliotecario) della direzione e
dei servizi delle nuove strutture centrali che dovranno curare l'applicazione delle
norme per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali.
Per quanto riguarda la ripartizione dei servizi relativi alle biblioteche nell'ambito
di un Ministero atipico per i beni culturali, che dovrà accogliere anche i settori Archivi e
Belle Arti - dando per scontato che ciascuno dei tre settori avrà una sua distinta
individualità -resta valida la ripartizione delineata nell'allegato I del Documento già
presentato al signor Ministro della Pubblica Istruzione, al quale sono state apportate,
per maggior chiarimento, soltanto poche aggiunte. Anche l'allegato II a quel
documento, nel quale sono spiegate le ragioni delle proposte della Associazione, viene
unito al presente testo, con qualche breve aggiunta.
Allegato I
PROPOSTE PER LA RISTRUTTURAZIONE DELL'UNITA' OPERATIVA PER I
SERVIZI BIBLIOTECARI
1) Divisione del programma
Politica generale dei servizi bibliotecari. Rapporti, ai fini generali dei servizi, con
istituti bibliotecari non dipendenti dalla Direzione generale (Regioni, Università, Scuole,
Ministeri, Istituti scientifici ecc.). Elaborazione di programmi di ricerca e di sviluppo di
interesse nazionale.
2) Divisione del personale
Formazione ed aggiornamento dei bibliotecari italiani. Elenco degli abilitati alla
professione. Assegnazione del personale tecnico per la direzione ed il funzionamento di
tutte le biblioteche e dei servizi bibliografici di interesse nazionale dipendenti dallo Stato
anche se non appartenenti patrimonialmente alla Direzione generale (Università,
Ministeri, Istituti superiori ecc.).
Borse di studio. Scambi di personale con l'estero. Congressi e convegni.
3) Divisione delle strutture
a) Servizi bibliotecari e bibliografici centrali d'interesse nazionale gestiti direttamente
dallo Stato e in cooperazione con istituzioni culturali,scientifiche, amministrative e
scolastiche (biblioteche statali, universitarie, scolastiche, amministrative, di istituti
scientifici ecc.; bibliografie e repertori bibliografici nazionali, generali e speciali;
Catalogo unico e cataloghi collettivi; servizi informazione e documentazione).
Per pochi istituti o servizi di maggiore importanza (Biblioteche nazionali centrali di
Firenze e di Roma, Istituto di patologia del libro,
168
Centro del restauro di Firenze, Centro nazionale per il Catalogo unico)
potrebbe essere prevista un'autonomia amministrativa, ferma restando la
dipendenza, agli effetti del coordinamento e della direzione, dalla unità
operativa per i servizi bibliotecari;
b) Servizi delle biblioteche pubbliche svolti dagli Enti locali (Comuni e
Province) e da Enti culturali vari, in collegamento e collaborazione con le
Regioni, per l'attuazione dei programmi di sviluppo nazionale e regionali;
c) Soprintendenza alla tutela del patrimonio librario.
Organi periferici, dipendenti da questa divisione, dovrebbero restare le
Soprintendenze bibliografiche regionali o comprensoriali, adeguatamente
potenziate di personale qualificato e di mezzi e suddivise in due distinti
settori: l'uno per la vigilanza e il coordinamento su tutte le biblioteche statali
non dipendenti, quanto a gestione, dall'Unità operativa per i servizi
bibliotecari (biblioteche universitarie, scolastiche, dei Ministeri, di Istituti
ecc.), nonché per i rapporti con le Regioni ai fini della programmazione
generale di tutti i servizi bibliotecari e del coordinamento del servizio di
pubblica lettura; l'altro per la conservazione e la tutela dei beni librari.
4) Divisione dei servizi tecnici
a) Teoria e ricerca di tecniche biblioteconomiche relative alla costruzione
all'ordinamento e al funzionamento di ogni tipo di biblioteca;
b) Applicazione delle tecniche biblioteconomiche relative alla costruzione,
all'ordinamento e al funzionamento delle biblioteche di ogni tipo;
c) Studi e tecniche per la conservazione e il restauro del materiale librario.
5) Divisione delle pubblicazioni e pubbliche relazioni
Edizioni scientifiche e tecniche. Rapporti con istituzioni italiane e
straniere, con la stampa ed altri mezzi di comunicazione per la pubblicizzazione
dei problemi e dei programmi di sviluppo in atto relativi alla politica delle
biblioteche.
6) Divisione dell'amministrazione
Ufficio legislativo. Operazioni attinenti ai capitoli di bilancio
amministrati dalla Direzione generale. Controllo amministrativo delle Divisioni
e dei servizi tecnici. Ufficio contabilità. Archivio della Direzione generale.
7) Consiglio Superiore
Consiglio superiore delle biblioteche composto dalle seguenti
rappresentanze di biblioteche statali e di enti pubblici, elette democraticamente
secondo regolamento: 3 direttori di biblioteche di studio e ricerca; 3 direttori di
biblioteche pubbliche; 3 soprintendenti ai beni librari. Il Consiglio superiore
avrà facoltà di riunirsi in modo plenario per i problemi di carattere generale e
separatamente per settori per i rispettivi problemi.
169
Allegato II
NOTE ILLUSTRATIVE SULLA NECESSITA' DI UNA POLITICA PER
BIBLIOTECHE ITALIANE
LE
1) Biblioteche pubbliche
Il servizio di pubblica lettura (biblioteche pubbliche) non può concepirsi avulso,
come servizio a sé stante, dal sistema bibliotecario del Paese, per le seguenti ragioni:
a) se è vero che con tale servizio si vuole, soprattutto, favorire l'evoluzione culturale di
tutti i cittadini e se, perciò, esso è uno degli strumenti dell'azione per l'educazione
permanente, tuttavia non si può assolutamente accettare ancora l'idea di una
sottocultura (già definita con l'attributo di « popolare ») e di una cultura superiore tra
loro nettamente indipendenti. Bisogna inoltre pensare a quella fascia di cittadini che
ha raggiunto gradi di istruzione media, ma che tuttavia ha sempre bisogno di
aggiornarsi e di informarsi. Quindi l'azione della biblioteca pubblica e di quelle di
ricerca e di studio devono vicendevolmente integrarsi in una stretta cooperazione,
che non potrebbe essere assicurata se non attraverso un unico centro direzionale
tecnico per entrambi i settori;
b) la lettura non è solo strumento di azione per l'educazione permanente dei cittadini.
Questa si attua, soprattutto, attraverso una continua creazione di stimoli, nella
comunità, a restare a contatto o a riprendere il contatto con il mondo della cultura,
intesa nel senso più ampio: mondo al quale non possono ritenersi estranei i Musei, le
Gallerie, i Monumenti in genere, le Biblioteche di conservazione, di ricerca e di
studio, gli Archivi, le Accademie e le Università stesse, sia per i cimeli di storia e d'arte
che tutti questi istituti conservano e valorizzano, sia per la ricerca scientifica che essi
promuovono, stimolano, alimentano;
c) seppure si afferma in questo documento che il servizio di pubblica lettura deve
essere compito prevalentemente degli Enti locali (Regioni, Comuni), tuttavia
nell'attuale situazione del Paese sono molte, per non dire quasi tutte, le biblioteche
di Stato - affidate nel progetto alla Direzione dei beni culturali - che svolgono
funzioni anche di pubblica lettura. Sicché non si vede come tali biblioteche
potrebbero andare a dipendere, per quanto riguarda questa parte della loro azione,
da una Direzione diversa, e cioè da quella dell'educazione permanente.
d) l'altissimo numero di comunità minime presenti nel nostro Paese non consente
l'affermazione di un efficiente servizio di pubblica lettura che non sia concepito in
una struttura di sistemi comprensoriali, risultando accertata l'impossibilità, per
evidenti ragioni economiche, di far vivere e prosperare in modo autonomo una
biblioteca (che possa dirsi veramente tale) in comunità inferiori ai 10.000 abitanti.
Alla organizzazione e al funzionamento dei sistemi comprensoriali concorrono
biblioteche di gestione diversa (Stato, Regioni, Province, Comuni, Enti vari),
170
ma è assolutamente necessario che da una fonte unica promanino le direttive, i
criteri organizzativi, la programmazione, le metodologie e le tecniche; fonte
unica che non può essere diversa da quella cui è attribuita la competenza nei
riguardi dell'intero sistema bibliotecario del Paese;
e)
lo Stato concorre, e continuerà a concorrere per un tempo che è da prevedere
ancora lungo, alle spese per la gestione del servizio di lettura, non solo
direttamente con le sue stesse biblioteche, ma anche con l'erogazione dei
contributi ordinari e di stanziamenti straordinari nell'ambito della
programmazione economica nazionale. Ben lungi dal pensare ad un centralismo
gestionale anacronistico e antifunzionale in tempi maturi per un decentramento
democratico del potere, è nella realtà delle cose sottolineare che è necessario che
i fondi erogati, a qualsiasi titolo, ai fini della promozione, dell'istituzione e del
funzionamento del sistema bibliotecario italiano, siano controllati da un'unica
unità funzionale tecnico-amministrativa. Ciò allo scopo di evitare dispersione di
tali fondi in iniziative diverse, inadatte e incapaci di raggiunggere i fini prefissi
perché avulse dalla giusta sfera di competenze, come è avvenuto fino ad oggi.
Ci si vuole qui riferire in particolare ai Centri di lettura (oggi Centri sociali)
gestiti dalla Direzione generale dell'educazione popolare, ai Centri dei servizi
culturali gestiti dal Formez con finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno,
all'Ente nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche ecc.
Non sarà difficile riassorbire sotto una Direzione unitaria, nei sistemi
bibliotecari istituiti o da istituire e per quanto riguarda la loro funzione bibliotecaria,
quei centri di cultura che sono incapaci di essere biblioteche vere e proprie e che
acquisteranno efficienza solo se inseriti nel contesto dei sistemi stessi.
D'altro canto anche gran parte delle stesse biblioteche degli Enti locali, in
particolare quelle di capoluoghi di provincia, svolgono compiti, nello stesso tempo, di
conservazione, di studio e di biblioteca centrale dei sistemi di pubblica lettura e quindi,
dal punto di vista tecnico, si troverebbero di fronte a tre possibili impostazioni diverse
con risultati facilmente ipotizzabili e non sempre eliminabili nell'ambito della direzione
delle singole biblioteche.
In sostanza, alla Direzione generale dei beni culturali dovrà competere la
gestione dei fondi erogati dallo Stato per la promozione, l'organizzazione e il
coordinamento delle biblioteche del servizio dì lettura o pubbliche; mentre alla Direzione
generale dell'educazione permanente competerà sia la programmazione dell'azione
culturale da svolgere, sia la preparazione e l'assegnazione del personale adatto a svolgere
quell'azione (animatori culturali) presso Centri che troveranno nelle biblioteche e nelle
altre strutture culturali spunti e materiale ausiliario al loro lavoro.
L'inserimento nella Direzione generale dei beni culturali di un servizio di
pubblica lettura, concepito non più nell'angusta visione di un pullulare di piccoli asfittici
nuclei librari, indipendenti e isolati, ma nel
171
contesto di strutture comprensoriali, collegate fra loro stesse e con il sistema
bibliotecario nazionale, non potrà sembrare un controsenso: quel servizio, infatti,
essendo parte integrante di questo sistema, ben rientra nel concetto di bene culturale sia
come patrimonio librario, sia come azione di cultura.
Del resto ciò è già riconosciuto al Capo I del Titolo II dello schema del disegno
di legge « Tutela e valorizzazione dei beni culturali ». Al secondo comma dell'art. 87 vi si
legge infatti tra l'altro « Le Regioni regolano l'organizzazione e il funzionamento dei
musei e delle biblioteche degli enti locali... ai fini... di concorrere a costituire un sistema
bibliotecario nazionale, unitario e articolato, che assicuri a tutti i cittadini un idoneo
servizio di lettura, di informazione e di prestito, e di promuovere lo sviluppo e la
diffusione della cultura e dell'educazione civica e la ricerca scientifica ».
2) Biblioteche universitarie
Poche Università sono dotate di una propria biblioteca generale; la maggior
parte di esse è servita, invece, da una biblioteca statale, che oggi dipende dalla Direzione
generale delle accademie e biblioteche e domani dipenderà da quella dei beni culturali.
Questa situazione ha comportato e comporterà, nella maggior parte dei casi, per la
diversità di dipendenza amministrativa e gestionale della biblioteca generale rispetto alle
biblioteche periferiche ( di facoltà e di istituti), l'assoluta mancanza di qualsiasi forma di
cooperazione, e coordinamento tra l'una e le altre. Queste ultime, poi, numerosissime, si
sono venute formando e sviluppando in modo autonomo e caotico, prive di personale
specializzato, con organizzazioni, strumentazioni e servizi a livello artigianale, del tutto
inadeguati agli scopi istituzionali. Sicché il patrimonio librario di cui ciascuna Università
è complessivamente ricca non viene pubblicizzato e utilizzato se non in minima parte e
attraverso difficoltà e disagio acuti: e ciò con enorme e irrazionale dispendio di pubblico
denaro.
2/1 Biblioteche scolastiche
Un discorso simile può farsi nei riguardi delle biblioteche scolastiche, con
riferimento specialmente a quelle della Scuola media superiore. L'inusitato e
sproporzionato sviluppo che gran parte di esse è andata assumendo durante un secolo
circa di vita amministrativa italiana è dovuto, probabilmente, all'assoluta mancanza di un
adeguato servizio di biblioteche pubbliche, e di conseguenza di biblioteche o sezioni
speciali per ragazzi.
Molte volte l'Associazione ha discusso sul problema delle biblioteche scolastiche,
che finiscono per rappresentare un infruttuoso impiego di pubblico denaro in quanto
non sono generalmente utilizzate né dai docenti né dai discenti. La Scuola media,
quando non si tratti di istituti ad accentuata specializzazione, non può non essere aperta
all'interesse verso tutti i rami dello scibile, sicché una biblioteca capace di rappresentare
compiutamente, e in continuo aggiornamento, queste
172
esigenze, viene ad assumere dimensioni tali attraverso il tempo da risultare
sproporzionata rispetto alla quantità dell'utenza, e da imporre altresì problemi di
finanziamento, di sede, di attrezzature, di servizi, di personale qualificato, difficilmente
risolvibili nell'ambito di ogni singola scuola.
2/2 Biblioteche dei Ministeri
Una categoria di biblioteche, la cui importanza non può sfuggire per l'apporto
che esse rappresentano ai fini della ricerca e della documentazione specializzata, è quella
dei Ministeri. La situazione attuale di esse è ben nota e, salvo pochissime eccezioni, può
essere senz'altro definita assolutamente inadeguata: povere di dotazione, anguste nei
locali, scadenti quanto ad attrezzature, a strumenti di valorizzazione e di ricerca, sono
quasi sempre affidate a personale amministrativo intercambiabile, sfornito di una
qualsiasi specifica preparazione.
Ai difetti che qui si sono messi in rilievo riguardo alle biblioteche universitarie,
scolastiche e ministeriali (altre se ne potrebbero aggiungere come quelle di Accademie e
Istituti scientifici), non sarà mai possibile ovviare adeguatamente fino a quando la
competenza, non gestionale, ma in fatto di promozione, coordinamento, metodologie e
tecniche, personale, non sarà riunita in quel centro direzionale che, presso il Ministero
dei beni culturali, dovrà stabilire le linee direttrici per tutti i servizi bibliotecari e
bibliografici del Paese.
DOCUMENTO II
(Presentato alla Commissione Papaldo II il 5 ottobre 1971)
L'Associazione Italiana Biblioteche esprime le proprie preoccupazioni perché,
dall'inizio dei lavori della Commissione Papaldo II ad oggi, il discorso intorno ai beni
culturali si è andato, anziché chiarendo, estremamente complicando, soprattutto per le
discordanze e per la confusione in cui si vanno evolvendo gli atteggiamenti dei pubblici
poteri nella ricerca di stabilire una ripartizione di competenze di vario genere tra gli
organi centrali e periferici dello Stato: amministrazioni centrali e amministrazioni
regionali.
Questa affermazione è ampiamente dimostrata da vari documenti che, a fiume,
si vanno producendo in sede regionale e nazionale: sia dalle pubbliche autorità, sia dalle
associazioni, sia dai sindacati ecc. Tutta la letteratura regionale in materia di musei e
biblioteche (che dei beni culturali sono i depositari e i valorizzatori, in una con gli
archivi) mostra la tendenza alle più espansive e dilatate interpretazioni dell'art. 117 della
Costituzione; e a questa tendenza sembra affiancarsi l'ordine del giorno del Senato del
18 dicembre 1970 relativo ai criteri di attuazione dell'ordinamento regionale, che
ripetutamente si rifà all'art. 17 della Legge 16 maggio 1970, n. 281. D'altro canto il «
Decreto delegato per l'assistenza scolastica, i musei, e le biblioteche », così reticente,
manche
173
vole, impreciso, sembra nascondere la volontà di cedere le minori competenze
possibili da parte delle autorità centrali dello Stato al governo delle Regioni. Lo
scontento di queste, nel rigettare ovunque quel decreto, è esploso in un coro di
denigrazione assoluta, non sempre giustificata e obiettiva, del dirigismo fin qui
esercitato in materia dagli organi centrali dello Stato, con il palese e dichiarato
proposito di sostituire in toto a tale dirigismo quello della Regione. Gli stessi
lavori della Commissione Papaldo II, che riguardano direttamente la materia
oggetto della contesa, procedono sulla scia del tradizionale affidamento agli
organi centrali dello Stato di ogni competenza direttiva in materia, senza
mostrare di voler tenere conto della contesa stessa e della realtà regionale.
In questa situazione all'Associazione Italiana Biblioteche sembra
necessario che i lavori della Commissione debbano considerare o, riconsiderare,
alcuni aspetti di fondo del problema, in modo da offrire al Parlamento un
documento che recepisca le varie istanze sopra accennate e le componga in un
piano organico sfruttante al massimo le positive caratteristiche delle parti ora in
contrasto.
l. « Bene culturale », secondo il concetto e la definizione formulati dalla
Commissione Franceschini, è un bene che « produce civiltà »: un bene, quindi,
che non è solo da conservare e tutelare inerte (altrimenti non è più « culturale
»), ma che bisogna altresì valorizzare e organizzare perché produca civiltà.
