associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Francine Dominique Liechtenhan
Sull’abuso della storiografia.
Approcci alla storia russa da
Herberstein a Custine
De l’abus de l’historiographie.
Approches de l’histoire russe de Herberstein à Custine
20001
1 In “Cahiers du monde russe”, n.1, gennaio-marzo 2000, pp. 135-150. Traduzione dal
francese e note siglate (N.d.T.): © associazione culturale Larici, 2007. Cenni biografici sui
numerosi studiosi citati nel testo sono reperibili sul sito www.larici.it.
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La Russie en 1839 del marchese de Custine urtò gli spiriti fin dall’inizio
per le sue digressioni e contraddizioni e per l’eclettico aspetto intenzionale
di un metodo rivendicato dalla pubblicazione della sua “poetica” ne
L’Espagne sous Ferdinand VII. L’autore mescolava scaltramente lettere di
viaggio, teorie filosofiche, pensieri teologici, manifesti imperiali, romanzi,
favole, poesie, canzoni popolari, dialoghi ed estratti di opere storiche.
Fedele alla sua estetica del viaggio, Custine pubblicava con la sua Russia
«un libro leggero nella forma, serio nel fondo e disorganico in apparenza,
sebbene un legame nascosto riunisca le idee»2.
La storia del Paese e la storiografia occidentale e russa, allusivamente
sfiorate, strutturano come un leitmotiv un testo il cui obiettivo era di
escludere gli Slavi dell’Est dall’ordinamento delle nazioni europee. Il sistema
di riferimenti rinvia tra l’altro ad alcuni lavori storici del XVIII secolo:
Karamzin, Lecointe de Laveau, Leclerc, Levesque, Rulhière o Fortia de Piles.
Le citazioni risultano puntuali, ma servono al massimo a indurre il lettore in
errore o a pubblicare le posizioni del narratore su un dato argomento.
Spesso, Custine avanza le sue letture per allusione, per fonte o autore
interposti. Senza che il contesto lo imponga, fa allusione a Chappe
d’Auteroche o a Masson oppure riprende parola per parola alcune delle loro
opinioni, ma nomina soltanto i loro detrattori, Caterina II e Kotzebue.
Preoccupato di nascondere le sue fonti principali, il marchese invoca i
resoconti degli antichi viaggiatori, quelli di Herberstein, di Petreius
d’Erlesund o di Olearius per esempio, ai quali il pubblico aveva difficilmente
accesso. Il marchese ritorna al gran dibattito attorno alla Russia dei Lumi
ricordando Weber, Montesquieu, Voltaire o Diderot. Situa così La Russie en
1839 in una genealogia di relazioni di viaggio e di opere storiche, in una
prospettiva di lunga durata, in cui lettore è tenuto a raccoglierne gli
elementi. Le sue allusioni alla preistoria russa fondate su un abile sistema di
prestiti, le sue scelte terminologiche (per esempio, «Greci del Basso
2 Lettre à Victor Hugo del 31 dicembre 1843, Musée Victor Hugo. Sulla poetica di Custine, si
veda: F.D. Liechtenhan, Astolphe de Custine, voyageur et philosophe, Paris, H. Champion,
1990.
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Impero», «Sciti irreggimentati», «Barbari d’Oriente») e il miscuglio
etnografico caricato di stereotipi si piegano al gradimento delle antiche
tradizioni risalenti al XVI secolo.
L’opera dello storico e umanista Paolo Giovio è fra i primi grandi testi che
evocano la storia russa; servì da fonte ai viaggiatori successivi fino al XVII
secolo. Giovio che aveva preso contatto con una delegazione di Vasilij III a
Roma, trasse nel 1527 un opuscolo dai suoi colloqui con un diplomatico
russo, Dmitrij Gerasimov. Secondo l’umanista italiano, gli Slavi dell’Est
appartenevano alla grande famiglia continentale; trovò loro, certamente
sotto l’istigazione di Gerasimov, dei legami di vicina parentela con i popoli
germanici, con tribù che tuttavia avrebbero venerato Giove e Saturno3.
Quanto ai Tatari, essi diventarono i discendenti diretti degli Sciti. Nazione
europea a pieno titolo, la Moscovia si era temporaneamente allontanata
dall’ovile per la scelta della religione greca, che era un errore e la fonte di
tutti i suoi sbagli, ai quali sfuggiva soltanto Vasilij III. Buon capo di Stato e
grande guerriero, Vasilij sfidò insieme Polacchi e Livoniani, quindi preservò
l’Occidente dalle invasioni mongole4.
Herberstein in quello stesso anno 1520 redasse il suo capolavoro sulla
Moscovia, dove accordò un ampio posto alla storia antica e recente.
Secondo lui, le origini di questa nazione rimanevano oscure, poiché si
ignorava l’identità del primo sovrano; non disponendo di alfabeto, mentre
l’Occidente viveva i suoi primi apogei letterari grazie ai Greci e ai Romani,
essi non avevano scritto cronache sui loro inizi. Lontani discendenti di Jafet,
si imparentavano, secondo Herberstein, con gli Sciti. Invece, contestò quelle
origini germaniche o varjaghe avanzate da Giovio o Gerasimov, al massimo
ammetteva per deduzione che essi ne avevano subìto una certa influenza.
Nella sua relazione sulle guerre fratricide che dividevano i principati dal IX
secolo5, insistette sulla loro cristianizzazione grazie ai contatti con Bisanzio.
La Russia era cristiana, certamente, ma le sue radici come la sua
storiografia restavano vaghe. L’ambiguità delle sue opinioni culmina
nell’affermazione che la storia dei Tatari, certamente più recente, era meglio
attestata6.
Un secolo più tardi, Petreius d’Erlesund, basandosi su Tolomeo e Plinio,
collegò i Moscoviti ai Roxolani, popolo sarmata combattuto dai Romani.
Attribuì loro una storia antica, ma li situò di primo acchito al di fuori
dell’orbita greco-romana fondatrice della civiltà occidentale. Lo Svedese si
3 Pauli Jovii de legatione Basilii Magni Principis Moscoviae liber, in quo Moscovitarum religio,
mores etc. describuntur, Basileae, 1527, pp. 19 e 27. Tuttavia, la prima tavola
dell’edizione tedesca (1579) ci mostra ancora un uditorio degno d’una caverna di Alì Baba.
4 Ibid., pp. 56 ss.
5 È forse un errore di stampa: le lotte fratricide nell’antica Rus’ non avvennero nel IX
secolo, ma nel X secolo: fu infatti alla morte di Svjatoslav I (972) che scoppiò tra i tre figli
una sanguinosa guerra: Oleg fu ucciso da Jaropolk, che a sua volta fu ucciso da Vladimir
I, colui che nel 989 cristianizzò la Rus’. (N.d.T.)
