Nuova serie - Anno XXXVIII - N. 3 - 23 gennaio 2014
Fondato il 15 dicembre 1969
Settimanale
Camminare
con le proprie gambe
PAG. 11
Il livello più alto dal 1977
La disoccupazione giovanile sale al 41,6%
Le cause stanno nel capitalismo e nei governi che gli reggono il sacco
Dalla Valle D’Aosta alla Campania
4 arrestati e 4 indagati, tra cui il vicesindaco
di “centro-sinistra” e un ex assessore del PDL
Tangentopoli a
L’Aquila sulla pelle
dei terremotati
Il neopodestà PD Cialente costretto a dimettersi
Arrestato il boss
delle discariche
Cerroni
21 gli indagati, tra cui l’ex governatore
del Lazio Marrazzo (“centro-sinistra”),
per reati che vanno dall’associazione a
delinquere finalizzata al traffico illecito di
rifiuti, alla truffa e al falso ideologico
PAG. 10
PAG. 3
Le Regioni in mano a
ladri di Stato
Un eletto su quattro è sotto inchiesta
PAG. 5
PAG. 7
Si allarga la forbice tra ricchi e poveri
4 milioni di italiani hanno
in tasca il 34% del reddito
nazionale
Al Congresso della Lega a Torino
Al Sud le disuguaglianze più forti
Sotto i Livelli minimi i servizi
comunali per bambini e
anziani al Sud
PAG. 2
Per il 90° anniversario della scomparsa del grande Maestro del proletariato
internazionale
Onoriamo Lenin
a Cavriago il 19 gennaio
Partecipiamo numerosi
PAG. 11
PAG. 2
Mentre in Italia
non investe, chiude
stabilimenti e colloca
11 mila lavoratori in
cassa integrazione
La Fiat
compra
Chrysler
Condizioni capestro
per i lavoratori
americani
PAG. 6
Salvini rilancia
l’indipendenza
del Nord Italia
Il neosegretario eredita e sviluppa
il razzismo di Bossi e Maroni
PAG. 4
Secondo Pieczenik, consulente della Cia
Gli USA volevano
l’uccisione di Moro per
impedire al PCI
di accedere al governo
PAG. 9
con la Dc
2 il bolscevico / interni
N. 3 - 23 gennaio 2014
Si allarga la forbice tra ricchi e poveri
4 milioni di italiani hanno in tasca
il 34% del reddito nazionale
Al Sud le disuguaglianze più forti
Sono appena 4 milioni gli italiani più ricchi che nel 2007, poco
prima dell’inizio della crisi, avevano in tasca il 34% del reddito
nazionale. Il dato è presente in
uno studio pubblicato da Bankitalia.
Numerosi studi dimostrano peraltro che la concentrazione di ricchezza nazionale in poche mani è
cresciuta progressivamente negli
ultimi trent’anni e che tale processo ha avuto un’accelerazione proprio a ridosso della crisi, subendo
un lievissimo arretramento fra il
2007 e il 2009, quando la percen-
tuale concentrata nelle mani del
10% della popolazione (i 4milioni) scende dal 34,12 al 33,87.
Nel 1983 assorbivano il 26 per
cento del reddito nazionale. Nel
1993 intascavano il 30% del reddito. Nel 2003 più del 33% del
reddito.
La concentrazione della ricchezza è tra le concause o tra gli
effetti della crisi economica capitalistica? Dibattono ancora gli
economisti borghesi se “è nato
prima l’uovo o la gallina”. Tuttavia la domanda giusta è: come i
governi nazionali hanno operato
prima, a ridosso e durante la crisi,
per favorire e accentuare tale concentrazione della ricchezza in poche mani?
La misura in Italia dell’indice
di Gini (misura la disuguaglianza economica), rilevata dal rapporto 2011 dell’OECD (Organisation for Economic Co-operation
and Development) è tra le più alte
a livello internazionale, mostrando che in Italia le disparità sociali
e territoriali sono più pesanti che
in altri Paesi nel pieno della crisi. Ciò può e deve essere spiegato
anche e soprattutto con le politi-
che governative che, negli ultimi
decenni, certo a partire da quegli
anni Ottanta presi in considerazione dalla ricerca di Bankitalia,
hanno attaccato i salari dei lavora-
tori a tutto vantaggio delle rendite
finanziarie e dei profitti capitalistici. Hanno depredato le ricchezze e le risorse delle masse e annullato i servizi pubblici, attraverso
una criminale serie di privatizzazioni e dismissioni a favore di pochi ricchissimi, e simultaneamente hanno tagliato redditi da lavoro
salariato e da pensioni attraverso
una serie di controriforme.
Basta mettere in correlazione la politica spoliatrice dei governi con l’ulteriore arricchimento dei 40mila supericchi italiani,
lo 0,1% della popolazione, coloro che hanno stipendi, pensioni e
rendite superiori ai 250mila euro:
nel 1983, costoro detenevano
meno dell’1,5% per cento del red-
dito nazionale, nel 1993 il 2%, nel
2007 si accaparravano il 3%.
Alcuni studi sottolineano, inoltre, come l’Italia sia l’unica tra le
potenze economiche capitalistiche a registrare divari territoriali così ampi e come la più elevata disuguaglianza tra i redditi nel
Mezzogiorno sia imputabile soprattutto a una maggiore presenza nel Sud di redditi medio-bassi
e di tasso di inattività estremamente elevato. Si potrebbe pensare che in fondo è sempre stato
così dall’unità d’Italia. Il punto
però è ancora una volta che tutti i
governi succedutisi in questi anni
hanno peggiorato le diseguaglianze tra ricchi e poveri e tra Nord
e Sud.
Protestano gli operai di Termini Imerese
contro i licenziamenti
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
Tornano a protestare i metalmeccanici di Termini Imerese che,
ormai dall’8 gennaio, in centinaia
occupano l’autostrada PalermoCatania e la stazione ferroviaria di
Fiumetorto che serve il paese della provincia di Palermo. Alla testa della lotta le 180 tute blu delle aziende dell’indotto Lear, che
produce sedile, e della Clerpem,
che produce le spugne per i sedili. Le azioni unitarie sono state decise nelle assemblee svoltesi
in questi giorni davanti ai cancelli dello stabilimento Fiat, chiuso
ormai da due anni, per chiedere
un autentico piano di rilancio del
polo industriale imerese. Peraltro,
gli operai usufruiranno della cassa
integrazione in deroga solo fino al
prossimo 30 giugno. Dopo si apre
soltanto la prospettiva del licenziamento in tronco.
Da troppo tempo durano le
chiacchiere su un rilancio del sito
produttivo. Un rilancio, tuttavia
mai partito, ma neanche mai effettivamente formulato dalle istituzioni borghesi, che avrebbero do-
vuto gestire una crisi di così vaste
proporzioni sul piano lavorativo
e sociale determinata dal Lingotto. Sono passati ormai dodici anni
da quando lo stabilimento siciliano venne preso di mira dai progetti di dismissione dei vertici aziendali e cinque anni, da quando il
Lingotto ha deciso di abbandonare la Sicilia e siamo ancora all’anno zero. Sono state fin troppe le
farse d’alto livello messe in piedi
da politicanti borghesi e imprenditori. In tutti questi anni ci hanno “provato” Simone Cimino, che
vantava entrature con Cuffaro (ex-
UDC): l’imprenditore dovette ritirarsi giocoforza travolto da guai
finanziari e giudiziari ancor prima
di mettere le mani su Termini. Si
fece avanti Gian Mario Rossignolo, padrone della De Tomaso, ma
anche questa trattativa non andò
in porto. Poi fu la volta di Corrado Ciccolella, padrone della maggiore azienda floreale italiana, che
voleva impiantare un vivaio nello stabilimento. Anche il suo “progetto” si arenò su una presunta
truffa con fondi UE, dopo aver firmato un pre-contratto col ministro
dello sviluppo economico del go-
Sotto i Livelli minimi i servizi
comunali per bambini e anziani al Sud
In quale misura i comuni riescono a coprire i cosiddetti LEP,
Livelli Essenziali delle Prestazioni,
“garantiti” formalmente dall’articolo 117 della Costituzione e gestiti, dopo la famigerata
“riforma” del Titolo V della Costituzione, in regime di sussidiarietà
dagli Enti locali?
È questa la domanda cui hanno
risposto i ricercatori dello Svimez,
prendendo in considerazione i Comuni di Milano, Torino, Roma,
Napoli, Bari, Palermo.
Prima di addentrarci nell’esposizione dei risultati chiariamo che
la catastrofe dei servizi al Sud risiede negli stessi LEP che prevedono che lo Stato stabilisca l’ammontare complessivo della spesa,
che è cosa diversa dalla copertura
di tutte le effettive necessità delle
masse popolari, determinando poi
quali sono le prestazioni, le modalità, e il costo di esse (costo standard cui si riferisce lo Svimez).
La gestione concreta, in regime di
sussidiarietà, è a carico dei comuni e dove questi comuni sono in
una condizione finanziaria difficile e stretti nei lacci dei patti di stabilità i problemi per gli utenti dei
servizi sono enormi.
Premesso ciò, nell’indagine
dello Svimez è stata calcolata la
spesa standard per ogni servizio in
base ai criteri stabiliti dallo Stato.
Il fabbisogno preso in considerazione non è quello reale della popolazione risiedente nei comuni,
ma è quello determinato applicando il livello medio di spesa risultante dagli Enti che erogano il servizio al più alto livello secondo i
criteri LEP.
I servizi presi in considerazione sono assistenza pubblica, servizi cimiteriali, smaltimento dei
rifiuti, illuminazione pubblica,
acqua, scuola materna, istruzione elementare e media, assistenza
scolastica, asili nido e servizi per
l’infanzia, trasporti pubblici locali, protezione civile, assistenza
agli anziani.
Roma guida questa classifica
della copertura dei fabbisogni, con
uno 0,94, seguito da Milano, con
0,90, Torino, con 0,76, Napoli con
0,58, Bari con lo 0,47. Palermo è
in fondo alla classifica con 0,40.
Il Sud invece è molto al di sotto
persino del “fabbisogno” LEP per
tredici dei quattordici servizi presi in considerazione. Le diseguaglianze sono consistenti soprattutto in due settori, l’assistenza ai
bambini e agli anziani.
Ad esempio, per quanto riguarda gli asili e i servizi per l’infanzia
a fronte di una spesa standard di
2.865 euro e 23 centesimi, Roma e
Milano sono sopra la media, mentre tutti i comuni del Sud presi in
considerazione sono molto sotto la
media. Palermo chiude la lista con
soltanto 834 euro. È anche la condizione degli anziani a preoccupare. La copertura delle necessità
di strutture per ricovero di anziani arriva appena alla decima parte
del “fabbisogno” nel Sud ed è Palermo in coda.
Dunque emerge un’Italia spaccata a metà nella qualità e quantità
nell’erogazione di servizi. Il Sud
è la macroarea che soffre particolarmente questa condizione di disagio che ha certamente profonde
radici nelle disparità socio-economiche territoriali su cui si regge
lo Stato borghese italiano. È vero
anche che nel corso della crisi del
capitalismo i governi nazionali e
regionali hanno manovrato per togliere risorse al Mezzogiorno, determinando un aumento delle disparità territoriali. Inoltre non
siamo troppo lontani dal vero se
affermiamo che il Sud ha ricevuto
solo il peggio, neanche edulcorato da “aggiustamenti”, del federalismo fiscale e della controriforma costituzionale del titolo V. Ad
oggi l’autonomia amministrativa
e fiscale, i poteri di programmazione, organizzazione, gestione e
verifica del sistema di servizi sociali assegnati ai comuni si concretizzano in gran parte, grazie ai
tagli dei fondi trasferiti dallo Stato e ai patti di stabilità, in poteri
di soppressione e privatizzazione
dei servizi.
Ma dai dati dell’indagine viene fuori anche un altro dato politico rilevante di cui generalmente non si parla. Anche al Nord il
regime di sussidiarietà e i tagli
hanno prodotto i loro consistenti
danni. Persino rispetto ai “fabbisogni” sottostimati in base al criterio dei LEP sono più le carenze che altro. Se, infatti, in media,
i comuni del Sud non riescono a
coprire il “fabbisogno” sottostimato su 13 dei 14 servizi, quelli
del Centro-Nord non riescono a
coprirlo per 9 dei 14 servizi presi in considerazione. Il che non è
certo poco.
Questa situazione di sofferenza delle masse popolari italiane
può essere alleviata abrogando le
controriforme federali dello Stato
e obbligando il governo Letta-Alfano a stanziare fondi per la piena
copertura in tutta Italia di tutti i reali fabbisogni delle masse popolari in tema di servizi.
verno Berlusconi IV, Paolo Romani, FI.
Nel 2012 arrivò la “proposta”
di Massimo Di Risio, padrone della Dr Motors, lanciato dal governatore Lombardo (MPA). Poi Di
Risio, costretto a ritirarsi nel mezzo di una crisi aziendale.
Nulla di fatto e a partire da
aprile 2014 potrebbero partire già
le prime lettere di licenziamento
per gli operai.
L’unica soluzione che risolva
alla radice il problema non può
che essere la nazionalizzazione
dell’intero gruppo Fiat senza indennizzo, e la riconversione produttiva della Fiat auto nell’ambito
di una nuova politica dei trasporti basati principalmente su rotaie,
via mare e via acqua. Solo con tale
iniziativa si potrà salvare il settore
automobilistico e porre i presup-
posti per il rilancio dello stabilimento di Termini e del suo indotto
entrato in una crisi altrimenti irreversibile. Questa è la nostra proposta forte già avanzata nel 2002,
all’inizio della lotta degli operai
termitani. Appoggeremo in ogni
caso le decisioni e le soluzioni che
troveranno il consenso convinto
dei lavoratori della Fiat e dell’indotto. In questa ottica ci batteremo perché qualsiasi accordo sul
rilancio di Termini, per raggiungere il quale chiediamo che si attivino immediatamente i governi Letta-Alfano e il regionale Crocetta,
sia preso solo dopo la loro consultazione e approvazione. Nessun
operaio deve essere licenziato!
Avanti nella lotta fino alla vittoria! Viva le lavoratrici e i lavoratori della Fiat di Termini Imerese e
dell’indotto in lotta!
9 gennaio 2014. Operai della Fiat e dell'indotto bloccano l'autostrada A19 Palermo-Catania, all'altezza dello svincolo di Termini Imerese, per manifestare in
difesa del posto di lavoro. Sotto il blocco della stazione di Fiumetorto avvenuto il
10 gennaio al termine di un corteo partito dalla zona industriale
interni / il bolscevico 3
N. 3 - 23 gennaio 2014
Il livello più alto dal 1977
La disoccupazione giovanile
sale al 41,6%
Le cause stanno nel capitalismo e
nei governi che gli reggono il sacco
La piaga della disoccupazione
giovanile segna un nuovo record
dal 1977, ossia dall’inizio delle rilevazioni Istat, e si assesta al
41,6%, cioè 659mila giovani fra i
15 e i 24 anni senza lavoro. Che
vanno ad aggiungersi ai 3,7 milioni che non studiano né lavorano
rilevati il mese scorso dall’Istituto
di statistica. Ormai, la tendenza è
tutta proiettata verso il 50% di giovani disoccupati, soglia finora superata (abbondantemente) solo da
paesi dove la crisi del capitalismo
morde più ferocemente, nella fattispecie Grecia, Spagna e Croazia.
Il gravissimo dato, oltre a confermare l’aumento galoppante di
questa emergenza sociale, va a
braccetto con l’altrettanto inaccettabile aumento della disoccupazione generale, che passa al 12,5% a
novembre 2013, ossia 351 milioni
aspiranti lavoratori e lavoratrici in
più rispetto al novembre 2012 che
non riescono a trovare un posto.
La CGIL segnala infine che il
Si chiamano “Corpi Civili di
Pace” e sono previsti dalla Legge
di stabilità approvata il 27 dicembre dal parlamento nero sulla base
dell’emendamento 77 di Giulio
Marcon, (SEL), portavoce della
campagna “Sbilanciamoci!” ed
ex-Segretario generale per l’Italia
del Servizio civile internazionale.
Nove milioni di euro nel triennio
2014-2016, tre milioni all’anno,
verranno spesi per l’istituzione del
contingente formato da 500 giovani volontari in “aree di conflitto o
a rischio di conflitto o nelle aree di
emergenza ambientale”.
Il finanziamento è legato alla
legge sul servizio civile nazionale,
la 64/01, che regola anche il servizio civile oltre confine. Per chi nutrisse qualche illusione sul senso
e sull’autonomia di tali “corpi civili
di pace” dall’iniziativa del guerrafondaio governo italiano rifletta,
anzitutto, sul fatto che il servizio
civile internazionale può essere
svolto nelle modalità definite dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri che, “di concerto con il ministro degli esteri”, leggasi ministro
2013 è stato il terzo anno peggiore dall’inizio della crisi per quanto
concerne il ricorso alla cassa integrazione, che nelle sue diverse forme ha superato il miliardo di ore.
A fronte di questa autentica
piaga sociale, la segretaria della
CGIL Susanna Camusso ha detto
che “serve una svolta politica, investire e creare nuovi posti”. Giusto. Ma allora cosa aspetta a proclamare lo sciopero generale di
otto ore con manifestazione nazionale sotto Palazzo Chigi contro le
politiche di massacro sociale attualmente in atto? Perché si ostina
a restare sul carro del governo e di
Confindustria anziché soffiare sul
fuoco dell’opposizione di classe e
di massa? Tutti motivi in più per
appoggiare la mozione di sinistra
“Il sindacato è un’altra cosa” agli
imminenti congressi della CGIL e
soprattutto per dare forza alla piattaforma sindacale dei marxisti-leninisti.
Sì perché l’aumento endemico
della disoccupazione giovanile e
Una manifestazione sindacale sui temi dell'occupazione
generale ha una causa precisa, che
è la politica economica perseguita
dal governo Letta-Alfano in perfetta continuità con i suoi predecessori Monti e Berlusconi, tutta a vantaggio del grande capitale e della
grande finanza a spese delle masse
lavoratrici, popolari e giovanili.
La soluzione sarebbe mettere in
campo un piano urgente per l’oc-
cupazione giovanile stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelata, ma questo non è
nei programmi dei partiti inciucisti neofascisti di maggioranza, né
di quelli dell’opposizione parlamentare, interessati soltanto a garantire ai padroni un vasto bacino
di giovani sfruttabili a piacimento
e facilmente ricattabili. Non fa ec-
cezione il truffaldino “Jobs Act”
del democristiano Renzi: un “contratto unico” ma senza diritti, garanzie e tutele e soprattutto senza
articolo 18, quindi più precario dei
contratti precari attualmente esistenti!
Per questo “l’unica vera alternativa passa dalla distruzione di
questo sistema fondato sullo sfrut-
No ai “Corpi di Pace”, strumento
dell’imperialismo italiano
della guerra, e in stretto collegamento con le analoghe iniziative
della UE, deciderà chi gestirà i
fondi, per quali progetti, con quali
modalità, ed eserciterà, possiamo
immaginare, un controllo capillare
su chi vi prenderà parte.
I “corpi civili di pace” sono un
ingannevole strumento dell’imperialismo europeo sui quali si discute con posizioni contrastanti
nel movimento pacifista italiano
a partire dall’iniziativa dell’anticomunista deputato europeo Alexander Langer, ex-Lotta Continua
e cofondatore dei Verdi, morto
suicida nel 1995. Fu lui che, accogliendo la teorizzazione dell’exsegretario ONU, Boutros Ghali,
sulla necessità del coinvolgimento
dei civili nelle “missioni di pace”,
presentò nel 1992 una proposta di
legge al Parlamento europeo, per
l’istituzione dei “corpi di pace” a
disposizione dell’UE da impiegare
in scenari di conflitto, reale o ipotizzato, anche al di fuori dei confini
dell’Unione.