Questo concetto è del resto confermato nell'ultimo comma dell'art. 1 dello
Schema di disegno di legge « Tutela e valorizzazione dei beni culturali »,
predisposto dalla I Commissione Papaldo, il quale dice: « I beni culturali sono
sottoposti al regime stabilito da questa legge per quanto concerne la
conoscenza, la documentazione, la catalogazione, la salvaguardia, il restauro,
l'appartenenza, la circolazione, il godimento e la funzione educativa ». Orbene, i
centri operativi in materia di conservazione e valorizzazione dei beni culturali
sono tutti gli archivi, tutte le biblioteche, tutti i musei: indipendentemente
dall'ente di appartenenza. Ecco perché sembra inconcepibile distinguere, o
addirittura suddividere tra competenze diverse, un'identica azione di
conservazione e di tutela da quella di valorizzazione, a seconda dell'ente di
appartenenza, come si sta correndo il rischio che avvenga se la contesa in atto
tra i poteri centrali e periferici dello Stato finirà per comporsi - come è facile
che si verifichi - con soluzioni di compromesso.
2. Dallo stesso enunciato concetto di « bene culturale » proviene che ad
esso non si possa attribuire un interesse locale: un interesse comunale,
provinciale, regionale o nazionale, che possa suggerire un diritto esclusivo
direzionale in materia. Il « bene culturale » ha un interesse universale. C'è,
invece - ma è un discorso diverso e da farsi - un dovere locale (comunale,
provinciale, regionale e nazionale) di conservare, di tutelare, e di valorizzare
questo « bene culturale ». La Costituzione, infatti, all'art. 9 (come negli altri che
trattano in qualsiasi modo della evoluzione sociale e culturale dei cittadini) dice:
« La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e
tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione ».
174
Quando si dice Repubblica si dice lo Stato, di cui sono componenti operative, ai fini
dell'ordinamento del Paese, sia le autorità centrali, sia le autorità periferiche. E' a tutte
queste autorità, quindi, che spetta il dovere di promuovere lo sviluppo della cultura e
della ricerca scientifica e tecnica ecc.: in armonia e non in competizione o in contrasto.
Naturalmente con certi interessi prevalenti. Ma questi interessi non possono e non
devono assolutamente essere quelli di conquistare o mantenere il completo dirigismo in
materia. Sembra giusto considerare in sede regionale l'interesse di realizzare, attraverso
tutte le forze operanti nel settore, le condizioni di efficienza degli istituti e dei servizi
esistenti nella Regione indipendentemente dalla loro appartenenza, in sede nazionale
considerare invece l'interesse che tali condizioni siano realizzate uniformemente
ovunque nel Paese, senza squilibri da zona a zona. Talché sembra all'Associazione
Italiana Biblioteche che l'art. 117 della Costituzione possa anche essere interpretato nel
senso che le competenze ivi previste siano attribuite alle Regioni come un dovere-diritto
di assicurare, legiferando sulle biblioteche e sui musei degli Enti locali (in parità di
posizione rispetto alle autorità centrali le quali legiferano in materia di musei e
biblioteche governativi), l'efficienza di quegli istituti e servizi che hanno il compito di
conservare, tutelare e valorizzare i « beni culturali ».
3. Ma un altro aspetto importante del problema bisogna considerare per
approfondire il discorso. I « beni culturali » sono nelle mani delle più diverse persone
giuridiche o fisiche, le quali hanno l'incontestabile diritto di gestirli, di amministrarli:
sembra, perciò, all'Associazione Italiana Biblioteche che una distinzione, una spartizione
negata decisamente tra conservazione e tutela da una parte e valorizzazione dall'altra debba, invece, essere stabilita, - e con ben chiare definizioni - tra gestione (o
amministrazione o esecuzione) e direzione. La prima funzione deve essere lasciata ai
detentori dei beni culturali, la seconda, invece, dovrebbe essere svolta in altra sede,
unitariamente per tutti gli istituti e servizi di diversa appartenenza e gestione, in modo
che sia ovunque garantita unitarietà e uniformità di efficienza degli istituti e dei servizi
stessi.
Questa riapertura di questioni di fondo in seno alla Commissione Papaldo, da
parte dell'Associazione Italiana Biblioteche, può apparire intempestiva, tardiva. Ma in
realtà, mentre da una parte con il presente intervento si vuol porre l'accento su alcuni
aspetti del problema fino ad ora sostanzialmente ignorati e che comunque non
sembrano essere stati affrontati e approfonditi sufficientemente dalla Commissione
Papaldo II, specie con riferimento a quanto previsto dagli articoli 87-89 dello Schema di
disegno di legge « Tutela e valorizzazione dei beni culturali »; dall'altra gli spunti alle
considerazioni che si sono andate facendo sono offerti dal Progetto presentato dai
responsabili del settore Archivi, progetto sul quale verte attualmente l'esame e la
discussione della Commissione Papaldo stessa6.
E' sembrato all'Associazione, ad un'attenta lettura, che quel Pro-
175
getto cogliesse proprio nel segno, proponendo strutture attraverso le quali si realizzi una
netta distinzione tra funzione gestionale (o amministrativa, o esecutiva) e funzione
direzionale. Quest'ultima (comprendente la programmazione delle attività, la definizione
dei bilanci per il finanziamento di esse, la formazione, la nomina, la direzione del
personale, la politica in genere ecc.) dovrebbe svolgersi in una sede composita, in una
sede, cioè, nella quale convergano rappresentativamente tutte le componenti operative
del settore - politiche, amministrative, scientifiche - a diversi livelli: Consigli di istituto,
Consigli regionali e nazionale di settore, Consigli regionali e nazionale dei beni culturali.
Se quel Progetto apparisse chiaramente rivolto a disciplinare totalmente l'intero
settore degli istituti e servizi, di qualsiasi appartenenza e gestione (governativi, regionali,
comunali, provinciali ecc.) preposti alla conservazione, tutela e valorizzazione dei beni
culturali, all'Associazione Italiana Biblioteche non resterebbe che affiancarsi agli
archivisti e sottoscrivere il loro progetto (pur con le modifiche e le integrazioni suggerite
da particolari esigenze del settore biblioteche), poiché quel progetto ha recepito
sostanzialmente tutti i principi già enunciati dall'Associazione, come fondamentali per il
settore di competenza, nel primo documento presentato alla Commissione Papaldo. Ma
molti elementi del Progetto - come, ad es., la composizione e le competenze dei
Consigli regionali e nazionale di settore dei Consigli regionali e nazionale dei beni
culturali - fanno dubitare che esso sia concepito soltanto per la disciplina diretta degli
istituti e servizi governativi e che su quelli non governativi in genere si tenda a
mantenere funzioni e competenze di tutela e vigilanza, cosa che - proprio sulla base del
dettato costituzionale -non può essere ammesso che avvenga, in misura esclusiva o
preminente, da parte delle autorità centrali dello Stato.
Perciò, riconosciuto che lo schema di strutture proposto nel Progetto ben si
presterebbe, se opportunamente modificato e integrato in alcune parti, a dare alla
materia una sistemazione assai più valida di quella che c'è da aspettarsi dalle conclusioni
della competizione in atto tra autorità centrali e regionali (conclusioni che potrebbero,
addirittura, portare ad una deprecabile duplicazione di competenze, di istituti e di
servizi), l'Associazione Italiana Biblioteche suggerisce un approfondimento dell'esame
del Progetto alla luce delle più ampie prospettive citate, alle quali esso potrebbe essere
facilmente adattato.
A ciò infatti potrebbe bastare, sostanzialmente, modificare la composizione e le
competenze dei Consigli previsti ai vari livelli, i quali dovrebbero essere costituiti da
rappresentanze, elette o nominate sulla base di un'assoluta pariteticità, tra elementi
governativi e non governativi: ad es., se si prevedono nel Consiglio nazionale di settore
10 funzionari scientifici governativi, altrettanti devono essere quelli degli istituti non
governativi in genere, regionali e di Enti locali; se si attribuisce di diritto al Ministro dei
beni culturali la presidenza del Consiglio nazionale dei beni culturali, si deve parimenti
attribuire di diritto la presidenza
176
del Consiglio regionale di settore e del Consiglio regionale dei beni culturali
all'Assessore regionale competente in materia.
Su questa linea potrebbe anche concludersi il conflitto in atto tra
Amministrazioni centrali e Regioni rispettando le singole competenze in un'armonica e
democratica struttura.
DOCUMENTO III
(Presentato alla ommissione Papaldo II nel dicembre 1971)
L'Associazione Italiana Biblioteche, dopo aver attentamente esaminato il testo
relativo alla costituzione del nuovo Ministero dei beni culturali, avanza un'osservazione
preliminare, che ribadisce quanto già espresso nel documento presentato a codesta
Commissione in data 5 ottobre 1971.
Il complesso delle norme e, forse, la stessa costituzione del Ministero non
possono essere ipotizzati al di fuori del Decreto delegato del Governo per il
trasferimento alle Regioni delle funzioni esercitate finora dal Governo stesso in materia
di beni culturali: decreto di imminente pubblicizzazione e nel quale non potrà non
essere recepito, dopo le osservazioni di rigetto da parte delle Regioni, il parere
dell'apposito Comitato interparlamentare, che sembra abbia accolto quasi integralmente
quelle osservazioni, per quanto riguarda in particolare le norme della tutela e il
trasferimento alle Regioni delle Soprintendenze e delle loro competenze.
Per questa ragione sembra inutile la stesura di un testo tanto dettagliato, e, nello
stesso tempo, manchevole dell'unico particolare che, a parere dell'Associazione Italiana
Biblioteche, dovrebbe essere ben delineato, e precisamente l'articolazione del testo, pur
dopo una premessa di carattere generale, nei vari settori gestionali delle materie previste
(Archivi, Belle Arti, Biblioteche). Comunque dovendosi, nell'ambito della
ristrutturazione in atto del Ministero della Pubblica Istruzione, istituire con tempestività
un Ministero dei beni culturali che sgravi di questi compiti il predetto Ministero della
P.I., sembrerebbe - in attesa del citato Decreto delegato e, magari, di una Legge quadro
- più utile trasferire in via transitoria, in blocco, dal Ministero dell'Interno la Direzione
generale degli Archivi, e dal Ministero della Pubblica Istruzione le Direzioni generali
delle Belle Arti e delle Biblioteche, con i loro compiti e le loro competenza attuali, in un
un nuovo Ministero, della cui struttura si dovrebbe naturalmente iniziare di nuovo,
contemporaneamente, lo studio.
Ciò premesso e volutamente ignorando l'osservazione di fondo, tuttavia questa
Associazione di fronte al complesso testo proposto esprime le proprie più vive
perplessità, perché rileva in esso l'assoluta assenza di una chiara linea politica e
amministrativa, ma piuttosto un coacervo di tendenze opposte, con risultanze da una
parte falsamente avanzate e, dall'altra, ancronisticamente conservatrici: testo pertanto
riflettente i più vari e scatenati umori, e non emendabile, ma semplicemente infor-
177
mativo di tendenze da coagulare intorno ad una chiara linea politica e amministrativa
ancora non espressa.
Pur sembrando piuttosto vana - in un contesto così giudicato dall'Associazione
Italiana Biblioteche - la proposta di emendamenti, quelli che essa propone sono
allegati7.
Dal dicembre 1971 nessun successivo sviluppo ebbe la questione, da
parte dei poteri centrali dello Stato, fino alla costituzione dell'attuale Governo,
che ha dato vita ad un nuovo Ministero (senza portafoglio) per i beni culturali.
Durante questo periodo l'iniziativa di continuare a cercare una soluzione al
problema, fattosi ormai annoso, fu assunta dall'Assessorato all'istruzione e
cultura della Regione toscana, che ha presentato al Paese una « Proposta per la
riforma dell'Amministrazione dei beni culturali »8. Su questa il Consiglio
direttivo, sentite le Sezioni regionali9, ha espresso il proprio parere nel
documento che segue, presentato alla Regione toscana il 13 luglio c.a.
DOCUMENTO IV
(Presentato all'Assessorato all'istruzione e cultura della Regione toscana il 13 luglio 1973)
L'AIB concorda nell'impostazione generale della Relazione alla Proposta di legge
per la riforma dell'Amministrazione dei beni culturali e naturali, e, pertanto, nella
creazione di un Ministero dei beni culturali.
Rilievo generale è che, per meglio raggiungere gli scopi della premessa,
l'articolato andrebbe modificato secondo i seguenti principi fondamentali:
a) l'articolazione in Sezioni (art. 2) dovrebbe essere definita nella Legge, poiché
non
sembra materia da Regolamento;
b) detta articolazione in Sezioni, considerata indispensabile (Musei, Biblioteche,
Archivi, ecc.), dovrebbe garantire - attraverso una più equilibrata presenza in
ciascuna Sezione delle componenti politico-amministrative e degli esperti
tecnico-scientifici del settore, bene se eletti dagli operatori di esso - la trattazione
delle materie riguardanti il settore stesso, con il prevalente apporto, proprio perché
si tratta di un organo consultivo, di dette componenti tecnico-scientifiche;
c) la richiesta del parere della Consulta dovrebbe essere obbligatoria per tutti i punti
previsti dall'art. 3; il parere dovesse essere vincolante per il punto e). Ma, accanto alla
relazione che accompagna
_______________
6 Il progetto consta di 65 p.
7 Il progetto definitivo della Commissione Papaldo II consta di 34 p., le
Osservazioni ad esso di 3 p.
8 Il progetto consta di 7
9 Vedi p. 117-20 di questo fascicolo.
178
ogni provvedimento o legge, si dovrebbe sempre recare in allegato il parere integrale
della Consulta;
d) il Ministero (art. 5 e 6) dovrebbe essere un Ministero atipico, con disponibilità di
bilancio (con portafoglio) e con un proprio personale stabile e qualificato nei vari
settori di competenza (in prevalenza tecnico e solo in minima parte amministrativo);
e) le tabelle A e B dovrebbero essere opportunamente integrate dopo un più
approfondito esame degli Istituti e degli Enti attualmente operanti nel campo dei
beni culturali.
Il Consiglio di Istituto dovrebbe essere composto da tre a quindici membri, in
relazione alla consistenza dell'organico, eletti da tutto il personale in servizio. Il
Direttore di Istituto dovrebbe essere nominato tra quelli compresi in una terna
designata dalla Consulta;
f) anche le Consulte regionali (art. 8) dovrebbero essere articolate in Sezioni con la
stessa equilibrata presenza, per elezioni, prevista per la Consulta nazionale;
g) il trasferimento alle Regioni dei compiti e delle funzioni in materia di biblioteche e di
tutela del patrimonio (art. 9), già previsto dell’AIB nelle sue Proposte di politica
bibliotecaria (Perugia - Maratea, 1971-72), dovrebbe avere attuazione con le cautele
e con le limitazioni già indicate in quelle proposte e dopo approfondito esame e
studio delle condizioni dei singoli istituti ed in funzione di un organico sistema
bibliotecario del nostro Paese. Proprio a tal fine dovrebbero fare eccezione al
trasferimento previsto all'art. 9, e secondo quanto già proposto dall'AIB, sia le
Biblioteche centrali universitarie, statali o no, sia le Biblioteche di Facoltà o Istituto,
la cui gestione dovrebbe essere affidata alle Università, pur restando le biblioteche,
in quanto beni culturali, soggette alla disciplina della presente Proposta di Legge.
Quasi contemporanea all'istituzione del Ministero dei beni culturali è la
presentazione, da parte della Regione toscana, di una seconda edizione della sua
proposta10 nella quale soltanto alcuni tra i suggerimento forniti dall'AIB
apparivano accolti. Su questi due nuovi fatti, ora, in occasione del XXIII
Congresso,la nostra Associazione è chiamata a discutere e a pronunciarsi.
________________
10 Il documento consta di 17 p.
179
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
OSSERVAZIONI SULLE NOME DELEGATE PER L'ASSETTO
DEL MINISTERO BENI CULTURALI
L'Associazione Italiana Biblioteche, in una serie di incontri con i
bibliotecari, ha preso in esame il documento predisposto dalla Commissione
presieduta da Massimo Severo Giannini con cui si dà attuazione alla delega
concessa al Governo con la legge 29 gennaio 1975 n. 5 relativa alla costituzione
del Ministero Beni Culturali.
Fermo restando il consenso - più volte espresso in dichiarazioni
congressuali e documenti - per la costituzione del Ministero, i bibliotecari non
possono non esprimere perplessità e preoccupazione per il modo con cui si
procede, in questi giorni, ad attuare tale delega.
In particolare lamentano:
1) L'esclusione dai gruppi di lavoro preparatori dei diretti interessati.
2) L'esclusione dalla « Commissione di giuristi e tecnici » dei
rappresentanti dei bibliotecari in senso al Consiglio Superiore al quale non è
stato sottoposto, neppure per un parere, il testo dell'articolato.
Rilevano:
1) Le poche proposte relative alle biblioteche hanno nel contesto un
carattere « episodico » e sono per lo più sommarie ed incomplete. Esse,
tuttavia, sotto l'apparenza di nulla innovare, condizionano pesantemente una
futura organica riforma del sistema bibliotecario nazionale.
2) Nel predisporle, infatti, si è ignorato il « nodo politico » rappresentato
dal passaggio alle Regioni delle competenze in materia di biblioteche e di Enti
locali e di interesse locale.
3) Appare pertanto particolarmente grave il fatto che proprio per quello
dei tre settori che, con il trasferimento alle Regioni delle Soprintendenze, ha
perduto ogni legame con le varie componenti locali, non siano stati previsti
organi di collegamento e di coordinamento.
L'interesse del legislatore è stato prevalentemente rivolto
all'amministrazione delle Antichità e Belle Arti.
4) La promozione del Centro Nazionale per il Catalogo Unico in Istituto
appare, nell'attuale particolare situazione- bibliotecaria italiana caratterizzata
dalla compresenza di due
180
biblioteche nazionali centrali dai compiti istituzionali non chiaramente definiti,
un'ulteriore elemento di confusione e un'inutile appesantimento.
Per poter funzionare il nuovo Istituto avrà bisogno di notevoli mezzi finanziari,
di personale, di spazio. Così come mezzi finanziari centrali alle quali il servizio di
informazione biblografica spetta come compito prioritario ed in stretta connessione con
la gestione dei prestiti nazionale ed internazionale.
Si ritiene che la istituzione di un terzo Istituto centrale debba avvenire nel
quadro di un generale ripensamento dei servizi bibliografici dello Stato.
Notano, puntualizzando, le seguenti carenze:
Art. 14 - All'Istituto di Patologia del Libro non vengono attribuiti i compiti
relativi all'insegnamento del restauro, all'aggiornamento del personale tecnico, né le
funzioni di assistenza scientifica, tecnica e di consulenza alle Regioni. Funzioni e
compiti che sono invece riconosciuti all'Istituto Centrale del Restauro.
Art. 18 - All'Istituto Centrale per il Catalogo Unico, qualora si decidesse di
mantenerne l'istituzione andrebbe assegnato il compito di seguire l'evoluzione delle
norme di catalogazione e di classificazione provvedendo al loro aggiornamento e alla
loro diffusione, e quello della formazione del personale statale e non statale in materie
catalografiche.
