Poste Italiane SPA Spedizione in Abbonamento Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art.1, comma 2 - DCB - Roma Reg.Trib. Roma n.373 del 16.08.2001 N.18 ESTATE 2004 RIVISTA DI INFORMAZIONE SULL’ HIV IN Q UESTO N UMERO EDITORIALE 1 ANCHE I GLOBULI ROSSI OSPITANO L’HIV 2 Osorio CONOSCIAMO MEGLIO L’EPATITE A 2 Osorio HPV E LESIONI DELLA CAVITA’ ORALE 3 Giuliani III WORKSHOP INTERNAZIONALE DI IMMUNOLOGIA E MALATTIE INFETTIVE 4 Perella FANTAFUZEON 6 Marcotullio XV CONFERENZA INTERNAZIONALE AIDS 2004 7 Marcotullio/Osorio/Schloesser PROGRAMMA NAZIONALE DI RICERCA SULL’AIDS: “LA COMUNICAZIONE TRA MEDICO E PAZIENTE” 12 Starace RAPPORTO DAL SITO DI NADIR: http://www.nadironlus.org Nadir XV CONFERENZA INTERNAZIONALE AIDS 2004 Dall'11 al 16 luglio si è svolta a Bangkok la XV Conferenza Internazionale AIDS, organizzata da International AIDS Society. La scelta di Bangkok è stata guidata dall'impatto epidemiologico di eventi AIDS in Asia negli ultimi anni: il 25% delle nuove infezioni è avvenuto in questo continente. Migliaia di persone provenienti da 169 paesi dal mondo e che operano nell'HIV si sono incontrate per sapere, per manifestare, per imparare, per comunicare, materializzando in modo globale il concetto di community. In particolare, le comunità africane e quelle asiatiche hanno manifestato la propria presenza con interventi, proteste, spettacoli, marce, mostrando come sia sempre più viva la coscienza del problema HIV tra coloro che hanno problemi di infrastrutture sanitarie, pregiudizi e mancanza di risorse finanziarie. Il tema della conferenza era Access for all: in primo luogo accesso alla terapia, ma fondamentale anche l'accesso all'informazione obiettiva e non manipolata, alla formazione sulla prevenzione e sui trattamenti, alle strutture sanitarie, a tutte quelle risorse necessarie per garantire la sopravvivenza e la qualità della vita a chi oggi non ne ha ancora accesso e che rappresenta oltre il 90% dell'umanità. Ci aspettavamo un maggiore impegno da parte della comunità scientifica e dei ricercatori nel fornire risultati della ricerca di nuovi trattamenti e nuove strategie terapeutiche. Ci aspettavamo anche che alcuni membri della comunità scientifica italiana avessero ormai digerito che l'AIDS è una partita che si gioca con la società civile, ma si vedono ancora alcuni primari vagare facendo sforzi sovrumani per evitare lo sguardo e il saluto dei rappresentanti della community. Chi sono? Lo sappiamo tutti, sono pochi, pochissimi li temono, nessuno li ama, tutti li evitano, soprattutto come medici. L'organizzazione della conferenza è stata eccellente e in sintonia con la disponibilità con cui la Tailandia ha accolto i delegati, rendendo funzionale lo svolgimento delle diverse attività per le 17.000 persone coinvolte nei numerosi ed eterogenei eventi del programma. Da sottolineare, in particolare, l'accoglienza per la comunità delle persone sieropositive, a cui è stato messo a disposizione un community lounge che prevedeva sale per il riposo, massaggi, alimentazione e pronto soccorso in un ambiente che prefigurava gli obiettivi della conferenza stessa. 16 ANCHE I GLOBULI ROSSI OSPITANO L'HIV I globuli bianchi - specialmente i linfociti CD4 - sono gli obiettivi principali del virus dell'HIV. La terapia antiretrovirale altamente attiva (HAART) mira a preservare il numero di CD4 in una persona con HIV riducendo la carica virale (quantità di particelle di virus che circolano liberamente nel sangue). Due degli enzimi del virus dell'HIV -le trascrittasi inverse e le proteasi- sono disattivati dai farmaci e senza questi enzimi il virus non può riprodursi nelle cellule. La HAART previene lo spargimento dell'infezione nelle cellule sane, ma non elimina le cellule infettate originariamente con il virus. Queste cellule possono circolare nel sangue per decenni. Dato che portano con sé l'informazione genetica del virus (RNA), si possono replicare anche dopo molti anni, diventando una continua fonte di HIV. Se nel tempo la HAART non fosse più efficace in una persona con HIV, i globuli bianchi in circolazione potrebbero riassumere il loro ruolo nello spargimento dell'infezione alle cellule sane. Collegamento ai globuli rossi I scienziati hanno scoperto di recente che i globuli bianchi infettati non sono l'unica causa di preoccupazione. Dopo aver esaminato campioni di sangue prelevati a 32 persone con HIV, hanno scoperto che vi erano particelle di HIV collegate anche ai globuli rossi (eritrociti). Infatti i globuli rossi che portavano il virus dell'HIV circolavano nel sangue del 98% di questo gruppo -anche in quelli la cui carica virale era non quantificabile per più di 32 mesi. In altre parole, sembra che l'HIV continua ad essere prodotto anche quando non è stato rilevato nel plasma sanguigno per lunghi periodi. Anche se l'HIV è più associato ai globuli bianchi che ai rossi, il sangue contiene un numero molto più elevato di globuli rossi e quindi i globuli rossi diventano una fonte maggiore di RNA virale. Questo potrebbe costituire un pericolo potenziale dello spargimento dell'infezione da HIV ad altre cellule target.Gli scienziati potranno utilizzare questa nuova informazione sull'associazione delle particelle dell'HIV con i globuli rossi per misurare l'efficacia dei farmaci e sviluppare nuove terapie. Fonte:The Lancet CONOSCIAMO MEGLIO L’EPATITE A DEFINIZIONE E TRASMISSIONE DIAGNOSI PER LE PERSONE HIV+ ? L'epatite A è causata dal virus dell'epatite A (HAV). Si trasmette attraverso cibi e acqua contaminati ed i contatti interpersonali, quindi la sua diffusione è legata alle condizioni igieniche generale, in particolare alla contaminazione attraverso materiale fecale di persone infette, il che, in parole povere, vale in situazioni molto diverse: dal cuoco che non si è lavato le mani dopo essere andato in bagno agli scarichi fognari che contaminano acque dalle quali si prelevano frutti di mare. Non a caso il cattivo stato degli acquedotti e delle fogne sono spesso causa di endemia dell'infezione. L'HAV può anche essere trasmesso sessualmente attraverso il "rimming" (ossia sesso oroanale). Raramente si trasmette attraverso contatti di sangue. L'epatite A è una forma acuta di epatite, questo significa che non cronicizza, ossia si "risolve" a breve termine. Se una persona ha già avuto l'epatite A, non può re-infettarsi. Tuttavia non si è protetti da altri virus che causano epatiti (ad esempio il virus B, C, ecc…). Avviene attraverso esami del sangue: ricerca dell'antiHAV (anche detto AbHAV). E' l'anticorpo contro l'antigene associato al virus dell'epatite A. Il tipo IgM compare dopo i primi segni clinici della malattia infettiva e scompare dal sangue in 1-3 mesi; la sua presenza è indicativa dell'epatite A allo stadio acuto. Il tipo IgG si ritrova al tasso massimo dopo 2-3 mesi dall'inizio dell' infezione e persiste per tutta la vita; è indicativo di una infezione recente (se l'anticorpo anti-HAV IgM è ancora presente) o pregressa con immunità (se non vi è anticorpo antiHAV IgM). Ne consegue che la positività al tipo IgG ( negatività al tipo IgM) è sinonimo di immunità, che significa che o si è stati vaccinati o in passato si è contratto e poi risolta l'epatite A:si è dunque ora immuni.Chi è negativo al tipo IgM ed IgG può effettuare la vaccinazione. Le persone HIV+ non sono più a rischio di contrarre l'HAV. Alcuni studi suggeriscono però una potenziale difficoltà a risolvere l'epatite A in persone HIV+, il che può comportare che i sintomi persistano un po' più a lungo. In situazioni di epatite A piuttosto gravi potrebbe accadere che, per concomitanza di tossicità epatica dovuta ai farmaci antiretrovirali, la terapia anti-HIV venga sospesa: gli indicatori di questo sono le transaminasi, se eccessivamente alte si può considerare quanto detto. SINTOMATOLOGIA Non tutti diventano sintomatici se si infettano con l'HAV. Questo virus provoca una malattia acuta che nei bambini causa pochi sintomi e può anche passare inosservata, mentre negli adulti è decisamente più grave: produce ittero, costringe a letto per qualche settimana e a volte ha code abbastanza lunghe. La sintomatologia classica dell'HAV e delle epatiti acute in genere può essere: ingiallimento della pelle e del "bianco" degli occhi, sentirsi affaticati, dolore nell'addome (parte altadestra), perdita di appetito, perdita di peso, febbre, diarrea, nausea, vomito, urine scure e feci chiare, dolori alle articolazioni. Inoltre nei test del sangue vi è un innalzamento degli enzimi prodotti dal fegato, le transaminasi (vedi BOX). Il sistema immunitario può impiegare fino ad otto settimane per eliminare il virus dell'HAV dal corpo. Se i sintomi si manifestano, questo accade dopo 2-4 settimane dall'infezione. I sintomi possono durare da 1 a più di 4 settimane (nel 15% dei casi può accadere un decorso fino a 6-9 mesi). In circa l'1% dei casi accade una situazione chiamata epatite fulminante (acuta, gravissima e veloce): la morte improvvisa di molte cellule epatiche può provocare anche la morte. Le transaminasi sono enzimi prodotti dal fegato (e dai muscoli). Ne esistono parecchi, ma quelli che vengono valutati sono due: SGPT (transaminasi glutammico-piruvica o ALT alanina aminotransferasi) e SGOT (transaminasi glutammico-ossalacetica o AST aspartato aminotransferasi), che nell'adulto sano hanno valori normali pari rispettivamente a 540 UI e 5-35 UI per litro. La GPT è localizzata prevalentemente nelle cellule del fegato perciò un suo incremento nel sangue si verifica quando le cellule epatiche sono state danneggiate o distrutte.Tutti i tipi di malattie del fegato, virale, alcolica, da farmaco, ecc. causano danno delle cellule e quindi possono portare a livelli elevati nel siero della GPT. La GOT è meno specifica perché si trova anche in altri organi e apparati (cuore, muscoli). Valori particolarmente elevati della SGPT e della SGOT (pari a 300 e più unità internazionali) sono frequenti soprattutto quando è in corso un'epatite virale acuta. In molti casi di malattie epatiche causate da virus il rapporto SGPT/SGOT è superiore a 1 e nel 50 per cento dei malati l'SGPT supera il valore di 500 UI, mentre nelle forme di origine alcolica o tossica l'aumento sierico della SGOT è superiore a quello della SGPT (rapporto SGPT/SGOT inferiore a 1). COME SI CURA ? Il riposo è fondamentale: stare a letto. Ingerire molti liquidi, in particolare in presenza di diarrea o vomito.Talvolta può essere prescritto un blando antidolorifico. Se si pensa di essere stati infettati con HAV recentemente, parlando con un medico potrebbe essere prescritta una iniezione di immuno-globuline (anche dette gamma-globuline). Queste contengono alti livelli di anticorpi specifici che possono prevenire la malattia (però devono essere somministrate in una finestra da due a sei settimane dopo la possibile esposizione). Chi riceve le gamma-glouline dovrebbe anche ricevere una contemporanea vaccinazione all'epatite A. Non bere mai alcolici durante una qualunque forma di epatite. Nel caso dell'HAV inoltre spesso si consiglia di ingerire molti zuccheri. COME SI PREVIENE ? Il modo più semplice è la vaccinazione.Ne esistono di due tipi (Havrix and VAQTA). Entrambi i vaccini richiedono due iniezioni, usualmente a distanza di 6 mesi. Gli effetti collaterali, quando e se appaiono, sono lievi e consistono in un po' di irritazione nel sito dell'iniezione ed eventualmente sintomatologia simil-influenzale. E' in commercio anche un vaccino combinato per epatite A ed epatite B (Twinrix). Il vaccino per l'HAV è efficace nel 99% delle persone. Per quel che riguarda le persone HIV+, si consiglia di effettuare la vaccinazione nel momento in cui i CD4 sono normali (non al di sotto dei 200 cells/mm3), questo solo per essere certi del beneficio del vaccino (poi controllabile attraverso la ricerca delle IgG). Si consiglia sempre alle persone HIV+ la vaccinazione contro le epatiti, specialmente se si è già infetti con un'altra epatite. HPV E LESIONI DELLA CAVITA' ORALE I virus del papilloma umano (HPV) sono un gruppo di virus a DNA che mostrano una spiccata predilezione per certi tessuti e un tropismo elettivo per gli epiteli di rivestimento squamosi, sia cutanei sia mucosi. Questi virus sono stati associati ad un'ampia varietà di lesioni dell'epitelio squamoso che appunto riveste la cute e le membrane mucose. La cavità orale è rivestita da un epitelio che condivide molte caratteristiche con quello che riveste la mucosa genitale; entrambi gli