Nel dibattito e nei vari documenti relativi all’elaborazione sulla
Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e sulla Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC)
si dà un sempre maggior peso ai
volontari civili, il cui ruolo subisce un cammino di istituzionalizzazione, regolamentazione e di
inclusione nella globale strategia
militare europea di supporto agli
interessi dei Paesi imperialisti da
cui sono finanziati. Ciò perché, anzitutto negli ultimi anni, gli eserciti
interventisti si sono trovati a dover svolgere, oltre alle tradizionali
azioni di aggressione, anche missioni non militari che hanno favorito e richiesto forme di collaborazione con i volontari civili. Questi,
dietro irrealizzabili, o realizzate in
parte infinitesimale, teorizzazioni
circa la “prevenzione dei conflitti”,
il “creare la pace”, il favorire “la
mediazione e il rafforzamento della fiducia tra le parti belligeranti”,
finiscono unicamente per gestire
quegli ambiti non direttamente
gestibili dai militari, come la ricostruzione, la stabilizzazione delle
strutture economiche imposte e
guidate dalle Potenze occupanti,
la gestione delle amministrazioni
provvisorie, la propaganda tesa
“ad eliminare i pregiudizi e i sen-
timenti di ostilità, e campagne
d’informazione e d’istruzione della
popolazione sulle attività in corso
a favore della pace”, tutti pilastri
collaterali dell’intervento militare
imperialista e dell’occupazione
dei territori.
È proprio la “sinistra” borghese
a macchiarsi della teorizzazione di
tale inganno, basti pensare che in
Italia, per la prima volta si parla di
“invio di contingenti civili in funzione umanitaria” nell’ordine del
giorno del Verde Mauro Paissan,
approvato alla Camera nel 1998.
Un altro Verde, Stefano Semenzato, nello stesso anno ripresenta lo
stesso ordine del giorno al Senato e il governo D’Alema I, proprio
mentre si preparava ad impegnare
l’Italia nell’aggressione imperiali-
tamento dell’uomo sull’uomo e
dalla sua sostituzione con il socialismo, la società dei lavoratori, con
la classe operaia al potere”. Perché
non si può immaginare un futuro
“senza fare piazza pulita del sistema capitalistico che produce ciclicamente crisi come quella che
stiamo vivendo, che si è dimostrato incapace di dare ai giovani lavoro e istruzione pubblica e gratuita, che ha creato il mostro del
precariato, che permette ai padroni
di chiudere le fabbriche e delocalizzare la produzione, che vorrebbe tagliare fuori dalla vita politica i giovani, che chiude gli occhi
di fronte al problema della droga,
al lavoro minorile, all’emigrazione giovanile e continua, macelleria sociale dopo macelleria sociale, a rubare il futuro a migliaia di
giovani per ingrassare la grande
finanza, il grande capitale, gli speculatori e i politicanti borghesi”
(dall’Appello del PMLI “Giovani,
date le ali al vostro futuro”).
sta alla Serbia, lo accoglie come
raccomandazione.
Ben lungi dall’essere animata
da un fantomatico sentimento pacifista del governo Letta-Alfano,
l’istituzione in via sperimentale dei
“corpi civili di pace”, promossa da
SEL, va letto, dunque, proprio nel
senso opposto, come appoggio
alla politica interventista dell’imperialismo italiano e il loro finanziamento nell’ambito del complessivo aumento degli stanziamenti
per le guerre d’aggressione. Non
è con l’istituzione dei costosissimi
“corpi civili di pace” che si potrà
raggiungere l’obbiettivo di fermare
la politica interventista guerrafondaia del governo italiano. A questo
scopo potrà essere utile solo la
mobilitazione delle masse popolari
e l’opposizione di classe e di massa nelle fabbriche, in tutti i luoghi
di lavoro, nelle scuole, nelle università, nelle piazze per l’abrogazione
delle spese militari imperialiste, la
chiusura delle basi Usa e Nato in
Italia, a partire da Sigonella, l’abrogazione delle autorizzazioni alla
costruzione del MUOS.
Napolitano non risponde alle mamme
della Terra dei fuochi
Il rinnegato del comunismo non si era accorto per niente del traffico dei rifiuti in Campania quando era ministro dell’Interno
contestato a napoli: “Napolitano non sei il mio presidente”
Due donne che vivono nella
Terra dei fuochi e che hanno visto
morire di cancro i loro figli, Marzia
Caccioppoli e Tina Zaccaria, hanno chiesto risposte precise a Giorgio Napolitano nell’inchiesta televisiva “Inferno atomico”, andata
in onda su La 7 del 29 dicembre
scorso. Napolitano, che è stato
ministro dell’Interno dal 1996 al
1998, proprio durante l’audizione del camorrista Schiavone alla
Commissione parlamentare antimafia del ’97, avrebbe potuto
rispondere due giorni dopo con il
suo messaggio di fine d’anno, ma
non lo ha fatto.
Con i loro bambini morti non
per caso ma per precise scelte a
suo tempo fatte, come sottolinea
il boss Schiavone nella stessa trasmissione, da tantissime imprese
dell’intera Europa in combutta con
la camorra e con il beneplacito
implicito di svariate autorità che si
sono voltate dall’altra parte pur di
non vedere, le due madri rappresentano in realtà tante migliaia di
madri che hanno visto negli ultimi
anni i loro figli morire di cancro in
numero di gran lunga superiore
al normale, uccisi da quel lurido
groviglio di interessi che per un
trentennio ha dominato il ciclo dei
rifiuti soprattutto nelle province di
Napoli e Caserta, ma in realtà in
tante altre parti del Meridione italiano.
Le mamme hanno inviato centocinquantamila cartoline con
le foto dei loro figli al presidente
Napolitano, al capo del Governo
Letta e al presidente della Regione Campania Stefano Caldoro,
(FI), per sollecitare la bonifica del
territorio e per chiedere verità sulla tragedia dei rifiuti, ma le cartoline sono soprattutto un implicito
atto di accusa nei confronti di chi,
Giorgio Napolitano, era ministro
dell’Interno nel 1997, quando il
boss camorrista Schiavone depose dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia, mostrando
già allora dettagliatamente e con
crudezza l’entità del disastro, la
rete di complicità istituzionali e politiche che per decenni hanno assistito l’affare scandaloso dei rifiuti
nella stessa terra d’origine, non lo
si dimentichi, di Napolitano.
Costui sapeva bene, da ministro dell’Interno, ciò che dettagliatamente Schiavone aveva
riferito alla Commissione e, anche
volendo ammettere la liceità della
secretazione dei verbali per non allarmare l’opinione pubblica, avrebbe dovuto almeno fare qualcosa,
intraprendere qualche iniziativa di
bonifica di concerto con il suo governo, iniziare a invertire la tendenza fatta di inerzie e di responsabilità che sarebbe continuata per i
successivi sedici anni, e non solo
non ha fatto nulla, ma addirittura
non risponde a chi ha avuto nella
vita la disgrazia peggiore, quella di
seppellire il proprio figlio.
Non appena iniziano ad infuria-
re le prime polemiche a seguito del
suo discorso di capodanno, dove
ci si aspettava almeno un cenno al
problema dei rifiuti tossici e dove
non si è degnato di rispondere alle
madri, il rinnegato del comunismo
si è limitato a scrivere una lettera a
don Maurizio Patriciello, il parroco
di Caivano (Napoli), impegnato da
anni in prima linea nella denuncia
dei crimini ambientali.
Giusta e meritata dunque la
contestazione che ha preso di mira
Napolitano il 6 gennaio scorso,
quando un gruppo di manifestanti
proveniente dalla Terra dei fuochi
lo ha raggiunto sotto villa Rosebery, a Napoli, dove egli trascorreva
le vacanze natalizie. “Stop al biocidio” e “Napolitano non sei il mio
presidente” c’era scritto sugli striscioni. “Volevamo consegnare un
dossier di 54 pagine al presidente
per fargli capire cosa è successo
nelle nostre terre, come hanno
avvelenato i nostri figli e ucciso il
nostro futuro”. La polizia ha allontanato i manifestanti, diversi provenienti da Giugliano, la cittadina
alle porte di Napoli avvelenata dalle discariche abusive e ufficiali.
Egli non si è neppure degnato
di rispondere a delle madri che
portano sulle loro spalle la più
atroce delle sofferenze: e così ha
confermato di essere una controparte nella lotta delle masse
popolari contro il biocidio e per il
risanamento ambientale in Campania e nel Mezzogiorno.
4 il bolscevico / interni
N. 3 - 23 gennaio 2014
No all’arrivo in Italia
delle armi chimiche sottratte alla Siria
Se ne facciano carico gli USA di Obama e la Federazione russa di Putin
È l’ennesima bomba che minaccia la salute e il territorio
Sarà annunciato entro la settimana il nome del porto in cui il
governo Letta-Alfano consentirà, nella seconda metà di gennaio, l’attracco della nave mercantile in cui sono stipate le centinaia
di tonnellate di gas micidiali che
l’OPAC, Organizzazione per la
Proibizione delle Armi Chimiche,
ha sequestrato in Siria. Si tratta complessivamente di 500 tonnellate, forse anche un migliaio, di Sarin, Iprite ed altri veleni
che possono causare la morte per
asfissia, se respirati, ingeriti o anche se soltanto vengono a contatto
con organi esterni, come la pelle o
gli occhi.
Tra i porti candidati a ricevere
la nave scortata da un imponente
schieramento militare britannico,
russo, cinese e statunitense vi è
Augusta (Siracusa), ma sono stati
fatti anche i nomi dei porti di Gioia Tauro (Reggio Calabria), Brindisi, dell’isola di Santo Stefano
nell’arcipelago della Maddalena
(Olbia-Tempia), Oristano e Arbatax (Ogliastra).
I proiettili di gas utilizzati in Siria e che dovrebbero essere stipati ad Augusta
Tutti i Paesi che avevano precedentemente dato la loro disponibilità, Albania, Croazia, Danimarca, Germania e Norvegia hanno
fatto marcia indietro, dopo aver
considerato i concreti e micidiali
rischi dell’intera operazione. Non
così il governo italiano che, peraltro, mostra ancora una volta, costruendo attorno alla vicenda un
muro di omertà, la sua natura reazionaria, sprezzante dell’opinione
delle masse popolari, della loro salute e della loro sicurezza.
Dopo la sosta, per un tempo imprecisato nel porto italiano
“prescelto”, la nave proveniente dalla Siria andrà ad incontrare
l’unità militare statunitense Cape
Ray, sulla quale verrà trasbordato il carico di 345 tonnellate arrivate in Italia. Secondo il progetto
dell’OPAC il carico verrà “neutralizzato” nel reattore chimico della
Cape Ray in un punto imprecisato
del Mediterraneo.
Da Bruxelles, il primo ministro
Pieter De Crem, nell’offrire la collaborazione belga per “neutralizzare” i gas nervini, ha rivelato che
“solo il trasporto di queste armi è
già una missione difficile” ed ha
invitato, per evitare incidenti la cui
probabilità sale nell’attraversare il
Mediterraneo, ad operare vicino
alla Siria. Dichiarazione che lascia
supporre la non assoluta certezza
della riuscita dell’operazione.
Passaggio critico sul quale non
vi è alcuna chiarezza è quello che
riguarda la consegna delle scorie a
“basso livello di tossicità” a società private specializzate nell’“eliminazione” dei prodotti chimici.
C’è da tremare al solo pensiero
che tali micidiali prodotti chimici
vengano consegnati o finiscano in
mano a quel sottobosco di società
camorristiche e mafiose che hanno già avvelenato con smaltimenti
selvaggi e irregolari di rifiuti il territorio del Sud. Lo stesso discorso può farsi per quelle società di
trattamento dei rifiuti con sede al
Nord e che operano in stretta collaborazione con le organizzazioni
criminali del territorio meridionale. L’OPAC non ha tuttavia ancora la disponibilità finanziaria sufficiente a completare l’ultima fase
dello smaltimento, cioè per pagare
i privati. Ciò rischia di allungare
ancora i tempi dell’operazione, e,
dunque, di permanenza delle armi
chimiche nel porto italiano “prescelto”.
Una vicenda che ha tutti i requisiti per trasformarsi nell’ennesima bomba che minaccia la salute del territorio del Mezzogiorno
italiano e non solo, nell’ennesimo
atto di biocidio istituzionalizzato
nei confronti delle masse popolari
meridionali e non solo.
Ci chiediamo perché di tali veleni non si faccia carico la Federazione russa, la principale fornitrice
di armi chimiche alla Siria, o gli
USA che hanno enormi responsabilità in ciò che accade in Siria. È
evidente che anche a livello internazionale il territorio del Sud Ita-
lia è considerato ormai come una
base da utilizzare per le necessità dell’imperialismo internazionale. Ci chiediamo, inoltre, se il
governo Letta-Alfano, con questa
sporca operazione oltre a tentare
di acquisire punti agli occhi della
NATO e delle potenze imperialiste
mondiali, non voglia anche favorire il business italiano dello smaltimento rifiuti.
Condanniamo duramente la
criminale scelta di coinvolgere
l’Italia nell’operazione e siamo
certi di interpretare il sentimento
delle masse popolari italiane, violentemente calpestato dal governo Letta-Alfano, gridando “NO!”
al transito in acque italiane, all’attracco in porti italiani, al trattamento e allo smaltimento delle
armi chimiche sul territorio e nei
mari italiani. Auspichiamo, inoltre
che su questa posizione si mobilitino al più presto le organizzazioni
politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose che hanno a cuore
la salute delle masse popolari e la
tutela ambientale in Italia.
Al Congresso della Lega a Torino
Salvini rilancia l’indipendenza del Nord Italia
Al congresso della Lega Nord,
che il 17 dicembre scorso lo ha incoronato nuovo segretario federale al Lingotto di Torino, Matteo
Salvini rilancia in grande stile la
linea neofascista, xenofoba, razzista e secessionista dei suoi predecessori Maroni e Bossi (confermato presidente) e promette: “Se
ritroviamo le nostre radici, arriviamo al 10%”.
“La Lega deve tornare a fare la
Lega. Il tempo delle mediazioni
è finito, le imprese non ce la fanno più. E allora noi dobbiamo disubbidire allo Stato. È arrivato il
momento della disubbidienza” ha
proclamato Salvini sotto lo sguardo compiaciuto dei tre governatori delle regioni del Nord: Rober-
Il neosegretario eredita e sviluppa il razzismo di Bossi e Maroni
to Cota, Roberto Maroni e Luca
Zaia che lo sostengono e annuiscono con ampi cenni di approvazione. Il nuovo segretario della
Lega ha poi precisato in poche battute il suo programma di secessione dall’Italia: “Non ci fermeremo
fino all’indipendenza”, minacciando la discesa in campo di una sorta
di esercito neofascista di camicie
verdi: “Se arrivano i forconi leghisti – ha minacciato ancora Salvini
- i forconi di adesso sembreranno
una passeggiata della salute”.
Diretto, esplicito e violento anche l’attacco ai sindacati: “Proporremo un referendum per rivedere
il ruolo dei sindacati che ormai
sono un ostacolo per i lavoratori e
per le imprese”. Abolire i sindacati, dunque, o renderli pienamente
concertativi e funzionali agli interessi padronali. Un antico progetto mussoliniano, ripreso dalla P2
e, ora anche dalla Lega, come dai
partiti più reazionari e antioperai.
Un progetto che rivela chiaramente, se ve ne fosse ancora bisogno,
come Salvini e il vertice leghista
siano rappresentanti di settori della borghesia locale più reazionaria, quelli che vogliono mettere il
bavaglio ai lavoratori e impedirne
le lotte.
Per quanto riguarda invece la
politica sull’immigrazione è venuto fuori ancora una volta l’ideologia profondamente reazionaria del
vertice della Lega. Per Salvini coloro che, proprio grazie alla criminale legge Bossi-Fini sono costretti ad arrivare in Italia di nascosto
e con mezzi di fortuna “Non sono
migranti, non sono profughi, non
sono richiedenti asilo, sono clandestini. E devono essere respinti a
calci nel sedere. Tutti, tutti gli immigrati. Via. Via. Via”.
Un invito accolto da un plateale applauso partito dall’ex ministro degli Interni Maroni e con-
diviso a scena aperta da tutti i
congressisti e che, non a caso, prepara il terreno per la salita sul palco degli oratori in qualità di invitati speciali della peggiore feccia
nazi-fascista istituzionale europea,
ossia il politicante olandese Geert
Wilders, autore del film antislamico Fitna, dell’austriaco HeinzChristian Strache, erede del neonazista Jörg Haider, e del francese
Ludovic de Danne, portavoce di
Marine Le Pen.
Ma Salvini non è certo da
meno e, nonostante le batoste elettorali che la Lega ha preso alle ultime tornate elettorali, rilancia una
nuova ondata di crociate leghiste
contro gli immigrati. Fa la “voce
grossa” Salvini poi contro gli attuali vertici politici ed economici
europei, ma la sua “critica” è unicamente funzionale a conquistare poltrone per i neo-nazisti nelle
stesse istituzioni europee che finge di attaccare. Proprio come succede con la partecipazione al parlamento e alle massime istituzioni
borghesi italiane in cui i vertici leghisti ingrassano. Infatti Salvini
annuncia “una manifestazione comune a Bruxelles a marzo e una
piattaforma unitaria per le Europee. La Lega se fa la Lega può arrivare al 10 per cento”.
Come dire: la Lega perde i voti
ma non il “vizio”.
Secondo l’ex tesoriere della Lega Nord
Tutti i dirigenti leghisti mangiano coi soldi pubblici e i fondi neri
Non solo il cosiddetto “cerchio magico” di Bossi, ma tutti i
dirigenti leghisti, vecchi e nuovi,
sguazzano nella mangiatoia dei
finanziamenti pubblici, delle tangenti, dei fondi neri, del riciclaggio e della corruzione internazionale e utilizzano il potere politico
per incrementare i conti personali
e il tornaconto elettorale.
A rivelarlo è lo stesso ex tesoriere di via Bellerio, Francesco
Belsito, che a fine novembre è stato ascoltato dai Pubblici ministeri (Pm) milanesi Alfredo Robledo,
Paolo Filippini e Roberto Pellicano, a conclusione del primo troncone d’inchiesta “The Family”
inerente i finanziamenti pubblici
del Carroccio. Una quarantina di
milioni rubati al popolo sotto forma di rimborsi elettorali e sperperati da Bossi e dal suo clan con alla
testa i suoi figli Riccardo e Ren-
zo e l’ex numero due del Senato,
Rosy Mauro e utilizzati per comprare case, diamanti, lingotti d’oro
e ristruturare ville.
Corruttele di cui, accusa ancora Belsito, erano a conoscenza
tutti i caporioni in camicia verde
ivi compreso i nuovi vertici della
Lega a cominciare dal nuovo segretario federale Matteo Salvini,
dal governatore veneto Luca Zaia
e dal neopodestà di Verona Flavio
Tosi.
Belsito, che dal 2009 al 2012,
su incarico di Bossi, ha tenuto i
cordoni della borsa in via Bellerio,
ha aggiunto che: “tutti i mesi percepivo duemila euro come tesoriere”. Ma, ha sottolineato, si trattava
di denaro che non risultava da nessuna parte, perché “tutti i rimborsi
in Lega sono in nero”. L’ex tesoriere ricorda anche che tra la montagna di finanziamenti pubblici e
privati che arrivavano alla Lega,
molti arrivavano da parte di aziende private e non erano contabilizzati. “So di rapporti tra esponenti
della Lega e imprenditori perché
ne avevo personalmente notati nel
corso di mie presenze a Roma, nei
locali frequentati da politici”.
Belsito tira pesantemente in
ballo i vecchi e i nuovi vertici
del Carroccio e accenna fra l’altro agli incontri tra l’ex sottosegretario Giancarlo Giorgetti, appartenente al “cerchio magico” di
Bossi, con il banchiere della BPM
(Banca popolare di Milano) Massimo Ponzellini o con il fondatore
di ICS Grandi Lavori, Claudio Salini e parla espressamente di fondi neri: “Il nero che gli imprenditori versavano — mette a verbale
— veniva utilizzato a volte per la
campagna elettorale dagli esponenti politici e veniva gestito sen-
za passare dalle casse del partito...
Ricordo che Giuseppe Bonomi, in
quota Lega alla Sea, diede in contanti 20 mila euro a Matteo Salvini (eletto segretario del partito il
15 dicembre scorso ndr). Salvini
(all’epoca consigliere comunale a
Milano ndr) per sanare i suoi obblighi verso la Lega, intendeva girare al partito questa somma, cosa
che non mi risulta sia avvenuta”.
