SOMMARIO
Anno X N° 9 (131) 30 settembre 2008
ISSN 1826-6371
1
FINANZIARIA
Scure del governo sulla minoranza
Forte appello per scongiurare i pesanti tagli
2
REGIONE
Ma dove si va senza specialità?
Il progetto del governo di revocare la specialità
delle regioni autonome
4
REGIONE
Gabrovec: preoccupa la proposta per i dialetti
7
TUTELA
Basta chiudere gli occhi
Mutual engagement ovvero isolarsi da una realtà
storica oggettiva
8
SLAVIA FRIULANA-BENE#IJA
Boris Pahor: c’è ancora chi nega
la cultura degli sloveni
Lo scrittore e la diatriba linguistica da Mussolini ad oggi
10
LA LETTERA
Per la lingua slovena gli esami non finiscono mai
12
TRIESTE-TRST
Aumentare l’integrazione e rimuovere le barriere
Presentato il programma per la cooperazione
transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013
14
ROMA-RIM
Bla¡ina: intervenga il ministro dell’Interno
L’appello della senatrice slovena sulle scritte che
deturpano il Triestino, soprattutto la zona del Carso
17
CULTURA
Per crescere e maturare «stati inu obstati»
Quest’anno si celebra il 500° anniversario
della nascita del riformatore sloveno Primo¡ Trubar
19
RESIA-REZIJA
La comunità mantenga vivo il resiano
A Prato di Resia il convegno su lingue minoritarie
e turismo
Conferenza stampa di Sso ed Skgz al Narodni dom di Trieste
FINANZIARIA
Scure del governo sulla minoranza
Forte appello alle forze politiche, alla Slovenia e all’Europa per scongiurare i pesanti tagli
l taglio annunciato dei contributi statali costituisce una
seria minaccia alla sopravvivenza della comunità slovena
in Italia. Di qui la necessità di un intervento deciso unitamente con la minoranza italiana in Istria e della ricerca
di un ampio appoggio in ambito regionale e nazionale,
anche all’interno della maggioranza al governo, con la preziosa alleanza della Slovenia. È quanto è emerso dalla conferenza stampa, indetta recentemente presso il Narodni
dom di Trieste dalle due organizzazioni slovene più rappresentative, l’Unione culturale economica slovena-Skgz
e la Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso, nel
corso della quale sono intervenuti i presidenti dello Sso,
Drago Œtoka, della Skgz, Rudi Pavœi@, la senatrice
Tamara Bla¡ina (Pd) e Damijan Terpin (Slovenska skupnost-Ssk).
È eloquente la bozza della legge finanziaria presentata alla
Camera dei deputati. Rispetto al programma del governo
Prodi, che per il triennio 2008-2010 prevedeva un contributo compreso tra 5.250.00 e 5.347.000 euro, il taglio previsto da questo governo è drastico. Il disegno di legge del
governo Berlusconi prevede, infatti, per il 2009 una copertura finanziaria di 4.250.000 euro; 4.050.000 euro per il 2010
e 3.120.000 euro per il 2011, vale a dire 2 milioni di euro
in meno in tre anni. A questo proposito Œtoka e Pavœi@
hanno asserito che a causa dell’inflazione l’importo dei
finanziamenti, rimasto invariato negli ultimi 15 anni, è ridotto per 50%.
Tamara Bla¡ina ha spiegato che la legge è conseguenza
del decreto 112, emesso dal ministro Giulio Tremonti, che
prevede un taglio generale della spesa pubblica. L’iter per
l’approvazione del disegno di legge summenzionato, che
sarà dapprima preso in esame dalle commissioni competenti nell’ambito della Camera dei deputati, ha subito qualche rallentamento a causa dei provvedimenti resi necessari dalla crisi finanziaria internazionale. La Bla¡ina ha, quindi, evidenziato che l’intenzione, già palesata nel corso della
scorsa estate, di operare dei tagli radicali dei finanziamenti
destinati all’editoria, al teatro e all’istruzione («l’inserimento
del mestro unico rappresenterebe un duro colpo per il sistema scolastico bilingue nella Slavia friulana») viene, quindi, perseguita da Tremonti, che mantiene così la sua promessa agli elettori. Per la comunità slovena un provvedimento simile, ha aggiunto la Bla¡ina, comporterebbe la
sopressione di diverse associazioni e di posti di lavoro,
soprattuto a danno dei giovani. Da qui la senatrice solleva la necessità di cercare alleati all’interno dei partiti della
maggioranza al governo e tra i parlamentari del Friuli
Venezia Giulia (anche per l’apporto di modifiche al testo
di legge). Nondimeno è importante l’intervento della
Slovenia.
Drago Œtoka ha sottolineato come il governo attuale, indifferente alle questioni che rigurdano le minoranze, adotta
con tutti le stesse misure «ignorando il contenuto dei trattati internazionali». Tra i provvedimenti estremi da adottare contro la finanziaria del governo Berlusconi, Œtoka ha
suggerito un’azione di protesta compatta a Bruxelles e l’intervento presso i forum europei, nonché un’azione con-
I
giunta con gli italiani in Istria, minacciati da una riduzione
dei finanziamenti per il 30%. A questo proposito Œtoka ha
particolarmente gradito la forte solidarietà, espressa verso
la comunità slovena dal presidente dell’Unione italiana,
Maurizio Tremul.
Secondo Pavœi@ si sta ripetendo quanto abbiamo già vissuto ai tempi del fascismo e della Gladio attraverso una
legge che, se approvata, spezzerebbe la spina dorsale alla
comunità slovena, impoverirebbe il suo potenziale intellettuale e ne demotiverebbe lo sviluppo anche sul piano
economico. A questo proposito Pavœi@ individua nella
Slovenia l’unica carta da giocare, dal momento che l’opposizione italiana è debole e viste le considerazioni (sfavorevoli) espresse a suo tempo dal presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano.
Pavœi@ e Œtoka si stanno preparando all’imminente visita
a Roma, dove saranno ricevuti dal sottosegretario al ministero all’Interno, Francesco Nitto Palma. Nell’occasione vorrebbero essere ricevuti anche dal ministro degli Esteri,
Franco Frattini, che li ha recentemente invitati a colloquio.
In caso di sua assenza, Pavœi@ e Œtoka incontreranno il suo
collaboratore. Nel frattempo i presidenti di Skgz ed Sso
hanno già scritto al ministro degli Esteri sloveno, Dimitrij
Rupel, al presidente della Slovenia, Danilo Türk, al premier
sloveno uscente Janez Janœa e ai rappresentanti del governo italiano.
«Una dichiarazione di guerra alla minoranza slovena», con
queste parole il segretario della Slovenska skupnost (l’unico partito sloveno in Italia, ndt.), Damijan Terpin, ha giudicato i provvedimenti del governo italiano. Concorde con
la neccessità di cercare il più ampio appoggio possibile,
ha detto che la minoranza slovena può contare sul sostegno, nel gruppo misto presso il parlamento italiano, del
deputato del Sud Tirolo Siegfried Brugger (Svp), già in passato convinto sostenitore degli sloveni. (…)
A.F.
(Primorski dnevnik, 12. 10. 2008)
IL COMMENTO
La crisi finanziaria come pretesto e alibi
Nel corso della conferenza tenuta recentemente dalla Skgz
ed Sso, con la partecipazione della senatrice Bla¡ina, è circolata anche la voce che dietro la proposta di un drastico
taglio dei finanziamenti alla minoranza slovena ci sarebbe anche lo zampino dei politici regionali. Non sappiamo
se sia vero, ma sta di fatto che i fattori locali hanno avuto
sempre un peso determinante sui provvedimenti che riguardano la nostra comunità slovena. E questo nel bene e nel
male. Significative, a questo proposito, le affermazioni
espresse da politici importanti, convinti che non ci sarebbe stata alcuna legge di tutela finché persisteva la ferma
opposizione del sindaco di Trieste.
La legge di tutela, frutto di compromessi ed espressione
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 1
della situazione politica di allora, è stata approvata, infatti, ai tempi in cui Illy era sindaco di Trieste. Ora è il momento della sua applicazione, a favore della quale si sono
espressi (a parole) i più alti rappresentanti a livello locale
e regionale. Ma a tutti è chiaro che, senza copertura finanziaria, è impossibile attuare i paragrafi contenuti nella legge.
Per questo motivo sarebbe necessario che in difesa della
minoranza slovena e dei finanziamenti (che le sono di vitale importanza mentre, invece, per il bilancio nazionale sono
una bazzecola) facessero sentire la loro voce i maggiori
esponenti istituzionali in regione, quali il suo presidente, e
i sindaci di Trieste, Gorizia e Udine. Sarà interessante vedere se riusciremo ad ottenere tanto, dal momento che non
è minacciatia solo la minoranza, ma anche il tesoro, il valore aggiunto, la ricchezza della nostra comunità multiculturale, la convivenza sul territorio tra tre culture europee.
E, non da ultimo, non si faccia passare il taglio dei finanziamenti alla minoranza come conseguenza della crisi finanziaria globale, con la quale non ha alcun legame. Sarebbe
una scusa, un alibi attraverso il quale venire meno, per l’ennesima volta, alla parola data.
Duœan Udovi@
(Primorski dnevnik, 12. 10. 2008)
REGIONE
Ma dove si va senza specialità?
Il progetto del governo di revocare la specialità
delle regioni autonome
Dunque, non era una boutade quella del ministro della
Funzione pubblica, Renato Brunetta, che lo scorso giugno
annunciava a Pordenone la revoca della specialità al FriuliVenezia Giulia e alle altre regioni e province autonome. Il
Governo ci sta pensando sul serio. Lo ha affermato lo stesso premier, Silvio Berlusconi, lunedì 15 settembre in televisione. «Se ha senso mantenere le regioni a statuto speciale con l’avvento del federalismo fiscale? Non abbiamo
ancora portato sul tavolo la questione delle regioni a statuto speciale, ma è una questione sulla quale ci dovremmo intrattenere», sono state le parole del presidente del
Consiglio.
Da Udine, dove era in visita, il ministro degli Esteri, Franco
Frattini, si è affrettato a precisare.
Il presidente della Regione, Renzo Tondo, ha tuonato:
«Siamo interessati e aperti al confronto con il Governo sul
progetto federalista, ma la specialità del Friuli-Venezia Giulia
non si tocca». Reazioni forti. Ma Berlusconi nel Popolo della
libertà e nel centrodestra è il capo assoluto. Si fa quello
che dice lui e basta. Ci sarà magari dialettica a livello locale nel neo- nato Pdl, ma a Roma decide solo il Cavaliere.
C’è, allora, di che preoccuparsi. Nei suoi 45 anni di storia
la nostra autonomia, così faticosamente conquistata e nemmeno completamente realizzata, mai aveva subito un attacco del genere. Anche se l'assedio a regioni e province a
statuto speciale non è da imputare solo all'attuale maggioranza politica. Le prime ostilità datano dalla bicamerale presieduta da Massimo D’Alema e sono ancora vive le
bordate dell'ultimo governo di Romano Prodi, lo scorso
autunno, contro il nuovo testo di statuto approvato dal
Consiglio regionale e trasmesso al Parlamento.
Ora, tuttavia, l'allarme è davvero rosso. Si vogliono, infatti, buttare a mare le specialità nel nome di un federalismo
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che tale non è, in quanto federalismo è per definizione un
patto tra due soggetti – Stato centrale ed entità locale –
dotati entrambi di una quota di sovranità. E in Italia il centro neppure si sogna di riconoscere una qualche sovranità
alle regioni. Anzi, è impegnato – per il momento solo a parole – a cancellare le autonomie esistenti.
Si discorre tanto, infatti, soltanto dell’aspetto economico;del
cosiddetto «federalismo fiscale» – cioè di tasse, imposte
e simili – quando l’autonomia speciale è data in primo luogo
dall’identità di una regione. Lo ha riconosciuto lo stesso
Frattini. «Se l’autonomia speciale – ha evidenziato – si interpreta come un privilegio e non la si àncora e radica a delle
ragioni di tipo storico, culturale, geografico, territoriale, allora certamente vi sono degli aspetti che non hanno più una
giustificazione storica».
E poi, cosa ci farebbe senza specialità il Friuli-Venezia
Giulia in un’euroregione as- sieme allo stato sovrano della
Slovenia,al land federale austriaco Carinzia,magari al libero stato Baviera e a colossi economici come Veneto o
Lombardia? Di certo finirebbe stritolato. La nostra autonomia va difesa con le unghie, allora.Così come con le
unghie è stata conquistata dopo la seconda guerra mondiale.
Il problema sta nel fatto che l’attuale classe dirigente friulana non pare aver voglia di gettarsi con convinzione nella
battaglia e non sembra nemmeno di disporre degli strumenti
politici e culturali necessari ad uscirne vittoriosa.
Un esempio? Nei giorni scorsi la maggioranza di centrodestra ha depositato in Consiglio regionale un disegno di
legge per la tutela dei dialetti, tra i quali il friulano-goriziano, il veneto-udinese, il resiano, il po nasen e il natisoniano. Una vera corbelleria dal punto di vista scientifico che,
passasse, banalizzerebbe la convivenza sul territorio di
diverse lingue e culture, l’asso di briscola per l’istituzione
della Regione autonoma e, ora, per il mantenimento della
specialità.
Ezio Gosgnach
(la Vita Cattolica, 20. 9. 2008)
REGIONE
La legge sui dialetti non è nell’agenda
Una scelta di realpolitik dopo gli incontri
Frattini - Rupel e Tondo - Œuœmelj
Una legge di tutela per i dialetti «resiano», «natisoniano»,
«po nasen»? Non è nell'agenda delle priorità della
Regione. Parola del governatore Renzo Tondo. «Credo che
il Consiglio regionale, pressato, come me, da altre priorità,
non affronterà in tempi brevi il problema delle tutele linguistiche», sono le sue testuali parole. Ma non è l'abominio scientifico e culturale della proposta di legge di sei consiglieri della sua stessa maggioranza a far tirare il freno al
presidente del Friuli Venezia Giulia. Sono state, invece,
ragioni di realpolitik.
Non ci sono dubbi in proposito. Lo stop ai provvedimenti
per i dialetti – quali siano nell’articolato della proposta Pdl,
Udc e Pensionati non è dato di sapere, mentre la proposta della Lega è per gli idiomi veneti – è dovuto al tentativo dei consiglieri del centrodestra di far uscire subdolamente
le parlate delle valli del Natisone, del Torre e di Resia dal
novero della lingua slovena e delle leggi di tutela statale
e regionale. L’azione politica e culturale delle organizza-
zioni slovene è stata forte. Anche Lubiana ha recepito l'allarme se ambienti della stessa presidenza del Governo
hanno parlato di «disegno per assimilare gli sloveni della
provincia di Udine», se ne ha parlato il ministro degli Esteri,
Dimitrij Rupel, nel vertice di Roma con l’omologo italiano,
Franco Frattini, se il console sloveno a Trieste, Jo¡e
Œuœmelj, è stato mandato a chiedere chiarimenti a Tondo.
Il messaggio è stato forte e chiaro: la Slovenia non accetterà mai la discriminazione degli sloveni del Friuli. E questo è e sarà un punto fermo dei governi di qualsiasi colore politico. In caso contrario, elementi dell'estrema destra
minacciano addirittura di applicare il «principio di reciprocità», presentando disegni legislativi volti a disconoscere
la minoranza italiana nella vicina Repubblica, qualificandola come «paleoveneta».
Il governatore della nostra Regione, che di esperienza e
fiuto politico ne ha da vendere, ha colto il disappunto di
Lubiana e ha bloccato il maldestro disegno di parte dei suoi
finiti vittima delle suggestioni linguistiche isolazioniste degli
ambienti «veteroslavisti» nostrani. La diplomatica espressione: abbiamo «altre priorità», pronunciata davanti al console generale sloveno, ha tutto il sapore di un impegno preciso di rinviare la questione alle calende greche. I rapporti con la Slovenia, l’euroregione, le intese energetiche, le
reti viarie, i rapporti economici in generale per Tondo hanno
ben altro peso delle bizzarre teorie linguistiche degli «italianissimi» della Slavia e di Resia. E poi, in proposito, qualcosa non quadra nella stessa maggioranza regionale se il
capogruppo dell'Udc, Edoardo Sasco, il giorno stesso in
cui è stata presentata la proposta di legge – firmata anche
dal consigliere centrista Giorgio Venier Romano – si è sentito in dovere di prendere carta e penna per evidenziare
«grosse perplessità» sull'insegnamento del dialetto e a
affermare che nella scuole devono entrare «obbligatoriamente solamente le lingue ufficiali». In tutta la vicenda, quindi, la figura più magra la rimedia il consigliere regionale cividalese targato Pdl, Roberto Novelli, quando dichiara: «Con
questo provvedimento si vuole riconoscere la piena
dignità culturale di dialetti come il natisoniano o il resiano
che hanno una propria identità e ingiustamente sono collocati nelle leggi di tutela della lingua slovena».