Art. 26 - comma 1 - La costituzione delle biblioteche in Istituti separati dovrebbe
essere condizionata ad una preliminare e rigorosa classificazione dei medesimi in ordine
ai compiti che s'intende loro attribuire;
comma 3 - Si chiede venga conservata per i capi di biblioteca la denominazione
di Direttore.
Art. 29 - comma 1 - All'elenco vanno aggiunte le Soprintendenze ai beni librari
delle Regioni a statuto speciale e le Biblioteche cui non sia attribuita la qualifica di
Istituto separato (art. 26).
Art. 31. 32. 34 - Organismi collegiali (d'istituto e territoriali) quali quelli previsti
dagli articoli 31, 32, 34 debbono essere previsti anche per le biblioteche.
Fatte queste osservazioni, l'Associazione Italiana Biblioteche esprime la
convinzione che tutta la materia relativa alle biblioteche debba essere oggetto di una
legge organica da presentare e discutere in Parlamento: le soluzioni di compromesso
inserite nel decreto delegato all'esame precludono un discorso di vera riforma del
settore che ha nel decentramento organico il suo punto focale.
Roma, 7 luglio 1975.
181
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
OSSERVAZIONE ALLE « NORME SULL'ORGANIZZAZIONE
DEL MINISTERO DEI BENI CULTURALI E AMBIENTALI »
L'Associazione italiana biblioteche condivide i motivi di perplessità manifestati
dalle rappresentanze delle altre categorie del settore (archivi, belle arti) nei riguardi
dell'intero progetto, che, da una parte, sembra travalicare i poteri e i limiti posti dalla
delega in quanto si spinge a dettare normative concernenti Istituti centrali e periferici (le
biblioteche - art. 28, comma f - semmai sono Istituti e non « Organi ») che in nessun
modo possono configurarsi come parte integrante del Ministero, e, dall'altra, sembra
fallire i suoi scopi essenziali, che erano quelli di decentrare l'amministrazione dei beni
culturali e ambientali (non sembra essere organismo efficiente di decentramento quel «
Comitato regionale » che ha funzioni e compiti del tutto marginali - art. 34), di conferire
snellezza di procedure alla stessa, e di affidarla in prevalenza a personale delle carriere
scientifico-tecniche.
In particolare l'Associazione osserva:
1) - CONSIGLIO NAZIONALE
Troppo esigua appare in seno al Consiglio la rappresentanza del personale
scientifico-tecnico; d'altra parte nessuna norma stabilisce che quella rappresentanza, che
si riflette, poi, sulla formazione dei Comitati di settore, deve essere equilibratamente
ripartita tra le varie componenti dell'amministrazione dei beni culturali e ambientali, e
ogni determinazione in merito viene molto inopportunamente rimandata e demandata a
un successivo decreto del Ministro (art. 4, comma 3; art. 7, comma 3); non sono in
nessun modo presenti nel Consiglio le Amministrazioni provinciali, le quali, pure, specie
nell'Italia meridionale, gestiscono numerosi complessi interessanti i beni culturali e
ambientali.
2) - COMITATI DI SETTORE
L'abbinamento ancora una volta del settore delle biblioteche con quello degli «
Istituti culturali » nel Comitato di settore e nel corrispondente Ufficio centrale (si
suppone che con questa nuova più generica espressione si vogliano indicare tutti
182
quegli Istituti prima riuniti nella Direzione generale e nel Consiglio superiore delle «
Accademie e biblioteche »), ripete un errore e un inconveniente condannati
dall'esperienza, che nega l'opportunità di accomunare la trattazione di interessi e di
problematiche diversi. Gli « istituti culturali » dovrebbero trovare collocazione diversa
nell'ambito del Ministero o passare, addirittura, alla competenza di altro Ministero
(Ricerca scientifica); mentre qui sarebbe il caso di affermare il principio che il Ministero
dei beni culturali e ambientali deve esercitare i suoi compiti e funzioni sui beni culturali
posseduti non solo da quegli Istituti, ma anche da tutti gli altri, siano essi dello Stato o
no (ad es., per restare nel settore di interesse, le Biblioteche degli Istituti culturali, delle
Accademie. dei Conservatori, di Ministeri, delle Scuole, dei Centri sociali e culturali,
ecc.).
I rapporti intercorrenti tra le funzioni del Consiglio nazionale, dei Comitati di
settore e degli Uffici centrali, non sono affatto chiari; in definitiva tutto sembra
demandato alle determinazioni del Ministro poiché nè il Consiglio nazionale nè i
Comitati di settore hanno mai autonomia e iniziativa di intervento, né il loro parere è
reso mai vincolante per il Ministro.
3) - ISTITUTI CENTRALI
La ristrutturazione del Centro nazionale per il catalogo unico delle biblioteche
italiane e per le informazioni bibliografiche, trasformato in Istituto centrale con una
somma di nuove attribuzioni di evidente importanza sul piano nazionale e
internazionale, pregiudica ogni possibilità di sana riforma del sistema bibliotecario
italiano, invocata da tempo e da più parti, non solo entro le pareti di casa nostra, e che
dovrà essere la prima grande impresa del nuovo Ministero.
4)- PERSONALE
In nessuna parte del progetto, infine, un'esplicita norma stabilisce che la
direzione degli uffici centrali e delle divisioni in cui essi saranno strutturati, dell'Ufficio
studi e programmazione, della Segreteria del Consiglio nazionale, deve essere affidata a
personale scientifico-tecnico. Anzi l'ampliamento dei ruoli organici del personale
dell'Amministrazione centrale fa temere che non si abbia la minima intenzione di
operare questa essenziale innovazione, che varrebbe a distinguere il Ministero dei beni
culturali e ambientali dagli altri, collocandolo tra gli Organismi scientifico-tecnici
dell'apparato statale italiano.
183
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
SUL « SERVIZIO NAZIONALE DI LETTURA »
AI PRESIDENTI DELLE GIUNTE REGIONALI
AI
PRESIDENTI
PROVINCIALI
DELLE
AMMINISTRAZ.
LORO SEDI
AI SOPRINTENDENTI ED AI DIRETTORI DEGLI
UFFICI
LORO SEDI
AI DIRETTORI DEI CENTRI SISTEMI BIBLIOTECARI
LORO SEDI
AI
PRESIDENTI
DELL'AIB
DELLE SEZIONI
REGIONALI
LORO SEDI
ALLA FEDERAZIONE DELLE CONFEDERAZIONI
SINDACALI CGIL – CISL - UIL
ROMA
Il Consiglio direttivo dell'Associazione Italiana Biblioteche, su
sollecitazione dei soci, ha predisposto il documento qui allegato sul servizio
nazionale di lettura. In occasione di un incontro tale documento è stato
presentato al Ministro per i beni culturali e ambientali, il quale ha riconosciuto
la necessità di intervenire per una diversa gestione del servizio.
Riteniamo che, al fine di raggiungere gli obiettivi che l'Associazione
Italiana Biblioteche si propone con questo documento, sia indispensabile un
autorevole intervento dei settori più direttamente coinvolti nella questione.
Il Presidente
ANGELA VINAY
Durante il XXV Congresso dell'Associazione Italiana Biblioteche,
tenutosi ad Alassio dal 5 al 10 maggio 1975, è stata ribadita la necessità e
l'urgenza di assegnare alle Regioni i fondi previsti negli appositi capitoli 1537 e
1609 dello stato di previsione della spesa del Ministero Beni Culturali per il
1976 a favore del Servizio nazionale di lettura.
Questo servizio, organizzato in sistemi comprensoriali incentrati
ciascuno in una biblioteca pubblica dotata di autosufficienza e, insieme, di
capacità espansiva, è destinato a tutti i cittadini e consiste nell'offrire ad essi
possibilità di lettura e al
184
tempo stesso di partecipazione a molteplici attività culturali, che vanno dalla
conferenza al dibattito, dalla proiezione del documentario al cineforum, dal
concerto alla rappresentazione, etc..
Nella quasi totalità dei casi il servizio fa capo alle biblioteche degli enti
locali, e solo eccezionalmente ad esse si sono sostituite, per ragioni contingenti,
alcune biblioteche statali (Governativa di Cremona e di Gorizia); comunque, in
tutto il mondo, questa attività è prerogativa delle biblioteche degli Enti locali.
E' indubbio. quindi, che questo servizio debba esser svolto su tutto il
territorio del paese, prima o poi, esclusivamente dalle Biblioteche degli Enti
locali e che perciò debba essere ricondotto al potere legislativo delle Regioni
ogni incombenza che lo riguarda, così come ad esse debba essere devoluto ogni
stanziamento relativo.
Lo stesso principio è chiaramente accolto anche in sede di
programmazione nazionale, attribuendosi « il servizio nazionale di lettura » alla
esclusiva competenza normativa e amministrativa delle Regioni.
Pertanto l'intendimento del Ministero Beni Culturali di « riesaminare alla
luce dell'esperienza acquisita dall'ultimo decennio e sulla base di nuovi e più
fecondi rapporti con le autorità locali, le possibilità di potenziamento e sviluppo
del Servizio nazionale di lettura » (Circolare Ministero Beni Culturali n. 1195/u
del 21.5.1975) sì pone come un tentativo da parte dell'organizzazione centrale
dello Stato di riconquistare spazi d'intervento in ambiti di competenza della
regione e delle autonomie locali.
Di fronte alla interpretazione riduttiva di quanto disposto dal Decreto di
trasferimento delle competenze in materia di Musei e Biblioteche di Enti locali,
l'A.I.B. sulla base di quanto più volte espresso in materia, e sulla scorta della
esperien7a acquisita nel corso della prima legislatura regionale, riconferma la
netta opposizione a interventi in spazi di giurisdizione e competenza
esclusivamente regionali, interventi che si sono in questi ultimi tempi
particolarmente intensificati in direzione dei Sistemi Bibliotecari, e che tendono
ad alimentare confusione, duplicazioni ed incertezze, e che non possono essere
giustificati nemmeno sulla base di richieste di interventi e gestioni sostitutive
(come nel caso della creazione di Biblioteche Nazionali, dipendenti
dall'amministrazione centrale, a Potenza e Cosenza).
Tutto questo, d'altra parte, si risolve in ulteriori ritardi nella assunzione
da parte dello Stato delle responsabilità e delle capacità di intervento nei settori
di sua specifica pertinenza: delineare l'indirizzo generale e assicurare il pieno
funzionamento ed il reale godimento da parte di tutti dei servizi di
informazione bibliografica e documentaria a livello nazionale, laddove « l’
espressione nazionale sta ad indicare una funzione ».
185
ASSOCIAZIONE ITALIANA BIBLIOTECHE
PROPOSTA PER LA FORMAZIONE PROFESSIONALE
a cura di NEREO VIANELLO
Nel giugno del 1970, l'Associazione Italiana Biblioteche ha demandato ai
suoi Gruppi di lavoro, paritetici a quelli operanti nell'ambito della International
Federation of Librarian Association (IFLA-FIAB), il compito di preparare,
ciascuno secondo la propria zona di competenza, i piani di aggiornamento dei
sistemi bibliotecari italiani.
Il Gruppo di lavoro per la formazione professionale (coordinato da una
commissione composta da Francesco Barberi, Olga Marinelli e Nereo Vianello,
delle Università di Roma, Perugia e Venezia), ha portato a termine, alla metà del
1972, una animata discussione, alla quale hanno partecipato - in quattro incontri
(Roma, Perugia, Porto Conte e Maratea) e attraverso una fitta impegnata
corrispondenza - bibliotecari d'ogni parte d'Italia, d'ogni estrazione culturale e
d'ogni tipo di biblioteca e, sentiti i competenti suggerimenti della Direzione
Generale delle Accademie e Biblioteche e per la diffusione della cultura e della
Scuola speciale per archivisti e bibliotecari dell'Università di Roma, ha
preparato in questo testo definitivo le proprie proposte per una nuova visione e
una nuova realizzazione della formazione dei bibliotecari italiani.
1. - Sarà introdotto nell'Università - nei Dipartimenti di più specifica
pertinenza - un' insegnamento di metodologia dello studio e della ricerca: esso
sarà impartito ai futuri docenti, sia dell'ordine medio che dell'ordine superiore,
perché siano in grado di sensibilizzare e instradare i propri alunni nello
svolgimento delle ricerche, individuali e di gruppo, attraverso una opportuna,
seppur di necessità (almeno in un primo tempo) sommaria, spiegazione delle
tecniche relative.
Nel frattempo gli attuali docenti degli ordini medio e superiore potranno
ricevere una analoga preparazione attraverso corsi di aggiornamento.
2. - E' prevista la creazione di Istituti tecnici professionali per la
preparazione degli assistenti di biblioteca (carriera di concetto); in un primo
tempo saranno in numero limitato, prefe-
186
ribilmente in città nelle quali abbiano sede grandi biblioteche, avranno carattere
sperimentale, potendo divenire in seguito la scuola obbligatoria per l'impiego in
biblioteche di qualsiasi tipo.
Le materie d'insegnamento saranno quelle professionali bibliografia,
bibliologia, storia delle biblioteche, biblioteconomia, catalogazione - e inoltre:
lingua e letteratura italiana, lingua e letteratura latina, due lingue straniere (tra
cui l'inglese o il tedesco), una delle quali parlata, storia, geografia, storia della
arte. scienze sociali, storia delle scienze, storia della filosofia, diritto, statistica,
computisteria e dattilografia.
Gli insegnamenti teorici saranno integrati da una parte pratica, da
svolgersi in biblioteche ritenute idonee dal Consiglio Superiore delle Accademie
e Biblioteche: essa sarà affidata a bibliotecari particolarmente qualificati a
giudizio dei direttori delle Biblioteche designate.
3. - In attesa della. creazione di tali Istituti, alla preparazione degli
assistenti di biblioteca provvederanno i corsi tenuti attualmente dalle
Soprintendenze ai beni librari, opportunamente ristrutturati nella durata e nelle
forme di insegnamento e preparati, d'ora in avanti, d'intesa e in collaborazione
con la maggiore biblioteca della Regione. Il diploma di questi corsi costituirà
titolo di preferenza, specialmente nei concorsi di vice-direttore di biblioteca e
per l'iscrizione nell'istituendo Elenco degli abilitati alla professione.
Le materie d'insegnamento saranno quelle professionali: bibliografia,
bibliologia, biblioteconomia, storia delle biblioteche, catalogazione; e nozioni di
informatica e automazione. audiovisivi, materie di laboratorio (sviluppo di
microfilm
e
simili),
legatoria
(con
esercitazioni
pratiche),
conservazione-tutela-restauro del libro. Saranno programmate conferenze
specialistiche e visite a Biblioteche, nella Regione e fuori.
4. - Presso ogni Dipartimento universitario possono essere istituiti corsi
di laurea in discipline paleografiche, bibliotecarie e archivistiche: essi
disporranno di pro-ori insegnamenti, con piani di studio ben differenziati per
l'approfondimento delle materie specifiche della professione.
Al predetto corso di laurea si accederà dalla scuola media superiore di
qualsiasi tipo; sarà inoltre consentito il passaggio a questo corso di laurea da
qualunque Dipartimento.
Il corso di laurea sarà distinto in due indirizzi: uno per bibliotecari e
l'altro per archivisti; lasciando agli archivisti la programmazione del proprio
indirizzo (per questo, e anche per altre indicazioni relative a questo progetto, v.:
E. Lodolini. Le Scuole d'Archivio: note e proposte, in « Rassegna degli Archivi
di Stato », XXX 1971, fasc. I, pp. 9-25), si intende qui parlare del solo indirizzo
per bibliotecari.
187
Il corso di laurea avrà la durata di quattro anni; dopo il primo biennio gli
allievi sono tenuti a optare per il corso di studi di bibliotecari documentalisti o
per quello di conservatori.
Gli insegnamenti saranno distinti in materie professionali di base, da
seguire per la maggior parte nel primo biennio e comuni ad ambedue gli
indirizzi:
bibliografia
bibliologia
biblioteconomia (biennale)
storia delle biblioteche
scienza delle informazioni
catalogazione e classificazione (biennale e da
seguire dopo bibliografia)
diritto pubblico e legislazione delle biblioteche
diritto costituzionale e amministrativo
statistica
in materie di formazione culturale:
lingua e letteratura italiana
una materia filosofica (estetica, morale, metafisica, o altra)
un insegnamento che abbia riferimento con le tradizioni
culturali e popolari della Regione
in materie di formazione linguistica:
lingua e letteratura inglese o tedesca (biennale)
un'altra lingua e letteratura straniera (con particolari premi
di incoraggiamento per chi opta per le lingue orientali)
linguistica generale e nozioni di dialettologia, con
particolare riferimento alla Regione
e materie specifiche di ciascun indirizzo:
a) per bibliotecari documentalisti:
più quattro materia a scelta fra:
documentazione
sociologia della documentazione
educazione permanente
psicologia
problemi e tecnica del restauro librario
applicazioni tecniche
automazione
informatica
storia della logica formale
188
storia della scienza
storia medioevale
pedagogia
psicologia
sociologia, e altre (secondo lo spirito della liberalizzazione
dei piani di studio)
tecniche del servizio per i ragazzi
più due materie a scelta fra:
storia del diritto italiano
storia dell'arte
storia della musica
storia del manifesto pubblicitario
psicologia della pubblicità
filologia romanza
filologia germanica
letterature comparate, e altre (secondo lo spirito della
liberalizzazione dei piani di studio)
letteratura per ragazzi
b) per bibliotecari conservatori:
lingua e letteratura latina
lingua e letteratura greca
codicologia
problemi e tecniche della conservazione, della tutela e del
restauro del libro
più quattro materie a scelta fra:
paleografia latina
glottologia
papirologia
paleografia greca
storia dell'ornamentazione del libro a stampa
paleografia musicale
le materie da scegliere in numero di quattro nel corso di studi
bibliotecari e documentalisti, e altre (secondo lo spirito
liberalizzazione dei piani di studio)
più due materie a scelta fra:
di
della
storia della tradizione manoscritta
storia antica
storia romana
latino medievale
diplomatica
numismatica
araldica
189
archeologia e storia dell'arte greco-romana
storia dell'arte medioevale
storia della miniatura e dell'ornamentazione del manoscritto
filologia umanistica
evoluzione del pensiero scientifico
epistemologia e metodologia
logica matematica
analisi matematica
le materie da scegliere in numero di due nel corso di studi di bibliotecari
documentalisti e altre (secondo lo spirito della liberalizzazione dei
piani di studio).