Riguardo all’ex ministro e
senatore Roberto Calderoli, già
coinvolto nell’inchiesta, l’ex tesoriere sostiene di aver “pagato
in contanti una signora di Bergamo che mi è stato detto essere la
sua bambinaia”. E ancora. “Pagavo inoltre in contante 2.500 euro
a una persona che non so cosa facesse, ma che si diceva fosse un
vecchio leghista picchiatore”.
Poi tocca all’ex capogruppo Reguzzoni, a cui “ho pagato per-
sonalmente in nero 15 mila euro
per donazione che avrebbe dovuto dare alla Lega, ma che invece
aveva trattenuto in parte per sé”.
Belsito parla anche dell’attuale
governatore del Piemonte Cota:
“Aveva in dotazione un’auto della Lega, con il suo autista pagato
da noi”.
Infine Belsito ricostruisce il pagamento di una maxi tangente di
milione di euro alla Lega Nord del
Veneto da parte di Siram, multinazionale francese specializzata in
appalti ospedalieri e per i quali due
ex manager sono indagati. Belsito
fa capire ai Pm che tutto lo stato
maggiore del partito era informato
di quel finanziamento. “La Lega
Nord del Veneto aveva chiesto un
milione al finanziere Stefano Bonet”, mette a verbale l’ex tesoriere
leghista, ricordando come il soggetto fosse il tramite con la società
francese. “Siamo nel 2010, dissi a
Bossi e Calderoli che tale Cavaliere (ex presidente leghista del consiglio regionale del Veneto-ndr),
aveva chiesto questi denari alla
Siram. So che tale somma è stata
pagata tramite bonifico a favore di
una società, credo riconducibile a
Cavaliere”. Secondo Belsito “verosimilmente questa richiesta di
denaro serviva a non avere problemi da parte di Siram per gli affari
in Veneto o comunque per avere i
favori della politica locale. Anche
Zaia (governatore del Veneto, ndr)
fu informato di tale pagamento”.
Mentre “Cavaliere trattava su incarico del sindaco di Verona Flavio Tosi e, da quello che ricordo
— conclude l’ex tesoriere ai magistrati milanesi — la somma degli appalti di Bonet e Siram in Veneto era di circa 25 milioni in un
triennio”.
rimborsopoli nelle regioni / il bolscevico 5
N. 3 - 23 gennaio 2014
Dalla Valle D’Aosta alla Campania
Le Regioni in mano a ladri
di
Stato
Un eletto su quattro è sotto inchiesta
Sedici Regioni su venti; 280
consiglieri su 1.356 eletti in amministrazioni di destra, centro e
“sinistra” borghesi senza eccezioni di sorta e a tutte le latitudini, da
Nord al Centro e al Sud Italia, risultano pesantemente coinvolti in
almeno una delle centinaia di inchieste giudiziarie e amministrative avviate dalla magistratura e/o
dalla Corte dei Conti per le scandalose vicende legate alla “rimborsopoli” regionale e le relative spese folli, ricevute gonfiate
e scontrini fasulli pagati a piè di
lista coi soldi rubati al popolo e
messi a disposizione delle cosche
parlamentari.
Le quattro regioni fino a ora
rimaste “immuni” a questo verminaio, ossia Veneto, Abruzzo,
Toscana e Trentino Alto Adige risultano comunque coinvolte in varie altre scandalose vicende giudiziarie legate a “tangentopoli”
Dalle mutande color verde leghista del governatore del Piemonte, Roberto Cota, alla scandalosa
gestione della sanità di Roberto
Formigoni in Lombardia; dai libri
erotici nelle Marche, alle interviste
a pagamento in Emilia-Romagna,
tanto per citare i casi più clamorosi, quello che emerge è una vergognosa mangiatoia di Stato in cui
sguazzano i boss politici regionali e i cui costi spesso sono di gran
lunga superiori a quelli dei loro
colleghi che siedono a Montecitorio e Palazzo Madama.
Basti pensare che la spesa totale, al netto dei rimborsi elettorali
ai partiti, per il funzionamento dei
20 consigli regionali è di 985 milioni di euro all’anno, contro i 45
milioni dei consigli provinciali (la
Camera costa 970 milioni e il Senato 479). Solo per gli stipendi dei
consiglieri regionali lo Stato spende ben 228 milioni all’anno; per i
loro colleghi delle Province ne occorrono altri 40, mentre per il resto del personale se ne vanno altri
326 milioni.
Me ecco una breve carrellata
sulle cifre rapinate da questi autentici ladri di Stato e i casi più
eclatanti.
Valle D’Aosta
Dalle indagini in corso non è
ancora emerso l’esatto ammontare
dei rimborsi concessi illegittimamente ai vari gruppi del Consiglio
regionale. Di sicuro ci sono per
ora solo le ipotesi di reato: peculato e finanziamento illecito ai partiti politici, formulate dalla magistratura nei confronti di sei gruppi
regionali: Union Valdotaine, Federation autonomiste, Stella Alpina,
Pdl, Alpe e Pd. Le indagini erano
iniziate più di un anno fa a partire dalle spese sospette del Partito
democratico per l’acquisto di alimenti e premi per la Festa Democratica, oltre che sul pagamento
dei contributi dei consiglieri. Ad
agosto la sezione di controllo della
Corte dei conti ha diffuso un rapporto sui rimborsi ai gruppi consiliari nel 2012 da cui emerge che
101.236 euro sono andati al l’Alpe, 40,5 mila alla Federation Au-
tonomiste, 81 mila per il Pdl, quasi 61 mila per il Pd, 81 mila pure
per “Stella alpina” e ben 236.217
euro all’Union Valdotain.
Piemonte
Nella regione che il Tar ha rimandato alle urne per le irregolarità nella presentazione delle liste, i consiglieri indagati sono 43
su 60 eletti e si sono pappati quasi
2 milioni di euro di rimborsi. Dalle migliaia di pagine dell’indagine
emerge di tutto. Si sono fatti rimborsare il tosaerba, i campanacci
per i bovini, le consolle per i figli e
perfino una fattura da oltre 9 mila
euro presentata da Roberto Boniperti (Gruppo Misto) per pagare
gadget di paccottiglia fascista e busti di Mussolini. Poi c’è il regalo di
nozze fatto dal presidente Roberto
Cota (Lega) all’assessore Michele Coppola e le ormai famigerate
mutande verde leghista comprate a Boston. In tutto Cota si è fatto rimborsare più di 25 mila euro
per cene (di cui cinque in una sola
sera), caffè presi a Torino mentre
lui era a Bruxelles, regali per vari
altri matrimoni, 1.500 euro di eleganti penne da regalare in occasioni ufficiali, 530 euro di foulard per
portavoce e cravatte per collaboratori e autisti, e un libro antico per
Giulio Tremonti.
Ma i più spendaccioni risultano nell’ordine: Michele Dell’Utri
del gruppo monoconsigliere “Moderati” che si è fatto restituire 190
mila euro destinati a sondaggi telefonici sulla popolazione; Michele
Giovine dei “Pensionati per Cota”
che ha ottenuto 144 mila euro di
rimborsi per carburante, medicine,
cosmetici, biglietti per teatro o per
Juventus-Milan e altro ancora non
solo per sé ma anche per la compagna, sorella, madre e padre.
Liguria
Gli indagati sono 11, ma gli inquirenti nelle settimane scorse hanno acquisito altri documenti di Pd,
Lega Nord, Sel, FdS e delle liste civiche Noi con Burlando e Liguria
Viva. I tronconi delle indagini sono
due. Il primo vede indagati per peculato quattro consiglieri dell’Idv:
Marylin Fusco e Nicolò Scialfa
(passati a Diritti e Libertà), Stefano Quaini (passato a Sel) e Maruska Piredda. Poi è toccato a cinque
consiglieri del centro-destra: Luigi Morgillo, Alessio Saso e Franco Rocca (Pdl), Aldo Siri (Lista
Biasotti) e Raffaella Della Bianca
(Gruppo Misto). Infine due indagati dell’Udc: Marco Limoncini e
l’ex presidente del consiglio Rosario Monteleone, che si è dimesso a
ottobre proprio in seguito allo scandalo. I due centristi hanno prelevato
189 mila euro in contanti dai conti
del gruppo, metà dei quali sarebbe
sparito senza giustificativi.
Tra i beni rimborsati figurano anche mutandine di pizzo, cibo
per gatti, cento animali in ceramica,
soggiorni alle terme e altro ancora.
Lombardia
Al Pirellone va il record di in-
dagati con alla testa l’ex governatore Formigoni e l’ex presidente del consiglio regionale Davide
Boni (Lega). In tutto risultano indagati 62 consiglieri che hanno
gonfiato gli scontrini e ricevuto
rimborsi per circa due milioni di
euro.
Il più vergognoso risulta però
l’ex capogruppo della Lega Nord,
Stefano Galli che si è fatto rimborsare il pranzo di nozze della figlia ed è riuscito ad assegnare una
consulenza al neogenero con la
licenza di terza media. Senza dimenticare le multe, lo shopping,
la benzina e perfino i cioccolatini
che Renzo Bossi metteva in nota
spese insieme ai diecimila euro in
sushi di Nicole Minetti (PDL).
Friuli Venezia Giulia
La Procura di Trieste indaga
su oltre venti consiglieri regionali, con l’ipotesi di peculato. Nel
solo 2011 gli otto gruppi consiliari avrebbero speso una cifra pari a
2,7 milioni di euro. Tra le voci di
spesa rimborsate figurano pranzi,
cene, viaggi e pernottamenti. Al
capogruppo Pdl Alessandro Colautti, per esempio, sono contestati una cena da 58 euro a San Valentino, un soggiorno in Austria
da 403 euro, 98 euro pagati per il
parcheggio a Udine, 123 per una
notte a Parigi e perfino 35 per la
pulizia del cane. Le indagini coinvolgono anche cinque consiglieri
dell’attuale legislatura, presieduta
da Debora Serracchiani (PD).
Emilia Romagna
La Procura di Bologna ha
iscritto nel registro degli indagati
tutti e nove i capigruppo dei partiti eletti in consiglio regionale perché si sono fatti rimborsare di tutto e di più. Dai 30 euro che Silvia
Noè (Udc) ha speso per un regalo
al figlio dell’assessore Gian Carlo Muzzarelli, agli 8.000 euro che
nel 2010 il PD pagò per zamponi e panettoni, fino ai 50 centesimi che Thomas Casadei (PD) s’è
fatto restituire dopo aver usato un
wc pubblico a gettoni. Marco Monari, capogruppo del PD fino allo
scandalo ‘spese pazze’, che avrebbe pagato 500 euro per una penna e, assieme a Roberto Montanari (PD), 1.700 euro per un viaggio
ad Amalfi. Mentre Matteo Riva,
gruppo misto, e l’ex capogruppo PDL, Luigi Giuseppe Villani, che addirittura hanno portato a rimborso i gioielli e collane
di Tiffany. Recordman delle cene
risulta invece il pidiellino Luca
Bartolini, che al ristorante ha speso 44.000 euro in 19 mesi, seguito
da Villani, 43.000 euro, e da Monari con circa 30.000 euro. Senza
dimenticare i 20.000 euro per le
auto blu, spesi tra giugno 2010 e
agosto 2011, del governatore PD
Vasco Errani.
Umbria
La corte dei Conti ha scoperto
che nel 2012 i boss dei partiti rappresentati in Regione hanno ottenuto rimborsi per circa un milione
e mezzo. In particolare su collaboratori co. co. pro pagati a nero
e non riportati sui rispettivi bilanci. Più le immancabili fatture gonfiate per cene, alberghi ed eventi
vari. Sotto processo è finito anche
il presidente del consiglio regionale, Eros Brega (PD) per la gestione dei fondi devoluti per gli Eventi
Valentiniani nel periodo compreso
fra il 2000 e il 2004, quando era
assessore alla Cultura a Terni.
Marche
Sono 42 i consiglieri (di tutti
i partiti) sotto inchiesta per peculato. Le spese folli dei gruppi regionali ammontano a un milione
di euro complessivi per il 2011 e
il 2012. Soldi per ristoranti, telefoni, viaggi, ritiri spirituali. C’è
addirittura chi ha fatto beneficienza privata con i rimborsi pubblici. Mentre Raffaele Bucciarelli,
consigliere del Pdci, si è fatto rimbordare 16 euro per l’acquisto di
un manuale erotico sull’orgasmo
femminile e si è giustificato affermando di averlo fatto in quanto
“fondatore della commissione pari
opportunità”. Il gruppo del Psi, invece, si è contraddistinto per esser
riuscito nell’impresa di organizzare addirittura quattro convegni
in una sola giornata e nella stessa
città, Chiaravalle. Erminio Marinelli, unico consigliere del gruppo
“per le Marche”, è riuscito a farsi rimborsare le spese dell’organizzazione di un congresso sulla
sanità regionale che si sarebbe tenuto il 31 dicembre 2012, tra un
fuoco d’artificio e un brindisi al
nuovo anno.
Lazio
A mungere la Regione Lazio
non c’era solo Franco Fiorito e il
PDL: l’ultima inchiesta sui rimborsi della Pisana parte dalla Procura di Rieti e investe in pieno il
PD a cui vengono contestati oltre
2 milioni di euro di rimborsi fasulli e mosse accuse gravi e infamanti che vanno dal “falso” al “peculato”. Nel registro degli indagati
ci sono il tesoriere regionale, Mario Perilli, il sindaco di Fiumicino
(all’epoca capogruppo in Regione) Esterino Montino, l’ex consigliere regionale Giuseppe Parroncini e infine di Enzo Foschi, oggi
capo della segreteria del sindaco
di Roma. Nel mirino degli inquirenti spese ingenti che riguardano
televisioni e giornalisti, compensi per collaboratori, circa 700mila
euro per stampa e manifesti, spese d’albergo e noleggio auto, bar e
ristoranti. Tra le cifre sospette ben
4.500 euro spesi in un’enoteca. Lo
scandalo dei rimorsi PD segue di
oltre un anno quello del PDL che
ha visto come protagonista Fiorito, condannato in primo grado a
tre anni e quattro mesi per essersi appropriato di oltre un milione
di euro dei fondi del gruppo del
Pdl e utilizzati per acquistare auto,
case e vacanze in Costa Smeralda.
Tra gli indagati c’è anche Carlo
De Romanis, organizzatore delle
squallide feste in maschera nella
capitale, che deve rispondere dei
finanziamenti all’Associazione
giovani del Ppe. Indagato anche
l’ex tesoriere dell’Idv, Vincenzo
Maruccio che ha sperperato oltre 100 mila euro di finanziamenti
pubblici alle slot machine.
Campania
Sono 53 i consiglieri regionali indagati dalla Procura di Napoli. L’accusa per tutti è di peculato.
Gli inquirenti hanno ricostruito le
modalità di spesa, per 2,5 milioni
di euro, nel biennio 2010-2012.
Rimborsate perfino le cialde di
caffè, sigarette, sfogliatelle, la tintura per capelli, gli occhiali da vista, farmaci, una Barbie, la tassa
sulla spazzatura e perfino un furto di 190 euro al PDL. Dagli atti
dell’inchiesta è possibile ricavare
la speciale classifica dei rimborsi
intascati dai partiti: al primo posto
si piazzano Idv e Udeur – a pari
merito – con il 95 per cento delle spese sospette. Segue il Nuovo
Psi, con il 91 per cento. Al quarto posto c’è il PDL, con l’89 per
cento, che deve spiegare agli inquirenti come ha speso 728 mila
euro. Nell’indagine sono coinvolti
anche tre parlamentari: il senatore
Domenico De Siano e la deputata
Eva Longo (entrambi del PDL) e
il piddino Umberto Del Basso De
Caro.
Molise
Oltre alle centinaia di gelati,
pizze, cd, regali, pranzi e cene al
ristorante messi a rimborso tra il
2009 e il 2011, tra le spese pagate con i soldi pubblici dai 30 consiglieri del Molise c’è anche chi
ha messo in nota uno spettacolo di lap dance in un locale notturno della Capitale. Lo sperpero
ammonta a oltre 2 milioni di euro.
L’indagine coinvolge molti consiglieri della passata consigliatura
accusati di appropriazione indebita e peculato.
Basilicata
La “rimborsopoli” lucana conta 48 indagati e un sequestro di
170 mila euro. Ad aprile scorso
sono finiti agli arresti domiciliari
tre assessori: Vincenzo Viti (Pd),
Rosa Mastrosimone (Idv) e Nicola Pagliuca (Pdl). Per altri 8 consiglieri è scattato il divieto di dimora costringendo alle dimissioni
il governatore Vito De Filippo e
dell’intera giunta. Tra i rimborsi
più assurdi spicca quello di Vincenzo Ruggiero (ex Udc): 15 mila
euro spesi per le presunte prestazioni di una “collaboratrice” che,
secondo l’accusa, non sembrano
collegate ad “attività lavorative”.
Interrogata, la donna racconta di
aver eseguito il suo lavoro direttamente a casa di Ruggiero e di aver
tenuto segreta la collaborazione al
marito.
Calabria
La “rimborsopoli”
conta tredici indagati:
ci di “centro-sinistra”
“centro-destra” che si
calabrese
sei politie sette di
sono pap-
pati tra i 600 mila e il milione di
euro di rimborsi illeciti. Tra gli indagati figurano l’ex governatore
del PD Agazio Loiero e il senatore (eletto con Grande Sud, ora nel
Ncd) Giovanni Bilardi. Le accuse vanno dal peculato al falso alla
truffa. Rimborsati perfino i biglietti per assistere a uno spettacolo di
lap dance, un tagliando del gratta e
vinci, tanti viaggi ingiustificati sia
all’estero sia in Italia e le cene da
66 coperti nel solito ristorante con
fatture per i vini che che passano
dai 30 ai 780 euro. Tra le spese
spacciate per “attività consiliare”
anche materiale elettrico acquistato nei ferramenta e l’arredo bagni e
detersivi. Il “rimborso” per le bollette della Tarsu e persino una multa della polizia stradale.
Puglia
Il rapporto della Corte dei Conti evidenzia che nel 2012, nove
degli undici rendiconti presentati dai gruppi regionali sono risultati essere irregolari. I consiglieri di opposizione tanto quanto gli
assessori di Vendola non si sono
certo vergognati di presentare richieste di rimborso anche per il
caffè, bottigliette d’acqua, cornetti e cappuccini. Spiccano gli
800 euro di panettoni rimborsati
al gruppo I Moderati e Popolari,
le richieste del PDL per gli abbonamenti a Gazzetta, Corriere dello
Sport e Tuttosport e le sponsorizzazioni dell’Udc ad alcuni tornei
di calcetto.
Sicilia
A fine 2012 l’ex presidente
dell’Ars, Francesco Cascio (PDL),
si è presentato spontaneamente in
procura per consegnare la documentazione contabile del consiglio regionale. Solo in quell’anno,
i gruppi del parlamentino siciliano
hanno speso 12,6 milioni di euro. I
magistrati indagano sui capigruppo Antonello Cracolici (PD), Giulia Adamo (PDL), Francesco Musotto (Mpa) e Rudy Maira (Pid).
Tra le fatture messe a rimborso
anche l’acquisto di auto e i regali di nozze.
Sardegna
In Sardegna le inchieste sono
due. L’ex capogruppo del PDL in
consiglio regionale, Mario Diana, è finito in carcere in custodia
cautelare per aver distratto circa
250 mila euro di fondi pubblici e
aver utilizzato decine di migliaia di euro per incontri e dibattiti
non attinenti – secondo la procura – all’attività politica. In carcere anche Carlo Sanjust (PDL) che
si è appropriato di 23 mila euro
pubblici per pagare le spese del
suo matrimonio e altri 27 mila
euro destinati a corsi di formazione. L’inchiesta-bis riguarda altri
38 consiglieri regionali di PDL,
Udc e PD (tra cui anche Francesca
Barracciu, vincitrice delle primarie del centro-sinistra). In tutto, ad
oggi, risultano indagati complessivamente 53 consiglieri sardi (alcuni ancora in carica).