Va certamente riconosciuto coraggio a chi, con in tasca un
diploma in agraria e alle spalle una brillante carriera di
gestione di scuole guida, osa sfidare nel campo linguistico professori e slavisti di fama italiana e mondiale. Anche
se, prima di farlo, secondo logica, avrebbe dovuto almeno domandarsi di che lingua sono dialetti «natisoniano» e
«resiano».
Resta, comunque, positiva la proposta di stanziare 500 mila
euro l’anno per la promozione dei dialetti. Fondi aggiuntivi rappresenterebbero una salutare boccata d'ossigeno per
i giornali come Dom, Novi Matajur e Naœ glas, la compagnia dialettale Beneœko gledaliœ@e, i cori e tutti i circoli che
in provincia di Udine lavorano concretamente, da anni giorno dopo giorno, tra mille difficoltà per la salvaguardia dei
dialetti sloveni che si parlano nella Slavia e a Resia.
M. K.
(Dom, 30. 9. 2008)
La Cooperativa Most
pubblica anche il quindicinale bilingue Dom.
Copie omaggio sono disponibili
allo 0432 700896
REGIONE
Se non ci fossero quei preamboli…
I contenuti dei disegni di legge sui dialetti
Dall’esame delle proposte di legge di Pdl e Lega Nord emerge che non si trova traccia della tutela dei dialetti sloveni
della provincia di Udine o, perlomeno, non vengono essi
citati e trattati separatamente come idiomi autoctoni e sradicati dall’area linguistica slovena alla quale appartengono come stabilito dagli slavisti italiani. In attesa di conoscere la proposta concordata tra Pdl e Lega, vediamo alcuni punti contenuti nei ddl presentati dai due partiti della maggioranza regionale.
La proposta targata Pdl al primo articolo stabilisce che «La
Regione Friuli Venezia Giulia, in attuazione dello Statuto
di autonomia e delle finalità in materia di promozione del
patrimonio storico e culturale del proprio territorio, tutela,valorizza e promuove i dialetti locali nella loro espressione orale e nel loro utilizzo letterario, presenti e riconoscibili in porzioni del territorio regionale, coincidenti o meno
con le suddivisioni amministrative subregionali». La
Regione, si legge nell’art. 2, c. 2, riconosce queste parlate su richiesta dei comuni «previa loro deliberazione, congruamente motivata, assunta a maggioranza dei due terzi
dei consiglieri comunali assegnati» e al c. 3 si sottolinea
che la Regione considera «la tutela, la valorizzazione e la
promozione del patrimonio linguistico e culturale regionale una questione centrale per lo sviluppo dell'autonomia
regionale». Interessante per la Slavia friulana il riconoscimento dell’utilità dei dialetti parlati «nei territori frontalieri»
nel «dialogo tra i cittadini di diverse nazionalità».
La Regione, si legge all’art 4, c. 2, «promuove, anche in
collaborazione con gli atenei della Regione e con qualificati istituti e centri culturali pubblici e privati, la ricerca scientifica sull'originale patrimonio linguistico del Friuli Venezia
Giulia». Una proposta positiva che metterà fine ai ricorrenti
strafalcioni linguistici nei quali molti politici inciampano quando trattano dei dialetti sloveni della provincia di Udine. Un
suggerimento: detta ricerca può essere attuata dalla
Regione anche in assenza della legge.
La proposta della Lega Nord già nel titolo «Tutela, valorizzazione e promozione degli idiomi dialettali storici veneti del Friuli Venezia Giulia» si riferisce in particolare ai dialetti veneti che si parlano in regione, visti quale «componente essenziale» dell’identità «culturale, sociale, storica
e civile» della Regione (art. 1). C’è anche un accenno alla
lingua slovena e ai suoi dialetti all’articolo 2 che recita: «La
Regione Friuli Venezia Giulia considera la tutela, la valorizzazione e la promozione degli idiomi di tipo veneto presenti in regione – assieme a quella della lingua friulana,
slovena e tedesca con le loro rispettive varianti – di fondamentale importanza per preservare e far conoscere alle
future generazioni la straordinaria ricchezza linguistica e
culturale che caratterizza da sempre questi territori costituendone peculiarità speciale ed identitaria».
Anche la proposta della Lega Nord inserisce la tutela dei
dialetti nel contesto europeo e sottolinea che la Regione
«riconoscendo che la tutela e la promozione delle varie lingue e dialetti locali o minoritari rappresentano un contributo importante alla costruzione di un’Europa fondata sui
principi della democrazia e del rispetto per le diversità culturali, mantiene e sviluppa le tradizioni presenti sul terriSLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 3
torio». Visti così, gli articolati delle proposte di legge potrebbero essere anche positivi se nei preamboli non ci fosse
il veleno, alimentato dalla non conoscenza della problematica, della volontà di tagliare le radici slovene dei dialetti della Slavia che li precipiterebbe in un mortale anonimato.
(Dom, 30. 9. 2008)
REGIONE
Gabrovec: preoccupa la proposta
per i dialetti
Il Pdl, l’Udc e il Partito Pensionati hanno presentato in questi giorni una proposta di legge che andrebbe, secondo i
proponenti, a valorizzare i dialetti e le parlate locali del Friuli
Venezia Giulia. Se questo può almeno in parte essere condivisibile nel caso dei vari dialetti quali sono ad esempio il
triestino o l'istroveneto, lo stesso non si può dire quando
il centrodestra si propone di negare la matrice slovena dei
dialetti della Resia, della Val Canale, Val Torre e Val
Natisone, queste ultime denominate Slavia Veneta o, forse
più propriamente, Benecia. In questo senso è perciò condivisibile lo spirito che enzima la parallela proposta di legge
della Lega Nord, che va ad ampliare la tutela delle specificità linguistico-culturali senza intaccare le lingue e le identità autonome – il friulano, lo sloveno e il tedesco – già tutelata dalla vigente legislazione. Il giudizio viene espresso,
in una nota, dal consigliere regionale del Pd, Igor
Gabrovec, che trova la condivisione del segretario regionale della Slovenska skupnost Damjan Terpin.
La chiara intenzione di voler negare a tutti i costi e con qualsivoglia mezzo la matrice culturale e linguistica di quell’area sembra quasi riprendere con forza ciò che si proponeva il fascismo e, per tutto il dopoguerra, parte della destra
ed è un ulteriore tentativo di separare la componente slovena udinese da quella triestino-goriziana per indebolirla
complessivamente.
Ma, limitando il campo all'aspetto prettamente culturale –
così ancora Gabrovec – una delle mistificazioni utilizzate
a questo scopo è quella linguistica. Si tenta di attribuire ai
dialetti resiano, del Torre e del Natisone un'originalità tale
che giustifichi una separazione radicale dallo sloveno e che
congeli così il loro limite dialettale, impedendone la rivitalizzazione e il collegamento alla lingua standard slovena.
Accentuando ciò che in questi dialetti sembra estraneo alla
matrice slovena e negando le similitudini, si arriva ad affermare che il resiano discende direttamente dal russo, che
il dialetto delle valli del Torre deriva dal croato e che tutte
le varianti sono parte di un protoslavo non meglio definito.
Si può dimostrare invece che nel territorio della Benecia
(o Slavia Veneta) c’è stata un'evoluzione linguistica abbastanza omogenea a quella dello sloveno comune. Il dialetto delle valli ha seguito l'evoluzione di tutti gli altri dialetti sloveni (che sono una cinquantina), risentendo naturalmente delle circostanze e delle condizioni particolari del
suo sviluppo: la separazione geo-politica dal vasto entroterra prettamente sloveno, che ebbe inizio già nel 1866 con
l'annessione al Regno d'Italia – a differenza di Trieste e
Gorizia che fino al 1918 hanno fatto parte dell'impero
Asburgico. La separazione avvenne nel periodo più vitale
della strutturazione nazionale moderna slovena e solo tre
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anni prima dell'introduzione da parte austriaca della lingua
materna nella scuola elementare, obbligatoria per 8 anni.
Tale isolamento è stato poi comunque accentuato negli
effetti da una chiara politica di assimilazione.
Un'ulteriore prova della partecipazione della Slavia Veneta
alla formazione della lingua letteraria slovena si ha in due
tra i più antichi documenti della lingua slovena. Sono il
manoscritto di Cividale, tratto dal libro della Confraternita
di Santa Maria di Cergneu presso Nimis, del 1497, e del
manoscritto di Castelmonte databile tra il 1492 e il 1498.
Data la mancanza di altre forme di aggregazione sociale
proprie nell'età moderna, il contributo più cospicuo alla produzione linguistica slovena nella Slavia Veneta fu dato dalla
Chiesa: raccolte di prediche dal secolo XVIII, centinaia di
abbonati alle pubblicazioni slovene di carattere religioso,
una serie di catechismi stampati nei dialetti locali già dalla
fine dell'800.
Le recenti leggi regionali sul friulano e sullo sloveno hanno
fatto un buon lavoro – conclude Gabrovec – e lo stesso si
può dire per le leggi nazionali 482/99 e 38/01, volute e
approvate dal centro-sinistra. Grazie alla legge regionale
di tutela dello sloveno i Comuni delle valli potranno contare su 100.000 euro per la promozione dei dialetti sloveni locali, compreso il resiano, mentre la proposta di legge
presentata in questi giorni dal centro-destra è fonte di grande preoccupazione.
(www.regione.fvg.it)
TRIESTE - TRST
Si vuole togliere la reale identità slovena
I presidenti di Sso e Skgz incontrano il console sloveno
La proposta di legge sulla «Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico dialettale e culturale del
Friuli Venezia Giulia» è stato l’argomento discusso nel corso
del recente incontro tra i presidenti dell’Unione culturale economica slovena-Skgz, Rudi Pavœi@, e della Confederazione
delle organizzazioni slovene-Sso, Drago Œtoka, e il console sloveno a Trieste, Jo¡e Œuœmelj.
Nell’occasione Pavœi@ e Œtoka hanno sottolineato con preoccupazione come il preambolo della proposta di legge sia
rivolta contro e sia di fatto incompatibile con i principi contemplati dalle leggi nazionali 482/99 e 38/2001 di tutela della
minoranza linguistica slovena in Friuli Venezia Gulia, e dalla
legge regionale, che estende la tutela degli sloveni a tutto
il territorio regionale, inclusa la provincia di Udine.
Secondo i presidenti di Sso ed Skgz attraverso la proposta di legge i depositari intendono, di fatto, negare la storica presenza degli sloveni in provincia di Udine, screditarne la reale identità slovena e separali dalla comunità slovena, presente sul territorio regionale.
(Primorski dnevnik, 19. 9. 2008)
LE REAZIONI
Skgz: chi è il regista dietro le quinte?
L’Unione culturale economica slovena-Skgz condanna radicalmente il contenuto e lo spirito della proposta di legge
dal titolo «Tutela, valorizzazione e promozione del patri-
monio linguistico dialettale e culturale del Friuli Venezia
Giulia», che è stata recentemente presentata dai consiglieri
regionali Piero Camber, Daniele Galasso, Roberto Novelli,
Antonio Pedicini e Gaetano Valenti del Pdl, Giorgio Venier
Romano dell'Udc (sostituito dal capogruppo Edoardo Sasco
in conferenza stampa) e Luigi Ferone del Partito dei pensionati. Il nocciolo della legge l’ha espresso Camper nel
dire che la proposta «non vuole contrapporsi alla legge sul
friulano, ma vuole garantire la giusta tutela anche ad altre
realtà linguistiche come ad esempio il triestino, l’istro-veneto, il friulano-goriziano, il bisiacco, il grasian, il veneto-udinese, il resiano, il po nasen e il natisoniano».
Più esplicito il consigliere di Cividale, Roberto Novelli, quando afferma che «con questa proposta di legge si vuole riconoscere la piena dignità culturale di dialetti come il natisoniano o il resiano, che hanno una propria identità e ingiustamente sono collocati nelle leggi di tutela della lingua slovena essendo privati, nei fatti, della propria specificità e radice storica. Queste comunità, infatti, non si sentono slovene, ma italiane a tutti gli effetti e chiedono da tempo una
legge che riconosca la loro specialità linguistica».
Una legge di tutela per ogni lingua dialettale è quantomai
insolita, visto il gran numero di dialetti esistenti in Italia, come
anche in Slovenia. La succitata legge mira, dunque, a screditare l’esistenza storica nella provincia di Udine della comunità slovena. Non è un caso, infatti, se questa legge è strettamente legata ai tentativi di annullare gli effetti della legge
quadro per le comunità linguistiche 482/99.
Con queste proposte il centrodestra conferma le sue posizioni antislovene. E lo fa in un contesto storico caratterizzato dalla caduta del confine tra Italia e Slovenia, dall’adozione dell’euro da parte della Slovenia che, entrata a fare
parte dell’Unione Europea, ne ha assunto la presidenza per
un semestre. Una svolta storica che, evidentemente, nulla
può contro i sentimenti antisloveni retaggio dell’irredentismo, del fascismo e della politica antislovena perpetrata
da organizzazioni segrete quali la Gladio ed altre. Le stesse posizioni vengono ora espresse in forma più mite e
nascondono la loro vera natura dietro la necessità di tutelare i dialetti e presunti tali.
La stessa formulazione della proposta di legge è espressamente apolitica e senza alcun fondamento scientifico oltre
a non tenere conto del fatto che alcuni consigli comunali
della Slavia friulana hanno aderito al territorio di tutela della
minoranza slovena. Crediamo che tutto questo sia il frutto di una chiara regia politica, diversamente risultano difficilmente comprensibili alcune prese di posizione che,
accanto alla legge regionale per i dialetti della Slavia friulana, minano i fondamenti dell’esistenza e dello sviluppo
della comunità slovena nella provincia di Udine.
Un fatto questo che stona con l’esito incoraggiante del
recente incontro tra i ministri degli Esteri italiano Franco
Frattini e sloveno Dimitrij Rupel. Con il pretesto di sostenere i dialetti locali si vuole in sostanza sopprimere l’uso
della lingua slovena da parte della popolazione nelle Valli
del Natisone, del Torre e in Resia. E questo nonostante
due leggi nazionali e regionali, che attestano chiaramente l’esistenza di una comunità nazionale slovena nella provincia di Udine.
Queste proposte di legge affiorano in un momento in cui
la scuola bilingue di San Pietro al Natisone sta diventando asse portante della consapevolezza linguistica tra i giovani della Slavia friulana. E alla scuola di San Pietro è rivolta la nostra attenzione e preoccupazione per il suo futuro
sviluppo, minacciato dalla riforma Gelmini che ne mette a
rischio il modello di insegnamento bilingue.
Tutto questo accade nel terzo millennio, in un’epoca segnata dalla caduta dei confini e dal processo d’integrazione
europea e in un Paese democratico.
(Primorski dnevnik, 17. 9. 2008)
Slovenska skupnost: questo è già fascismo!
La proposta di legge presentata da un gruppo di consiglieri
regionali, dietro il pretesto di riconoscere e promuovere i
dialetti, di fatto mira a negare la presenza della comunità
slovena nella Slavia friulana e alla sua esclusione da
entrambe le leggi di tutela. È quanto affermano in una
dichiarazione il consigliere regionale e il segretario del partito sloveno Slovenska skupnost, Igor Gabrovec e Damijan
Terpin. «Si tratta di un’iniziativa di impronta dichiaratamente
fascista, ad imitazione di innumerevoli tentativi in questo
senso perpetrati a danno degli sloveni della Slavia friulana all’epoca della dittatura di Mussolini e nel dopoguerra».
La Slovenska skupnost si appella, dunque, a quanti credono nei principi di uno Stato democratico per una ferma
opposizione alla legge proposta.
Diverso è, invece, il contenuto del decreto legge regionale proposto dalla Lega nord, che chiede la valorizzazione
di diversi dialetti sul modello delle già riconosciute comunità culturali-linguistiche friulana, slovena e tedesca. Si
auspica che la Lega nord persista su queste posizioni.
Senza la Lega nord la destra antislovena ed antieuropea
non ha i numeri per approvare una legge, che influirebbe
negativamente sulla convivenza, sullo sviluppo culturale
della nostra regione e sulle dinamiche della cooperazione
transfrontaliera e dell’integrazione.
(Primorski dnevnik, 17. 9. 2008)
IL COMMENTO
Una legge regionale dettata
da ragioni politiche
Il presidente del teatro dialettale di Trieste, Armonia, che
ha raccolto 6000 firma in difesa del dialetto triestino, ha agito
sicuramente in buona fede. Non possiamo dire lo stesso
per i firmatari della proposta di legge regionale, attraverso la quale si distingue i dialetti sloveni parlati nella provincia di Udine dalla minoranza e dalla lingua slovena. Se
è giusto che, entro certi limiti, un ente pubblico tuteli anche
le parlate locali, va detto che l’intento della legge, che ieri
(15.9.08, ndt.) è stata presentata in consiglio regionale),
supera di gran lunga questi limiti.