epiteli condividono anche l'esposizione a un certo numero di microrganismi, tra cui gli HPV, potenzialmente carcinogenetici. Le lesioni di cui questi sono stati sospettati essere la causa variano da forme assolutamente benigne ed innocue a forme cosiddette precancerose (con un'alta probabilità, cioè, di trasformazione carcinomatosa) e a varietà francamente maligne. Ad oggi sono stati identificati, con sofisticate tecniche di biologia molecolare, circa centoventi tipi di HPV molti dei quali sono stati associati con le varie lesioni cutanee e mucose. Il virus si replica seguendo le fasi di maturazione delle cellule squamose di rivestimento: la replicazione virale, che è legata al processo di cheratinizzazione, avviene nei nuclei delle cellule epiteliali e il DNA virale e le particelle virali mature si ritrovano anche negli strati epiteliali più superficiali. adulti e le lesioni orali si ritrovano in particolare sulla lingua e sul bordo delle labbra, dove spesso rappresentano la conseguenza dell'autoinoculazione del virus presente nelle lesioni cutanee. Tali verruche sono spesso osservate anche nelle persone affette da immunodepressione.Al contrario del papilloma squamoso le lesioni sono in genere multiple e non sono peduncolate. Da un punto di vista clinico queste lesioni sono generalmente asintomatiche e la loro identificazione è spesso occasionale nel corso di una visita odontostomatologica, oppure vengono avvertite dal paziente come "corpi estranei" se sono localizzate sul palato o sulla lingua. Altre sedi frequenti sono le labbra, in particolare la zona di passaggio tra la cute e la mucosa, e la gengiva , ma tutte le zone di mucosa orale possono comunque essere colpite. Per quanto concerne la prognosi, grazie al fatto che questi virus sono generalmente dotati di bassa infettività, questa è abbastanza buona: una rimozione meccanica di tali neoformazioni, sia con il bisturi sia con il laser, garantisce generalmente una guarigione definitiva, anche se le recidive sono sempre possibili soprattutto nelle persone sieropositive. 2, 6, 11, 57 VERRUCA VOLGARE CUTANEA 1, 2, 4, 40 CONDILOMA ACUMINATO PAPILLOMA LARINGEO PAPILLOMA CONGIUNTIVALE 6, 11 6, 7, 11 11 IPERPLASIA FOCALE EPITELIALE 13,32 NEOPLASIA/DISPLASIA SQUAMOSA 16,18 Le lesioni orali causate dagli HPV si configurano principalmente in tre tipi: il papilloma squamoso, la verruca volgare e i condilomi acuminati. Il papilloma squamoso è un termine generico che indica un aumento di volume papillare-verrucoso costituito da un'impalcatura principale di tessuto connettivo e rivestito da epitelio normale; in genere la lesione è solitaria, peduncolata e presenta un tipico aspetto a cavolfiore con colorito rosa pallido. E' ancora oggetto di discussione se tutti i tipi di papilloma squamoso del cavo orale riconoscano un'eziologia virale oppure no. La verruca volgare (detta comunemente porro, soprattutto quando è localizzata sulla cute) è piuttosto infrequente a livello della cavità orale e si ritrova molto più facilmente a livello della cute delle mani e dei piedi. Generalmente viene ascritta la responsabilità patogenetica a due virus, i sottotipi HPV-2 e HPV4. Non si sa se tutte le lesioni orali siano correlate a forme cutanee, ma si sa per certo che lo stesso sottotipo di HPV può essere ritrovato in entrambe le forme. E' più frequente nei bambini rispetto agli pia chirurgica, con laser, bisturi o criochirurgia, è quella elettiva, ma il rischio di recidiva è più elevato rispetto alla verruca volgare e al papilloma squamoso. Diversi autori hanno poi dimostrato la presenza del subtipo 16 e 18 nei carcinomi squamocellulari della cavità orale ed è stato immediatamente ipotizzato un ruolo etiopatogenetico degli HPV nella genesi di questa neoplasia maligna; peraltro tali virus sembrerebbero coinvolti anche nella genesi di un altro carcinoma tipico della bocca che è il carcinoma verrucoso. Il meccanismo ipotizzato sarebbe quello che alcune proteine degli HPV, e segnatamente la E6 e la E7, si leghino alla proteina p53 e alle proteine del retinoblastoma, impedendone la normale attività di controllo sulla trasformazione maligna delle cellule epiteliali. Esiste un altro carcinoma per il quale è stata dimostrata la centralità etiopatogenetica degli HPV ed è il carcinoma della cervice uterina; in particolare il subtipo 16 è stato dimostrato essere presente in circa il 50% di tali neoplasie e i subtipi 18, 31 e 45 in un altro 30%. Anche in questo caso è stata accertata la importanza oncogenetica delle proteine virali E6 ed E7. E' molto utile per comprendere meglio tali meccanismi, indagare quale sia la risposta dell'ospite all'infezione da HPV ed approfondire quali siano i cofattori coinvolti nella genesi delle complicanze e dei carcinomi associati a tale infezione. Una volta che particelle virali di HPV siano penetrate nei nuclei delle cellule epiteliali sane, quelle cominciano a replicarsi ponendo le premesse affinchè , nel tempo, si sviluppino le lesioni tipiche sopramenzionate. E' stato dimostrato che contemporaneamente si instaura una risposta immune cellulo-mediata regolata da meccanismi dipendenti da linfociti T (CD4) che può portare alla scomparsa della lesione stessa. Anche se i meccanismi sono ancora poco chiari, sembrano comunque essere coinvolti in questo processo le cellule natural killer e i linfociti citotossici. Ma se la risposta immune cellulo-mediata non dovesse sortire l'effetto di bloccare l'evoluzione di queste lesioni, si andrebbe incontro ad una infezione virale persistente con la conseguente liberazione di notevoli quantitativi di E6 ed E7, capaci di indurre l'oncogenesi. Le principali lesioni associate con alcuni sottotipi di HPV sono elencate qui di seguito: PAPILLOMA SQUAMOSO ORALE Michele Giuliani Il condiloma acuminato (dovuto ai sottotipi HPV 6, 11, 16, 18) si localizza principalmente sulla mucosa delle zone anogenitali, ma anche nella cavità orale è possibile ritrovarne, in genere trasmesso per via sessuale, con tempi di incubazione che variano dai due ai quattro mesi. E' piuttosto frequente nei soggetti HIV positivi, tanto da essere considerata una infezione opportunistica. Clinicamente i condilomi acuminati hanno l'aspetto di escrescenze, non peduncolate, minute e multiple, che tendono a confluire, formando quindi una lesione esofitica a larga base di impianto.Anche in questo caso la tera- Tra i cofattori più importanti sembrerebbe indispensabile una adeguata carica virale di HPV per favorire la cronicizzazione della infezione stessa. Ovviamente la risposta immune dell'ospite sembra essere il fatto più significativo ai fini della guarigione o della persistenza della lesione. In particolare soggetti con un difetto nella immunità cellulo-mediata (da linfociti T) e soggetti trapiantati sottoposti a terapia immunosoppressiva dimostrano di essere molto suscettibili alla infezione da HPV e alle loro complicanze. (A.Del Mistro, L. Chieco Bianchi: HPV-related neoplasias in HIV-infected individuals. 2001- European J. Of Cancer, 37, 1227-35). Per quanto riguarda invece le persone sieropositive per HIV, sin dagli esordi di tale infezione, a metà degli anni '80, si era notato un incremento nell'incidenza della infezione da HPV, tanto che per le donne HIV+ il cancro invasivo della cervice uterina divenne una di quelle condizioni cliniche che faceva porre diagnosi di AIDS conclamato; d'altro canto, la coinfezione da HIV rendeva molto più drammatica la prognosi per le donne affette dal cancro della cervice. In seguito all'introduzione della HAART (highly active antiretroviral therapy) ci si sarebbe aspettati, al pari di tante altre infezioni opportunistiche, che anche le lesioni associate agli HPV diminuissero: a tale riguardo invece le aspettative sono andate deluse. Paradossalmente si è notato un incremento nella incidenza di lesioni HPV orali e cutanee oltre a quelle dell'apparato genitale, con possibili spiegazioni che ancora non soddisfano del tutto. orale sono in aumento. Peraltro non è facile stabilire se l'aumento notato sia da ascrivere alla HAART di per sé o piuttosto al fortissimo calo della viremia a seguito della terapia antiretrovirale. Infatti dopo la HAART c'è in genere un aumento del numero e della efficacia dell'attività dei CD4 , anche in relazione alla immunità cellulo-mediata che è punto cruciale della resistenza dell'ospite alla infezione da HPV. Il rischio perciò di un incremento della incidenza di tali infezioni potrebbe essere considerato alla stregua della sindrome da ricostituzione immuni- In particolare tre studi pubblicati nel 2000, nel 2001 e nel 2002 hanno suggerito che l'incidenza delle verruche orali e dei papillomi della cavità taria come nel caso di pazienti che sviluppino retinite da Cytomegalovirus, della meningite criptococcica e così via, nonostante l'efficacia (o forse proprio grazie all'efficacia!) della terapia antiretrovirale. Tutte queste forme sono legate ad una vivace risposta infiammatoria e possono richiedere per la terapia alte dosi di farmaci antinfiammatori per via sistemica. La regolazione da parte del virus HIV della trascrizione del DNA degli HPV potrebbe essere un altro meccanismo che spiegherebbe in parte l'aumentato rischio di lesioni orali in corso di HAART. (MD King et al: HPV-associated oral warts among HIVSeropositive Patients in the era of HAART: an emerging infection, Clinical Infectious Diseases 2002, 34:641-8). Vista tuttavia la alta pericolosità correlata al rischio di trasformazione maligna di alcune lesioni indotte da HPV e vista la capacità, diretta o indiretta, della HAART di aumentare la incidenza di tali lesioni, è opportuno consigliare un attento monitoraggio e una adeguata sorveglianza di tutte le lesioni sospette indotte da HPV. Michele Giuliani è ricercatore confermato dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Istituto di Clinica Odontoiatrica (Direttore: Prof. Renzo Raffaelli) III WORKSHOP Internazionale di Immunologia e Malattie Infettive Presieduto dal Prof. O. Perrella Argomenti trattati: 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) Immunopatogenesi e epidemiologia delle infezioni da HIV Implicazioni genetiche e immunologiche nelle infezioni Aspetti critici nel controllo delle infezioni Correlazioni fra cancro e infezioni Infezioni emergenti Correlazione fra cuore e infezioni Immunopatogenesi nuove opzioni di terapie nelle malattie epatiche Correlazioni fra infezioni e malattie ematologiche Il razionale del Convegno è correlato al ruolo che le Malattie Infettive hanno oggi nel III millennio. Le Malattie Infettive, oggi, hanno un ruolo di "trigger" nell'induzione di molte patologie ritenute, una volta ritenute idiopatiche. Dal 1973 sono stati, infatti, scoperti nuovissimi agenti infettivi (virus e batteri) quali: virus da febbre emorragica, borrelia, il virus HIV, i rotavirus, il parvovirus B19 e tanti altri ancora che sono stati correlati a patologie sociali di grande rilevanza. Uno degli aspetti più intriganti del nuovo ruolo che hanno assunto gli agenti infettivi è la loro correlazione con lo sviluppo del cancro attraverso una serie di mediazioni immunologiche e genetiche. Tale correlazione è così forte che l'OMS ha sottolineato che circa l'80% dei casi di tumori sono correlati ai virus e/o in misura minore a batteri e che una buona campagna di prevenzione e di terapia anti-infettiva potrebbe ridurne l'incidenza nel 15%dei casi. Napoli 8-10 giugno 2004 I Sessione La I Sessione, è stata aperta dal Prof. O. Perrella che ha discusso il ruolo delle Malattie Infettive nella nostra era e degli importanti progressi immunopatogenetici nel campo dell'AIDS e delle malattie epatiche. Il Prof. Moroni ha inaugurato la sessione introducendo una lettura del Prof. J.C. Chermann (Marsiglia) sulla identificazione di anticorpi R7V quale strategia terapeutica nelle infezioni da HIV. Lo studioso francese ha evidenziato che i non-progressor infetti del virus HIV hanno un alto titolo di questi anticorpi che potrebbero essere utilizzati anche nei soggetti normalmente progressors. Di seguito le relazioni dei Prof. M.Triassi e R. Pizzuti di Napoli sui nuovi trends epidemiologici delle infezioni da HIV, ove è stato sottolineato che l'infezione da HIV è una malattia prevalentemente a trasmissione sessuale e che vede la popolazione di eterosessuali sempre più coinvolta. Il Prof. Clerici di Milano ha descritto i complessi meccanismi immunologici per i quali alcuni soggetti, pur essendo esposti all'HIV, non