5. - Il perfezionamento postuniversitario è legato alla fisionomia che
assumerà l'Università dopo la riforma: non si può perciò prevedere se le attuali
scuole di perfezionamento sopravviveranno e con quale struttura.
Occorre invece pensare fin da ora alla creazione, nell’ ambito della
struttura dipartimentale, di un dottorato di ricerca nelle discipline professionali,
con la finalità di creare non solo i bibliotecari specializzati, ma anche i futuri
docenti di bibliografia e biblioteconomia.
Il dottorato sarà aperto - oltre che ai laureati in bibliografia e
biblioteconomia - anche a tutti i bibliotecari con diverso diploma di laurea e in
carica da almeno nove anni.
6. - In analogia a quanto già avviene in altri Paesi si ritiene necessario, per
tutti i bibliotecari, un periodo di apprendistato in una biblioteca.
Esso sarà posteriore - non contemporaneo o anteriore, come è in alcuni
Paesi , - all'insegnamento teorico-pratico presso l'Università (v. al punto 4) e
presso l'istituto tecnico professionale (v. al punto 2); potrà svolgersi in forme
diverse, ma necessariamente in ogni settore del lavoro di biblioteca; avrà la
durata di sei mesi, a pieno tempo, e verrà retribuito mediamente borse di
studio.
Sedi dell'apprendistato saranno, salve eccezioni, Biblioteche ora
dipendenti dalla Direzione generale delle Accademie e biblioteche, e comunque
quelle che il Consiglio Superiore delle Accademie e Biblioteche riterrà più
idonee ai fini di una equilibrata preparazione dei discenti (e dei docenti).
7. - I bandi di concorso per bibliotecari dovranno essere omogenei in
tutte le sedi, sia per quanto riguarda le prove d'esame sia per la valutazione dei
titoli.
Ai concorsi per bibliotecari di biblioteche pubbliche - statali,
universitarie, regionali, comunali e speciali - saranno am-
190
messi in futuro solo coloro che abbiano conseguito il diploma di laurea in
discipline palcografiche, bibliotecarie e archivistiche, di cui al punto 4. Il
dottorato di ricerca costituirà titolo di preferenza, specialmente nei concorsi per
direttore di biblioteca.
In via subordinata nei bandi di concorso saranno incluse prove di esame
scritte, pratiche e orali, relative a conoscenze specifiche nei campi della
bibliologia, della bibliografia, della bibliotecnomia e della documentazione.
Gli attuali direttori o facenti funzioni di direttori di biblioteca saranno
iscritti d'ufficio, entro due anni dalla sua costituzione, all'Elenco degli abilitati
alla professione.
8.- In attesa dell'attuazione del progetto, e allo scopo di formare sin da
ora un certo numero di esperti nelle varie branche del lavoro di biblioteca, è da
prevedere una serie di iniziative e incentivazioni, fra le quali si propongono:
a) corsi semestrali, aperti a tutti, di aggiornamento e di
specializzazione, organizzati dai Dipartimenti universitari;
b) concorsi per titoli a borse di studio e di perfezionamento, in Italia
(presso biblioteche nazionali, biblioteche speciali, il Centro nazionale per il
Catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche,
l'Ufficio scambi di pubblicazioni, l'Istituto di patologia del libro « A. Gallo »,
ecc.) e all'estero, a favore di neo-laureati in materie riferentisi alla professione
del bibliotecario;
c) premi d'incoraggiamento per chi dia alle stampe lavori su materie
professionali;
d) finanziamenti di pubblicazioni di indici, catologhi, elenchi o
illustrazioni di biblioteche o di singoli fondi;
e) scambi, di periodi anche prolungati di permanenza, di bibliotecari
italiani e stranieri, anche nell'ambito degli accordi culturali, o delle relazioni
culturali, fra l'Italia e altri Paesi;
f) concessione di un periodo di congedo (ad esempio un mese ogni
due anni o quattro-sei mesi nell'intera carriera) per motivi di studio su materie
comunque attinenti le discipline bibliografiche, da giustificare con opportuna
documentazione.
191
LA RESIDENZA DELL'IMPERATORE FEDERICO II A FOGGIA*
Introduzione
Chiunque si sia informato o abbia visto il resto molto modesto, ma
tuttavia straordinario, della Residenza di un tempo dell'imperatore Federico II,
vale a dire l'arco sorretto da superbe aquile ed ornato da abbondanti foglie
d'acanto, nonché la lastra di marmo con l'epigrafe imperiale nel centro storico
dì Foggia, si porrà la domanda, dato l'alto grado di distruzione e lo scarso
materiale esistente sullo studio delle fonti, se ci sia ancora qualcosa da dire su
questa Residenza.
Anche chi consultasse la letteratura in materia, sia quella piuttosto scarsa
in lingua tedesca, che quella di poco più abbondante in lingua italiana,
constaterà rassegnato, dove breve studio, che c'è ben poco da attendersi per
quanto concerne nuovi elementi e nuove cognizioni. D'altra parte la Residenza
di Foggia del grande imperatore contraddistingue per parecchi decenni non
solo, uno dei punti centrali degli avvenimenti politici in Europa, ma
contemporaneamente anche un centro intellettuale di particolare dimensione, e,
non da ultimo, uno dei luoghi in cui si manifestò energicamente la storia
tedesca. Resta perciò dovere urgente rendersi conto di questi fatti, cercando di
riguadagnare con i mezzi della scienza un terreno quasi perduto (così lo si deve
oggi effettivamente considerare).
In un periodo in cui larga parte del centro storico di Foggia è minacciata
di cader vittima dell'escavatore o è stata già distrutta, in cui il presunto «
risanamento » dei centri tramandati conduce anche in Italia a perdite irreparabili
del patrimonio storico-architettonico, si deve prendere atto del fatto che nello
studio archeologico di questo centrale luogo storico sono state perdute
importanti « chances », per assicurare ai posteri per lo meno alcune cognizioni
fondamentali sulla posizione e sulla forma di un tempo della Residenza
imperiale.
L'arco che ne è rimasto si presenta come l'unica testimonianza architettonica e la sua epigrafe conferma il messaggio molto parsimonioso delle
fonti storiche su questo luogo memorabile.
Ciò vale non solo per il Palazzo foggiano e le sue magnifiche costruzioni
di un tempo, bensì anche in egual misura per la zona circostante a questa
Residenza, da cui essa veniva sostanzialmente sostenuta ed in cui irradiava in
maniera molteplice la sua luce ed il suo splendore. Solo facendo il tentativo di
una ricostruzione di questo
_______________
* Traduzione dall'originale tedesco del prof. L. Bibò,
192
Paesaggio pugliese. Veduta dell’Appennino presso Melfi.
(Incisione di Victor Baltard 1844. Huillard-Bréholles Pl. I)
193
Foggia, Porta del Palazzo scomparso. Modiglione destro con aquila.
(Riproduzione foto dell’Autore. 1972)
194
Foggia, Porta del Palazzo scomparso. Veduta del modiglione sinistro
con aquila, l’inizio dell’arco e i profili delle imposte.
(Foto presa dal tavolato di Arthur Haseloff, 1920)
195
paesaggio storico e delle sue condizioni di vita, ci si può rifare un'immagine,
che, per lo meno a grandi tratti, sia fedele a quella che l'importanza storica di
questa provincia - la Capitanata con Foggia, suo centro storico, - costituì e che
in fondo anche oggi ancora rappresenta.
Non solo la città di Foggia, capoluogo dell'omonima provincia nella
Regione Puglia, centro commerciale, industriale e di traffico con circa 150.000
abitanti, ha cambiato completamente il suo volto; anche il paesaggio della
Capitanata, usato in senso intensivo, non corrisponde più all'incantevole
ambiente circostante, che accolse l'ambiziosa residenza e la rese così attraente.
Molto, quasi tutto, è mutato decisamente d'allora.
Premesse della ricerca
Nella letteratura regionale italiana del 190 secolo, relativa al Regno di
Napoli, M. Fraccacreta si è già occupato seriamente del problema del Palazzo
imperiale nella sua opera in più volumi dal titolo caratteristico: « Teatro
topografico storico-poeticodella Capitanata » (1828-34) 1. Già prima della metà
del 19° secolo apparve il tavolato antesignano del duca di Luynes (1844) con il
testo di A. Huillard-Bréholles e molteplici incisioni secondo i disegni
dell'architetto francese Victor Baltard, fissando i limiti della ricerca, che
dovevano poi, con qualche lieve eccezione, rimanere come modello per lo
studio della Puglia normanno-sveva 2 . A Baltard si devono soprattutto le prime
riproduzioni grafiche, pressappoco realistiche, che non solo comprendono
l'arco nella successione di case adiacenti, bensì tentano anche di rappresentare
nei dettagli il resto architettonico.
Una rappresentazione architettonica (da ricostruire in parti) della
presunta costruzione del portale, unitamente all'immagine di un modiglione
d'aquile con l'inizio dell'arco ed il profilo delle imposte, nonché una
riproduzione della lastra epigrafica sono una testimonianza della sua fatica per
questo prezioso resto architettonico.
Nello stesso periodo anche la ricerca storica tedesca iniziò ad interessarsi
di questa parte d'Italia, dell'« Impero Meridionale degli Hohenstaufen ». Dopo
lunghi anni di studio Heinrich Wilhelm Schulz pose con la sua vasta opera: «
Monumenti dell'arte del Medioevo nell'Italia Meridionale - dal 1830 ca.
-(posthum 1860) la prima pietra per la ricerca successiva. Dopo fervidi studi
della documentazione a disposizione egli fece anche per Foggia importanti
constatazioni e fornì la ,prima dettagliata descrizione del resto architettonico.
In base alla precedente riproduzione di Baltard egli fornì una im________________
1 M. FRACCACRETA, Teatro topografico storico-poetico della Capitanata, 4 volumi,
Napoli 1828, 1832; 1834. Vol. 3, pag. 102 f.
2 J. L. A. HUILLARD-BREHOLLES, Recherches sur les monuments et l'histoire des
Normands et de la maison de Souabe dans l'Italie méridionale, publiées par les soins de M. Le
Due de Luynes. Dessins par Victor Baltard, Paris 1844. Riprod. XVII e XVIII.
196
magine ricostruita della porta del Palazzo3. Un compendio, fino ad oggi ancora
valido, di quanto è noto sul Palazzo, ampliato da risultati di ricerca personale
(particolarmente in confronto ad altri edifici in Capitanata), è il merito di
Arthur Haseloff, che ha ripreso il tema dell'architettura sveva in Puglia su
incarico dell'Istituto Storico Prussiano di Roma con la sua pubblicazione: « Le
opere degli Svevi nell'Italia Meridionale » (1920) 4.
Oltre all'interpretazione anche dei risultati della letteratura italiana, egli
fornì una descrizione fondamentale della porta del Palazzo, collocando anche
gli elementi ornamentali nel contesto della storia d'arte, ed infine, nel volume
delle tavole, fornendo riproduzioni fotografiche dell'arco di Foggia, importanti
dal punto di vista della documentazione.
Anche se egli non ha prodotto, purtroppo, illustrazioni architettoniche, i
suoi lavori sono tuttavia di valore fondamentale.
Eduard Sthamer ha creato infine una base sicura, analizzando la
documentazione in materia presso gli Archivi napoletani allora ancora esistenti,
estesa a tutte le fortificazioni del 13° secolo nell'Italia Meridionale, senza poter
offrire però per Foggia altro che alcune importanti indicazioni 5.
Da decenni Carl A. Willemsen, il miglior conoscitore ed esperto in
questa materia, si occupa dello studio dell'architettura imperiale nel Meridione,
mettendo in luce, anche recentemente, sempre nuovi aspetti della Puglia sveva
in numerose pubblicazioni, giovandosi anche di eccellenti riproduzioni
fotografiche6.
________________
HEINRICH WILHELM SCHULZ, Monumenti dell'arte del Medioevo nell'Italia
Meridionale, 3 volumi, 1 vol. di tavole. Edito da Friedrich v. Quast, Dresda 1860. Vol. 1,
pag. 207-209 con riprod. 43.
Schulz (208, Anm. 1) menziona una « riproduzione fotografica molto brutta
dell'arco e dell'epigrafe » in G. della Valle, Lettere Senesi sopra le belle arti, 1, Venezia
1782. Tav. 1 e poi (solo l'arco e le imposte sottostanti) in d'Angicourt, Architecture P1.
LIV 24. Entrambe le opere sono state accessibili all'autore.
4 ARTHUR HASELOFF, Le costruzioni degli Hohenstaufen nell'Italia Meridionale.
Edito dall'Istituto Storico Prussiano di Roma, Primo volume, volume del testo e delle
tavole, Lipsia 1920. Haseloff elabora anche i risultati dell'importante opera di Emile
Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, de la fin de l'Empire romain à la conquéte de
Charles d'Anjou, Paris 1904.
5 EDUARD STHAMER, L'amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto
l'imperatore Federico II e Carlo I d'Angiò. Le costruzioni degli Hohenstaufen nell'Italia
Meridionale, Vol. integrativo I, Lipsia 1914.
IDEM, Documenti per la storia dei castelli dell'imperatore Federico II e Carlo I d'Angiò.
Vol. I: Capitanata. Le costruzioni degli Hohenstaufen nell'Italia Meridionale, vol. integrativo II,
Lipsia 1912.
IDEM, Documenti per la storia dei castelli dell'imperatore Federico II e Carlo I d'Angiò.
Vol. II: Puglia e Basilicata. Le costruzioni degli Hohenstaufen nell'Italia Meridionale,
vol. integrativo III, Lipsia 1926.
IDEM, Frammenti di inchieste medievali dell'Italia Meridionale. Atti dell'Accademia
Prussiana delle Scienze, anno 1933, classe fil. - stor. n. 2 (Berlino 1933).
6 CARL A. WILLEMSEN, Puglia. Terra dei Normanni, Terra degli Svevi, Lipsia
1944, Colonia 1958, 1966.
IDEM, Le costruzioni degli Hohenstaufen nell'Italia Meridionale. Nuovi
3
197
L'autore ha fornito nel 1971 una visione sintetica delle fortezze e dei
castelli di :caccia della Capitanata nel 13° secolo, unitamente ad una prima
pianta delle fortificazioni della Provincia7.
Il più valido contributo italiano è costituito indubbiamente
dall'importante saggio pubblicato nel 1951 da Michelle Bellucci ( † 1944), che,
sotto certi aspetti, va anche oltre lo studio di Haseloff, integrando e fornendo
sostanziali interpretazioni, nonché materiale per la ricostruzione dell'enorme
corte8. Negli ultimi tempi la nuova e complessa opera di Michele De Vita: «
Castelli, Torri ed Opere fortificate di Puglia » (1974), in cui l'autore,
immaturamente scomparso, tenta di dare una visione globale della Puglia, è
giunta ad una conclusione provvisoria, unitamente ad un saggio su Foggia di
Riccardo Mola, senza pervenire però a nuove cognizioni sul Palazzo9. Per
questo, nell'anno svevo 1977, sembra opportuno tentare un bilancio.
L'immagine tramandata della Residenza
Le notizie frammentarie dei cronisti sono state riassunte da Ernst
Karitorowicz nella sua opera, tuttora molto valida, dal titolo: « L'Imperatore
Federico II », con un'immagine così colorita, che non si può certo aggiungervi
altro 10:
« Nel vasto castello di Foggia, descritto come un palazzo ricco di statue,
colonne di marmo verde-antico, con leoni e fontane pure di marmo, devono
essersi svolte quelle leggendarie e fragorose feste, il cui splendore ha circondato
fino ad oggi l'immagine degli Svevi del Sud. 'Ogni tipo di gioia festosa ed ogni
delizia avevano qui il loro sito, e gai ed allegri non si stentava certo a diventare
con l'alternarsi dei cori e dei costumi purpurei dei giocolieri e musicanti. Alcuni
di questi erano fatti cavalieri, altri ornati ed insigniti di onorificenze di
particolare dignità. Tutto il giorno veniva trascorso festosamente, e, quando
stava per volgere al termine, alla luce delle fiaccole fiammeggianti, che qua e là
sfavillavano, fra le gare dei giocolieri, la notte
_______________
risultati di ricerca e di scavi. Società di ricerca del Land Nordrhein-Westlalen, Scienze morali,
fascicolo 149, Colonia e Opladen 1968.
IDEM, Puglia. Cattedrali e castelli, Colonia 1971, 2 ediz. 1973.
IDEM, Federico II costruttore in Puglia. Estratto da: Studi di storia pugliese in onore
di Giuseppe Chiarelli, Vol. I, Galatina 1972 pag. 488-546.
IDEM, Componenti della cultura Federiciana nella genesi dei castelli svevi. In: Raffaele de
Vita, Castelli, Torri ed Opere fortificate di Puglia, Bari 1974, pag. 393-422.
7 DANKWART LEISTIKOW, Fortezze e castelli della Capitanata nel 13° secolo,
Bonner Jahrbúcher, 171 (Bonn 1971), pag. 416-441.
8 MICHELE BELLUCCI, Il Palazzo Imperiale di Foggia. Archivio Storico Pugliese IV
(1951), pag. 121-136.
9 RICCARDO MOLA, Foggia. In: Raffaele de Vita, Castelli, Torri ed Opere
fortificate di Puglia, Bari 1974, pag. 49-50.
10 ERNST KANTOROWICZ, L'imperatore Federico II, Berlino 1927; ristampa
Dússeldorf e Monaco 1964, pag. 297 f. Per le fonti vedi vol. integrativo, Berlino 1931;
ristampa Diisseldorf e Monaco 1973, pag. 142 f.
198
Foggia, Porta del Palazzo scomparso. Veduta.
(Incisione di Victor Baltard, 1844. Huillard-Bréholles Pl. XVII)
199
diventava giorno ‘. Così racconta un cronista, mentre un altro sa anche riferire
delle meraviglie delle sale interne della corte, che il figlio del re d'Inghilterra, il
duca Riccardo di Cornovaglia, poté vedere.
Dapprima, con bagni, salassi e tonici medicinali si sarebbero fatti
dimenticare al principe inglese, proprio allora reduce dalla crociata, gli strapazzi
della guerra e del viaggio per mare nella calura estiva, poi questi sarebbe stato
allietato da ogni specie di giochi. Con stupore il conte avrebbe ascoltato rare
melodie su strumenti esotici, avrebbe visto buffoni e giullari ostentare le loro
arti, e si sarebbe rallegrato allo spettacolo danzante di belle e formose ragazze
saracene, che su grandi sfere giravano sul liscio e colorato pavimento della sala.