6 il bolscevico / fiat-chrysler
N. 3 - 23 gennaio 2014
Mentre in Italia non investe, chiude stabilimenti e colloca 11 mila lavoratori in cassa integrazione
La Fiat compra Chrysler
Con una lettera indirizzata ai
300 mila lavoratori del gruppo automobilistico in tutto il mondo,
sussiegos
amente appellati “cari colleghi”, il presidente della Fiat, John
Elkann, e l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, hanno annunciato il 1° gennaio il raggiungimento di un “accordo storico per
far nascere un’azienda globale”,
con l’acquisto del 100% della Chrysler di cui il gruppo torinese deteneva già il 58,5%.
L’accordo è stato raggiunto da
Marchionne dopo una lunga trattativa con il fondo assistenziale e
pensionistico Veba, gestito dal sin-
Condizioni capestro per i lavoratori americani
dacato dei lavoratori della Chrysler,
Uaw, che deteneva ancora il 41,5%
del pacchetto azionario, dopo che
la Fiat, grazie al megaprestito miliardario di Obama, era entrata dal
2009 nell’industria di Detroit acquisendone il 20% della proprietà
e la direzione effettiva a costo zero;
per poi arrivare nel gennaio 2012,
attraverso vari passaggi e un esborso complessivo di 2,3 miliardi di
dollari, a controllare quasi il 60%
del capitale, mentre Veba rimaneva l’unico altro azionista con la restante parte.
In base a questo accordo, che
avrà valore dal 20 gennaio, Fiat rileverà l’intera quota di Veba per 4,3
miliardi di dollari (il fondo americano ne chiedeva 5), acquisendo perciò il 100% della proprietà
di Chrysler. Ma in realtà di questa
somma il Lingotto ne dovrà versare in contanti solo 1,75 miliardi di
dollari. Altri 1,9 miliardi arriveranno dalla stessa Chrysler, attraverso
un dividendo straordinario che pagherà ai suoi due soli azionisti, di
cui 1,1 miliardo andrà alla Fiat che
lo girerà a Veba. La restante quota di 700 milioni di dollari sarà pagata da Fiat, o meglio dalla nuova
società globale risultante dalla fusione con Chrysler, in quattro anni
attraverso premi di produzione e
“investimenti sul processo lavorativo”.
Sembra di capire, insomma, che
saranno gli stessi lavoratori americani a finanziare parte dell’operazione, attraverso un ulteriore
aumento della produttività e dei carichi di lavoro. E questo dopo che
già con l’arrivo di Marchionne sotto l’egida di Obama e del Tesoro
americano avevano dovuto accettare condizioni durissime per non veder chiudere la fabbrica, tra cui la
spostando rapidamente dall’Italia e
dall’Europa al di là dell’Atlantico,
tanto che il Financial Times ha rivelato, e lo stesso Marchionne ha
fatto capire, che la nuova società
sarà quotata a Wall Street (“andremo dove ci sono i soldi”, ha detto il nuovo Valletta), mentre oggi
la Fiat è ancora quotata alla Borsa di Milano. Ed è facile immaginare che anche il centro decisionale e la progettazione, oggi stanziati
al Lingotto, faranno con tutta probabilità la stessa fine migrando da
Torino a Detroit, o verso altre sedi
in America e nel resto del mondo,
Marchionne in visita ad uno stabilimento Chrysler. Accanto una protesta di operai della Chrysler in lotta per aumenti salariali
riduzione del 30% della paga oraria, l’aumento dell’orario di lavoro,
la riduzione delle pause, il dimezzamento del salario per i nuovi assunti, la rinuncia agli scioperi fino
al 2015, l’introduzione del nuovo modello lavorativo denominato
World Class Manufacturing, con il
licenziamento di ben 28 mila lavoratori: lo stesso modello che Marchionne ha poi esportato anche in
Italia, con la complicità dei sindacalisti collaborazionisti di CISL e
UIL, applicandolo in forma e misura diverse ma con identici intenti a
Pomigliano, Mirafiori, Grugliasco,
Melfi, per non parlare dello stabilimento di Termini Imerese in Sicilia e della Irisbus in Campania, che
sono stati addirittura cancellati.
Spostamento
del baricentro
oltreoceano
Attraverso la fusione con Chrysler la Fiat diventa il settimo
produttore mondiale, dietro Renault-Nissan, Hyundai-Kia, Ford,
Volkswagen, General motors e Toyota, e punta ad espandersi sul mercato americano, una delle aree mondiali più in crescita insieme alla Cina,
trainata dal successo di vendite della Chrysler, che a novembre ha fatto
registrare un balzo del 16% (9% su
base annua). Altre aree in cui punta
ad espandersi, dando per scontato il
perdurare della contrazione del mercato europeo (dove nel 2013 ha registrato le peggiori perdite dal 1990),
sono il Messico e l’America Latina,
dove vanta già una posizione di primato in Brasile. Più a media-lunga
scadenza l’assunzione di una dimensione globale risponde all’obiettivo
di entrare nel ricchissimo mercato cinese, oggi il più in espansione
in assoluto, dove finora era praticamente assente e dove da tempo dominano Volkswagen e Toyota.
Ciò fa capire chiaramente come
il baricentro finanziario e industriale di Fiat-Chrysler si stia ormai
per stare più vicini al cuore finanziario del gruppo.
E quale sarà, in questo quadro
di vasti cambiamenti, la sorte degli
stabilimenti italiani, dove già oggi
si producono solo 350 mila auto
contro il milione e mezzo di Fiat
vendute in Italia, mentre se ne produceva un milione quando in Fiat
è entrato Marchionne e due milioni appena dieci anni fa? E dove
su 30.700 lavoratori più di un terzo, ben 11.000, sono tenuti in cassa integrazione permanente o periodica?
A ben vedere non c’è niente
da festeggiare per questo accordo, come ha fatto la Borsa facendo fare alle azioni Fiat un balzo del
16%, e come hanno fatto il governo, la stampa di regime e i crumiri Bonanni e Angeletti, che si sono
ascritti il merito di aver favorito la
“vittoria” di Marchionne firmando
i suoi accordi capestro a Pomigliano e negli altri stabilimenti Fiat:
“Con quegli accordi abbiamo salvato l’industria dell’auto”; “se ora
la Fiat è un gruppo globale il merito è anche dei sindacati italiani”,
hanno dichiarato entusiasti i due
traditori commentando la “fausta”
notizia. Dopo la beffa del progetto “Fabbrica Italia”, tirato fuori
dal cappello per giustificare quegli accordi di stampo mussoliniano
dietro la promessa di investimenti per 20 miliardi, poi abbandonato accampando la crisi del mercato, il nuovo Valletta cerca ancora
di seminare illusioni di fantasmagoriche prospettive di investimenti e sviluppo che avrebbe in mente per l’Italia: come ha ventilato in
un’intervista a Ezio Mauro su la
Repubblica del 10 gennaio, in cui
ha favoleggiato di “capannoni-fantasma, mimetizzati in giro per l’Italia”, dove “squadre di uomini nostri
stanno preparando i nuovi modelli
Alfa Romeo che annunceremo ad
aprile”, e promettendo che i lavoratori attualmente a cassa integrazione, “col tempo – se non crolla
un’altra volta il mercato – rientre-
ranno tutti”.
I dubbi
sull’operazione
finanziaria
Ma ammesso che si debba credere anche stavolta alle sue bugie,
e facendo pure finta di scordare la
chiusura di Termini Imerese, che
intanto va avanti buttando sul lastrico migliaia di lavoratori dello stabilimento siciliano e del suo
indotto, nonché il quasi certo trasferimento della direzione e della progettazione all’estero, dove
prenderà la Fiat i miliardi necessari
per un simile piano di rilancio della produzione in Italia? La domanda è lecita, giacché anche i risvolti
finanziari dell’operazione Fiat-Chrysler sono tutt’altro che chiari e
univoci.
Intanto gli Agnelli, che controllano Fiat tramite la finanziaria di
famiglia Exor, come al solito non
hanno intenzione di sborsare un
euro, tant’è che hanno già annunciato che la Fiat non ricorrerà ad un
aumento di capitale (cioè frugandosi in tasca) per coprire l’acquisizione di Chrysler, il che vuol dire
che le risorse saranno cercate sul
mercato finanziario (banche, fondi
di investimento), con altro indebitamento del gruppo che è già il più
indebitato tra i produttori europei.
Se non addirittura anche attraverso
la cessione di altre attività, come
è stato fatto con l’Iveco venduta
agli olandesi, col rischio del trasferimento all’estero di altri pezzi
pregiati, come potrebbe essere per
esempio con la Ferrari.
Marchionne ha ventilato che
i soldi per investire in Italia verrebbero dalla liquidità di Chrysler,
che grazie al buon andamento delle vendite negli Stati Uniti vanta
oggi 20 miliardi di euro di cassa.
Ma è vero anche che è gravata da
un debito industriale netto di quasi 10 miliardi, e che deve far fronte
ad altri 8 di investimenti già decisi
per quest’anno, più l’enorme onere
delle pensioni dei dipendenti. Tanto che le agenzie di rating, in particolare Moody’s e Fitch, minacciano di declassare la Fiat, il cui
debito è considerato dagli analisti
internazionali poco più del livello
“spazzatura”.
E c’è perfino chi mette in dubbio che sia stata la Fiat ad avvantaggiarsi da questa operazione,
come l’ex ad (amministratore delegato) della Fiat Cesare Romiti,
il quale ha dichiarato a la Repubblica: “È indubbio che Marchionne
sia stato un ottimo negoziatore. Ma
non saprei dire chi ha salvato chi
tra le due società”. E ricordando di
aver già desistito nel 1990, d’accordo con la famiglia Agnelli, dal
tentativo di acquistare la Chrysler
per via dei troppi debiti da cui era
gravata, ha così concluso: “Spero
ora abbiano fatto bene i conti e che
i numeri siano cambiati. Se non
fosse così, faccio i miei auguri”.
Dunque, altro che in piani e investimenti mirabolanti c’è da credere per il futuro delle fabbriche
della Fiat in Italia, dopo questa
operazione di ingegneria finanziaria dai molti lati oscuri. Oggi più
che mai l’unica strada certa per salvare i posti di lavoro è la nazionalizzazione senza indennizzo della
Fiat da parte dello Stato, e la sua riconversione produttiva in base a un
grande piano collettivo per sviluppare i trasporti pubblici e l’innovazione tecnologica orientata a ridurre i consumi e l’inquinamento.
corruzione / il bolscevico 7
N. 3 - 23 gennaio 2014
4 arrestati e 4 indagati, tra cui il vicesindaco di “centro-sinistra” e un ex assessore del PDL
Tangentopoli a L’Aquila
sulla pelle dei terremotati
Il neopodestà PD Cialente costretto a dimettersi
A quasi cinque anni dal sisma
che il 6 aprile del 2009 provocò 309 morti, 1.600 feriti e oltre
65.000 sfollati, l’Aquila si ritrova
al centro di un nuovo terremoto,
questa volta politico giudiziario,
che ha già costretto alle dimissioni il neopodestà piddino Massimo
Cialente e che vede il suo vice,
funzionari, assessori ed ex assessori finire sott’inchiesta e agli arresti per reati gravi e infamanti che
vanno dal millantato credito alla
corruzione, dalla falsità materiale
ed ideologica all’appropriazione
indebita in riferimento alla scandalosa gestione degli appalti per la
ricostruzione.
Tra le 4 persone finite in manette l’8 gennaio spiccano: Pierluigi Tancredi, ex assessore di Forza
Italia ed ex consigliere comunale Pdl alla “salvaguardia dei beni
artistici dell’Aquila” e Vladimiro Placidi, ex assessore comunale nominato come tecnico nella
giunta di “centro-sinistra”, delegato alla ricostruzione dei beni culturali. Gli altri due arrestati sono
Daniela Sibilla, collaboratrice di
Tancredi e l’imprenditore abruzzese Pasqualino Macera.
Tra gli indagati, invece, c’è an-
che il vicesindaco de L’Aquila,
Roberto Riga “centro-sinistra”,
accusato di aver ricevuto una tangente di 10 mila euro, dei 30 mila
promessi, nascosta in pezzi da 500
euro dentro un pacco dono con
una confezione di grappa, per la
promessa di un appalto.
Le indagini sono partite dai lavori di puntellamento di Palazzo
Carli, sede del Rettorato dell’Università de L’Aquila, nel centro storico della città. Oltre a Riga, sono
indagati un dirigenti del Comune,
un tecnico e un imprenditore, tutti
sottoposti a perquisizione domiciliare e presso gli uffici di appartenenza, per gli stessi reati contestati agli arrestati. Si tratta di Mario
Di Gregorio, direttore del settore
Ricostruzione Pubblica e Patrimonio del Comune dell’Aquila (ora
sospeso dall’incarico), all’epoca
dei fatti responsabile dell’Ufficio
Ricostruzione; Fabrizio Menestò,
ingegnere, all’epoca dei fatti direttore e progettista dei lavori per le
opere provvisionali di messa in sicurezza di Palazzo Carli e di Daniele Lago, imprenditore.
Dalle carte è emerso anche
che alcuni indagati si sono indebitamente appropriati, previa con-
L'Aquila. Un significativo striscione sui ritardi per la ricostruzione nel centro della città
traffazione della documentazione
contabile, di circa 1.250.000 euro,
relativa al pagamento di parte dei
lavori.
A svelare il vergognoso mercimonio consumato sulla pelle
dei terremotati è stato un imprenditore veneto, Daniele Lago, amministratore delegato della “Steda
spa”. Messo alle strette dagli inquirenti per l’assegnazione illecita
di un appalto da oltre 1 milione di
euro, Lago ha deciso di confessare e di raccontare tutti i loschi retroscena del sistema delle tangenti
per gli appalti nella ricostruzione
de L’Aquila al procuratore Fausto
Cardella e ai pubblici ministreri
(pm) David Mancini e Antonietta
Picardi.
“Gli indagati hanno rivelato
una dedizione costante ad attività
predatorie in danno della collettività, arrivando a suggerire i meto-
Ritorsione contro il movimento No MUOS dopo l’occupazione della base
militare statunitense
Denunciati gli attivisti del
Presidio permanente di Niscemi
‡‡Dal nostro corrispondente
della Sicilia
Giro di vite nella repressione del movimento No MUOS: il
4 gennaio quindici attivisti hanno ricevuto altrettanti avvisi di
garanzia per “invasione di suolo
militare”. Il “reato” sarebbe stato compiuto dai quindici giovani
il 9 agosto 2013, quando l’intero
corteo, oltre un migliaio di manifestanti, al termine della storica,
vittoriosa, vivacissima e qualificata manifestazione nazionale entrò
nella base statunitense dove dovrebbe sorgere il MUOS.
Fu un’azione di massa: famiglie, bambini, anziani, lavoratori,
donne, tutti insieme ad occupare
la base per difendere se stessi ed il
proprio territorio contro un criminale progetto di guerra e di morte. Ci chiediamo, come sia possibile, se non sospendendo i principi
della stessa democrazia borghese,
far pagare a 15 giovani un’azione
di tutto il movimento? La strategia di repressione delle istituzioni borghesi ci fa pensare anzitutto alle decimazioni e alle ritorsioni
nazifasciste che colpivano gli obbiettivi più esposti per disseminare il terrore e spezzare le reni alla
Resistenza. Il metodo è lo stesso.
Questo in primo luogo, ma ci sono
ulteriori elementi politici da rilevare.
Il PMLI esprime la massima
solidarietà ai giovani attivisti col-
ti dai provvedimenti repressivi e
chiede l’immediata archiviazione del procedimento. La polizia di
Alfano e i magistrati della Cancellieri non potranno certo fermare la
popolazione di Niscemi, appoggiata da tutti i siciliani consapevoli che lottano per la propria salute e per la liberazione del territorio
dalla schiavitù militare dell’imperialismo americano. Registriamo
con gioa che le masse niscemesi non si sono lasciate intimidire,
anzi, il 12 gennaio hanno sfilato
ancora una volta contro il MUOS,
allargando la protesta contro lo
smantellamento dell’ospedale dei
Niscemi, vittima dei tagli regiona-
li del governo Crocetta (PD).
Basta con le ritorsioni contro le
masse popolari di Niscemi! Il governo Letta-Alfano deve fare un
passo indietro e cancellare l’accordo con gli USA sul MUOS.
Archiviare immediatamente
le denunce ai giovani attivisti No
MUOS!
Viva la storica occupazione
della base USA di Niscemi!
Viva le masse di Niscemi e i
Comitati in lotta contro il MUOS!
Crocetta, traditore, vattene!
Pubblicazione e revoca degli
accordi nazionali firmati dai governi Berlusconi e Prodi per l’installazione del MUOS!
Niscemi
(Caltanissetta),
9 agosto 2013,
manifestazione
nazionale contro
il MUOS. Il
PMLI schierato
davanti alla
base Usa prima
dell’occupazione
(foto Il Bolscevico)
Revoca dei protocolli regionali
di autorizzazione del MUOS!
Chiusura della base di Sigonella e sua conversione in aeroporto
civile!
Divieto di ospitare sul territorio
nazionale e siciliano droni e armamenti nucleari!
Revoca dell’autorizzazione alla
base NRTF-8 di Niscemi e smantellamento delle antenne!
Smilitarizzare la Sicilia!
Via le basi Usa e Nato dall’Italia! Via l’Italia dalla Nato!
No MUOS! No Ponte! No
Tav!
No
allo
smantellamento
dell’ospedale di Niscemi!
di corruttivi, a costituire società ad
hoc, a rappresentare realtà fittizie,
anche in momenti (il post sisma)
in cui il dramma sociale e umano
avrebbe suggerito onestà e trasparenza. Da ciò si ricava la certezza della reiterazione di reati della
stessa specie - scrive il giudice per
le indagini preliminari (gip) Romano Gargarella nell’ordinanza
d’arresto -Tancredi anche in virtù del suo ruolo politico pubblico
si è posto nel dopo-sisma, caratterizzato dalla fase dell’emergenza, come collettore di compensi di
imprese in cambio di agevolazioni
per il conferimento di lavori”. Non
solo. Tancredi, secondo il Gip, attraverso una società creata appositamente per riciclare i proventi illeciti, oltre alle tangenti della
“Steda” ha arraffato anche cinque
Map (Moduli abitativi provvisori) del valore di 40 mila euro l’uno
che poi, secondo l’accusa, ha in
parte rivenduto.
Un verminaio a cui hanno preso parte anche i massimi vertici
dell’amministrazione comunale di
“centro-sinistra” de L’Aquila e in
particolare il vicesindaco Riga sul
cui conto il Gip Gargarella scrive che: “L’amministratore della
Steda spa ha riferito che uno degli appalti che gli vennero ‘offerti’
riguardava quello relativo all’esecuzione delle opere provvisionali
di messa in sicurezza di un immobile della dottoressa Sabrina Cicogna, medico presso l’ospedale de
L’Aquila. Dalle dichiarazioni del
Lago emerge che l’assegnazione
di quell’intervento gli venne garantita oltre che da Tancredi, anche
da Riga, vicesindaco de L’Aqui-
la”. E per ottenere quell’appalto a
Lago fu chiesto di finanziare con
un contributo elettorale di 5mila
euro il partito politico ‘La Destra’,
di cui “la Cicogna era esponente
locale”.
Accuse che chiamano direttamente in causa anche il dimissionario Cialente, sindaco della città
da due legislature, che non risulta indagato ma che certamente ha
delle gravi responsabilità politiche
prima di tutto perché è stato lui a
scegliere Placidi e Tancredi e quindi era perfettamente a conoscenza
del modo truffaldino in un cui si
operava nell’ufficio Viabilità.
Dunque Cialente non è stato
“tradito” e non è certo una “vittima” del mercimonio consumato
dai suoi uomini sulla pelle dei terremotati. Anzi egli sapeva benissimo che ad esempio in almeno due
occasioni l’ex assessore Udeur Ermanno Lisi si è accordato con il
responsabile del reparto, il geometra Carlo Bolino, circa l’aumento
dell’importo di alcuni lavori; così
come sapeva benissimo delle procedure di favore utilizzate da Bolino per l’assegnazione degli appalti a parenti e amici e non si è mai
sognato di intervenire e di togliere l’incarico a Bolino. Secondo le
confessioni dell’imprenditore Daniele Lago, dalle casse del comune de L’Aquila sarebbe uscita una
tangente da un milione di euro destinata a tre boss politici.