6 Sigmund von Herberstein, Das alte Russland, W. Leitsch, ed., Zürich, Manesse, 1984, pp.
27-28 e 212.
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avventurò anche nell’etimologia per denigrare gli Slavi dell’Est: la parola
“russo” significava, secondo lui, staccato e isolato dagli altri popoli7. La
denominazione Moscoviti era da credersi derivata dal nome di uno dei figli di
Jafet, Magog, destinato a combattere il popolo eletto8. Stanziali delle steppe
a nord del Mar Nero, essi ne sarebbero stati cacciati a causa della loro
corruzione; sarebbero così giunti fino alle rive della Volga e della Moscova.
Con queste evocazioni bibliche, il lettore associava i Moscoviti a una peste.
Le guerre di Ivan il Terribile nel Baltico furono descritte con un vocabolario
attinto dal Libro 38 di Ezechiele; il loro «immenso esercito» ricopriva come
una «nuvola» la terra conquistata, predando, uccidendo senza riguardo le
popolazioni civilizzate. Petreius utilizzò anche la Genesi (18 e 19) per
caratterizzare gli Slavi dell’Est; con innumerevoli particolari, avvicinava i
Russi alle popolazioni di Sodoma e Gomorra «autodistruttrici» per la
depravazione dei loro costumi. Popolo senza storia attestata o popolo perso,
i Russi erano in tutti i casi esclusi dalla famiglia dei popoli europei9.
Nel 1634 Olearius limitò i suoi ragguagli storici ai cento anni precedenti;
secondo lui, l’indagine di Herberstein aveva un carattere definitivo e si
accontentò del «resoconto sommario del regno di Ivan IV, di cui le tirannie»
erano «così terribili che mai pagàno o Turco a[veva] fatto cose simili» 10. Le
sue opinioni riunirono quelle dei suoi predecessori; concentrandosi sulla
storia recente, egli si fece cronista per denunciare il sistema politico russo
che comportava svilimento e depravazione. Storia antica e storia
contemporanea furono assimilate e la Moscovia fu trasformata in
un’appendice imbastardita dal Cristianesimo. L’autore lasciò tuttavia un
barlume di speranza, lodando il carattere dolce e devoto di Michajl
Romanov. Preoccupato di provare le proprie dichiarazioni con riferimenti
seri, Olearius canzonò Giovio per aver elogiato Ivan IV: quest’errore
cronologico testimonia il suo utilizzo superficiale delle fonti storiche, perché
Giovio scrisse nel 1527 quando Ivan non era ancora nato. Nei lavori a
carattere storico del XVI e XVII secolo, la confusione tra lo zar terribile e
Vasilij III, attribuendo al secondo le atrocità del primo, era frequente; essa
serviva a generalizzare la crudeltà e la tirannia dei sovrani russi.
Questi quattro testi del XVI e XVII secolo rappresentavano le principali
opere di riferimento sulla Russia, ben oltre il regno di Pietro I e nella
maggioranza dei Paesi occidentali. Cosmografie, enciclopedie e opere
storiche (principale fonte di informazioni sul Paese, resoconti di viaggio a
parte) ripresero a volte confusamente i giudizi di Giovio, Herberstein,
Petreius o Olearius. Fra le riflessioni più significative, è la Description de
7 Peter Petreius de Erlesund, Historien und Bericht Von dem Grossfürstenthumb Muschkow
[…], Lipsiae, Officina Bavarica, sumptibus authoris, 1620, p. 133-134 «das von anderen
Ländern und Völckern abgesondert ist und zusammengestossen»; è interessante vedere
in questo contesto che Herberstein gli dà un significato contrario.
8 Ezechiele 38,4.
9 Petreius, op. cit., p. 669.
10 Olearius, Relation du voyage de Moscovie, Tartarie et de Perse, Clouzier, 1656, pp. 114
ss. (Originale tedesco del 1634).
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l’univers di Alain Manesson Mallet (1683): i Moscoviti, incolti e appena
alfabetizzati, erano un popolo senza memoria viva, senza storia e,
soprattutto, senza storiografia. Accusando un ritardo intellettuale, essi non
potevano rivaleggiare con le grandi nazioni europee11. In compenso, la
storia della Russia (o ciò che ne restava) era ridotta alle imprese militari
degli zar successivi, soprattutto a quelle di Ivan il Terribile, per denunciare il
pericolo russo, problema atemporale.
Le origini oscure dei Russi relativizzavano la loro appartenenza al mondo
cristiano. Questa fittizia esclusione in tempi di conflitti religiosi rassicurava:
la Moscovia diventata potenza militare non sarebbe intervenuta a favore di
uno o dell’altro. Situata a fianco del Turco o del Tataro, essa poteva in
compenso contribuire a riequilibrare il sud-est europeo. L’«ostracismo
religioso», ambiguo nella sua essenza, perché attestato tra le pagine più
buie dell’Antico Testamento, era ben assecondato da un solido senso
strategico al quale la Storia fungeva da sostegno, anzi di scuse.
In Francia, le cui relazioni con la Russia erano state costanti fino alla
morte di Luigi XIV, tali verdetti potevano oscillare verso il loro opposto. Nel
1717, Parigi accolse Pietro il Grande e si riconobbe sconcertata dai suoi
costumi12. Dopo la sua morte nel 1725, agiografi e burocrati, in Francia
come in Germania, si impadronirono della personalità di questo zar per
trasformare il suo Paese in modello dei Lumi13. Con questo nuovo Prometeo,
la storia e la storiografia della Russia ripartivano da zero. Fra gli esempi più
sorprendenti è il Dictionnaire philosophique (1764 ca.), dove Voltaire
proclamò sotto la voce “Russia”: «Vedere Pietro il Grande». Dunque, senza
quello zar la nazione non esisteva14! Non si trattava di un altro modo di
relegare gli inizi della grande nazione slava nei segreti della storia o almeno
di non affaticarsi con lunghe e difficili ricerche? Il miracolo russo o petrino
generò una serie di pubblicazioni in Francia, in Inghilterra e in Germania, e
numerose furono le traduzioni nell’una o nell’altra lingua. Autori ed editori
insistevano molto sul valore della testimonianza per far comprendere il
fenomeno petrino. Lo stupore del viaggiatore doveva trasmettersi a un
lettore impregnato di antichi stereotipi. D’ora in avanti la Storia fu
interrogata in nome di una realtà contemporanea 15. Nell’edizione francese
delle Mémories (1737) di Weber, si legge: «Coloro che […] sono i testimoni
oculari [dell’opera di Pietro] non possono impedirsi di essere sbalorditi, i
posteri saranno ben scusati se dubiteranno che un’opera così difficile sia
stata eseguita in vent’anni da un popolo così selvaggio e così scontroso
11 Alain Manesson Mallet, Description de l’univers, contenant les différents systèmes du
monde, les cartes générales et particulières de la géographie ancienne et moderne […],
Paris, Thierry, 1683, t. III.