Non ci riferiamo al dialetto triestino o istro-veneto, ma all’intento di tutelare il resiano, il nadi?ko e i dialetti «po na?en»,
che in realtà ci sembra poco chiaro. Ma questo non è importante. Sono, invece, chiare le finalità di questa proposta,
che trincerandosi dietro il pretesto della tutela dei dialetti
locali, intende minare, sul piano linguistico e nazionale, la
comunità nazionale slovena.
Un tentativo questo che in passato vanta numerose imitazioni. Basti ricordare tutte le manovre e i raggiri fatti attorno alla legge regionale per la tutela degli sloveni, per non
parlare della manifestazione che i «patriottici» di Resia
hanno inscenato per più giorni davanti alla sede del
Consiglio regionale a Trieste. Abbiamo sentito di tutto menSLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 5
tre la discussione della legge era in corso: dalle dispute
linguistiche di «esperti» al ruolo dell’organizzazione paramilitare Gladio nella Slavia friulana.
Ma allora era al governo Riccardo Illy, mentre oggi la regione è guidata dal centrodestra che, avvalendosi della logica dei numeri e del rapporto di forze, fa ciò che vuole. Forse
troveremo qualcuno nella maggioranza disposto a far notare l’assoluta scorrettezza di simili atteggiamenti.
Sandor Tence
(Primorski dnevnik, 16. 9. 2008)
IL COMMENTO
Dietro la legge sui dialetti
un attacco ad un Friuli unito
I modi con cui i popoli si esprimono hanno nelle lingue e
nei dialetti la loro massima espressione. Oggi nel mondo
sono milioni le parole, i vocaboli che vengono cancellate,
con l'estinzione dei loro protagonisti. Un vero e proprio etnocidio culturale, descritto magistralmente nel dramma dello
scrittore ungherese Miklos Hubay «Non resta che il silenzio», «In fin il cinidor», nella versione friulana. Qualsiasi operazione dunque che vada nella direzione di un loro salvataggio, va vista come positiva, anzi salutata con entusiasmo.
Ma il disagio provocato dalla recente presentazione in
Regione della legge per la difesa e la promozione di alcuni dialetti, è più forte di qualsiasi ipotesi di approvazione.
Scoprire che i più feroci oppositori dell'introduzione del friulano, e dello sloveno e del tedesco, le lingue minoritarie
riconosciute dalla Costituzione, si sono improvvisamente
scoperti paladini della democrazia linguistica fa, a seconda dello stato d'animo del giorno: arricciare il naso, drizzare le orecchie, girare i cosiddetti o provocare un potente mal di pancia.
E si badi bene che non è, come qualcuno anche giustamente sottolinea, una questione di finanziamenti destinati alla promozione dell'iniziativa, un milione di euro, quando si era gridato allo scandalo e si erano stracciate le vesti,
per i fondi al friulano. Sbaglierebbe chi si mettesse a fare
paragoni rispetto a parametri di spesa considerati più importanti o strategici, leggi alcune dichiarazioni della sinistra
alternativa, ma anche chi vedesse solo il desiderio di qualche consigliere regionale di accattivarsi le simpatie di qualche piccolo feudo dialettale.
La legge invece ha una regia ben precisa e ha due obbiettivi da colpire in termini d'immagine: l'unitarietà del Friuli
da una parte e dall'altra la minoranza slovena. Rispetto alla
Slovenia è evidente che ci sono ancora esponenti della
destra triestina, il sottosegretario Menia in primis, che la
considera un nemico, anzi il nemico. Il progetto è quello
di mantener vive tutte le contraddizioni possibili per lasciare sempre aperta la questione degli esuli e dell'italianità di
quelle terre. Per il Friuli il percorso è perverso e diabolico.
Più ci sono spinte verso un modello di riconoscimento, di
identità forte e comune, e la lingua friulana ne rappresenta l'elemento più evidente, più si inventano attacchi a questo riconoscimento. Il messaggio è evidente, nella sua brutale declinazione: «Dove volete andare, se non parlate
neanche tutti la stessa lingua?».
Andrea Valcic
(Il Gazzettino, 21. 9. 2008)
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 6
IL COMMENTO
Quelli che difendono gli indios ed i maori
Globalizzazione e norme di tutela
Giorni fa un lettore ci ha telefonato dicendo che non sarebbe male pubblicare, sul Novi Matajur, ogni tanto, anche un
angolo con quiz e giochi enigmistici.
Abbiamo pensato che si poteva proporre, come esperimento, questa frase: «Nell'era della globalizzazione, giustamente vengono difese tipicità e culture di popoli remoti, come i Maori o gli Indios; e si fanno campagne a difesa di animali in via di estinzione – una nota associazione
ambientalista ha nel panda il suo simbolo. Tutti questi comportamenti denotano la naturale volontà di difendere la tipicità, ravvisando in essa un valore».
Il lettore indichi a quale delle seguenti situazioni fa riferimento la frase:
a) Una campagna promozionale del Wwf con in palio dei
pannolini ecologici;
b) il resoconto di un viaggio premio in Nuova Zelanda comprendente una partita di rugby contro gli All blacks;
c) la dichiarazione di un dirigente ravveduto di una delle
tante multinazionali che stanno disboscando l’Amazzonia;
d) le premesse della proposta di legge regionale firmata
dai consiglieri Camber, Galasso, Valenti, Pedicini, Novelli,
Venier Romano e Ferone sulla «tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico dialettale e culturale del
Friuli Venezia Giulia».
Tempo scaduto. La risposta giusta era la d, ma immaginiamo che il lettore abbia avuto non pochi dubbi tra le quattro opzioni. Forse sarebbe stato più facile dare un aiuto,
si usa così. Per esempio avremmo potuto aggiungere un'altra frase della stessa premessa: «Dopo il Ventennio – che
grazie al sistema scolastico aveva diffuso la conoscenza
dell'italiano – più incisiva fu la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa a livello capillare».
Ecco, il riferimento al Ventennio avrebbe sicuramente aiutato.
M. O.
(Novi Matajur, 25. 9. 2008)
IL COMMENTO
Un disegno per farci tacere?
Sloveni, nuove misure legislative ed interventi finanziari
Non ci sono mai piaciuti i piagnistei. Con dignità e razionalità ci impegniamo per far valere i nostri diritti come persone e come comunità. Detto in estrema sintesi rivendichiamo il diritto alle pari opportunità: in campo culturale e
linguistico, ovviamente, ma anche in ambito economico. Gli
ostacoli di ordine economico e sociale limitano di fatto la
libertà e l’uguaglianza, impedendo il pieno sviluppo della
persona, dice la nostra Costituzione e aggiunge che è compito della Repubblica rimuoverli. Purtroppo ciò non è accaduto e i numeri parlano chiaro, siamo sempre in meno e
siamo ancora i più poveri in ambito regionale e provinciale.
Siamo stati, invece, protagonisti di un’evoluzione ed una
crescita positiva in campo culturale e scolastico soprattutto
con l’istituzione del Centro scolastico bilingue di San Pietro
al Natisone, anche se molto rimane ancora da fare. Non
pochi sforzi abbiamo inoltre profuso sul terreno della cooperazione transfrontaliera per dare nuove chance di sviluppo alla nostra comunità, forti anche della specificità linguistica e culturale che ci consente un dialogo più stretto
con i nostri vicini.
Ma in questi giorni siamo al centro delle “attenzioni” politiche ed istituzionali. Tramite strumenti legislativi e finanziari la maggioranza di centrodestra ha impostato alcuni
interventi che minano alle fondamenta quanto costruito con
fatica e con finanziamenti pubblici negli ultimi decenni. Alla
faccia del dialogo e della collaborazione propugnati anche
nei giorni scorsi durante la conferenza interministeriale italoslovena, presieduta dai ministri Franco Frattini e Dimitrij
Rupel, si sta mettendo in atto un disegno che ci vuole ridurre al silenzio, tagliandoci, forse definitivamente, la lingua.
L’allarme è giustificato. A Trieste è stato presentato un disegno di legge, sostenuto da tutti i partiti di maggioranza, a
parole per tutelare i dialetti, anche quelli delle nostre val-
late, nella realtà per disconoscere quanto stabilito da due
leggi nazionali ed una regionale ed affermare a colpi di maggioranza la tesi, tutta ideologica e scientificamente infondata, che i nostri non sono dialetti sloveni. A Roma la legge
finanziaria nazionale prevede tagli consistenti ai fondi destinati alla minoranza slovena del FVG per il prossimo anno,
già ora insufficienti. Grandissima preoccupazione, inoltre,
suscita il riassetto scolastico, previsto dalla ministra
Gelmini a partire dal prossimo anno. Con l’introduzione del
maestro unico si verrebbe infatti ad eliminare il modello della
scuola bilingue. Com’è noto, il presupposto pedagogico su
cui si basa è che ogni insegnante parla con il bambino una
o l’altra lingua, dandogli così un riferimento sicuro. Un
modello di scuola di qualità, apprezzato tra gli specialisti
ed in ambito europeo, voluto e difeso con caparbietà dalle
famiglie, verrebbe gettato alle ortiche.
Sono misure che non possono passare sotto silenzio e inevitabilmente susciteranno echi e reazioni sia a livello di rapporti bilaterali tra Italia e Slovenia che in ambito europeo.
J. N.
(Novi Matajur, 18. 9. 2008)
Mutual engagement ovvero isolarsi da una realtà storica oggettiva
TUTELA
Basta chiudere gli occhi
Un caso di questa stortura del pensiero è la memoria alternativa antislovena in Benecia
N
el numero di Novembre 2007 della rivista British
Journal of Developmental Psychology, edita sotto l’egida della Società Britannica di Psicologia (British
Psychological Society), è comparso un interessante articolo scritto da due studiosi inglesi i quali analizzando il comportamento dei bambini giungono alla conclusione che per
un bimbo di circa tre anni nascondere la faccia o chiudere gli occhi voglia dire in certo qual modo “rendersi invisibile”: poca importanza ha il fatto che parte del suo corpo
sia ancora visibile agli occhi degli altri. Il ‘suo’ collegamento
è stato chiuso. Alla base di questa comune stortura del pensiero infantile vi è infatti quello che si chiama mutual engagement – “aggancio reciproco” –: se questo aggancio con
le altre persone viene meno (ad esempio coprendosi il viso
o chiudendo gli occhi) ecco che il bambino si isola e crede
di non essere più visto. Tuttavia, le cose non sono mai semplici come apparentemente potrebbero sembrare: così, sul
piano psicologico, scopriamo che il mutual engagement
contiene importanti segnali riguardo a un certo tipo di interazioni tra il singolo individuo e la società in cui egli vive:
se correttamente applicato sul piano mentale (e comportamentale), il mutual engegement consente di dare vita ad
una comunità sociale, altrimenti determinerà un insieme di
singoli individui o singoli gruppi. Le cose si complicano notevolmente allorquando non sia più il bambino di tre anni ad
essere l’oggetto di attezione, ma l’essere adulto. Ecco allora che la cercata e voluta omogeneità di una presunta situazione sociale (il microcosmo della famiglia o il macrocosmo della società) non diventa un requisito imprescindibile del mutual engagement, né tantomeno un suo prodotto; né, a sua volta, il mutual engagement anche laddove
più o meno correttamente applicato riesce sempre a garantire un rapporto pacifico e/o armonico. Così il secondo
numero del 2002 della rivista di criminologia forense Crime,
Low and Social Change pubblica un articolo in cui ci si interroga fino dal titolo sulle implicazioni che un errato meccanismo mentale relativo al mutual engagement può avere
riguardo alla gestione delle interazioni interpersonali da
parte di alcune persone: “Mutual engagement. Criminology
or Sociology?”. Il legame tra distorsione comportamentale e delitto è a questo punto fin troppo chiaro.
Senza comunque scomodare casi per fortuna limite e dunque non paradigmatici, non sono mai stato del tutto sicuro che l’Uomo abbia saputo capire fino in fondo l’importanza
che gli deriva dal suo essere sociale e dal vedere gli altri
come soci, compagni quindi di un comune cammino. Così
come non sono mai stato certo della reale comprensione
della parola “comunione” (cum-unio): al massimo se ne dà
un senso politico o religioso, ma non si entra nel merito
della psicolinguistica o della sociologia che pure sono alla
base del termine.
Il contrario di cum-unio è dis-unio, cioè qualcosa che separa, che va contro e oltre il mutual engagement di cui l’Uomo
ha bisogno, che genera odio e violenza, che crea disagio
sociale. Quello stesso disagio sociale che ho sentito qualche sera fa’ nel concerto di Alanis Morissette al Parco della
Musica di Roma allorchè la cantante canadese ha iniziato uno dei suoi brani più famosi – Versions of Violence –
in cui si dice che «anche se sottili e inosservate, le versioni di violenza lasciano il segno, anche se spariscono».
Nello stesso brano si accenna anche ad alcune di queste
sottili ma non meno dannose cause di violenza: il giudicare,
l’etichettare, il puntare il dito, il disfarsi delle sensibilità, cose
che creano ferite che una dopo l’altra diventano profonde
e strutturali.
Già. Il disfarsi delle sensibilità. Poco tempo fa’, parlando
con un collega di ritorno da un viaggio a Lima in Perù, gli
chiesi che impressione avesse avuto delle baraccopoli che
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 7
con le migliaia di case fatiscenti di lamiere appoggiate in
qualche modo a mattoni sbreccati circondano i quartieri ‘normali’ della città, evidenziando una evidente dicotomia e nella
fattispecie una povertà assoluta. Mi rispose se stavo parlando della stessa città da cui era tornato lui: di baraccopoli, lui, non ne aveva viste! Capii che era uno dei casi in
cui il mutual engagement non aveva funzionato: basta chiudere gli occhi per rendere infatti invisibile la realtà che ci
circonda. Spesso, il disfarsi delle sensibilità non è solo indice di indifferenza, è razzismo. Esiste una classe ben distinta di dominanti e un’altra di dominati e neppure la vicinanza
fisica permette di entrare in empatia attraverso i fini meccanismi psicologici del mutual engagement: ci sono muri
invisibili che separano e che sono più difficili da rimuovere del Berliner Mauer, il simbolo classico della cortina di
ferro. Anzi, la loro rimozione è quasi impossibile.
Il concetto psicologico del mutual engagement investe tuttavia una serie di meccanismi mentali a cascata che a loro
volta condizionano una infinita serie di comportamenti: se
non controllati, questi portano alla indistinzione e alla massificazione, concetti che ancora una volta hanno poco a che
fare con un’idea di comunità sociale e che sono invece alla
base, ad esempio, di quella ampiamente rappresentata
memoria alternativa antislovena e di compromesso circa
le vicende della resistenza nei territori della Bene@ija posti
lungo il confine orientale.
Chiudere gli occhi in questo caso vuol dire isolarsi da una
realtà storica oggettiva per vedere solo ciò che si vuole o
fa comodo vedere, privando vicende storiche indiscutibilmente avvenute e documentate di quei valori di obiettività
e di storicità di cui hanno invece bisogno – se non altro per
non eliminare anche la memoria di chi, vittima, si è visto
annientare la stessa vita –, verniciandole invece con umori
e grida che poco hanno a che fare con la comunità matura del mutual engagement. A chi nonostante tutto ancora
oggi si rifiuta di aprire gli occhi per non vedere realmente
il mondo che lo circonda, possiamo solo ricordare che il
“rendersi invisibile” se va bene a tre anni, non va certo bene
superato quel limite di età.
Massimo Baldacci
(Dom, 15. 9. 2008)
SLAVIA FRIULANA – BENE#IJA
Boris Pahor: c’è ancora chi nega
la cultura degli sloveni
Lo scrittore e la diatriba linguistica da Mussolini ad oggi
In verità stavo per scrivere antislovenismo cronico, perché
qui da noi data ormai dalla fine dell’Ottocento, ma in questi giorni certuni tentano di fare svalutare tanto le dimostrazioni dei linguisti quanto le conferme legislative per
escludere la lingua degli sloveni della provincia di Udine
dalla matrice slovena. E questo tentativo di negazione data
dal 1866, quando la così detta Schiavonia, insieme a
Venezia, fa parte del Regno d’Italia.
Vissuti per secoli come cittadini veneziani in una forma di
autonomia tutta speciale, gli sloveni divenuti col plebiscito per propria decisione cittadini del Regno, vennero sottoposti ad una snazionalizzazione sistematica. Che sarà
potenziata dal fascismo ed in modo particolarmente intenso anche durante il periodo postbellico con l’aggiunta delSLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 8
l’organizzazione Gladio fino al giorno in cui con la legge
di tutela per la comunità slovena della Regione viene riconosciuta in modo indiretto un’ingiustizia più che secolare,
con il riconoscimento della fino ad allora privata scuola bilingue a San Pietro al Natisone.
Il tentativo ora di volere fare marcia indietro è, se lasciamo da parte le constatazioni degli slavisti, compresi quelli italiani, almeno per due ragioni inaccettabile. La prima
è, a parer mio, che dimostra di essere di scarsa onorabilità chi tenta di negare come slovena la lingua parlata dagli
abitanti della provincia di Udine invece che, decisamente,
biasimare chi per 134 anni ha fatto di tutto per estinguere
il gergo barbaro (Fanfulla 1884) di quella gente. Biasimo
che, ammetto, forse invano si spera di sentire o leggere.