Le novelle e le fiabe raccontano però delle feste di Federico II e dei fasti
della sua corte in una trasfigurazione leggendaria: come centinaia di cavalieri di
tutte le nazioni fossero ospitati dall'imperatore sotto tende di seta, giullari
confluissero da ogni parte alla corte imperiale e come inviati stranieri
portassero in dono all'imperatore le cose più rare e preziose. Si racconta che i
messaggeri del re Giovanni portarono all'imperatore una tunica d'amianto, una
pozione che aveva il potere di far ringiovanire, un anello magico che rendeva
invisibile ed infine anche la pietra dei saggi.
Inoltre si racconta pure come l'astrologo di corte dell'imperatore, il
misterioso Michele Scoto, il cui nome veniva proferito con orrore misto a
curiosità, in un giorno di festa caldissimo avesse radunato, su desiderio
dell'imperatore, nuvole temporalesche ed avesse compiuto altre come mirabili ».
Schiette osservazioni ed esagerazioni leggendarie si mescolano in questa
esposizione, creando un'immagine misteriosa della gaia residenza, che sfavillava
nello splendore orienta!e. Mancano però ulteriori notizie sulle parti
architettoniche.
Il 19° secolo ha visto però diversamente questo luogo storico.
I pensieri e le considerazioni di tanti turisti e viaggiatori in genere,
suscitati dalla vista dell'arco del Palazzo scomparso, sono stati espressi da
Ferdinand Gregorovius nel suo libro: « Anni di viaggio in Italia » nel capitolo su
Lucera (1874), dopo, una magistrale descrizione del paesaggio e della posizione
di Foggia 11: «,Ogni tedesco si soffermerà pieno di commozione davanti a
quest'ultimo resto del Palazzo imperiale, in cui abitò così spesso il più geniale
degli Hohenstaufen, immerso nelle sue idee di dominio comprendente
l'Occidente e l'Oriente, ed in continua consultazione con il suo fido cancelliere
Pier delle Vigne in merito ai progetti ed ai mezzi nella sua tremenda lotta
contro i Guelfi d'Italia ed il papato romano... Non appena glielo permettevano
le molte guerre, che- lo spingevano senza tregua di qua e di là, dalle Alpi alla
,Sicilia, e che lo strappavano con forza dal suo amato Paradiso pugliese, il
grande imperatore dimorava nel suo Palazzo di Foggia... Da Foggia egli poteva
facilmente raggiungere le sue altre residenze, le sue rocche
_________________
FERDINAND GREGOROVIUS, Anni di viaggio in Italia, 5 volumi, Lipsia
1856-77, Vol. V, Paesaggi pugliesi (cit. secondo l'ediz., Colonia 1953, 588 f.).
11
200
ed i suoi castelli di caccia, come Andria, come lo stupendo Castel del Monte e,
sull'altro versante, i castelli di Fiorentino e Lucera ».
Con questo Gregorovius si è inserito nel gran numero di tedeschi, che si
recano in Italia per studiare a fondo le vestigia sveve del Sud, al fine di sapere
non solo qualcosa dell'incanto e dello splendore di un tempo, ma anche
qualcosa del tragico tramonto della grande dinastia.
Ma proprio a Foggia la cruda realtà richiama l'osservatore a ritornare sul
terreno dei fatti, che sono molto lontani dallo splendore imperiale, dalla
potenza e dalla grandezza.
Il sorgere della Residenza
Allorquando Federico II, dopo aver sostato per quasi 8 anni in
Germania e dopo esser stato incoronato imperatore romano, fece di nuovo
ritorno il 22 novembre 1220 nel Regno da lui ereditato, trovò questa parte del
suo impero in uno stato di disordine.
Dalla morte di re Guglielmo II (1189) le faide non erano più cessate ed
anche il duro dominio dell'imperatore Enrico VI aveva cambiato qui le cose
solo temporaneamente 12 . Federico riconobbe subito che il presupposto di
ogni ordine era la stabilizzazione nel regno di un forte potere assoluto, per
rendere la corona indipendente dai vassalli. Così conquistò dapprima numerose
roccaforti, che dominavano importanti punti prevalentemente strategici. Già
alla fine dell'anno 1220, durante una dieta a Capua, emanò leggi a proposito, e
dopo breve tempo aveva già sicura in suo potere tutta la Terra di Lavoro, la
parte settentrionale dell'odierna ;Campania. Subito dono, nel febbraio 1221,
l'imperatore metteva piede per la prima volta sul suolo pugliese, la Capitanata,
dando già ordine nel 1223, come riferisce il cronista Riccardo di San Germano,
per la costruzione della Residenza di Foggia 13.
I motivi di questa scelta erano molteplici e sono stati spesso discussi.
Tuttavia stupisce sempre più il fatto che egli non abbia scelto come sede del
suo governo la fastosa Palermo, capitale del regno dei suoi antenati normanni,
né la costa occidentale intorno a Napoli, molto allettante per le bellezze
naturali. E vero che Palermo si trovava al centro della zona mediterranea, e che
nominalmente ne rimaneva la capitale, ma non si adattava per amministrare di
là sia il regno meridionale che la lontana Germania.
A ciò si aggiungeva che, dalla promessa fatta dall'imperatore per le
crociate, la politica imperiale e le mire matrimoniali per la legittima erede al
trono di Gerusalemme tendevano ad Oriente, mirando perciò al dominio dei
porti pugliesi, da cui salpare per le crociate. L'ubicazione auspicabile per la
Residenza si trovava perciò in Capitanata, laddove le strade principali da Napoli
e dalla Campania per la Puglia si
______________
12 STHAMER
(1914), pag. 5 ff.; HASELOFF (1920), pag. 45 ff.
RYCCARDI DI SANCTO GERMANO notarii chronica, ed. G. H. Pertz
(Mon. Germ. Hist. SS XIX e Scriptores rerum Germanicarum, Hannoverae 1864), ad
annum 1223 e 1226 (cit. secondo Stharner 1914).
13
201
Foggia, Porta del Palazzo scomparso. Veduta e particolari con la lastra
epigrafica sottostante.
(Incisione di Victor Baltard, 1844. Scala inesatta! Huillard-Bréholles Pl. XVIII)
202
Foggia, Porta del Palazzo scomparso.
(Veduta di H. Schulz, 1860. Proporzioni e scala inesatta!)
203
incrociavano con il collegamento nord-sud lungo la costa orientale. Anche in
antichità il tracciato delle strade era un altro,. Forse la via Traiana non toccava
la zona intorno a Foggia, bensì deviava prima per Troia, Ascoli e Canosa.
D'altronde l'antica antecedente di Foggia, Arpi, che è situata molto più a
nord, non era un punto di collegamento decisivo per la nuova Residenza14.
In un certo qual modo Foggia esce dal buio solo nell'11° secolo e non
deve aver posseduto prima del 12° secolo una grande importanza. Per la prima
volta, nella seconda metà dello stesso secolo, viene nominata la futura
cattedrale, la chiesa di Santa Maria di Foggia. Un'epigrafe (purtroppo non
conservata) sul portale principale diceva che questo monumento sarebbe stato
iniziato sotto il re Guglielmo II nell'anno 1172 (secondo un'altra
interpretazione nel 1179) 15.
Invero, i motivi politici e strategico-militari non furono i soli
determinanti per la scelta di questo luogo. Ad essi si aggiungeva la predilezione
anzi la passione, dell'imperatore per la caccia, per la sua attività con gli animali
ed il mondo degli uccelli in genere. L'addestramento dei falchi da caccia
imperiali, l'uccellagione, la caccia agli uccelli, nonché il diletto proprio della
corte per la caccia avevano nella vita di Federico II, come è noto, una
importanza straordinaria, e le relative condizioni naturali dovevano essere in
Capitanata particolarmente favorevoli.
Grandi estensioni di boschi coprivano il paese, soprattutto i vasti
altipiani del Tavoliere, laghi e paludi si potevano trovare in molti luoghi, riserve
di caccia potevano facilmente essere delimitate e recintate anche nelle vicinanze
della Residenza, ricchezza di boschi e d'acqua costituivano ideali condizioni
naturali.
A nord della Provincia si possono trovare i laghi poco salati di Lesina e
Varano, più a sud le distese d'acqua interrate o trasformate in saline del lago di
Salso e del lago di Salpi, e alcune carte della Capitanata del 17° secolo fanno
facilmente riconoscere ancora, vicino ai singoli territori boschivi, ulteriori laghi
di diverso ordine e dimensione 16.
I boschi dell'Incoronata e San Lorenzo erano celebri anche in epoca
successiva, e solo quando durante i lunghi secoli della dominazione spagnola il
paesaggio divenne deserto e spopolato, il patrimonio boschivo andò distrutto.
Le notizie occasionali relative alle cosiddette « defensae » rivelano che
trattavasi a tal fine di riserve imperiali chiuse per scopi di caccia; queste erano
situate in contrade ricche di vegetazione, in cui erano vietati la caccia ed il taglio
della legna.
___________________
HASELOFF (1920), pag. 67 f.
HASELOFF (1920), pag. 74; FRITZ JACOBS, La Cattedrale di S. Maria Icona
Vetere a Foggia. Studi dell'architettura e plastica del 110-130 secolo nell'Italia Meridionale, vol. 1 e
2 (Diss. Amburgo 1966), Amburgo 1968, vol. 1. 1 ff.
16 GIUSEPPE DE TROIA, Foggia, paesi e terre della Capitanata nelle mappe
seicentesche del Tavoliere e nelle stampe di antichi incisori, Foggia 1973, Tav. 6.
14
15
204
Carta N. 1. – La Residenza di Foggia ed i castelli del Tavoliere,
all’intorno. (Disegno dell’Autore)
205
Tali zone sono tramandate, per esempio, per Lucera, Salpi, Orta,
Ordona, Guardiola e Bovino, ma vengono citati in egual contesto anche
Tressanti, Cerignola, Vulcani ed Apricena. Negli atti del periodo degli Angioini
la menzione di alcuni luoghi per quanto concerne l'acquisto di legname per
costruzioni, come, per esempio, Guardiola, Visciglieto, Troia, Montecorvino,
Mattinata ed altri, fa desumere una notevole ricchezza di legno in quelle strisce
di terra.
A queste località favorite dalla natura si aggiungevano poi i vasti recinti,
predisposti secondo un piano preciso, che erano occupati in parte da animali
nostrani, in parte da quelli esotici, e fra i quali San Lorenzo in Pantano
occupava un posto particolare17.
Lo scenario naturale di questo territorio deve essere stato allora
particolarmente atraente, poiché dello stesso Federico II ci sono state
tramandate delle impressioni che si riferiscono espressamente alla bellezza di
questo paesaggio, senza dimenticare che anche Enzo, l'infelice figlio
dell'imperatore, cantò dalla sua prigionia di Bologna la « magna Capitanata »,
vale a dire la Capitanata a lui sempre presente nei canti e nei pensieri.
Anche in questi fattori dunque, nell'« amoenitas loci », sono da ricercare
motivi importanti, forse decisivi, per la scelta di questa residenza, per
l'elevazione di Foggia a sede di governo imperiale.
Già subito dopo la sua fondazione, la Residenza si rempì di vita attiva.
L'imperatore vi sostava sovente, e con lui anche la famiglia imperiale.
Purtroppo le fonti permettono solo il formarsi di un'immagine insufficiente, e
solo un preciso itinerario dell'imperatore potrebbe conferire luce agli eventi18.
Il Palazzo fu terminato presumibilmente nel 1225. Nello stesso anno
l'imperatore prese per moglie in seconde nozze Isabella di Brienne, erede al
trono di Gerusalemme, che morì però ad Andria subito dopo la nascita del
figlio:letto Corrado (futuro successore).
A Foggia visse per un certo tempo e vi morì nel 1241 la terza moglie
dell'imperatore, Isabella d'Inghilterra; ivi fu celebrato anche nel 1239 il
matrimonio della figlia dell'imperatore Violante con Riccardo di Caserta.
Sia sotto Federico II, che sotto i suoi figli Corrado e Manfredi, furono
tenute nella Residenza anche numerose diete e furono accolti festosamente e
splendidamente principi stranieri.
Il re Corrado IV tenne qui nel febbraio 1252, dopo il suo sbarco a
Siponto, la sua prima dieta in terra di Puglia; suo fratello Manfredi la celebre «
Curia solemnis » nell'anno 1260 19.
Dopo il tramonto degli Svevi il Palazzo vide nel 1273 il matri____________
17 San Lorenzo compare anche col nome « in Carmignano » o « in Corminiano »,
Haseloff (1920), pag. 79; Leistikow (1971, pag. 433. La denominazione usuale era
evidentemente « domus vivarii sancti Laurentii ».
18 Una composizione di questo tipo si trova già in Schulz (1860), I, pag. 209;
meglio in Haseloff (1920), pag. 46 ff.
19 HASELOFF (1920), pag. 68.
206
monio della principessa Beatrice, figlia di Carlo I d'Angò, e nel 1296 l'accollata
del principe Roberto. Carlo d'Angiò, l'irriducibile nemico degli Svevi, trovò
però qui a Foggia la morte nel 1285.
« Quasi per tre decenni si intrecciarono sempre più in questo Palazzo i
fili della politica mondiale. A decantare le sue sale e corti, le sue colonne, statue
e giochi d'acqua i contemporanei non si stancarono mai. Cose fiabesche essi
riferiscono delle feste che qui venivano tenute sotto Federico II e suo figlio
Manfredi con pompa magna »20.
I dintorni della Residenza
In stretto collegamento con il centro, che conteneva il Palazzo imperiale
di Foggia, sorsero poi anche le postazioni esterne della Residenza, i castelli
estivi e quelli di caccia, nonché le aziende agricole e forestali per
l'approvvigionamento della esigente corte. In questo contesto appaiono per la
prima volta i nomi delle « domus » e « palacia »dei castelli imperiali di caccia,
che possiamo desumere in gran parte dallo « Statutum de reparatione castrorum
», tramandatoci nei documenti angioini, e la cui posizione è in parte accettata21.
Come risulta dai mandati imperiali, anche i poderi agricoli ebbero una
grande importanza. L'approvvigionamento della Residenza con bestiame,
pollame ed altri prodotti, il mantenimento di scuderie e fattorie, la creazione
programmata di boschi ci portano in questa direzione, ma sono stati purtroppo
esaminati ancora troppo poco nei particolari, cosicché un quadro globale è
possibile solo a larghi tratti. Le attività artigianali si concentrarono
principalmente a Lucera, dove, in collegamento con la camera imperiale e con
l'inserimento dei Saraceni, veniva organizzata la produzione dei beni
importanti, di vestiario ed armi.
Da ultimo anche le donazioni di Federico II all’Ordine Tedesco ed ai
Cistercensi, che contribuirono in maniera decisiva al progresso del Paese,
testimoniano della cura personale dell'imperatore per lo sviluppo della
Provincia.
Solo la rappresentazione cartografica di questi collegamenti dà un'idea
della situazione storico-geografica: In mezzo, al Tavoliere di Puglia Foggia giace
come punto focale, circondata a nord-est dai ripidi pendii del Monte Gargano,
ad ovest, come un grande arco, dai Monti della Daunia, a sud dalle colline delle
Murge. Questi pendii montuosi erano difesi da castelli.
La Residenza, fortificata in maniera relativamente debole, era infatti
sicura solo con la protezione delle fortezze e dei castelli imperiali.
Laddove si giunge in Puglia dalla porta settentrionale, troviamo così,
oltre alla fortezza dell'isola di Tremiti, i castelli di Termoli, Serracapriola,
Civitate, Torremaggiore, Dragonara e Monterotaro, nonché frontalmente il
solitario :Castel Pagano situato sul massiccio del Monte Gar____________WILLEMSEN (1966), pag. 63.
STHAMER (1914), pag. 83-93 e appendice 1, 94-127; HASELOFF (1920), 11
ff. Leistikow (1971), pag. 420 f.
20
21
207
208
209
gano, a sua volta dominato da Rignano e, come pilastro angolare, da Monte
Sant'Angelo. Verso ovest si devono menzionare Celenza, San Marco la Catola,
Montecorvino e Volturara, un po' oltre, Biccari, Troia, Castelluccio, Orsara e
Deliceto; verso sud Sant'Agata e Rocchetta Sant'Antonio, fino al robusto
castello di Canosa di Puglia al margine delle Murge 22.
Tutta questa catena esterna di castelli sarebbe stata comunque
insufficiente senza la « chiave di Puglia , la cittadella di Lucera, che, da un
massiccio montuoso e piatto, su cui è situata, si eleva, a circa 18 km, di distanza
da Foggia, al di sopra del Tavoliere, ed a cui era affidata la sicurezza militare
della Residenza. L'imperatore, come è noto, vi fece insediare in parecchi gruppi
alcuni Saraceni, i quali all'inizio erano ribelli e dovevano essere vigilati, ma poi
divennero i suoi migliori sudditi e di suoi migliori soldati. Lucera, fortificata al
più tardi a partire dal 1233, divenne il più importante caposaldo dei dintorni
della Residenza fino al tempo di Manfredi, fu camera imperiale, arsenale e
magazzino per l'approvvigionamento della Residenza, inoltre castello di
particolare costruzione, di cui daremo solo qualche cenno 23.
All'interno dell'anello di fortificazioni ora descritto erano situati i castelli
di caccia e le residenze estive, unitamente ai poderi agricoli, ed il loro gran
numero rivela la folta rete di intrecci che la corte imperiale aveva teso sull'intera
zona.
Tre aree principali di distribuzione di queste « domus » e « palacia » o come furono chiamate nel periodo angioino - « castra domus et palacia
solaciorum et massariarum », si devono distinguere nei dintorni della Residenza
e quindi considerare più da vicino:
1. Il Tavoliere centrale con Foggia ed il vicino San Lorenzo in Pantano
(o in Carmignano), nonché gli altri numerosi castelli raggruppati in un'area
ellittica di circa 80-40 km. di distanza intorno alla Residenza, da Guardiola ad
ovest fino a Trinitapoli ad est, vicino al lago di Salpi.
2. La Capitanata settentrionale nella zona dei laghi di Lesina e Varano
con punto centrale Apricena, uno dei luoghi di soggiorno preferiti
dall'imperatore, a circa 40 km. di distanza in linea d'aria da Foggia.
3. Se c’è da individuare un territorio, che, pur situato molto a sud, non
appaia così chiuso, e che, in contrapposizione alla torrida Capitanata, era
considerato anche d'estate, grazie ad un clima fresco di montagna, luogo di
riposo e di ristoro, :questo era la zona intorno a Melfi ed al Monte Vulture.
Melfi può essere considerata addirittura come la « residenza esti___________
22 LEISTIKOW (1971), pag. 421 ff. con riprod. 1: Carta topografica delle fortezze
della Capitanata nel 130 secolo. I castelli citati non devono essere affatto considerati tutti «
svevi », anzi sono di origine ed epoca molto diverse.