12 Si vedano le testimonianze di Saint-Simon, Buvat o Duclos.
13 Fontenelle con il suo Éloge au défunt souverain ha fornito il modello.
14 Voltaire, Dictionnaire philosophique, Paris, Garnier, 1879, t. IV, p. 81.
15 Simone Blanc, Un disciple de Pierre le Grand dans la Russie du XVIIIe siècle, V. N.
Tatiščev (1686-1750), Lille, Service de reproduction des thèses, 1972, I, p. 544.
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come quello»16. In questo contesto, «selvaggio» significava escluso dalla
Civiltà, la cui essenza risiedeva nella memoria storica. Nella sua Histoire de
l’Empire de Russie sous Pierre le Grand, Voltaire tacciò di «inutile lavoro» o
di «strana impresa» il voler provare l’origine dei popoli ed egli si infischiò
della pretesa ascendenza dei Moscoviti a Jafet17. Lo Scita moderno, Pietro, lo
interessava più del filosofo scita Anacharsis. L’origine dei Russi non
rappresentava più un argomento di discussione. Il lungo sviluppo sugli errori
storici di Olearius riduceva tutta la storiografia precedente a una
«trascrizione di racconti»18. Voltaire si iscrisse deliberatamente in una nuova
corrente storiografica; egli mirava a «fissare l’attenzione degli uomini»
evocando «le rivoluzioni sorprendenti che avevano cambiato i costumi e le
leggi dei grandi Stati»19. Per situare il suo eroe nel giusto valore, gli zar
successivi, sia Ivan il Terribile che Boris Godunov o il primo Romanov,
scomparvero dalla cronologia che partiva dai Roxolani o dai Sarmati e
arrivava a Aleksej Michajlovič, padre del grande uomo.
La prima parte della Histoire de l’Empire de Russie apparve nel 1760, con
l’approvazione di Pietroburgo, e fu seguita dalla Histoire des Révolutions de
l’Empire de Russie di Lacombe (1760). Le traduzioni in tedesco di questi due
testi non tardarono. Secondo Lacombe, la storia di Pietro, posta nella
leggenda, si prestava alla leggenda: essa «passerebbe per una favola, se i
fatti più singolari non fossero di questo secolo e se l’eroe che ne forma il
principale interesse non fosse stato nostro contemporaneo»20. Per trovare
una logica nei «brandelli informi di storia», o nelle «memorie particolari e
mal digerite» sempre così oscure sulla preistoria russa, consigliava di far
ricorso al fantastico. Lacombe sottolineò la differenza tra Storia antica e
Storia nuova, l’una attinta nelle favole uscite dalla notte dei tempi, l’altra
messa al servizio di un (su un) miraggio vivente. Pur russofilo, l’autore
accusava il Paese di non avere né cronache, né annuali, né monumenti che
potessero testimoniare il passato, e si rassegnò a riprendere, a modo suo, le
dichiarazioni dei vecchi testimoni, garanzia più affidabile. La poesia epica
sostituiva la Storia, grazie all’intervento di un autore affrancato da ogni
costrizione politica, di cui le scelte, la retorica e lo stile rappresentavano una
logica e una verità interna al testo. Egli evocò velocemente la storia dei
Rjurikidi (al punto da confondere anche lui Vasilij III con Ivan IV) e dei primi
16 Anonimo [Friedrich Christian Weber], Mémoires, anecdotes d’un ministre étranger […], La
Haye, Van Duren, 1737, p. VIII.
17 Voltaire, Histoire de l’Empire de Russie sous Pierre le Grand, Oeuvres historiques, Paris,
Gallimard, La Pléiade, 1957, pp. 341 e 344. Questa diatriba era nella recente edizione
francese della Relation di Strahlenberg, di cui l’originale era stato pubblicato nel 1730 a
Stoccolma.
18 «Ceux qui répètent les anciennes fables, dans lesquelles l’origine de toute les nations est
enveloppée peuvent être accusés d’une faiblesse commune à tout les auteurs de
l’antiquité; ce n’est pas là mentir, ce n’est proprement que transcrire des contes». Ibid.,
p. 351.
19 Ibid., p. 345.
20 Jacques Lacombe, Histoire des Révolutions de l’Empire de Russie, Paris, J.-Th. Hérissant,
1760, p. III.
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Romanov, per dedicare l’essenziale del suo resoconto allo zar creatore di
una nuova nazione. I regni seguenti vennero appena illustrati, ma la figlia
del grand’uomo, Elisabetta, fu onorata di un passaggio molto eloquente: ella
apriva una nuova era della storia russa, quella della pace, della virtù, del
gusto. «Eroina dell’umanità», l’imperatrice fu celebrata come «benefattrice
degli ingegni e illustre erede della Potenza e del Genio di Pietro il Grande»21.
Tali agiografie, che garantiscono la perpetuità di un mito oltre la realtà
storica, causarono reazioni ostili, soprattutto in Francia, paese fondatore del
miraggio russo. Invece, le confutazioni di testi giudicati irriverenti
provenivano spesso da oltre il Reno. L’immaginario fu messo ancora una
volta al servizio di una causa diventata filosofica. Fra i primi testi
contestatori, bisogna contare le Lettere moscovite pubblicate nel 1736 a
Königsberg e poi a Parigi. L’autore anonimo nascondeva un diplomatico o un
militare al servizio di Luigi XV di cui la vera identità non fu mai rivelata 22.