(Invece nel gennaio 1977 Monsignor Alfredo Battisti come
arcivescovo di Udine chiese pubblicamente perdono alla
popolazione slovena e friulana per il modo in cui la Chiesa
si è comportata durante il periodo fascista).
Ma c’è una ragione più consona a certi difensori dell’italianità: la testimonianza di certe persone di indubbia fedeltà
nazionale che non hanno ritenuto necessario negare ciò
che ora si tenta di fare.
La precedenza assoluta l’ha senza dubbio Benito Mussolini.
Nel suo libro «Il mio diario di guerra», il giorno 15 settembre 1915 egli scrive: «Tappa a San Pietro del Natisone.
Primo dei sette comuni in cui si parla il dialetto sloveno.
Incomprensibile per me». E poi si dilunga nel tentativo di
prendere contatto con la gente e annotando i luoghi, che
attraversa, nella loro forma originaria slovena. vicino
Caporetto perfino trascrive da una cappella votiva un distico sloveno:«Nikdar noben se ni bil zapuscen / ki v varstvo Marijis bil izzrogen». Che significa:«Ancora nessuno mai
fu abbandonato/ he alla protezione di Maria fu raccomandato». Come si vede iscrizione religiosa copiata con qualche errore da Mussolina che non può essere accusato di
avere preso un granchio definendo il dialetto in questione
dialetto sloveno. A pagina 109-110 del diario egli conclude:«No, questi sloveni non ci amano ancora. Ci subiscono con rassegnazione e con malcelata ostilità. Pensano che
noi siamo di “passaggio”; che non resteremo e non vogliono compromettersi, nel caso in cui ritornassero, domani, i
padroni di ieri». (tratto da «Il mio diario di guerra», pubblicato dalla Libreria del Littorio). Sapeva, quindi, molto bene
Mussolini, quando ebbe il potere, che lingua voleva fare
sparire, ciò tanto più perché era subentrato il progetto più
ampio di non cambiare solo la lingua, ma gli stessi connotati a tutta la gente slovena della Venezia Giulia.
Ma c’è un personaggio che potrei quasi dire più patriota,
perché in modo prioritario, dello stesso Mussolina, un garibaldino che combatté a Milano e poi con Garibaldi. È l’avvocato Carlo Podrecca, autore del libro «Slavia italiana»,
uscito a Cividale nel 1884.
Nato a Cividale nel 1839 in una famiglia di notabili, sua
madre è una contessa della Torre, Carlo Podrecca è un
personaggio singolare. A Milazzo riceve da Nino Bixio, luogotenente di Garibaldi, la spada di tenente, conosce Ippolito
Nievo, è amico di Giuseppe Cesare Abba, è però, ad un
tempo, innamorato della sua identità della quale dice: «Non
v’ha soluzione di continuità geografica ed etnologica fra la
Slavia italiana e le altre propaggini slave». Ci tiene, quindi, a questa specificità ed alla sua lingua che «non è pericolosa nella regione all’italianità di quest’ultima». Non solo,
vorrebbe che fosse insegnata nella perfetta forma grammaticale. È, quindi, normale che sia contrario ai tentativi
di estirpazione della lingua del luogo ed è per la coesistenza
delle due lingue.
Un uomo di larghe vedute e che prevede la formazione tra
l’Adriatico ed il Mar Nero di un regno slavo e, quindi, la funzione di un anello che «congiunga la cultura italica a quella slava e riannodi la civiltà delle genti neo-latine a quelle
dei popoli danubiani». (Qui Podrecca cita l’allora senatore Antoni, autore di «Friuli orientale»).
Come si vede, uomini europei in anteprima con la mentalità dei quali ora contrastano certe tendenze che si credevano sormontate, ma che purtroppo denotano attitudini deleterie quali cellule di una metastasi.
Io voglio sperare che la bela collaborazione amichevole tra
le due culture, che felicemente si è creata negli ultimi anni,
valga a squalificare tanti progetti anacronistici e, quindi, in
partenza nocivi. E, in ultima analisi, antieuropei.
Boris Pahor
(Il Piccolo, 6. 10. 2008)
IL COMMENTO
La chiesa e lo sloveno in Benecia
È partita la campagna autunnale della proposta di legge
per tutelare l’universo dei dialetti esistenti in Friuli Venezia
Giulia. Probabilmente più di qualcuno è stato escluso, perché da quel che si legge nella proposta di legge, presentata in Regione il 15 settembre ’08, in teoria l’elenco dovrebbe essere lungo quasi come quello telefonico. Comunque
chi si sente escluso potrebbe sempre protestare e chiedere
udienza. La proposta è presentata dal Pdl, Udc e Partito
pensionati.
Due cose vanno evidenziate all’inizio, perché segnano un
duplice atteggiamento, che non può sfuggire ad una severa critica. In primo luogo si afferma che «la proposta non
vuole contrapporsi alla legge sul friulano». In realtà nell’elenco che viene fatto c’è una sola allusione al friulano –
goriziano, perchè gli altri dialetti sono di altra matrice. Perciò
questa è una precisazione pressoché superflua, ma sembra quasi voler prevenire obiezioni dal mondo friulano.
Ciò che invece suscita assoluta opposizione è, in secondo luogo, l’attenzione che viene data ai dialetti «resiano,
po nasen e natisoniano», in quanto vengono contrapposti
alla legge di tutela della lingua slovena, quasi che appartenessero ad altra radice e matrice culturale e linguistica.
Fa specie la mancata precisazione che ci si poteva attendere come per la legge sul friulano. Qui si riafferma perentoriamente la diversità linguistica. Ma il tutto è motivato,
come una coda velenosa – in cauda venenum! dicevano
i latini – dalla affermazione che «queste comunità non si
sentono slovene, ma italiane a tutti gli effetti e chiedono
da tempo una legge che riconosca la loro specialità linguistica».
Qui sono necessarie alcune osservazioni, perché il testo
citato è un monumento di contraddizioni. Se le comunità
in questione sono «italiane a tutti gli effetti» non si capisce perché debbano essere tutelate né a quale titolo, rientrando esse nella generalità della popolazione italiana.
Maliziosamente però sorge un’altra domanda: i friulani ed
i bisiachi sono da ritenersi italiani o no? Rispunta ancora
una volta il noto complesso di superidentificazione di parte
delle popolazioni slovene della provincia di Udine, le quali
hanno bisogno di ripetere all’infinito la loro cittadinanza italiana, confondendola poi con la nazionalità e rendendo più
patetica la loro rivendicazione. Dietro questo complesso c’è
chiaramente una lunga storia di emarginazione politica.
E veniamo all’elenco dei tre dialetti da tutelare e difendere dall’invasione slovena, e cioè il resiano, il po nasen e il
natisoniano. Sul resiano non c’è niente da dire, perché ha
una storia, documentata da studiosi italiani e stranieri ed
inserita, lo si voglia o no, nel fiume della lingua slovena.
Invece gli altri due sono nati recentemente dalla fantasia
bizzarra di qualche improvvisato linguista e appaiono come
piante estranee ed esotiche nella vigna di Renzo, di manzoniana memoria. Dato però che queste denominazioni
hanno un avallo politico, la loro vitalità è tanto tenace, che
nessuna valutazione scientifica di linguisti affermati e competenti è in grado di attenuare. Non resta che prenderne
atto con pazienza, nell’attesa che tutte le leggi di tutela siano
inefficaci, perché fra poco mancherà chi dovrà essere tutelato e soprattutto i fautori delle specificità reclamate, si guardano bene dal tutelarle.
Su tutto questo è necessario aprire una pagina storica, per
tracciare in modo preciso il vero quadro della situazione.
Essa è tutta raccolta nella storia della Chiesa locale della
Benecìa che si è sempre espressa nella lingua slovena,
ovviamente nella diversità dei tempi e dei luoghi, che come
ovunque, hanno creato le varie forme dialettali.
Da Castelmonte ci viene il prezioso manoscritto sloveno
del secolo XV, reso noto da mons. Angelo Cracina; esso
ci testimonia come si pregava e parlava secoli fa e come
si è continuato fino ai nostri giorni, con le variazioni che
ogni lingua parlata conosce.
In questo ideale filo rosso di Arianna si inserisce l’opera
di mons. Ivan Trinko, soprattutto nella formazione dei sacerdoti destinati nelle comunità della Benecia. E, infine, uno
sguardo agli scaffali delle sacrestie, dove si conservavano i libri per le celebrazioni, oltre il messale, fa scoprire che
tutti i libri erano in sloveno, a cominciare dal libro dei
Vangeli, che si leggevano la domenica.
In una parola tutta la nostra matrice linguistica era ed è slovena, con un unico rammarico: non abbiamo mai avuto una
scuola in sloveno, fino a pochi anni fa, quando è sorta la
Scuola bilingue di San Pietro. Se però questo ha comportato
una vera povertà culturale, nello stesso tempo ha costituito
anche una meraviglia: la conservazione di una lingua senza
supporti istituzionali, che non fossero l’appartenenza libera e convinta alla comunità ecclesiale.
Marino Qualizza
(Dom, 30. 9. 2008)
SLAVIA FRIULANA-BENE#IJA
Problemi veri e false battaglie
A proposito della ricchezza dei nostri Comuni
Si può ragionevolmente sostenere che il problema numero uno delle Valli del Natisone, del Torre e di Resia sia la
tutela del dialetto? Che questo sia in pericolo non a causa
dell’assimilazione e poiché parlanti sono sempre di meno,
ma sia dovuto alla “slovenizzazione”? Si può ritenere
responsabilmente che la prima misura legislativa da prendere a difesa di questo territorio e per la sua promozione
sociale, culturale ed economica sia una nuova legge regionale sul dialetto (unita ad una revisione della legge nazionale di tutela)?
La situazione di emergenza in cui versa la nostra comunità è venuta alla luce con chiarezza dai dati resi noti dalla
Camera di Commercio di Udine e dal quotidiano Il Sole 24
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 9
ore quest’estate e ripresi da tutti i giornali locali. I numeri,
i fatti ci dicono che siamo in coda a tutte le classifiche relative alla ricchezza e per tutti gli indicatori di crescita. Ultimi
per reddito, primi per decremento demografico. Perchè il
fatto tragico è che i nostri paesi continuano a svuotarsi,
mentre manca un progetto in grado di arginare il fenomeno prima ancora che garantirne lo sviluppo.
Noi non intendiamo più farci coinvolgere in false battaglie
con falsi obbiettivi che in questi anni ci hanno solo fatto perdere tempo e sprecare energie.
In questi anni siamo riusciti a fare crescere la consapevolezza delle persone sulla propria identità, abbiamo lavorato per risvegliare l’orgoglio per le proprie tradizioni, si tratti del canto popolare e del dialetto sloveno, oppure del kries
di San Giovanni e della cucina locale. Abbiamo avviato progetti di qualità e di valenza europea come l’educazione bilingue, ma anche per l’utilizzo di fonti energetiche alternative e rinnovabili. E su questo binario intendiamo proseguire.
Chi, sposando le tesi dei noti nostalgici locali, ci vuole riportare alla sterile questione del dialetto che abbiamo già superato – è lampante – non fa gli interessi di questo territorio
e nemmeno dei suoi cittadini.
(Novi Matajur, 11. 9. 2008)
LA LETTERA
all’ingresso nella lista mondiale del patrimonio culturale
dell’Unesco (l’esclusiva World heritage list). In una città che
ambisca a questo titolo – per meriti culturali – è d’obbligo
una vita culturale frizzante, ricca e cosmopolita. La presenza
della cultura italiana, friulana, slovena – e la vicina tedesca – è già una garanzia. Non comprenderlo può diventare un grave handicap.
Infine, una breve considerazione sulla dimensione della presenza slovena nella città. Lasciamo da parte censimenti,
autocertificazioni ed altri marcingegni che riportano alla
memoria brutte storie. Se si è in buona fede – ripeto in
buona fede – ogni sistema dà delle indicazioni sufficienti
per operare; per iniziare basta un po’ di buon senso. Una
persona comune prende un elenco telefonico e scorre i
cognomi riportati, oppure ascolta la gente lungo le vie o
va nelle osterie e capisce subito come stanno le cose. In
questo senso curioso, si fa per dire, è anche l’elenco dei
componenti della giunta municipale: accanto ai Bernardi,
ai MIani, ai Novelli, troviamo i Menillo, i Pesante, ma anche
i Vuga, i Balloch e i Felettig. Sarà un caso, ma nei cimiteri della vicina Slovenia le lapidi con cognomi Vuga, Balok
e Meleti@ sono molte. Con questo non intendo dire che un
cognome con la “k” o la streœica (accento diacritico, ndr.)
sia automaticamente sloveno. Pare, invece, che sia proprio slovena, o meglio pre-slovena, l’iscrizione sull’ara di
Ratchis.
Fabio Bonini
(Messaggero Veneto, 10. 9. 2008)
Minoranza slovena e guerra fredda
LA LETTERA
Riportiamo di seguito, in versione integrale, la lettera, pub blicata dal giornale Messaggero Veneto, con la quale Fabio
Bonini polemizza con le posizioni espresse dal consiglie re regionale Roberto Novelli sulla minoranza slovena pre sente a Cividale.
Per la lingua slovena
Mi ha colpito il tono da guerra fredda usato dal consigliere regionale Novelli – scrive Bonini – nella sua presa di posizione sulla minoranza slovena presente a Cividale. gli opinabili contenuti della sua proposta – che vorrebbe ignorare la presenza di numerosi cittadini sloveni nella città – passano in secondo piano di fronte ad atteggiamenti e toni che
francamente speravamo di non sentire più. Ci si aspetterebbe da amministratori locali, non di marginale livello, una
presa di coscienza della realtà odierna ed un comportamento conseguente. Finalmente in questa nuova Europa
non ci sono lingue maggioritarie – tutte sono di minoranza – e i confini hanno ripreso la loro unica e specifica funzione: quella amministrativa. In questa nuova realtà riproporre vecchi schemi nazionalistici è la manifestazione di
una persistente miopia. Farebbero sorridere se non ci opprimesse il ricordo delle nefandezze del secolo scorso, che
hanno devastato l’intera Europa. E hanno regalato un mare
di guai sia a Cividale sia alla vicina Bene@ija-Slavia Veneta.
Per fortuna oggi c’è l’Unione europea che potrà limitare
eventuali danni e rimettere le cose a posto.
E avrà sicuramente il sostegno di un’ampia opinione pubblica civile, sia regionale sia statale, che ha già giudicato
positivamente il riconoscimento formale della presenza della
minoranza slovena in regione, Cividale compresa. Il
Consiglio regionale e il Parlamento della repubblica nell’emanare le leggi specifiche hanno proceduto con tutta la
saggezza e le precauzioni possibili.
Le opinioni del consigliere regionale menzionato stridono
anche con la solida richiesta della candidatura della città
È vero che nella vita gli esami non finiscono mai. Tuttavia
un esame superato non si ripete all’infinito, così come un
processo si conclude con la sentenza e non si riapre se
non in casi assolutamente eccezionali. Ultimamente, invece, apprendiamo dalla stampa locale che in provincia di
Udine gli sloveni non esistono e quindi la lingua slovena
è una lingua straniera come tante. Anzi, si tratta di una lingua che ci vogliono imporre i “colonizzatori”. Immaginiamo
si tratti di orde di triestini e goriziani appartenenti alla comunità slovena che irrompono nelle sedi del Novi Matajur, del
Dom o dell’Emigrant, distruggono gli scritti nel nostro dialetto e fanno violenza a quanti ancora si ostinano a dire
«Buog ¡egni» invece che «dober tek» (buon appetito, ndt.)
prima di affrontare un piatto di pasta.
Purtroppo non c’è molto da ridere. I nostri dialetti ci sono
cari, li usiamo quotidianamente in forma orale e scritta. Lo
facevamo anche quando i loro paladini di oggi li avversavano e proibivano il loro uso. Per questi “linguisti” essi
dovrebbero diventare un relitto culturale, una manifestazione di puro folclore. Non abbiamo nulla contro i dialetti,
non ci è, invece, chiaro perché il “po naœem” (espressione slovena letteraria) dovrebbe essere una lingua a se stante e non uno dei dialetti sloveni che dalla lingua letteraria
traggono la linfa per un loro sviluppo ed un adeguamento
alla vita contemporanea.
Vorremmo chiedere ai promotori di questa legge regionale perché non suggeriscano ai rappresentanti nazionali dei
partiti a cui appartengono con apposite norme il dialetto di
Napoli oppure quello di Bari. Non pensano, inoltre, che
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 10
gli esami non finiscono mai
potrebbe suonare un’offesa ai morteglianesi vedere tutelato il friulano goriziano e il loro no?