Lisi, tra l’altro già coinvolto in
un’altra inchiesta del post terremoto a L’Aquila, addirittura commentava che il sisma è stato un
“colpo di culo... Una fortunosa”
occasione per poter far soldi sulla pelle dei morti, dei terremotati e
degli sfollati. Infamità che richiamano alla memoria le risate al telefono tra l’imprenditore Francesco Maria De Vito Piscicelli e il
cognato che già poche ore dopo il
sisma pregustavano i grandi affari
legati alla ricostruzione.
Dunque altro che “bravura e
capacità tecniche” di cui ciancia
Cialente che evidentemente continua a fare il pesce in barile. L’ennesimo scandalo sul post terremoto a L’Aquila conferma che siamo
governati da una banda di criminali che fanno capo a tutte le varie
cosche politiche di destra, “sinistra” e centro e che pensano solo
al proprio tornaconto e non si fermano nemmeno di fronte ai morti
e alle tragedie del terremoto.
Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI
Indirizzo postale: Il Bolscevico - C.P. 477 - 50100 Firenze
e-mail [email protected]
sito Internet http://www.pmli.it
Redazione centrale: via del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale
murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze
Editore: PMLI
Iscrizione al Roc n. 8292
chiuso il 15/1/2014
ISSN: 0392-3886
ore 16,00
Associato all’USPI
Unione Stampa
Periodica Italiana
PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANO
Sede centrale: Via Antonio del Pollaiuolo, 172a - 50142 FIRENZE
Tel. e fax 055.5123164 - recapito postale: Il Bolscevico - C.P. 477 - 50100 Firenze
e-mail: [email protected]
www.pmli.it
interni / il bolscevico 9
N. 3 - 23 gennaio 2014
Secondo Pieczenik, consulente della Cia
Gli Usa volevano l’uccisione di Moro
per impedire al PCI
di accedere al governo con la DC
Dal Viminale, durante i 55
giorni del sequestro di Aldo Moro,
un inviato del governo americano per seguire il caso, Steve Pieczenik, manipolò le cose insieme al
picconatore golpista Cossiga per
favorire l’uccisione dello statista
DC da parte delle sedicenti “Brigate rosse”: a rivelarlo è stato lo
stesso agente Usa in un’intervista
a Giovanni Minoli trasmessa il 30
settembre 2013 su Radio 24, la radio del quotidiano confindustriale
Il Sole 24 ore. Obiettivo della manipolazione era evitare la liberazione Moro e costringere le “Br”
ad ucciderlo, perché la sua morte
sarebbe servita a “stabilizzare il
Paese” ed evitare che il PCI potesse andare al governo.
Pieczenik, psichiatra, esperto di “gestione di crisi” e controterrorismo, consulente di Kissinger durante la presidenza di Nixon
e di tutti i segretari di Stato delle
successive amministrazioni Usa,
nonché consulente della Cia per
la guerra psicologica, nella primavera del 1978 fu inviato a Roma
dall’allora segretario di Stato
Cyrus Vance per seguire la vicenda del sequestro di Moro, agendo
in stretto contatto con l’allora ministro dell’Interno Cossiga, che
dirigeva il comitato di crisi incaricato di gestire le ricerche. “Appena arrivato in Italia – racconta nell’intervista - per le strade
c’erano continui disordini, continue proteste. Si sparava contro gli
avvocati, contro i giudici, c’erano morti in continuazione. Erano
tutti concordi che se i comunisti
fossero arrivati al potere e la Democrazia cristiana avesse perso,
ci sarebbe stato un effetto valanga, gli italiani non avrebbero più
controllato la situazione. Gli Stati
Uniti avevano un preciso interesse
riguardo alla sicurezza nazionale,
soprattutto per quanto riguardava
l’Europa del sud. La mia preoccupazione era estremamente concreta: Qual era il centro di gravità per stabilizzare l’Italia? A mio
giudizio quel centro di gravità si
sarebbe creato sacrificando Aldo
Moro”.
Pieczenik rivela poi che la de-
cisione di sacrificare Moro fu presa da lui e Cossiga dopo che nelle
sue lettere il prigioniero, preoccupato unicamente di salvarsi la vita,
cominciò a lanciare accuse ai dirigenti della DC e minacciare rivelazioni destabilizzanti sullo Stato,
il suo partito e i suoi stessi amici:
“Quando mi resi conto della sua
strategia, dissi: quest’uomo si sta
trasformando in un peso, e non in
un bene da salvaguardare”, spiega
l’agente Usa. Da quel momento
anche Cossiga se ne sarebbe convinto, e sarebbe quindi partita la
“manipolazione” per provocare la
morte di Moro per mano dei suoi
sequestratori: cominciando con
l’opera di discredito sulle piene
facoltà mentali dello stesso Moro
attraverso la propagazione dell’idea che le lettere non fossero state
scritte da lui, o scritte sotto dettatura, e che il prigioniero fosse drogato o psicologicamente condizionato dai suoi carcerieri.
Un altro atto saliente di questa
strategia fu la diffusione del falso
comunicato delle “Br” che il corpo di Moro si trovava in fondo
al lago della Duchessa, “per preparare il Paese alla sua morte” e
per far capire ai brigatisti che tutte le ipotesi di trattativa si stavano chiudendo, e che non rimaneva loro che ucciderlo. Tanto che a
tale scopo Pieczenik racconta di
aver convinto Cossiga a bloccare perfino il tentativo di trattativa
del Vaticano, che aveva raccolto
un’ingente somma per pagare il
riscatto di Moro. A suo dire questa strategia riuscì così bene che
se ne tornò in America ancor prima del ritrovamento del cadavere
di Moro, perché era ormai sicuro
che le “Br” erano cadute nella sua
“trappola” e che l’esecuzione del
presidente DC era solo questione
di settimane.
“Rivelazioni” ambigue
e reticenti
L’intervista a Minoli è stata acquisita dal pm romano Luca Palamara, titolare dell’ultimo procedimento aperto sul sequestro e
l’omicidio di Moro, e non si esclu-
Roma, 9 maggio 1978, via Caetani. Il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro
de che possa chiamare il consulente americano a testimoniare,
anche tramite rogatoria internazionale. Del resto Pieczenik non è
nuovo a simili dichiarazioni. Già
in passato la Commissione stragi
aveva tentato inutilmente di chiamarlo a testimoniare. In un librointervista pubblicato qualche anno
fa, dall’eloquente titolo “Abbiamo
ucciso Aldo Moro. Dopo trent’anni un protagonista esce dall’ombra”, aveva fatto più o meno le
stesse rivelazioni di oggi, che però
erano passate stranamente sotto silenzio. A Minoli ha raccontato di essersi deciso a parlare perché sono ormai passati trent’anni
e “per dovere verso il popolo italiano”.
Ovviamente non c’è da credergli, e bisognerebbe invece capire
quale sia il suo vero gioco. Anche
le sue “rivelazioni” sono parecchio sospette, reticenti e piene di
contraddizioni. Soprattutto perché
in ultima analisi tendono a minimizzare il ruolo del governo Usa
nella vicenda, limitandone l’intervento alla sola fase finale del sequestro di Moro e solo attraverso
Accade nulla
attorno a te?
RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’
Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe
e le condizioni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella
scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quante
ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi politici e sociali ti fanno ribollire il sangue
e vorresti fossero conosciuti da tutti.
Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti
rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corrispondenza delle masse e
Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a:
IL BOLSCEVICO - Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze
Fax 055 5123164
e-mail: [email protected]
un solo agente, per quanto plenipotenziario.
Dalla sua ricostruzione sembra
inoltre che la decisione di sacrificare Moro sia stata presa solo da
un certo punto in poi del sequestro, quando con le sue lettere stava diventando pericoloso per la
“stabilità” del sistema, mentre altrove si accenna al fatto che l’interesse preminente del governo
americano era di impedire la salita del PCI al governo insieme alla
DC: e chi era l’artefice di questa
integrazione del partito revisionista nel sistema di governo se non
Aldo Moro, tanto da aver ricevuto le minacce dirette di Kissinger
in occasione di un ricevimento a
Washington?
Dunque se lo scopo era quello
di eliminare Aldo Moro per liqui-
dare il “compromesso storico” che
stava realizzando insieme a Berlinguer, la decisione di farlo fuori era stata presa dal governo Usa
ancor prima del suo rapimento in
via Fani. Sotto questa luce le rivelazioni di Pieczenik sembrano dirette ad ammettere solo una parte
della verità per stornare l’attenzione dal ruolo onnipresente e determinante dei servizi segreti americani in tutta la vicenda: fin dalla
sua ideazione, e non soltanto per
quanto attiene al suo tragico epilogo.
Ma con alcune
importanti conferme
Tuttavia l’intervista di Piecznik
è importante se non altro perché
conferma da parte di una fonte diretta alcuni punti che già erano
emersi e che noi abbiamo sempre
sostenuto fin dal primo momento:
e cioè che lo scopo del rapimento
e dell’uccisione di Moro era di impedire che il PCI revisionista andasse al governo con la DC, e che
questo era un interesse preminente
del governo americano, che difatti
vi ha giocato un ruolo sicuramente chiave. Tanto è vero che con la
morte di Moro è abortita prematuramente anche l’esperienza dei
governi di “solidarietà nazionale”
propedeutici alla cooptazione del
PCI nel governo del Paese, aprendo invece la strada ai governi pentapartito di Craxi e alla seconda
repubblica neofascista e piduista.
Conferma altresì che il referente diretto in Italia del governo
Usa e dei suoi agenti era Francesco Cossiga, in quanto capo della struttura segreta anticomunista
“Stay behind” (detta anche “Gladio”), e in stretto contatto con la
P2 di Gelli, tanto che guarda caso
Pieczenik alloggiava in quei giorni nello stesso albergo Excelsior
in cui riceveva il “maestro venerabile”: il che spiega i depistaggi, il mancato ritrovamento della
prigione di Moro in via Gradoli
(in un appartamento di proprietà
dei servizi segreti), e tutti gli altri
misteri riscontrati durante e dopo
quei 55 giorni di prigionia.
E conferma infine che le sedicenti “Br”, che allora cercavano di
irretire e ingannare i sinceri rivoluzionari, che noi non ci stancavamo
di mettere in guardia, erano invece
infiltrate ed eterodirette da tali forze occulte reazionarie, come burattini i cui fili vengono tirati da
abili burattinai che si nascondono
dietro le quinte, e che recitano
soltanto un copione già scritto da
qualcun altro e dal finale scontato.
Gasparri (FI) accusato
di peculato
Ha usato 600 mila euro di fondi PDL per stipulare una polizza sulla vita
Il 17 dicembre la procura di
Roma ha notificato un avviso di
conclusione indagini al senatore di FI-PDL, Maurizio Gasparri, accusato del reato di peculato
nell’ambito dell’inchiesta inerente
la scandalosa gestione dei contributi pubblici erogati ai gruppi parlamentari nella passata legislatura.
Secondo i magistrati della Capitale, l’ex fascista ripulito e attuale vicepresidente del Senato,
in qualità di presidente del gruppo parlamentare del PDL nella
XVI legislatura, si è appropriato - tramite la banca Bnl del Senato - di 600mila euro (fondi del
gruppo PDL a Palazzo Madama),
utilizzandoli per scopi personali
e in particolare per l’acquisto di
una polizza vita a lui intestata e i
cui beneficiari, in caso di morte
dell’assicurato, erano i suoi eredi
legittimi.
Soldi poi restituiti l’anno successivo – si difende Gasparri – che
sostiene di aver riversato al suo
gruppo parlamentare il primo febbraio del 2013.
Una tesi che non ha convinto gli inquirenti a cominciare dal
procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, dagli aggiunti Rossi e Caporale e dai sostituti procuratori Orano e Pioletti che
hanno firmato l’avviso di conclusione indagini: un atto che in genere prelude alla richiesta di rinvio a giudizio.
Secondo i Pm, il regolamento vigente all’epoca dei fatti “non
prevedeva alcuno specifico obbligo di rendicontazione sugli impieghi dei contributi” ai gruppi
parlamentari. Dalle indagini della Finanza, è così emerso che il
gruppo PDL al Senato, composto da circa 150 unità, era dotato
- in virtù di numerosi dipendenti
- di una struttura amministrativa
che provvedeva alle spese utilizzando “sistematicamente” denaro
contante. In poco più di due anni
(2010-2012) il contante prelevato
ammonta alla somma di 2milioni
e 800mila euro, “da ritenersi considerevole”. Per chi indaga “è certamente singolare che nell’utilizzo
di contributi pubblici per siffatti importi, si sia adottata per anni
una tale modalità di gestione, scarsamente rispondente ad esigenze
di controllo e trasparenza. Ma occorre considerare che tale prassi è
stata introdotta e realizzata in un
contesto normativo che nella sostanza autorizzava a non tenere alcuna rendicontazione”.
10 il bolscevico / corruzione
N. 3 - 23 gennaio 2014
21 gli indagati, tra cui l’ex governatore del Lazio Marrazzo (“centro-sinistra”),
per reati che vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, alla truffa e al falso ideologico
Arrestato il boss
delle discariche Cerroni
Godeva della protezione di parlamentari e politici della “sinistra” e destra borghese grazie a scambi di favori
e a un fiume di finanziamenti come alla fondazione dell’ex ministro verde Ronchi. Aveva regolari rapporti
di complicità con esponenti politici come coi PD Fioroni e Realacci. Sequestrati 18 milioni di euro proventi di reati
Lo scorso 9 gennaio sette persone sono state arrestate su disposizione del giudice per le indagini
preliminari del tribunale di Roma
Massimo Battistini nell’ambito
dell’inchiesta sulla gestione dei
rifiuti del Lazio. Un vero e proprio terremoto giudiziario che ha
avuto effetti dirompenti anche
nel mondo della politica romana e laziale. Le ordinanze di custodia cautelare sono state emesse nell’ambito del procedimento
penale - diretto dai pm romani
Alberto Galanti e Maria Cristina
Palaia - n. 7449/2008 r.g.n.r., procedimento in cui convergono diversi filoni di indagine sviluppati
dal 2008 fino ad oggi, ed a cui ha
collaborato anche il pm (pubblico ministero) di Velletri Giuseppe
Travaglini.
Tra gli arrestati il nome più
importante è sicuramente quello
del boss dell’immondizia romana e laziale Manlio Cerroni, titolare del Consorzio Laziale Rifiuti (Colari) e di altre imprese che
complessivamente fatturano 700
milioni di euro, potentissimo imprenditore legato da decenni con
parlamentari e amministratori lo-
cali sia di “centro-destra” sia di
“centro-sinistra”, di fatto il monopolista nella gestione dello
smaltimento dei rifiuti di Roma e
del Lazio, e non solo. Proprietario tra l’altro dell’area che ospita
la famigerata discarica romana di
Malagrotta, la più grande d’Europa, ha per decenni ostacolato e di
fatto impedito la diffusione della
raccolta differenziata nella capitale.
Nell’ambito
dell’inchiesta
sono 21 i personaggi finiti nel
registro degli indagati, sette dei
quali finiti in manette: con Cerroni infatti sono state arrestate altre 6 persone, i dirigenti regionali
(anche con la giunta Zingaretti PD) Luca Fegatelli e Raniero De
Filippis, il manager della Pontina
Ambiente srl e della E. Giovi srl società del gruppo Cerroni - nonché stretto collaboratore del re dei
rifiuti, Francesco Rando, il direttore della discarica di Albano Laziale, Pino Sicignano, ed il titolare della E. Giovi srl, Piero Giovi.
Arrestato anche il politicante borghese Bruno Landi (Nuovo PSI).
Per tutti e sette le accuse sono
gravissime, ossia associazione a
La protetsa degli abitanti della zona contro le discariche di Malagrotta e Valle
Galeria
delinquere finalizzata al traffico
illecito di rifiuti, frode in pubbliche forniture, falso ideologico e
truffa, con contestuale sequestro
di beni mobili ed immobili per
18 milioni di euro. Nella stessa
operazione sono state eseguite 22
perquisizioni locali presso i domicili e gli uffici degli indagati,
oltre che presso le sedi delle so-
cietà coinvolte.
Secondo l’ordinanza firmata dal gip (giudice per le indagini
preliminari) si trattava di un vero
e proprio sodalizio criminale capace di condizionare l’attività di
tutti gli enti pubblici coinvolti
nella gestione del ciclo dei rifiuti
nel Lazio, a partire dalla Regione.
L’organizzazione faceva ovvia-
Calcioscommesse: 4 arresti
Truccavano le partite
Indagati Gattuso e Brocchi, accusati di associazione a delinquere
finalizzata a truffa e frode sportiva
Lo scorso 17 dicembre la polizia ha eseguito - per ordine della procura di Cremona che indaga da tempo sul calcioscommesse
con l’inchiesta “Last Bet” (ultima
scommessa) - quattro ordinanze
di custodia cautelare per associazione a delinquere finalizzata alla
truffa e alla frode sportiva tra Milano, Bologna, Rimini e Messina. Agli arresti sono finiti Salvatore Spadaro, Francesco Bazzani,
Cosimo Rinci e Fabio Quadri che
i magistrati cremonesi ritengono
essere il collegamento tra il mondo delle scommesse clandestine, i
giocatori e le società di calcio.
Oltre ai quattro arresti, ci sono
oltre venti indagati, tra cui ex calciatori famosi come Gennaro Gattuso, ex giocatore del Milan e
campione del mondo a Berlino, e
Cristian Brocchi, ex giocatore del
Milan e della Lazio, le cui abitazioni sono state perquisite e che
secondo l’accusa erano in contatto
con due degli arrestati, in particolare con Francesco Bazzani. Oltre
a loro altri otto sportivi, tra calciatori in attività ed ex calciatori,
sono finiti sotto indagine: Claudio
Bellucci (ex giocatore di Modena,
Napoli, Bologna e Sampdoria ed
attualmente allenatore giovanile),
Davide Bombardini (ex giocatore
di Roma, Bologna, Atalanta e Albinoleffe), Leonardo Colucci (ex
giocatore di Modena e Bologna
ed attualmente allenatore giovanile), Lorenzo D’Anna (ex giocatore del Chievo e oggi allenatore
giovanile), Nicola Mingazzini (ex
giocatore di Bologna e Albinoleffe, attualmente calciatore al Pisa),
Claudio Terzi (giocatore in attività
del Siena), Samuele Olivi (ex calciatore di Salernitana, Piacenza e
Pescara, oggi al Grosseto) e Fabrizio Grillo (giocatore del Siena).
L’accusa per tutti i dieci tesserati
è di aver truccato le partite dietro
compenso.
L’inchiesta cremonese, partita
a giugno del 2010, ha già travolto decine di giocatori ed ex giocatori anche di serie A, tra cu Beppe
Signori, Cristiano Doni e Stefano
Mauri. I magistrati hanno individuato due diverse associazioni, in
parte legate tra loro, che avevano
il medesimo obiettivo di manipolare le partite di calcio, in modo
particolare la prima (che fa capo
a Spadaro e Bazzani) impegnata a
organizzare le frodi sportive in serie A e la seconda (che fa capo a
Rinci e Quadri) che ha avuto come
obiettivo l’organizzazione delle
frodi su oltre duecento partite di
serie B e lega Pro.
Per le partite di serie A i magistrati cremonesi ritengono che i
calciatori abbiano percepito fino a
25.000 euro a partita, come confermano le intercettazioni telefoniche
e il contenuto degli sms tra loro e
gli arrestati, mentre agli allenatori
andavano fino a 70.000 euro.
Dalle intercettazioni emergono
anche i nomi di Fabio Cannavaro
e Gigi Buffon i quali, pur non essendo indagati, sono comunque finiti sotto la lente di ingrandimento dei magistrati per l’enorme e
anomala quantità di denaro (fino a
200.000 euro) da essi impiegata in
media mensilmente in scommesse
per anni.
Le partite che si sospettano essere state manipolate nel 2013 dal
gruppo degli arrestati oggi sono
53, di cui quattro di Serie A, che
sono Palermo-Bologna e Pescara-
Siena giocate il 13 aprile, PalermoInter, giocata il 28 aprile e ParmaAtalanta, disputata il 5 maggio.