L’opera, molto dispregiativa, suscitò l’ira di Kantemir, che allora era
all’ambasciata russa di Londra; egli rispose all’iniquo autore con una violenta
diatriba (anonima) intitolata Die sogenannten Moscowitische Brieffe, oder
die wider die löbliche Russische nation von einem aus der anderen Welt
zurückgekommenen Italiäner ausgesprengte abendtheuerliche Verläumdung
und Tausendlügen. Gli sviluppi sulle origini scite dei Russi attirarono la
particolare attenzione del poeta-diplomatico. Egli accusò il compilatore del
libello di aver deformato Erodoto e Giustiniano23; in seguito, per Locatelli, i
Russi discendevano non dagli Sciti ma dai loro schiavi cacciati dal Paese
dopo esser stati sorpresi in flagrante reato con le spose di quei fieri
guerrieri. I Russi erano, quindi, non soltanto di bassa estrazione, ma
traditori, vili e ribelli. Fedele alla tradizione, l’autore delle Lettere moscovite
avanzò che i Tatari fossero i soli discendenti diretti degli «Sciti famosi»: una
tribù che seppe «farsi onore» dalla sua prima origine per il comportamento
fiero e incorruttibile. E culminò nell’affermazione: «Se ci fossero dei
preadamiti, i Moscoviti ne sarebbero i discendenti», maniera di escludere i
Russi dalla famiglia dei popoli giudeo-cristiani24. Nella confutazione,
Kantemir si perse in inutili spiegazioni; anziché ritornare sulla preistoria
russa, preferì insistere sugli eventi politici più recenti. La Russia certamente
sembrava attardata ma, secondo lo scrittore, non toccava a una nazione così
giovane, piena di linfa, dare il cambio alla Grecia, a Roma, all’Italia, alla
Francia…25 Kantemir e il suo segretario si affrettarono a sottolineare
21 Ibid., p. 381.
22 Per questo, si veda l’articolo: F.D. Liechtenhan, «La progression de l’interdit: les récits de
voyage en Russie et leur critique à l’époque des tsars», in Revue suisse d’histoire, 1993.
[Le Lettere moscovite furono scritte da Francesco Locatelli Lanzi, come detto in seguito.
(N.d.T.)]
23 È usato il termine Geschichtsverdreher. Anonimo [Commentari e traduzione de Kantemir e
del suo segretario Gross] Die sogenannte Moscowitische Brieffe […], Frankfurt - Leipzig,
Montag, 1738, p. 303.
24 Anonimo [Francesco Locatelli], Lettres moscovites, Paris, Aux Dépens de la Compagnie,
1736, p. 142.
25 Tematica di un discorso di Pietro del 1714, che Kantemir aveva messo nel poema «V
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l’uguaglianza innegabile tra una Russia armoniosa grazie al suo sovrano
dispotico, e una Francia omogenea grazie al sistema assolutista. La bilancia
dell’Europa era così ristabilita: la Francia e la Russia rappresentavano, agli
antipodi del Vecchio Continente, l’eredità ma anche la modernità degli
Antichi26.
Le Lettere moscovite caddero rapidamente nell’oblio. Il Voyage en Sibérie
dell’abate Chappe d’Auteroche, invece, mise a lungo da parte le “classiche”
opere di riferimento sulla Russia in Germania e in Inghilterra e, certamente,
anche in Francia; la principale confutazione del testo, redatto da un autore
anonimo, fu la sua migliore pubblicità, soprattutto quando si rivelò l’identità
del committente: Caterina II. L’abate Chappe consegnava una vasta
prospettiva sulla storia russa dall’861 al 1767 per denunciare un dispotismo
«addolcito da usanze particolari»27. L’ambiguità dell’opinione mostra
l’essenza del messaggio: l’abate vide due Russie in un’unica nazione. La
prima, nascosta in tradizioni ancestrali, rurali e provinciali, rappresentava
una società immutabile, senza storia, se non individuale e privata. L’altra,
coinvolgendo favoriti, cortigiani e abitanti della capitale, era il risultato delle
rivoluzioni successive che fecero progredire l’Impero. Organizzata, forgiata
dalla mano di ferro di Pietro, la Russia aveva una storia tagliata alle sue
radici, spezzettata, inorganica: settecento anni furono così riassunti in
mezza pagina. Il resoconto degli eventi da Boris Godunov serviva a
denunciare un sistema politico sprovvisto di leggi fondamentali e del
principio stesso di libertà. Positivista, analitico, Chappe insistette sul regno
di Pietro per “demolire” il mito dello zar creatore di una nuova nazione:
questo sovrano aveva inventato una legislazione meno pragmatica che
teorica, una specie di geometria geniale ma votata all’insuccesso. L’abate
denunciò violentemente l’inerzia degli eredi di Pietro, incapaci di rinnovare il
sistema autocratico, necessario senza dubbio all’epoca del loro illustre
antenato, adattandolo alla realtà del Paese. E l’evoluzione della Russia
rappresentava una successione di tirannie trasformazionali, poiché favorite
da una scissione sociale, uno sdoppiamento di una Storia i cui andamenti
erano asincroni28. C’era di che pungere Caterina sul vivo! Ma la sua risposta
pochvalu nauk».
26 «Die russische Nation weiss gar wohl, dass ehe und bevor das russische Reich zu der
itzigen Monarchischen verfassung gediehen, selbigen grossen Theils aus republican
bestanden. Auch ist derselben nicht verborgen, dass es nicht möglich, eine so weitlaüfige
und aus so vielen Völckern zusammengewachsene Monarchie, als die Russische, ist, ohne
ihren praesenten in Ruh nach Art einer Republique zu regieren. Sie siehet hier nechst,
dass der Frantzösische Fuss, auf welchen Petrus der Grosse, nach des Brief-Stellers
Vorgeben, den russischen Staat gesetz haben soll, der unumschränkte gewalt, welche
Frankreich über seine Unterthanen ausübet, weder geschadet, noch Unruhe nach sich
gezogen, und ist dahero umso mehr versichert, dass die von allerhöchstgedachten
grossen Monarchen in Russland eingeführete Regierungsform, weder der Souveränität
nachtheilig, noch die Nation auf die gedancken der Republicaner zu bringen, zureichlich
seyn können.» Die sogenannte Moscowitische Brieffe, op. cit., pp. 232-233.
27 Jean Chappe d’Auteroche, Voyage en Sibérie, Amsterdam, Rey, 1769, p. 341.
28 Ibid., p. 219.
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lascia pensierosi:
«Non si è mai fatta in Russia della rivoluzione, se non quando la nazione sentiva che stava
per cadere in uno stato di debolezza. Noi abbiamo avuto del regni duri, noi abbiamo sempre
sofferto con impazienza i regni deboli. Il nostro governo, con la sua costituzione, chiede
vigore; se questo non c’è, il malcontento diventa universale e, in seguito a ciò, se le cose
peggiorano, le rivoluzioni si susseguono»29.