Piuttosto che arrampicarsi sugli specchi non sarebbe più
semplice ritornare alle posizioni di partenza e dire chiaramente che per loro la presenza degli sloveni in Friuli ricorda, per usare le parole di un quotidiano della fine dell’800,
«la vergognosa presenza dello straniero in Italia»?.
Almeno sarebbe chiaro e comprensibile a tutti. Alcuni si
ritengono sloveni, lo stesso diritto appartiene a chi si ritiene italianissimo e nessuno lo contesta, men che meno noi.
Intanto sulla stampa leggiamo un’altra notizia che dovrebbe preoccupare. Da anni la Benecia è il fanalino di coda
di tutte le statistiche socio-economiche. Drenchia continuerà
ad essere il comune più povero della regione, però potrà
avvalersi del “drenchiese” nelle scuole che non ci sono più
e altrettanto potrà fare nelle numerose imprese che, grazie a questi provvedimenti, sorgeranno sulle pendici del
Kolovrat.
Dante Del Medico
Presidente dell’Unione emigranti sloveni
del Friuli Venezia Giulia
(Messaggero Veneto, 3. 10. 2008)
LA LETTERA
Il triestino, la lingua friulana
e le «parlate slavofone»
Dove sta andando la Giunta Tondo? Cosa stanno combinando i politici nostrani, improvvisati linguisti, di questa
assurda e strampalata regione? Mentre la Ministra
dell'Istruzione del Governo Berlusconi sollecita e finanzia
l'uso veicolare della lingua friulana a scuola, Tondo e amici
negano ai friulani quanto loro garantito dalla Costituzione
italiana (art. 6), da una legge dello Stato (L. 482/99) e dalle
norme europee e affermano con forza che la miserissima
legge regionale – L.R. 29/2007 – che in maniera minimale fa sue le norme di tutela statale, dovrà essere rivista perché "eccessiva". Ossia la modificheranno per portarla ad
un livello di tutela inferiore a quello già previsto dalla legge
statale. Dunque "eccessivo" per Tondo, Molinaro e amici
di Giunta, rispettare le norme europee e una legge dello
Stato italiano. Ma che succede se è Trieste a protestare
e raccogliere firme? Si dà il caso che i triestini dall'inizio
dell'estate del 2007 abbiano scatenato il pandemonio contro la nuova legge regionale di tutela della lingua friulana.
Insegnare a scuola la lingua friulana? Fiumi di inchiostro
sono stati consumati a Trieste per deridere i friulani che
nulla chiedevano se non il rispetto di norme approvate dal
Parlamento italiano. La lingua friulana? Un dialetto come
tanti altri! Insegnarla a scuola? Pazzi, fuori di testa! Gli studenti friulani, per colpa dell'insegnamento della lingua friulana, sicuramente diventeranno tutti dei somari! E poi, che
spaventoso spreco di denaro pubblico! Pensa quanti poveri vecchietti si potrebbero aiutare con i finanziamenti destinati alla tutela di questa "parlata contadina"! E i tanti friulani che civilmente chiedevano e continuano a chiedere il
rispetto della Costituzione italiana? Telebani, torturatori di
bambini, estremisti pronti a trasformare il Friuli in terra di
conflitti etnici! E nel mezzo di tutto questo feroce attacco
ultranazionalista italiano, spunta un'associazione teatrale
dialettale triestina. «E noi chi semo?», pare si sia chiesta.
Comincia a raccogliere firme per il riconoscimento del dia-
letto triestino e, ovviamente, la concessione di corposi finanziamenti. Pare ci sia chi sospetti, anche a Trieste, che il
vero e unico scopo di questa raccolta di firme sia solo quello di ottenere una montagna di finanziamenti per le proprie attività teatrali in dialetto triestino. Comunque sia, raccoglie circa 6.000 firme a fronte di una popolazione di
209.000 abitanti.
Ed oggi ecco le novità. La presentazione di ben due proposte di legge, tutte di marca centro-destra, per il riconoscimento e la tutela del dialetto triestino. Ovviamente, poiché non era possibile limitarsi a questo dialetto perché
sarebbe stato troppo evidente che si stava accontentando questi 6.000 triestini, la tutela viene allargata anche a
chi mai si è sognato di chiedere un simile provvedimento.
Così pare, almeno da quanto si legge sui giornali, che in
queste proposte di legge si preveda anche la tutela di un
fantomatico dialetto friulano-goriziano (ma non è già tutelato dalla L. 482/99?), più altri dialetti veneti regionali, oltre,
e qui veramente tocchiamo il fondo del nazionalismo italiano, i dialetti sloveni della Provincia di Udine considerati in una delle due iniziative di legge «parlate slavofone (?)».
E già che ci siamo, potevano dimenticarsi degli esuli istriani? Godono già di sostanziosi finanziamenti statali, ma perché mai lasciarli fuori? Insomma un provvedimento "pasticciato" richiesto da 6.000 triestini appassionati di teatro dialettale e allargato anche a chi mai si è nemmeno lontanamente sognato di richiederlo. Ma la comica finale è che questi provvedimenti prevedono, udite udite!, l'insegnamento
a scuola del dialetto triestino. Si, avete letto bene. Dopo
aver tanto deriso e considerato i friulani dei "fuori di testa"
perché chiedevano quanto loro garantito da una legge dello
Stato italiano, ossia il diritto all'insegnamento scolastico del
friulano e in friulano, ora pare che la Giunta Tondo approverà una legge che prevederà l'insegnamento del dialetto
triestino a scuola. Ultimo "piccolo" particolare. Per tutte le
scuole dei comuni friulanofoni (ossia la gran parte delle
scuole dell'obbligo della regione) per le attività in lingua friulana è previsto un più che misero finanziamento regionale di 600 mila euro. Finanziamento già dichiarato ampiamente insufficiente anche dal Dirigente scolastico D'Avolio.
Sapete l'entità del finanziamento previsto per la tutela del
dialetto triestino, dato inserito nella proposta di legge della
Lega Nord? Tenetevi forte! Un milione di euro. Della serie:
«e noi chi semo?»
Roberta Michieli
(seguono 11 firme)
TUTELA
Le lingue delle minoranze
per insegnare la storia
Il ministero dell’Istruzione finanzia progetti per l’uso
veicolare delle lingue minoritarie
È del 15 dicembre 1999 la legge n. 482 che detta «Norme
in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche»,
tra cui, ovviamente il friulano, lo sloveno ed il tedesco nella
nostra regione. All’art. 4 si legge: «Nelle scuole materne
dei comuni di cui all’art. 3, l’educazione linguistica prevede, accanto all’uso della lingua italiana, anche l’uso della
lingua della minoranza. Nelle scuole elementari e nelle
scuole secondarie di primo grado è previsto l’uso anche
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 11
della lingua della minoranza come strumento di insegnamento». Questo, per capire di che cosa si tratta.
Opportunamente il ministero dell’Istruzione, università e
ricerca ha emanato, il 23 luglio scorso, una circolare contenente il piano dettagliato di interventi per la realizzazione di progetti nazionali e locali nel campo dello studio delle
lingue e delle tradizioni culturali appartenenti a una minoranza linguistica. Il ministero riconosce ai progetti che useranno la lingua veicolare nelle scuole la priorità nella distribuzione dei finanziamenti. «L'uso veicolare e contestuale
delle lingue minoritarie per l'insegnamento dei contenuti
disciplinari del curricolo come la storia, la geografia... – si
legge nel documento del dicastero retto dal ministro
Mariastella Gelmini –, ha trasformato le stesse lingue storiche in lingue vive, rendendo il loro apprendimento efficace:
non si impara solo ad usare la lingua, ma si usa la lingua
per apprendere».
Questa inedita apertura del ministero dell’Istruzione si scontra per qualche verso con la politica sul friulano e in genere sulle minoranze dell’attuale maggioranza regionale. Dopo
la primaverile legge regionale della precedente legislatura, che prevedeva tra l’altro il silenzio assenso da parte delle
famiglie e la predisposizione di specifici moduli didattici per
l’insegnamento e l’uso del friulano, ora il governatore Tondo
e l’assessore Molinaro annunciano rigori invernali.
La legge verrà ritoccata: piena salvaguardia del diritto di
ogni famiglia a scegliere per i figli, quindi niente silenzio
assenso; piena autonomia delle scuole, a docenti, genitori e dirigenti, quindi niente moduli didattici. «L’insegnamento
del friulano, come quello dello sloveno devono passare per
la scelta della famiglia», afferma Molinaro. E così si vanifica il già predisposto. La legge dello Stato, secondo l’art.
4 citato, dovrebbe essere coattiva e quindi rispettata ed in
questa direzione si muoveva la legge regionale predisposta dall’assessore Antonaz, la quale aveva creato presupposti e impegnato le autorità e gli operatori scolastici
nel senso dell’insegnamento e dell’uso delle lingue minoritarie.
Se i friulani restano delusi dalle prospettive scolastiche della
loro lingua, non hanno di che rallegrarsi gli sloveni della
provincia di Udine.
La nostra sorte di comunità linguistica, al paragone coi friulani, non ha neppure l’opzione di essere revisionata: non
è neppure stata presa in considerazione, infatti parrebbe
un affronto, non dico pretendere ma solo proporre l’insegnamento e l’uso dello sloveno, o anche della «variante
linguistica minoritaria», nelle scuole primarie e secondarie del comprensorio come previsto anche dalla legge regionale 26/07 di tutela della minoranza slovena che all’articolo 16 dispone: «L'Amministrazione regionale, nel quadro delle azioni finalizzate all'incremento e alla diversificazione dell'offerta formativa delle istituzioni scolastiche
nonché allo sviluppo e alla diffusione delle attività culturali nella regione, promuove l'apprendimento e la conoscenza
della lingua e della cultura slovena e sostiene, anche in
applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 4 della legge
482/1999, la realizzazione di iniziative dirette a favorire l'insegnamento della lingua slovena nelle scuole di ogni ordine e grado».
Se i sostenitori delle «varianti linguistiche» nediœko o natisoniano, po naœin e resiano fossero minimamente coerenti,
si darebbero da fare affinché le stesse varianti entrassero di diritto e di forza nelle scuole di ogni ordine e grado.
Per fare ciò non c’è affatto bisogno di scomodare il parlamento, come fa il sen. Saro quando vuole aggiungere all’art.
2 della legge 482 «le lingue slave denominate natisoniaSLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 12
no, po-nasem e resiano storicamente presenti in provincia di Udine».
Lo strumento c’è, e se Saro ed i suoi suggeritori ne avessero i requisiti scientifici chiederei loro che differenza riesce a dimostrarmi, tra il linguaggio parlato e scritto da me
(che io non mi vergogno a definire sloveno) e quello che
dovrebbero scrivere ed usare i «natisoniani». Il fatto che
essi si ostinino a togliere ogni connotato sloveno alla variante che usiamo in comune, non toglie il dato di fatto, dimostrato dal più ignorante dei linguisti che abbia un minimo
di onestà mentale.
Alla fine della storia rimane l’amara constatazione che l’unico luogo in Friuli dove nella scuola si insegnerà solo la
lingua italiana, sarà il nostro, la Slavia friulana. Paradossale,
nel 2008 e di fronte alla nuova Europa.
Riccardo Ruttar
(Dom, 15. 9. 2008)
TRIESTE-TRST
Aumentare l’integrazione
e rimuovere le barriere
Presentato il programma per la cooperazione
transfrontaliera Italia-Slovenia 2007-2013
L’aula magna delle sede goriziana dell’Università di
Trieste era stracolma con diverse decine di persone in piedi
per mancanza di posti a sedere. Una così massiccia partecipazione era giustificata dai temi dell’incontro: da una
parte l’«evento di chiusura» dell’Interreg IIIA Italia-Slovenia
2000-2006, dall’altra l’«evento di lancio» del Programma
per la cooperazione transfrontaliera Italia-Slovenia 20072013. Un’iniziativa informativa che intendeva stabilire un
ponte diretto tra il lavoro fatto e quello che si sta alacremente progettando.
Dopo i discorsi introduttivi è stato presentato un video documentario sui risultati del Pic Italia-Slovenia conseguiti nei
sette anni trascorsi, che si erano sviluppati su quattro
«assi», che hanno riguardato lo sviluppo sostenibile del territorio transfrontaliero, la cooperazione economica, le risorse umane, la cooperazione e l’armonizzazione dei sistemi ed il sostegno speciale alle regioni confinanti con i paesi
candidati.
Difficile sarebbe anche il solo elenco delle iniziative che
sono state portate a termine con il contributo europeo di
oltre 101 milioni di euro e che hanno interessato le regioni confinarie del nord Italia e della vicina repubblica di
Slovenia. Il convegno di Gorizia si era riproposto proprio
di esporre la qualità, l’ampiezza e la validità delle scelte
europee per dare uno stimolo ad uno sviluppo basato sulla
conoscenza delle diverse realtà che sono venute a convivere nella nuova Europa dopo i lunghi anni del «maledetto confine», per impostare ragioni, condizioni, prospettive,
ad un’integrazione necessaria per uno sviluppo «sostenibile»dell’area interregionale.
Ed è in questo contesto che si inserisce a pieno titolo il
nuovo «Programma per la cooperazione transfrontaliera
Italia – Slovenia 2007-2013, Obiettivo 3 cooperazione territoriale». Questo nuovo programma è stato approvato dalla
Commissione Europea nel dicembre del 2007 e vuole essere il principale strumento di cooperazione tra le comunità
locali lungo il confine, specificamente tra Italia e Slovenia
per i prossimi anni. È un notevole passo avanti rispetto al
programma Interreg appena concluso. In effetti i responsabili della Commissione Europea che hanno seguito l’evolversi del piano di cooperazione 2000-2007, sebbene ne
abbiano valutato positivamente il bilancio hanno dichiarato apertamente che nonostante alcuni progressi siano stati
fatti, «le tendenze sostenibili non si sono ancora invertite».
In parole più semplici, si è visto che sono state fatte innumerevoli iniziative transfrontaliere che avevano caratteristiche di specularità ma non di vera e concreta cooperazione; in pratica ciascuno portava avanti la propria iniziativa.
Il nuovo Obiettivo intende fare un passo avanti costringendo
ad un reale connubio tra i partner che intendono usufruire dei cospicui finanziamenti europei, che ammontano a
136 milioni 714 mila euro. Si tratta di un bando o di una
serie di bandi a cui possono partecipare tutti, enti pubblici e semplici privati; e sulla base di precisi criteri saranno
stabilite delle graduatorie: vincerà il migliore ed il finanziamento del progetto approvato verrà coperto integralmente con l’85% comunitario e, per l’Italia, con il restante
15% assicurato dallo Stato. Sono ben definiti gli obiettivi
specifici: assicurare un’integrazione territoriale sostenibile; aumentare la competitività e lo sviluppo di una società
basata sulla conoscenza; migliorare la comunicazione e la
cooperazione sociale e culturale, anche al fine di rimuovere le barriere persistenti; migliorare l’efficienza e l’efficacia
del Programma. I progetti potranno essere «strategici»
(sopra un milione di euro), «standard» e «piccoli» (tra15
ed i 50 mila euro) e tutti dovranno consistere in un progetto
unico integrato riguardante due aree transfrontaliere ed
avere un solo responsabile. Saranno valutati sul loro risultato duraturo e non occasionale, per la rilevanza nel raggiungimento degli obiettivi del programma ed in base alla
competenza dimostrata nel proporli ed organizzarli. Per
ognuno dei progetti una prima fase prevede la «manifestazione di interesse» o la «scheda progettuale» sulla base
di moduli da compilare con cura in cui è prevista la presentazione del progetto in tutte le fasi. I singoli progetti
saranno valutati da apposite commissioni ed in breve i «vincitori» saranno chiamati a produrre tutta la documentazione
di rito per passare rapidamente alle vie di fatto.
Va detto che l’Obiettivo 3 ha esteso notevolmente le aree
ammissibili e le regioni come il Veneto (Venezia, Rovigo,
Padova e Treviso) e l’Emilia Romagna (Ravenna e Ferrara)
non perdono tempo nell’attrezzarsi e predisporre grandi progetti di cooperazione. A guardare come le nostre realtà locali tra cui i comuni sloveni della provincia di Udine stanno
reagendo alla sfida comunitaria, vengono forti dubbi sulla
possibile riuscita del programma di cooperazione sul nostro
territorio anche in vista dei tempi stretti in cui bisognerà
rispondere con qualità e competenza ai bandi. Si tratta di
progettare “insieme” con partner d’oltre confine e di scegliere di responsabili che si fidino tra loro, perché o si riesce insieme o non se ne fa nulla. Il fatto che la stampa locale non abbia preso in qualche considerazione il convegno
di Gorizia del 1 ottobre e che i possibili fruitori dell’Obiettivo
3 di marca nostrana abbiano brillato per la loro assenza,
non è ancora indicativo dei possibili futuri sviluppi, ma è
quantomeno segno di un colpevole disinteresse.