I marxisti-leninisti da tempo
hanno denunciato con forza più
volte il marciume e il malaffare
che rendono il calcio capitalista
non riformabile e legato indissolubilmente con la struttura economica nella quale tale popolare sport
si innesta, da ultimo con l’articolo del 13 maggio 2012 intitolato
“Questo calcio è da buttare. Va rifondato” che prende le mosse proprio dalla stessa inchiesta “Last
Bet” che anche all’epoca portò
in carcere altri personaggi sportivi, e non era la prima volta. Non
vi sono dubbi infatti che la corruzione e il malcostume che regna
nello sport calcistico - al pari della delinquenza, del degrado e del
malaffare che ammorbano tutte
le istituzioni borghesi - sono una
conseguenza diretta del fiume di
denaro gestito dalle mani dei privati, denaro che è in grado ormai
di comperare tutto, dai calciatori
per truccare le partite ai pubblici
ufficiali per chiudere tutti e due gli
occhi su questo andazzo.
mente capo a Cerroni che aveva
come suo braccio destro Landi il
quale, secondo i magistrati romani, condizionava l’attività dei vari
enti pubblici coinvolti nella gestione del ciclo dei rifiuti al fine
di consentire al gruppo imprenditoriale riconducibile a Cerroni
di realizzare e mantenere un sostanziale monopolio nella gestione dei rifiuti solidi urbani prodotti
nell’intero Lazio. Per consentire
tutto questo ovviamente Cerroni
doveva costantemente intrallazzare con esponenti politici borghesi, ed anzi, per assicurarsi di
vedere pienamente riconfermata la sua posizione di monopolio,
favoriva abbondantemente e finanziava sia la destra sia la “sinistra” borghese. Ed è proprio un
nome di “centro-sinistra”, quello
dell’ex presidente della Regione
Lazio Piero Marrazzo, che fa più
rumore tra gli indagati, accusato
dai magistrati romani di falso in
atto pubblico per l’autorizzazione illegittimamente concessa per
la realizzazione del termovalorizzatore di Albano Laziale da parte del consorzio Coema - dietro al
quale c’è sempre stato Cerroni dallo stesso Marrazzo il 22 ottobre 2008, ossia quasi quattro mesi
dopo che l’uomo politico aveva
lasciato l’incarico di commissario straordinario per l’emergenza rifiuti del Lazio. Altro esponente politico eccellente arrestato
nell’ambito dell’inchiesta è Bruno Landi, fedelissimo di Bettino
Craxi ed ex presidente della Regione Lazio tra il 1983 e il 1984
e poi ancora tra il 1987 e il 1990,
attualmente presidente di FederLazio Ambiente, che ha ricoperto
diversi ruoli nelle società di Cerroni da Viterbo a Latina. Landi è
stato il punto di contatto con le
istituzioni borghesi nella sua doppia veste di collaboratore di Cerroni e di ex politico.
Ma i rapporti di Cerroni con
le istituzioni non finiscono qui,
perché sia nell’ordinanza del gip
sia nelle informative dei carabinieri che hanno svolto le indagini, si parla abbondantemente dei
rapporti di complicità intrattenuti
da Cerroni con gli assessori della giunta Marrazzo di “centrosinistra”, ossia il defunto Mario
Di Carlo e Giovanni Hermanin,
nonché con parlamentari del PD
come Giuseppe Fioroni, Ermete
Realacci e soprattutto Edo Ronchi del quale finanziava la fondazione. È chiaro ed evidente ai magistrati romani che il boss delle
discariche non avrebbe mai potuto compiere i suoi gravissimi illeciti senza una collaborazione più
che attiva con esponenti dei partiti parlamentari che, abbondantemente foraggiati, hanno sempre
restituito con gli interessi al magnate della spazzatura i favori ricevuti.
L’inchiesta è partita nel 2009,
originariamente per iniziativa
della procura di Velletri che ha
messo sotto osservazione la gestione del polo industriale di Albano Laziale, dove Cerroni, con
la società Pontina Ambiente, gestisce una discarica e un impianto
di Trattamento meccanico biologico (Tmb) per la produzione di
Combustibile derivato dai rifiuti (Cdr): secondo i magistrati di
Velletri il combustibile prodotto
era sensibilmente di quantità inferiore, rispetto a quanto veniva
poi fatto pagare ai comuni che
conferivano la spazzatura, semplicemente perché i rifiuti venivano smaltiti in discarica, il tutto
ovviamente con notevoli e indebiti profitti lucrati da Cerroni ai
danni dei comuni. Da tale verifica sono poi emerse altre ipotesi di
reato a carico di Cerroni, tanto da
portare l’inchiesta a Roma dove,
analizzato in tutte le sue sfaccettature, il metodo imprenditoriale illegale di Cerroni emergeva
in tutta la sua evidenza, a cominciare da Malagrotta: venivano acquistati terreni, quindi venivano
realizzati gli impianti di smaltimento, prima ancora di ottenere
l’autorizzazione definitiva, sulla
base di titoli autorizzativi provvisori o sperimentali in modo da
indurre o costringere le amministrazioni ad adeguare la situazione di diritto a quella di fatto, con
la sciagurata alternativa, nel caso
di diniego dell’autorizzazione, di
provocare una emergenza rifiuti paragonabile a quella di Napoli. Cerroni sfruttava abilmente le
situazioni di emergenza al fine di
aggirare l’obbligo di rispetto della normativa nazionale e regionale, nonché di consolidare una posizione di sostanziale monopolio
nella Regione Lazio.
Per ciò che riguarda il finanziamento illecito ai partiti, un
importante contributo allo sviluppo finale dell’inchiesta che
ha portato all’arresto di Cerroni fu dato nel 2008 da Claudio
Vittorio Di Francesco, tesoriere
del Comitato ‘”Veltroni sindaco - Prestipino presidente”, legato all’allora Margherita e nato
per sostenere nel 2006 la candidatura di Patrizia Prestipino
al XII Municipio di Roma, che
nell’ambito del procedimento
penale n. 12203/2008 r.g.n.r. accusò espressamente Manlio Cerroni davanti al pm Caterina Caputo, documentando le accuse,
di avere finanziato illegalmente
la campagna elettorale del comitato per centinaia di migliaia di
euro, in un territorio, quello del
XII Municipio romano, particolarmente sensibile alla tematica
delle discariche. Accuse confermate un anno più tardi anche dal
coordinatore del circolo romano
PD del Torrino.
PMLI / il bolscevico 11
N. 3 - 23 gennaio 2014
Camminare
con le proprie gambe
Per orientare la lotta di classe verso la lotta contro il capitalismo per il socialismo c’è un
estremo bisogno di un grande,
forte e radicato PMLI con una testa e un corpo da Gigante Rosso.
Altrimenti le lotte di piazza e le
mobilitazioni delle masse continueranno a risentire della mancanza di una chiara strategia per
il socialismo, rischiando di cadere sotto l’egemonia dei riformisti, della piccola borghesia o di
loschi avventurieri politici.
Il radicamento nei luoghi di lavoro, di studio e di vita è la chiave dello sviluppo del PMLI. Protagonisti assoluti sono le istanze
di base: le Cellule e le Organizzazioni del Partito, ma anche i
simpatizzanti attivi, specie dove
mancano i militanti. Come detta
lo Statuto del PMLI: “Il Partito
cura la sua composizione di classe, nelle sue file possono militare solo gli elementi più avanzati,
coscienti e coraggiosi della classe operaia e coloro che con decisione e generosità combattono in
prima fila sulle posizioni del proletariato, sono capaci di educare,
organizzare e mobilitare il proletariato e le grandi masse popolari italiane contro la borghesia e i
revisionisti”.
È perciò essenziale che ogni
militante del Partito, ma anche
ogni simpatizzante attivo, specialmente chi si trova momentaneamente da solo nella propria
città ad alzare la bandiera del
PMLI, sia consapevole del proprio ruolo e prenda l’iniziativa
per sforzarsi di assimilare rapidamente e a fondo il marxismo-
leninismo-pensiero di Mao, partendo dallo studio delle cinque
opere fondamentali - “Manifesto
del Partito comunista” (MarxEngels), “Stato e rivoluzione”
(Lenin), “Principi/Questioni del
leninismo” (Stalin), “Sulla giusta
soluzione delle contraddizioni in
seno al popolo” (Mao) – e la linea del Partito, soprattutto quella
di massa. Al contempo è necessario conoscere le condizioni nelle quali si opera. Nessuno meglio
dei compagni residenti può conoscere al meglio la situazione concreta che esiste in un determinato
luogo, toccare con mano i problemi delle masse, ascoltare dal vivo
le loro aspirazioni e richieste, e
quindi calare la linea del Partito
in questa realtà.
Alle istanze di base spetta l’analisi dei problemi locali e lo studio dei metodi per risolverli. Innanzitutto perché, in generale,
è necessario che ogni istanza di
base assuma pienamente la propria funzione e sia quindi in grado di individuare e occuparsi autonomamente e con spirito di
iniziativa dei problemi che affronta nel corso del proprio lavoro. Tra i compiti delle Cellule fissati dallo Statuto figura proprio
quello di “prendere parte attiva
alla lotta di classe, legarsi strettamente alle masse, conoscerne
i problemi, opinioni e aspirazioni, organizzarle, mobilitarle ed
esercitare nei loro confronti una
giusta, sicura e riconosciuta direzione politica”. Con la precisazione: “Ogni membro della Cellula deve assolvere ad un preciso
incarico nel quadro dell’attività
Per il 90° anniversario della
scomparsa del grande Maestro
del proletariato internazionale
Onoriamo
Lenin
a Cavriago
il 19 gennaio
Partecipiamo
numerosi
Domenica 19 gennaio il
PMLI.Emilia-Romagna organizza a Cavriago (Reggio
Emilia) in Piazza Lenin una
commemorazione pubblica
in occasione del 90° anniversario della scomparsa di Lenin.
Il ritrovo è alle ore 11. Il
discorso ufficiale avrà inizio
alle ore 11,30. Lo pronuncerà Denis Branzanti, Responsabile del PMLI per l’EmiliaRomagna.
Al termine si terrà un
pranzo collettivo in un ristorante della zona.
Chi fosse interessato a
partecipare lo comunichi il
prima possibile, anche per
consentire la prenotazione al
ristorante.
Partecipiamo numerosi
per rendere omaggio al grande Maestro del proletariato
internazionale Lenin!
Tutto per il PMLI, per il
proletariato e il socialismo!
Con Lenin per sempre
contro il capitalismo per il
socialismo!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!
Modena, 28 dicembre 2013. Interesse e discussioni attorno al banchino di propaganda per il proselitismo marxista-leninista. A sinistra il compagno Federico Picerni,
Responsabile della Commissione Giovani del CC del PMLI (foto Il Bolscevico)
generale dell’istanza”.
Allo stesso modo, i simpatizzanti attivi che operano da soli o
senza Cellula di riferimento non
devono aspettarsi dal Centro la
“pappa scodellata” e la risoluzio-
ne dei problemi locali, che spetta a loro nella misura in cui vogliono contribuire alla causa pur
non militando nel Partito. Ovviamente ciò non significa fare tutto da sé e senza consultarsi con
Totalmente d’accordo
con “Il Bolscevico”
riguardo al “Fronte della
gioventù comunista”
zata nei loro Paesi, siano perfettamente in linea con se stessi. Non
è così. La sola via che conduce al
socialismo, è quella che percorrono i veri marxisti-leninisti italiani.
Il Partito, aperto a quanti vogliono cambiare il mondo, è quello marxista-leninista italiano. Esso
è il solo Partito che si batte contro
il capitalismo e per l’Italia unita,
rossa e socialista. Quindi, coloro
i quali, sbagliando ulteriormente,
ritengono di giungere al socialismo, senza raggiungere accordi
veri con il Partito marxista-leninista italiano, sono destinati a subire
un totale fallimento.
Il Partito marxista-leninista italiano è sorto sulla base dell’esperienza del movimento operaio italiano e internazionale, nonché,
sull’esperienza della grande Rivoluzione Bolscevica d’Ottobre.
Quindi, a ragion veduta, è il Partito che porta avanti gli interessi
della classe operaia e di tutti i lavoratori. Esso è il Partito che porta avanti i diritti dei veri comunisti
italiani, sotto la guida del compagno Giovanni Scuderi, Segretario
generale del PMLI, al quale auguro lunga vita, esprimendo altresì,
fiducia nel suo operato.
Cari compagni, care compagne.
leggo su Il Bolscevico n. 46 del
26 dicembre 2013 l’articolo che
così recita: “Fronte della gioventù comunista” o nuova operazione
revisionista?
Da vecchio militante comunista, esprimo il mio totale accordo
sul giudizio che dà il nostro giornale, in merito all’avvenimento.
Sono totalmente convinto
dell’errore fatto dalla stragrande
maggioranza di coloro che hanno
deciso di dare vita ad una organizzazione di giovani comunisti, senza avere fatto una loro necessaria
autocritica. Sono altrettanto convinto della estraneità dei principi
marxisti-leninisti, con cui gli organizzatori credono di agire per
giungere al socialismo.
Costoro, sbagliando, credono
altresì che imboccare la via, senza
fare riferimento ai grandi Maestri,
siano essi Stalin o Mao, artefici
entrambi della Rivoluzione realiz-
il diretto referente politico del
Partito quando necessario e sulle questioni più importanti e controverse.
Lo stesso vale per le istanze di
base, le quali possono e devono
consultarsi e centralizzarsi con le
istanze superiori in presenza di
particolari problemi.
Si tratta insomma di imparare
a camminare con le proprie gambe, parafrasando una importante
indicazione di Mao: “Noi sosteniamo che bisogna contare sulle proprie forze. Noi speriamo
di ricevere un aiuto dall’esterno, ma non dobbiamo farcene
dipendenti; noi contiamo sui
nostri sforzi, sulla forza creativa di tutto il nostro esercito, di
tutto il nostro popolo”. Un principio politico-organizzativo valido per tutte le istanze e i militanti, ma raccomandato anche ai
simpatizzanti attivi che vogliono
dare il loro contributo concreto e
maturo alla lotta per l’Italia unita,
rossa e socialista.
La grave situazione economi-
ca del Partito costringe inoltre
le istanze locali a reinventarsi e
rendersi più autonome anche sul
piano economico. Occorre trovare dove stampare il materiale di
propaganda, organizzare iniziative come campagne di raccolta fondi che possono essere utili
anche alla propaganda generale,
e così via.
Se ogni istanza di base, ogni
militante e ogni simpatizzante attivo cammina stabilmente con le
proprie gambe, saremo in grado
di dare al PMLI due robuste gambe collettive da Gigante Rosso.
Stiamo certi che, attraverso un
lavoro mirato, intelligente, continuativo, tenace ma allo stesso
tempo sereno e senza scoraggiarsi davanti alle difficoltà, arriveranno i risultati. Più cureremo la
semina, più avremo un raccolto
rosso e abbondante.
L’importante è non perdere
mai le cinque fiducie: nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao,
nel socialismo, nel Partito, nelle
masse e in noi stessi.
Bernardo Urzì - simpatizzante
della Cellula “Stalin” di
Catania del PMLI
Non so se mi sarà possibile
partecipare alla commemorazione di Lenin a Cavriago, comunque
vorrei partecipare con voi anche ai
vari cortei tipo Roma, Firenze, anche in futuro.
Spero di conoscervi presto e
venire nelle piazze con voi.
Saluti rossi.
Sara, Perugia
Landini accredita Renzi,
sosteniamo la mozione 2
Cari compagni,
concordo pienamente su quanto detto dal Partito rispetto all’accreditamento di Renzi da parte
del Landini. Una ragione in più
per sostenere ancora con più forza, seppur criticamente, la mozione 2 al prossimo Congresso della
CGIL.
Inoltre, colgo l’occasione per
ringraziarvi per l’esaustivo comunicato riguardante la nostra posizione da tenere al Congresso stesso, che mi avete fatto pervenire.
Saluti rossi, coi Maestri e il
PMLI vinceremo!
Andrea, operaio del Mugello
Sono stata sempre una
vostra simpatizzante
Cari compagni,
sono stata sempre una vostra
simpatizzante. La mia collocazione politica è la vostra. Sono marxista-leninista-stalinista convinta
e odio il vaticano e le religioni.
Oggi condivido in pieno la linea astensionista da voi consigliata e credo che il PMLI sia l’unico
vero Partito italiano non revisionista.
La parabola revisionista
della Corea
Cari compagni,
in base ai miei studi universitari ho appreso che negli anni ’80 il
Partito del lavoro di Corea sotto
Kim Il Sung dichiara di non riconoscersi nel materialismo dialettico; nel 1980 al 6° Congresso toglie il marxismo-leninismo
dallo statuto a favore del Juché,
chiudendo la parabola nel 2012
quando adotta il “kimilsungismo-kimjongilismo”.
Fra gli anni ’90 e 2000 Kim
Jong Il, esplicito ammiratore delle riforme cinesi, ne favorisce piccole e limitate imitazioni in Corea
e adotta la politica Songun dichiarando che la forza dirigente della
rivoluzione non è il partito coreano ma l’esercito.
Saluti marxisti-leninisti
Fedele
Numero di telefono e fax
della Sede centrale del pmli
e de “Il Bolscevico”
Il numero di telefono e del fax della Sede
centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” è il
seguente: 055 5123164. Usatelo liberamente,
saremo ben lieti di comunicare con chiunque è
interessato al PMLI e al suo Organo.
l
i
e
r
a
i
d
u
St
o
m
s
i
x
r
ma
o
m
s
i
n
i
len
o
r
e
i
s
n
e
p
o
a
di M
Comprovato in tutte le situazioni nei cinque continenti e verificato in mille e più battaglie, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è una potente arma, ma se non lo si studia e non
lo si applica è un’arma scarica, da museo. Tutti i rivoluzionari italiani, specie i marxisti-leninisti, hanno perciò il dovere di studiarlo e applicarlo. Più a fondo andranno in questo studio, più contributi apporteranno alla nobile causa del
socialismo. Non bisogna mai stancarsi di studiarlo e ritenere di conoscerlo a sufficienza. C’è sempre qualcosa di nuovo
da scoprire e poi c’è bisogno di tenerlo fresco nella memoria.
Non potremo mai avere una concezione proletaria del mondo
se non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Anche se fossimo dei bravi organizzatori, oratori,
trascinatori, scrittori ma non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao non faremo nemmeno il solletico alla borghesia e ai falsi amici del proletariato e delle masse.
Gli operai coscienti, avanzati e combattivi, in primo luogo,
devono studiarlo perché essi devono essere la testa e la colonna vertebrale del Partito, coloro che devono dirigere anche la lotta ideologica all’interno e all’esterno del Partito.
Studiare costa tempo, fatica e rinunce, specie agli operai e ai lavoratori che concludono la giornata spremuti come limoni dai capitalisti. Eppure bisogna studiare, costi quel che costi per essere sempre in prima linea nella lotta
di classe e con posizione d’avanguardia marxiste-leniniste.
Le opere dei nostri maestri riempiono decine e decine di volumi,
44 soltanto per Lenin, è quindi molto difficile riuscire a leggerle
tutte. Il nostro Partito ne ha selezionate cinque, ritenendole fondamentali per trasformare il mondo e se stessi. Esse sono: Marx
ed Engels “Il manifesto del Partito comunista”, Lenin “Stato e
rivoluzione”, Stalin “Principi del leninismo” e “Questioni del
leninismo”, Mao “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in
seno al popolo”. Queste opere sono state ristampate dal PMLI.
Tutti i rivoluzionari, cominciando dai massimi dirigenti del
PMLI, dovrebbero tenere bene a mente questa esortazione di
Mao: “Dobbiamo scuoterci e studiare facendo duri sforzi.
Prendete nota di queste tre parole: ‘fare’, ‘duri’, ‘sforzi’.
Bisogna assolutamente scuoterci e fare duri sforzi. Adesso
alcuni compagni non ne fanno e alcuni impiegano le energie che restano loro dopo il lavoro soprattutto per giocare
a carte o a mahiong e per ballare: questa, secondo me, non
è una buona cosa. Le energie che restano dopo il lavoro dovrebbero essere impiegate soprattutto nello studio, facendo in modo che diventi un’abitudine. Che cosa studiare?