Questo passaggio spesso interpretato come giustificazione dell’autocrazia
si iscrive in una corrente storiografica iniziata da Tatiščev; il taglio della
cronologia metteva l’accento sui tempi forti della storia russa, quelli delle
vittorie e delle conquiste. La prosperità del paese provava il «trionfo del
sistema monarchico». Ogni indebolimento di questo sistema causato
dall’emergere di forme di governo miste (aristocrazia, democrazia,
occupazione o presenza straniera, come al Tempo dei torbidi, o la
bironovščina30) provocava un impoverimento delle popolazioni; ciò portò a
un disordine generale derivato dall’abbandono di qualunque gerarchia e
diede luogo alle minacce esterne, mongole, polacche o lituane…
In quello stesso anno 1760, Claude Carloman de Rulhière si dedicò alla
nozione di rivoluzione in Russia. Comparò la sua storia a quella del declino
di Roma: Pietro fu trasformato in Nerone o in Domiziano, anche se costoro,
«esecrazione del genere umano», gli sembravano più consequenziali nei
loro «sforzi distruttivi». Il grande zar e i suoi successori avevano cercato di
organizzare una nazione peggiorandone il dispotismo. Roma, il mondo
civilizzato, nei suoi momenti peggiori era più lineare di questa Russia
contraddittoria. Nuovo Tacito o Cicerone, Rulhière rivelò tutte le cosiddette
verità sulla nazione russa e non esitò a coinvolgervi la storia più recente:
«Io non mi sono affatto nascosto gli inconvenienti di scrivere la storia dei
miei contemporanei; ma se una tale considerazione ha ispirato qualche
riguardo sull’uso che farò di questa storia, scrivendola, l’ho del tutto
dimenticato»31. La Storia recente e la testimonianza furono sfruttate dai
panegiristi dei Romanov, ed essi se ne servirono in combinazione con la
preistoria per i loro detrattori. Clio fu messa al servizio della storiografia e
questa fu trasformata in pittura etnografica32.
In quegli anni 1750-1790, memorie, raccolte di lettere, giornali privati,
testimonianze recenti sembravano usufruire di un interesse crescente.
Tuttavia, gli autori e gli editori, viste le censure, conoscevano la posta
29 Anonimo [Caterina II], Antidote, Amsterdam, chez Marc-Michel Rey, 1770, pp. 169-170.
30 Il Periodo dei Torbidi (Smutnoe Vremja) si colloca storicamente dalla morte di Fëdor I
Ivanovič, nel 1598, fino al 1613 con l’elezione di Michajl I Romanov e fu caratterizzato da
rivolte interne e invasioni straniere. Bironovščina significa “era di Biron” e si riferisce al
favorito della zarina Anna, il baltico tedesco Ernst Johann von Biron (1690-1772), duca di
Curlandia e reggente dopo la morte di Anna (1740). Inflessibile e spietato, instaurò un
regime di terrore poliziesco, facendo uccidere o deportare in Siberia oltre ventimila
persone. (N.d.T.)
31 Claude Carloman de Rulhière, Anecdotes sur la révolution en Russie en l’année 1762,
Chez les marchands qui vendent des nouveautés, 1797, p. 22 [testo del 1762].
32 Ibid., p. 10.
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diplomatica e politica di queste pubblicazioni a carattere autobiografico; così
esse si pubblicarono spesso al di fuori delle frontiere nazionali e furono
rivestite di un anonimato precauzionale33. Il destino del manoscritto del
generale Manstein dimostra tutta la difficoltà di pubblicare tali testi in una
Germania timorata dalla presenza a est di una grande potenza militare,
capace di intervenire a fianco del nemico, come durante la guerra di
Successione dell’Austria. Manstein era stato dal 1727 al 1744 al servizio
della Russia e, al suo ritorno, chiese al Gabinetto di Federico II di pubblicare
le proprie memorie redatte in francese, quindi destinate a un’ampia
distribuzione. E, cosciente di alcuni passaggi “scioccanti”, questo soldato
scrupoloso suggerì una pubblicazione anonima34. La censura federicana
rivela l’atteggiamento delle istanze ufficiali verso la Russia e spiega alcune
costrizioni della storiografia germanica. L’esperto designato fu Warendorff,
segretario della legazione prussiana a Pietroburgo per oltre vent’anni. Nella
sua analisi, datata 31 marzo 1753 e redatta due anni dopo la rottura delle
relazioni diplomatiche tra i due Paesi, egli dette il seguente giudizio: pur
esatte ed interessanti, le Mémoires del generale contenevano una «quantità
di Antidoti» troppo recenti, segreti o scandalosi per essere affidati alla
stampa e l’edizione non si può fare senza tagliare «gli aneddoti più
sorprendenti». E proseguiva: «Oggi si è diventati più permalosi e delicati su
questo tema; sotto tutti i punti di vista, far stampare l’opera in questione,
così com’è, sarebbe fornire ai nemici e agli invidiosi del re nuove armi, per
fare contro Sua Maestà mille nere insinuazioni e, soprattutto, alienare in
essa gli spiriti di una nazione la cui amicizia non sembra essere
indifferente»35. Le sue principali obiezioni riguardavano il ritratto
dell’imperatrice Elisabetta, indolente e dedita ai suoi piaceri; le persone che
si trovavano «al timone degli affari» o «dipendenti di posti distinti», fra cui
Aleksej Bestužev-Rjumin, nemico intimo di Federico II, non sfuggirono a
questa amara critica. Il censore giudicò imprudente accusare questo
personaggio di essere «completamente agli interessi della casa d’Austria e
nemico giurato della Francia». Occorreva anche salvare i morti, gli esiliati o
caduti in disgrazia, le corti straniere e, soprattutto, modificare il ritratto
della nazione. Il popolo, fannullone e sporco non si lasciava governare se
non con «estremo rigore»; la magnificenza dei palazzi era destinata a
stupire gli ospiti tal quali l’esercito e la marina, la cui notorietà era
esagerata36. Perciò, si chiese al generale di rinviare la pubblicazione di alcuni
anni per salvare le «persone di peso» e le corti d’Europa «che non [erano]
33 Voltaire pubblicò l’opera Histoire de la Russie anonimamente a Ginevra, le Lettres
moscovites uscirono a Königsberg. Chappe firmò il suo testo, ma, indotto dai critici,
preferì pubblicare la seconda edizione ad Amsterdam. Il testo di Rulhière è postumo. Solo
Masson osò, dopo la rivoluzione, allorquando le relazioni franco-russe erano scarse, far
uscire il suo pamphlet a Parigi.
34 GStA [Geheimes Staatsarchiv preussischer Kuturbesitz, Dahlem], Rep XI Russland 62 E,
fol. 1.
35 GStA, Rep XI Russland 62 E, fol. 9.
36 Ibid., fol. 10.
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state troppo risparmiate». La testimonianza, diventata forma di storiografia,
certamente recente, non doveva dare occasione ai grandi di questo mondo
di lagnarsi o di «marcare il loro risentimento» 37. L’opera uscì solamente nel
1770, a Londra. Grazie al luogo d’edizione distante, in un periodo in cui
Prussiani, Austriaci e Russi si dividevano la Polonia, il testo non ingombrava
più la grande politica.