Avere la tavola imbandita e non mettersi neppure in fila per
accedervi sarebbe un peccato di omissione che dovrebbe
passare alla storia. Sono avvertiti anche i nostri amministratori locali.
R.R.
(Dom, 15.10.2008)
MINORANZE
Un nuovo ponte tra italiani e sloveni
Nuova pubblicazione e sito internet frutto della colla borazione, nell’ambito del progetto Interreg ItaliaSlovenia MI.MA. «Le maggioranze conoscono le mino ranze» tra l’Istituto di ricerca sloveno-Slori e l’Unione
italiana.
La proficua collaborazione tra le comunità slovena in Friuli
Venezia Giulia ed italiana in Slovenia e Croazia ha portato a compiere un nuovo passo in avanti con l’uscita di un
nuovo opuscolo e l’apertura di un sito internet che offrono
una dettagliata panoramica su entrambe le realtà minoritarie. Le curatrici Zaira Vidali e Roberta Vincoletto, hanno
raccolto i dati sulle organizzazioni e sulle istituzioni, appartenenti alle due comunità, che operano in ambito scolastico,
mediatico, musicale, teatrale e ricreativo-sportivo come
anche sullo status di tutela delle due realtà minoritarie.
L’opuscolo e il sito internet (all’indirizzo www.slori.org/mima)
che, in versione bilingue italiano-sloveno, invitano alla conoscenza delle minoranze sono stati realizzati nell’ambito del
progetto Interreg MI.MA. «Le maggioranze conoscono le
minoranze», che è stato cofinanziato dall’Unione Europea
attraverso il bando Interreg III A Italia-Slovenia 2000-2006).
Tra ottobre 2006 e giugno 2007 si sono tenute 42 presentazioni di entrambe le minoranze presso le scuole
medie, medie superiori e presso i centri universitari della
maggioranza slovena nei comuni di Capodistria, Isola e
Pirano in Slovenia e di quella italiana nelle province di
Gorizia, Trieste e Udine in Italia, nelle quali convivono le
comunità nazionale italiana e quella slovena.
La pubblicazione ed il sito internet rappresentano un utile
ausilio pedagogico di promozione della conoscenza delle
minoranze tra gli studenti. Una popolazione scolastica per
la quale il presidente dell’Unione culturale economicaslovena-Skgz, Rudi Pavœi@, auspica l’acquisizione di entrambe le lingue che contraddistinguono il territorio in cui vivono. Un auspicio che può diventare realtà solo con il determinante contributo delle istituzioni statali italiane e slovene.
P. D.
(Primorski dnevnik, 27. 9. 2008)
TRIESTE-TRST
Vandali a Santa Croce
Scritte antislovene sulla segnaletica bilingue
Chi si dedica durante crepuscoli e nottate a rovinare a colpi
di vernice e spray segnali, cartelli e targhe cerca sicuramente di fare notizia. Ma l’inutile quanto patologica attitudine lascia, ormai, indifferenti le comunità colpite. Gli unici,
ormai, a soffrire per il reiterato vandalismo sono, soprattutto, i capitoli di bilancio dei Comuni colpiti, costretti, ormai,
con regolarità a impegnare nuovi quattrini per pulire o cambiare i cartelli lordati.
Sul tema giunge da Santa Croce l’ennesima segnalazione delle performance di vandali ignoti. Quasi ovunque lungo
le strade del cuore della frazione, lungo le strade laterali,
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 13
sulla Provinciale n. 1, la segnaletica stradale, specie quella bilingue, risulta rovinata da scritte ingiuriose rivolte alla
comunità slovena e dalla solita simbologia nazi-fascista.
In un tratto della strada che porta dal paese alla Strada
costiera, compaiono pure scritte contro Tito, sincronicamente vergate in un periodo dove le memorie sull’antifascismo e l’anticomunismo dono oggetto di revisione o riscatto a seconda del personaggio politico che le analizza. «verrebbe da dire che ci troviamo di fronte ai soliti burloni che
a più riprese, quest’anno, hanno preso di mira nei nostri
paesi lapidi, monumenti e i malcapitati segnali bilingui.
Invece – afferma il presidente della Circoscrizione Altipiano
Ovest Bruno Rupel – sono di nuovo le gesta immature e
per molti versi patologiche di persone che continuano a
prendersela con il patrimonio pubblico».
«I cartelli nel centro di Santa Croce e nei suoi dintorni –
continua Rupel – sono pieni di cancellature e sgorbi. E visto
che la comunità è territorialmente suddivisa tra i comuni
di Trieste, Duino Aurisina e Sgonico, i danni inferti risultano distribuiti tra le diverse amministrazioni. Sono operazioni
studiate a tavolino ed eseguite quando la brava gente riposa. Inerenti inutili, frutto di menti che è lecito pensare malate e intenzionate a rovinare quel clima di convivenza ormai
instaurato tra le diverse comunità che vivono sul Carso».
«Parliamoci chiaro – interviene Giorgio Ret, primo cittadino di Duino-Aurisina – questi passaggi “artistici” che continuano a rovinare le nostre segnaletiche hanno un costo
notevole. Dopo un paio di pulizie effettuate con specifici
prodotti, le tabelle si rovinano definitivamente e si deve sostituirle. Chi compie questi atti non si rende conto di quanto
i suoi prodotti risultino penosi e di come, ormai, la gente
se ne infischi». «quel che fa arrabbiare di più – aggiunge
Ret – è l’immagine scandalosa che diamo al forestiero. Il
turista di passaggio ci segnala quello che è di fatto un disservizio e se ne va altrove causando delle perdite ai nostri
operatori».
Sui fatti abbiamo sporto debita denuncia alle autorità competenti – informa il sindaco di Sgonico, Mirko Sardo@ –.
Spiace però spendere delle risorse per colpa di quei vandali che vaneggiano su di un passato ormai sepolto. È inimmaginabile chiedere ulteriori sforzi alle forze dell’ordine, che
già fanno tanto per questo territorio. Piuttosto è necessario investire per le generazioni future, curando con rigore
l’educazione civica».
Mauro Lozei
(Il Piccolo, 18. 9. 20009)
ROMA-RIM
Bla¡ina: intervenga il ministro dell’Interno
L’appello della senatrice slovena sulle scritte che
deturpano il Triestino, soprattutto la zona del Carso
occidentale
Il governo intervenga efficacemente contro gli atti vandalici che imbrattano monumenti, edifici, istituzioni pubbliche
e scritte bilingui e che, indirizzate contro la minoranza slovena, negli ultimi tempi si stanno manifestando soprattutto nella provincia di Trieste. Lo ha chiesto la senatrice slovena del Partito democratico, Tamara Bla¡ina, al ministro
degli Interni, Roberto Maroni.
Nella sua richiesta la senatrice sottolinea come, purtroppo, le scritte vandaliche non rappresentino una novità per
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 14
le nostre zone e come nelle ultime settimane il fenomeno
sia in aumento con scritte offensive, motti nazifascisti e simboli, rivolti contro gli sloveni e la Slovenia. Il fenomeno
preoccupa i sindaci ed altri organi locali, che si sono rivolti alle autorità competenti per un incremento dei controlli
nell’area interessata al fine di smascherare i vandali, tentativo per ora risultato vano. L’aggravarsi del fenomeno ha,
quindi, indotto la senatrice Bla¡ina a rivolgersi direttamente
al ministro degli Interni, Maroni, chiedendogli di prenderlo
in esame e di intensificare i controlli da parte degli organi
di sicurezza nelle località interessate.
Gli atti vandalici di matrice neofascista sono sempre più
frequenti soprattutto nella zona del Carso occidentale
(Santa Croce-Kri¡, Prosecco-Prosek, Contovello-Kontovel
e nel comune di Sgonico-Zgonik) dove evidentemente
opera un’organizzata banda di vandali, che conosce bene
il territorio. Nella zona di Santa Croce, dalla strada costiera a quella provinciale carsica, sono state imbrattate quasi
tutte le tabelle bilingui, mentre scritte antislovene sono state
fatte su alcuni edifici e addirittura sul manto stradale.
(Primorski dnevnik, 18. 9. 2008)
BASOVIZZA-BAZOVICA
Commemorati i quattro martiri sloveni
Furono giustiziati nel 1930 dal tribunale speciale
fascista
Si è tenuta domenica 7 settembre, sulla piana di Basovizza,
la manifestazione conclusiva di una serie di cerimnoie commemorative, celebrate in onore di Ferdo Bidovec, Fran
Maruœi@, Zvonimir Miloœ e Alojz Valen@i@, i quattro martiri
sloveni fatti fucilare nel 1930 da un tribunale speciale fascista. Sabato 6 settembre nella chiesa di Basovizza si è tenuta la messa, officiata dal parroco ˘arko Œkerlj, nel corso
della quale è intervenuto il poeta e operatore culturale di
Gorizia, David Bandelj, che ha evidenziato il sacrificio fisico e spirituale dei quattro martiri, che hanno sacrificato la
loro vita ad un ideale di giustizia.
Il giorno seguente, nel corso della cerimonia conclusiva
presso il cimitero di Sant’Anna accanto alla lapide dei quattro martiri, dopo il saluto il presidente del Comitato per la
commemorazione dei quattro eroi di Basovizza, Milan
Pahor, è intervenuta l’operatrice culturale e programmista
Rai, Alenka Florenin, la quale ha sottolineato il fatto che i
quattro martiri si sono battuti soprattutto per la salvaguardia della lingua slovena, il cui utilizzo era stato vietato dall’allora governo fascista a scuola e in pubblico. La
Florenin ha poi evidenziato come oggi la sopravvivenza e
lo sviluppo della lingua slovena dipendano soprattutto dalla
nostra capacità di valorizzarlo.
Alla cerimonia erano presenti i ministri sloveni all’Istruzione,
Milan Zver, e agli Esteri, Dimitrij Rupel. Quest’ultimo ha fatto
riferimento soprattutto alla situazione attuale dell’area della
fascia confinaria italiana, «che, sulla base dei principi che
governano la politica europea, sta conoscendo una progressiva apertura». Oggi l’Italia e la Slovenia, ha ricordato Rupel, sono impegnate nella soluzione di problemi comuni sotto un unico tetto europeo ed ha evidenziato la necessità di costruire un futuro responsabile superando il passato.
Di seguito è intervenuta la storica Alessandra Kersevan,
che ha condannato la mancanza di una memoria storica
in Italia per quanto riguarda i crimini di guerra dell’esercito italiano durante la seconda guerra mondiale e, soprattutto, l’indifferenza dimostrata in merito dai più alti rappresentanti dello Stato, quali il presidente della Repubblica,
Giorgio Napolitano. Con il suo intervento la storica ha sottolineato come l’antifascismo debba essere parte integrante
anche della società italiana soprattutto oggi quando l’incombente pericolo di un revisionismo storico minaccia di
imbarbarire la coscienza collettiva italiana.
Il parroco di Servola-Œkedenj, Duœan Jakomin, ha ricordato
i 25 anni di persecuzione fascista, tra le due guerre, nei
confronti degli sloveni del Litorale, ed ha sottolineato l’importanza del ruolo esercitato allora dal clero e dalla stampa cattolica nella salvaguardia della lingua e cultura slovene. Ha, inoltre, fatto riferimento alla lotta antifascista e
partigiana nel corso della seconda Guerra mondiale e alla
scissione ideologica che ha interessato la comunità slovena
nel dopoguerra. Una divisione che ne contraddistingue la
pluralità intrinseca e che, secondo Jakomin, non deve ledere l’unità d’intenti a beneficio della promozione e dello sviluppo della stessa comunità slovena in Italia.
Igor Gregori
(Novi glas, 11. 9. 2008)
VISCO
Il lager che rischia di diventare
un negozio di mobili
Il lager... «Innanzi tutto non era proprio un lager: era un
campo di concentramento...». Giuseppe Veteri, che a Visco
fa da trentacinque anni il medico e da un po’ meno il vicesindaco, ha idee chiare più sul futuro che sul passato del
suo paese. Lì, dove il fascismo nel 1943 internò tremila jugoslavi che aveva rastrellato a colpi di lanciafiamme, e molte
erano donne e centoventi erano bambini, lì dove stavano
filo spinato e torrette e scheletri, dove sfiniti ne morirono
«solo» venticinque perché poi arrivò l’8 settembre a liberare tutti, lì dove si sparava a vista e si faceva la fame nera
e raccontano i reduci che «gi lava al sanc in aga», il sangue andava in acqua, lì dove si consumò un pò di quella
pulizia etnica che a Gonars, Arbe, Monigo, Colfiorito uccise settemila slavi a lungo dimenticati dalla storiografia e
dalla retorica del buon soldato italiano, in quello lì che
insomma non era proprio un lager, il dottor Veteri s’è stufato: «Basta menare il can per l' aia e stare a controllare
ogni mattone, che cos' era del campo e che cosa no, perché mantenere quella roba sono un sacco di soldi che pesano sui contribuenti e almeno un pezzo bisogna alienarlo,
valutare le opportunità, trovare una destinazione...». Ma è
vero che avete variato il piano regolatore per dare la licenza a un mobilificio, a qualche palazzinaro, magari a un
magazzino merci che sfrutti la autostrada vicina?
«Fandonie, non abbiamo deciso niente. Stiamo solo valutando. Però qualcosa bisogna pur fare...». Dici lager e non
lo vedi, in effetti. Visco è quasi l’ultimo comune verso la
Slovenia, il terz’ultimo d’Italia per superficie: tre chilometri
quadrati. Ha 800 abitanti e lapidi e vie e indicazioni dedicate ai Caduti delle due guerre e al «Museo della civiltà
contadina» e all’illustre concittadino monsignor Antonino
Zecchini nunzio apostolico nel Baltico e alla «Società friulana di caccia a cavallo» e in un campo di grano c’è perfino una scritta che ricorda il villaggio di San Lorenzo spia-
nato dai francesi nel 1797. Ma uno straccio di cartello che
segnali i 130 mila metri quadrati del vecchio lager, no: non
esiste. Ai bordi del paese, il civico 32 di via Borgo Piave
oggi è un cancello automatico, un accesso vietato, lucchetti
e catene, un tavolo della Coca-Cola e l' insegna «Protezione
civile-sede comunale». Il vecchio corpo di guardia?
«L’abbiamo abbellito con le porte e le finestre d’alluminio
– dice il vicesindaco –, perché è la prima cosa che si vede
e magari invogliamo qualche investitore». E la torretta di
guardia? Tirata giù. Dove una volta c’erano le baracche dei
deportati, ora s’addestrano i cani da valanga. Le camerate, le cucine, la cappella: tutto abbandonato ai topi e alle
marcite. E l’unica lapide in ricordo di chi soffrì, data 2004,
sta laggiù in fondo. Lontana. Invisibile. L’oblìo è durato
decenni. Il lager, a Visco lo chiamano tutti «la caserma»:
dalla Liberazione al 1996, gran parte dello scempio l’ha fatto
l’Esercito italiano che ci teneva i carri armati. Un convegno nel 2000, qualche stanca cerimonia, una visita di
Luciano Violante: poco altro. Quando l’area è tornata al
Comune e la minuscola giunta di centrodestra ha pensato di venderla, però, la memoria s’è risvegliata. «È una vergogna, come chi voleva fare un hotel nello Spielberg o un
luna park alla Risiera di San Sabba – ha lanciato l’allarme
lo storico Ferruccio Tassini –. È un luogo di valore.
Addestrereste i cani ad Auschwitz? O ci mettereste dei
negozi? A parte qualche magazzino, le strutture del lager
sono rimaste. Qui sono nate le poesie slovene di Ivo
Gruden, qui dentro è risorto il battaglione Orien, protagonista della resistenza in Montenegro. Vengono da tutti i
Balcani, per vederlo. Facciamo un museo del confine, piuttosto». La protesta è partita da un’associazione cattolica
italo-slovena, dalle Acli, dall’università di Gorizia, ha investito la Regione Friuli e la Sovrintendenza dei beni culturali. Primo risultato: la speculazione su una piccola parte
dell’area, 20 mila metri quadrati, è congelata. Da Trieste
c’è l’adesione di Boris Pahor, il Primo Levi dell’olocausto
sloveno: «Spero che la Sovrintendenza vincoli tutta l’area
– dice lo scrittore di Necropoli –. Bisogna evitare vendite
inconsulte. La salvaguardia di queste memorie ha una
valenza che va oltre il dato nazionale. Io fui deportato nei
campi nazisti e so quanti memoriali hanno allestito le autorità tedesche. Vorrei potermi complimentare anche con chi
si preoccupa di tutelare il ricordo qui da noi». Racconta il
professor Tassini che un giorno s’è fatta una commemorazione, a Borgo Piave. È arrivata una bella signora da
Osoppo, pochi chilometri. Aveva un mazzo di fiori: «Sono
felice. Di questo posto, non parlava più nessuno. E quando dicevo che a 16 anni ero stata in un lager a Visco, non
mi credevano neanche i miei parenti. Passavo per matta.
E invece i matti erano loro».