Il marxismo e il leninismo, la tecnologia, le scienze naturali. Poi c’è la letteratura, soprattutto le teorie artistico-letterarie: i quadri dirigenti devono intendersene un po’. C’è il
giornalismo, la pedagogia, discipline, anche queste, di cui
bisogna intendersi un po’. Per farla breve, le discipline sono
molte e bisogna almeno farsene un’idea in generale. Dobbiamo dirigere queste faccende, no!? Gente come noi in che
cosa è specialista? In politica. Come possono andare bene le
cose se non capiamo niente di queste faccende e non ci mettiamo a dirigerle? (Mao, Essere elementi di stimolo per la rivoluzione, [9 ottobre 1957], in Rivoluzione e costruzione, Giulio Einaudi Editore, p. 680).
Giovanni Scuderi, “Mao e le due culture” discorso pronunciato il 16 settembre 2001 a Firenze per il XXV Anniversario della morte del grande maestro del proletariato internazionale, in Giovanni Scuderi Opuscolo n. 9, pagg. 67-69,
www.pmli.it/scuderimaoeledueculture.htm
cronache locali / il bolscevico 13
N. 3 - 23 gennaio 2014
Renzi doppia faccia: critica il prelievo forzoso agli insegnanti
ma ha fatto lo stesso con i dipendenti comunali
A gennaio 2013 chiesta ai lavoratori di Palazzo Vecchio una restituzione da 100 a 300 euro mensili
 Redazione di Firenze
Il rampante Matteo Renzi, superattivo nel ruolo di segretario
del PD, nella sua opera di imbonitore borghese ha rivelato appieno
la sua doppia faccia sostenendo,
in un tweet, che il governo non
può chiedere i soldi indietro agli
insegnanti. Ma proprio lui a gennaio 2013 ha fatto la stessa cosa
con i dipendenti comunali di Fi-
renze ed è stato prontamente smascherato dalla RSU dei lavoratori
di Palazzo Vecchio.
Renzi infatti con una lettera di quasi un anno fa ha “messo in mora” i dipendenti comunali per scaricare su di loro l’onere
di un presunto danno erariale di
decine di milioni di euro causato, secondo il ministero delle Finanze dell’allora governo Monti
e la Procura della Corte dei Conti, dalla lievitazione, nel corso degli ultimi 10 anni, del fondo per il
salario accessorio del Comune di
Firenze, da cui sono prelevate indennità, incentivi e altre voci legate ai contratti integrativi (vedi Il
Bolscevico n. 6/13).
L’indagine della Corte dei
Conti è ancora in corso e se verrà riconosciuto il danno, secondo
il neopodestà fiorentino, esso dovrà essere rimborsato effettuando
tagli consistenti agli stipendi dei
lavoratori da qui al 2028 recuperando circa 3 milioni l’anno per
un totale di 46 milioni di euro. Un
autentico salasso per migliaia di
lavoratori che vedrebbero decurtate dalla busta paga mensile cifre
variabili tra i 100 e i 300 euro.
I lavoratori del comune di Fi-
renze sono in lotta da un anno
con assemblee e scioperi, e ora
gli ascari di Renzi, come la vicesindaco Stefania Saccardi, alzano
gli scudi in sua difesa, sostenendo che i “Cobas mentono” e che
fra le due vicende non ci sono termini di paragone, ma non possono nascondere che alla prova della
pratica Matteo Renzi si è rivelato
il sindaco che ha tartassato i di-
pendenti comunali, azzerato come
Marchionne le relazioni sindacali,
impegnato a svendere e privatizzare il patrimonio comunale, il più
contestato dai dipendenti da decenni, talmente inviso da costringere anche i sindacati confederali
e in particolare la CGIL, storicamente dedita alla concertazione
con le amministrazioni di “centrosinistra” a prendere posizione.
A MILANO I SENZATETTO AUMENTANO
VERTIGINOSAMENTE
Uno su due arriva da altri comuni e dal Sud Italia
 Redazione di Milano
Nella città che ospiterà Expo
2015 i senzatetto sono sempre di
più e circa la metà di questi arrivano
da altri comuni dell’hinterland, ma
anche dalle regioni meridionali.
Questo emerge dalle statistiche
del Comune di Milano riguardanti
3mila senzattto censiti: il 46% non
sono residenti a Milano ma in altri comuni, soprattutto lombardi,
non hanno una residenza, pur essendo italiani, perché l’hanno persa o perché il Comune di origine
gliel’ha tolta in quanto senzatetto.
Senza residenza non si ha un’assistenza sanitaria e sociale continuativa (per ciò che di essa è rimasto):
è forte il sospetto, quindi, che la
decisione dipenda proprio dal non
volersi fare carico delle fragilità
estreme della popolazione.
Se da un lato una parte di costoro vengono a Milano per la presenza di molti servizi offerti dal
volontariato, quali mense (solo
quelle principali servono 5.500
pasti al giorno) e dormitori, molti
non richiedono assistenza per paura della condizione di clandestinità in cui si trovano.
Nelle statistiche aggiornate
quotidianamente dall’assessorato al Welfare il 55%, oltre la metà,
sono senza dimora da meno di un
anno. Una quota, sicuramente, è
fatta dai profughi - la situazione dei
siriani, dopo i bagliori dei flash dei
primi mesi, non è cambiata - che,
una volta finiti i programmi di protezione umanitaria, entrano di diritto sotto la voce dei senza dimora.
Tantissimi sono diventati senzatetto nell’ultimo anno perché la crisi
Milano, due senza tetto hanno trovato rifugio nella sede di uno sportello bancario
ha portato la perdita del lavoro e
poi, di maceria in maceria, della famiglia e della casa: gli italiani senzatetto sono aumentati del 25% nel
giro di un anno. “Noi ci occupiamo
dell’accoglienza e continueremo a
farlo, convinti che per ragioni umanitarie e civili sia giusto farlo: ma
chiediamo, viste le difficoltà e le ri-
chieste sempre maggiori che ci arrivano anche da fuori Milano, che
questo ci venga riconosciuto con
risorse straordinarie dal governo e
dalla Regione”. Così parla l’assessore al Welfare, il PD Pierfrancesco
Majorino. “Manca qualsiasi coordinamento tra i comuni dell’area
metropolitana sulle politiche socia-
li, mentre c’è sull’ambiente, sui trasporti: è naturale che sia Milano a
farsi carico dei bisogni più degli altri, ma c’è bisogno che ognuno faccia la sua parte. Inviteremo i sindaci al Forum del Terzo settore per
mettere su questo coordinamento.
Il paradosso è che mentre noi
abbiamo istituito l’indirizzo per
la residenza anagrafica dei senzatetto in zona 1, altri comuni lo
eliminano. È una corsa a chi è
più ostile a cui non parteciperemo”.
La cosa giusta da fare però non
è “occuparsi dell’accoglienza”,
servizio scaricato peraltro ai privati del “terzo settore” che sfrut-
tano a costo zero lo spirito di altruismo dei volontari e che sono
tutt’altro che all’altezza di tale
compito, né creare anagrafi, ma
risolvere alla radice l’emergenza; anzitutto rimunicipalizzando
le aziende di servizi e impedendo
ulteriori privatizzazioni formando e creando posti di lavoro stabili, a tempo pieno e sindacalmente
tutelati per tutti, garantendo poi il
diritto alla casa a tutti con un cospicuo finanziamento da parte del
governo alla politica abitativa (i
soldi ci sono, per Expo, Tav, spese militari, ecc… ne hanno trovati assai), con la requisizione degli
edifici sfitti da più di un anno da
parte del Comune, che a sua volta li affitterà a prezzi popolari, con
cospicui contributi economici per
ristrutturare le vecchie abitazioni
dati alle famiglie che possiedono
una sola casa e con l’abrogazione
della legge Zagatti 431 del 9 dicembre 1998 sulla liberalizzazione degli affitti.
In ogni caso questa situazione è frutto del capitalismo e delle conseguenze della sua politica
finalizzata al perseguimento del
massimo profitto; pertanto questo
sistema va abbattuto dalle masse lavoratrici e popolari e sostituito col socialismo, la cui politica è
il profitto collettivo, ottenuto con
la piena occupazione lavorativa
di tutti, come mezzo per soddisfare di diritto i bisogni del popolo come quelli di avere una dimora e
di usufruire di un servizio sanitario universale, pubblico e gratuito estirpando così alla radice le cause
della miseria.
Makhno, l’anarchismo al servizio della controrivoluzione ucraina
di Eugen Galasso
L’Ucraina torna in “auge”, nei
mass-media (ovviamente inclusi i siti Internet, come ci è stato giustamente ricordato durante
la bellissima commemorazione
di Mao, lo scorso 8 settembre),
giornali italiani e in genere europei (quelli italiani sono totalmente “infeudati”, dalla destra di “il
Giornale” alla pseudo-sinistra revisionista de “il manifesto” e “Il
Fatto Quotidiano”, per non dire di
mensili “radical-chic” come “Internazionale”, ma anche in Francia e Germania le cose non vanno meglio, con gli scivolamenti
a destra di “Le Monde Diplomatique” e di “Konkret”, mentre in
Spagna “El Paìs” e “El Paìs Semanal” suonano una grancassa
“progressista” in stile scalfarianvisettiano) per i recenti movimen-
ti di piazza ispirati da “Svoboda”,
il nazionalismo di estrema destra
ora, certo strumentalmente “filoeuropeo”, con la distruzione della statua di Lenin, chissà perché
ancora formalmente onorata dal
duo iper-revisionista al potere in
Ucraina Viktor Janukovic (presidente della Repubblica)-Mykola
Azarov (Primo ministro), distruzione promossa notoriamente dal
citato gruppo neo-nazista.
Ma la tradizione di estrema destra in Ucraina, non è cosa nuova,
anzi: a parte la serpeggiante polemica anti-russa e poi anti-sovietica, fortissima quando l’URSS era
socialista e non ancora revisionista, un po’ “silenziata” in epoca
revisionista, appoggiata dall’indottrinamento delle masse contadine da parte della Chiesa Uniate, chiesa greco-cattolica, anche
l’opera dell’anarchico ucraino
Nestor Makhno (1889-1934) è segno di profonda corrosione della
Rivoluzione d’Ottobre, già fin dai
primi mesi. Notoriamente Makhno, come tutti gli anarchici, era
ferocemente avverso al bolscevismo, ma anche a un partito vagamente “di sinistra”, ma giustamente considerato di tendenza
anarcoide se non anarchico come
quello dei “Socialisti rivoluzionari”, inclini alla pratica individuale
degli attentati (di sinistra, vista la
scissione originaria tra una componente “di destra” e una “di sinistra”, per cui i cosiddetti “Socialisti rivoluzionari” erano divisi in
due partiti; una tipica esponente
di tale partito in Russia era Marija
Alexsandrova Spiridinova, 18841941), fin dallo scoppio della Rivoluzione.
Makhno, che da ragazzo aveva lavorato come contadino per i
ricchi “kulaki” tedeschi che detenevano le terre nella zona in cui
nacque, era interessato solo agli
interessi dei contadini, per nulla
a quella degli operai, dei soldati,
degli studenti. Giustamente bollato anche come anti-semita (nonostante che la questione, in sede
storiografica, sia ancora dibattuta), fu da sempre un impedimento all’affermazione della Rivoluzione bolscevica in Ucraina. Se è
vero che lottava contro Denikin,
il comandante dell’Armata bianca anticomunista (Petljura) sostenuta dalle truppe austro-germaniche, Makhno non da meno
si batteva contro il governo dei
Soviet, secondo lui dominato dalla “cricca bolscevica”. Tra le sue
azioni, sempre e solo controrivoluzionarie, merita concentrarsi solo su una, probabilmente la
più significativa ed emblematica:
l’opposizione durissima al trattato di Brest-Litovsk, che il 3 marzo
1918 sigla la fine della guerra per
l’URSS, rispondendo a uno dei tre
principi enunciati da Lenin: “La
pace ai popoli” (gli altri due erano
“La terra ai contadini” e “Il potere
ai soviet”).
Leggiamo, proprio, ne “Il Bolscevico”, dello scorso 2 gennaio
2014, a pag.13, dalle “Memorie”
di Wang Li, riferite al 26 dicembre 1966, 73esimo compleanno
del Grande Maestro e Timoniere,
delle “ripetute critiche all’anarchismo” del Presidente Mao. Da
non dimenticare mai, come principio generale: ho cercato di fornirne, in breve, un esempio, riferito a una situazione specifica ma
importante nel corso del divenire
storico della Rivoluzione, frenata ma per fortuna allora non interrotta, da un personaggio modesto
ma influente della realtà ucraina.
Certo, ancora per ricordare l’insegnamento dei Maestri, sarebbe
un esempio di “idealismo storico”
fermarsi alle invidualità non guardando alle masse popolari, quando invece sono queste ultime a
fare la storia, ma concentrarsi su
alcune figure tipiche può servire, per brevità, per riassumere un
processo in corso. Difficile peraltro, definire l’anarchismo come
“revisionismo” (di destra o di sinistra), in quanto estraneo (e ferocemente avverso da sempre) alla
tradizione marxista-leninista, ma
non c’è dubbio che all’azione definita “makhnovista” nell’Ucraina
dei mesi immediatamente successivi abbiano partecipato elementi revisionisti. Con conseguenze,
appunto, per fortuna non fatali ma
indubbie pietre d’inciampo al processo rivoluzionario.
14 il bolscevico / cronache locali
N. 3 - 23 gennaio 2014
Riflessioni e sensazioni del protagonista di un viaggio nel cuore del capitalismo e dell’imperialismo USA:
la realtà che stride con la propaganda filo statunitense
Ho visto l’America quella vera
È passato un po’ di tempo ma
il ricordo del primo viaggio è tuttora vivido nei miei ricordi: un’esperienza che è rimasta impressa
nella mia coscienza e ha persino
influenzato grandemente il mio
modo di vedere il mondo e di
pensare. Vorrei qui dare qualche
sonoro colpo di martello sull’immensa falsità mediatica e culturale che è sparsa per elogiare gli
USA in quanto tali.
A circa dieci anni ero in viaggio coi miei genitori in America: i miei sono da sempre grandi
viaggiatori e amano allontanarsi per vedere da vicino com’è la
vita altrove.
Ricordo bene che l’impatto con gli USA fu duro e travolgente e non in senso positivo: arrivammo all’aeroporto di New
York a notte fonda, riuscimmo a
salire per caso su di uno di quei
taxi gialli e giganti che abbiamo visto in chissà quanti film. Io
ero seduto dietro con mia madre
e la prima cosa che mi colpì fu
che la parte anteriore dell’abitacolo era divisa dal posteriore da
una pesante parete di plexiglass.
Mi diede subito una sensazione
di claustrofobia. Papà continuava a chiacchierare col tassista, un
uomo di colore grosso e simpatico con cui non doveva esser difficile fare amicizia. In America è
facile legare con molti, lo capii
subito ma la ragione la compresi solo più tardi: è la solitudine
tipica delle metropoli e di paesi
spersonalizzati e ultracapitalisti,
la ragione che ho potuto intuire
solo crescendo.
Il tassista ci aveva dato qualche “dritta”: la mattina tutti i
newyorkesi sono preda di frenesia, i ristoranti a pranzo sono quasi deserti e il momento migliore
per godersi la città è nel primissimo pomeriggio ma era indispensabile evitare di muoversi la sera
dopo le 19. Come in un racconto
del terrore, a quell’ora la città si
popolava di persone diverse dalla conformistica folla urbana del
mattino e il silenzio poteva esser
interrotto dalle urla di ubriachi o
tossicodipendenti nelle vie laterali dei grandi viali metropolitani. Ci volle poco affinché trovassi
conferma dell’assoluta veridicità
delle parole del tassista.
Spesso la sera decidevamo di
“fare la spesa” in uno store aperto 24 ore, situato dietro un angolo
nelle strade vicine al nostro hotel. Era un posto pieno di luce e
una tv via cavo sempre accesa
che strideva col buio e il silenzio delle strade del centro. Una
sera capitò che un poliziotto fuori
dal negozio ci fermasse in modo
duro e autoritario. Chiese i nostri
documenti e riferì a mio padre
che la notte, sebbene fossimo in
un quartiere prospiciente a Central Park nel cuore di New York,
quelle strade erano pericolosissime e frequentate da “urban men”
normalmente bazzicanti i vicoli laterali fra i grandi edifici neri
e scuri di vetro e cemento. Questi tizi erano pericolosi come una
pantera (testuali parole del poliziotto) e se ci avessero agguantati
sarebbero iniziati i guai. Spaventati, rientrammo quasi correndo
in camera.
Ultimo ricordo di quel viaggio
fu un fatto orribile cui ci capitò
di assistere mentre passeggiavamo per una delle vie centrali di
Manhattan quando, dietro un angolo, trovammo un ragazzo e una
ragazza seminudi e avvolti in un
impermeabile: erano pallidissimi, tremavano e avevano gli occhi sbarrati. Ero impietrito: mio
padre, essendo medico, li soccorse come meglio poteva. Ricordo
bene e con disgusto che la folla
continuava a superarli, indifferenti. Fummo solo noi a fermarci
e l’ambulanza arrivò dopo la telefonata di mio padre: ancora non
sapevo però che negli USA devi
essere assicurato e danaroso per
avere il “lusso” di esser curato e
spesso neanche basta.
Il secondo viaggio risale a
qualche anno fa, avevo ventuno
anni, ed ero sempre con i miei
genitori e un mio grande amico.
Fu un viaggio lungo, fatto in auto
e che ci ha permesso di vedere
molte cose che generalmente non
puoi vedere se arrivi in aereo.
Il viaggio iniziò da Boston e
da lì ci spostammo in Vermont,
poi a Buffalo vicino alle Cascate
del Niagara, quindi a Pittsburgh
in Pennsylvania, a Philadelphia e
per finire a Hartford nel Connecticut passando solo di mattina a
New York. Abbiamo sempre dormito, a parte a Boston, in motel e
alberghi trovati a caso e così posso dire di non essermi distaccato
tanto dalla realtà quotidiana degli
americani.
Spesso io e il mio amico gira-
vamo da soli anche la sera e così
abbiamo spesso provato sulla nostra pelle varie e strane sensazioni che confermano la tesi generale che gli USA sono forse
affascinanti ma di sicuro non un
bel posto dove vivere se si è lavoratori, onesti e senza molti quattrini.
A Boston ebbi l’occasione di
parlare, fuori da uno dei loro bar,
con i lavoratori della “Dunkin’
Donuts” in sciopero fuori da uno
dei loro bar contro i licenziamenti e i continui tagli ai salari: non
ho mai trovato donne e uomini
così disponibili e aperti nell’accogliere le idee di eguaglianza
nonché giustizia sociale come
gemmo su un cartello, della città che aveva “donato” più carne
da cannone in quasi tutte le guerre degli Stati Uniti. Qualcosa di
raggelante e deplorevole ci risalì
sino in gola; ovunque, in qualsiasi negozio o bar ma anche nelle
strade, c’erano uomini massacrati dalle guerre: senza una gamba, con le mani paralizzate, oppure con la faccia sfregiata e la
schiena curva. Era uno spettacolo raccapricciante e a ciò si univa la desolazione di interi isolati con negozi chiusi, sporcizia e
abbandono. All’uscita della città,
brillava sulla facciata di un palazzo un’insegna oro e argento
con simboli massonici e la scrit-
Una recente manifestazione contro la povertà in USA
qui. Arrivai davvero a esporre
le idee tipiche di un marxistaleninista e loro continuavano a
sostenermi, ad apprezzare ogni
mia singola parola: forse perché
qui, al centro del paese capitalista e imperialista più potente, lo
sfruttamento è ancora più forte e
l’oppressione ancor più violenta.
Per il resto del viaggio io e il mio
amico boicottammo la “Dunkin’
Donuts”. Ci sembrava poco ma
indispensabile.
Nello stato di New York, nel
bel mezzo di colline boscose e
paesaggi mozzafiato, ci fermammo nella cittadina di provincia di
Butler: si trattava, da come leg-
ta “Masonic Union of Butler” o
una cosa simile. Restammo senza parole.
A Buffalo, dopo le ore 20 le
strade del centro erano deserte
per quella sorta di osceno coprifuoco. A Pittsburgh andammo in
una piazza centrale, famosa perché appare in qualche film. Anche qui la desolazione era totale:
la famosa “vita notturna” delle
città yankee è pura propaganda o
relegata a qualche pub o via sicura e chiusa al traffico. Sino in albergo fummo seguiti da poliziotti: il clima che si respira da quelle
parti è pieno di tensione pronta a
esplodere com’è giusto che sia.