si infettano. Questi meccanismi sembrano correlati alla presenza sia nel I I I Wo r k s h o p I n t e r n a z i o n a l e d i I m m u n o l o g i a e M a l a t t i e I n f e t t i v e N a p o l i , 8 - 1 0 g i u g n o 2 0 0 4 sangue periferico sia nelle mucose di particolari linfociti CD4+ e CD8+ che producono gIFN specifici contro le proteine virali ENV e GAG; inoltre la produzione di nuovi mediatori dell'immunità innata di defensine è notevolmente aumentata in questi pazienti. Queste strategie immunologiche potrebbero essere utilizzate nel disegno di un nuovo vaccino. I dott. Guarnaccia, Starace e Gargiulo di Napoli hanno proposto una discussione sia sul ruolo delle citochine nell'AIDS dementia complex, di recente pubblicato in AIDS da Perrella,sia sul ruolo della psicoinfettivologia nel management dell'infezione da HIV. II Sessione L'immunologo H. Hahn di Berlino ha presentato i meccanismi dell'immunità innata e il ruolo delle citochine nel controllo delle infezioni. Hahn si è anche soffermato sul ruolo dei nuovi recettori Toll Like nel controllo della risposta immune anti-infettiva. Di seguito la relazione della Prof.ssa Persico del CNR di Napoli e del Prof. Andria Direttore Dipartimento Pediatrico della Federico II di Napoli, sia sul ruolo e la suscettibilità genetica alle malattie complesse in "un'isola genetica" della Regione del Cilento, sia sulle complicanze infettive in sindrome genetiche più diffuse come la sindrome di Down e alcune più rare come la glicogenosi 1B. In una lettura sulla base genetica nella resistenza contro le infezioni retrovirali mediante modelli animali e umani, il Prof. Miyazawa si è soffermato specificamente sul ruolo di alcuni marcatori genetici nella resistenza verso le infezioni retrovirali. III Sessione La relazione del Prof. G.Tarro si è centrata su tutte le nuove metodiche rapide per la determinazione di alcuni agenti causali di bio- terrorismo quali l'antrace, il vaiolo, la yersinia. Il Prof. S. Esposito di Napoli ha evidenziato come oggi le resistenze ai farmaci antibatterici siano causa di emergenze e riemergenze di nuovi microrganismi e che molti di essi potrebbero, in tempi molto prossimi, non essere più suscettibili alla terapia antibiotica. Innovativa la relazione del Prof. S. Faella di Napoli relativa allo sviluppo di nuovi vaccini per il meningococco. Il Prof. P. Amoroso di Napoli, ha illustrato i suoi studi sul timing e tipologia delle infezioni nei pazienti sottoposti a trapianto epatico, sottolineando come le infezioni fungine e virali occupano gran parte della casistica. La sessione è stata chiusa dalle discussioni dei Dr. De Sena, C. Esposito e Capuano di Napoli sul ruolo delle infezioni fungine in corso di trapianto e sul ruolo dei fagi. IV Sessione Il Prof. P. Conti di Chieti, ha introdotto il Prof. Robert Gallo che ha illustrato i progressi nel campo patogenetico delle infezioni da HIV, nello sviluppo di possibili vaccini e nella correlazione tra neoplasie e virus erpetici (HHV-8) in corso di AIDS. Il Prof. Gallo ha inoltre illustrato i numerosi meccanismi immuno- logici che sono alla base della immunodeficienza in corso di AIDS. In particolare il virologo ha evidenziato che un complesso circuito di citochine, tra cui in particolare il TGF-b, può giocare un ruolo patogenetico importante nella progressione della malattia virale. I Prof. R. Muto e G. Vecchio di Napoli hanno quindi introdotto la special lecture del Prof. A. Giordano di Filadelfia che ha illustrato i suoi studi sui meccanismi genetici alla base del cancro del polmone. Quindi il Prof. F. Bonaguro di Napoli ha parlato delle correlazioni tra i virus HPV e cancro genitale. Successivamente il Prof. Perrella ha illustrato i suoi recenti studi sul ruolo che i geni e proteine bcl-2, analizzati nel sangue periferico e su tessuti epatici, avrebbero nella diagnostica dell'epatocarcinoma. Questi studi, organizzati in un progetto europeo con altri Centri Italiani e stranieri, avrebbero evidenziato che una disregolazione dell'apoptosi, mediata da alcune citochine, come il TGF-b ed ilTNF-a sarebbe alla base del processo iniziale di carcinogenesi. V Sessione Il Prof. G. Del Prete di Firenze ha evidenziato i nessi tra helicobacter pylori e cancro dello stomaco. Questa correlazione, è stata valutata mediante l'interazione di una importante risposta immunitaria di tipo Th1. Il Prof. A. Sanduzzi di Napoli, ha illustrato con una interessante review gli aspetti genetici, immunologici e clinici delle tubercolosi nel III millennio soffermandosi sul coinvolgimento immunologico diverso tra le forme cavitarie e non. Il Prof. R. Pelella di Napoli ha invece riportato la sua casistica nella terapia sperimentale delle sepsi mediante la proteina C attivata che nella Divisione di Rianimazione e Terapia Intensiva è largamente utilizzata. Infine il Prof. C.F.Perno di Roma ha evidenziato le nuove patologie umane prodotte dall'interazione periodica con alcuni virus che possono sfociare in eventi pandemici o epidemici. VI Sessione I Dottori P. Caso, V.Russo e Rosapepe di Napoli hanno effettuato una presentazione sia sul ruolo dell'ecocardiografia nell'endocarditi infettive sia sulle interazioni immunologiche presenti tra i virus e miocarditi. La discussione si è centrata sul ruolo dell'apoptosi nelle malattie del miocardio e sul ruolo della induzione virologica nella genesi della cardiomiopatia dilatativa. VII Sessione Il Prof. M.Piazza ha introdotto l'immunologo ed epatologo di Londra, D.Vergani che ha sottolineato il ruolo della "molecular mimicry" nella patogenesi delle epatiti autoimmuni, evidenziando che può esistere un importante condizionamento genetico basato su aplotipi HLA nell'espressione clinica di alcune forme di epatiti autoimmuni. Il Prof. G.B.Gaeta di Napoli ha quindi riportato i più importanti trials nella assegnazione della terapia antivirale in corso di epatite C, mentre il Prof. A.Giorgio di Napoli ha esposto la statistica sulle nuove opzioni terapeutiche ecointerventistiche nell'epatocarcinoma. Le Prof.sse A.L. Zignego di Firenze e G. Mieli Vergani di Londra hanno rispettivamente trattato sulle connessioni tra malattie linfoproliferative in corso di infezione da HCV e di una sindrome overlap tra le epatiti autoimmuni e la colangite sclerosante nei bambini riportando una vasta statistica personale, in particolare la Zignego ha sottolineato come l'attivazione policlonale dei B-linfociti, target classico del virus C, possa essere alla base dell'importante cascata autoimmune e della crioglobulinemia che si registra nelle epatiti croniche HCV. VIII Sessione Il Prof. Rotoli ha introdotto la relazione di L. Del Vecchio sulla persistente linfocitosi policlonale dei B-linfociti in diverse patologie ematologiche. Lo stesso ha riportato numerosi citogrammi di fluorescenza relativi a diverse patologie umane ove è possibile questo tipo di attivazione policlonale. Il Prof. A.Pinto ha illustrato sulle complicazioni infettive in corso di malattie oncoematologiche e il Dr. C. De Rosa ha riportato quante complicanze ematologiche sono possibili in corso di AIDS. La sessione è stata chiusa dalla relazione del Dr. P. Micheli di Napoli circa i suoi dati sui linfomi HIV correlati. In particolare il Dr. Atripaldi ha riportato interessanti studi sul repertorio T-linfocitario effettuato in collaborazione con il gruppo di O. Perrella ed altri. Il Professor O. Perrella è primario della VII Divisione di Malattie Infettive e Immonologia dell’Ospedale Cotugno di Napoli Gli atti del Convegno sono reperibili presso la Segreteria Tel. 081 5908411 FantaFuzeon ® Simone Marcotullio Propo ni amo una si nt esi d el l e rec ent i lin e e gu ida p u b b lic at e p e r l' u t iliz z o di Fu z e on® (Enfuvir tid e , ENF, T-20) pubblica te su AIDS 2004, 18:1137-1146. Q uest o i l t i t o l o e g l i au t or i: " C lin ic al m an age m e n t of t re at m e n t - e x pe r ie nce d , H IVinfe cte d pa tie nts with the fusion inhibitor enfuvi r t i d e: c o nsensus rec o m me n dat ion s " - B on ave n t u r a C lot e t , Fr an c ois R affi, David C oope r, Je a n-Fr a ncois De lfr a issy, Ad r ia no Lazzari n, Graem e M oy l e , Jurg en Ro ck s t roh , V in c e n t S or ian o e Jon at h an S c h ap iro. .: Definizione Fuzeon® (Enfuvirtide, ENF, T-20) è un peptide sintetico composto da 36 aminoacidi, inibitore della fusione (gp-41 mediata) tra il virus dell'HIV1 e la cellula bersaglio. Il farmaco si somministra per via sottocutanea, 90 mg due volte al dì. Il bersaglio di Fuzeon è il dominio HR1 della glicoproteina di superficie gp-41 dell'HIV-1: in questo modo si previene il legame con la regione HR2 ed il conseguente riassetto strutturale che favorisce la fusione virus-cellula. La molecola non è attiva contro l'HIV-2. .: Su chi sono stati effettuati gli studi? Gli studi di fase III (TORO 1 e 2), a 24 settimane (confermati a 48), su pazienti fortemente pre-trattati, hanno fatto sì che il farmaco fosse approvato negli adulti. Studi pediatrici a 48 settimane in bambini tra i 6 e i 16 anni hanno portato anche all'approvazione di un dosaggio pediatrico di 2mg/kg due volte al dì (il dosaggio massimo raggiungibile è quello per gli adulti). Non esistono dati per l'utilizzo di Fuzeon in gravidanza. Insufficienti i dati per i bambini al di sotto dei 6 anni. .: Caratteristiche particolari L'attività del farmaco non dipende dal sottotipo di HIV-1: significa che è potenzialmente attivo contro tutti i sottotipi. Nessuna resistenza crociata con altri farmaci antiretrovirali. Profilo di tossicità sistemica molto favorevole. Assenti le interazioni con altri farmaci antiretrovirali. Le resistenze di Fuzeon compaiono ai codoni 36-45 della gp41: l'associazione alla risposta clinica è però sconosciuta, quindi al momento queste resistenze non sono di rilevanza clinica. .: Condizioni di partenza per l'uso ottimale Prendere in considerazione l'uso di Fuzeon in presenza di virus ancora sensibile (anche parzialmente) ad almeno due altri farmaci, idealmente appartenenti a due classi differenti. In pazienti con CD4 > 100 cells/mm3 e carica virale < 100.000 copie/ml. Questa situazione (CD4 e carica virale) accade di frequente, particolarmente in pazienti con esperienza alle intere tre classi che stanno iniziando un terzo e/o un quarto regime, a seguito di fallimento con IP e NNRTI. Fuzeon può essere utilizzato in concomitanza ad almeno un ulteriore farmaco a cui il virus è sensibile. .: Posizionamento raccomandato per l'uso ottimale In pazienti NNRTI-naive cha hanno già fallito più di un regime HAART: si consiglia un regime con NRTIs (a cui il virus è sensibile) + NNRTI + ENF. Questo tipo di regime garantisce una miglior stabilità rispetto al classico schema 2 NRTIs + NNRTI. In pazienti IP-naive cha hanno già fallito più di un regime HAART: si consiglia un regime con NRTIs (a cui il virus è sensibile) + IP + ENF. Questo tipo di regime garantisce una miglior stabilità rispetto al classico schema 2 NRTIs + IP. Si richiede un'attenzione particolare a non far si che i pazienti "ritardino" troppo l'inizio di ENF: il criterio dei 100 CD4 come "limite" al di sotto del quale non scendere è cruciale per l'uso ottimale. .: Utilizzo in situazioni più critiche Pazienti fortemente pre-trattati, multiresistenti, con difficoltà a costruire un regime ARV "potenzialmente efficace". Il goal in questi pazienti non è il successo virologico, ma il miglioramento/mantenimento dello status immunologico e/o clinico. Una risposta immunologica consiste idealmente nel mantenimento o nell'aumento delle "conte" (conteggi) dei CD4. Anche un "più lento" peggioramento delle conte rispetto a prima dell'inizio di Fuzeon è considerato comunque un successo in condizioni di criticità. Potenzialmente l'utilizzo di Fuzeon non ha preclusioni a qualunque strategia di salvataggio o mix di farmaci sperimentali, vista comunque la non interazione di Fuzeon con altri farmaci ARV. La criticità di questa categoria di pazienti fa si che Fuzeon si possa proporre come una strategia per ottenere un miglioramento clinico e 'guadagnare tempo ' in attesa della creazione di un regime con almeno uno o due farmaci attivi. .: Sicurezza e tollerabilità Molto si è già detto sulla "safety" di Fuzeon. Materiale educativo ad hoc è stato sviluppato dall'azienda produttrice, dai medici e dalle associazioni di pazienti: imparare una serie di tecniche (come fare l'iniezione sottocutanea, la rotazione dei siti, i massaggi post-iniezione) migliorano le reazioni