Francesco Battistini
(Corriere della Sera, 17. 9. 2008)
VISCO
Sul lager si è rotta la cortina di silenzio
Sempre più articoli e trasmissioni si interessano al
campo di concentramento per jugoslavi.
Interrogazione di Rosato
Se ne parla. Eccome se ne parla! Con il Corriere della Sera,
a firma di Francesco Battistini, che aveva indicato al Paese
lo scandalo di un campo di concentramento per Jugoslavi
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 15
(1943), che rischia di sparire, insultato da discariche, centro allenamento per cani, scotennamento di edifici storici,
ambiente naturale, con intenzioni di vendita, l’interesse si
è risvegliato in ambito locale, nazionale, sloveno e croato. Brividi di novità c’erano: tivù italiane e slovene ne avevano parlato per la presenza, tra gli internati, di pittori, poeti,
e personaggi militari jugoslavi di spicco. Un convegno internazionale, in maggio, con il Gasparini di Gradisca, Acli di
Romans, Terre sul Confine di Visco, con Concordia et Pax
e associazioni italiane e slovene, aveva indirizzato messaggi accolti da ambienti sloveni e croati. La politica si era
fatta viva con la sola voce del deputato del Pd Ivano
Strizzolo (interrogazione al ministro dei Beni culturali), altri
pensano che paghi la politica della scopa: cacciare la polvere sotto il tappeto. Di ciò ha parlato Boris Pahor: intellettuali con le carte a posto, politici non a posto con la storia.
Ora anche il deputato, sempre del Pd, Ettore Rosato ha
presentato una interrogazione al ministro Bondi chiedendo un suo intervento «per scongiurare eventuali speculazioni sull’area» e di agire «per trasformare l’ex campo di
concentramento in un museo del confine e per ricordare
alle future generazioni i disastri prodotti dalla pulizia etnica». Nell’interrogazione, Rosato ricorda al ministro Bondi
che «fra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l'esercito italiano misero in atto un sistema di campi
di concentramento in cui furono internati decine di migliaia
di civili jugoslavi, tra sloveni, croati, serbi e montenegrini.
Il lager di Visco ospitò circa 3000 persone, tra cui 120 bambini e molte donne. Il lager sorgeva su una superficie di
130 mila metri quadrati, nella ex caserma Borgo Piave».
«Ma per chi arriva a Visco – scrive Rosato – è impossibile trovare questo luogo. Nessun cartello,nessuna insegna
indicano il lager». «Le camere,le cucine, la cappella versano in uno stato di degrado e abbandono. Dalla
Liberazione al 1996, – aggiunge il parlamentare del Pd –
il campo di Visco è stato impiegato dall'esercito italiano che
vi ha tenuto carri armati.
L’area è poi tornata al comune di Visco e ora la Giunta
comunale di centrodestra è in procinto di cederla a un mobilificio o a qualche imprenditore del mattone».
Se nell'ambito della Soprintendenza, per la posizione sulla
tutela del campo, si delega a Roma (Roma locuta, causa
finita!), c’è chi si interessa: il giornale di strada Terre di
Mezzo, con un articolo di Ilaria Sesana; l’agenzia Adista;
il giornale croato Glas Istre, (saggio di Elio Velan)
Intervento notevole quello di radio Popolare (Milano) che
racconterà le vicende del campo. Da 10 anni si punta a
creare, in un luogo da 5 secoli sul confine, un centro di ricerca per spiegare ciò che sosteneva, già nel Quattrocento,
il re d’Ungheria, Mattia Corvino: «Una terra di una sola lingua e di un solo popolo è fragile!»
Ferruccio Tassin
(Il Gazzettino, 28. 9. 2008)
VISCO
No al centro commerciale
Il presidente della Skgz, Rudi Pavœi@, ha scritto a
Napolitano perché si eviti lo scempio di questo luogo
della memoria
Il campo di concentramento di Visco (Udine), lager dell'eSLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 16
sercito italiano che tra il 1941 e il 1943 ha ospitato circa 3
mila sloveni e croati, rischia di diventare un centro commerciale. Di questo ne hanno parlato anche alcuni media
nazionali rimarcando i disastri prodotti dalla pulizia etnica
fascista. Fra il 1941 e l'8 settembre del 1943 il regime fascista e l'esercito italiano misero in atto un sistema di campi
di concentramento in cui furono internate decine di
migliaia di civili jugoslavi, in particolare sloveni e croati, oltre
a serbi e montenegrini. Nel lager di Visco furono rinchiusi
moltissimi bambini e donne.
Riguardo a questa vicenda il presidente dell’Unione culturale economica slovena –Skgz, Rudi Pavœi@, la maggiore delle organizzazioni rappresentative della comunità slovena del Friuli Venezia Giulia, ha scritto al Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano.
Nella missiva Pavœi@ evidenzia come le vicissitudini storiche hanno messo a dura prova gli Sloveni in Italia che
hanno subito soprattutto le conseguenze dell'odio fascista
durante il ventennio più buio della storia italiana. Nonostante
ciò non hanno mai ceduto all'odio ed alla discriminazione
razziale, dimostrando una forte volontà nella difesa della
propria identità, della propria lingua, della cultura e dei diritti sociali. Il prezzo che il popolo sloveno ha pagato per difendere i valori della libertà e della democrazia è stato molto
alto.
Molti degli appartenenti alla comunità slovena sono stati
deportati nei vari campi di concentramento e campi di lavoro sparsi in tutta Europa. Lo scrittore Boris Pahor ne è una
testimonianza vivente.
Il fascismo ed il nazismo hanno scritto anche sulla pelle
degli Sloveni le pagine più buie della storia mondiale, mietendo soprattutto vite di vittime innocenti. Rab (Arbe), Visco,
Gonars e molti altri campi di concentramento rimarranno
nella storia come simboli della negazione della dignità
umana. L'opinione pubblica internazionale ha indicato questi fatti tra i più feroci accanimenti verso l'essere umano,
la cui genesi va ricercata proprio nel nazismo e nel fascismo.
Senza il fascismo non ci sarebbero state le persecuzione
degli Sloveni. Senza il nazismo ed il fascismo non ci sarebbe stata la seconda guerra mondiale e le sue ripercussioni successive.
Gli Sloveni sono stati vittime di questi orrori. Insieme agli
ebrei ed ai rom erano inseriti negli elenchi dei popoli da
annientare. Pavœi@, nella lettera al presidente Napolitano,
esprime inoltre la preoccupazione che assilla le forze democratiche slovene ed italiane in merito agli avvenimenti di
Visco ed esprime la convinzione che dal Quirinale si dovrebbe intercedere, affinché questo simbolo della sofferenza
di migliaia di esseri umani venga risparmiato e protetto.
(www.skgz.org)
KOPER-CAPODISTRIA
Il volto del Litorale è il volto della slovenità
Celebrato l’anniversario del ritorno del Litorale alla
Slovenia
Si è svolta recentemente a Capodistria, in Slovenia, la cerimonia per celebrare l’anniversario del ritorno del Litorale
alla Slovenia, alla presenza di alti rappresentanti del gover-
no sloveno, con il presidente Danilo Türk e il presidente
del Consiglio Janez Janœa. Nel suo intervento quest’ultimo ha toccato i punti principali e più dolenti che hanno contraddistinto la storia del Litorale sloveno all’inizio del secolo scorso, quando il distacco dalla madre patria non ha intaccato in alcun modo la consapevolezza dell’appartenenza
al popolo sloveno. In questo contesto s’inserisce la coraggiosa ribellione dell’organizzazione antifascista Tigr e dei
quattro martiri di Basovizza. «I lunghi anni vissuti sotto l’oppressione fascista ha rafforzato il senso di unità tra gli sloveni del Litorale. Anche per questo motivo qui non c’è stata
guerra fratricida».
Nonostante la sconfitta del nazifascismo, all’indomani della
seconda Guerra mondiale, con il Trattato di pace di Parigi
il territorio etnico sloveno è stato oggetto di una netta divisione tra l’Italia e l’allora Jugoslavia, quest’ultima privata
della zona d’oltre confine. Janœa ha, quindi, sottolineato l’importanza di una politica rispettosa ed attenta della
Repubblica slovena verso la coscienza nazionale non solo
degli sloveni che vivono al suo interno, ma anche dei connazionali d’oltre confine dalla Slavia friulana-Bene@ija a
Resia-Rezija ed alla Val Canale-Kanalska dolina.Da qui
Janœa ha ribadito che la caduta del confine tra Italia e
Slovenia ha riunificato il comune spazio culturale sloveno,
per il quale l’evento ha schiuso nuove e ricche opportunità,
delle quali non ci rendiamo ancora conto e che ci inducono a voltare pagina.
A questo proposito Janœa ha ricordato la realizzazione di
uno dei più importanti progetti, che hanno caratterizzato il
semestre di presidenza sloveno dell’Unione Europea, e cioè
l’istituzione dell’Università dell’Europa mediterranea, passo
che conferisce ulteriore visibilità alla Slovenia anche in ambito universitario e che in futuro potrebbe fare da portavoce
del dialogo interculturale.
Nel suo intervento Janœa ha evidenziato anche la continua
crescita del Litorale sul piano economico e turistico, che
ne fanno una delle aree più sviluppate della Slovenia forte
di un crescente progresso e di un basso tasso di disoccupazione.
Janœa ha, quindi, affermato che la Slovenia dispone di tutti
i criteri utili, anche per quanto riguarda i livelli delle paghe
e delle pensioni, per raggiungere entro il 2015 gli standard
europei.
Janœa ha, inoltre, dedicato particolare attenzione allo scrittore sloveno di Trieste Boris Pahor, che ha definito «grande sloveno e democratico», simbolo della consapevolezza nazionale di quest’area. Il premier sloveno ha poi fatto
riferimento agli altri uomini di cultura e forum intellettuali
(le giornate di studio Draga e il premio letterario Vilenica)
che come oggi, anche in passato hanno contribuito ad illuminare il difficile percorso, attraverso la storia, del popolo
sloveno. (…)
I.G.
(Novi glas, 18. 9. 20008)
Quest’anno si celebra il 500° anniversario della nascita del riformatore sloveno
CULTURA
Per crescere e maturare «stati inu obstati»
Primo¡ Trubar, il riformatore che ha conferito allo sloveno la dignità di lingua d’Europa
I
l motto arcaico Stati inu Obstati – Alzarsi ed Esistere –
posto nel cerchio interno della monetazione slovena da
1 Euro a contornare l’effigie di Primo¡ Trubar, sembra
poter essere il motto della Slovenia per l’intero 2008. In quest’anno infatti non solo cade il semestre della presidenza
slovena dell’Unione Europea, ma si celebra anche il cinquecentesimo anniversario della lingua slovena, o meglio,
della nascita di Trubar (1508 a Ra?@ica nella Dolenjska)
che allo sloveno ha conferito la dignità di lingua d’Europa
e che con rammarico lo stesso presidente sloveno Danilo
Türk nota come «Slovenci œe vedno ne poznamo dovolj
Primo¡a Trubarja in vseh vidikov njegovega dela» (il testo
completo in www.trubar2008.si ).
Molto prima della miope creazione dei confini e del successivo, liberatorio quanto tardivo abbattimento degli stessi, i confini non esistevano: ancora una volta, leggendo le
memorie di allora, italianità e slovenità si mescolano libere tra loro, paritetiche e in eguale misura. Così il nome di
Primo¡ Trubar si affianca con naturalezza a quello di Pietro
Bonomo: sloveno l’uno, italiano l’altro; seminarista l’uno,
vescovo l’altro. Ma le apparenti differenze in questo caso
non creano duelli bensì duetti e il vescovo Bonomo darà
al neo-sacerdote Trubar (l’ordinazione avvenne nel 1530)
la possibilità di predicare in sloveno a Laœko, una delle
Chiese diocesane, e quest’ultimo in una lettera da lui scritta anni dopo, nel 1557, ricorderà con nostalgia e positività
i tempi costruttivi passati del seminario: «A Trieste sono
stato educato nei miei anni giovanili dal vescovo Pietro
Bonomo, poeta e uomo piissimo».
Strana storia quella che ha suggellato e intrecciato le vite
di Bonomo e di Trubar. Entrambi in odore di protestantesimo (Bonomo evitò di prendere posizioni rigide a tale proposito, chiamando a predicare a Trieste religiosi come
Giuseppe della Rovere, inquisito nel 1538, o fra Giovanni
da Cattaro, anch’egli predicatore cattolico ma convertito alle
idee della Riforma, mentre Trubar, scomunicato successivamente nel 1548, già all’epoca del suo soggiorno salisburghese era entrato in contatto con le presunte ventate
di novità che la predicazione protestante aveva iniziato a
diffondere).
Entrambi dotati di una apprezzabile e lungimirante capacità nel cogliere l’essenza vera della realtà circostante e
tesaurizzarla anziché disperderla o ignorarla (Bonomo cercò
di promuovere e utilizzare lo sloveno come ulteriore spinta di inculturazione, come si direbbe oggi; Trubar colse al
volo l’opportunità istituzionalizzando lo stesso sloveno attraverso quelle regole che fanno compiere ad un idioma il salto
di qualità per diventare lingua, vale a dire le regole della
grammatica).
Nel 1550 nasce lo sloveno. Abecednik, il libro pubblicato
da Trubar a Tübingen servendosi della grafia glagolitica,
ne sancisce la nascita, trasformando una realtà geograficamente frammentata e dialettale quale era quella dell’epoca in uno standard linguistico che potesse essere finalmente sovra-regionale: «Lubi Slovenci!» sono le parole con
cui inizia la sua opera di codificatore della sua lingua, quelSLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 17
lo sloveno dedicato alla sua terra, al suo popolo, quel
«dobro, dostojno, zvesto, resnicoljubno, pokorno, gostoljubno in milo ljudstvo». Gli altri libri di Trubar (Katekizem, sempre del 1550, o Ta Evangeli svetiga Matev¡a del 1555 o
Ena molitov dello stesso anno o Ta prvi dejl tiga noviga
testamenta del 1557, solo per citare i primi quattro dei venticinque pubblicati) daranno una ulteriore spinta alla lingua
letteraria, ma quello che doveva nascere era già nato.
Una riflessione sembra doverosa: senza l’opera di Trubar
la stessa realtà slovena potrebbe oggi essere molto diversa. Senza una forte identità storica e nazionale – anche
determinata da una unica appartenenza linguistica – è infatti probabile che le realtà locali (numericamente e politicamente più forti) in cui le comunità slovene si venivano man
mano ad inserire avrebbero potuto dare luogo a processi
di assimilazione tali da rendere difficile una sopravvivenza non solo etnica ma anche linguistica.
L’eredità di Trubar e dei suoi collaboratori nel codificare i
canoni dello sloveno letterario è oggi incontrovertibile e di
primissimo piano non soltanto nell’ambito linguistico ma,
se mi è permesso, anche per il suo determinante contributo alla creazione di un più ampio panorama all’interno
dell’Europa. Per dirla usando una fraseologia in voga: la
sua opera è servita a preservare una diversità culturale
all’interno di un dialogo interculturale.
Stati inu Obstati non deve essere dunque considerato solo
il motto di Primo¡ Trubar, dai cui ideali si è originato e al
cui interno egli ha voluto trasferire il suo particolare modo
di essere e di pensare: è anche e soprattutto quell’insieme di valori la cui attuazione permette di crescere e maturare. Indipendentemente che si sia nazioni, lingue o individui.
Massimo Baldacci
(Dom, 30. 9. 2008)
L’INTERVENTO
Trubar, un esempio attuale
Pubblichiamo l’intervento tenuto dal professor Guglielmo
Cerno, presidente della Biblioteca nazionale slovena e degli
studi di Trieste, all’inaugurazione della mostra su PrimoÏ
Trubar (padre della lingua scritta slovena, ndr.), allestita,
e aperta al pubblico fino al 10 ottobre, presso il Centro civi co a Cividale. Promotori della mostra sono il Circolo cul turale Ivan Trinko, l’Unione culturale economica slovenaSkgz, la Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso,
La Biblioteca nazionale e degli studi di Trieste, il Consolato
generale sloveno a Trieste, l’Istituto Parnas e Trubarjevi
kraji (I luoghi di Trubar).
Dopo 500 dalla sua nascita la Benecia ricorda PrimoÏ
Trubar, nato nel 1508 a Raœica, nella Carniola inferiore. Fu
sacerdote, predicatore che stampò i primi libri in lingua slovena. In tempi spogliati di voce interpretò la religione come
fatto liberatore. Non tradì la lingua della sua terra, affermò
l’idea di sé e la preghiera slovena intonata per gli Sloveni
come opera di Dio, come trave portante che libera il messaggio, che disincaglia la parola della madre che è in casa.
Diede il nome al popolo sloveno. Spartì il vivere vivo degli
Sloveni come conforto con la lettura che fa luce ai pensieri.
Studiò a Fiume, a Salisburgo, a Trieste invitato dal vescovo Pietro Bonomo. Cantò nella cattedrale di San Giusto.
Predicò della sorgente di Dio a Gorizia in sloveno, italiaSLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 18
no e tedesco.