L’entusiasmo per la storia recente suscitò persino la critica di August
Ludwig von Schlözer, colui che redasse nel 1760 i Gedanken über die art die
russische Historie zu traktieren. Egli stabilì un raffronto tra la storiografia
francese, tedesca, inglese e russa; nei primi tre casi, le fonti erano state da
tempo classificate secondo un sistema che permetteva di tener conto degli
eventi più vicini o di rivelazioni politiche. La storiografia praticata in Russia
si basava sulle cronache, documenti la cui affidabilità restava discutibile.
Schlözer suggerì di creare una griglia dove figuravano gli eventi e i
cambiamenti in modo «pragmatico, dettagliato e piacevole»38. L’autore
difese anche una teoria evolutiva della storia, dove si alternavano epoche
buie e luminose, periodi d’apertura e di chiusura, che testimoniavano la
marcia dell’umanità verso un avvenire radioso. Il passato avrebbe così
formato con il presente un insieme armonioso. Questa storiografia non si
voleva élitaria o privilegiata, ma accessibile a tutti, nell’interesse della
Russia e dell’Europa. Voltaire e Lacombe non uscirono indenni dalla
ristrutturazione di questa scienza: Schlözer consigliò di leggerli con infinite
precauzioni, in attesa di veder apparire lavori seri d’erudizione! Il pensatore
tedesco, le cui pubblicazioni di fonti erano innovatrici, ignorava allora i lavori
ancora inediti di Tatiščev. Egli fece cominciare la storia russa con Rjurik,
mentre il suo omologo russo tentò spiegazioni sul passato prevarjago dei
Russi, passaggi che tuttavia si congiungevano sulla questione della
appartenenza all’Europa39.
I consigli di Schlözer furono rapidamente trascurati a favore di
informazioni più forti, che solo la testimonianza poteva fornire;
nell’importantissimo Magazin für die neuere Historie di Büsching, pubblicato
a partire dal 1767, è interessante notare che la storia moderna (in questo
caso quella dei Romanov) fu ricostruita a scapito delle fonti russe, a partire
dalle relazioni di viaggio quali quella di Olearius, di Mayerberg, di Weber o di
Gordon ecc. Il sistema delle opere di riferimento era così cambiato40.
In Francia, due decenni più tardi, Pierre Charles Levesque seguì i precetti
37 Podewils au nom du Roi à Manstein, 6 avril 1753, GStA, Rep XI Russland 62 E, fol. 13.
38 A. L. von Schlözer, «Gedanken über die Art die russische Historie zu traktieren», in
August Ludwig von Schlözer in Russland, éd. E. Winter, Berlin, Akademie Verlag, 1961,
pp. 51 ss.
39 Questa vecchia disputa, al di là delle frontiere dell’Europa occidentale, aveva già opposto
Boltin a Ÿčerbatov o Lomonosov a Miller. Vedere Simone Blanc, op. cit., I, p. 536.
L’Istorija rossijskaja s samyh drevnejših vremen (Storia della Russia dopo i tempi più
antichi) di V. N. Tatiščev (San Pietroburgo, 1768-1848) si ferma all’inizio del regno di
Michajl Romanov.
40 Büsching afferma tuttavia di aver lavorato per quattro anni a Pietroburgo. Cfr. Büschings
Magazin für die neuere Historie, 1, 1767, pp. 3-4.
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di Schlözer e fece il punto. Con il sostegno di un’importante bibliografia,
russa e occidentale, tentò di rinnovare il genere; vi appaiono cronache
medioevali, resoconti di viaggio, memorie, opere storiche o geografiche
redatte in francese o in russo. Nella prefazione alla sua Histoire de Russie,
datata 1782, insorse contro la storiografia tradizionale: «Alcune verità e un
gran numero di menzogne, tratte da viaggiatori poco informati o prevenuti,
ecco tutto quello (che gli Storici) dovevano raccogliere […] e noi ci illudiamo
di conoscere quella degli antichi popoli dai resoconti di Greci bugiardi e di
Romani creduli»41. La testimonianza sembrava definitivamente bandita dalla
ricerca scientifica sul passato dell’Europa, e fungeva al massimo da
esempio, discutibile per la sua soggettività. Levesque rendeva
espressamente omaggio alla ricerca russa recente e agli eruditi tedeschi.
Prendeva le distanze rispetto alla storiografia corrente in Francia,
interessata, appassionata, favorevole a porvi fede. A sua volta, affermando
di aver lavorato negli archivi di Pietroburgo o di Mosca e di avere superato
le difficoltà linguistiche, l’autore si rivela nel suo modo di trattare la
preistoria: discendenti di Jafet, venuti dall’Est «come tutti gli altri popoli», i
Russi si erano assimilati agli Sciti prima che agli Slavi. Essi risultavano
un’etnia particolare che sarebbe stata conosciuta da Greci e Romani sotto
nomi diversi. La tradizione era così rispettata; con un sottile maneggio
stilistico evocante fonti non precisate, Levesque riusciva a situare
l’ascendenza degli Russi fra quella delle altre nazioni dell’Europa42.
Leclerc, nella sua Histoire de la Russie ancienne, prese le distanze dagli
studi sulle origini delle nazioni; affermò che gli importava poco sapere da
dove venivano i popoli se erano organizzati e virtuosi43. I Russi tuttavia non
uscivano indenni da tale approccio; le loro cronache, «nate nella oziosità dei
chiostri […] dove la tetraggine e l’amore del meraviglioso perpetuarono
l’ignoranza e nutrirono la superstizione», non potevano servire da fonti.
«Torcia alla mano», l’autore preferì cominciare le sue ricerche a partire da
Rjurik per mostrare «il passo metodico della Ragione» e denunciare gli
«errori omologati» di un governo allo stesso tempo dispotico e barbaro44. A
sua volta, Chantreau derise il rispetto eccessivo dei Tedeschi per le
cronache, ma egli si attaccò alle riflessioni di Levesque sul regno di uno dei
più grandi sovrani russi, San Vladimir, affermando: «ogni uomo ragionevole
deve guardare questo presunto beatificato come un brigante incoronato, al
quale si è ceduta l’apoteosi, come la si accordò a Nerone o a Caligola, a
Clodoveo o a Carlo Magno»45. La storia della Russia servì a regolare un
41 Pierre-Charles Levesque, Histoire de Russie, tirée des chroniques originales, Paris, Buré
l’aîné, 1812, p. 36. [Sull’originale, sia nel testo che in nota, è “Paul-Charles Levesque, ma
è un refuso. (N.d.T.)]
42 Ibid., «De l’Antiquité des Slaves», il «produit les titres» qui leur «impriment ancienneté»
et «titres de noblesse», pp. 1-6.
43 Nicolas-Gabriel Leclerc, Histoire physique, morale, civile et politique de la Russie
ancienne, Paris, Froullé, 1783-1784, I, p. III.