cutanee presenti dove si inietta il farmaco, che sembrano essere dovute a reazioni di ipersensibilità locali (che forse portano ad una diminuzione del farmaco - S. Bonora e H. Stocker, Abstract 6.2 e 6.3, 5° Workshop di Farmacologia Clinica, Roma 1-3 Aprile 2004). Basso il rischio di polmonite (principalmente batterica, Gram positiva e negativa): si raccomanda comunque monitoraggio in pazienti predisposti. Rarissimi i casi di ipersensibilità sistemica. .: Training/Formazione V is t a la s om ministr a zione sottocuta ne a , è oppor tuno me tte re i p az ie n t i in c ond izioni d i utilizza re il fa r ma co ne l mod o più approp r iat o. S it u az i oni ind ivid ua lizza te d i for ma zione su come utilizza re il f ar m ac o e s u come g e stire i proble mi a ssocia ti sono d a sta nd a r diz z ar s i n e i D H d i ma la ttie infe ttive e ne i ce ntr i che lo for niscon o. L e lin e e g uid a sug g e r iscono in proposito un a lgor itmo a d hoc n at o dall' e s p er ie nza d e i ce ntr i clinici. Simone Marcotullio David Osorio Filippo von Schloesser Strutturata in 5 binar i paralleli (scienza di base , r icerca c linica e trattamenti, epidemiologia e prevenzione , problemi sociali ed economici, applicazione di politic he e di programmi) la conferenza ha lasciato molto spazio per i temi sociali legati a l l ' a c c e s s o e a l l a fo r m a z i o n e d e l l e p o p o l a z i o n i e d e l l e p e r s o n e c o l p i t e d a H I V e p e r l e p r e s e n t a z i o n i d i r e l a t o r i p rov e n i e n t i d a i p a e s i s v a n t a g g i a t i . I n q u e s t o n u m e ro d i D e l t a r i p o r t i a m o i t e m i s c i e n t i fi c i , m e n t re n e l p ro s s i m o numero sarà elaborata un'ampia relazione sulle tematic he sociali, di epidemiologia e di accesso. I numeri della Conferenza Alla Conferenza hanno partecipato 17.001 delegati da 169 paesi. 2.000 sono le persone che vi hanno collaborato come staff o volontari. Le entrate in danaro prodotte dalla conferenza sono di 17 milioni di dollari (8 milioni da iscrizioni, 9 milioni da sponsorship private e da affitto di spazi). Sono state concesse 2.939 borse di studio, principalmente a delegati di paesi in via di sviluppo. I media erano presenti con 2.710 delegati. Il surplus generato dalla conferenza sarà distribuito come segue: il 40% al Ministero della Salute Tailandese, il 30% al fondo per finanziare le spese iniziali della Conferenza Internazionale 2006 che avrà luogo a Toronto, il 30% all'IAS per il finanziamento dei progetti che sta sviluppando. La conferenza ha inoltre generato un indotto incalcolabile di cui hanno beneficiato tipografie, agenzie di comunicazione, compagnie aeree, società alberghiere, ristoranti. Cerimonia di apertura La sala della cerimonia di apertura conteneva 10.000 posti, mentre i delegati erano 17000. Non tutti vi hanno potuto accedere, ma gli organizzatori non si aspettavano una partecipazione così massiccia. Da segnalare il discorso del segretario generale dell'ONU, il quale ha riferito che, nonostante negli ultimi tre anni siano stati fatti progressi per adottare strategie contro l'AIDS, non sono stati raggiunti gli obiettivi fissati nella dichiarazione di costituzione del Fondo Globale, "e ancor più importante è che non siamo in condizioni di ridurre la dimensione e l'impatto dell'epidemia entro il 2005, come avevamo promesso". Anche se ne apprezziamo la sincerità, prendiamo atto del fatto che neanche Kofi Anan sia riuscito a convincere i paesi ricchi a rispettare i propri impegni nella lotta contro l'epidemia. Aspramente criticato il Ministro della Salute tailandese per la politica adottata nei confronti dei 2.500 tossicodipendenti che di recente sono misteriosamente scomparsi. Continuano i discorsi politici, le dichiarazioni di principio e le analisi di prospettiva, mentre il treno dell'azione globale è stato definitivamente perso, soprattutto se consideriamo che solo in Africa gli orfani sono ormai 15 milioni e che il 60% dei giovani che oggi hanno 15 anni in Africa non raggiungeranno i 60 anni di età. Prevenzione Al simposio Positive Prevention - Positive Sex, Joep Lange, presidente IAS, ha affermato che il preser vativo è uno strumento valido, efficace e poco costoso per prevenire la trasmissione dell'HIV e di altre malattie a trasmissione sessuale. Si è discusso inoltre l'approccio ABC (Abstinence, Be faithful, Condoms) fortemente criticato almeno nella parte che si riferisce all'astinenza. Viceversa, è stato portato come esempio il programma di prevenzione della Tailandia, il cosiddetto "100% Condom Program" che ha cambiato sostanzialmente i comportamenti a rischio. E' stato affrontato anche il tema dei microbicidi che il presidente della IPM (International Partnership for Microbicides) auspica siano disponibili entro i prossimi 5 - 10 anni. (in dettaglio a pagina 10) Per quanto concerne i vaccini, il direttore della Fondazione Bill & Melinda Gates ha affermato che gli investimenti attualmente si aggirano intorno ai 500 milioni di dollari all'anno e vi sono 30 possibili candidati, ma è chiaro che non si avranno risultati se non tra molti anni. (in dettaglio a pagina 11) Terapie anche un'analisi puntuale sull'aderenza, sulla tossicità e sul numero di mutazioni all'inizio del trattamento. Tra le persone di 40 anni con carica virale di 100 mila che hanno iniziato la terapia a 350 CD4 piuttosto che a 500, la media della sopravvivenza è diminuita di 0,2 anni e la media della durata del trattamento è scesa di 0,7 anni. Iniziando la terapia a 250 CD4 si è osservata una ulteriore diminuzione della sopravvivenza di 1,0 anni e la durata del trattamento è diminuita di 1,5 anni. Parallelamente, il beneficio di un trattamento precoce era ridotto se i pazienti erano più anziani, meno aderenti e più soggetti alle tossicità o avevano carica virale più elevate. Il beneficio di sopravvivenza ottenuto da un trattamento precoce era annullato se i pazienti avevano ceppi resistenti di HIV all'inizio della terapia. Pertanto, se l'inizio precoce della terapia può prolungare la sopravvivenza, i bene- fici possono essere attenuati o eliminati da fattori diversi e questo studio suggerisce di cercare sottogruppi di pazienti per collazionare dati prospettivi. R C Elston con GSK (abs B1055) ha presentato uno studio a 48 settimane per dimostrare la similarità della risposta virologica tra LPV e Fosamprenavir (908). Sono stati arruolati 315 pazienti tutti pretrattati e con fallimento virologico. Sono stati effettuate analisi fenotipiche e genotipiche. Le mutazioni erano simili nei due bracci. A 48 settimane il 58% dei soggetti trattati con 908 e il 61% di quelli trattati con LPV avevano carica virale <400 copie. Il 46% dei soggetti con 908 e il 50% di quelli con LPV presentava VL <50 copie. I ricercatori hanno concluso che in presenza di fallimento virologico con IP, 908 e LPV danno risposte simili. immunologica dell'enfuvirtide (T-20, Fuzeon). Lo studio, su 661 pazienti, multicentrico, ha visto l'interruzione del 20,2% per ragioni di tollerabilità, il 7,1% per reazioni cutanee sul sito dell'iniezione e il 12,2% a causa di anomalie biochimiche. Dall'analisi ITT appare che il 26,5% (il 47,6% dei pazienti che hanno terminato le 96 settimane) ha carica virale <400 copie. Il 63% e il 75,8% dei pazienti che hanno terminato le 96 settimane ha avuto, rispettivamente, aumento di CD4 > di 100 e > di 50. Non sono stati notati particolari eventi di tollerabilità e non si è avuta particolare incidenza di polmoniti. Di particolare interesse lo studio di M S Serra, Brasile, su 504 pazienti in trattamento per lipoatrofia facciale con polietilmetacrilato a 5 anni (abs B1060). Il trattamento consisteva in iniezioni sottocutanee nell'area atrofica della faccia e i pazienti venivano seguiti ogni sei mesi. Le iniezioni con tale prodotto hanno dimostrato ottima tollerabilità, durata e risultati estetici eccellenti. Non si sono notati effetti collaterali. Non si è notato alcun cambiamento nei CD4 ed i pazienti hanno dichiarato un miglioramento nella qualità della vita. In uno studio di R L Murphy (abs B1056) sono stati riportati i primi dati sull'uomo dopo 10 giorni di monoterapia con Reverset. Sono state arruolate 30 persone non pre-trattate con CD4 >50 e HIV/RNA >5.000 copie con somministrazione una volta al giorno. I dosaggi sono stati di 50, 100 o 200 mg vs placebo. A 10 giorni la diminuzione di carica virale va da 1,67 a 1, 77 log (media) a seconda dei dosaggi. Particolare attenzione è stata data dai ricercatori al picco di Cmax. Sono previsti ulteriori studi sulla tollerabilità del farmaco che a 10 giorni sembra buona , sulle interazioni e sui pazienti pre-trattati. Uno studio sull'oxandrolone per la redistribuzione dei grassi, la lipidemia e la densità minerale ossea in uomini e donne sottoposti a HAART è stato riportato da A Smith (abs B1059). E' emerso che i pazienti trattati con oxandrolone hanno avuto aumenti di massa magra e la capacità funzionale è stata misurata dal "time on treadmill". Da notare particolarmente la diminuzione di grasso addominale e di grasso viscerale a 12 settimane. Viceversa, l'incidenza dell'oxandrolone sul colesterolo e sui trigliceridi obbliga ad un bilanciamento tra rischi e benefici della somministrazione a breve termine di tale farmaco. I dati sono stati rilevati con DEXA, strumento non utilizzato correntemente nella pratica clinica in Italia. La sessione dedicata alle strategie di inizio o di cambiamento di terapia (abs B1079) non ha apportato nulla di nuovo. R S Braithwaite, di Pittsburgh, ha confermato che il momento clinico ottimale per iniziare la terapia non è chiaro. Lo studio che ha presentato si è proposto di valutare il momento migliore per ottenere una sopravvivenza più lunga. Creata una simulazione computerizzata, sono stati calibrati dati osservazionali sulla popolazione in studio. Sono stati studiati momenti di inizio a 500, 350 e 200 CD4 su pazienti con età varie e cariche virali diverse. E' stata effettuata In tale sessione sono stati presentati anche i dati a 144 settimane su donne non pre-trattate in terapia con tenofovir o stavudina in combinazione con lamivudina ed efavirenz (abs B1083). I due bracci hanno mostrato risultati analoghi di CD4 e HIV/RNA, mentre nel braccio con d4T erano più elevati colesterolo e trigliceridi. M A Boyd, di Bangkok, con Merck, ha presentato uno studio a 96 settimane sulla terapia con indinavir 800 + ritonavir 100 due volte al giorno + efavirenz 600 mg una volta al giorno (abs B 1084), mostrando risultati virologici e immunologici sostenuti. Il 26,2% dei pazienti ha interrotto temporaneamente lo studio a causa di eventi avversi e 29 eventi avversi gravi hanno colpito 24 pazienti sui 61 in studio. I ricercatori concludono che effettueranno ulteriori studi per ridurre il dosaggio di indinavir onde minimizzare gli eventi avversi dovuti al farmaco. Studi clinici su nuovi farmaci Sono stati presentati i risultati dello studio TORO a 96 settimane sulla risposta virologica e Studi clinici Sono stati presentati i dati interinali dello studio ESPRIT (abs B1288), di cui abbiamo già riferito in occasione del CROI. Come è noto, lo studio analizza il ruolo di IL-2 nell'aumento di CD4 in pazienti che iniziano con 300 CD4. Si è osservato un aumento dei CD4, ma il mantenimento di questa risposta è stato raggiunto dopo la somministrazione di un ulteriore ciclo di IL-2 dopo 8 mesi. I ricercatori ritengono necessari altri anni di studio per poter comprendere a fondo i benefici clinici di tale aumento. B4486). 