La guerra fra bande mafiose continua
BARI IN balia dei CRIMINali
e LE ISTITUZIONI BORGHESI LATITANO
‡‡Dal corrispondente della
Cellula “Rivoluzione
d’Ottobre” di Bari
Il nuovo anno ha avuto inizio
a Bari con il rumore dello sparo
di una pistola. La guerra fra bande mafiose rivali, ringalluzzite
dall’ennesima grave crisi del sistema capitalista e dall’assoluta
assenza delle istituzioni borghe-
si, continua a terrorizzare l’intera città. Un ventenne pregiudicato, Michele Sciacovelli, è stato
ferito qualche sera dopo la notte di capodanno, al Quartiere “S.
Paolo” con due colpi d’arma da
fuoco: colpito dai proiettili sulla parte bassa della schiena mentre era sul motorino è riuscito a
raggiungere da solo l’ospedale dove è stato soccorso e cura-
Ho dimenticato di dire che già
dall’atterraggio notai che tutti i
lavori più umili e manuali erano
appannaggio totale di afroamericani e ispanici: dal netturbino
sino alla donna che lucida il corrimano nei corridoi dell’aeroporto di Boston.
A Philadelphia le cose sembravano esser diverse. Di pomeriggio la strada principale
nei pressi della “Liberty Bell” è
candida e frequentata da bambini. Calata la sera, tutto ci sembrò
tetro e senza speranza; non c’era più nessuno neanche nelle vicine stradine. Una luce da lontano, in una delle traverse, ci attirò:
camminammo per qualche mi-
to. Il giovane delinquente ha affermato di esser stato sparato in
viale Europa ma, sul posto, non
è stato possibile trovare alcuna
traccia dell’agguato, neanche un
bossolo.
Al “S. Paolo” è in atto, ormai
da tempo, una lotta truculenta fra
famiglie mafiose per poter determinare il predominio assoluto sul traffico di droga: le forze
dell’ordine, colpite anch’esse dai
tagli, non tutelano in alcun modo
le masse e i politicanti borghesi – chissà perché – sono assolutamente silenti di fronte a tali
gravi fatti di sangue. La guerra criminale è puro panico per la
popolazione visto che tutti possono rischiare di essere colpiti da
proiettili vaganti.
nuto nell’oscurità più completa
e arrivammo nella locale “China Town”. Qui non c’era neanche un occidentale. Nei ristoranti
solo cinesi, così come nei bar o
per strada e nei negozi aperti 24
ore; la stragrande maggioranza
dei film e dei giornali era in cinese. La tanto decantata unione
delle culture è una bufala bella
e buona: qui la segregazione nei
fatti c’è eccome. La notammo anche fuori dal centro quando, rien-
trando in auto in albergo, vedemmo interi quartieri abitati solo da
afroamericani. Ci accoglievano
sempre calorosamente e volevano spesso parlarci, chiedendoci
di come fosse da noi: siamo sempre stati sinceri raccontando la
nostra cruda realtà.
In questi come in altri quartieri suburbani assistemmo a un
altro spettacolo raggelante: casa
dopo casa notavamo delle candele accese dietro le finestre nel
cuore della notte. Ci spiegarono
che si trattava delle case di famiglie con soldati in guerra: lasciano una candela accesa aspettando che tornino vivi dal fronte.
Eravamo quasi commossi per le
sofferenze che patisce un intero
popolo per le smanie imperialistiche dei governanti yankee.
A Hartford: il solito vuoto del
centro cittadino ci aveva ormai
annoiato: rientrammo in motel,
dopo aver fatto un giretto a piedi.
Hartford è la città in cui nacque
la Colt o la Smith & Wesson, è
necessario ricordarlo. La mattina
dopo il telegiornale locale annunciava che c’erano stati due morti
a Hartford la sera prima, a causa
di una sparatoria, mentre noi ce
ne andavamo in giro …
In chiusura posso solo affermare che il centro dell’imperialismo USA, di cui l’Italia capitalista è solo la periferia, è come una
di quelle strutture usate nei film
sul vecchio West: a una prima
occhiata sembra tutto vero e reale nonché affascinante ma basta
sbirciare all’interno e si capisce
che si tratta solo di una struttura
di legno e cartone.
L’America è così: la povertà, la segregazione, la solitudine
l’emarginazione e l’ingiustizia
sociale, che sono i crimini maggiori commessi dal capitalismo
e dall’imperialismo americano,
sono prodotti nazionali come la
Coca Cola, il burro d’arachidi e
le automobili enormi. Dovremmo smetterla forse di importare
certa roba da noi: la povertà, le
ingiustizie sociali e l’emarginazione già ce le fornisce il capitalismo nostrano.
Vittorio, via email
Richiedete
opuscolo
n. 16
Le richieste
vanno
effettuate a:
PMLI
[email protected]
indirizzo postale:
PMLI
Via Antonio del
Pollaiolo, 172a
50142
Firenze
esteri / il bolscevico 15
N. 3 - 23 gennaio 2014
Cambogia
La polizia spara sugli operai
tessili in sciopero
La lotta è per il raddoppio della misera paga e per migliori condizioni di lavoro
Dall’ultima settimana dello
scorso dicembre decine di migliaia di operai tessili, guidati dai
due principali sindacati del paese,
sono scesi più volte in piazza a
Phnom Penh, bloccando la circolazione e assediando il ministero
del Lavoro per avere consistenti aumenti salariali e per migliori
condizioni di lavoro. Il governo
del rinnegato Hun Sen ha tentato
di far cessare la protesta con una
misera offerta di aumenti salariali
e poi ha inviato la polizia a sparare sui manifestanti anche per
impedire che la lotta dei lavoratori
possa unirsi alla protesta delle opposizioni, che denunciano brogli e
contestano i risultati del voto dello
scorso luglio vinte di stretta misura dal suo partito al potere da 28
anni. Da quando, appoggiato dai
revisionisti vietnamiti, distrusse
l’esperienza socialista del Kampuchea Democratico diretto dal
compagno Pol Pot e ripiombò il
paese sotto capitalismo. La situazione attuale ne evidenzia gli amari frutti per i lavoratori e le masse
popolari cambogiane.
I sindacati di categoria avevano organizzato la forte protesta
degli operai tessili a sostegno della richiesta del raddoppio del misero salario minimo, dagli attuali
80 dollari a 160 dollari al mese. Un
aumento necessario per garantire
migliori condizioni di vita agli operai e alle loro famiglie, molti lavoratori sono costretti a pagare dai 30
ai 60 dollari al mese per l’affitto di
una sola stanza nelle baracche dei
quartieri dormitorio costruiti nella
periferia della capitale presso le
zone industriali.
Nella manifestazione del 27 di-
cembre decine di migliaia di operai bloccavano le vie di accesso al
ministero del Lavoro e affrontavano col lancio di sassi e molotov la
polizia che cercava di disperderli.
Il bilancio degli scontri era di una
decina di feriti e altrettanti lavoratori arrestati. Il governo prometteva un aumento del salario minimo
da 80 a 95 dollari al mese; una
proposta ritenuta insufficiente dai
sindacati e dai lavoratori che continuavano le proteste.
La mobilitazione dei lavoratori
tessili si estendeva e minacciava
di paralizzare l’industria manifatturiera del paese, fra le più importanti con oltre 650 mila occupati e
un giro di affari di oltre 5 miliardi di
dollari che copre oltre l’80% delle
esportazioni cambogiane; esportazioni verso l’Unione europea e
gli Usa cresciute a dismisura negli ultimi anni che hanno garantito crescenti profitti ai capitalisti
cambogiani permettendo loro tra
l’altro di sfilare fette di mercato ai
pur potenti concorrenti capitalisti
cinesi. Le quasi 600 fabbriche tessili cambogiane, delle quali quasi
400 sono nella capitale Phnom
Penh, producono a bassissimi costi per le principali multinazionali
del settore dall’Adidas a Calvin
Klein, Clarcks, Levi’s, Nike, Puma,
Reebok e per numerose marche
cinesi e di Hong Kong.
Nella capitale le manifestazioni
operaie si affiancavano a quelle
dei sostenitori del principale partito di opposizione, il Partito di salvezza nazionale, che da mesi avevano costruito un accampamento
di tende e baracche nel Parco della Libertà, da dove il 29 dicembre
era partito il corteo degli oltre 100
mila manifestanti, lavoratori, contadini, monaci, che protestavano
contro il Partito del popolo di Hun
Sen chiedendo le dimissioni del
premier e una nuova tornata elettorale.
Il regime del rinnegato Hun Sen
vista fallire la tecnica della carota
ha impugnato il bastone inviando
le squadre speciali della polizia a
sparare sui lavoratori in sciopero.
Già il 2 gennaio le squadre
speciali della polizia scioglievano
con la forza un corteo di protesta
alla periferia di Phnom Penh arrestando una quindicina di persone
fra le quali cinque monaci buddisti. Gli arrestati erano rilasciati la
sera stessa dopo che migliaia di
manifestanti avevano bloccato
una delle principali autostrade che
collegano la capitale chiedendo la
loro liberazione.
I corpi speciali della polizia entravano in azione anche il 3 gennaio e sparavano sul corteo dei
lavoratori; al termine degli scontri
il pesante bilancio era di 4 morti,
almeno 10 i feriti e più di una ventina di manifestanti arrestati.
Il pugno di ferro usato sui lavoratori in sciopero si abbatteva
il 4 gennaio anche suIl’opposizione; toccava all’esercito il compito di sgomberare e distruggere
l’accampamento nel Parco della
Libertà a Phnom Penh. Mentre
l’Onu, che ha sostenuto Hun Sen
nel ripristinare la “democrazia borghese” nel paese, faceva sentire
un flebile vagito lamentandosi per
“l’uso eccessivo” della forza contro i lavoratori. Ipocrisia imperialista.
Misure fasciste di Rajoy
Vietato protestare in Spagna
No alle manifestazioni davanti ai palazzi istituzionali e multe a chi insulta i poliziotti
Il governo di Mariano Rajoy ha
preparato a fine dicembre il testo
di una nuova legge che prevede misure fasciste per impedire
le proteste di piazza, vietando in
particolare qualsiasi manifestazione davanti ai palazzi istituzionali,
dai cortei ai semplici sit in. Divieti
accompagnati da pesanti multe a
chi insulta o fotografa i poliziotti.
Se questa legge fosse già stata in
vigore non sarebbe stata possibile
la nascita in quelle forme del movimento degli indignados, costruito
attorno alle iniziative organizzate
dalla tendopoli che per settimane
occupò la Puerta del Sol a Madrid
nel 2011, come le manifestazioni
del gruppo “circondiamo il congresso” che ha fatto sentire la sua
voce assediando le sedi delle istituzioni e le innumerevoli contesta-
Aumenta del 5% le spese militari
Riarmo imperialista del Giappone
Il governo di destra di Shinzo
Abe lo scorso 17 dicembre ha
dato il via libera a spese per quasi
25 miliardi di yen, 175 miliardi di
euro, che nei prossimi 5 anni doteranno le forze armate del paese
di aerei senza pilota (droni) e aerei
a decollo verticale comprati negli
Usa, elicotteri per il trasporto truppe, missili, veicoli anfibi e sottomarini allo scopo di rafforzare la
capacità di difesa del Giappone in
particolare nei territori delle isole
dell’ovest e del sud dell’arcipelago. Un riarmo imperialista che
straccia di fatto la stessa costituzione del paese che vieterebbe la
creazione di forze armate se non a
scopo di ”autodifesa”.
Per aggirare l’ostacolo costituzionale il governo Abe ha parlato
appunto della necessità di meglio
difendere l’arcipelago nipponico
e in particolare le isole SenkakuDiaoyu, controllate dal Giappone
ma rivendicate da Pechino e al
centro, negli ultimi mesi, di una
esibizione dei muscoli militari tra
i due vicini paesi imperialisti con
la partecipazione non casuale di
quello americano.
La ragione del riarmo imperialista del Giappone sta scritta a chiare lettere nel nuovo documento di
Phnom Penh, 3 gennaio 2014. Gli scontri degli operai tessili contro la polizia
del regime durante le manifestazioni di protesta per salari più alti e migliori
condizioni di vita e di lavoro
sicurezza prodotto dal governo di
Tokyo dove il governo Abe enfatizza l’importanza della solidità
delle relazioni con gli Stati Uniti
per limitare la crescente influenza
militare cinese nella regione.
L’imperialismo americano ha
spostato il baricentro della sua iniziativa nel Pacifico per contenere
il suo principale concorrente, quel
socialimperialismo del rinnegato Xi
Jinping che sta sviluppando il suo
arsenale militare di pari passo con
lo sviluppo dei suoi appetiti economici e militari nella stessa area.
E così il Giappone di Abe non sta
alla finestra a guardare ma punta
a fare la sua parte anche con una
politica di riarmo. A conferma che
il Pacifico è diventata l’area del
confronto tra le economie più forti del pianeta, un confronto finora
solo economico, in attesa di diventare anche militare.
Il governo Abe, con la complicità e le sollecitazioni degli Stati
Uniti di Obama, riarma il paese
e apre una strada che potrebbe
portare alla piena ricostituzione
di un esercito e forze armate regolari, che già esistono, per poter
assolvere al compito di diventare
intanto un freno alle ambizioni di
Pechino.
zioni sociali di denuncia degli effetti della pesante crisi economica
sulle masse popolari.
Secondo il governo di destra
spagnolo la protesta delle masse
non dovrebbe in nessun modo
“disturbare” l’operato di governo
e parlamento, dei ministeri o delle assemblee regionali, neanche
collocando striscioni o bandiere
sugli edifici, e dovrebbe essere il
più possibile irreggimentata dalla
polizia tanto che le “forze dell’ordine” potranno stabilire delle zone
di sicurezza ulteriori entro le quali
saranno proibite semplici riunioni
di persone.
I poliziotti diventeranno degli
intoccabili, chi li insulta potrà esser
punito con pesanti multe, multe
che potranno arrivare fino alla cifra
di 400 mila euro per chi fotografa
o filma gli agenti. Altri gravi aspetti
della legge fascista sono quelli che
prevedono la cosiddetta “presunzione di verità” delle denunce degli agenti che sposta sul presunto
colpevole l’onere di dimostrare la
sua innocenza, non il contrario, e
la possibilità per le guardie private
di intervenire anche al di fuori degli
edifici che devono sorvegliare per
controllare, perquisire o arrestare
un sospetto. Misure che limitano le libertà democratiche e che
sono state criticate financo dal
commissario dei Diritti umani del
Consiglio d’Europa.
Attivisti di Democracia Real Ya,
il movimento nato dalla protesta
degli indignados del 15 marzo
2011, denunciavano che alcune misure sono state concepite
“contro di noi, come il divieto di
concentrazione delle persone in
uno spazio pubblico o quello delle proteste davanti al parlamento.
Un provvedimento così forte indica che il governo ci teme. Hanno
paura. Ma noi no e siamo pronti a
sfidare la legge” e annunciava le
manifestazioni di protesta in programma davanti al parlamento
catalano in occasione dell’approvazione della legge di bilancio.
Gli attivisti di Democracia Real
Ya respingevano anche il divieto
di scattare e pubblicare foto di
poliziotti in azione contro i manifestanti, immagini diffuse in passato
sui social network che documentavano e denunciavano la repressione poliziesca.
Contro il progetto di legge fascista di Rajoy scendeva in piazza
il 15 dicembre a Madrid anche il
collettivo “Rodea el Congreso
(circondiamo il Congresso, ndr)”;
i manifestanti affrontavano le cariche della polizia che cercava di
fermare il corteo nei pressi della
stazione di Atocha.
Al ballottaggio per l’elezione del presidente della Repubblica oltre il 59% dell’elettorato cileno diserta le urne
La socialista Bachelet eletta da appena un quarto dell’elettorato
Al ballottaggio del 15 dicembre
la socialista Michelle Bachelet ha
battuto la candidata della destra
Evelyn Matthei e ha riconquistato la poltrona presidenziale che
aveva già occupato nel quadriennio 2006-2010, riprendendola per
conto della “sinistra” borghese
dopo la parentesi del presidente
uscente Sebastian Pinera, unico capo di Stato di centrodestra
dopo la fine della dittatura militare.
Ma come già al primo turno del 17
novembre il dato politico più evidente è la conferma della diserzione delle urne a livelli oltre il 59%,
un chiaro segnale di delegittima-
zione della presidenza Bachelet
della prossima amministrazione di
Santiago.
Rispetto ai voti validi la Bachelet che era sostenuta da “Nuova
Maggioranza”, la coalizione composta da 8 formazioni che vanno
dal Partito comunista revisionista
a quello socialista, dalla Sinistra
cittadina alla Democrazia cristiana, ha ottenuto oltre il 62% dei
consensi sui voti validi e quasi
doppiato il risultato della concorrente Matthei, arrivata a poco più
del 37%. Un risultato ampiamente previsto dopo il primo turno che
aveva visto la Bachelet superare
Ha battuto la destra Matthei
il 46% e sfiorare la vittoria immediata; così come era prevista la
diserzione delle urne tanto che le
due candidate avevano entrambe
concluso la campagna elettorale
lanciando appelli per convincere
gli elettori ad andare a votare. Ma
il 15 dicembre si sono recati alle
urne poco più di cinque milioni e
mezzo di elettori su un totale di 13
milioni e mezzo, oltre il 59% degli
aventi diritto ha disertato i seggi.
Fra i parlamentari eletti il 17 novembre ci sono diversi dei leader
studenteschi che avevano guidato
la protesta degli ultimi due anni
nelle università, da Camila Vallejo
e Karol Cariola, militanti del Partito comunista revisionista, agli indipendenti Giorgio Jackson e Gabriel Boric. Afflitti dal cretinismo
parlamentare questi opportunisti
hanno portato acqua al mulino
della socialdemocratica Bachelet
e tuttavia non sono riusciti ad arginare l’ondata dell’astensionismo.
Dopo la conferma dei risultati del ballottaggio la Bachelet ha
ribadito l’intenzione di mettere in
pratica un programma di profonde
riforme, incluse “una Costituzione che diventi quel patto sociale
nuovo, moderno e rinnovato che
il Cile chiede e di cui ha bisogno”
e che i precedenti presidenti e
governi di centrosinistra tra l’altro
si erano ben guardati dal modificare, lasciando inalterata la carta
varata dalla dittatura di Pinochet
e messa in discussione solo a
partire dal 2011 dalle centinaia di
migliaia di giovani studenti che invasero le piazze per rivendicare il
diritto allo studio e dell’Università
pubblica. La Bachelet nel festeg-
giare la vittoria elettorale ringraziava “specialmente i giovani che
hanno espresso con forza il loro
desiderio di costruire un sistema
educativo pubblico, gratuito e di
alta qualità. Oggi ormai nessuno
può dubitare che il lucro non può
essere il motore dell’educazione,
perché i sogni non sono un bene
del mercato, sono un diritto di tutti”. Intascato il consenso di molti
dei leader delle lotte studentesche
che stavano nella sua coalizione,
rilanciava promesse di cambiamento che intanto però non hanno convinto la maggioranza degli
elettori.
16 il bolscevico / PMLI
N. 3 - 23 gennaio 2014
Il 7 Novembre abbiamo traslocato nella nuova Sede centrale del PMLI
e de “Il Bolscevico”, più
grande e più moderna rispetto alla precedente.
Si tratta di un grosso
impegno finanziario che
non possono sostenere da soli i militanti del
PMLI.
Pertanto lanciamo un
appello urgente a tutte
le simpatizzanti e i simpatizzanti, a tutte le amiche e gli amici del Partito
per aiutarci a sostenere
le spese iniziali e l’affitto
mensile, entrambi piuttosto rilevanti.
Le donazioni possono essere consegnate
di persona oppure attraverso il conto corrente
postale numero 85842383 intestato a PMLI – via Gioberti
101 – 50121 Firenze. Presto cambieremo l’indirizzo.
Nella causale scrivere: Donazione per la nuova Sede
centrale.
Grazie di cuore per tutto quello che potete fare. Anche
un euro ci è utile.
Che la nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” porti idealmente impresso il nome di tantissimi donatori.
Scarica

camminare con le proprie gambe