44 Ibid., p. 58.
45 Pierre-Nicolas Chantreau, Voyage philosophique, politique et littéraire fait en Russie
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conflitto occidentale, quello di due correnti storiografiche, l’una profana e
innamorata del Progresso, l’altra più tradizionale, rispettosa delle fonti,
religiose soprattutto. Il repubblicano Fornerod, poco comprensivo degli
argomenti di Paolo I, si infischiò a sua volta delle «etimologie contorte»
uscite da «spiriti tormentati» preoccupati di trovare ai Russi un’Antichità
degna di questo nome46. Attaccò Voltaire e i suoi plagiari, fra cui Fortia de
Piles. Nuova disputa franco-francese, a suo modo innovatrice. Prima di
Pietro, il suo popolo non era né stupido, né barbaro, come provavano
Jaroslav, Ivan IV, Michajl o Aleksej: costoro tentarono di dare dei codici al
loro Paese che «contengono molte leggi eccellenti». Secondo questa
interpretazione, i grandi imperatori dei Lumi erano gli affossatori di tali
principi giuridici di base, soprattutto a causa della loro ossessione di
«passare per legislatori». Pietro, Elisabetta e Caterina si accontentarono di
regnare con ukase47 contraddittori, appesantendo con la confusione la
condizione dei loro soggetti. Alla fine del XVIII secolo, si era arrivati
all’opposto della Ragione e dei Lumi: la Russia contemporanea era «un
paese della cuccagna per gli avvocati e per i giudici», Paese immaginario
dunque, inventato da storici di ogni parte48, ammaliati dalla pubblicità
zarista o fedeli a una tradizione russofoba basata su criteri religiosi.
Il dipinto in bianco e nero della storia della Russia dalle sue origini non si
attenuò dopo il 1789. In quel contesto, l’uso della nozione di rivoluzione, nel
senso di “cambiamento” ma anche di “fatale sconvolgimento”, diventò
rivelatrice di una scrittura storiografica russofila o russofoba, significativa
dei periodi d’apertura o di chiusura rispetto al grande Paese slavo. L’utilizzo
del resoconto di viaggio nel discorso storiografico, anzi quello del discorso
storiografico nel resoconto di viaggio, ci sembra differentemente rivelatore
di questi atteggiamenti estremi che conducono fino a Custine.
In questo contesto, le Mémoires di Masson sono particolarmente
evocatrici. Scrivendo alla svolta del secolo, quest’autore riprese gli
avvenimenti recenti: la ginecocrazia perpetuata in Russia con cinque regni
di donne gli sembra «il culmine dello svilimento o della stravaganza
umana»49. La descrizione fornita dal francese era completamente conforme
alle testimonianze più buie sulla Moscovia del XVI-XVII secolo, ciò nella
continuità di un vocabolario attinto presso gli autori summenzionati:
ambiguità sulle origini, spirale della schiavitù di tutta la società, contadini e
nobili sottoposti a un tiranno divinizzato, assenza o arbitrio del sistema
giuridico, debolezza del clero, criminalità, ubriachezza, disordine. L’opera di
pendant les années 1788 et 1789 […], Paris, Briand, 1794, I, p. 302.
46 Anonimo [Fornerod], Coup d’oeil sur l’état actuel de la Russie, envisagée sous ses
rapports physique, moral, économique, politique et militaire, ou les Russes tels qu’ils
sont, par un ami de la vérité, Lausanne, agosto 1799, p. 29. L’opera reca un secondo
titolo: L’Antidote ou les Russes tels qu’ils sont et non tels qu’on les croit, par un ami de la
vérité et de la liberté.
47 Ukaz o ukase significa, in slavo, decreto, editto. (N.d.T.)
48 Ibid., p. 24.
49 Charles Masson, Mémoires secrets sur la Russie, Paris, C. Pougens, 1800, II, p. 114.
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Masson resta banale, caricata di stereotipi e di pregiudizi; la risposta del suo
contestatore tedesco invece rinnovò a suo modo l’uso della storia e della
storiografia circa il giudizio sulla Russia. Karl August von Kotzebue si servì
soprattutto degli antichi pregiudizi degli occidentali per dimostrare che
Masson descriveva una Moscovia ancestrale, passata, e non la Russia nella
sua realtà contemporanea. L’autore baltico accusò il repubblicano francese
di avere confuso il popolo e la società e di avere attaccato «con eguale
audacia, le virtù dei sovrani, e l’onore della nazione intera»50. Kotzebue
proseguiva con un’abile scappatoia: l’organizzazione dello Stato russo,
riconobbe, non era perfetta. Non poteva negare alcune palesi ingiustizie e
un’oppressione onnipresente, ma, secondo il critico, Masson non avrebbe
visto le realtà e si sarebbe limitato a denunciare alcuni luoghi comuni della
letteratura sulla Russia, cioè dei fatti appartenenti alla storia antica. Gli
argomenti dispregiativi contenuti nelle opere trattate a fondo ma rigorose
sulla Russia servirono da prova contro le critiche post-rivoluzionarie: si
trattava di plagio. Così, non era più questione di salvaguardare il mito di
Pietro o di Caterina, ma di denunciare la confusione cronologica tra
Moscovia e Russia. La storia e la sua successione di “rivoluzioni” servirono
da argomentazione per giustificare la direzione particolare della nazione.
Esclusa dal contesto greco-romano fino a Levesque, resa marginale
nell’universo giudeo-cristiano, instabile in sopraggiunta, la Russia non
faceva logicamente parte del Grand Tour educativo che conferiva a ogni
nazione occidentale un ruolo specifico nella formazione di un giovane
viaggiatore51. Essa non era né la terra di un rinnovamento spirituale, né una
terra formativa; non vi si andava alla ricerca del passato, ma alla scoperta
di una diversità storica, allo stesso tempo vicina e lontana. Per far
comprendere il funzionamento del Vecchio Continente e per giustificare la
loro posizione soggettiva, i redattori delle relazioni di viaggio si sentirono
costretti a inserire degli sviluppi storici nel loro racconto. Tenuto conto della
mancanza di fonti sulle origini della Russia, le loro testimonianze furono a
loro volta utilizzate come documenti di lavoro da generazioni di “specialisti”
che si fissavano a loro insaputa in un sistema di luoghi comuni. I
viaggiatori, fino alla fine del XVII secolo, erano sprovvisti di “sguardo
storico”, non si interessavano di interpretare i documenti o di cercare fonti.