Ordinato sacerdote e nominato canonico nel duomo di
Lubiana, propose il canto di preghiera per la comunità nella
lingua del popolo. Fu allontanato, confinato, si salvò con
la fuga. Pensando alla patria lontana compilò e stampò nel
1550 il Catechismo come breve insegnamento grazie al
quale oggi l’uomo può arrivare al paradiso, ed un abbecedario dedicato da amico a tutti gli Sloveni. Questi due
volumetti sono i primi libri stampati in lingua slovena.
Con successive pubblicazioni di vangeli e testi di fede cercò
di risolvere il problema della lingua unitaria. Destò pure l’idea dell’unitarietà politica ed istituzionale, della parità linguistica. Portò la Slovenia nella coscienza della storia
d’Europa. Ma il potere volle ossequio; ordinò di confiscare i libri e di bruciarli. S’impegnò ad annullare l’ascolto di
quella voce.
Fu una storia scarruffata, una storia che si agita ancora nella
Benecia, che ripiglia il volo pure oggi nelle Valli di Resia,
del Torre, del Natisone e del Fella. Nella storia si aizza contro la lingua slovena – tatuata come “sacrilega” per difendere l’“italianità” che non è in pericolo. Gli intolleranti sbilanciano la realtà, sostengono l’ignoranza, cercano l’asfissia
e la morienza dei dialetti sloveni e della lingua della casa
slovena. Agitano un conflitto linguistico che si protrae da
oltre un secolo «onde sia tolta ogni traccia di derivazione
straniera agli abitanti». Vogliono togliere la capacità di contare e cercano di far sparire «come macchie linguistiche»
la cultura ereditata, poiché per anni la gente ha taciuto e
bevuto i sorsi amari dell’intolleranza.
Questi furiosi politici come oltre cent’anni fa Morpurgo,
Fracassetti ed altri riprendono a vociare perché la lingua
della Slavia «sia un dialetto rustico locale non lingua scritta, la quale miri a costituire un vincolo nuovo fra genti disperse». In tal modo è salvo il tricolore «fra queste genti – dedite al lavoro e resistenti alle fatiche – che hanno tanta spontanea facilità a parlare le lingue».
Dalla notte, dal sottoterra riportano alla luce Quintino Sella
che nel 1866 dichiarava ed additava: «Il Friuli è per l’Italia
una sentinella avanzata che bisogna subito munire di un
fortino che sia armato di armi a lunghissima portata come
sono le cattedre e gli utili insegnamenti». Con queste bandiere gli sradicati sradicano con lo stesso fervore come negli
anni Cinquanta, quando nell’ultimo borgo disertato sostituivano negli asili le madri naturali con madri stipendiate
per abbacinare al culto della Patria, per esiliare le parole
slovene che fiorivano nella madre nativa. Da smemorati
fanno erompere proposte che hanno la morte dentro.
Propongono la tutela del resiano, del ponasciano (po
naœem), del natisoniano, perché sanno che qui la lingua
muore.
Negano l’avvenire, defraudano la dignità della gente che
ancora usa lo sloveno per disperdere un tesoro che va
donato a tutti con gratuità.
Sollevano ostracismi ben conoscendo la Slavia, carica di
ferite della storia. Limitano i tempi d’Europa. Sono faccendieri della politica che affermano le loro furiose ideologie! Da anni feriscono i paesi sloveni dal Fella al Natisone.
Fanno emigrare coloro che cantano canzoni d’avvenire sul
caldo delle porte di casa. Emarginano la voce slovena che
parla. Non vogliono uguali, ma inferiori. Ma la divisa e le
corone ai monumenti non portano la libertà. Nel 1873
Graziadio Isaia Ascoli scriveva che la condizione dei ragazzi bilingui è «una condizione privilegiata nell’ordine dell’intelligenza. Favorisce una larga formazione intellettuale, orientata verso un ideale di fraternità». Voi potenti, che
non abitate la nostra terra, che avete preso i nostri voti,
ritirate la quaresima delle vostre proposte di legge, restituiteci il vivere, lasciate che i cori sloveni cantino. Da queste parti nessuno vi negherà un bicchiere, se ascolterete
le parole che non vorrete ascoltare. La vita non è mai contro la vita degli altri. Siate la speranza del domani.
Guglielmo Cerno
(Novi Matajur, 2. 10. 2008)
RESIA - REZIJA
Festeggiati i 25 del Rozajanski dum
Da venerdì 26 a domenica 28 settembre il Circolo culturale sloveno Rozajanski dum ha festeggiato i suoi 25 anni
di attività. Sorto nel 1983 con l’intento di promuovere e valorizzare il patrimonio culturale locale e soprattutto linguistico, il circolo vanta un curriculum ricco di attività, tra le quali:
corsi di ortografia e grammatica resiane (dal 1999 al 2005),
corsi di resiano nelle scuole locali (dal 1985 al 2007), pubblicazioni bilingui varie (libri, calendario resiano, semestrale
“Naœ Glas – La nostra voce”, ecc.). Oltre a queste e ad altre
attività ha anche collaborato al progetto “Spoznati Rezijo”,
attualmente a gestito dal Parco Naturale delle Prealpi Giulie.
Attraverso questo progetto, avviato nel 1991 dalla Zveza
slovenskih kulturnih druœtev/Unione dei Circoli Culturali
Sloveni – sede di Resia, si vuole fare conoscere le particolarità culturali locali ai visitatori di lingua slovena, di anno
in anno sempre più numerosi ed attratti principalmente dalla
cultura locale e, in particolare, dal dialetto, dalla musica e
dal ballo. Si è notato che questo tipo di “turismo” stimola
negli operatori locali coinvolti un continuo approfondimento della propria parlata locale nonché degli altri aspetti legati ad essa quale è, per esempio, il patrimonio orale (favole, filastrocche, canti, ecc). Non meno importante, per una
realtà come la Val Resia, è anche il risvolto economico che
ne consegue.
Esperienze analoghe a quella in corso a Resia troviamo
anche a Timau e a Sauris, visitate da tedeschi, e nella
Vallata Amendolea, in Calabria, visitata da greci.
In questo contesto s’inseriscono i festeggiamenti iniziati
venerdì 26 ottobre, in occasione della giornata europea delle
lingue, con la presentazione presso la casa della cultura
«Ta Rozajanska Kulturska hiœa» a Prato di Resia della pubblicazione «Tre vallate tre culture» con immagini di Santino
Amedeo e con testi di vari autori. Il libro presenta la Val
Resia, la Val Sarmento (Basilicata) abitata dalla comunità
arberesh e la Vallata dell’Amendolea (Calabria) abitata dalla
comunità grecanica. L’autore si è avvalso della collaborazione del fotografo Giuliano Doriguzzi per la scansione delle
fotografie, mentre la sezione introduttiva della pubblicazione
è stata currata da rappresentanti delle tre comunità minoritarie: l’ex sindaco di Resia, Luigi Paletti, l’insegnante e
consigliere comunale Costatino Albanese e Mario Cafaro
e l’addetto alla cultura e lingue minoritarie presso il comune di Bova Marina, Tito Squillaci.
Il numeroso publico, tra cui era presente anche il prefetto
di Tolmino, Zdravko Likar, ha avuto così modo di conoscere
le tre comunità linguistiche: quella resiana insediatasi alle
pendici del monte Cnin nel 6° secolo, l’arberesch presente in Basilicata dal 16° secolo e quella greca in Calabria
dall’11° secolo.
La legge di tutela 482/99 è stata di grande supporto alle
tre le comunità per la conservaziione delle proprie lingua
e cultura. A questo proposito l’ex sindaco Luigi Paletti ha
fatto riferimento anche alla polemica sulla derivazione slovena del resiano, le cui origini slovene sono state peraltro
sottolineate da numerosi esperti, di fama internazionale,
che nel corso degli anni sono intervenuti sull’argomento.
Nel corso della serata sono, inoltre, intervenute il presidente
del Rozajanski dum, Luigia Negro, e poetessa Silvana
Paletti che ha letto alcune sue poesie scrite in resiano ed
in italiano.
Per l’occasione è stata allestita anche una mostra, che
resterà aperte presso la sede del Parco delle Prealpi Giulie
per tutto il mese di ottobre, con immagini, oggetti tipici e
pubblicazioni delle tre vallate.
Sabato 27 settembre è stata la volta del convegno sul tema
«Lingue e turismo - Le varianti locali delle lingue minoritarie come elementi di richiamo turistico» (sul quale verte
l’articolo successivo, ndt.), mentre domenica 28 settembre
la baita alpina a Stolvizza/Solbica ha ospitato i festeggiamenti finali con musiche, balli, prodotti tipici e prelibatezze delle tre vallate (Val Resia, Val Sarmento e Vallata
Amendolea).
Gli eventi in programma sono realizzati con la collaborazione diretta della Regione Friuli Venezia Giulia – Direzione
Centrale istruzione, cultura, sport e pace; con la partecipazione della Comunità Montana del Gemonese, Canal del
Ferro – Val Canale, del Comune di Resia, del Parco
Naturale delle Prealpi Giulie, della Zveza slovenskih kulturnih drustev/Unine dei circoli culturali sloveni, dell’Istituto
per la Cultura Slovena, dell’Ecomuseo Val Resia e con il
patrocinio dei Comuni delle Vallate del Sarmento e
dell’Amendolea nonché dei comuni di Paluzza e Sauris.
RESIA
La comunità mantenga vivo il resiano
A Prato di Resia il convegno su lingue minoritarie
e turismo
Il Circolo culturale resiano Rozajanski dum, che ha raggiunto quest’anno il suo 25° anno d’attività, ha organizzato in occasione della Giornata mondiale del turismo a Prato
di Resia il convegno «Lingue e turismo. Le varianti locali
delle lingue minoritarie come elementi di richiamo turistico». L’intento era quello di promuovere un momento di
incontro e di scambio delle esperienze in corso nonché una
valutazione delle opportunità ma anche dei problemi e la
loro eventuale soluzione.
Al convegno hanno partecipato operatori culturali della
Vallata dell’Amendolea in Calabria (Tito Squillaci, delegato alla cultura e alle lingue minoritarie del Comune di Bova
Marina), dove vive la comunità grecanica, della Vallata del
Sarmento in Basilicata (Rosangela Palmieri, direttrice del
Museo della cultura albanese di San Paolo Albanese e
Anna D’Amato, già dirigente del gruppo folkloristico di San
Costantino Albanese), abitata dalla comunità arbëreshe,
del Friuli dove vive a Timau e Sauris la comunità tedesca
e a Resia quella slovena (gli operatori Velia Plozner per
Timau, Lucia Protto per Sauris e Sandro Quaglia per Resia).
I lavori sono stati introdotti da Marco Stolfo, direttore del
Servizio Identità linguistiche, culturali e corregionali all’estero della Regione e vi hanno partecipato anche Massimo
Duca, direttore dell’Arlef e Franco Finco, esperto di toponomastica, che hanno parlato delle opportunità che offre
l’uso della lingua friulana nel marketing e nel turismo, menSLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 19
tre ha concluso i lavori Roberto Dapit, docente
dell’Università degli studi di Udine.
I singoli operatori culturali si sono, invece, soffermati sulla
presentazione delle proprie esperienze ed eventuali problemi nel campo del turismo linguistico, di particolare interesse sono stati gli interventi di Stolfo e Dapit, chiamati ad
aprire e concludere i lavori.
Il direttore del Servizio identità linguistiche, culturali e corregionali all’estero ha proposto alcune riflessioni teoriche
ed alcuni esempi pratici aventi per oggetto il rapporto che
intercorre tra una determinata comunità territoriale caratterizzata dall’uso di una lingua in condizione di minoranza e la sua tutela, la promozione economica, sociale e culturale della comunità stessa, del suo territorio e dei propri
prodotti, sia materiali che immateriali, con un’attenzione particolare all’offerta turistica.
Stolfo ha sottolineato il fatto che una lingua non può esistere se non viene parlata e scritta e se è percepita come
qualcosa di poco valore ed è per questo motivo che sono
importanti le leggi di tutela delle minoranze e delle loro lingue. Queste leggi devono garantire l’uso della lingua e lo
sviluppo della comunità, devono permettere alle persone
di poter vivere parlando e scrivendo nella propria lingua e
creare nuovi posti di lavoro.
La tutela di queste comunità non favorisce solo gli appartenenti alla comunità stessa, ma tutta la popolazione.
Spesso le minoranze vivono in aree marginali dal punto di
vista socio-economico, dove c’è un alto tasso di emigrazione (a Resia per esempio). Vivere in aree isolate ed emarginate non è facile, ma d’altra parte dà anche la forza per
mantenere la propria specificità che offre un valore aggiunto, un’attrattiva in più. Perchè se è vero che c’è nel mondo
una tendenza alla globalizzazione e all’uniformazione, c’è
dall’altra parte anche una ricerca di elementi distintivi che
possano far riconoscere un determinato territorio all’esterno.
L’offerta turistica è la modalità migliore per promuovere
tutti gli aspetti di un determinato territorio (paesaggio, natura, prodotti enogastronomici, cultura, musica ecc.) e l’uso
della propria lingua è un modo per far riconoscere ed
apprezzare all’esterno il territorio e i suoi prodotti, ad esempio con il suo uso per la denominazione dei prodotti, nella
comunicazione promozionale, per l’etichettatura dei prodotti,
per la cartellonistica toponomastica, direzionale, istituzionale e informativa. La lingua diventa così oggetto di attrattiva e di interesse per il turista.
Il docente universitario Roberto Dapit vede positivamente
le esperienze locali di turismo linguistico, ma avverte il pericolo che queste piccole comunità linguistiche possano »trasformarsi in un museo«.Le opportunità di sviluppo offerte
dal turismo linguistico sono dunque importanti, ma la comunità locale deve impegnarsi a mantenere viva la sua cultura e la sua lingua, altrimenti sarà tutto inutile.
Per quanto riguarda la situazione del resiano che Dapit
conosce molto bene, le competenze linguistiche sono ad
un livello molto basso. Il resiano viene parlato solo dal 10%
della popolazione scolastica. Anche la letteratura resiana
è più conosciuta al di fuori della vallata che a Resia. Autori
importanti come Silvana Paletti e Renato Quaglia che qualche tempo fa si è anche esibito davanti al Presidente della
Slovenia, sono pressoché sconosciuti a Resia. Nelle scuole e nelle famiglie si fa, secondo Dapit, troppo poco per mantenere viva la lingua resiana. È giusto mantenere vive le
tradizioni del passato, ma bisogna anche pensare al futuro. Una mitizzazione eccessiva del passato non va bene.
Bisogna migliorare la formazione dei giovani resiani e creare opportunità di lavoro per fare in modo che rimangano
SLOVIT N° 9 del 30/9/08 pag. 20
nella valle. Bisogna continuare con la tradizione locale, ma
incentivare anche l’apprendimento delle altre lingue,
soprattutto quelle più vicine. I resiani, per i quali la lingua,
la musica e le danze sono veicolo di informazione e di conoscenza, ad esempio non conoscono quasi nulla del mondo
sloveno, il che è tutt’altro che positivo.
T.G.
(Novi Matajur, 2. 10. 2008)
S. PIETRO AL NAT. - ŒPIETAR
Ricordata la Giornata europea delle lingue
«La parola, privilegio dell’essere umano, che ci dona gioia
nell’esprimerci ed il piacere di comunicare, ha mille suoni
diversi che con buona volontà siamo in grado di decodificare appropriandocene. Parole e suoni diversi eccheggiano
in Europa sommergendola di vivacità armoniosa, vivacità
che il Friuli ben conosce essendo punto d’incontro delle tre
grandi culture europee le cui frange nella nostra terra convivono. È questa grande ricchezza che rende la nostra
Regione “speciale” e a noi cittadini, già assuefatti al confronto con altre lingue e culture, spiana la strada per quell’integrazione necessaria affinché l’Europa sia veramente
l’Europa dei popoli. È su questa strada che l’Istituto per la
cultura slovena cammina verso il futuro, col prezioso bagaglio linguistico e culturale più che millenario, tramandatoci dai nostri avi, tutelandolo ed arricchendolo, favorendo
l’apprendimento dello sloveno, lingua madre dei nostri dialetti. Impara le lingue amandole e lavora con noi per preservare e valorizzare la tua bella eredità!».
Con queste parole la presidente dell’Istituto per la cultura
slovena, Bruna Dorbolò, si è rivolta ad alunni e studenti in
occasione della Giornata europea delle lingue, proclamata dal Consiglio d’Europa, che ricorre il 26 settembre.
Assieme alla dirigente dell’Istituto comprensivo con insegnamento bilingue sloveno-italiano di S. Pietro, prof. ˘iva
Gruden, ha inoltre consegnato ai ragazzi materiale promozionale ed informativo, messo a disposizione dalla
Rappresentanza di Lubiana della Commissione europea.
(Novi Matajur, 2. 10. 2008)
SLOVIT/SLOVENI IN ITALIA
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