23 Una rappresentazione esauriente e globale in Haseloff (1920), pag. 97-340;
argomentazioni integrative in Willemsen (1968), pag. 25-38 con indicazioni degli scavi
degli anni 60.
210
va » dell'imperatore; infatti qui troviamo, a circa 60-80 km. di distanza da
Foggia, altri castelli di caccia, fra cui vanno citati soprattutto Gravina di Puglia,
Palazzo San Gervasio e Lagopesole. Solitario nella brughiera, vicino Andria, si
eleva infine la « corona » delle opere architettoniche imperiali, Castel del Monte,
che, per il suo aspetto singolare, può essere classificato, in verità non senza
riserve, come castello di caccia.
La maggior parte dei castelli di caccia documentati possono essere
localizzati, in quanto che ancora oggi esistono località con questo nome. Altri
invece sono scomparsi senza lasciar traccia, ed anche i loro nomi non figurano
più nelle carte geografiche. La ricerca è a tal fine ancora agli inizi.
Se resti di edifici del 130 secolo si possono forse riscontrare in
costruzioni ancora esistenti, non si può dire senza esami archeologici. Finora in
Capitanata non è stata comprovata alcuna pianta completa di castello di caccia;
in particolar modo non è noto se nelle immediate vicinanze della Residenza
potessero trovarsi anche castelli del tipo di Gravina di Puglia o Palazzo San
Gervasio, costruiti con notevole dispendio di mezzi. Una certa immagine di una
tale « domus » imperiale, come collegamento di un castello con un'azienda
agricola, Ce la fornisce la descrizione, citata in altro luogo, di Sala presso San
Severo, che fa riscontrare appunto una stretta combinazione di una casa
padronale con i diversi edifici agricoli24. Una casa ben solida con torre ed alcuni
edifici attigui è rappresentata ancor oggi da Torre Alemanna (oggi Borgo
Libertà), costruzione non esaurientemente esaminata di epoca sconosciuta,
ritenuta però da Haseloff molto tarda25.
Se le numerose rocche con torri siano state in collegamento con i castelli
di caccia, è ancora da chiarire. Così della « domus » Fiorentino, luogo di morte
dell'imperatore Federico II, è rimasto solo il resto di una « torre piramidale» »,
se non vi si vuole supporre un'autonoma costruzione difensiva. Che aspetto,
però, aveva la « domus »? Anche sul più splendido dei castelli di caccia, San
Lorenzo in Pantano, come ci resta da dire in seguito, ci è noto poco o nulla.
Lo studio architettonico dell'arco
Se si guarda attentamente l'unico resto che ci è pervenuto del Palazzo di
Foggia, il grande arco con le aquile imperiali e l'epigrafe nell'attuale posto in
Piazza Vincenzo Nigri, laddove è fissato nella facciata occidentale del Museo
Civico, si desume che solo le parti architettoniche vere e proprie del portale
apppartengono all'edificio originario. Queste sono le pietre dell'archivolta,
ornate da folte foglie d'acanto e sporgenti dalla parete, i due modiglioni d'aquile
fortemente danneg____________
STHAMER (1933), pag. 84 ff.; HASELOFF (1920), 61; LEISTIKOW (1971),
pag. 428 f.
25 HASELOFF (1920), pag. 380 f., vol. delle tavole XLI, 1 e 2; LEISTIKOW
(1971), pag. 428.
24
211
Foggia, Porta del Palazzo scomparso. Arco con modiglioni d’aquile e
lastra epigrafica.
(Riprod. Fot. dell’Autore, 1972)
212
giati con piattabanda, su cui poggia l'arco, nonché i profili delle imposte
decorati da un duplice fregio di fogliame, che si protraggono anche in direzione
dell'apertura di passaggio (oggi solo accennate). Al di sopra della zona
d'imposta è inserita la grande lastra epigrafica, rotta verticalmente al centro.
Tutto il piano della parete, graduato all'indietro, nonché le superfici di
strombatura dell'arco interno sono stati costruiti completamente nuovi, in
mattoni; la parete circostante è del tutto intonacata con segni di muratura
rustica a strisce orizzontali.
Del resto solo nei pilastri laterali del portale sono state presumibilmente
poste in opera delle pietre lisce e squadrate provenienti dal luogo originario.
L'antica unità della struttura in muratura, l'inserimento nel filo del muro
circostante non esistono più.
Il posto attuale, la zona circostante del tutto nuova non permettono più
che si giunga a conclusione di alcun genere sulla situazione di un tempo.
Allo stato attuale si pervenne dopo un bombardamento del 1943,
presumibilmente nel quadro di lavori di demolizione e di sgombero atti a
salvare il portale, non più utilizzabile in questo posto.
Fino allora l'arco stava nella stretta facciata della Casa della
Congregazione di Carità, inserito nella fila di case dell'attigua via Pescheria (o
anche Pescaria). Per un caso fortuito era sfuggito alla distruzione della casa
durante il bombardamento, rimasto poi miracolosamente intatto ed infine
trasportato vicino alla parete del Museo. Ciò deve essere accaduto negli anni
dopo il 1943: opera lodevole della locale tutela dei monumenti!
Alla ricerca di prove sicure sull'arco, quand'era al suo posto fino al 1943,
oltre alle rappresentazioni grafiche ed alle descrizioni di Baltard e Schulz, si
rivela estremamente importante a tal fine la ripresa fotografica a grande
formato dell'antico stato, che Haseloff ha allegato al volume di tavole della sua
opera. La fotografia, considerevole per il periodo in cui fu fatta, e niente affatto
distorta, fornisce, ad un attento esame, sicuri punti di riferimento e di
sostegno26.
Inserita nel filo di muro delle case adiacenti, formato per la maggior
parte da pietre rettangolari, ed ancora visibile nella facciata degli edifici vicini,
appare una porta alta, in parte murata, che si stacca dalla parete solo con il suo
arco a tutto sesto e fortemente delineato, poggiato da ambo le parti su
modiglioni.
Questi ultimi stanno al di sopra di profili piani d'imposta, che
,circondano l'angolo dei pilastri della porta una volta rientranti. Un cornicione,
ampiamente sporgente e purtroppo non riconoscibile nei particolari, già
rappresentato da Baltard nel suo grafico, forma la parte superiore e conclusiva
della parete.
Le due fotografie particolareggiate, che Haseloff allega al quadro
___________
HASELOFF (1920), vol. delle tavole I, II, III; 1. Altre fotografie dello stato
prima della distruzione anche in Karl Opser, Germania, Italia, luoghi memorabili di una
comunità di popoli (Lipsia 1940), pag. 126, riprod. 112 e WILLEMSEN (1944), pag. 72,
riprod. 45 e 47 nonché nella letteratura italiana.
26
213
Foggia, Porta del Palazzo scomparso. Veduta globale dello stato
prima della distruzione del 1943.
(Foto presa dal tavolato di Arthur Haseloff, 1920)
214
totale, offrono anche i particolari dei modiglioni e le parti iniziali dell’ arco. I
modiglioni mostrano ciascuno un'aquila vista davanti e liberamente sporgente, che
stende le sue ali al di sotto della piattabanda, a sua volta formata da piastra e
compluvio (il modiglione destro, con foglie ornamentali).
L'arco, posto sullo stesso piano dei modiglioni, è mantenuto liscio nella sua
parte superiore e porta nella sua parete interiore scanalata una doppia corona,
finemente lobata, di rigogliose foglie d'acanto, la cui parte sottostante si curva ad
arco in uno spigolo vivo come in un movimento di onde.
La parte frontale e stretta dell'arco è accompagnata da un motivo seghettato,
un tempo colorato (forse in nero, come nel portale della cattedrale). Probabilmente
all'interno della parte ornamentata correva intorno un altro arco di cunei lisci, che
comprendeva il timpano e che, nella sua larghezza, corrispondeva all'apertura di
passaggio delimitata verso l'alto da un architrave27.
Fortunatamente Haseloff ci ha trasmesso nella sua descrizione alcune misure
prese nel vecchio luogo, che hanno potuto essere controllate dall'autore nel posto
attuale, tenuto, conto delle poche alterazioni della riproduzione fotografica, e che
possono essere utilizzate ai fini di uno schizzo sufficientemente esatto delle misure
del portale.
I dati confermano le dimensioni straordinarie e l'aspetto imperiale di questa
porta: l'altezza complessiva raggiungeva 7,38 m. (passava quindi per due piani del
futuro edificio), la larghezza interna 3,20 m. Le imposte erano situate a circa 4.40
m. d'altezza al di sopra del terreno circostante. L'altezza interna dell'arco era di 2,73
m. Con questo abbiamo dunque le misure principali 28.
Ad un esame attento dell'antico stato dell'edificio risultano anche ulteriori
particolari: la parete in cui era incorporata la porta, era formata, fino allo spigolo
superiore delle piattabande dei modiglioni, da pietre squadrate naturali lisce, e, al di
sopra di queste, - eccetto le stesse pietre dell'arco, - da mattoni di un unico tipo.
Il vano della porta vero e proprio era murato senza molta cura nella parte
inferiore con pietre squadrate lisce, cosicché restava aperta una porta rimpicciolita a
guisa di portale dal bordo lievemente profilato e curvato a cesto. L'altezza
complessiva era suddivisa in due parti, in quanto al di sopra della zona d'imposta
sorgeva un piano superiore, che con una porta stretta a due battenti si apriva su un
terrazzino sporto su una piastra piana. Fra le strombature della porta ed i mo-
____________
Vedi i portali delle cattedrali di Troia, San Severo e Termoli citati da Haseloff,
HASELOFF (1920), pag. 73 ff. e le considerazioni successive per la ricostruzione del
portale.
28 Queste ed altre misure particolareggiate in HASELOFF (1920), pag. 71. Già
Fraccacreta (vedi Anm. 1) sembra aver effettuato alcune misure dell'arco. Questi calcola il
raggio dell'arco abbastanza esattamente con 6 palmi (=0,265x x6=1,59 m), BELLUCCI
(1951), pag. 125.
27
215
diglioni c'erano, in due strati, delle pietre squadrate poste all'altezza
dell'architrave di un tempo29.
La campitura dell'arco da ambo le parti del vano della porta era chiusa
con mattoni non intonacati. La lastra epigrafica, racchiusa in una cornice
barocca sporgente, si presentava inserita nella parete al di sotto del beccatello
(sull'arco a cesto del vano inferiore della porta).
Gli edifici vicini, riportati dalla rappresentazione di Baltard, sono
accennati in quella fotografica di Haseloff. In Baltard si rileva chiaramente che
la casa centrale, nei confronti dell'arco, appare separata a sinistra dalla casa
vicina da una fessura, mentre la muratura si estende a destra indubbiamente
fino alla casa attigua. Questo fatto non può essere purtroppo più esaminato. In
ogni caso è chiaro che devono essere subentrati - probabilmente nel 180 secolo
- profondi mutamenti. L'intero portale fu allora trasferito e riutilizzato in un
altro contesto, oppure inserito al posto originario in un edificio di nuova
costruzione, ripartito nell'altezza ed adattato alle nuove necessità?
La lastra epigrafica
Particolare attenzione merita alla fine l'epigrafe di marmo bianco di
2,26 X 0,61 di grandezza, che è riportata anche da Haseloff in una buona
riproduzione particolareggiata. Nei suoi tre righi scolpiti essa tramanda ai
posteri importanti notizie relative alle intenzioni dell'imperatore e all'inizio della
costruzione di questa Residenza.
Le interpretazioni, in parte diverse l'una dall'altra, non possono essere
qui riportate, ma il tenore di quest'epigrafe deve essere reso nella forma data da
Haseloff - con le sue integrazioni-30.
Sul bordo superiore della lastra:
† . Síc. . Cesar . Fieri . Iussit. Opus. Istum . P(ro)to . Bartholomeus /. Sic. . Construxit. Illud.
Nella parte interna della lastra:
† . A(nno) . Ab Incarnatione . M.C.C.X.X.III.M(ense). Junii XI
Ind(ictionis). R(egnante) . Domino . N(ostr)o
Frederico Inp(er)atore . R(ege) . Semp(er) Aug(usto).
A(nno) . III. Et . Rege Sicilie . A(nno) XXVI.
Hoc . Opus. Felicit(er). Inceptum . Est. P(rae)phato D(o
mi)no . P(rae)cipie(n)te.
Sul bordo inferiore della lastra:
________________
HASELOFF (1920), pag. 71, pensa che le grandi pietre squadrate della
campitura « corrispondono alla Fütlwerk del 180 secolo », ma non è da escludere che si
possa trattare di resti di pezzi medievali. La misura dei mattoni della muratura
all'esterno dell'arco può essere determinata dalla fotografia di Haseloff in circa 27 x 12,5
x 6 cm.
30 HASELOFF (1920), pag. 72. In Anm. 1, l'autore riporta ancora altri
particolari relativi alla lastra epigrafica. Vedi anche l'epigrafe di Orta, HASELOFF
(1920), pag. 88-94. La riproduzione dell'epigrafe di Haseloff è in parte imprecisa, per
questo viene qui integrata.
29
216
Hoc Fieri lussit Fredericus Cesar Ut Urbi Sit Fogia Regalis
Sedes Inclita Imperialis.
In queste parole è espressa chiaramente l'elevazione di Foggia a città
con residenza imperiale e oltre a ciò il giugno 1223 è indicato
inequivocabilmente come anno d'inizio della costruzione dell'opera (quindi del
Palazzo). Questa indicazione della data conferma le affermazioni del cronista
Riccardo di San Germano e stabilisce contemporaneamente la disposizione
temporale delle forme architettoniche dell'arco, compresa l'arte dell'ornamento
e le sculture delle aquile. Inoltre - cosa rilevante per la storia d'arte - si dichiara
maestro architetto dell'opera il protomagister Bartholomeus, che probabilmente
ne è stato anche lo scultore31.
Infine si fa rilevare che dalla interpretazione dell'epigrafe di Della Valle
si mette sempre più in risalto la parte personale che l'imperatore ebbe nella
progettazione dell'opera, e con questo si solleva il problema, fino a che punto
Federico II in persona abbia preso parte al progetto delle sue costruzioni, per
esempio, della porta a ponte di Capua o di Castel del Monte 32.
Purtroppo l'importante resto del portale del Palazzo - a prescindere
dalle citate riproduzioni di Baltard e Schulz - non è stato mai ripreso
sistematicamente e fissato graficamente. Neppure c'è un esame dell'opera
muraria di un tempo (forse dello spessore del muro!) da ambo i lati dell'arco, né
una descrizione delle case, sulla cui strada di fronte stava l'arco, né uno studio
degli altri edifici circostanti, i cui resti devono essere stati demoliti dopo il 1943.
A tal fine proprio lo stato di demolizione avrebbe potuto offrire
eventualmente importanti delucidazioni. Evidentemente neppure le parti
riutilizzate dell'arco e la lastra epigrafica sono state esaminate o riprodotte nella
loro parte retrostante inserita e fissata nell'opera muraria33.
Così in primo luogo restano senza risposta le seguenti importanti
questioni:
l. Nella casa di via Pescheria l'arco stava al suo posto originario o
questo era già un altro luogo prescelto per il suo trasferimento e la sua
ricostruzione?
2. La parete dell'edificio, la casa stessa o per lo meno il filo del muro
delle case attigue era in una qualsiasi forma parte integrante del Palazzo
imperiale?
3. Le pietre dell'arco si trovavano nella commessura originaria o c'erano
segni per i mutamenti successivi nella consistenza del portale?
_____________
31 Per Bartholomeus da Foggia: HASELOFF (1920), pag. 72 ff. ed
esaurientemente JACOBS (1968), vol. 1, pag. 192 ff.
32 L'autore rivela forti riserve per questa supposizione. Vedi invece Haseloff
(1920), pag. 72 f.
33 MOLA (1974), pag. 50, menziona luoghi sotterranei quali resti del Palazzo
Imperiale, senza però localizzarli. Vedi anche WILLEMSEN (1973), pag. 35. Uno
studio di questi luoghi sarebbe molto auspicabile per la ricerca archeologica del
territorio civico, in quanto proprio resti di cantine e scantinati forniscono sovente
importanti delucidazioni.
217
4. L'arco costituiva la porta principale del Palazzo (forse delle sue mura
perimetrali) o era invece l'arco di uno dei suoi edifici?
Inoltre rimangono senza risposta quasi tutte le questioni connesse alla
lastra epigrafica, in quanto pare che anche questa non è stata sufficientemente
esaminata prima che la si fissasse nel muro del luogo attuale e le si togliesse
(forse perché rovinata?) la cornice barocca. In particolar modo appare non
chiaro se la lastra stesse già in origine in un rapporto architettonico con il
portale o, invece, in un certo tempo (come oggetto ritrovato o proveniente da
materiale di demolizione) sia stato combinato con questo portale34.
Già lo spessore della lastra di pietra è sconosciuto, come pure il
consolidamento di un tempo. Era questa parte dell'architrave del portale o era
stata messa su di essa (forse con tasselli metallici), oppure era murata in una
parte? Quali elementi della scrittura sono originali, vale a dire medievali; quali,
invece, vi sono stati trasferiti successivamente da altre lastre epigrafiche nel
frattempo andate perdute?
Queste questioni avrebbero bisogno di essere esaminate in maniera più
esatta e competente.
Risulta così che la scienza moderna, che con i metodi perfezionati di
cui oggi dispone può raggiungere risultati straordinari anche con reperti
modestissimi, ha tralasciato di considerare, quasi sprezzante, un monumento
medioevale di grande importanza storica, accessibile ad ognuno.
Per lo meno al tempo dei lavori di Haseloff, ma anche negli anni della
guerra mondiale ci sarebbe stata possibilità di sondare sistematicamente tutto il
territorio civico in questione.
Purtroppo nulla è stato fatto. Solo il reperto, reso noto nel 1973, di una
veduta della città di Foggia del 160 secolo ci permette, unitamente ad altri esami
della pianta della città, di fare un po' di luce in questo buio e, soprattutto, di
tentare anche delle affermazioni impegnative sulla posizione di un tempo del
Palazzo e della zona circostante*.
DANKWART LEISTIKOW
Dormagen
_________________
34 SCHULZ (1860), pag. 207, riferisce che, secondo Perifano, la lastra si
trovava « nell’largo del palazzo communale della città ». G. PERIFANO, Cenni storici
della città di Foggia, Foggia 1831. Vedi anche le affermazioni di Fraccacreta, citate da
Bellucci (1951), pag. 123.