Si evocava una storia aleatoria dell’umanità, impressa di riferimenti
leggendari o biblici per rendere marginali i Russi; nel migliore dei casi si
produceva un’enumerazione più o meno esplicita dei regni dei granduchi e
degli zar successivi. Nel XVIII secolo, i trasferimenti tra viaggio e
testimonianza, quindi tra storia e passato recente, perdurarono per creare
50 Carl August von Kotzebue, L’Année la plus remarquable de ma vie, Paris, Buisson, 1802,
p. 3.
51 La locuzione Grand Tour apparve per la prima volta nel 1670 all’interno del Voyage of
Italy, or a complete Journey through Italy dell’inglese Richard Lassels e nel tempo ha
indicato un lungo viaggio (da pochi mesi a otto anni) in Europa che i giovani aristocratici
britannici compivano per perfezionare l’educazione e l’istruzione, per le quali ogni nazione
visitata (Spagna, Francia, Olanda, Germania, Italia) aveva un ruolo specifico. (N.d.T.)
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modelli e miraggi dei Lumi. La personalità di Pietro I diede luogo a un
rinnovamento della storiografia, che tagliò la Russia delle sue radici
moscovite, per accrescere l’opera del grand’uomo. Due Russie storiche
funzionavano, così, fianco a fianco; esse non erano significative delle realtà
del paese ma delle dispute di due scuole allo stesso tempo storiche e
filosofiche. Su questo sfondo, una nuova corrente nacque in Germania sotto
istigazione di Schlözer; costui raccomandò l’abolizione dei meccanismi
educativi della percezione, per fare posto a un metodo che includeva tutti i
settori della Storia, basato sulla ricerca, la classificazione e l’esplorazione di
fonti inedite52. Gli obiettivi del viaggio ne furono trasformati, perché la
Russia poteva alfine entrare nel campo dell’esperienza spazio-temporale
destinata a conoscere l’indirizzo dell’umanità caro a Montesquieu o Herder.
Tuttavia la politica recuperò la scienza. Dopo il 1789, mentre la lezione di
Schlözer sembrava prendere radice sulle due rive del Reno, partire per la
Russia diventava un atto di fede. Per un Francese, viaggiarvi significava
esiliarsi o cercare un appoggio politico contro il pensiero rivoluzionario,
repubblicano o costituzionale. Basato su vecchie tradizioni russofobe
risalenti al XVI secolo, l’inserimento della storiografia nel resoconto di
viaggio seguiva obiettivi ideologici per oscurare la grande nazione slava.
Dopo la caduta di Napoleone, storia antica e storia recente furono illustrate
nei loro periodi più bui; Ancelot, J.B. May o Custine utilizzarono le opere
situate nella linea di Schlözer per sceglierne le pagine che si armonizzavano
meglio con la loro intenzione accusatoria. Il plagio e lo stereotipo furono
nuovamente messi al servizio di una scrittura diventata ideologica.
Non senza ironia, Custine si riferì allo stesso tempo al passato storico e al
passato storiografico: «La Russia non ha affatto passato, dicevano i cultori
dell’antichità. È vero, ma il futuro e lo spazio vi fungono da cibo per le
immaginazioni più ardenti. Il filosofo è da commiserare in Russia, il poeta
può e deve provare gusto»53. Ne La Russie en 1839, il non detto diventa
attacco; in attesa della riparazione della sua vettura (il dettaglio è
significativo) Custine «scorre la Histoire de Russie de Levesque» e dice di
copiare un passaggio per il suo libro «senza cambiare una parola». La
citazione riguarda la creazione del santo sinodo da parte di Pietro il Grande,
evento inammissibile per questo fervente cattolico e lo presenta senza alcun
commento54. Il processo è più aspro su Karamzin di cui citò un passaggio sul
regno di Ivan IV: «Una prudenza eccessiva e che va fino alla parzialità, tale
è lo sbaglio di quest’autore; in Russia, il patriottismo è sempre macchiato di
52 Hans Erich Bödeker, «Reisebechreibungen im historischen Diskurs der Aufklärung», in id.,
ed., Aufklärung und Geschichte, Göttingen, Vandenhoeck und Rurpecht, 1986, pp. 276298.
53 A. de Custine, La Russie en 1839, Paris, Amyot, 1843, II, p. 89.
54 Ibid., III, p. 115. [Il Santo Sinodo, istituito da Pietro nel 1721, sostituiva il patriarcato di
tipo bizantino, come massima autorità dottrinale e amministrativa della Chiesa cristiana
ortodossa di Russia. Esso operava in accordo con lo zar, ma senza la sua presenza diretta.
(N.d.T.)]
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compiacimento. Ogni scrittore russo è cortigiano: Karamzin lo era»55. Deluso
dai lavori storici disponibili, Custine si ripiegò sui resoconti di viaggio citati o
plagiati secondo il grado della sua adesione alle tesi degli autori. D’altra
parte, questo sistema di riferimento esisteva di per sé, con le sue tradizioni
e filiazioni, una catena di cui questo autore evitò di dare gli anelli
fondamentali, perché rifiutava di riconoscere il suo inserimento in una lunga
genealogia di testi ostili al vasto Paese slavo. «I Russi non hanno nulla da
insegnarci, disse; sia. Ma hanno molto da farci dimenticare», avanzò; di tali
“premonizioni”, e La Russie en 1839 ne conta molte, furono a loro volta
sfruttate per caratterizzare un passato sovietico e un presente postsovietico, senza l’analisi precisa di un testo che è innanzitutto una geniale
compilazione, nella quale l’autore, fedele al genere che amalgama viaggio e
storia, lascia poco posto alla realtà russa. In una lettera a Victor Hugo,
Custine ammise di avere redatto importanti passaggi prima del suo ritorno
dalla Russia56; siamo in presenza di un assemblaggio, che associa
riferimenti (riconosciuti o insinuati) e testimonianze, al prezzo di trascurare
il genere autobiografico a favore del saggio filosofico o politico. Il marchese,
d’altra parte, ammise non senza amarezza: «una storia dettagliata e
completamente veritiera di questo Paese sarebbe forse il libro più istruttivo
che si potesse offrire alla meditazione degli uomini; ma è impossibile da
fare»57.
55 Ibid., III, p. 171.
56 Sul cammino di ritorno, in Germania, egli scrisse: «J’ai écrit mon voyage, mais je ne le
publierai pas [Ho scritto il mio viaggio, ma non lo pubblicherò].» Visti l’ampiezza del testo
e le difficoltà del viaggio, ciò non poteva che essere accompagnato da un importante
lavoro preliminare. Lettre à Victor Hugo del 19 ottobre 1839, coll. part.
57 A. de Custine, op. cit., III, p. 222. Il titolo dell’opera, La Russia nel 1839, annuncia bene
un programma, poiché la data indica un limite che non può dar luogo a un’interpretazione
generale sulla vita e la storia del popolo russo.
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