42 pazienti che ricevevano lopinavir/r + 2 NRTI o un NRTI + TDF sono stati randomizzati per continuare o interrompere gli NRTI o l'NRTI + TDF. A 24 settimane l'81% dei pazienti che hanno semplificato la terapia hanno mantenuto la carica virale a livelli non quantificabili. I dati a 48 settimane saranno disponibili in agosto 2004. G Determinare la possibilità di un controllo virologico con Kaletra in monoterapia per pazienti con carica virale non quantificabile per 6 mesi è l'obiettivo dello studio OK (Only Kaletra, abs Pierone, USA, ha presentato uno studio sulla semplificazione a LPV/r in monoterapia per pazienti trattati con HAART contenente NNRTI con completa soppressione virale (abs B4595). I dati su 18 pazienti, a 24 settimane, mostrano che i 14 soggetti che hanno proseguito lo studio sono rimasti con carica virale <400 copie e 13 di essi con carica virale <75 copie. I livelli lipidici sono aumentati in 5 dei 14 soggetti e i ricercatori suggeriscono ulteriori studi prospettivi per analizzare l'efficacia e la tollerabilità a lungo termine di LPV/r in monoterapia. L'abs B3285 ha dimostrato su 819 soggetti che un regime ARV con LPV/r in pazienti con epatite B e/o in presenza di coinfezione con HCV dà risultati paragonabili a quelli di soggetti non coinfettati. Inoltre, il ricupero immunologico a 48 settimane è simile nei pazienti coinfettati. Nonostante vi siano state transaminasi elevate nei pazienti con epatite, non vi sono state interruzioni di terapia né eventi avversi epatici. Resistenze Un nuovo NNRTI, il TMC125, attivo sia sul ceppo selvaggio che sui ceppi resistenti agli attuali NNRTI e con una barriera genetica elevata contro lo sviluppo di resistenze, ha confermato in vitro che l'attività virale non diminuisce in presenza delle mutazioni tipiche della classe (abs A1271). Alcune mutazioni non prevalenti sono state associate ad una diminuzione dell'attività della molecola, pertanto i ricercatori stanno valutando l'attività antivirale di lungo termine in pazienti resistenti agli altri NNRTI. Sono stati presentati i dati dello studio 720 sui test di resistenza a 5 anni con LPV/r in 100 pazienti non pre-trattati (abs B1291). Solo 68 pazienti hanno terminato lo studio a 252 settimane (32 hanno interrotto, 13 hanno avuto eventi avversi, 9 non follow up, 5 non aderenti, 5 ragioni personali). Il 99% dei 68 pazienti ha mostrato carica virale <400 copie ed il 94% di essi <50 copie. Non sono state rilevate resistenze all'LPP né a d4T, mentre in 3 pazienti si sono osservate resistenze a 3TC. Le mutazioni secondarie alla proteasi in 6 pazienti non sono state associate a quelle dell'LPV e pertanto il rischio di resistenze in un periodo maggiore di 5 anni in persone non pre-trattate in terapia con LPV/r è basso. M R Loutfy, Canada, ha dimostrato che è efficace un nuovo test di resistenze genotipiche che verifica la sequenza di aminoacidi della gp41. Attraverso tale test sono state identificate le mutazioni della gp41 nell'intera sequenza degli aminoacidi che possono avere rilevanza clinica in pazienti che non rispondono all'enfuvirtide. Da rilevare che il test ha scoperto che i pazienti resistenti all'enfuvirtide avevano mutazioni nelle posizioni 36D, 38A, 38M, 42T e 43D. A Lafeuillade , Francia, ha presentato uno studio sulla s e l e z i o n e d i re s i s t e n ze i n pazienti con HIV RNA stabile tra 50 e 1 . 0 0 0 c o p i e . S e c o n d o i l r i c e rc a t o re , nonostante vi sia una carica virale stabile ed una conta di CD4 invariata, si continuano a sviluppare resistenze nella maggior par te dei pazienti sottoposti allo stesso regime per un periodo di oltre 28 mesi. Tale teoria è stata dimostrata usando il kit Amplicor Roche ed è stata effettuata la sequenziazioni RT e IP utilizzando un prisma 310 ABI. I risultati di questo s t u d i o i m p l i c h e re b bero la possibilità di uno switch terapeutico anche se non s o n o v i s i b i l i mu t a z i o n i o re s i s t e n z e alla terapia in corso. Questa tesi non t ro v a r i s c o n t ro nell'attuale pratica clinica ove si tende a n o n c a m b i a re l a terapia fino all'evidenza del fallimento. Terapia ed età E' stata dedicata un'intera sessione alla problematica della terapia in riferimento all'età.Vi sono due aspetti nella gestione della persona con HIV di oltre 50 anni: uno è legato all'inizio della terapia in tale età, l'altro si riferisce alla persona che, grazie alla terapia, supera i 50 anni di età. M K Pitts, Australia, ha presentato i risultati di un questionario sottoposto a 894 persone con HIV tra i 22 e i 77 anni (abs D1092). Il 22% superava i 50 anni. In generale, queste persone hanno manifestato uno stato di salute peggiore ed il 23% di esse aveva avuto diagnosi di malattia mentale e si riscontravano più frequentemente epatiti A o B. Il 40% di tale gruppo riportava effetti collaterali alla terapia più gravi ed era meno propenso ad accettare interruzioni strutturate e ad accogliere servizi sociali di sostegno. Manfredi, Italia, ha affermato che da un punto di vista virologico i pazienti con oltre 65 anni di età rispondono alla terapia con una velocità minore che si associa ad un basso tasso di soppressione virale (abs D10456): l'HIV RNA a 12 mesi diminuisce mediamente di 1,5 log. Anche lo studio di J Alonzo, Spagna, riferisce che nelle persone anziane vi è necessità di numerose modificazioni di terapia a causa degli effetti collaterali dei farmaci (abs B3366). Anche questo ricercatore conferma che le persone con HIV di oltre 60 anni hanno risultato virologico ed immunologico minore rispetto ai pazienti più giovani. Anthony Fauci e patogenesi dell'HIV Molto interessante l'intervento sui meccanismi patogeni dell'HIV di Anthony Fauci, direttore dell'National Institute of Allergy and Infectuos Diseases, USA. A lui è stato affidato il compito di effettuare l'unica lettura magistrale (lezione) di carattere scientifico di tutta la conferenza, nell'ambito dell'iniziativa:"Meet the leaders". Fauci ha spiegato quali sono le direzioni che sta percorrendo il suo gruppo di ricerca che lavora sulla patogenesi dell'HIV, ossia sui meccanismi di produzione e sviluppo dell'HIV. L'infezione da HIV porta uno stato generalizzato di attivazione immunitaria: l'impatto della ART (terapia) è quello di arrestare questa attivazione. Fauci inizia la lezione illustrando i suoi studi sull'impatto che la replicazione virale e la viremia hanno sui tre tipi di linfociti nelle persone HIV positive: su CD4+ T cells reservoires, su cellule B e su cellule NK. In persone viremiche e non viremiche vi è una differenza notevole nei CD4+ T cells reservoires: nei primi continua l'espressione virale, nei secondi invece, cioè nelle persone non viremiche, questo non accade e allora si può parlare propriamente di "riserve". Il fatto dunque che una persona abbia valori quantificabili o non quantificabili è di fondamentale importanza per determinare il ruolo delle riserve dell'individuo: in una persona con HIV RNA quantificabile le cellule T a riposo non sono propriamente riserve ma mantengono un ruolo attivo ed espressorio. Anche M Galli, Italia, riferendo i correlati di rischio di lipodistrofia e di dislipidemia ha rilevato che è necessaria particolare prudenza e attenzione nella scelta dei farmaci di prima linea, ancor di più quando si tratta di pazienti anziani (abs B5936). Ciò che Fauci ha mostrato, attirando l'interesse della platea, è il meccanismo del tutto analogo rilevato nelle cellule B: in persone viremiche vi è una sovra-regolamentazione di certi geni che non è presente in persone aviremiche (ossia non viremiche): il cambiamento di alcuni di questi è legato alla morte di cellule B. Dato che la terapia ARV nei paesi occidentali ha prolungato la vita delle persone con HIV, è necessario che la ricerca si concentri anche sugli aspetti sociali, clinici e terapeutici delle persone con HIV che superano i 50 anni di età. Il parallelismo continua anche con il terzo tipo di cellule, le NK, dove ancora si sono evidenziate differenze analoghe a quelle delle cellule B e T tra persone viremiche e non viremiche nell'espressione di geni. Esposti questi parallelismi (ossia la continua globale attività immunitaria e quindi espressoria nelle persone viremiche) Fauci fa notare come la superficie dell'HIV contribuisca all'espressione di geni connessi alla replicazione virale e alle produzione di citochine coinvolti nella attivazione immunitaria. Questa induzione necessita di segnali attraverso i CD4 e i rispettivi co-recettori (X4 e R5). A seconda dei diversi tipi di co-recettori si generano differenti geni associati alla produzione di diverse proteine. Da qui il ruolo della superficie dell'HIV nella produzione stessa della viremia e conseguentemente nell'attivazione immunitaria. La ART (terapia antiretrovirale) fa regredire tutto questo meccanismo, tuttavia, in persone viremiche, non completamente e dunque l'attivazione del sistema immunitario in tutte le sue parti (T, B e NK) non si arresta. Fauci, a conclusione della lezione, si chiede se sia positivo o negativo che nell'organismo vi sia viremia, visto anche il tramonto dell'ipotesi dell'autovaccinazione: ossia "giocare" con l'attivazione di tutte queste componenti del sistema immunitario e con la loro disattivazione introducendo la ART, ciclicamente, è corretto? Chiaramente non sussiste un problema di safety. Interruzioni Strutturate di Terapia (STI) Vari gli studi presentati sull'argomento: i principi che spingono numerosi ricercatori ad esplorare questa strada sono la riduzione dell'esposizione alla tossicità ART-derivata delle persone HIV, la riduzione del tempo di assunzione dei farmaci (possibili anche problemi di aderenza "a lungo termine") e anche dei costi delle terapie. Validare una procedura di interruzione terapeutica potrebbe essere cruciale dunque sia nel mondo occidentale, dove sono disponibili i farmaci, sia nei paesi in via di sviluppo, dove la disponibilità delle terapie è precaria e la cultura dell'assunzione continuativa di terapia e della gestione cronica di una patologia è lontana dalle popolazioni. N Pai e altri (Abs B4491) hanno proposto una review sistematica per verificare gli effetti dell'STI sui risultati clinici, immunologici e virologici delle persone HIV+ con infezione acuta e cronica. Sono stati inclusi studi di fase III estratti da 9 database (dal 1996 al 2003): due revisori indipendenti hanno estrapolato i dati e valutato la loro qualità. Di 12 trial clinici, 11 sono stati giudicati di standard corretto. L'unico studio che ha riportato miglioramento immunologico e virologico è nell' infezione acuta. In infezione cronica due trial hanno riportato sviluppo di resistenze, nessuno ha riportato benefici autoimmuni e nessuna riduzione di tossicità è stata vista nei gruppi in cui si è interrotto. Non esiste, dunque, al momento, alcun consensus sull'utilizzo di STI nella gestione dell'HIV cronica. Uno dei criteri che sembra essere di buon senso, in quanto unisce le ragioni della pratica clinica a quelle del paziente che desidera interrompere la terapia per varie ragioni, è il criterio CD4-guidato. Molti ricercatori cercano di "assolutizzare" un numero di CD4 tale per cui, al di sopra di questo numero, con ragionevole sicurezza, dati alcuni parametri iniziali ben stabiliti (ad esempio il nadir storico di CD4 e/o il massimo di viremia raggiunto in fase di pre-terapia) è possibile interrompere il trattamento. E' il caso, in questa conferenza, di D.A. Katzenstein (B4585), il quale propone 500 cells/mm3 sulla base di uno studio pilota (studio ACTG A5102) che mostra come quasi il 70% dei 47 pazienti dello studio sia rimasto senza terapia per due anni indipendentemente dall'utilizzo o meno di IL-2 o dal criterio del rebound virale. Avere più di 500 CD4, l'essere al primo regime HAART e l'essere non quantificabili erano i criteri di ingresso dello studio. La terapia veniva ripresa se si scendeva al di sotto dei 350 cells/mm3. Forse il basso nadir e l'alto valore di viremia prima dell'inizio della HAART sono criteri al basale che possono suggerire la non candidabilità all'interruzione. Osservati due casi di sindrome acuta retrovirale dovuta alla ricombinazione. J S G Montaner (B4579) propone invece il criterio di non essere mai stati storicamente in AIDS, ossia di avere un nadir di CD4 > 200 cells/mm3. J Y Choi (B4566) propone i CD8+ T cells come ulteriore criterio aggiuntivo di valutazione della sospensione: se superiori ai 500 cells/mm3 al basale, la risposta specifica sarebbe maggiore e quindi predittiva del successo dell'interruzione. Alcuni studi riportano favorevolmente rispetto al contenimento e alla normalizzazione di certi parametri metabolici (colesterolo e trigliceridi) durante le interruzioni, altri invece sostengono la non differenza tra i regimi continuativi e quelli di breve-media interruzione. Il nadir, il numero e la percentuale di CD4, il massimo valore di carica virale raggiunto prima dell'inizio della HAART, l'essere non quantificabili, i tempi di alcuni di questi parametri sono i criteri sui quali si indaga una possibile strategia di interruzione: l'importanza dei CD4, la minor importanza della viremia, la non rigidità dei periodi di interruzioni sembrano essere le tendenze attualmente in voga. Vaccini e Microbicidi: tecnologie di prevenzione E' apparso un po' singolare il fatto che una Conferenza Mondiale