219
INSEDIAMENTO NEOLITICO
DI C.NO S. MATTEO-CHIANTINELLE (SERRACAPRIOLA - FG)
(sulla riva sinistra del basso Fortore)
Contributo alla conoscenza del popolamento neolitico
sul confine settentrionale del Tavoliere
PARTE PRIMA (*)
(A. Gravina)
NOTE DI TOPOGRAFIA
Da circa un decennio nel Tavoliere delle Puglie i campi vengono arati
con potenti mezzi meccanici fino a profondità notevoli (cm. 80-110), inusitate
per il passato.
Questa tecnica di coltivazione, detta « scasso » in molte zone ha
comportato un vero e proprio dissodamento del terreno. Le precedenti arature
non erano mai andate oltre i 40 cm. dall'attuale piano di campagna, e non
avevano interessato, nella quasi totalità dei casi, gli strati inferiori dell'humus
(avente uno spessore di cm. 50-100) che sono rimasti in situ per millenni.
Pertanto il loro indiscriminato sconvolgimento, prodotto dal dente dell'aratro
moderno, nelle località archeologiche ha provocato la irrimediabile distruzione
di gran parte della stratigrafia, anche se ha fatto emergere le testimonianze delle
civiltà che fiorirono in loco.
Non di rado, dopo lo « scasso », sono apparse sul terreno le strutture
«urbanistiche» dei vari insediamenti e, specialmente nelle zone interessate da
stanziamenti preistorici, è stato possibile localizzare muri a secco, fossati, aree
di capanne ed impianti similari che si distinguono sulla superficie arata non solo
per una più accentuata concentrazione di
__________
(*) Il lavoro è stato distinto in due parti: nella prima parte A. Gravina ha
presentato gli insediamenti in relazione al tessuto culturale della Daunia settentrionale a
cui si limitano - quasi esclusivamente - i riferimenti. Nella seconda parte A. Geniola ha
presentato le industrie ed ha esaminato le ceramiche dell'insediamento recenziore
inquadrandole nel più vasto ambito delle culture di appartenenza.
Gli Autori ringraziano il Sovrintendente alle Antichità della Puglia, prof. F. G.
Lo Porto, l'Ispettore, E. M. De Iuliis ed il prof. F. Biancofiore per aver reso possibile
l'edizione di questi rilevamenti topografici.
La planimetria della Tav. 2 ed i disegni delle industrie sono opera del sig. G.
Cancellaro; la Tav. 10 è del sig. Giuseppe Zazzaro, foto e Tavv. dei materiali fittili sono
del sig. G. De Tullio; la tazza (Tav. 8:13) è stata restaurata dal sig. Giovanni Zaccaro
dell'Istituto di Civiltà Preclassiche dell'Universìtà di Bari.
220
pietrame, di « intonaco di capanna » 1 e di frammenti fittili e litici, ma anche per
una diversa colorazione del terreno che i contadini del posto chiamano «
macchie di tera »2.
Tutto questo ci ha permesso di annotare alcuni dati preziosi di
topografia preistorica e protostorica in quelle contrade dove è improbabile che
si possa organizzare uno scavo per uno studio metodico e stratigrafico del
materiale archeologico, prima della sua totale distruzione.
Una situazione del genere, particolarmente favorevole, si è verificata nella
Contrada « Casino S. Matteo-Chiantinelle » F. 155 dell'I.G.M. coord. top.
175345 – Ripalta3 (Tav. 1).
La località, situata a Km. 4,5 ad Ovest di Ripalta e a circa Km. 8 a
Nord-Est di Serracapriola, da cui dipende come comune, si presenta ubicata in
parte su una specie di pianoro posto sulla sommità delle collinette che,
digradando dal Subappennino molisano fino al Mar Adriatico, chiudono con un
arco a N.-W. la pianura dauna, ed in parte sul leggero declivio che dalle stesse
colline discende verso la riva sinistra del Basso Fortore, da cui attualmente dista
non più di 4 Km.
In passato tale distanza molto probabilmente doveva essere inferiore,
in quanto il corso del fiume ha cambiato più volte il suo letto, rendendo
paludoso il fondo valle che è stato bonificato nei primi decenni del secolo con
la costruzione di un canale collettore delle acque piovane.
La stratigrafia geologica del sito presenta in superficie l'humus che ha
una potenza di 40-50 cm. nelle parti alte e di 80-90 cm. in fondo al declivio; a
questo segue uno strato di sabbione abbastanza coerente con uno spessore
medio di cm. 10, ricoperto a tratti da un velo di silicati localmente chiamato «
crusta »; per ultimo si rinviene un banco di sabbia argillosa marnosa,
quaternaria, di origine marina, che si alterna talvolta, soprattetto nella parte più
bassa del pendio, con una specie di conglomerati rossastri, sabbioso-argillosi, di
potenza variabile.
In questa zona, a ridosso della strada Comunale che porta alle
Contrade di S. Agata di Tremiti e di Civitamare, abbiamo individuato una vasta
area di grande interesse archeologico, a forma di rettangolo (mt. 1200 per mt.
700), disposta fra q. 133 e q. 114-70 s.l.m., con i lati più lunghi in direzione
S.E.-N.W., delimitati da due sorgenti attualmente attive anche in estate, le cui
acque, evidentemente più abbondanti nei millenni trascorsi, hanno formato
rispettivamente il vallone attraverso il quale scorre il Canale delle Fontanelle
nella parte meridionale ed il Vallone Sfondato, che ospita un rigagnolo, nella
parte settentrionale (Tav. 2).
__________
GRAVINA A., Note sul Neolitico in Agro di Serracapriola e Chieuti, Foggia 1974.
Insediamento neol. di Masseria Bivento (Chienti-FG), pag. 138, fig. 34.
2 GRAVINA A., op. cit. Insediamento neol. di Masseria Settimo di Grotte
(Serracapriola - FG), pag. 86, fig. 19.
3 GRAVINA A., Casino S. Matteo in Riv. sc. preist., XXXI, 1, 1976, Notiziario
pag. 316, Firenze.
1
221
Su tutta la superficie sopra descritta, ricognizioni superficiali effettuate
subito dopo lo « scasso » (che ha interessato prevalentemente la parte alta della
collina, essendo stato il terreno più a valle sottoposto ad arature profonde già negli
anni scorsi) hanno permesso di localizzare resti di abitati umani di varie epoche,
dalla preistoria alla età tardo-romana.
Le ceramiche più recenti possono attribuirsi molto probabilmente al basso
impero-alto medioevo, e sono state localizzate in un punto ben delimitato del
declivio (q. 105 s.l.m.), mentre reperti di epoca romana sono sparsi su una ristretta
zona più elevata; nelle immediate vicinanze è segnalata dall'Alvisi una strada
romana4.
Nella stessa zona, un pò più a monte, si sono rinvenuti altri resti di
materiale vascolare di cultura ellenistica, fra cui segnaliamo la ceramica tipo Egnathia
e quella nero-lucida.
Alcuni frammenti di olle del daunio geometrico sono stati notati qua e là,
senza che siano stati individuati dei punti di grande concentrazione. Gli
insediamenti più antichi documentano più fasi culturali del Neolitico.
Un villaggio a ceramica impressa (fase più antica) è individuabile in alcune
chiazze chiare - evidentissime fino a poco tempo fa per l'abbondante pietrame e
pezzi di « crusta » affioranti in superficie5 - che si distinguono sul terreno (tre si
notano nettamente a poca distanza l'una dall'altra nel raggio di mt. 150, mentre una
quarta si presenta poco nitida, un pò più distante dalle altre).
Queste macchie, da attribuirsi probabilmente alla presenza di capanne,
hanno forma circolare o subcircolare con un diametro medio che varia da mt. 30
circa a mt. 15 e sono ubicate su una specie di spianata che interrompe
impercettibilmente il lieve pendio della collinetta intorno a q. 105 s.l.m., all'altezza
cioè del luogo in cui abbiamo individuato i reperti del tardo romano e medioevali
accentrati all'estrema periferia Nord della superficie in questione.
I reperti assegnabili alle fasi più recenti, al contrario di quanto abbiamo
detto per quelli di altre epoche, interessano quasi tutta l'area rettangolare sopra
delimitata, con concentrazioni massime sia nella parte alta del declivio,
immediatamente sotto la zona romana ed ellenistica (dove è stato trovato il
maggior numero di rocchetti, frammenti vascolari e strumenti vari in selce ed
ossidiana), sia nella parte mediana, mentre vanno rarefacendosi nella zona terminale
del pendio compresa fra l'area occupata dalla capanne a ceramica impressa e q. 70
s.l.m.
L'improvviso decrescere dell'intensità dei rinvenimenti al di sotto di q. 114
potrebbe far pensare che l'insediamento in questione occupasse totalmente o
prevalentemente l'arca compresa fra q. 133 e q. 114, anche perché in questa
superficie il rilevamento effettuato ha messo in luce almeno sette punti di
fortissima concentrazione di frammenti, cor__________
4
5
ALVISI G., La viabilità romana della Daunia, Bari 1970.
RIDOLA D., La grotta dei pipistrelli e la grotta Funeraria, Matera 1912, pag. 37.
222
rispondenti evidentemente a siti assiduamente frequentati nell'intero arco di
tempo in cui le strutture del « villaggio » sono state usate.
C'è da rilevare inoltre che gli stessi siti erano interessati da altrettante
concentrazioni di pietrame costituito soprattutto da ciottoli di fiume
tondeggianti, talvolta piuttosto grandi, che in genere delimitavano superfici
subcircolari dal diametro massimo poco superiore ai dieci metri.
La presenza di frammenti fittili a quote inferiori potrebbe, invece,
giustificarsi tanto ipotizzando l'esistenza di capanne isolate quanto
presupponendo un fenomeno di fluitazione verificatosi nel corso dei millenni.
Se non fosse stata impellente l'urgenza di acquisire una
documentazione, la più vasta possibile, prima che il proprietario del terreno
disponesse la raccolta del pietrame e che la fresa completasse l'opera di
distruzione, rompendo e disperdendo i reperti delle varie superfici interessate
dal ciottolame, si sarebbero potuti ricavare dei dati molto importanti, che
avrebbero permesso di distinguere, con un attento esame della ceramica, le
strutture più recenti da quelle più antiche.
Nonostante l'impianto dell'insediamento sia stato scomposto e
cancellato nel giro di qualche giorno, riteniamo che i dati acquisiti siano
ugualmente interessanti in quanto mostrano che la frequenza umana in questo
luogo ha coperto l'arco di tempo che si distende dall'orizzonte culturale di Serra
d'Alto fino a quello di Diana-Bellavista. Non manca, inoltre, qualche reperto
che potrebbe riferirsi ad una cultura eneolitica o della prima età del Bronzo.
Poiché il nostro vuole essere soprattutto un rilievo di topografia
preistorica - in mancanza di scavi che ancora oggi potrebbero, in alcuni punti
della superficie descritta, portare alla luce preziosissimi elementi stratigrafici descriveremo le ceramiche facendo l'analisi tipologica dei frammenti più
significativi, al fine di presentare il maggior numero di elementi sull'aspetto
della facíes culturale che essi rappresentano.
Fra i reperti fittili dell'insediamento più recente illustreremo
prevalentemente le anse e le prese e, fra queste, solo quelle che mostrano una
qualità di impasto, o comunque una struttura chiaramente diversa da ogni altro
reperto già analizzato.
INSEDIAMENTO A CERAMICA IMPRESSA
La documentazione di questo insediamento comprende la ceramica raccolta
nelle strutture a contorno circolare o subcircolare e nelle loro immediate
vicinanze.
Essa è ridotta in frammenti minuti da cui è impossibile, nella maggior
parte dei casi, ricavare la forma originaria dei vasi, poiché proviene da un
terreno sconvolto dall'aratro negli anni scorsi.
Ci limiteremo, pertanto, a mettere in rilievo i soli dati tecnici che si
possono desumere dai pezzi.
Gli elementi attualmente in nostro possesso e l'assoluta mancanza
223
di figulina sia acroma che dipinta ci inducono ad assegnare i reperti in questione alla
facies del Guadone finale (Neol. II di Tiné), o al massimo alla prima fase del
Neolitico medio, così che questo insediamento va ad aggiungersi alla serie dei
villaggi a ceramica impressa che abbiamo individuato sulla riva sinistra del Basso
Fortore6.
Una caratteristica peculiare della ceramica di questo tipo è la lavorazione
dell'impasto, che in buona percentuale appare ricchissimo di frammenti di
conchigliette triturate, di cui, in alcuni casi, si possono distinguere nettamente le
impronte su qualche screpolatura delle superfici.
I vasi rappresentati, circa venti, sono di medie e piccole dimensioni.
Per lo stile e la tecnica di lavorazione i frammenti fittili di questa classe si
possono distinguere in quattro gruppi:
GRUPPO I. - Ceramica di impasto grezzo con superfici pareggiate, non di
rado piuttosto sommariamente, senza ornamenti o con decorazioni a brevi tacche
disposte in senso orizzontale, disordinatamente o regolarmente allineate, quando la
superficie della pasta era ancora molle;
GRUPPO II. - Ceramica d'impasto grezzo e semidepurato con superfici
pareggiate con accuratezza o lisciate con evidenti colpi di stecca, decorate con
impressioni o incisioni prodotte talvolta anche dopo la essiccatura del vaso. La
sintassi decorativa è molto elementare; i motivi più comuni sono: unghiate;
segmenti incisi profondamente o lievemente anche senza alcun ordine;
punzonature più o meno profonde di varia lunghezza e forma, disposte a gruppi di
due, molte volte senza alcun ordine; incisioni a stecca piuttosto lunghe e profonde;
impressioni: cardiali disposte a « dente di lupo »;
GRUPPO III. - Ceramica di impasto a superfici brunite; le decorazioni
sono eseguite con la tecnica « a tremolo » e « a rotella » sulle pareti già cotte. La
sintassi decorativa è generalmente formata da motivi geometrici;
GRUPPO IV. - Ceramica a superfici levigate e brunite con la superficie
interna (talvolta anche quella esterna) dipinta o ingubbiata in rosso. Uno di questi
frammenti presenta la sup. esterna decorata con la tecnica del gruppo III, mentre
un altro sembra avere una fascia di colore nerastro che corre sotto il bordo esterno.
Dei vari gruppi descriveremo solo alcuni reperti decorati o che comunque
presentino qualche peculiarità.
_________
6 Cfr. in GRAVINA A., op. cit., i villaggi di Masseria dell'Ischia, Masseria Bivento,
Località Macello di Serracapriola, Masseria Settimo di Grotte, Masseria Grotta Vecchia e
Contrada Tronco-sud.
224
GRUPPO I
Descrizione dei frammenti
1) Framm. di parete di vaso a corpo globulare (Tav. 3: 7) con ansa a
nastro (anello piatto); imp. abbastanza depurato, ricco di molti inclusi di vario
genere a struttura scagliosa facilmente sfaldabile e molto porosa, col marrone
chiaro; supp. pareggiate (quella int. quasi lisciata), porose, con impronte di
piccole conchiglie triturate, col. idem; decorazione a profondi segni rettilinei
impressi, di varia lunghezza, con ridondanze non ribattute, molto fitti, disposti
in senso orizzontale, ma disordinatamente sia sul corpo che sul nastro dell'ansa;
spess. della parete del vaso mm. 5-8; spess. del nastro mm. 5-7; diam. del corpo
del vaso cm. 35 ca.
2) Framm. di fondo di vaso quasi a pieduccio con attacco di parete
(Tav. 3: 11); imp. semidepurato compatto col. grigio antracite e marrone scuro;
supp. pareggiate molto rozzamente col. marrone mattone. La parte inferiore del
fondo presenta impressioni a graticcio prodotte probabilmente dalla stuoia su
cui è stato poggiato quando la ceramica era ancora molle. Diam. del fondo est.
cm. 10 ca.; spess. medio del fondo mm. 10; spess. della parete mm. 5.
3) Framm. di vaso (molto probabilmente si tratta dell'attacco di un
fondo); imp. semidepurato, col. marrone rosato, scaglioso, con qualche incluso;
sup. int. rozzamente pareggiata, col. idem, con un grosso pietrisco dell'impasto
emergente; sup. est. con le stesse caratteristiche tecniche di quella int., col.
grigio chiaro; decoraz. a profonde piccole tacche impresse con ridondanze
ribattutte e disposte orizzontalmente con un certo ordine; spess. della parete
del vaso mm. 10; spess. all'attacco del fondo mm. 26.
GRUPPO II
Descrizione dei frammenti
4) Framm. di vaso di imp. grigio scuro (margini chiari), semidepurato;
supp. pareggiate e alquanto porose, col. marrone mattone; decoraz. a piccole
unghiate non molto profonde e disposte disordinatamente; spess. mm. 9.
5) Framm. vascolare; imp. molto compatto, col. grigio antracite
(margine est. col. marrone cuoio scuro) con parecchi inclusi, fra cui alcune
valve di conchiglie tritate; sup. int. pareggiata, con molti inclusi emergenti col.
marrone scuro; sup. est. pareggiata con maggior accuratezza, col. marrone
chiaro; decoraz. a profonde unghiate impresse con un certo ordine lungo bande
obblique; spess. mm. 9-12.
6) Fram. vascolare; imp. scaglioso, friabile, col. marrone mattone; supp.
perfettamente lisciate (molto fluitate quella int.) col. marrone chiaro; decoraz. a
linee di varia lunghezza incise parallelamente; spess. mm. 9.
225
7) Fram. di parete di vaso (Tav. 3: 3); imp. compatto con molti inclusi di
vario genere, fra cui una valva di piccola conchiglia, molto poroso, col. nero
carbonioso; supp. lisciate, quasi brunite, col. grigio molto scuro quella est., e col.
grigio chiaro quella int.; decoraz. a linee sottili di varia lunghezza, leggermente
incise e senza alcun ordine; spess. mm. 10.
8) Fram. vascolare di imp. grigiastro-biondo; sup. int. perfettamente
lisciata, col. grigio scuro; sup. est. pareggiata, col. marrone biondo; decoraz. a
lunghi segni incisi parallelamente; spess. mm. 8.
9) Fram. vascolare; imp. semidepurato col. grigio molto scuro (margine est.
marrone); supp. pareggiate col. marrone-mattone; decoraz. a sottili linee molto
lunghe incise profondamente senza alcun ordine; spess. mm. 9.
10) Fram. di vaso; imp. marrone nerastro, scaglioso, molto poroso e ricco
di inclusi di varia natura, fra cui conchiglie tritate; supp. pareggiate ma screpolate,
col. grigio antracite; decoraz. a linee incise profondamente, parallele e disposte
lungo bande ben definite; spess. mm. 8-9.
11) Fram. di parete di vaso (Tav. 3: 6); imp. semidepurato con inclusioni di
pietrisco, poroso, col. grigio antracite; sup. est. pareggiata, molto porosa, con la
pellicola superficiale che si sfalda facilmente; sup. est. perfettamente lisciata, col.
marrone-mattone; decoraz. a profonde impressioni prodotte da un punzone
dentellato con ridondanze poco ribattute disposte disordinatamente; spess. mm. 10.