incentrata sostanzialmente sui problemi del terzo mondo non abbia dato la giusta importanza al tema della prevenzione tecnologica: erano presenti speciali sessioni dedicate, tra cui anche una plenaria, ma l'apertura della conferenza, che suggerisce lo spirito della stessa, non contemplava questo tema. Certo è che il grosso sforzo di advocacy che si è fatto a livello mondiale negli ultimi due anni ha portato ad un cambiamento culturale: prima le persone (medici, attivisti, …), alla pronuncia della parola "vaccino per l'HIV", sorridevano con aria di stupore. Oggi invece possiamo dire che almeno "la penetrazione culturale" della necessità dello sviluppo delle tecnologie preventive è patrimonio dei più. Ricordiamo ai lettori che l'unico modo per sconfiggere il propagarsi di una pandemia è un vaccino o una tecnologia similare che ne prevenga la trasmissione. Tuttavia questa conferenza non ha brillato per i risultati nel campo. C'è ancora chi continua a dare dei numeri per un vaccino, tra 5 anni…, tra 10 anni…, non esiste sport più illusorio di questo: i numeri ogni anno sono sempre gli stessi, nonostante il trascorrere del tempo. Le necessità di avere più studi di fase IIb, per ragioni di fattibilità, invece che studi di fase III, stanno prevalendo tra i ricercatori: è troppo difficoltoso portare un candidato vaccinale promettente in fase III (migliaia di volontari) per testarne l'efficacia. E' invece più semplice e fattibile realizzare studi di fase IIb (centinaia di volontari) su candidati promettenti e disegnarli possibilmente in modo da poter speculare anche su risul- tati di efficacia. Siamo ancora lontani dallo sviluppo di un vaccino, sia esso preventivo o terapeutico: gli annunci propagandistici sono pura speculazione, nessuno ha ancora " il composto magico". Per i vaccini vi sono stati interventi soprattutto in ambito pre-clinico, ossia animale: l'impressione di trovare necessariamente ed in modo quasi ossessivo la stimolazione di particolari antigeni del sistema immunitario è quanto è emerso dalla presentazione del gruppo di Lori (A1347) che lavora su Dermavir, un prodotto ridefinito a seconda delle tendenze, che da solo non riesce a mantenere una risposta sostenuta ma che con opportuni boosting riesce a riattivarla: un po' come dire che una vettura ha bisogno di benzina per andare avanti…si tratta solo di capire ogni quanto bisogna fare il pieno e di che cosa…al momento 'troppo spesso' e di 'troppe sostanze differenti'. Deludenti anche i primissimi risultati di Giuseppe Pantaleo (EV01, Eurovacc), NYVAC-HIVC (CN54-A1348) anche se molto preliminari. Non riportiamo null'altro su candidati vaccinali, se non la necessità reale, se si vuole raggiungere l'obiettivo, di fare tesoro di tutte le esperienze mondiali sull'argomento per tentare una strada fattibile e sviluppabile di un candidato: la chiamata mondiale di Fauci di un anno fa ("The Global HIV Vaccine Enterprise") al momento è ancora troppo settoriale e poco globale. La necessità di avere più ricerca di base è un imperativo imprescindibile. Per quel che riguarda i microbicidi, ossia sostanze che applicate topicamente permetterebbero la non trasmissione dell'infezione, riportiamo lo studio HPTN 050, sulla sicurezza e tollerabilità di tenofovir gel vaginale in donne HIV negative e positive (B1373). Gli autori hanno concluso che TDF gel 1%, utilizzato due volte al giorno, in donne HIV(60) a basso rischio di infezione e donne HIV+ (20), entrambi i gruppi astinenti e sessualmente attivi, è stato ben tollerato con un assorbimento sistemico limitato e con un possibile effetto benefico sulla microflora vaginale. Sono dunque ora necessari studi più estesi. Coinfezioni: interazioni tra farmaci Sono stati pubblicati (B3285) da Abbott dati relativi alla sicurezza e alla tollerabilità di lopinavir/rtv in pazienti coinfetti HIV/HCV e HIV/HBV. Con la sola eccezione dell'aumento di AST/ALT nelle persone con epatite rispetto a quelli senza, i dati su sicurezza ed efficacia a 48 settimane sono paragonabili. Questi risultati sono consistenti con quelli a 5 anni di Kaletra. Risultati di sicurezza (safety), a 7 mesi, sono stati pubblicati anche relativamente a tenofovir in uso concomitante con ribavirina + INF-Peg in pazienti HIV/HCV coinfetti (B3317). Studi di farmacocinetica (B4628) della Gilead hanno mostrato come non ci siano interazioni sistemiche o renali di tenofovir con adefovir ( utilizzato per la cura dell'HBV) o ribavirina (utilizzata per l'HCV). PROGRAMMA NAZIONALE DI RICERCA SULL'AIDS I V P RO G E T TO P E R L E R I C E R C H E S U G L I A S P E T T I E T I C I , S O C I A L I , C O M P O RTA M E N TA L I , A S S I S T E N Z I A L I E D E L L A P R E V E N Z I O N E D E L L ' I N F E Z I O N E DA H I V / A I D S LA COMUNICAZIONE TRA MEDICO E PAZIENTE Fabrizio STARACE NEL CON TES TO DEL L A SP E R I M E N TA Z I O N E C LI N I C A E FA R M AC O L O G I C A N E L L’ HI V /A I D S PREMESSA Negli ultimi anni, le tematiche e i problemi correlati all'infezione da HIV si sono arricchite di nuovi argomenti. In primo luogo lo sviluppo delle conoscenze e delle terapie hanno modificando i vissuti, le aspettative di vita e le speranze delle persone affette da infezione da HIV, nonché dei loro familiari e della popolazione generale. Inoltre si è posta sempre più enfasi sulle rappresentazioni della malattia nell'immaginario del medico, che assieme alle proprie costruzioni personali e al sapere scientifico, condizionano l'agire clinico e la relazione con il suo assistito (Bellini M.L., et al. 2003). Relazione che per essere efficace deve avvalersi di una buona comunicazione, ovvero un fattore in grado di determinare significativamente l'efficacia e l'accettabilità dell'intervento medico e sanitario. Secondo i risultati emersi da un'articolata e complessa serie di ricerche sperimentali, (Bartlett et al.,1984; Ley,1972;1990;1992; Aggelton et al.,1989) la capacità di stabilire e mantenere un'efficace comunicazione all'interno della relazione con il paziente è una variabile in grado di aumentare l'aderenza del paziente alle prescrizioni ed ai trattamenti medici; incrementare i livelli di soddisfazione espressi e percepiti dai pazienti verso i contesti sanitari e gli interventi medici ricevuti e/o offerti; determinare un miglioramento della qualità della vita dei pazienti; ridurre l'ansia ed i livelli di stress associati a malattie croniche, maligne e gravemente invalidanti; nonché ridurre i tempi di ricovero ed il ricorso a prestazioni sanitarie e socioassistenziali ad alto costo (Audit Commission,1993). Sulla base di queste evidenze, gli aspetti relazionali del rapporto tra medico e paziente sono gli elementi centrali del processo terapeutico che non può più essere incentrato solo sulla capacità del medico di diagnosticare e curare "farmacologicamente" la malattia del paziente. In altri termini il modello di relazione comportamentale di tipo "paternalistico" in cui il medico agisce autonomamente e mette in atto tutto ciò che è necessario per garantire la guarigione o comunque il benessere del paziente, dovrebbe lasciare il posto ad un modello di relazione di tipo "deliberativo"in cui il medico rappresenta per il paziente un confidente con il quale discutere della sua malattia e programmare insieme la via migliore per raggiungere il benessere, tenendo conto principalmente delle aspettative del paziente stesso. promettere una sempre maggiore efficacia, il problema della comunicazione si fa ancora più importante e complesso a causa la cronicità, contagiosità e letalità della malattia (Bellami G.G., et al., 97); della sua gestione clinica; della sottostima del rischio di contagio sopratutto nei soggetti eterosessuale; e della persistenza dello stigma sociale (Bellami M.L., et al., 98). Questo modello di comportamento pone in risalto la centralità della figura del paziente, principio fondamentale nell'empowerment sociale (Emanuel E.J., et al., 92). Tuttavia, nonostante il riconoscimento formale di questa esigenza, si rileva una generale mancanza di contributi specificamente centrati su tale cambiamento che può avvenire attraverso una oggettiva e specifica programmazione di interventi formativi che, in materia di comunicazione con il paziente, presentano i medici direttamente coinvolti ed impegnati nella cura e nel trattamento del paziente con HIV/AIDS (Brenneman e Newton, 1994b;1994b) e nella sperimentazione clinica e farmacologica (Dickson et al., 1991). Nel campo dell'HIV/AIDS, a fronte di un notevole sviluppo del sapere, del continuo evolversi delle informazioni nonché della messa a punto di terapie che sembrano In questo complesso scenario, per certi versi ambivalente e denso di contraddizioni, si definisce la relazione delle persone direttamente e indirettamente colpite dall'infezione da HIV e dei medici che le assistono (Bellini M.L., et al. 2003). Inoltre, al pari di altre forme di intervento medico, la sperimentazione clinica con pazienti con HIV/AIDS è esposta all'interferenza di numerosi fattori di carattere psicologico, relazionale e psicosociale.Tali fattori possono generare fenomeni che - come la non aderenza al regime ed ai protocolli sperimentali previsti - condizionano gli esiti della ricerca medica e pregiudicano la valutazione farmacoeconomica che vi si associa.Ridurre l'interferenza e l'azione di questi fattori è, pertanto, fondamentale per favorire gli avanzamenti ed il progresso di un settore della medicina da cui dipende il futuro e la salute di milioni di persone. strutturate e controllate non offre, in questa categoria di soggetti, sufficienti garanzie di validità (Brenneman e Newton,1994b; Conan e Carballo, 1989; Joesbury et al.,1990; Kaplan et al.,1989). Allo stesso tempo, le tradizionali strategie di reclutamento/selezione dei campioni di osservazione utilizzate dalla ricerca psicosociale risultano di scarsa e discutibile utilità. Tali strategie sono infatti esposte al rischio di numerosi fenomeni di selezione della popolazione osservata, generando frequentemente risultati ed osservazioni di difficile generalizzabilità e/o applicabilità ad A) categorie di pazienti non appartenenti al gruppo campionario considerato B) categorie di pazienti a stadi diversi di malattia e C) categorie di pazienti con profili sociali, culturali, socio-demografici differenti. (Brenneman e Newton,1994). Pertanto, la ricerca psicologica e psicosociale più recente si avvale di approcci sperimentali di tipo induttivo, caratterizzati da una proficua integrazione di metodiche qualitative e quantitative, dove lo sviluppo di condizioni e strumenti di rilevazione flessibili, aperti e specificamente mirati assume una particolare rilevanza euristica e metodologica (Brenneman e Newton 1994b; Kaplan et al., 1989). Tale ambito rappresenta per le scienze del comportamento un campo di ricerca e di intervento che ha progressivamente imposto una sostanziale revisione ed innovazione dei metodi, delle strategie e delle tecniche di rilevazione psicosociale. OBIETTIVI DELLA RICERCA Il progetto si propone di identificare le dimensioni comportamentali, gli atteggiamenti, le convinzioni e le pratiche utilizzate più frequentemente dai medici che medici direttamente coinvolti nella sperimentazione clinica e farmacologica correlata all'HIV/AIDS, nonché le tecniche messe in atto dai medici per ovviare a tali problemi e al verificarsi o meno della comprensione da parte dei pazienti. La rilevazione oggettiva di questi aspetti relazionali è compromessa da una lunga serie di fattori determinati sia dalla estrema diversificazione clinica e socioculturale del paziente con HIV/AIDS, sia dalle modalità di trasmissione della malattia. Per questo motivo, l'applicazione di metodologie e tecniche che richiedono il rispetto di condizioni sperimentali rigorosamente METODOLOGIA RISULTATI Soggetti Lo studio è stato condotto su un campione di 107 medici impegnati nell'assistenza di pazienti affetti da HIV/AIDS delle Regioni Lazio, Lombardia e Campania. Il campione è stato selezionato - con criterio casuale - attraverso il coinvolgimento attivo di a) centri clinici di primo, secondo e terzo livello, rappresentativi delle strutture presenti sul territorio nazionale e b) organizzazioni di volontariato impegnate nelle.attività di sperimentazione HIV correlate. Caratteristiche generali del campione Lo studio è stato condotto su un campione di 107 medici impegnati nell'assistenza di pazienti affetti da HIV/AIDS delle Regioni Lazio, Lombardia e Campania, di cui il 58.9% maschi e il 40,2% femmine di età compresa fra 31 e i 50 anni, specializzati per il 72% in infettivologia. Il 58,6% del campione intervistato svolge oltre al lavoro clinico anche quello di sperimentatore. Strumenti di rilevazione L'indagine è stata condotta mediante la applicazione di un questionario autosomministrato, il QC-M (Questionario sulla Comunicazione per i Medici) uno strumento frutto di una accurata revisione della letteratura scientifica pertinente comprendente anche la Jefferson Scale of Phisician Empathy (Hojat, et al., 2001). Il QC-M è composto da 53 items ripartiti in 4 sezioni tematiche. Nella prima vengono raccolti i dati anagrafici personali e professionali del campione. Nella seconda composta da 30 items a risposta multipla (di cui 9 dall'items 22 al 30- destinati solo ai medici che si occupano di sperimentazione) vengono individuate le dinamiche relazionali della coppia medico-paziente, gli elementi preponderanti nella costruzione e nel mantenimento della comunicazione medico-paziente sia durante il procedimento clinico della sperimentazione sia nella routine della pratica medica. La terza sezione è composta dai 20 items della Jefferson Scale of Phisician Empathy (20-Likert-type items) che attraverso la costruzione di tre categorie ottenute in base al punteggio totalizzato dal campione (B=da 1 a 60 basso livello di empatia ; M=da 61 a 100 medio livello di empatia; A=da 101 a 140 alto livello di empatia) permette di identificare i livelli di empatia nella relazione MedicoPaziente. La quarta sezione formata da 3 items a risposta multipla punta a far emergere le aree critiche del processo comunicativo nella relazione medico-paziente e le metodologie di intervento preferite dal campione. ANALISI DEI DATI I dati dei questionari saranno elaborati ed analizzati col sistema SPSS. I files di dati - sebbene i questionari siano anonimi - saranno protetti da password per garantire assoluta confidenzialità. Sarà realizzata un analisi statistica comparativa tra i gruppi per identificare le variazioni e le similarità di conoscenze, attitudini e comportamenti registrati nei due campioni considerati. Individuazione delle dinamiche relazionali medico-paziente Secondo il campione, le fonti d'informazione più attendibili sull'HIV/AIDS, oltre ai medici (34%), spiccano i mezzi di comunicazione, nello specifico i libri e/o le pubblicazioni (86%), i congressi (70%). Fra le figure professionali che più frequentemente forniscono assistenza ai pazienti con HIV/AIDS oltre ai medici (81,3%) spiccano gli psicologi/psichiatri (50,5%) mentre minore importanza viene accordata agli altri ammalati (44,9%) e ai gruppi e/o associazioni di volontari (33,6%). Per quel che riguarda i soggetti in grado di offrire supporto emotivo ai pazienti HIV/AIDS il campione ha indicato negli psicologi/psichiatri (59,8%) i soggetti più efficaci, seguiti dal medico curante (47,7%). Poca rilevanza è stata accordata ai genitori dei pazienti (19.3%) che risultano essere le peggiori fonti di supporto emotivo.Ad essi vengono preferiti gli altri individui sieropositivi e/o pazienti AIDS (40%) e i gruppi di volontariato (38,3%). Il campione ha segnalato che il servizio più importante per il paziente con HIV/AIDS non è solo un trattamento medico adeguato (86,9%), ma anche il supporto psicologico (85%). Significativo è invece il dato circa le informazioni sulle sperimentazioni cliniche indicato solo dal 6.5% del campione. Per quel che riguarda il tipo di relazione che il medico ha con il proprio paziente il 62,6% dei soggetti ha risposto buona, il 18,7% ottima, il 14% né buona né cattiva. Tale relazione si struttura a partire da alcuni principi ispiratori, che sono il rispetto (55.1%), la comunicazione (48,6%), l'ascolto (50,5%) la credibilità (38,3%), In percentuali minori l'assenza di giudizi morali, la comprensione, la discrezione. Significativi sono i dati sullo stabilirsi di una relazione confidenziale (9,3%) e sulle capacità di offrire un supporto psicologico (9,3%). Il campione ha segnalato che i fattori più importanti per la costruzione e il mantenimento di una buona relazione sono la partecipazione attiva del paziente nelle discussioni che riguardano la sua salute (62,6%), l'atteggiamento del medico durante la consultazione (57,9%) e il tempo dedicato alla consultazione (48,6%). Sembra occupare una posizione di minore importanza il rispetto degli appuntamenti concordati, l'efficacia della terapia proposta e l'aderenza alla terapia. Secondo il campione, nell'ambito della relazione medico-paziente, una buona comunicazione dipende dal medico e dal paziente (49.5%)anche se i fattori che possono influenzare lo stabilirsi di una buona comunicazione sono la capacità del medico di adattare il suo linguaggio a quello del paziente (69,2%) e la disponibilità al dialogo del medico (64,5%). Di minore importanza sono i dati relativi al numero e al tempo dedicato agli incontri (17,8%), alla possibilità di coinvolgere (se necessario) i familiari del paziente (11,2%), alle differenze socioculturali fra il medico e il paziente (14%) ed infine al tipo di malattia del paziente (16,8%). Il 62,5% del campione intervistato ha affermato di dare abbastanza/molta importanza ai fattori religiosi, culturali e socioeconomici dei pazienti nella propria pratica clinica a fronte del 18,7% che invece non riteneva indispensabile dare importanza a tali fattori. Per quel che riguarda la capacità del medico di comunicare con i pazienti di differente orientamento sessuale il campione ha risposto di sentirsi abbastanza competente (54,2%). Risultato analogo nel caso di pazienti con differente cultura, religione e status socioeconomico, con differente orientamento sessuale (51,4%) e rispetto alla capacità di affrontare situazioni problematiche (66,4%) che potrebbero ostacolare il trattamento. Dichiarano invece di sentirsi poco competenti (57,9%) nell'interpretare le differenti espressioni culturali di dolore, preoccupazione e sofferenza. La comunicazione è un processo interattivo che per essere funzionale allo scopo prefissato dalla relazione può utilizzare una serie di strumenti e/o strategie. Nello specifico il campione ha dichiarato di utilizzare riassunti, esemplificazioni, chiarimenti, ripetizioni (77,6%) per rendere comprensibile quello che sta dicendo. In percentuali minori, l'uso dello stesso linguaggio del paziente (60,7%), il coinvolgimento di un altro professionista (27,1%), del partner, di un parente, di un amico (16,8%) ed in fine, l'uso del materiale informativo (opuscoli, libretti, riviste, ecc.) (16,8%). Inoltre, lo strumento maggiormente utilizzato per capire se il paziente ha compreso quello che gli è stato detto, è dare del tempo al paziente per fare delle domande (70,1%). Altrettanto importanti sembrano essere l'osservazione del comportamento del paziente (44,9%), fare delle domande al paziente (43%), far ripetere al paziente le informazioni e le istruzioni ricevute (36,4%), fissare successivi appuntamenti di approfondimento (19,6%), assicurarsi che la persona che si prende cura di lui abbia capito (25,2%). Inoltre, il campione ha riferito che spesso (30,8%) si è accorto che il paziente non aveva compreso quello che gli era stato detto. Per quello che riguarda la comunicazione delle cattive notizie, il campione cerca la collaborazione di un altro professionista (psicologo, psichiatra, assistente sociale, ecc.) solo nel 35,5% dei casi e nel 41,1% delle volte presenta il nuovo piano d'intervento terapeutico e nel cerca e presenta tutte le buone notizie legate al caso (31,8%). In percentuali minori, il campione dà esclusivamente le informazioni che il paziente e la sua famiglia possono accettare in quel momento (29%), cerca la collaborazione del partner o di un altro familiare (19,6%), fornisce materiale informativo sulle alternative possibili (6,5%), fornisce materiale informativo sui gruppi di auto-aiuto e di supporto psico-sociale (9,3%), negozia con il paziente e la sua famiglia il nuovo piano terapeutico (9,3%). La comunicazione delle cattive notizie (64,5%) è la situazione più difficile che il campione si trova da affrontare con i pazienti HIV/AIDS. A seguire, parlare della morte (50,5%), trovare le parole giuste per comunicare con loro (23,4%), discutere dei loro problemi personali (21,5%), parlare del loro stile di vita (14%), discutere di una eventuale condizione di tossicodipendenze (9,3%), discutere del loro comportamento sessuale (5,6%) e discutere dei sintomi (4,7%). Per quel che riguarda il tempo dedicato alle visite ambulatoriali, per la maggior parte del campione (33,6%) esse durano dai 15 ai 20 minuti. Individuazione delle componenti relazionali nel contesto dei trials Il 58,6% del campione svolge oltre al lavoro di clinico anche quello di sperimentatore. Il campione ha riferito di sentire qualche volta (19,6%) una certa incongruenza fra il ruolo di clinico e quello di sperimentatore. Di essi il 23,4% ha dichiarato di offrire ad un paziente la possibilità di partecipare ad un trial durante il proprio lavoro quotidiano spesso. Inoltre il campione segnala che l'esclusione di un soggetto da una sperimentazione clinica avviene qualche volta (28%). I parametri che portano all'esclusione di un paziente dal trial sono la gravità delle condizioni fisiche (38,3%) e l'abuso di sostanze (33,6%). A seguire l'assenza di una condizione familiare stabile, l'assenza di una relazione sentimentale stabile e la presenza di difficoltà economiche. Di rilievo è l'assenza di risposte che riguardano l'orientamento sessuale dei pazienti. Dall'indagine risulta che i pazienti rifiutano di partecipare ad un trial raramente (25,2%). Tra i fattori che possono orientare un paziente a rifiutare la partecipazione a un trial ci sono la paura per gli effetti collaterali del trattamento (33,6%), la scarsa motivazione (28%), l'assenza di una buona relazione medico-paziente (27,1%), la scarsa informazione sui benefici del trattamento (17,8%). Di scarsa importanza l'assenza di un supporto familiare e sociale, il peggioramento delle condizioni fisiche e le condizioni economiche molto precarie. I soggetti affermano di ricevere raramente (10,3%) i pazienti che partecipano ad una sperimentazione clinica in orari, giorni e luoghi diversi dal resto dell'utenza; incontri che altrettanto raramente (12,1%) e condotta assieme ad altre figure professionali (psicologi, psichiatri, assistenti sociali, ecc.. Solo il 11,2% del campione ha affermato di informare sempre i pazienti HIV/AIDS che partecipano ai trials sui risultati della sperimentazione. A tal proposito, sono molto interessanti le percentuali riguardanti le altre modalità di risposta. Identificazione dei componenti strutturanti la relazione empatica I dati ottenuti dalla Jefferson Scale of Phisician Empathy (Hojat, et al., 2001) sono stati elaborati al fine di identificare il livello di empatia nella relazione Medico-Paziente. Le risposte ottenute dal campione sono state raggruppate in base al punteggio riportato: B = bassa empatia punteggio totalizzato da 1 a 40, M = media empatia punteggio totalizzato da 41 a 100, A = alta empatia punteggio totalizzato da 101 a 140. Tale categorizzazione è stata ottenuta sommando il numero di risposte ottenute dalla scala likert della Jefferson Scale of Phisician Empathy. L'indagine ha evidenziato che il 95,3% dei soggetti risulta avere un livello medio di empatia. Significativa è la assenza di correlazione fra il sesso, l'età, gli anni di esperienza medica nel settore di appartenenza e quelli di attività svolta nei trials clinici. Individuazione delle aree critiche nel processo comunicativo e delle metodologie di intervento Il campione ha dichiarato di voler approfondire nell'ambito della comunicazione tra medico e paziente le aree relative alle abilità comunicative nella relazione nel loro complesso (43,9%), il counselling sul lutto e la morte (41,1%), il trattamento delle situazioni stressanti (33,6%), il counselling per la gestione dei comportamenti aggressivi (30,8%) e il counselling sull'arruolamento dei pazienti nei trials clinici (21,5%). Di minore importanza le aree relativi alla capacità di fornire informazioni (16,8%), e le questioni riguardanti il trattamento medico (5,6%). Si sottolinea inoltre che il 3.5% ha affermato di non desiderare approfondire nessuno di questi argomenti. Per quel che riguarda gli approcci formativi, i soggetti ritengono più utile la partecipazione a workshop (50,5%). Altrettanto significativi sono i dati relativi alla supervisione dell'attività clinica con un esperto delle dinamiche di gruppo (39,3%) e alla partecipazione ad un corso residenziale intensivo (37,4%). Il 35,5% del campione dedicherebbe dalle 49 alle 96 ore per anno per un training formativo. CONCLUSIONE E DISCUSSIONE L'infezione da HIV rappresenta indubbiamente per il sistema sanitario nazionale una enorme sfida e, se affrontata in tutti i suoi molteplici aspetti, un impegno sicuramente oneroso. Dato il ruolo primario che hanno assunto in questi anni le organizzazioni ospedaliere e territoriali nella gestione delle problematiche relative all'epidemia, può essere forte la tentazione alla delega. Delega esercita in un processo di relazione ancora fortemente connotato di significati "paternalistici". Una buona comunicazione passa, infatti, ancora per "le mani" del mani del medico - come ebbe a dire un intervistato - che fonda la relazione con il paziente sulle proprie abilità comunicative. A testimonianza di ciò vi è lo scarso coinvolgimento dei familiari e di altre figure significative per i pazienti nella costruzione della relazione tra medico e paziente. Il campione sembra non essere consapevole del fatto che gli effetti dell'infezione da HIV si ripercuotono su tutto il sistema familiare, così che è possibile parlare di "virus familiare" dal momento che è l'intero sistema di relazioni affettive e supportive ad esserne colpito (Bellani M.L., et al., 98). L'infezione da HIV è dunque sempre una patologia familiare che conduce ad inevitabili modificazioni (nel senso di un rinforzo o di un allentamento dei ruoli, dei legami e delle interazioni) soprattutto in quei nuclei familiari già minati da pregresse situazioni di disgregazione sociale (Bellani M.L., et al., 98, Levine C., 90). Nessun medico e nessuna singola istituzione possono pensare di gestire da soli situazioni sanitarie e assistenziali tanto complesse ed articolate come quelle che coinvolgono le persone colpite da questa affezione. La gestione dell'infezione da HIV necessita, ormai per definizione, di un approccio integrato per l'attuazione del quale è richiesta la collaborazione di strutture assistenziali differenti e di molteplici figure professionali. Inclusione difficilmente contemplata dal campione che ancora una volta preclude il coinvolgimento di altri professionisti della salute come gli psicologi, gli psichiatri, le associazioni di volontariato, gli assistenti sociali. La lotta all'HIV/AIDS impone l'utilizzo di un processo sinergico in cui tutti i soggetti coinvolti nella relazione terapeutica coordinano gli interventi sanitari, sociali e assistenziali. Negli ultimi anni si è cercato di creare tale sinergia attraverso percorsi formativi multidisplinari che in realtà approfondivano solo alcuni aspetti della relazione tra medico e paziente. La rapida proliferazione di questi corsi di formazione impone una attenta riflessione ancor più doverosa se si vuole cercare di comprendere gli attuali bisogni di chi, nel contesto della relazione con il medico, affida non tanto un organismo minato da un virus quanto piuttosto la totalità del proprio essere che attraverso la richiesta di cure ricerca la possibilità di ottenere benessere e conforto. Il campione intervistato ha infatti, dichiarato di voler ampliare solo alcune capacità relazionali nell'ambito della comunicazione delle cattive notizie, della morte, dei comportamenti aggressivi e oppositivi, tralasciando quelle atte a migliorare l'arruolamento dei soggetti nei trials. A tal proposito colpisce il dato che pone in evidenza una certa incongruenza percepita fra coloro che oltre al lavoro clinico svolgono anche quello di sperimentatore, nonché la scarsa informazione data ai pazienti sui risultati delle sperimentazioni a cui hanno partecipato. Questa richiesta formativa si sposa con le esperienze, i modelli, e gli strumenti sinora realizzati per promuovere il miglioramento della comunicazione medico - paziente che permettono di evidenziare uno scarso interesse per entrambi gli aspetti di queste particolari forme di comunicazione sanitaria che, nell'opinione di alcuni autori, è un fenomeno connesso alla mancanza di specificità che caratterizza l'intervento formativo finalizzato al potenziamento di abilità che sono squisitamente psicologiche e sociali (Dickson et al,1994; Ellis e Whittington,1981) appare, infatti, evidente che soprattutto nel nostro paese - la costruzione di questa tipologia di moduli formativi è caratterizzata dal frequente ricorso a strumenti ed approcci mediati da ambiti disciplinari che difficilmente incontrano i bisogni formativi e le esigenze concrete e tipiche della comunicazione sanitaria. Allo stesso tempo, la maggioranza dei moduli formativi integrati in materia di comunicazione medico paziente è generalmente caratterizzata da elementi (es: assenza di un manuale di training; non definizione delle unità e degli obiettivi di formazione/apprendimento) che pregiudicano ogni seria possibilità di sottoporre l'intervento formativo erogato a verifica di efficacia (Roth e Fonagy,1997; Dickson et al.,1991). Come sottolinea Morosini (1998) l'assenza - in ambito educativo e formativo - di una cultura di intervento fondata su prove di efficacia, è un dato che genera un notevole dispendio di risorse, favorendo l'affermarsi di modelli la cui validità, in termini di risultati prodotti/attesi, non è purtroppo nota. Ugualmente pregiudicato appare l'adattamento - al contesto italiano - di moduli formativi elaborati in sede internazionale, in quanto la comunicazione umana è - per sua stessa definizione - una dimensione sostanzialmente e fortemente condizionata da determinanti culturali, caratterizzate da contesti, consuetudini, comportamenti e modalità comunicative peculiari e proprie. È pur vero che sempre più i medici si trovano a dover affrontare contesti socio-culturali diversificati nei quali gestire le differenti espressioni di dolore, sofferenza e preoccupazione e per le quali sono fortemente inadeguati. Bibliografia Bartlett E, Gravson M e Barker R., The effects of physician communication skills on patient satisfaction, recall and adherence, Journal of chronic disease, 35,755-64 (1984) Bellani M.L., Bellotti G.G. Aspetti psicologici dell'infezione da HIV e linee guida per il counselling, in: Dianzani F., Ippolito G., Moroni M. (a cura di). AIDS 1988. 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Roth P, Fonagy M., Psicoterapia e prove di efficacia, Roma, Il Pensiero Scientifico (1997). RAPPORTO DAL SITO: http://www.nadironlus.org :: C O S A C I S I P U O ’ T ROVA R E Nel gennaio 2003 Nadir ha lanciato il suo nuovo sito web. Più che un sito è definibile un collettore dove è possibile trovare informazioni sull'HIV/AIDS e patologie correlate (epatiti, MST, ecc…)di tutte le tipologie: sui trattamenti (ricerca), sulle problematiche politiche nazionali ed internazionali (accesso, diritti, politiche sanitarie) sulle questioni sociali. Sul sito è possibile pubblicare notizie, informazioni e commenti di ogni genere, in "tempo reale": esso infatti è aggiornato quasi quotidianamente. Presenti anche spunti di economia sanitaria. Il sito, nella sezione "chi siamo", fornisce dettagli sulla nostra associazione. Esso è anche archivio delle pubblicazioni di Nadir, che possono essere tutte scaricate formato PDF: tutti i numeri della rivista DELTA (sia quello in distribuzione che quelli arretrati), tutte le pubblicazioni fatte dalla nostra associazione (monografiche, tematiche, NadirPoint, ecc…). E' possibile iscriversi alle nostre mailing list, consigliare siti da aggiungere a quelli già esistenti tra i link, interagire con la redazione, partecipare a sondaggi ed intervenire direttamente inviando i propri contributi. :: U N P O ’ D I S TAT I S T I C H E D E L L A R E DA Z I O N E Dal Gennaio 2003 abbiamo pubblicato oltre 600 notizie quasi a cadenza quotidiana. I primi di giugno abbiamo superato le 100.000 pagine viste dall'inaugurazione del sito. Per esempio il 13 maggio, in una sola ora, abbiamo avuto 849 accessi, mentre è stato il mese di Marzo quello fino ad ora con più accessi nel 2004: ben 8739. Il sito sta ormai diventando una vera e propria miniera di informazioni e si sta consolidando nel panorama italiano dei siti del settore. Chi lo frequenta ha l'opportunità di avere accesso a tutte le pubblicazioni di Nadir in anteprima, ossia prima che possano essere stampate e distribuite. Talvolta le pubblicazioni sono solamente in formato PDF: con una qualunque stampante è possibile dunque averne facilmente una versione cartacea. Le tabelle mostrano alcune statistiche del nostro sito: è sempre possibile vederle aggiornate in tempo reale collegandosi al Menù in alto a sinistra della nostra "main page" alle voci statistiche, sondaggi, top 10 ecc… Caro Egon, avevano messo un velo che copriva il Tuo sorriso e la Tua serenità, dopo le sofferenze degli ultimi mesi. Enzo lo ha tolto e Ti ho potuto vedere per l'ultima volta, prima del tuo ultimo viaggio. Intorno tutti piangevano, soprattutto le persone che per anni hanno lavorato con Te, a cui hai lasciato un'eredità di affetto. La serenità del Tuo volto era quella che avevo visto in tanti anni, fin da quando Tu, tra i miei amici più grandi venivi alle feste quando io ero ancora un ragazzino. Poi, molti anni dopo,Ti incontrai di nuovo a New York, circondato dagli amici della vita mondana, ma sempre semplice, quasi timido, attento ai dettagli con ogni persona che Ti avvicinava e io ero uno tra queste. Poi a Roma, a Miami mi telefonavi tutti i giorni, ci vedevamo ovunque. Non sarà facile dimenticare i Tuoi consigli, le Tue analisi precise su situazioni personali, politiche ed economiche, le Tue previsioni che poi si avveravano tutte puntualmente. Le feste meravigliose che organizzavi a Miami il 3 gennaio per tanti anni ove tutti dimenticavamo i problemi quotidiani per condividere con Te e con Enzo la Tua gioia di vivere che non hai mai perso, fino agli ultimi giorni passati a Sirmione con i Tuoi figli. Non sarà facile dimenticare la generosità che ha contraddistinto il Tuo rapporto con gli amici e con i collaboratori, quella di un Principe che lo è nell'animo, la Tua serenità che non deriva dal titolo di Altezza Serenissima, ma dal Tuo modo di affrontare la vita. Mi mancherai, Egon, ma so che non sono il solo, so che in molti sentiremo la mancanza della Tua compagnia, dei Tuoi consigli, della Tua allegria, della Tua nobiltà d'animo, della Tua generosità e del tempo che hai dedicato ad ognuno dei Tuoi amici e a me. Mi mancheranno le tue telefonate alle 8 del mattiIl numero 18 di Delta no… “dormivi? Sei uno dei è dedicato alla memoria di pochi a cui posso telefonare EDUARD EGON a quest'ora…” VON UND ZU FÜRSTENBERG Ciao, Egon! STILISTA Filippo Lausanne 29 giugno 1946 Roma 12 giugno 2004 Direttore Responsabile: Filippo Schloesser Redazione: Mauro Guarinieri, Simone Marcotullio, David Osorio Comitato scientifico: Dr. Ovidio Brignoli, Dr. Claudio Cricelli, RIVISTA DI INFORMAZIONE SULL’HIV N.18 Estate 2004 Poste Italiane SPA - Spedizione in Abbonamento Postale D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art.1, comma 2 - DCB - Roma Francois Houyez (F), Dr. Martin Markowitz (USA), Dr. Simone Marcotullio, Dr. Filippo Schloesser, Prof. Fabrizio Starace, Dr. Stefano Vella Grafica a cura di: Stefano Marchitiello Collaboratori di redazione: Roberto Biondi, Valentina Biagini, Simone Marchi Stampa: Tipografia Messere Giordana - Roma Editore: NADIR ONLUS via Panama 88 - 00198 Roma Ringraziamo Gilead Sciences S.r.l. Per ricevere una copia della rivista ritagliare il riquadro, compilarlo in ogni voce e spedirlo al seguente indirizzo: Nadir Onlus, via Panama 88 - 00198 Roma per il contributo per la stampa e la grafica del n.18 di Delta Le fotografie presenti in questo numero di Delta non sono sono soggette a royalties o pagate ove dovute. La rivista Delta rientra tra le attività istituzionali dell'associazione Nadir ONLUS, attività di utilità sociale non a fini di lucro, il cui scopo primo è l'informazione/formazione a favore delle persone sieropositive. Le fotografie di Bangkok sono di David Osorio. Le opinioni espresse all'interno della presente pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori dei relativi articoli e sono comunque soggette all'approvazione del comitato scientifico e redazionale della rivista. 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