12) Fram. di parete di vaso (Tav. 3: 10); imp. molto compatto col.
marrone-mattone con qualche incluso di materiale siliceo; supp. perfettamente
lisciate, col. idem; decoraz. a profonde impressioni prodotte da un piccolo
punzone, a forma di unghia, dentellato sulla superficie ancora molle e disposte per
due, a volte in gruppi di tre in fila ed a volte disordinatamente; spess. mm. 9-11.
13) Fram. di parete di vaso (Tav. 3: 8); imp. nero carbonioso,
semidepurato; sup. int. col. marrone scuro, molto porosa e perfettamente lisciata;
sup. est. biondo-avano, perfettamente lisciata, con qualche incluso emergente;
decoraz. a profonde tacche di varia lunghezza disposte disordinatamente; spess.
mm. 7-16.
14) Fram. di parete di vaso; imp. col. grigio chiaro con molti inclusi di
vario genere, fra cui conchiglie tritate, alquanto poroso; supp. pareggiate col.
biondo; decoraz. a profonde lunghe linee incise, parallele, disposte con un certo
ordine; spess. mm. 8-11.
15) Fram. di vaso; imp. con molti inclusi di conchiglie frammentate,
scaglioso, col. marrone-mattone; supp. pareggiate, col. idem; decoraz. a profonde
piccole tacche impresse di varia lunghezza, con ridondanze ribattute, disposte
disordinatamente; spess. mm. 6.
16) Fram. vascolare; imp. semidepurato con grossi inclusi, col. nero
carbonioso (margine est. col. marrone mattone); supp. pareggiate, col. biondo
chiaro quella est.; decoraz. a profonde tacche impresse, spess. mm. 13.
226
17) Fram. di parete di vaso (Tav. 3: 2); imp. molto compatto col. nero
carbonioso (marrone il margine est.); supp. perfettamente lisciate, col. marrone
mattone; decoraz. sulle supp. est. a impressioni cardiali disposte su diverse file a
triangoli che, combaciando talvolta con i vertici, formano dei rombi. Le impressioni
poco profonde sembrano ripiene di una sostanza bianca; spess. min. 11-13.
18) Fram. di parete di vaso (Tav. 3: 5); imp. con grossi inclusi di pietrisco
tritato, col. nero carbonioso (marrone il margine est.); sup. int. lisciata, col idem;
sup. est. lisciata, col. marrone mattone; decoraz. con impressioni cardiali piuttosto
profonde disposte « a dente di lupo »; spess. mm. 8.
GRUPPO III
Descrizione dei frammenti
19) Fondo di vaso a pieduccio distinto con attacco di parete, leggermente
incavato nella parte inferiore, appartenente forse ad un vaso a corpo quasi
globulare (Tav. 3: 9); imp. nero carbonioso con qualche incluso; supp. brunite col.
giallino chiaro. Diam. del fondo cm. 11,5; spess. delle pareti mm. 6-8.
20) Fram. di parete di vaso panciuto regolarmente concavo (Tav. 3: 1);
imp. semidepurato molto compatto, col. grigio chiaro; supp. brunite, col. idem con
qualche poro; decoraz. lungo raggi che, convergenti verso un semicerchio, fanno
parte di un disegno più complesso non intuibile dall'esiguità di elementi fornitici dal
frammento; la tecnica è quella « a tremolo » con impressioni discretamente larghe e
profonde, eseguite sulla parete già cotta. Sul tremolo è stata incisa una linea meno
profonda, che normalmente corre sulla parte mediana delle impressioni; spess. mm.
7-9.
GRUPPO IV
Descrizione dei frammenti
21) Fram. di grosso vaso, probabilmente globulare; imp. molto depurato
con qualche incluso di pietrisco, col. marrone mattone; sup. int. pareggiata con
accuratezza, quasi lisciata, interamente rivestita di ocra rossa spalmata con la tecnica
della brunitura; sup. est. brunita col. mattone rosato, con chiazze rossicce; spess.
mm. 9.
22) Fram. vascolare di ceramica d'impasto abbastanza depurato. col.
tabacco; supp. brunite e dipinte con ocra rossa; spess. mm. 7.
23) Fram. di parete di vaso con orlo arrotondato; imp. col. biancogrigiastro, con parecchi pori; sup. int. lisciata, col. biondo perlaceo; sup. est. con le
stesse caratteristiche tecniche, dipinta con una fascia nerastra che corre lungo il
bordo immediatamente sotto l'orlo. Spess. mm. 7 all'orlo e mm. 11 a circa mm. 30
sotto l'orlo.
24) Fram. di parete di vaso (Tav. 3: 4); imp. depurato carbonioso
227
col nero, (margine int. col. marrone mattone); sup. int. brunita col. nero
antracite (una piccola parte del framm. conserva intatta l'ocra rossa spalmata
con la stessa tecnica della brunitura); sup. est. perfettamente lisciata, quasi
brunita, col. nero carbone; decoraz. con impressioni « a rotella » poco profonde
lungo linee disposte ad angolo acuto; spess. mm. 7.
Confronti con i villaggi della Daunia Settentrionale 7
Le caratteristiche morfologiche dei vasi, ove queste sono riconoscibili, la
sintassi delle decorazioni e le peculiarità tecniche dell'impasto dei frammenti
rinvenuti in questo insediamento non differiscono molto dalla varia tipologia
vascolare e dai fantasiosi motivi ornamentali, nonché dalle tecniche di
esecuzione dei manufatti che si riscontrano nei villaggi trincerati a ceramica
impressa della Daunia settentrionale inquadrabili nella facies culturale del
Gaudone.
Per quanto riguarda il fram. n. 1, dobbiamo notare che le anse a nastro
decorate più o meno fittamente sono abbastanza comuni nell'area da noi
considerata8.
Tra quelle reperite, ma non ancora pubblicate, con cui si possa fare un
certo confronto, si devono ricordare: la prima del villaggio a ceramica impressa
di Masseria Pagliari (Km. 4 ca. ad Ovest di San Severo - FG) che presenta un
largo nastro decorato con piccoli segmenti molto fitti, impressi poco
profondamente e disposti senza alcun ordine in senso orizzontale; la seconda
rinvenuta nel comprensorio neolitico di Coppa Pallante (a circa Km. 4 a S.W. di
San Severo -FG) a cui accenneremo in seguito9.
Queste località sono anche sedi di insediamenti neolitici a ceramica stile
Serra d'Alto e Diana-Bellavista.
________
7 Le località citate nei « Confronti con i villaggi della Daunia settentrionale », senza
ulteriori indicazioni delle fonti, sono state esplorate in parte dai Soci dell'Archeoclub di
San Severo e del Centro Studi Sanseveresi di Storia e Archeologia, alla cui opera
benemerita va il nostro più vivo ringraziamento.
La documentazione relativa alla maggior parte delle stesse località è depositata
nei locali della Biblioteca Comunale Antiquarium « A. Minuziano » di San Severo.
8 Oltre all'ansa del villaggio di Guadone, pubblicata dal TINE’ (cfr., La civ. neol.
nel Tavoliere della Daunia, in Civ. Preist. e Protost. della Daunia, Firenze, 1975; Tav. 21), altre
due interamente decorate con impressioni varie provengono dal villaggio di Masseria La
Quercia - I fase del Neol. medio del Tiné - (esposte nella vetrina relativa a questa
località nel Museo Civ. di Foggia). Fuori della Daunia si devono citare quelle di Lama
Marangia (cfr. GENIOLA A., L'insed. neol. di Lama Marangia presso Minervino Murge; fig.
12:1, 2), e - per un confronto molto significativo - si deve ricordare l'ansa di ceramica
impressa tipo Tremiti di OBRE I - Bosnia - (BENAC A., Qualche parallelo tra la Daunia e
la Bosnia durante il Neolitico; Tav. 40:3, in Civ. Preist. e Prot. della Daunia, Firenze, 1975).
9 GRAVINA A., op. cit., fig. 36. Questo fram., come il precedente, è stato
rinvenuto dal dott. R. Pasquandrea, il quale ha individuato, oltre alle due località citate,
anche quella di Masseria Pagliari e la grotta del Brigante nel Gargano.
228
CERAMICA DELL'INSEDIAMENTO NEOLITICO PIU’ RECENTE
L'esame della campionatura dei materiali ceramici raccolti ci ha fatto rilevare
che nell'insediamento di Casino S. Matteo-Chiantinelle sono rappresentate, anche
se con qualche lacuna, alcune fasi del Neolitico più recente col vasellame tipico
delle culture di Serra d'Alto, Diana e Bellavista (Neol. VI e VII di Tinè).
Non mancano, inoltre, elementi fittili che fanno pensare a tipologie di
cultura eneolitica o della prima età del bronzo.
Poiché non siamo in possesso di dati stratigrafici che sarebbero stati tanto
più preziosi quanto più eterogenei sono gli elementi a nostra disposizione,
descriveremo i reperti distinguendoli per gruppi, evidenziando le caratteristiche
morfologiche e tecniche sia delle ceramiche figuline o di tradizione figulina sia delle
ceramiche di impasto che abbiamo rinvenuto e raccolto per la documentazione.
Dal momento che queste non appartengono ad uno stesso contesto
culturale, ma rappresentano alcune tappe di quel graduale processo di
trasformazione che ha interessato i caratteri propri della morfologia vascolare dallo
stile Serra d'Alto a quello Diana e Bellavista, ne faremo una classificazione
tipologica, mettendo in rilievo tanto gli elementi peculiari delle diverse facies
culturali quanto le differenze strutturali e tecniche dell'impasto e dei vari
frammenti.
Pertanto classificheremo i reperti fittili in esame in quattro gruppi,
distinguendo nell'ambito di ciascuno varie classi.
I GRUPPO: Ceramiche stile Serra d'Alto
Questo comprende frammenti assegnabili all'orizzonte culturale di Serra
d'Alto e sarà suddiviso in due classi: la prima formata da ceramiche figuline o di
tradizione figulina; la seconda da ceramiche c.d. di impasto.
I Classe: Ceramica figulina tipo Serra d'Alto
Di questa classe presenteremo solo anse e frammenti caratteristici della
cultura Serra d'Alto.
Le forme individuate appartengono tutte a vasi di piccole dimensioni, fra cui
si notano due pissidi a corpo globulare schiacciato con bocca stretta e colletto
verticale (framm. n. 26 e n. 27, Tav. 7: 11, 10)10, una coppa, qualche ciotola. Le anse
a cartoccio (fram. n. 30, Tav. 7: 8), a nastro o cilindriche. Un solo frammento è
diponto con un motivo piutto_________
10 Le presine descritte nei framm. nn. 26 e 27 trovano confronto con quelle delle
ollette rinvenute nel corredo della tomba a cista litica in loc. S. Martino (Materano); cfr.
INGRAVALLO E. nel Catalogo de « il Museo Naz. Ridola di Matera » Tav. XX nn. 3, 4, 5,
pag. 67. GENIOLA A., in Archeologia e cultura della Comunità neol. di Cala Colombo», in corso di
stampa, V tipo della ceramica Serra d'Alto, fram. 4.
229
sto elementare: una serie di puntini in fila al centro di una banda marginata da due
sottili linee (fram. n. 25 Tav. 7: 12). Gli altri reperti, allo stato attuale, appaiono
acromi, anche perché la pellicola dell'ingubbiatura è molto facile a sfaldarsi, per cui
le superfici spesso si presentano abrase. L'argilla figulina è molto depurata e di
colore variante dall'avano chiaro giallognolo al verdolino, al giallo rosato, fino al
marrone mattone rosato chiaro.
Le superfici sono sempre ben rifinite e talvolta levigate perfettamente; il loro
colore non si differenzia sostanzialmente da quello dell'impasto.
Descrizione dei frammenti
25) Fram. di parete di coppa con bordo appena svasato ed orlo piatto sul cui
risvolto è applicata un'ansa « a cannone » di poco sopraelevata sul bordo,
leggermente insellata (Tav. 7: 12). La pasta è molto depurata, col. mattone rosato
molto chiaro. Supp. trattate con perfetta levigatura, quasi brunite, col. idem.
Decoraz. con una serie di puntini in fila di col. bruno lungo una banda, marginata
da due sottili linee dello stesso colore, che attraversa verticalmente la zona mediana
dell'ansa e prosegue sulla parete del vaso. Alcuni vuoti fra la sup. est. e l'ansa
testimoniano l'aggiunta di questa ultima quando la parete era in via di rifinitura.
Spess. medio del vaso mm. 6. Dimensioni dell'ansa: lungh. max. mm. 36; diam.
mm. 36-42.
26) Fram. di bordo ed orlo con ansa di una pisside a corpo sferico lenticolare
(Tav. 7: 11). Si nota un breve colletto, leggermente svasante, con risega interna alla
base del collo (per sostenere un coperchio?) avente un forellino verticale
(esornativo?, di sospensione?, per saldare il coperchio?). Una piccola ansa « a
cartoccio », forternente insellata - impostata fra il corpo ed il colletto su cui si
sopraeleva per oltre i 2/3 della sua altezza - presenta sulle facce laterali gli
involgimenti (non a spirale) del cartoccio, che appare ornato lungo l'insellatura con
lievi incisioni verticali parallele e con due fori che l'attraversano orizzontalmente10.
La pasta è molto depurata, col. marrone rosato charo. Supp. attualmente gessose,
perché abrase, ed acrome. Spess. del corpo mm. 3-4. Dimensioni del cartoccio:
lungh. mm. 32; largh. mm. 8; alt. mm. 12.
27) Fram. di bordo ed orlo con ansa di pisside a corpo sferico lenticolare
(Tav. 7: 10), portante un breve colletto verticale con risega interna, alquanto
ingrossata, alla base del collo. Non presenta i forellini, come il fram. n. 26. L'ansa un cartoccio molto stilizzato - è impostata sulla spalla a circa mm. 15 dal colletto ed è
formata da più cordoni a losanga sovrapposti a piramide e « bombati » nella parte
mediana, delimitati alle estremità da due semibottoni rilevati. La pasta è molto
depurata, col marrone rossiccio chiaro. Supp. abrase, gessose ed acrome, col. idem.
Spess. della pisside mm. 6-7. Dimensioni del cartoccio: largh. max. mm. 28; lungh.
max. mm. 35; alt. max mm. 16 10.
28) Frammento di probabile ciotola a corpo schiacciato e panciuto
230
con spigolo interno dell'orlo arrotondato ed ansa a rocchetto stilizzato ripieno,
quasi cilindrico, ridotto a presa, sulle cui facce laterali, tagliate di sbieco, è ancora
individuabile la spirale dell'accartocciamento. Al centro della spirale si nota un
piccolo incavo conico in sostituzione del foro orizzontale. L'ansa, che si ingrossa
verso le estremità, risulta aggiunta alla superficie esterna in fase di rifinitura e
sovrasta (per circa 2/3 della sua altezza) l'orlo da cui appare nettamente distinta da
un profondo solco inciso a crudo. La pasta è depurata e compatta, col. rosa-avano
con alcune piccole lenti di una sostanza rosso-sangue incluse ed altre emergenti
sulle supp. perfettamente lisciate dello stesso colore. Spess. medio del vaso mm. 7.
Dimensioni dell'ansa: lungh. mm. 40, largh. max. mm. 11; alt. media mm. 15.
29) Frammento vascolare con metà ansa molto elaborata, probabilmente a «
papillon ». Essa è costituita da tre cartocci sovrapposti a « piramide » e mostranti sulle
facce laterali altrettante volute con motivi spiraliformi ricorrenti, distinti da triangoli
ricavati ad intaglio. La pasta è molto depurata, gessosa, col. grigio chiaro rosato.
Supp. pareggiate, col. id. Spess. del vaso rnm. 7; spess. delle volute mm. 30; alt.
delle volute mm. 28.
30) Fram. di ansa a rocchetto pieno, fortemente insellato, molto elaborato,
eseguito con la tecnica del cartoccio multiplo (Tav. 7: 8). Consta infatti di tre cartocci,
di cui due più piccoli sono aderenti alla parete del vaso, mentre il terzo, che ha un
diametro leggermente più grande di quello dei primi due messi insieme, è
sovrapposto a questi ultimi. I cartocci sono distinti fra di loro e dalla parete da due
triangoli ricavati con un intaglio profondo; la faccia laterale dell'ansa presenta,
profondamente incisi a crudo, gli involgimenti spiraliformi stilizzati del cartoccio
grande da cui derivano quelli - pur essi spiraliformi - dei cartocci più piccoli.
Probabilmente il rocchetto apparteneva ad un'ansa a « papillon ». La pasta è
compatta, col. giallino rosato. Supp. perfettamente levigate, quasi brunite, col. idem.
Dimensioni della faccia laterale dell'ansa: largh. totale max. mm. 58; alt. max. mm.
38; diam. del cartoccio grande mm. 38; diam. del primo cartoccio piccolo mm. 19;
diam. del secondo cartoccio piccolo mm. 14.
Confronti con i villaggi della Daunia settentrionale
Nella Daunia settentrionale non vi è una larga casistica da confrontare col
fram. n. 25 di questa classe, poiché conosciamo solo due reperti di ceramica figulina
dipinta stile Serra d'Alto, provenienti entrambi dai dintorni di San Severo (FG),
dove sono stati localizzati i pochi villaggi noti di questa facies del Neolitico, gli
unici del genere che si conoscano fra la piana a Nord-Ovest di Foggia ed il fiume
Fortore.
Il primo reperto, inedito, è stato rinvenuto in località Pian Devoto (Km. 15 a
S.W di San Severo); esso presenta: pasta col. marrone rosato tenue, sup. int. col.
avano rosato chiaro e sup. est. lucidata, col. giallino perlaceo, decorata con due
bande marginate da linee brune, campite da
231
un « tremolo » dello stesso col., rozzamente eseguite, che si incontrano ad angolo
retto, verso cui converge anche una sottile fascia bruna curvilinea.
L'altro fram.9 è stato raccolto in località Coppa Pallante (San Severo - FG),
anch'essa sede, come la precedente, di uno dei tanti insediamenti a ceramica
impressa della zona.
La pasta è col. grigio chiaro, le supp. col. avano chiaro, quasi lucide; la
decoraz. sulla sup. est. mostra tre sottili linee brune « a tremolo », convergenti,
marginate da linee altrettanto sottili del medesimo colore. E’ questo un motivo
decorativo comune sulla ceramica Serra d'Alto11.
Della stessa località è un « cartoccio » a pasta figulina dalla forma inusitata,
in quanto, p
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Numero completo 1976 - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna