Rapporto sulla Broncopneumopatia
Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
A cura di
Mario De Palma e Leonardo Fabbri
FEDERAZIONE ITALIANA
CONTRO LE MALATTIE POLMONARI
SOCIALI E LA TUBERCOLOSI
Indice
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Indice
Indice Autori
pag.
4
Presentazione
pag.
6
Definizione, classificazione ed eziopatogenesi
pag.
10
Epidemiologia e costi socio-economici
pag.
20
BPCO: dimensione sociale
pag.
30
Anatomia-patologica
pag.
44
Quadri clinici e stadiazione
pag.
54
pag.
60
secondaria alla BPCO
pag.
70
Ruolo delle infezioni nelle riacutizzazioni della BPCO
pag.
80
Disturbi cardio-respiratori nel sonno nella BPCO
pag.
90
Terapia e prevenzione
pag.
100
Programma educazionale nella BPCO
pag.
116
Insufficienza respiratoria cronica e sua terapia
pag.
126
La riabilitazione respiratoria nel trattamento della BPCO
pag.
136
La BPCO nell’anziano
pag.
144
Il medico di Medicina generale nella gestione della BPCO
pag.
152
pag.
158
1
2
3
4
5
6
Fisiopatologia della limitazione di flusso nella BPCO.
Diagnosi differenziale
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
Cuore polmonare cronico ed ipertensione polmonare
Qualità di vita. Misurazione dello stato di salute
respiratoria e comorbidità
3
Indice Autori
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Indice Autori
Nicolino Ambrosino
Sandra Baldacci
Simonetta Baraldo
Bianca Beghè
Vincenzo Bellia
Stefania Bertini
Germano Bettoncelli
Caterina Brindicci
Mauro Carone
Laura Carrozzi
Cristina Cinti
Lorenzo Corbetta
Antonio Corrado
Mario De Palma
Luisa M. Esposito
Leonardo M. Fabbri
Mariadelaide Franchi
Giuseppe Insalaco
Fabrizio Luppi
Sara Maio
Gabriella Matteelli
Anna Maria Moretti
Oreste Marrone
Margherita Neri
Marco Piattella
Francesco Pistelli
Roberta Poggi
Alfredo Potena
Andrea Rossi
Marina Saetta
Antonio Scognamiglio
Massimiliano Serradori
Antonio Spanevello
Graziella Turato
Giovanni Viegi
Renzo Zuin
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Presentazione
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Presentazione
Fra le patologie croniche respiratorie, la broncopneumopatia cronica ostruttiva
(BPCO) rappresenta in Italia, come negli altri paesi industrializzati, una delle più
frequenti cause di malattia, di invalidità e morte. Condizionata dal fumo di tabacco
e dall’inquinamento ambientale e professionale, secondo l’Organizzazione Mondiale
della Sanità (OMS), è destinata ad aumentare nei prossimi vent’anni, risultando fra
le prime cause di morte e malattia se non saranno prese efficaci misure preventive,
diagnostiche e terapeutiche, a carattere individuale e sociale.
A causa della BPCO e delle sue riacutizzazioni, ogni anno, è sempre più elevato il
numero di soggetti adulti, vecchi ed anche giovani che debbono abbandonare il
lavoro e le loro abitudini per periodi prolungati; altrettanto elevato è il numero
annuale di ricoveri, giornate di ospedalizzazione e visite ambulatoriali e domiciliari,
legato alla malattia ed alle sue complicazioni.
Purtroppo, sebbene la diffusione ed il peso socio-sanitario della BPCO siano noti
da anni, sebbene siano numerosi, in campo internazionale e nazionale,
i tentativi di sensibilizzare le Sanità pubbliche, sebbene siano incisivi gli interventi
per migliorare le conoscenze dei medici, per rendere più efficaci le misure
preventive, per migliorare il controllo della malattia e la qualità di vita dei soggetti
malati, la BPCO è in costante aumento per numero di malati e per gravità, è tuttora
poco conosciuta, sottodiagnosticata e soprattutto diagnosticata e curata in ritardo
ed in maniera insufficiente.
Per questo complesso di ragioni, dal 2001, un gruppo di lavoro, costituito da
esperti scelti dall’OMS e dall’Istituto Statunitense per le Malattie Polmonari,
Cardiache e del Sangue (NHLBI), ha lanciato il Progetto Mondiale per la Diagnosi, il
Trattamento e la Prevenzione della broncopneumopatia cronica ostruttiva (Global
Iniziative for Chronic Obstructive Lung Disease-GOLD-COPD) ed ha realizzato e
diffuso delle Linee Guida per la Diagnosi ed il Trattamento della BPCO, con
aggiornamenti annuali. In Italia, in successione, le Linee Guida GOLD sono state
discusse ed adattate alla realtà nazionale, per la redazione di Linee Guida Italiane
per la BPCO, disponibili, con tutto il materiale prodotto, nel sito www.goldcopd.it.
Il documento, periodicamente aggiornato, è stato pubblicato e diffuso, in ambito
specialistico e della Medicina generale, per affrontare, con efficacia sempre
maggiore, la BPCO nel nostro paese. Le azioni finalizzate a rimuovere le situazioni
problematiche che, fino ad oggi, hanno ostacolato una buona conoscenza ed un
controllo ottimale della malattia, si sono moltiplicate sia nel settore scientifico sia
7
nel settore sociale e formativo-educazionale. Le Società Scientifiche nazionali, la
Fondazione Pneumologia UIP e l’Associazione pazienti BPCO sollecitano interventi
politico-sanitari per la riduzione ed il contenimento dei danni da fumo di tabacco e da
inquinamento ambientale e parimenti provvedimenti legislativi a favore dei pazienti allo
scopo di migliorare la qualità di vita dei malati e ridurre l’impatto socio-economico
della malattia.
Anche la Federazione Italiana contro le Malattie Polmonari Sociali e la Tubercolosi,
che ritiene fondamentale il continuo approfondimento culturale diretto ad ottimizzare
il rapporto medico-paziente e a diffondere, anche all’esterno del mondo specialistico,
sulla base di evidenze scientifiche, una cultura specifica rivolta al miglioramento del
controllo delle malattie respiratorie più diffuse, intende fornire un ulteriore contributo
pratico ed applicativo diretto alle più recenti problematiche della BPCO, pubblicando
una monografia, che, secondo una consolidata dizione, si intitola “Rapporto sulla
BPCO 2005”. Con la preziosa collaborazione della Delegazione Italiana GOLD, i
capitoli della monografia sono stati affidati ad alcuni dei maggiori esperti nazionali in
materia, per una trattazione sintetica, ma esauriente e collegata alle Linee Guida, dei
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principali temi teorici, pratici ed applicativi, con l’obiettivo di dare, soprattutto ai
medici di Medicina generale italiani, uno strumento per affrontare quotidianamente
ed in prima linea, i problemi della malattia. Altri obiettivi sono: migliorare la
prevenzione, diminuire progressivamente la quota di pazienti che sfugge alla diagnosi
ed alle terapie, migliorare il grado di aderenza dei pazienti alle prescrizioni, ritardare
l’evoluzione della malattia.
La monografia, divisa in 16 capitoli, nella prima parte, dopo la definizione, la
classificazione e la descrizione dei fattori eziopatogenetici della BPCO, ne esamina
gli aspetti epidemiologici, i costi socio-economici e la dimensione sociale. In
successione tratta gli aspetti anatomo-patologici, il quadro clinico, la stadiazione, la
fisiopatologia della limitazione di flusso, la diagnosi differenziale, il cuore polmonare
cronico e l’ipertensione polmonare, secondaria alla BPCO. Nei quattro capitoli
successivi prende in esame il ruolo delle infezioni nelle riacutizzazioni della malattia, i
disturbi cardio-respiratori nel sonno, gli aspetti della prevenzione con la riduzione dei
fattori di rischio, la terapia, ed il programma educazionale. Dopo i capitoli
sull’insufficienza respiratoria cronica e sua terapia e sulla riabilitazione respiratoria nel
trattamento della malattia, considera il problema della BPCO nell’anziano, il
coinvolgimento del medico di Medicina generale nella gestione della BPCO, la
qualità di vita, la misurazione dello stato di salute respiratoria ed i problemi di
comorbidità.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Gli aspetti comuni, di argomenti confinanti fra loro, hanno portato, probabilmente, ad
alcune sovrapposizioni, ad alcune ripetizioni e forse ad apparenti contraddizioni, che
sono state conservate, per dare la possibilità di confrontare e valutare visioni ed
interpretazioni parallele ed articolate degli stessi problemi.
Alla monografia viene allegato un CD, contenente materiale complementare al testo
sui principali temi riferiti alla BPCO e sulle Linee Guida GOLD.
Siamo certi che la monografia potrà rappresentare uno strumento educazionale di
semplice lettura e di facile consultazione, contribuendo da una parte a migliorare le
conoscenze sulla malattia, dall’altra a rendere meno problematiche le questioni
tuttora aperte nell’ambito della più diffusa patologia cronica respiratoria: ridurne la
prevalenza e la mortalità, migliorare il controllo della malattia e delle sue
riacutizzazioni, ridurre gli interventi del pronto soccorso, ridurre il numero dei ricoveri
ospedalieri e delle degenze, ridurre la perdita di giornate lavorative e
conseguentemente migliorare la qualità di vita, la validità lavorativa e le aspettative
sociali di tanti pazienti, diminuendo il costo socio-economico che grava sui cittadini e
sulla società.
Nel dare alle stampe la monografia, ringraziamo gli Autori che hanno assolto
l’incarico, in maniera esauriente, condividendo la campagna educazionale e
divulgativa della Federazione Italiana contro le Malattie Polmonari Sociali e la
Tubercolosi, nello spirito della GOLD-COPD.
Parimenti ringraziamo Boehringer-Ingelheim e Pfizer che hanno sostenuto la
pubblicazione dell’opera, condividendo anch’essi i nostri obiettivi.
Un particolare grato riconoscimento a GPAnet, che ha curato l’organizzazione
editoriale ed ha realizzato con puntualità e professionalità la stampa di questo
volume.
Mario De Palma
Leonardo Fabbri
Presidente
Federazione Italiana
contro le Malattie Polmonari Sociali
e la Tubercolosi
Direttore della
Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio
Università degli Studi di Modena
e Reggio Emilia
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1. Definizione, classificazione
ed eziopatogenesi
A cura di
Fabrizio Luppi e Leonardo M. Fabbri
Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
1.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una sindrome caratterizzata da limitazione
al flusso espiratorio, irreversibile o poco reversibile ed evolutiva, causata da una specifica flogosi cronica delle vie aeree e del parenchima polmonare indotta da irritanti, in particolare dal fumo di sigaretta (1,2). La peculiare alterazione funzionale della BPCO è rappresentata da un’accelerata caduta del VEMS (circa 40-100 ml/anno nel paziente fumatore con BPCO rispetto a circa 10-40 nel normale non fumatore) (3). Nelle sue fasi iniziali, il paziente - pur presentando un deterioramento della funzionalità respiratoria - è spesso asintomatico, in particolare non presenta
dispnea, mentre tosse ed escreato cronici possono insorgere anche in soggetti con funzione
respiratoria normale. L’insorgenza di dispnea dipende da una certa variabilità interindividuale,
ma di solito non insorge fino a quando il paziente non presenta una significativa limitazione al
flusso espiratorio. La limitazione al flusso espiratorio può comunque non essere la sola responsabile della dispnea, in quanto ad essa possono contribuire anche l’iperinflazione, le alterazioni
dei muscoli scheletrici e l’alterazione degli scambi gassosi con conseguente ipossiemia.
L’acronimo BPCO rappresenta un termine non specifico, riferito a due diverse entità nosologiche, la bronchite cronica e l’enfisema, che si sviluppano progressivamente quale risultato di diverse alterazioni anatomo-patologiche e funzionali. Le più recenti Linee Guida limitano le loro indicazioni alla BPCO indotta da irritanti ed in particolare dal fumo di sigaretta, includendo nel
termine le entità nosologiche bronchite cronica ed enfisema ed escludendo quindi sia le forme
di ostruzione dovute ad altre malattie quali gli esiti di tubercolosi, le bronchiectasie, le neoplasie, la fibrosi cistica in età adulta, che il più frequente sottogruppo di pazienti affetti da asma
bronchiale che sviluppano ostruzione poco reversibile.
Nel corso degli anni, la BPCO è stata definita in diversi modi e queste diverse definizioni hanno
avuto un diverso impatto sulle stime epidemiologiche della malattia (4). Pur tenendo conto delle
diverse definizioni, in particolare funzionali (vedi paragrafo sottostante) che possono ovviamente influenzare la prevalenza della malattia (4), a parità di definizione diagnostica, l’incidenza e la
mortalità dovute alla BPCO sono in costante, preoccupante incremento negli ultimi anni (1).
Definizione di BPCO
Il primo documento dell’American Thoracic Society (ATS) ha definito la BPCO “una malattia caratterizzata dalla presenza di limitazione al flusso espiratorio solo parzialmente reversibile, causata da bronchite cronica od enfisema, in genere a carattere evolutivo ed associata ad iperreattività bronchiale” (5). Il primo documento della European Respiratory Society (ERS) ha invece definito la BPCO in termini fisiopatologici più accurati, come “ridotti flussi massimi espiratori con rallentato svuotamento dei polmoni”, sottolinenando ciò che in realtà misuriamo con le
prove funzionali respiratorie (non la limitazione al flusso espiratorio), evidenziando che tali alterazioni sono evolutive, in buona parte irreversibili al trattamento farmacologico (5,6). Le Linee Guida GOLD (1) definiscono la BPCO come un quadro nosologico caratterizzato da una limitazione
del flusso aereo poco reversibile ed evolutiva, introducendo il concetto che la limitazione del
flusso aereo non è solo dovuta all’ostruzione del lume bronchiale conseguente al rimodellamento delle vie aeree, ma anche alla perdita di supporto elastico da parte del parenchima polmonare distrutto dal processo enfisematoso. Tali Linee Guida introducono anche il concetto che
la peculiare alterazione funzionale che caratterizza la BPCO (riduzione del flusso) ha di solito carattere evolutivo ed è associata ad un specifica risposta infiammatoria delle vie aeree e del parenchima polmonare all’inalazione di sostanze irritanti, in particolare il fumo di sigaretta (1). L’ultimo documento congiunto ATS/ERS estende la definizione data dalle Linee Guida GOLD, intro-
11
12
ducendo il concetto che la BPCO non è solo una malattia polmonare ma spesso sistemica ed associata a comorbidità (7).
Pur se non chiaramente riferito nelle varie Linee Guida, va ribadito che le conoscenze e raccomandazioni da esse riportate fanno tutte riferimento alla limitazione al flusso espiratorio causata da irritanti, e che quindi il termine BPCO dovrebbe forse limitarsi solo a questa malattia. Il che richiede nel
singolo paziente almeno la presenza di due criteri orientativi: il primo il fattore di rischio sia esso il fumo e/o la esposizione ad irritanti ed il secondo l’età (ad esempio superiore ai 40 anni) in quanto è
improbabile lo sviluppo di BPCO al di sotto di 40 anni tranne nei casi di soggetti predisposti per deficit di α-1 antitripsina (8,9) o di sesso femminile con predisposizione indeterminata, verosimilmente genetica (10). In altre parole la sola diagnosi spirometrica non è mai comunque sufficiente. A parte alcune delle cause di limitazione al flusso espiratorio sopra riferite, va considerata la presenza di un certo numero di soggetti non fumatori che presenta una limitazione al flusso espiratorio di origine non
chiara, che può andare, da alterazioni dello sviluppo delle vie aeree ai residui di ricorrenti infezioni
broncopolmonari avvenute in età infantile. Nel singolo paziente è quindi indispensabile andare oltre
al semplice esame spirometrico e completare gli accertamenti con una accurata anamnesi, esami
per immagini (radiografia e a volte TAC toracica), esami ematochimici e microbiologici.
Tutte le definizioni di BPCO hanno comunque in comune il concetto di BPCO come malattia funzionale respiratoria, in quanto tutte rimandano a tale valutazione, la spirometria in particolare, il compito
di misurare la limitazione al flusso espiratorio e quindi porre la diagnosi. Tuttavia tutte differiscono nella definizione di alterazione funzionale minima considerata significativa e nelle condizioni della sua misura, se in condizioni basali o dopo broncodilatatore (1,5).
Limitazione al flusso espiratorio
Il concetto comune alle varie Linee Guida è che per limitazione al flusso espiratorio si intende una
riduzione del VEMS, del suo rapporto con la capacità vitale forzata (CVF) o lenta (CV) e che tale
riduzione non è reversibile al trattamento farmacologico. La definizione di limitazione al flusso
espiratorio proposta nel 1995 dall’European Respiratory Society faceva riferimento al rapporto fra
VEMS e CV lenta, non forzata, e dava i limiti del 88% per l’uomo e del 89% per la donna, rispetto ai teorici della Comunità Europea (6). Successivamente la definizione di limitazione al flusso espiratorio proposta sia dalle Linee Guida GOLD che dalle Linee Guida ATS/ERS fa riferimento al rapporto limite fisso di 70% del valore assoluto del rapporto VEMS/CVF (1,7). In entrambi i casi, proprio per togliere di mezzo la componente reversibile, si fa riferimento a valori misurati dopo broncodilatatore, anche se purtroppo nessuna delle Linee Guida fornisce protocolli standard di esecuzione della broncodilatazione.
Se pure l’uso delle diverse definizioni può portare a stime molto diverse di prevalenza di limitazione al flusso espiratorio (4) ed in particolare ad una sovrastima della prevalenza negli anziani se
si fa ricorso al limite del 70% del valore assoluto del rapporto VEMS/CVF, tale sovrastima ha rilevanza puramente epidemiologica in quanto riguarda quasi esclusivamente la BPCO di grado lieve. Lo stesso vale per il limite spirometrico valutato prima o dopo broncodilatatore: è ovvio che
se i valori spirometrici sui quali si definisce la diagnosi vengono misurati prima del broncodilatatore vi sarà una sovrastima della percentuale di soggetti con BPCO.
REVERSIBILITÀ DELLA LIMITAZIONE AL FLUSSO ESPIRATORIO
La reversibilità della limitazione al flusso espiratorio può essere misurata in termini di risposta alla
singola somministrazione di un broncodilatatore inalatorio o ad un ciclo di terapia steroidea somministrati per via inalatoria od orale (1). La definizione proposta dall’American Thoracic Society non
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
1. Definizione, classificazione ed eziopatogenesi - F. Luppi, L. M. Fabbri
definisce specificamente la reversibilità, nonostante un precedente documento dell’ATS avesse
classificato tale parametro come un aumento del VEMS di 200 ml e del 12% dopo somministrazione di un broncodilatatore per via inalatoria (11). La definizione di BPCO della European Respiratory Society definiva invece tale parametro come un aumento del VEMS >10% del teorico dopo
somministrazione di un broncodilatatore (6). La GOLD definisce invece la reversibilità come un aumento del VEMS di 200 ml e del 12% rispetto al basale dopo somministrazione di una singola
dose di broncodilatatore o dopo un ciclo di corticosteroidi per via inalatoria od orale (1).
Il termine “parzialmente reversibile” spesso utilizzato anche se mal definito, fa riferimento a pazienti che presentano un miglioramento della limitazione al flusso espiratorio a seguito di somministrazione di corticosteroidi o broncodilatatori, che tuttavia presentano valori di VEMS e/o di
VEMS/CVF che comunque non raggiungono valori normali. In questo ambito, tuttavia, esistono
ampi livelli di reversibilità che, se misurata in termini di aumento percentuale di VEMS rispetto al
basale, possono andare dallo 0 a >50%. In passato la reversibilità veniva usata per distinguere
quadri di BPCO, poco o nulla reversibili, da quadri di asma ampiamente reversibile, oggi tale distinzione si affida di più alla anamnesi e ad esami della infiammazione bronchiale (eosinofili nell’espettorato, concentrazione di ossido nitrico NO nell’aria esalata) (12).
Il minor ricorso ai test di reversibilità è anche dovuto alla loro bassa riproducibilità individuale (13) ed
al fatto che tali test si basano sul VEMS e non tengono conto dei volumi polmonari, in particolare della iperinflazione presente nei soggetti con BPCO. È possibile infatti che in soggetti definiti
come non reversibili in termini di aumento di VEMS, vi sia un significativo aumento di volumi statici quali il volume di riserva inspiratoria (VRI) e la capacità inspiratoria (CI) a spese della riduzione
della capacità funzionale residua (CFR). In questi soggetti, la risposta in termini di volume al trattamento farmacologico, può meglio spiegare la risposta clinica sia in termini di riduzione di dispnea a riposo, sia in termini di miglior tolleranza allo sforzo (14).
Il test di reversibilità è stato anche molto usato in studi clinici randomizzati per restringere la casistica ai casi più “puri” di BPCO, reclutando solo soggetti con un aumento di VEMS dopo broncodilatatore o ciclo di steroidi di un massimo di 200 ml o 10-15%. Anche questo criterio di inclusione tende ad essere messo in disuso, sia per la bassa riproducibilità dei test di misura, sia perché
si è osservato che nella BPCO la risposta ai farmaci in termini clinici (riduzione della dispnea o aumento della tolleranza allo sforzo) si può sviluppare anche in soggetti con bassa reversibilità (14,15).
VALUTAZIONE DI GRAVITÀ DELLA BPCO
In analogia all’anamnesi, anche la valutazione di gravità della BPCO viene fatta sulla base di parametri funzionali ed in particolare del VEMS. Nelle Linee Guida GOLD (1) si fa riferimento anche all’analisi della concentrazione ematica di O2 e CO2 e del pH misurati su sangue arterioso, nei pazienti gravi, mentre le Linee Guida ATS/ERS citano l’utilità di completare la valutazione con altri test, quali la prova da sforzo, il test del cammino, la percezione della dispnea, ed il body mass index, che sono stati considerati utili nel definire la gravità della BPCO (16).
I criteri proposti dall’American Thoracic Society classificano la BPCO in 3 stadi (5):
Stadio 1: VEMS ≥50% del teorico
Stadio 2: VEMS 35-49% del teorico
Stadio 3: VEMS <35% del teorico
I criteri proposti dall’European Respiratory Society classificano anch’essi la BPCO in 3 stadi (6):
Lieve: VEMS ≥80% del teorico
Moderata: VEMS 50-80% del teorico
Grave: VEMS <50% del teorico
13
I criteri proposti dal GOLD (1) e dal documento ATS/ERS (7) classificano la BPCO in 4 stadi. In presenza di un rapporto VEMS/CVF postbroncodilatatore inferiore al 70%, la BPCO viene definita:
Stadio 1, lieve: in presenza di un VEMS ≥80% del teorico
Stadio 2, moderata: in presenza di un VEMS compreso fra il 50% e l’80% del teorico
Stadio 3, grave: in presenza di un VEMS compreso fra il 30% e il 50% del teorico
Stadio 4, molto grave: in presenza di un VEMS <30% del teorico
Gli stadi GOLD risultano quindi i seguenti:
Stadio 0 - a rischio: in presenza di sintomi di bronchite cronica e di spirometria normale.
Stadio I - BPCO lieve: caratterizzato da presenza di una lieve riduzione del flusso aereo espiratorio (VEMS/CVF <70%, con VEMS >80% del teorico), in presenza o assenza di sintomi respiratori. A questo stadio il soggetto fumato respesso non si rende conto di avere già una alterazione
funzionale respiratoria.
Stadio II - BPCO moderata: caratterizzato da peggioramento della broncoostruzione 50%
<VEMS <80%), associato di solito con sintomi respiratori, in particolare dispnea da sforzo, che
compare di solito sotto sforzo. Si tratta dello stadio nel quale più spesso il paziente richiede l’intervento del medico a causa della dispnea da sforzo o per una riacutizzazione della malattia.
14
Stadio III - BPCO grave: caratterizzato da ulteriore peggioramento della broncoostruzione (30%
<VEMS <50%) e aumento della dispnea e delle riacutizzazioni che peggiorano la qualità di vita.
Stadio IV - BPCO molto grave: caratterizzato da una grave limitazione al flusso espiratorio (VEMS
<30% del teorico) o dalla presenza di insufficienza respiratoria cronica. L’insufficienza respiratoria
è definita da una pressione parziale dell’ossigeno arterioso (PaO2) inferiore a 8,0 kPa (60 mmHg)
con o senza una pressione parziale della CO2 (PaCO2) maggiore di 6.7 kPa (50 mmHg) a livello
del mare. L’insufficienza respiratoria può anche avere effetti sul cuore, come nel caso del cuore
polmonare (insufficienza cardiaca destra). I segni clinici di cuore polmonare comprendono turgore delle vene giugulari ed edemi declivi. I pazienti possono soffrire di una BPCO grave (Stadio III)
anche se il VEMS è maggiore del 30% del teorico nei casi in cui tali complicazioni siano presenti. In questo stadio la qualità di vita è notevolmente compromessa dal peggioramento della broncoostruzione (50%) e le riacutizzazioni possono minacciare la vita del paziente.
Queste classificazioni di gravità si sono dimostrate molto utili come riferimenti nosologici per la miglior caratterizzazione della BPCO. Ad esempio un recente elegante studio anatomo-patolgico ha
dimostrato una buona correlazione fra infiammazione e rimodellamento broncopolmonare e livello di gravità (17), e buona correlazione si è trovata anche fra gravità e parametri di qualità di vita (18).
Va precisato con in ogni caso si tratta di classificazioni di gravità puramente spirometriche, utili ai
fini didattici e forse medico-legali, ma certamente non clinici in quanto la correlazione fra alterazione spirometrica e quadro clinico, in particolare gravità dei sintomi e di tolleranza allo sforzo, è
significativa ma bassa. La valutazione di gravità individuale quindi e soprattutto la decisione terapeutica devono comunque far riferimento ai sintomi ed alle malattie concomitanti che spesso si
accompagnano alle forme più gravi di BPCO.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
1. Definizione, classificazione ed eziopatogenesi - F. Luppi, L. M. Fabbri
BRONCHITE CRONICA
Nel sottolineare le due componenti della BPCO, la bronchitica e l’enfisema, si introduce il rischio
di generare un po’ di confusione in riferimento alla bronchite. In realtà, in termini anatomo-patologici, la componente bronchitica (termine usato per indicare infiammazione a carico dei bronchi)
dovrebbe essere definita bronchiolitica, in quanto le alterazioni anatomo-patologiche si sviluppano a carico delle vie aeree più periferiche (fig. 1).
Figura 1 – Meccanismi che determinano l’ostruzione bronchiale nel paziente affetto da BPCO
INFIAMMAZIONE
Patologia delle piccole vie
Infiammazione bronchiale
Rimodellamento bronchiale
Distruzione parenchimale
Perdita degli attacchi alveolari
Riduzione del ritorno elastico
RIDUZIONE DEL FLUSSO
AEREO
Il termine bronchite cronica dovrebbe invece essere limitato alla entità nosologica clinica caratterizzata dalla presenza di tosse con espettorato cronico per almeno 3 mesi all’anno che perdura da
almeno 2 anni (11). Ovviamente anche per la bronchite cronica vanno escluse le altre cause di tosse
ed escreato cronici, in particolare l’infezione con il Mycobacterium tuberculosis, il carcinoma del
polmone, lo scompenso cardiaco cronico, le bronchiectasie, la fibrosi cistica, ecc. Il termine bronchite cronica è stato criticato in quanto indica la presenza di un’infiammazione e non di un’aumentata secrezione di muco della parete bronchiale. Tuttavia numerosi studi anatomo-patologici
hanno dimostrato che i sintomi di bronchite cronica sono più associati ad un’infiammazione cronica della parete bronchiale che ad alterazioni strutturali dell’apparato mucosecernente (19).
ENFISEMA POLMONARE
Il termine enfisema viene riservato al quadro anatomo-patologico polmonare caratterizzato da un
permanente, anomalo ingrandimento degli spazi aerei distali ai bronchioli terminali non respiratori, accompagnato da distruzione delle loro pareti, senza fibrosi evidente. Tale alterazione porta ad
una riduzione della forza di ritorno elastico del polmone e ad aumento delle resistenze a livello delle piccole vie aeree, alterazioni strutturali verosimilmente responsabili delle alterazioni funzionali respiratorie (limitazione al flusso espiratorio, aumento della capacità funzionale residua, iperinflazione) e della sintomatologia in particolare la dispnea e la limitata tolleranza allo sforzo. Pur rimanendo l’enfisema una entità nosologica basata essenzialmente sul quadro anatomo-patologico e
quindi inutilizzabile nel singolo paziente, oggi è possibile valutarlo mediante la tomografia assiale
computerizzata ad alta risoluzione (HRCT scan), il che ha ricadute cliniche rilevanti soprattutto per
i pazienti con quadri gravi candidabili al trattamento chirurgico o con riduzione dei volumi polmonari o con trapianto polmonare (20).
15
ASPETTI SISTEMICI DELLA BPCO
Nella valutazione del paziente affetto da BPCO, vanno tenuti presenti anche gli aspetti sistemici
della malattia. In particolare può essere utile fare una stima della massa magra (21,22) in particolare
nei soggetti cachettici, dello stato funzionale (23,24), della tolleranza allo sforzo e della presenza di
malattie concomitanti quali lo scompenso cardiaco, l’ipertensione arteriosa, le vasculopatie, la depressione e dei trattamenti per esse instaurati (25). Nonostante questi fattori non siano formalmente compresi nella definizione di BPCO, essi sono importanti in termini clinici nel singolo paziente,
e devono essere presi in considerazione.
Fattori di rischio
In Italia, come nella maggior parte dei paesi sviluppati, la BPCO è essenzialmente una malattia
causata dal fumo di sigaretta. Inquinamento domestico, ambientale e lavorativo hanno oggi un
peso molto inferiore rispetto al fumo di sigaretta, anche se, in particolare per l’inquinamento ambientale da motoveicoli, è possibile che si vada incontro ad una preoccupante inversione di tendenza.
16
FUMO DI SIGARETTA
L’evidenza più solida per un rapporto causale fra uno specifico fattore di rischio e la BPCO riguarda il fumo di sigaretta. Molti studi epidemiologici hanno dimostrato che il fumo di sigaretta
rappresenta il principale fattore di rischio per la BPCO. Le persone che fumano presentano più
sintomi respiratori, un’accelerata caduta del VEMS ed un più elevato tasso di mortalità per BPCO
rispetto ai non fumatori. L’età di inizio, il numero totale di sigarette fumate e lo stato di fumatore
sono predittivi di mortalità per BPCO. Non tutti i fumatori sviluppano una BPCO clinicamente rilevante, tuttavia, i più recenti studi epidemiologici hanno mostrato che la maggior parte dei fumatori, se sopravvivono e fumano a sufficienza, svilupperanno limitazione al flusso espiratorio (26).
Smettere di fumare rallenta la caduta del VEMS e quindi l’evoluzione della BPCO (27). I fumatori di
pipa e sigaro presentano tassi di morbidità e mortalità per BPCO più alti rispetto ai non fumatori,
anche se tali tassi sono inferiori rispetto ai fumatori di sigaretta. L’esposizione passiva al fumo di
sigaretta aumenta la frequenza di insorgenza dei sintomi respiratori nell’adulto (28), anche se gli effetti del fumo passivo sulla funzione respiratoria sono ovviamente minori del fumo attivo.
INQUINAMENTO AMBIENTALE
In tutto il mondo, ma in maniera sempre più preoccupante in particolare nei paesi in via di sviluppo, un importante fattore di rischio per lo sviluppo della BPCO è rappresentato dall’esposizione
agli inquinanti degli ambienti interni, in particolare quelli prodotti dalla combustione dei materiali
utilizzati per il riscaldamento e per cucinare. In alcuni paesi in via di sviluppo, nei quali si cucina e
ci si riscalda in abitazioni poco ventilate, si osservano elevati livelli di inquinamento degli ambienti interni per accumulo di particolato ambientale (29, 30). Le donne sono maggiormente esposte a tali
fattori di rischio, il che può spiegare una simile prevalenza della BPCO nelle donne rispetto agli
uomini in paesi quali l’India, la Cina, l’America Latina, ove esiste una netta differenza nell’abitudine tabagica a favore del sesso maschile (31).
Il ruolo dell’inquinamento atmosferico nell’insorgenza della BPCO è meno chiaro, anche se sembra essere di scarso rilievo se paragonato all’abitudine tabagica.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
1. Definizione, classificazione ed eziopatogenesi - F. Luppi, L. M. Fabbri
ESPOSIZIONE PROFESSIONALE
Una rilevante esposizione a polveri (inorganiche ed organiche), gas o fumi di origine professionale è associata ad un aumentato rischio di insorgenza della BPCO, che è indipendente dall’abitudine tabagica. Tali fattori di rischio professionali sono tuttavia sinergici con il fumo di sigaretta (32).
In altre parole, la probabilità di contrarre la BPCO in un paziente esposto a fattori di rischio professionali è significativamente maggiore se tale soggetto fuma abitualmente (33).
PREDISPOSIZIONE INDIVIDUALE
Nonostante sia noto che il rischio di contrarre la BPCO dipenda essenzialmente dal numero di sigarette fumate e dalla durata dell’abitudine tabagica, è chiaro che esiste un’ampia variabilità interindividuale nei confronti dello sviluppo della malattia. Nonostante gli effetti dell’esposizione a vari
fattori di rischio ambientali siano cumulativi, essi non sono tuttavia sufficienti a spiegare le differenze fra vari soggetti fumatori, anche a parità di numero di sigarette fumate, sul deterioramento
della funzionalità respiratoria. L’evidenza che i fattori genetici sono importanti nella patogenesi della BPCO deriva dall’osservazione di soggetti con severo deficit di α-1-antitripsina, il principale inibitore delle serino-proteasi, i quali presentano un elevato rischio di sviluppare la BPCO (34). I soggetti che presentano tale deficit e che fumano tendono a sviluppare una malattia più grave e più
precoce rispetto ai soggetti con un deficit di α-1-antitripsina di uguale gravità, ma che non fumano (35). Inoltre, parenti di primo grado di pazienti che presentano un grave deficit di α-1-antitripsina
presentano una prevalenza più alta rispetto a fumatori che non sono parenti di pazienti che presentano tale deficit genetico (36). Gli studi genetici fino ad ora condotti non hanno tuttavia identificato altri singoli geni chiaramente responsabili dell’insorgenza della BPCO. Sono state descritte
associazioni fra la BPCO e diversi polimorfismi genetici, che comprendono l’α-1-antichimotripsina, l’epossido idrolisi microsomiale, la glutatione S-transferasi, l’eme ossigenasi-1 ed il TNF-α (37).
I risultati di tali studi sono stati troppo diversi nelle varie popolazioni.
Conclusioni
In sintesi, la BPCO è una sindrome caratterizzata da una tipica alterazione funzionale respiratoria,
la limitazione poco reversibile del flusso massimo espiratorio, associata nella maggior parte dei
casi a sintomi respiratori cronici, dispnea tosse ed escreato, e causata nella maggior pare dei casi dal fumo di sigaretta. Nel singolo paziente, la gravità della BPCO va valutata sulla base del quadro funzionale respiratorio e delle manifestazioni cliniche, in particolare i sintomi respiratori, gli
aspetti sistemici e le malattie concomitanti.
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Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
1. Definizione, classificazione ed eziopatogenesi - F. Luppi, L. M. Fabbri
19
2. Epidemiologia e costi socio-economici
A cura di
Antonio Scognamiglio (1), Gabriella Matteelli (2), Francesco Pistelli (3),
Sandra Baldacci (1), Sara Maio (1), Laura Carrozzi (3) e Giovanni Viegi (1)
Unità di Epidemiologia Ambientale Polmonare, Istituto di Fisiologia Clinica CNR,
Pisa
(2)
Centro per la Prevenzione ed il Trattamento dei Danni indotti da Fumo di Tabacco
(Centro Antifumo), U.O. Pneumologia, Azienda USL n. 6, Livorno
(3)
U.O. Pneumologia e Fisiopatologia Respiratoria Universitaria, Dipartimento
Cardio-toracico, Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana, Pisa
(1)
2.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) rappresenta una delle cause più importanti di
mortalità e morbosità nei paesi industrializzati. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità
(OMS) essa rappresentava, nel 2001, la quinta causa di morte nel mondo (1).
In epidemiologia, convergono talora nel termine BPCO entità fenotipiche distinte, in maniera tale che dati di prevalenza e di mortalità concernenti tale malattia sono comprensivi di bronchite
cronica, enfisema ed asma in maniera non uniforme. Nonostante la BPCO e l’asma bronchiale
siano caratterizzate da un diverso meccanismo fisiopatologico e da un differente pattern cellulare (2), l’asma cronica persistente può evolvere verso una forma irreversibile di ostruzione al flusso delle vie aeree. In tal caso, l’asma deve essere compresa nell’acronimo BPCO e, come tale, è spesso inclusa nel termine di malattia polmonare cronica ostruttiva (3-5).
Mortalità
Secondo dati forniti dall’OMS, nel 2001, la BPCO era al 5° posto come causa di morte nel mondo con 2.676.000 decessi (1) (tab.1). Sono presenti, a livello mondiale, notevoli differenze nei tassi
di mortalità per BPCO tra i vari paesi, in relazione alla diversa distribuzione del tabagismo e degli
altri fattori di rischio (4). Differenze rilevanti sono presenti anche a livello europeo, dove 200.000300.000 persone muoiono ogni anno a causa della malattia (6). Sempre secondo l’OMS, nel 1997,
la BPCO è stata causa di decesso, in Europa, per il 4,1% dei maschi ed il 2,4% delle femmine (6).
In generale, la mortalità per BPCO è stata 2-3 volte più elevata nei maschi rispetto alle femmine,
mostrando parallelamente un andamento incrementale nelle fasce di popolazione più anziane.
Inoltre, i paesi del nord Europa hanno fatto registrare, nel periodo 1980-1990, un incremento della mortalità per BPCO tra le femmine (6). Tra il 1995 ed il 1999, il fumo ha causato poco meno di
65.000 morti per BPCO ogni anno nella popolazione adulta degli Stati Uniti d’America (7). In Italia,
dei 37.782 decessi che si sono realizzati per patologie respiratorie (codici 460-519 ICD IX) nell’anno 2000, circa la metà sono stati causati dalla BPCO (codici 490-496 ICD IX) (8). Tuttavia in molti paesi, al momento della compilazione dei certificati di morte, la patologia respiratoria è notevolmente sottostimata in confronto alle malattie cardiovascolari (4). Per ciò che concerne i fattori correlati con un aumento del rischio di mortalità (o con una minore sopravvivenza) per BPCO, è da
sottolineare il ruolo della riduzione del volume espirato forzato nel primo secondo (FEV1) e dell’ipersecrezione cronica di muco (4).
Tabella 1 – Le dieci più frequenti cause di morte nel mondo registrate nell’anno 2001
(popolazione totale: 6.122.210.000) [Modificata da voce bibliografica n. 1]
CAUSE DI MORTE
Malattie ischemiche cardiache
NUMERO DI MORTI
7.181.000
Malattie cerebro-vascolari
5.454.000
Infezioni delle basse vie respiratorie
3.871.000
HIV/AIDS
2.866.000
BPCO
2.672.000
Condizioni perinatali
2.504.000
Malattie diarroiche
2.001.000
Tubercolosi
1.644.000
Neoplasie maligne polmonari
1.213.000
Incidenti stradali
1.194.000
21
Morbosità
22
In Europa, il 4-6% della popolazione adulta soffre di BPCO in forma clinicamente rilevante, sebbene i due terzi dei soggetti affetti mostrino alterazioni disventilatorie di lieve entità. La prevalenza cresce in maniera direttamente proporzionale all’età (6). Lo studio multicentrico ECRHS (European Community Respiratory Health Survey), condotto in 16 nazioni in 18.000 soggetti di età
compresa tra 20 e 44 anni, ha stimato una prevalenza media di bronchite cronica pari al 2,6%
(range: 0,7% - 9,7%) (9).
Secondo uno studio condotto dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) nel 2003, su un campione di famiglie italiane, il 6,4% della popolazione ha riferito di essere affetta da bronchite cronica o
enfisema o asma (10). Dall’analisi delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) del 2002 è emerso
che il 18,5% delle dimissioni per patologie respiratorie, cioè 111.453 casi, è stato codificato con
il DRG (Diagnosed Related Group) 88 corrispondente alla malattia polmonare cronica ostruttiva.
Tali ricoveri hanno comportato un totale di 984.780 giornate di degenza, con una degenza media di 8,8 giorni. Rispetto al triennio 1999-2001, è stata pertanto registrata una riduzione del numero assoluto di ricoveri in acuto (in regime ordinario) per BPCO (11). È probabile che anche i dati
provenienti dalle SDO siano sottostimati, in quanto molti ricoveri per BPCO sono comunemente
classificati sotto altri DRG.
Il carico individuale e sociale della BPCO è destinato ad aumentare nei prossimi decenni, prevalentemente a carico del sesso femminile, principalmente a causa dell’abitudine di fumo dei decenni passati e dell’invecchiamento della popolazione (12).
Una problematica rilevante della BPCO è la determinazione della sua reale prevalenza nella popolazione generale, prevalenza che può variare notevolmente in base agli strumenti diagnostici
utilizzati: sintomi respiratori riferiti dal paziente, diagnosi medica, presenza di alterazioni della funzione polmonare. Perfino quando la diagnosi di BPCO è basata su un riscontro oggettivo, quale
la spirometria, la variabilità all’interno della stessa popolazione può essere ampia in considerazione dei diversi criteri che le principali Società Scientifiche internazionali adottano per definire la presenza di ostruzione bronchiale. Viegi et al. (13) hanno dimostrato, in un campione di popolazione
generale adulta, che il tasso di prevalenza dell’ostruzione delle vie aeree varia dall’11%, ottenuto
applicando il criterio ERS (European Respiratory Society) (14), al 18% utilizzando il criterio definito
“clinico” (criterio successivamente utilizzato per definire il grado 1-4 GOLD (Global Initiative for Chronic Obstructive Pulmonary Disease) (15). È evidentemente necessario individuare un criterio standardizzato, epidemiologicamente valido, che sia accettato da tutte le società che si occupano di
medicina respiratoria. Tale obiettivo non è ancora stato raggiunto, anche dopo l’introduzione del
criterio GOLD di diagnosi di BPCO, sia per ciò che concerne la capacità di tale criterio di fornire
informazioni di valore prognostico nei pazienti, sia per la sua applicabilità all’intera popolazione, a
prescindere dall’età (4).
Un altro rilevante aspetto epidemiologico è quello della sottodiagnosi della BPCO; nella letteratura scientifica, l’entità di tale sottodiagnosi oscilla tra il 25 ed il 50%, o anche di più, secondo gli
studi considerati (4,14). Che la malattia possa essere molto più diffusa di quanto percepito dal senso comune è emerso dalla nostra recente quantizzazione del diagramma di Venn nella popolazione generale italiana (5), la quale ha mostrato che circa il 18% dei soggetti investigati riportava
una diagnosi di bronchite cronica o asma o enfisema oppure aveva segni spirometrici di ostruzione bronchiale (fig. 1).
La percezione che molti soggetti siano affetti da BPCO senza saperlo, ritardando quindi i tempi dell’intervento terapeutico e permettendo alla patologia di evolvere verso stadi più severi, ha spinto alcuni ricercatori ad ideare studi di diagnosi precoce. Ad esempio, uno screening spirometrico su sogRapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
2. Epidemiologia e costi socio-economici - A. Scognamiglio, G. Matteelli, F. Pistelli, S. Baldacci, S. Maio, L. Carrozzi, G. Viegi
getti fumatori è stato in grado di identificare soggetti con segni di ostruzione bronchiale. L’aggiunta
di un breve intervento di counseling antitabagico è in grado di motivare fortemente i soggetti con
ostruzione bronchiale, incrementando parallelamente i tassi di cessazione dell’abitudine di fumo (16).
Figura 1 – Distribuzione delle malattie respiratorie ostruttive, con ostruzione bronchiale (a sinistra) e senza
ostruzione bronchiale (a destra), nel campione del Delta Padano. [Tradotta da voce bibliografica n.5]
Bronchite cronica
0,28%
0,12%
Enfisema
Bronchite cronica
0,61%
0,24%
0,37%
00,4%
%
0,20%
0,28%
---
Enfisema
---
0,4%
4%
%
1,30%
0,16%
3,25%
Ostruzione
bronchiale
10,96%
Asma
Asma
Fattori di rischio
I fattori di rischio per lo sviluppo di BPCO possono essere suddivisi in due categorie: esogeni ed
endogeni. Tali fattori, singolarmente od in sinergia, determinano il grado di suscettibilità del soggetto allo sviluppo della malattia (tab. 2) (4,17,18).
Tabella 2 – Tradizionali fattori di rischio per lo sviluppo di BPCO [Modificata da voce bibliografica n. 4]
ENDOGENI
ESOGENI
Sesso
Anamnesi familiare positiva per BPCO
Predisposizione genetica allo sviluppo di BPCO
Deficit di α-1-antitripsina
Malattie respiratorie durante l’infanzia
Atopia ed iperattività bronchiale
Suscettibilità individuale ai fattori di rischio esogeni
Fumo di tabacco
Esposizione lavorativa
Inquinamento ambientale (outdoor e indoor)
Esposizione a fumo di tabacco ambientale (ETS)
Dieta povera di frutta
Abuso di alcool
Basso livello socio-economico
FATTORI DI RISCHIO ESOGENI
Fumo di tabacco
Il fumo di tabacco è indubitabilmente il principale fattore di rischio per lo sviluppo della BPCO e per
la mortalità ad essa correlata (18,19). Nel 2000, 4,83 milioni di morti nel mondo sono stati attribuiti al
fumo di tabacco (12% della mortalità totale registrata nel suddetto anno negli adulti); circa 0,97 milioni di decessi sono stati causati dalla BPCO. Nei paesi industrializzati, la percentuale di mortalità
per BPCO attribuibile al fumo è stata pari a 80,5% negli uomini e 61,5% nelle donne (20).
In particolare, lo studio prospettico cinquantennale dei medici britannici maschi ha evidenziato come
circa due terzi dei fumatori muoiano per cause fumo-correlate e mediamente 10 anni più giovani in
confronto ai non fumatori. D’altra parte, la cessazione dell’abitudine di fumo si traduce in una rilevante riduzione del rischio di mortalità (19). È stato, inoltre, dimostrato che i fumatori correnti mostrano un
tasso di mortalità per BPCO 12,7 volte maggiore rispetto ai non fumatori. Tale tasso cresce proporzionalmente all’aumentare della media giornaliera di sigarette fumate (4).
23
24
L’età d’inizio dell’abitudine di fumo, la media giornaliera di sigarette fumate, gli anni di fumo trascorsi contribuiscono variamente alla genesi del danno polmonare. È riportato in letteratura che
soltanto il 10-20% dei fumatori sviluppa la malattia, tuttavia, recenti indagini epidemiologiche mostrano che segni/sintomi di BPCO sono presenti nel 40-50% dei fumatori (4,18). L’elemento genetico svolge un ruolo rilevante nello sviluppo della malattia; vari studi sembrano indicare l’esistenza
di una maggior suscettibilità del sesso femminile ai danni indotti dal fumo di tabacco (21). Nella popolazione americana, Mannino et al. hanno stimato, tra i soggetti maschi, una prevalenza di
BPCO del 4,6% nei non fumatori, 7,9% negli ex-fumatori e 11,2% nei fumatori correnti; anche tra
le donne è presente lo stesso andamento ed i valori, per le tre categorie, sono 6,8%, 12,1% e
14,7%, rispettivamente (22).
In Italia, il 26,2% degli individui adulti (età ≥ di 15 anni) dichiara di essere fumatore (il 30,0% dei
maschi ed il 22,5% delle femmine), il 17,9% ex-fumatore (il 24,8% dei maschi e l’11,2% delle femmine), il 55,9% non fumatore (il 45,2% dei maschi ed il 66,3% delle femmine). Rispetto a quanto
emerso nel 2003, i fumatori correnti sono diminuiti dal 27,6% al 26,2%, con una riduzione più significativa tra gli uomini a fronte di una sostanziale stabilità fra le donne. Il numero medio di sigarette giornaliere fumate è di 17,1 (19,1 per gli uomini e 13,9 per le donne). Inoltre, gli uomini hanno fatto registrare una riduzione del consumo giornaliero medio di sigarette a fronte di un aumento
dello stesso tra le donne (23).
In Italia, l’associazione tra fumo e presenza di sintomi respiratori caratteristici della bronchite cronica, quali tosse e catarro cronici, è stata confermata da Viegi et al. (24). Anche la funzione polmonare è influenzata dall’abitudine di fumo. I fumatori presentano, infatti, un accelerato declino del
FEV1 rispetto ai non fumatori, secondo una relazione di tipo dose-risposta (18,25). Il trattamento della dipendenza da nicotina è in grado di prevenire o ritardare lo sviluppo di ostruzione bronchiale
e, qualora quest’ultima sia già presente, ne ritarda la progressione (26). La cessazione dell’abitudine di fumo è, altresì, in grado di migliorare la sopravvivenza in soggetti affetti da BPCO di grado
severo (27).
Esposizione professionale
L’esposizione professionale cronica ad inquinanti può contribuire allo sviluppo di BPCO, indipendentemente dall’abitudine di fumo. Lavoratori particolarmente esposti a tale rischio appartengono ai settori metallurgico e minerario, edile, agricolo, tessile e chimico, oltre a quello delle cartiere e dell’industria alimentare (4).
Soggetti con esposizione lavorativa hanno evidenziato un accelerato declino della funzione polmonare ed un incremento della prevalenza di sintomi e/o malattie respiratori cronici. Il concomitante tabagismo può contribuire, in maniera additiva, all’azione nociva dell’esposizione lavorativa
(28)
. Recenti articoli di revisione hanno indicato che il rischio attribuibile di popolazione (PAR), dovuto all’esposizione occupazionale, è circa il 15% per la bronchite cronica e il 18% per la presenza
di alterazioni della funzione polmonare compatibili con un quadro di BPCO (28).
Inquinamento outdoor
Nel tempo, le malattie respiratorie e la mortalità ad esse correlata sono state associate, con sempre maggiore evidenza, alla presenza di inquinanti atmosferici (29,30). Inquinanti outdoor convenzionali sono il cosiddetto “fumo nero” (particolato prodotto dalla combustione di sostanze fossili), l’anidride solforosa (SO2), gli ossidi di azoto (NOx) (prodotti dal traffico auto-veicolare e da processi
di combustione), e l’ozono (O3) (derivato da reazioni fotochimiche correlate al traffico delle città) (29).
L’esposizione cronica ad elevati livelli d’inquinamento atmosferico è apparsa correlata alla pre-
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
2. Epidemiologia e costi socio-economici - A. Scognamiglio, G. Matteelli, F. Pistelli, S. Baldacci, S. Maio, L. Carrozzi, G. Viegi
senza di bronchite cronica e ad alterazioni della funzione polmonare (29,30).
Negli ultimi anni, particolare interesse ha destato nella comunità scientifica lo studio degli effetti di
particelle fini con diametro aerodinamico inferiore a 10 µm (PM10) o 2,5 µm (PM2.5), in relazione
alla mortalità per cause cardiorespiratorie (29). Un recente studio epidemiologico ha mostrato che
ogni incremento di 10 µg/m3 di particelle fini è associato a circa il 6% di aumento del rischio di
mortalità per cause cardiorespiratorie (4). Anche l’esposizione a breve termine ad elevati livelli di inquinamento ambientale è stata significativamente correlata ad un incremento delle ammissioni
ospedaliere e delle visite urgenti, oltre che della mortalità, per patologie respiratorie (4).
Inquinamento indoor
Gli ambienti indoor comprendono luoghi di vita e di lavoro quali abitazioni, uffici, strutture comunitarie, locali destinati ad attività ricreative e sociali, mezzi di trasporto pubblici (4). Nei paesi industrializzati, le persone trascorrono la maggior parte del loro tempo in ambienti confinati e sono
pertanto esposte, con continuità, agli effetti dannosi degli inquinanti interni. In aggiunta, le concentrazioni della maggior parte degli inquinanti indoor sono generalmente maggiori di quelle outdoor per gli stessi inquinanti (31). Gli inquinanti indoor connessi con il rischio di sviluppare BPCO
sono il fumo di tabacco ambientale (ETS), il particolato respirabile sospeso nell’aria ambiente
(PM), e la combustione di biomasse, fenomeno tipico dei paesi in via di sviluppo (31).
Vari studi hanno dimostrato, nei bambini, una significativa associazione tra esposizione ad ETS
ed una riduzione del fisiologico tasso di incremento del FEV1. La conseguente insufficiente maturazione dell’apparato respiratorio durante l’infanzia può condurre allo sviluppo di BPCO nell’età
adulta (4). Nella popolazione adulta, studi europei hanno evidenziato una associazione significativa
tra sintomi di bronchite cronica e/o diagnosi di BPCO ed esposizione ad ETS (31).
Incrementi delle concentrazioni di PM, prodotto essenzialmente dal fumo di tabacco e da processi di combustione, sono stati correlati con un aumento dell’incidenza di sintomi respiratori ed
alterazioni della funzione polmonare, sia nei bambini sia negli adulti (18).
Stato socio-economico
Questo termine comprende una serie di indicatori come il livello d’istruzione, la posizione lavorativa ed il relativo reddito, le condizioni abitative della casa. Vari studi epidemiologici hanno evidenziato una correlazione tra l’appartenenza ad un basso livello socio-economico ed un aumento del rischio di sviluppare BPCO (4).
Abitudini dietetiche
Il ruolo delle abitudini dietetiche come fattore di rischio per lo sviluppo della malattia è oggi oggetto di numerosi studi (4). In generale, le sostanze ad azione antiossidante sembrano in grado di
esercitare un’azione preventiva, modulando, parallelamente, la fisiologica riduzione della funzione
polmonare legata all’aumento dell’età (4). Vari studi epidemiologici hanno evidenziato come il consumo regolare di frutta e verdura sia correlato ad una riduzione del rischio di sviluppare BPCO (4,18).
Flavonoidi, micronutrienti come il magnesio ed il selenio, gli acidi grassi omega-3, e l’assunzione di
moderate quantità di alcool, sono tuttora studiati per una loro possibile azione protettiva sull’apparato respiratorio. L’abuso d’alcool è stato invece associato a prevalenze più elevate di BPCO e,
più in generale, ad un accelerato declino della funzione polmonare (4,18).
25
FATTORI DI RISCHIO ENDOGENI
Fattori genetici
È nota da tempo una trasmissione genetica di tipo mendeliano, determinante il deficit di un inibitore delle proteasi seriche (l’α-1-antitripsina), associato ad un aumentato rischio di sviluppare, in
età giovanile, enfisema polmonare di tipo panacinare nei soggetti caratterizzati da un pattern genetico a carattere recessivo (ZZ), e la cui espressione fenotipica è influenzata dall’abitudine al fumo di sigaretta (17). Anche la sola condizione di eterozigosi per l’allele Z è ritenuta fattore di rischio
per lo sviluppo di BPCO (4).
Altri fattori genetici da menzionare sono: polimorfismi o mutazioni geniche dell’α-1-antichimotripsina, proteina inibitrice delle proteasi; una ridotta azione detossificante sul fumo di tabacco, da
parte dell’epossido idrolasi microsomiale e del glutatione S-transferasi; un’insufficiente attività antiossidante del fattore eme ossigenasi-1 (17). I gruppi sanguigni (sistema AB0, secretore ABH, di
Lewis), la proteina di legame con la vitamina D, l’antigene d’istocompatibilità HLA e l’α-TNF (Tumour Necrosis Factor) sono attualmente oggetto di studio (4).
È importante sottolineare che una complessa interazione gene-ambiente presiede alla piena
espressione delle caratteristiche fenotipiche dei soggetti (32).
26
BPCO e genere
In molte parti del mondo i tassi di prevalenza della BPCO sono più elevati tra gli uomini rispetto
alle donne: ciò è solitamente attribuito a ridotte prevalenze di tabagismo ed a ridotta esposizione
lavorativa a sostanze nocive in queste ultime. In realtà, il recente aumento della prevalenza dell’abitudine di fumo tra le donne ha fatto registrare un concomitante aumento della prevalenza di
BPCO nello stesso sesso, come riportato, ad esempio, negli USA (21,22).
Malattie respiratorie durante l’infanzia
Numerosi studi epidemiologici hanno evidenziato il ruolo delle malattie respiratorie avvenute durante l’infanzia, come fattore indipendente di rischio per lo sviluppo di BPCO. La permanente condizione di flogosi dell’epitelio respiratorio, determinata da agenti virali o batterici, può esitare in
un’alterata maturazione dell’apparato respiratorio nel corso dell’infanzia, e, nell’età adulta, in una
maggiore vulnerabilità all’azione nociva di altri agenti patogeni come il fumo di sigaretta (4).
Storia familiare
Alterazioni della funzione polmonare sono state associate ad anamnesi familiare positiva per BPCO (18, 33). Questa “aggregazione familiare” per BPCO, talora indipendente dall’abitudine al fumo di
sigaretta, può sottendere una predisposizione genetica per lo sviluppo della malattia, che necessità tuttora ulteriori approfondimenti (4,17).
Costi della BPCO
I costi diretti includono le spese per ricoveri ospedalieri, visite ambulatoriali ed assistenza domiciliare, oltre che per la terapia farmacologica. I costi indiretti sono essenzialmente costituiti dagli effetti disabilitanti della malattia, causa della perdita di giorni lavorativi.
Negli USA, è stato stimato nell’anno 2000, un costo complessivo dovuto alla BPCO di circa 30,4
miliardi di dollari americani, dei quali 14,7 addebitabili a costi diretti e 15,7 a costi indiretti (18).
Nella Comunità Europea (che include i 15 paesi membri fino all’aprile 2004, più Norvegia e Svizzera), il costo annuale totale addebitabile alla BPCO è di circa 38,8 miliardi di euro, dei quali 10,3
miliardi dovuti a costi diretti e 28,5 miliardi attribuibili a costi indiretti (6).
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
2. Epidemiologia e costi socio-economici - A. Scognamiglio, G. Matteelli, F. Pistelli, S. Baldacci, S. Maio, L. Carrozzi, G. Viegi
Nell’ambito dello studio “Confronting COPD in North America and Europe”, è stata recentemente stimata in Italia, a causa della BPCO, una spesa media annuale di 7 1.308,54 per paziente. Il
trattamento di pazienti affetti da BPCO severa è stato assai più costoso (7 6.366) di quello di pazienti con BPCO di grado lieve (7 441) (4).
L’onere della BPCO per le società sviluppate, sia per l’impatto economico sia per l’utilizzazione
delle risorse, appare pertanto rilevante e destinato ad incrementarsi nei prossimi decenni (4).
Conclusioni
La BPCO rappresenta una delle cause più importanti di mortalità e morbosità nei paesi industrializzati. I fattori di rischio per lo sviluppo di tale patologia intersecano variamente le loro azioni.
La BPCO è una patologia sotto-diagnosticata e, spesso, trattata solo nelle fasi avanzate, ed appare un rilevante problema perfino tra giovani adulti. L’elevata prevalenza di fumatori al di sotto
dei 45 anni di età, registrata a livello mondiale, sottolinea la necessità di migliorare la qualità degli
iter preventivi, presupponendo un accresciuto impegno degli specialisti di sanità pubblica e di
pneumologia unito a quello dei medici di Medicina generale. In tal senso, l’attuazione della legge
concernente la tutela della salute dei non fumatori (Art. 51, comma 2, 16 gennaio 2003, n.3, come modificato dall’art. 7/21 ottobre 2003, n.306), costituisce un ulteriore presupposto per un sistematico approccio diagnostico-terapeutico di fronte al soggetto fumatore.
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28
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
2. Epidemiologia e costi socio-economici - A. Scognamiglio, G. Matteelli, F. Pistelli, S. Baldacci, S. Maio, L. Carrozzi, G. Viegi
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3. BPCO: dimensione sociale
A cura di
Mariadelaide Franchi
Presidente Associazione Italiana Pazienti BPCO
3.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), che provoca nel nostro Paese 18.000 morti l’anno e, secondo l’OMS, entro il 2020 potrebbe diventare la terza causa di morte, è una malattia ancora poco “visibile”. Da una recente indagine Eurisko solo il 21% della popolazione italiana ne ha
sentito parlare (1). In Europa la percentuale delle persone con BPCO non diagnosticate raggiunge
l’allarmante livello del 75% (2). Le previsioni per un prossimo futuro sono per un graduale incremento della prevalenza e della mortalità legato principalmente ai seguenti fattori:
- persistenza all'abitudine al fumo, in particolare per la popolazione femminile: la prevalenza
della BPCO nelle donne entro 15 anni è destinata ad aumentare del 130%;
- innalzamento dell'età media della popolazione;
- incremento del rischio d’inquinamento ambientale.
Grazie al Progetto Mondiale BPCO (3) negli ultimi cinque anni sono stati compiuti progressi importanti per la sistematizzazione delle informazioni basate sulle evidenze scientifiche necessarie a migliorare la diagnosi, il trattamento, l’educazione, la riabilitazione e la continuità dell’assistenza.
Le principali questioni aperte sono:
1. Traduzione nella realtà delle acquisizioni scientifiche;
2. Riconoscimento del rilievo sanitario sociale delle malattie croniche respiratorie - tra le quali la
BPCO ha un peso molto rilevante in termini di morbilità, mortalità e costi socio-economici nell’ambito della politica sanitaria e sociale (Piano Sanitario Nazionale e Piani Sanitari delle
Regioni);
3. Inserimento delle malattie respiratorie croniche nel piano di prevenzione attiva del CCM-Centro Nazionale per la prevenzione ed il controllo delle malattie del Ministero della Salute, allo
scopo di attivare a livello regionale gli interventi e le iniziative di screening e di diagnosi precoce, indispensabili per contrastare l’aumento della prevalenza e della mortalità di queste
malattie;
4. L’introduzione della BPCO nel D.M. 329/99 concernente l’elenco delle malattie croniche e invalidanti. Questa richiesta è stata attentamente studiata dalla Direzione Generale della Programmazione che ha sottoposto una proposta favorevole alla Commissione per la definizione
e l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per una decisione finale in merito.
Questo capitolo ha lo scopo di fare il punto sugli aspetti sociali della malattia, della tutela assistenziale ai malati e alle famiglie, della strada fatta e di quella ancora da fare per questa patologia respiratoria, tra le più diffuse e al tempo stesso tra le meno conosciute.
BPCO: importanza e problematica sociale
Nonostante i progressi compiuti nel corso degli ultimi anni, in termini di conoscenze scientifiche
relative al trattamento e alla gestione, la BPCO è ancora oggi una malattia molto sottovalutata
dal medico, dal paziente stesso, dall’opinione pubblica e dalle Istituzioni.
Si tratta di una condizione cronica con un decorso clinico in genere progressivo, irreversibile ed
invalidante che costituisce fonte di sofferenze e di disagi per il paziente e la sua famiglia.
Secondo i dati forniti dall’ISTAT rappresenta in Italia, insieme all’asma, la quarta causa di malattia cronica (6,3% della popolazione totale nel 2001) (4), dopo l’artrite/artrosi, l’ipertensione e le
allergie. La metodologia seguita attraverso questa rilevazione ne sottovaluta tuttavia la prevalenza, che in base a varie fonti, tra cui ricordiamo la recente indagine EURISCO (1), può essere
31
valutata in circa 4 milioni di persone. Nelle forme più avanzate può incidere pesantemente nello
svolgimento delle normali attività quotidiane e presentare elevati costi socio-economici, soprattutto in presenza di frequenti riacutizzazioni, con conseguenti e ripetuti ricoveri ospedalieri o ricorsi alla medicina d’urgenza.
La BPCO provoca nel nostro paese circa 18.000 decessi l'anno, pari al 47% dei decessi per malattie respiratorie (5).
La riduzione degli anni di vita e della sopravvivenza non sono percepite correttamente e riconosciute nella loro dimensione reale né dai pazienti né dalle Istituzioni. Questa è infatti l'unica malattia per cui sia stata registrata una riduzione della aspettativa di vita: se i decessi per coronaropatie sono infatti diminuiti del 59%, per infarto del 64% e per altre malattie cardiovascolari del
35%, le morti per BPCO sono aumentate del 163% (6).
32
Impatto socio-psicologico e qualità di vita
I problemi respiratori dovuti alla BPCO causano limiti significativi in molti campi della normale vita
quotidiana.
La prima indagine condotta allo scopo di misurare l’impatto della BPCO è stata svolta nel periodo 2000-2001 su un campione di 3.265 pazienti negli Stati Uniti, in Canada e in sei paesi europei (Francia, Germania, Italia, Olanda, Spagna e Regno Unito).
L’indagine, denominata “Confronting COPD in North America and Europe” (7) ha fornito dati sui disagi vissuti dal paziente e sui limiti allo svolgimento delle normali attività quotidiane con conseguente scarsa qualità di vita, nonché sull’impatto dovuto agli elevati costi socio-economici.
I risultati più significativi sono i seguenti:
- la BPCO non è solo una malattia “dei vecchi” ma colpisce un gran numero di persone al di sotto di 65 anni (in Italia, 1 intervistato su 4 appartiene alla classe di età 45-54 anni);
- le difficoltà respiratorie causano limiti significativi in molti campi della normale vita quotidiana. In
funzione del livello di gravità la mancanza di respiro interferisce con i più semplici gesti giornalieri, come vestirsi, lavarsi, parlare, ecc., può causare disturbi del sonno e può indurre un progressivo stato di invalidità;
- una caratteristica costante in tutti i paesi è rappresentata da frequenti ricorsi al medico curante e al Pronto Soccorso, da ricoveri ospedalieri per le riacutizzazioni e da giornate perse dal lavoro, con conseguenti elevati costi socio-economici che gravano sul paziente, sulle famiglie e
sulla società nel suo insieme;
- medici e pazienti sono d’accordo sul fatto che negli ultimi anni sono disponibili migliori possibilità di trattamento della BPCO. I pazienti tuttavia sottostimano i propri sintomi e il livello di gravità, mentre sovrastimano il grado di controllo della malattia, e ciò indica quanto sia in generale inadeguata la gestione di questa patologia, con gravi conseguenze soprattutto sulla qualità
di vita;
- molti malati percepiscono negativamente l’atteggiamento del medico che, a causa della ormai
ben dimostrata correlazione con il fumo, tende a considerare il paziente stesso primo responsabile dell’induzione della malattia. Anche questo fatto può incidere sulle possibilità di controllo
ottimale;
- in generale gli intervistati sono molto soddisfatti dell’aiuto ricevuto dal loro medico per la gestione ed il trattamento (50%). Questa percentuale è tuttavia più bassa in Italia rispetto agli altri
paesi (27%). In tutti i paesi, sia i pazienti sia i medici sono d’accordo sul fatto che occorre una
maggiore educazione sulla BPCO e sul modo di gestirla e tenerla sotto controllo.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
3. BPCO: dimensione sociale - M. Franchi
L’indagine identifica numerose barriere per una adeguata gestione della malattia e per il suo controllo ottimale, barriere che si situano a livello della diagnosi, del trattamento, del rapporto medico-paziente, dell’informazione e dell’educazione.
La BPCO porta ad una sostanziale invalidità e perdita di produttività che influisce in modo rilevante sulla qualità di vita del paziente con un consistente impatto economico legato al costo dei
trattamenti prolungati nel tempo ed alle ripetute ospedalizzazioni.
Secondo il progetto IQOLA (International Quality of Life Assessment) (8) le persone affette da
BPCO dichiarano una qualità di vita peggiore sia rispetto alla norma sia rispetto ai soggetti coetanei di riferimento.
Il limite più importante posto dalla malattia riguarda l’esercizio fisico, che influisce sulle normali attività quotidiane lavorative o di svago, sui rapporti sociali e familiari, ecc.
Aspettative dei pazienti
Le richieste più frequenti espresse dai pazienti e dai familiari nei contatti con l’Associazione Italiana Pazienti BPCO sono:
- dove curarsi: quali sono i Centri di eccellenza e gli specialisti ai quali rivolgersi;
- come verificare la validità del trattamento seguito e sapere se ci sono nuove cure;
- come e dove effettuare la riabilitazione respiratoria;
- cosa fare per ottenere l’invalidità, l’assegno di accompagnamento, ecc.;
- come ricevere assistenza domiciliare;
- come ricevere un supporto psicologico;
- come ricevere assistenza giuridica.
Queste esigenze sono confermate dall’analisi di più di 3.000 domande presentate tra il novembre
2003 e il novembre 2004 al Telefono Verde 800 585558 che la Fondazione Italiana PneumologiaUIP mette a disposizione dei cittadini. Quasi il 40% delle telefonate è effettuato da familiari e tra i
malati solo il 50% sa di essere affetto da BPCO.
Politica Sanitaria Nazionale e Piani Regionali
Le malattie respiratorie croniche ricevono scarsa attenzione dalle Istituzioni nell’ambito della politica sanitaria del nostro paese.
Piano Sanitario Nazionale
Il Piano Sanitario nazionale 2003-2005 (9) riconosce il rilievo sociale e l’impatto delle malattie respiratorie e sottolinea la necessità di contrastarne l’aumento di prevalenza e di mortalità attraverso una migliore conoscenza delle cause e dei fattori di rischio e la promozione di campagne di
educazione e formazione per il personale sanitario, i pazienti e le loro famiglie. Il PSN fornisce le
direttive da seguire per il monitoraggio epidemiologico, la definizione dei percorsi diagnostici, il
trattamento, l’assistenza, la prevenzione, l’informazione e la formazione. Si tratta tuttavia di indicazioni di massima che non sono accompagnate da misure programmatiche concrete né dai finanziamenti necessari per la loro realizzazione.
Piano Nazionale di Prevenzione Attiva (2004-2006)
Il Centro Nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie, CCM, è stato istituito presso il
Ministero della Salute con la Legge 138 del 2004, “Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di
pericolo per la salute pubblica”.
Il Centro provvede inoltre al coordinamento con le Regioni del Piano di Prevenzione Attiva istitui-
33
to per contrastare il rischio cardiovascolare, le complicanze del diabete, i tumori prevenibili da
screening e malattie infettive prevenibili da vaccinazione (10).
Le malattie respiratorie croniche dovrebbero far parte delle aree di intervento del Piano di Prevenzione Attiva del CCM, allo scopo di attivare a livello regionale gli interventi e le iniziative di
screening e di diagnosi precoce, indispensabili per ridurre l’aumento della prevalenza e della mortalità di queste malattie.
34
Piani Sanitari Regionali
La lista dei Piani Sanitari Regionali, è riportata alla fine di questo capitolo.
L’analisi di questi documenti mostra in modo molto evidente la scarsa armonizzazione dei contenuti, della metodologia seguita, degli obiettivi e delle azioni concrete previste per la riduzione della prevalenza e della mortalità delle malattie croniche respiratorie, nonché degli interventi per la
prevenzione dei fattori di rischio e per la diagnosi precoce.
I Piani Regionali mettono inoltre in evidenza la carenza di corrette informazioni statistiche ed epidemiologiche, nonché di indicatori sociali e sanitari standardizzati necessari per l’attuazione di
una strategia di interventi e di monitoraggio.
Alcuni piani sono elaborati in modo molto tecnico e forniscono un quadro di riferimento completo, ma la loro attuazione pratica avviene solo dove sono presenti Aziende capaci di tradurre nella realtà le soluzioni suggerite dagli specialisti.
Il fumo e l’inquinamento ambientale sono spesso i principali “appigli” per interventi in favore dei
malati respiratori e dispiace costatare che queste politiche siano dettate allo scopo di prevenire le
malattie cardiovascolari e i tumori, senza chiari riferimenti alla prevenzione delle malattie respiratorie croniche.
Priorità delle Associazioni dei Pazienti
L’EFA, la Federazione Europea delle Associazioni dei Pazienti con Malattie Allergiche e Respiratorie (European Federation of Allergy and Airways Diseases Patients Associations), alla quale hanno aderito Federasma, l’Associazione Italiana Pazienti BPCO e l’ALIR-Associazione per la Lotta
contro l’Insufficienza Respiratoria, ha definito le priorità attraverso il Manifesto Europeo BPCO (11).
Con questa dichiarazione politica per la prima volta le Associazioni europee dei pazienti hanno rivolto un appello al mondo scientifico e alle Istituzioni affinché portino una maggiore attenzione alle condizioni di salute e alla tutela dei pazienti con BPCO, garantendo in primo luogo per tutti la
parità d’accesso alla diagnosi, al trattamento, all’informazione, all’educazione e alla prevenzione.
Obiettivo prioritario è consentire al paziente una migliore sopravvivenza e qualità di vita riducendo il numero delle riacutizzazioni e la loro gravità. Le riacutizzazioni della BPCO rappresentano infatti la principale causa di morbilità e mortalità.
Il Manifesto Europeo BPCO è una sfida a riconoscere la dimensione sociale e l’impatto economico di questa malattia e ad assicurare una più adeguata tutela dei pazienti e delle famiglie.
Il documento definisce una vera e propria strategia di interventi articolati per ognuno dei momenti cruciali necessari al miglioramento delle condizioni di salute e della qualità di vita del paziente:
- riduzione dei fattori di rischio;
- migliore approccio diagnostico nella fase precoce della malattia;
- definizione dei programmi di educazione e di formazione;
- maggiori investimenti economici e sociali per l’integrazione e la continuità del percorso terapeutico, educativo e assistenziale;
- miglioramento della tutela e della continuità dell’assistenza sanitaria, sociale e psicologica.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
3. BPCO dimensione sociale - M. Franchi
Il punto di riferimento per le Associazioni dei Pazienti sono le Linee Guida internazionali GOLD (3),
adattate alla situazione italiana ed aggiornate dalle Società Scientifiche operanti nell’area della
pneumologia. La loro applicazione è indispensabile per garantire un percorso ottimale per la diagnosi, il trattamento, l’educazione, la riabilitazione e la continuità dell’assistenza dei pazienti.
Diagnosi
Il dato più allarmante di cui si dispone in Europa è che solo il 25% delle persone affette da BPCO è
in realtà diagnosticato. L’intervento assolutamente prioritario è quindi quello di individuare sia le persone ad alto rischio sia i malati che non sanno di esserlo e che sfuggono ad ogni controllo medico.
Nonostante le Linee Guida internazionali raccomandino la spirometria come esame essenziale per
la conferma dell’ostruzione bronchiale, e quindi della diagnosi, numerose indagini svolte a livello
internazionale e nazionale hanno evidenziato che una larga percentuale di pazienti non ha mai effettuato questo esame nella sua vita.
In particolare, secondo l’indagine Confronting COPD in North America and Europe (7) il 45% delle
persone con BPCO ha dichiarato di non aver mai effettuato una spirometria.
Campagne di informazione, di sensibilizzazione e di screening dovrebbero figurare negli interventi sanitari regionali al fine di migliorare l’accesso alla diagnosi promuovendo la spirometria in tutte
le persone a rischio, in particolare incrementandone l'uso da parte del medico di Medicina generale. La diagnosi tempestiva e corretta consente al medico di intervenire in una fase precoce della malattia e, nella maggior parte dei casi, di rallentarne la progressione.
Trattamento
Medici e pazienti sono d’accordo sul fatto che negli ultimi anni sono disponibili migliori possibilità
di trattamento delle malattie respiratorie croniche ostruttive.
Attualmente dalla BPCO non si può guarire, tuttavia i trattamenti a disposizione permettono al paziente di avere una migliore sopravvivenza e qualità di vita, specialmente se la diagnosi è tempestiva.
Ciononostante, frequenti ricorsi alla medicina d’urgenza e ripetuti ricoveri ospedalieri indicano un
trattamento inadeguato. La causa principale è che i pazienti hanno difficoltà ad aderire con costanza alle prescrizioni e raccomandazioni del medico, per tutta una serie di motivi, ma anche perché non sono sufficientemente “educati” e non hanno un rapporto regolare e periodico soddisfacente con il loro medico.
Educazione del paziente e della famiglia
Interventi educazionali mirati ad aumentare l’aderenza (compliance) del malato alle prescrizioni e
raccomandazioni del medico curante possono migliorare la qualità di vita e ridurre il rischio di ripetuti ricoveri ospedalieri.
L’indagine “Confronting COPD in North America and Europe” indica che:
- solo il 61% dei pazienti aderisce con regolarità;
- solo il 67% dichiara di aver ricevuto istruzioni dal medico su come usare l’inalatore;
- il paziente sottovaluta i sintomi e la gravità della malattia, ma ne sopravvaluta il controllo.
Risulta così confermato che i pazienti tendono a non seguire con continuità e regolarità le terapie
a lungo termine.
I medici hanno un ruolo determinante in questo processo e devono cercare di dialogare di più con
i pazienti, per aiutarli a prendere coscienza della propria condizione, a gestire la malattia e a va-
35
lutare le reali possibilità di controllarla, con la consapevolezza dell’importanza e del significato del
trattamento, dei suoi rischi e dei suoi vantaggi.
La condizione indispensabile affinché le attese dei pazienti siano realizzate è che l’educazione faccia parte integrante del trattamento e della gestione della BPCO e che l’impegno dei medici e del
personale sanitario operante in questa area sia riconosciuto adeguatamente.
I pazienti non solo devono comprendere la loro malattia e ricevere piani di auto-gestione personalizzati, ma devono conoscere le caratteristiche dei farmaci ed essere addestrati ad usare correttamente i dispositivi inalatori. In tal modo può essere potenziata l’aderenza alla terapia e possono essere prevenute le crisi e le riacutizzazioni.
L’ostacolo principale sembra essere quello del tempo, dato che l’educazione non rientra nella durata delle normali visite mediche, e del costo della formazione. Problemi questi che devono trovare adeguate risposte nell’ambito della politica sanitaria, ed in particolare nella definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).
Formazione del personale sanitario
I programmi di formazione devono comprendere la divulgazione ed implementazione delle Linee Guida GOLD per la diagnosi ed il trattamento della BPCO (Progetto Mondiale BPCO, www.goldcopd.it)
attraverso corsi specifici per il personale sanitario, per i medici di Medicina generale, i medici del
Pronto Soccorso ed altri operatori, tra cui gli infermieri, i tecnici di funzionalità respiratoria e i terapisti della riabilitazione.
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Riabilitazione respiratoria e continuità dell’assistenza
È ormai acquisito il fatto che la riabilitazione ha un ruolo estremamente importante nel trattamento della BPCO.
Le Linee Guida GOLD (3) evidenziano che, pur sulla scorta di un numero limitato di studi, la durata dei programmi di riabilitazione dovrebbe svolgersi su un periodo di due mesi. Tuttavia, maggiore è la durata, migliori e più efficaci risultano i benefici per il paziente.
Infine, è stato dimostrato che l’assistenza infermieristica domiciliare può costituire una valida ed
efficace alternativa al ricovero ospedaliero in pazienti con riacutizzazioni di BPCO senza insufficienza respiratoria con acidosi. La necessità di ridurre i costi sanitari e di limitare i ricoveri ospedalieri dovrebbe indurre a portare maggiore attenzione a questo tipo di cura.
Insufficienza respiratoria cronica
La BPCO porta nella fase più grave ed avanzata all'insufficienza respiratoria cronica che determina
uno stato d’invalidità progressiva, limitando le capacità lavorative e, a lungo termine, lo svolgimento
di una normale vita di relazione.
Si stima che le persone in ventiloterapia o ossigenoterapia a lungo termine, a causa di insufficienza respiratoria cronica conseguente alla BPCO, sono circa 30.000.
Le implicazioni di queste sofferenze sono pesanti in termini sia di costi economici sia di costi sociali ed umani, dato che frequentemente si accompagnano ad un progressivo deterioramento psicologico, dovuto all’inabilità, alla percezione dell’ineluttabilità della malattia e al profondo mutamento delle abitudini di vita.
Allo stato attuale le risorse terapeutiche disponibili sono l’ossigenoterapia a lungo termine e la
ventiloterapia domiciliare che, se attuate in modo precoce, possono controllare e/o ritardare l'evoluzione della malattia. Non esistono tuttavia programmi d’intervento sul territorio, finalizzati ad
assicurare una corretta gestione dei vari livelli di gravità della patologia.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
3. BPCO: dimensione sociale - M. Franchi
Un fatto di particolare rilevanza da un punto di vista prognostico è lo sviluppo di una insufficienza respiratoria acuta in corso d’insufficienza respiratoria cronica. Il trattamento di questo evento
prevede anche l'impiego di ventilazione meccanica invasiva, a cui possono seguire complicazioni ed effetti secondari con ripercussioni negative sulla prognosi a breve e a lungo termine.
L'impiego di tecniche ventilatorie non invasive in ambienti pneumologici specializzati ha notevolmente modificato il decorso di tale condizione patologica.
È indiscutibile la necessità di definire uno specifico percorso assistenziale a tutela dei portatori
d’insufficienza respiratoria cronica che comprenda un migliore assetto territoriale delle strutture di
cura, ivi comprese le Unità di Terapia Intensiva Respiratoria (UTIR).
La prevenzione e il controllo ambientale
Il fumo di tabacco, in particolare quello di sigaretta, è una delle principali cause per l’insorgenza di
BPCO.
Il fumo, infatti, rende più precoce e accentua il normale declino della funzione respiratoria. L’entità del danno broncopolmonare è direttamente proporzionale agli anni durante i quali si sono fumate sigarette, ma anche il numero di sigarette fumate quotidianamente riveste una notevole importanza.
La priorità è dunque intervenire per l’abolizione del fumo, che è indiscutibilmente il primo fattore
di rischio della malattia.
I risultati di un vasto studio presentato al Congresso dell’ATS-American Thoracic Society tenutosi nel maggio 2004 ad Orlando dimostrano che il fumatore che sviluppa BPCO corre un rischio
almeno 3 volte maggiore di essere colpito da tumore al polmone rispetto ai fumatori che non sviluppano BPCO. È quindi evidente l’importanza di controllare i pazienti che hanno fumato per anni per scoprire non solo la BPCO ma anche, in fase sempre più precoce, il tumore del polmone
e avere quindi maggiori possibilità di cura.
Il fumo passivo favorisce la comparsa di sintomi da BPCO anche in presenza di una ostruzione
modesta. Non soltanto i fumatori attivi quindi, ma anche chi vive e lavora in ambienti dove si fuma abitualmente corre il rischio di manifestare tosse, espettorato, senso di ostruzione delle vie respiratorie (12).
Carte del rischio respiratorio
Le Carte del rischio respiratorio sono il frutto di una ricerca multicentrica coordinata dall’Istituto
Superiore di Sanità insieme all’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa e al Dipartimento di
Epidemiologia dell’ASL RME di Roma.
Grazie alle Carte del rischio respiratorio (13) i fumatori potranno sapere, d’ora in poi, quante probabilità hanno di contrarre la BPCO nei prossimi 10 anni della loro vita.
Questo nuovo strumento rappresenta in Italia un’iniziativa unica per le malattie respiratorie e la sua
importanza risulta evidente se si pensa che proprio il fumo è la principale causa evitabile di morbosità e mortalità in Italia, come in tutti i Paesi industrializzati.
Dalle Carte del rischio si possono ricavare due diversi tipi di informazioni:
- la prima, consente ad ognuno di valutare la probabilità di ammalarsi di BPCO nel corso dei
prossimi 10 anni di vita. Per esempio, si può ricavare che un maschio fumatore di 45 anni con
esposizione ambientale e lavorativa avrà nei prossimi 10 anni una probabilità di ammalarsi di
BPCO del 20-39%. A livello di popolazione ciò significa che in quella fascia di popolazione considerata, fra 10 anni, vi saranno probabilmente 20-39 casi di BPCO su 100 individui;
- la seconda, consente di valutare quante volte in più si rischia di contrarre la malattia. Ad esem-
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pio, un maschio di 45 anni, fumatore e con esposizione lavorativa, nei prossimi 10 anni avrà un
rischio superiore di 5 volte di ammalarsi di BPCO rispetto ad un coetaneo non fumatore e senza alcuna esposizione. A livello di popolazione ciò significa che in quella fascia d’età, fra 10 anni, probabilmente vi sarà un aumento di oltre 5 volte nel numero di casi di BPCO tra i fumatori
con esposizione lavorativa, rispetto al numero di casi di BPCO tra i non fumatori senza alcuna
esposizione.
Per ulteriori approfondimenti e informazioni sulle Carte del rischio respiratorio consultare il portale dell’Istituto Superiore di Sanità: www.iss.it.
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Controllo della BPCO in atto
Per quanto concerne il controllo della BPCO in atto, possono essere raccomandate le misure seguenti:
- diagnosi precoce e corretta;
- diffusione capillare della spirometria, esame non invasivo capace di evidenziare eventuali deficit
di respiro di tipo ostruttivo, come esame di screening in tutte le persone a rischio, in particolare incrementandone l'uso da parte del medico di Medicina generale;
- diffusione capillare di un corretto trattamento farmacologico, secondo le Linee Guida GOLD;
- impegno di tutti gli operatori sanitari e politici, delle amministrazioni e dei mass media nella disassuefazione dal fumo di tabacco;
- diffusione capillare della vaccinazione antiinfluenzale (ogni anno) e della vaccinazione antipneumococcica quando raccomandata dal medico;
- diffusione capillare dell’uso di pulsossimetri, di spirometri e di distanziatori in tutte le strutture di
Pronto Soccorso e negli ospedali;
- diffusione territoriale di Reparti attrezzati per la ventilazione meccanica non invasiva in tutti gli
ospedali.
In questo contesto, deve inoltre essere sottolineata l’importanza dell’ambiente lavorativo e la necessità di prevenire, ridurre o eliminare i rischi “occupazionali”.
Controllo ambientale
Sulla base delle evidenze epidemiologiche esiste una correlazione tra incidenza della BPCO, non
solo con l’abitudine tabagica, ma anche con l’inquinamento ambientale.
Il controllo ambientale è un elemento prioritario di salvaguardia della salute e della qualità di vita di
tutti, ma soprattutto di chi ha problemi respiratori ed è quindi importante prevedere iniziative mirate
alla riduzione dei livelli d’inquinamento dell’aria. Ciò richiede modifiche comportamentali e strutturali
importanti.
Il Ministero della Salute ha costituito nel 1998 la Commissione tecnico-scientifica per l'elaborazione di proposte di intervento preventivo e legislativo in materia di inquinamento "indoor", che ha elaborato le “Linee Guida per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati”, pubblicate nella G. U. del 27 novembre 2001, N. 252.
Per le Associazioni dei Pazienti è indispensabile che queste direttive siano finalmente tradotte in
azioni concrete.
Fin dall’inizio degli anni ’90, l’EFA ha denunciato alle Istituzioni europee la scarsa attenzione portata agli effetti dell’inquinamento dell’aria negli ambienti confinati sulla condizione degli allergici ed
asmatici.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
3. BPCO: dimensione sociale - M. Franchi
Nell’ambito del programma di azioni comunitarie sulle malattie legate agli inquinamenti, l’EFA ha
pubblicato nel 2000 uno studio sulla qualità dell’aria nelle scuole che ha messo in evidenza quanto le conseguenze di questo fattore siano sottostimate in molti paesi. A seguito del successo di
questo progetto, l’EFA ha successivamente realizzato, sempre con un contributo finanziario della Commissione Europea, uno studio approfondito per migliorare la conoscenza degli effetti degli
inquinanti all’interno delle abitazioni e per identificare le misure per contrastarli.
I risultati di questo progetto, denominato THADE-Towards Healthy Air in Dwellings in Europe, sono in corso di pubblicazione e possono essere consultati nel sito dell’EFA, www.efanet.org.
Normativa in materia di tutela del malato
L’Associazione Italiana Pazienti BPCO aderisce al Coordinamento Nazionale delle Associazioni
dei Malati Cronici (14) e nell’ambito di questa rete e del Tribunale per i Diritti del Malato ha l’opportunità di interagire con i soggetti istituzionali ai diversi livelli e di formulare proposte per una maggiore tutela del paziente respiratorio cronico condivise da tutte le altre organizzazioni che vi aderiscono.
Le priorità attuali dell’associazione sono:
1. La revisione del Decreto Ministeriale 28 maggio 1999, n. 329 “Regolamento recante norme di
individuazione delle malattie croniche e invalidanti, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lettera a) del
Decreto Legislativo 29 aprile 1998, n. 124” (G.U. 226, del 25/9/1999);
2. La revisione della normativa che concerne l’invalidità civile per quanto riguarda sia i criteri clinici sia le percentuali di invalidità ai sensi del D.M. 5/2/1992, G.U. n. 47 del 26/2/1992. Questi
valori non tengono conto delle più recenti acquisizioni scientifiche e delle classificazioni per gravità definite dalle Linee Guida internazionali ed è quindi auspicabile un aggiornamento e un adeguamento alle attuali definizioni.
Campagne di sensibilizzazione
Dal punto di vista delle Associazioni dei Pazienti è indispensabile che sia accresciuta la consapevolezza dell’opinione pubblica attraverso campagne di informazione ed educazione, volte a responsabilizzare il cittadino quanto al ruolo che egli stesso può svolgere per contrastare i rischi respiratori, modificando i propri comportamenti e stili di vita e prendendo i provvedimenti utili alla
prevenzione.
Un’indagine sulla percezione della prevenzione delle malattie respiratorie, effettuata da Datanalysis nel maggio 2003 su un campione rappresentativo composto da 1.000 cittadini italiani contattati telefonicamente (www.pazientibpco.it), ha messo in evidenza un preoccupante e generale
scetticismo quanto alla possibilità di prevenzione e di tutela della salute dei polmoni da parte degli intervistati. Solo una persona su cinque ha mostrato consapevolezza dei rischi per l’apparato
respiratorio dovuti al fumo. Da qui l’importanza di un’azione capillare di sensibilizzazione volta ad
accrescere la conoscenza della malattia, con iniziative specifiche rivolte alle persone colpite e alle loro famiglie, ma anche all’opinione pubblica ed alle Autorità sanitarie.
Ricordiamo i principali appuntamenti annuali, che hanno certamente prodotto risultati positivi in
termini di diffusione delle conoscenze scientifiche e assistenziali:
- Giornata Nazionale del Respiro (ultimo sabato del mese di maggio);
- Giornata Mondiale senza Fumo (31 maggio);
- Giornata Mondiale BPCO (terzo mercoledì del mese di novembre).
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Dialogo con le istituzioni
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Le Istituzioni hanno un ruolo importante nella lotta alla BPCO perché possono fare delle cose concrete per aiutare a conoscere e combattere la malattia. Per instaurare un dialogo con le Istituzioni su una base di lavoro comune, l’Associazione Italiana Pazienti BPCO ha stilato nel 2004 un vero e proprio “Decalogo delle richieste dei malati di BPCO”, che è stato trasmesso a tutte le Amministrazioni Regionali:
1. Inserire la BPCO nell’agenda politica;
2. Promuovere campagne di sensibilizzazione sul significato della malattia, i sintomi, i fattori di rischio e la sua natura cronica e progressiva;
3. Favorire un largo uso della spirometria;
4. Incoraggiare l’uso della vaccinazione antinfluenzale;
5. Organizzare programmi di formazione per gli operatori sanitari e i medici;
6. Sostenere l’organizzazione di programmi educazionali per i pazienti e i familiari al fine di migliorare la gestione della malattia e arginare il numero e la gravità delle riacutizzazioni, grave
fattore di peggioramento del quadro generale e di riduzione dell’aspettativa di vita del malato;
7. Promuovere standard di cura ottimali;
8. Prevedere maggiori investimenti per assicurare la continuità dell’assistenza sociale e sanitaria a livello territoriale;
9. Stanziare più investimenti per la ricerca;
10.Tutelare il diritto del paziente alla parità di accesso alla diagnosi, al trattamento, all’informazione,
all’educazione, alla prevenzione e ai programmi di riabilitazione respiratoria.
Conclusioni
Il punto di partenza e di arrivo quando si parla di BPCO è che essa costituisce realmente una ve-
ra e propria emergenza di sanità pubblica.
È una malattia che vive un paradosso secondo il quale la sua diffusione è inversamente proporzionale alla sua conoscenza: ossia, nonostante si preveda che diventerà in pochi anni la terza
causa di morte a livello mondiale, e nonostante i progressi compiuti nel corso degli ultimi anni in
termini di conoscenze scientifiche relative al trattamento e alla gestione, la BPCO continua ad essere ancora oggi una malattia molto sottovalutata dal medico, dal paziente stesso, dall’opinione
pubblica e dalle Istituzioni.
Numerose sono le barriere per un’adeguata gestione ed un controllo ottimale della malattia. Barriere che si situano a livello della diagnosi, del trattamento, del rapporto medico-paziente, dell’informazione e dell’educazione.
I pazienti tuttavia sottostimano i propri sintomi e il livello di gravità, mentre sovrastimano il grado
di controllo della malattia, e ciò indica quanto sia in generale inadeguata la gestione di questa patologia, con gravi conseguenze soprattutto sulla qualità di vita.
I medici hanno un ruolo determinante in questo processo e devono cercare di dialogare di più con
i pazienti, per aiutarli a prendere coscienza della propria condizione, a gestire la malattia e a valutare le reali possibilità di controllarla, con la consapevolezza dell’importanza e del significato del
trattamento, dei suoi rischi e dei suoi vantaggi.
L’accesso al trattamento farmacologico, raccomandato dalle Linee Guida internazionali basate
sulle evidenze e sulle più recenti acquisizioni scientifiche internazionali, costituisce la garanzia per
il miglioramento delle condizioni di salute e della qualità di vita dei pazienti e, di conseguenza, per
la riduzione dei costi totali di questa patologia.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
3. BPCO: dimensione sociale - M. Franchi
Sulla base delle conoscenze attuali, è necessaria la definizione di un programma sanitario volto a
ridurre la prevalenza, la mortalità e i costi socio-economici della BPCO. I principali interventi si situano a livello della prevenzione e della ricerca.
Contrastare le malattie respiratorie croniche ostruttive è possibile. Tutte le parti interessate hanno
un ruolo da svolgere per conseguire nuovi traguardi dal punto di vista umano, sanitario, sociale
ed economico.
Le Associazioni dei pazienti
International COPD Coalition - ICC - www.internationalcopd.org
L’International COPD Coalition è un’organizzazione di volontariato composta da organizzazioni
mediche e di pazienti di tutto il mondo che ha lo scopo di migliorare la condizione di salute e l’accesso al trattamento dei malati con BPCO.
Gli obiettivi principali sono:
- definire, finanziare e gestire progetti pilota per migliorare la condizione di salute e l’accesso al
trattamento dei pazienti con BPCO, con particolare attenzione ai paesi in via di sviluppo e alle
aree meno favorite;
- accrescere la conoscenza della BPCO;
- sostenere interventi di prevenzione, diagnosi e terapia della BPCO nell’ambito del sistema sanitario di base;
- migliorare il trattamento dei pazienti con BPCO.
Collaborano con l’ICC importanti organizzazioni quali: EFA (European Federation of Allergy and
Airways Diseases Patients Associations), Australian Lung Foundation, Japanese Respiratory Society, Canadian Lung Foundation e altre organizzazioni degli Stati Uniti e dell’America del Sud.
EFA – European Federation of Allergy and Airways Diseases Patients Associations - www.efanet.org
L’EFA è stata fondata in Svezia nel 1991 per iniziativa di otto paesi europei (Finlandia, Irlanda Islanda, Norvegia, Polonia, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia) allo scopo di migliorare le condizioni di
salute e la qualità di vita dei pazienti asmatici e allergici in Europa. Nel 2000 l’EFA ha modificato
il suo statuto per comprendere nei suoi obiettivi le malattie croniche respiratorie croniche e in particolare la BPCO.
Oggi l’EFA è un importante network di pazienti con 41 associazioni in 22 paesi europei. Le associazioni di pazienti BPCO aderenti all’EFA sono 13.
Associazioni di pazienti in Italia
AIPAS Onlus -Associazione Italiana Pazienti con
Apnee del Sonno
http://www.sleepapnea-online.it/
AMOR-Associazione Milanese di Ossigenoterapia
Riabilitativa
http://divulgativo.pneumonet.it/assovolont.html#associazione
Associazione Italiana Pazienti BPCO
http://www.pazientibpco.it http://www.pazientibpco.it
Associazione Nazionale Alfa1- at
http://divulgativo.pneumonet.it/alpha1at/
ALIR- Associazione Italiana per la Lotta
all’Insufficienza Respiratoria
http://scientifico.pneumonet.it/alir/
Federasma
http://www.federasma.it
RIMAR- Associazione Riabilitazione Malattie
Respiratorie
[email protected]
41
Piani Sanitari Regionali in vigore
REGIONE ABRUZZO
Piano Sanitario Regionale 1999-2001
http://leggi.regione.abruzzo.it/leggireg/1999/l037.html
REGIONE BASILICATA
Piano Sanitario Regionale 1997-1999
http://www.basilicatanet.it/
REGIONE CALABRIA
Piano Sanitario Regionale 2004-2006
http://www.consiglioregionale.calabria.it/hp2/dett_testocoordinato.asp?Codice=2004
REGIONE CAMPANIA
Piano Sanitario Regionale 2002-2004
http://www.edscuola.it/archivio/handicap/italia/psrcampania.pdf
REGIONE EMILIA ROMAGNA
Piano Sanitario Regionale 1999-2001
http://www.saluter.it/wcm/saluter/sanitaer/assessorato/politiche_salute/allegati_pianosanitario_re
gionale_2001/psr/linkpsr/indice.htm
42
REGIONE FRIULI VENEZIA GIULIA
Piano Sanitario Regionale 2000-2002
http://www.farmindustria.it/farmindustria/documenti/friuli.pdf
REGIONE LAZIO
Piano Sanitario Regionale 2002-2004
http://www.regione.lazio.it/sanita/PSR/psr.shtml
REGIONE LIGURIA
Piano Sanitario Regionale 2003-2005
http://www.bur.liguriainrete.it/archiviofile/B_BUR000034604092ss0.pdf
REGIONE LOMBARDIA
Piano Socio Sanitario Regionale 2002-2004
http://www.famiglia.regione.lombardia.it/pss/pss.asp
REGIONE MARCHE
Piano Sanitario Regionale 2003-2005
http://salute.regione.marche.it/media/Files/926_psrmarche.pdf
REGIONE MOLISE
Piano Sanitario Regionale 1997-1999
http://www.regione.molise.it/
REGIONE PIEMONTE
Piano Sanitario Regionale 1997-1999
http://arianna.consiglioregionale.piemonte.it/base/leggi/l1997061.html
REGIONE PUGLIA
Piano Sanitario Regionale 2002-2004
http://www.edscuola.it/archivio/handicap/italia/psrpuglia.pdf
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
3. BPCO: dimensione sociale - M. Franchi
REGIONE SARDEGNA
Piano Sanitario Regionale in corso di preparazione
http://www.regione.sardegna.it
REGIONE SICILIA
Piano Sanitario Regionale 2000-2002
http://www.edscuola.it/archivio/handicap/italia/psrsicilia.pdf
REGIONE TOSCANA
Piano Sanitario Regionale 2002-2004
http://www.rete.toscana.it/sett/sanit/piano.htm
REGIONE UMBRIA
Piano Sanitario Regionale 2003-2005
http://www.regione.umbria.it/resources/Servizio_Sanita/030827A36SO1.pdf
REGIONE VALLE D'AOSTA
Piano Sanitario Regionale 2002-2004
http://www.regione.vda.it/sanita/programmazione/piano_socio_sanitario_2002_2004/piano_socio_sanitario_2002_2004_i.pdf
REGIONE VENETO
Piano Sanitario Regionale 2003-2005
http://www.regione.veneto.it/NR/rdonlyres/5AA6DD6D-482A-491E-80FA-E982C5656D57/181/piano_2003.pdf
PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO
Piano Sanitario Provinciale 2000-2002
http://www.edscuola.it/archivio/handicap/italia/psrbolzano.pdf
PROVINCIA AUTONOMA TRENTO
Piano Sanitario Provinciale 1993-1995
http://www.consiglio.provincia.tn.it/
BIBLIOGRAFIA
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Anto JM, Burney P, for the European Community Respiratory Health Survey (ECRHS) Study Group: An international survey of chronic obstructive pulmonary disease in young adults according to GOLD stages Thorax 2004;59:120–125.
13. Fumo e patologie respiratorie. Le carte del rischio per broncopneumopatia cronica ostruttiva e Tumore Polmonare. Zuccaro P, Pichini S,
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14. Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici. www.cittadinanzattiva.it.
43
4. Anatomia-patologica
A cura di
Graziella Turato, Simonetta Baraldo, Bianca Beghè, Renzo Zuin e
Marina Saetta
Dipartimento di Scienze Cardiologiche Toraciche e Vascolari
Università degli Studi di Padova, Padova
4.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia caratterizzata da una riduzione di flusso aereo non completamente reversibile. Questa riduzione di flusso è progressiva e associata ad un’anomala risposta infiammatoria del polmone a particelle o gas nocivi, come il fumo di sigaretta (1,2). Il fumo di sigaretta è infatti il principale fattore di rischio per lo sviluppo della
BPCO ed è responsabile di circa il 90% dei casi. Tuttavia il fatto che non tutti i fumatori sviluppino la malattia fa supporre che fattori diversi dal fumo di sigaretta, di natura ambientale o genetica, possano contribuire a conferire una particolare suscettibilità ad alcuni individui.
La riduzione di flusso aereo non completamente reversibile che definisce la malattia, riflette l’impatto sulla funzionalità respiratoria delle numerose alterazioni anatomo-patologiche presenti nel
polmone dei soggetti con BPCO. Poiché i principali fattori che determinano il flusso aereo sono la pressione di spinta che lo genera (dovuta alla forza di retrazione elastica del polmone), e
le resistenze che vi si oppongono, una riduzione del flusso aereo può essere causata da una
diminuzione della forza di retrazione elastica del polmone o da un aumento delle resistenze. La
diminuzione della forza di retrazione elastica del polmone è causata principalmente dalla distruzione parenchimale caratteristica dell’enfisema, mentre l’aumento delle resistenze è dovuto
principalmente all’infiammazione delle vie aeree periferiche. Distruzione parenchimale e infiammazione delle vie aeree sono quindi le principali alterazioni responsabili della riduzione di flusso
aereo nella BPCO (3).
Il ruolo di altri fattori, come ad esempio i sintomi di bronchite cronica, nello sviluppo della riduzione di flusso è ancora controverso. Infatti è stato dimostrato che nei fumatori l’iperproduzione di muco non è prognostica di un successivo sviluppo di broncoostruzione (4,5). D’altra parte è
stato riportato che, in pazienti che hanno già sviluppato la broncoostruzione, i sintomi di bronchite cronica sono associati ad un eccessivo declino della funzionalità respiratoria (5,6). È quindi
possibile ipotizzare che l’iperproduzione di muco non sia determinante per l’insorgenza della
BPCO, ma possa svolgere un ruolo nella progressione della malattia. Il sito principale dell’iperproduzione di muco è costituito dalle vie aeree centrali, e sono ormai numerosi gli studi che hanno dimostrato che i sintomi di bronchite cronica sono associati ad un processo infiammatorio
localizzato in queste vie aeree (3).
I fumatori con BPCO vanno incontro a frequenti riacutizzazioni della malattia caratterizzate da
un peggioramento dei sintomi. Fino a poco tempo fa si riteneva che l’unico fattore capace di
accelerare il declino della funzionalità respiratoria nei soggetti con BPCO fosse l’abitudine al fumo di sigaretta. Recentemente è stato dimostrato che un altro fattore in grado di accelerare il
declino del VEMS (volume espiratorio massimo nel primo secondo) è la frequenza delle riacutizzazioni. Infatti, nei pazienti con BPCO che hanno avuto numerose riacutizzazioni, il declino
annuo del VEMS è maggiore rispetto a quello osservato in pazienti che hanno avuto poche riacutizzazioni (7). Alla luce di questa osservazione le riacutizzazioni, che già avevano una notevole
importanza clinica, assumono un ruolo determinante anche nella storia naturale della malattia.
Da queste considerazioni emerge che, nella BPCO, alterazioni anatomo-patologiche possono
interessare le vie aeree centrali, le vie aeree periferiche ed il parenchima polmonare e possono
assumere caratteristiche peculiari nelle diverse fasi cliniche della malattia, ad esempio durante
le riacutizzazioni.
45
Anatomia-patologica nelle vie aeree centrali
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Le vie aeree centrali rappresentano il sito responsabile dell’iperproduzione di muco e quindi della
presenza dei sintomi che caratterizzano la bronchite cronica. Sebbene per molti anni si sia ritenuto che la base morfologica della malattia fosse costituita dall’aumento della massa (ipertrofia)
della ghiandole bronchiali che secernono muco (8), studi più recenti hanno invece dimostrato che
la presenza dei sintomi di bronchite cronica è associata più all’infiammazione delle vie aeree che
all’ipertrofia ghiandolare (9,10).
La caratterizzazione del processo infiammatorio presente nelle vie aeree centrali di soggetti con
bronchite cronica è stata oggetto di numerosi studi. Nelle biopsie bronchiali è stata osservata la presenza di metaplasia squamosa dell’epitelio e di iperplasia delle cellule caliciformi mucipare (11). La zona sottoepiteliale è caratterizzata da un infiltrato infiammatorio costituito prevalentemente da macrofagi e linfociti T (12,13) ed in particolare da linfociti T CD8. Nei pazienti con BPCO i linfociti T CD8,
non sono solo aumentati di numero, ma sono anche correlati con il grado di broncoostruzione, avvalorando l’ipotesi che queste cellule possano avere un ruolo nella progressione della malattia (14).
È interessante notare che mentre nel lume bronchiale dei fumatori con bronchite cronica si osserva un elevato numero di neutrofili, nella sottomucosa non è in genere presente neutrofilia. Questa discrepanza tra lume e parete potrebbe essere dovuta alla rapida migrazione dei neutrofili dai
vasi del circolo bronchiale verso il lume, attraverso la parete e l’epitelio, per cui il loro numero nella zona sottoepiteliale rimane sempre basso. La migrazione dei neutrofili potrebbe essere causata da uno squilibrio tra citochine pro ed anti-infiammatorie. Infatti nei fumatori con BPCO è stata
osservata una riduzione dell’interleuchina (IL)-10 (citochina che riduce la risposta infiammatoria) e
un aumento di IL-8 (citochina con azione chemiotattica sui neutrofili) e del fattore di necrosi tumorale (TNF)-α (citochina che stimola l’espressione delle molecole di adesione) (3). L’osservazione
di una aumentata espressione delle molecole di adesione E-selettina e intracellular adhesion molecole-1 (ICAM-1) sia sui vasi della zona sottoepiteliale che sull’epitelio bronchiale dei fumatori con
BPCO rafforza l’ipotesi che i neutrofili migrino dai vasi del circolo bronchiale al lume attraversando la zona sottoepiteliale e l’epitelio (15).
I neutrofili che, come abbiamo visto, non sono aumentati nella zona sottoepiteliale, sono invece aumentati nelle ghiandole bronchiali dei fumatori con bronchite cronica (10). Poiché l’elastasi dei neutrofili è in grado di esercitare una potente azione secretagoga sulle cellule ghiandolari, la particolare localizzazione dei neutrofili proprio nelle ghiandole potrebbe avere un ruolo cruciale nell’attivazione della loro funzione secretoria e quindi nell’induzione dell’iperproduzione di muco nei fumatori (3).
Anatomia-patologica delle vie aeree periferiche
Le vie aeree periferiche sono il sito responsabile dell’aumento delle resistenze e quindi della riduzione di flusso nei soggetti con BPCO (16). Le principali alterazioni anatomo-patologiche presenti
nelle vie aeree periferiche di soggetti con BPCO comprendono l’infiammazione, la fibrosi, l’ipertrofia del muscolo liscio, la distruzione degli attacchi alveolari e l’iperplasia delle cellule caliciformi
mucipare (17-22). L’infiammazione cronica determina un danno, a cui conseguono processi riparativi della parete bronchiale; questi possono essere responsabili delle alterazioni strutturali che nel
loro complesso vengono definite con il termine “rimodellamento” delle vie aeree. Questi processi
di rimodellamento, aumentando lo spessore della parete, causano il restringimento del lume e
quindi un aumento delle resistenze.
L’infiammazione delle vie aeree può favorire la broncoostruzione non solo attraverso l’aumento
dello spessore della parete, ma anche attraverso la distruzione degli attacchi alveolari, ovvero di
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
4. Anatomia-patologica - G. Turato, S. Baraldo, B. Beghè, R. Zuin, M. Saetta
quelle pareti alveolari che, ancorandosi alle vie aeree, contribuiscono a mantenerle aperte (20). Questa ipotesi è sostenuta dal fatto che il grado di distruzione degli attacchi alveolari è correlato positivamente con il grado di infiammazione delle vie aeree (20). È possibile che l’azione litica di mediatori prodotti dalle cellule infiammatorie che infiltrano la parete bronchiolare indebolisca il tessuto alveolare, facilitandone la rottura, soprattutto nel punto di congiunzione tra parete delle vie aeree e parete alveolare, dove probabilmente lo stress meccanico è massimo.
Un altro meccanismo che, in corso di flogosi delle vie aeree periferiche, può contribuire alla riduzione di flusso aereo, è la sostituzione delle cellule di Clara con cellule caliciformi mucipare metaplastiche (21). Questa sostituzione determina infatti una iperproduzione di muco e una diminuzione
della produzione di surfattante bronchiolare, che attraverso l’occlusione del lume e l’aumento della tensione superficiale, possono favorire la chiusura delle vie aeree, in particolare durante l’espirazione. È interessante sottolineare che, nell’epitelio delle vie aeree dei fumatori, la metaplasia delle cellule caliciformi mucipare è associata ad un aumento del numero di neutrofili (21). Poiché, come abbiamo già visto, l’elastasi neutrofila può svolgere un’importante azione secretagoga, è possibile che la presenza dei neutrofili nell’epitelio sia rilevante ai fini dell’attivazione della funzione secretoria delle cellule caliciformi mucipare.
Di notevole interesse è l’osservazione che i neutrofili sono aumentati di numero oltre che nell'epitelio anche nei fasci della muscolatura liscia delle vie aeree periferiche (23). Poiché i neutrofili non
sono normalmente presenti nella parete delle vie aeree nei soggetti con BPCO, la loro presenza
proprio nei fasci muscolari fa ipotizzare che queste cellule possano svolgere una funzione specifica in questo particolare compartimento. Infatti i mediatori prodotti dai neutrofili, come ad esempio l’IL-8, sono in grado di stimolare la contrazione del muscolo liscio e quindi di contribuire alla
broncoostruzione restringendo il lume delle vie aeree. Gli stessi mediatori sono anche in grado di
stimolare la proliferazione delle cellule muscolari e quindi potrebbero spiegare l’aumento della
massa di muscolo liscio osservata nei soggetti con BPCO (17,18). Questo aumento dell’area occupata dal muscolo liscio contribuisce ad aumentare lo spessore della parete favorendo la broncoostruzione.
Gli studi che hanno esaminato la risposta infiammatoria nelle vie aeree periferiche hanno dimostrato che è caratterizzata da un aumento dei linfociti B nell’avventizia (24) e da un aumento dei
linfociti T CD8+ nella zona sottoepiteliale (17). È interessante sottolineare che un aumento di linfociti T CD8+ è presente non solo nelle vie aeree periferiche ma anche nelle vie aeree centrali, nel parenchima polmonare, nelle arterie polmonari (25) e nei linfonodi di soggetti con BPCO (26), avvalorando l’ipotesi che un processo infiammatorio omogeneo (caratterizzato dallo stesso tipo cellulare) coinvolga l’intero albero tracheobronchiale. Inoltre, in ognuno di questi compartimenti, i linfociti T CD8+ non sono solo aumentati di numero ma sono anche correlati al grado di broncoostruzione, facendo supporre che queste cellule possano avere un ruolo importante nella progressione della malattia. La principale attività dei linfociti T CD8+ è la rapida risoluzione delle infezioni
virali, che sono un evento frequente nei soggetti con BPCO. È possibile che, in risposta a ripetute infezioni virali, possa verificarsi un eccessivo reclutamento di linfociti T CD8+, e che l’attività citotossica di questo eccesso di linfociti possa danneggiare il polmone attraverso il rilascio di perforine ed enzimi proteolitici (granzimi) (3,27).
I linfociti T, in base al tipo di citochine prodotte, possono essere divisi in linfociti di tipo 1 e linfociti di tipo 2. I linfociti di tipo 1 producono l’interferone γ (IFN-γ), che ha un ruolo cruciale nell’attivazione dei macrofagi e nella risposta alle infezioni virali e batteriche. I linfociti di tipo 2 producono l’interleuchina 4 (IL-4) e l’interleuchina 5 (IL-5), che sono coinvolte nella risposta IgE-mediata e
nell’eosinofilia, caratteristiche delle malattie allergiche; le due classi di linfociti inoltre esprimono re-
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cettori per le chemochine diversi. In particolare, il recettore CXCR3 viene espresso esclusivamente dai linfociti di tipo 1 e può essere pertanto considerato un marcatore di questo tipo di risposta infiammatoria. Il primo studio che ha quantificato l’espressione del CXCR3 nelle vie aeree
periferiche dei fumatori con BPCO ha dimostrato un aumento di questo recettore nell’epitelio e
nella parete bronchiale (28). Inoltre l’espressione del CXCR3 era associata ad aumento dell’espressione del suo ligando IP-10 (o CXCL10) ed era localizzata principalmente su linfociti T IFN-γ positivi. In uno studio successivo, Grumelli e collaboratori hanno confermato ed esteso questi risultati. Esaminando linfociti T isolati da tessuto polmonare, hanno dimostrato che i pazienti con
BPCO hanno un’elevata percentuale di linfociti T CD4+ e CD8+ che esprimono il recettore per le
chemochine CXCR3 e che secernono IFN-γ e IP-10 (29). L’interazione tra CXCR3 e IP-10 sembra
essere quindi di fondamentale importanza nel reclutamento dei linfociti T nelle vie aeree periferiche dei fumatori con BPCO. Inoltre, i risultati di questi due studi sembrano confermare che la risposta infiammatoria caratteristica della BPCO sia di tipo 1. Lo studio di Grumelli e collaboratori
ha anche dimostrato che, in risposta a IP-10, i macrofagi rilasciano la metalloproteasi di matrice
MMP–12, che è in grado di degradare l’elastina causando danni al tessuto polmonare e quindi
enfisema. Questo suggerisce che, nel polmone di fumatori con BPCO, i linfociti Th1 partecipino,
assieme ai macrofagi, al processo di distruzione parenchimale attraverso l’aumentata espressione di CXCR3 ed il rilascio di IP-10 e di MMP-12 (29). Questa ipotesi è rafforzata dall’osservazione
che, in entrambi gli studi appena descritti, l’espressione di CXCR3 sui linfociti Th1 è correlata con
la riduzione del flusso espiratorio, che può riflettere la gravità dell’enfisema.
Nei pazienti con BPCO si assiste ad un progressivo peggioramento della funzionalità respiratoria,
che in alcuni casi può diventare estremamente grave e invalidante. Lo studio del quadro anatomo-patologico presente in questi pazienti è particolarmente interessante per comprendere perché tra i fumatori solo alcuni sviluppino la BPCO grave. Recentemente, esaminando prelievi chirurgici ottenuti da pazienti sottoposti a intervento chirurgico di riduzione dei volumi polmonari per
enfisema, è stato dimostrato che nelle vie aeree periferiche di soggetti con BPCO grave vi è
un'amplificazione del processo infiammatorio indotto dal fumo di sigaretta (30). Il numero di leucociti totali (CD45+) che infiltrano la parete è infatti più che raddoppiato rispetto a quello presente in
soggetti fumatori senza BPCO (fig. 1). La quantificazione delle diverse cellule infiammatorie ha dimostrato che questa risposta infiammatoria è dovuta ad un aumento di linfociti T CD8+ e CD4+
nella parete e ad un aumento di macrofagi nell'epitelio. È interessante osservare che la risposta
infiammatoria è correlata con numerosi parametri clinico-funzionali come la riduzione di flusso aereo, il grado di iperinflazione polmonare, la riduzione della capacità di diffusione del CO e il grado
radiologico di enfisema (30).
Figura 1 – Immagine al microscopio ottico che mostra l’infiltrazione di leucociti totali (CD45+) in una via aerea
periferica di un soggetto con BPCO grave (a) e di un soggetto con BPCO lieve di controllo (b).
Colorazione immunoistochimica con anticorpo anti CD45 (blu scuro). Ingrandimento originale: 400X.
a
b
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
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Questi risultati avvalorano l’ipotesi che l’amplificazione della risposta infiammatoria nelle vie aeree
possa svolgere un ruolo nella progressione della BPCO.
Ciascuno degli studi finora discussi ha preso in considerazione piccoli gruppi di pazienti con BPCO,
che avevano un grado di broncoostruzione omogeneo (BPCO lieve/moderata o BPCO grave), per
cui le conclusioni che si sono potute trarre erano limitate ad una particolare condizione clinica. Mancavano quindi in letteratura studi che avessero esaminato l’evoluzione delle lesioni anatomo-patologiche in un’ampia casistica di pazienti con BPCO a diversi stadi di gravità. Recentemente il
gruppo di James Hogg ha colmato questa lacuna esaminando campioni di tessuto polmonare ottenuti da 159 pazienti con BPCO suddivisi nei 4 stadi di gravità descritti dalle Linee Guida GOLD
(22)
. Questo studio ha dimostrato che le alterazioni anatomo-patologiche nelle vie aeree periferiche
aumentano progressivamente con la gravità della BPCO. Infatti, passando dallo stadio 0 allo stadio 4, è stato osservato un aumento dell’essudato infiammatorio nel lume che gli Autori hanno interpretato come risposta dell’immunità naturale, non specifica, a stimoli dannosi. La progressione della BPCO era inoltre associata ad un aumento della percentuale di vie aeree infiltrate da cellule infiammatorie (in particolare linfociti T e B). Nei pazienti più gravi, queste cellule infiammatorie
erano organizzate in veri e propri follicoli con un centro germinale ricco di linfociti B, circondato
da una regione periferica ricca di linfociti T. Questa precisa organizzazione della risposta infiammatoria ha suggerito l’ipotesi che, con il progredire della BPCO, si sviluppi una risposta immunologica acquisita nei confronti di un antigene specifico. Sebbene questo antigene non sia stato ancora identificato, gli autori hanno ipotizzato che la colonizzazione batterica delle vie aeree periferiche, evento frequente nei pazienti con BPCO grave, possa indurre questa risposta antigenespecifica (22). Infine questo studio ha dimostrato che la progressione della BPCO è associata ad un
ispessimento della parete delle vie aeree periferiche, dovuto all’aumento dello spessore di tutte le
sue componenti (epitelio, sottomucosa, muscolo liscio e avventizia). Questo rimodellamento della parete bronchiolare è probabilmente dovuto a dei processi riparativi inadeguati, che vengono
attivati in risposta al danno polmonare indotto dal processo infiammatorio.
Anatomia-patologica del parenchima polmonare
La principale alterazione strutturale del parenchima polmonare nei soggetti fumatori con BPCO è la
distruzione parenchimale che caratterizza l’enfisema e che contribuisce alla riduzione di flusso attraverso una diminuzione della forza di retrazione elastica del polmone. L’enfisema viene definito
come distruzione e allargamento degli spazi aerei distali al bronchiolo terminale in assenza di evidenti segni di fibrosi (31). Tuttavia, quest’ultima affermazione ”assenza di evidenti segni di fibrosi” è
oggi controversa, poiché alcuni studi hanno dimostrato che l’enfisema è associato ad un aumento della deposizione di collagene e quindi alla presenza di fibrosi (32,33). L’enfisema può essere
definito centroacinare o panacinare in base della regione dell’acino interessata dal processo di distruzione (34). A questo proposito può essere utile ricordare che l’acino polmonare è l’unità di parenchima ventilata da un bronchiolo terminale. L’enfisema centroacinare è caratterizzato da aree
di distruzione localizzate intorno ai bronchioli terminali, nella zona centrale dell’acino, circondate
da aree di parenchima normale. L’enfisema centroacinare è caratteristico dei fumatori che sviluppano enfisema dopo una lunga storia di esposizione al fumo ed è localizzato prevalentemente nei
lobi superiori del polmone. L’enfisema panacinare è caratterizzato da una distruzione omogenea
di tutto l’acino polmonare (34), è caratteristico dei pazienti che sviluppano enfisema in età relativamente giovane (solitamente nei soggetti con deficit di α-1-antitripsina) ed è localizzato prevalentemente nei lobi inferiori. Sebbene nei pazienti con BPCO i due tipi di enfisema possano coesistere, nelle forme più gravi spesso si osserva la prevalenza di uno dei due tipi. È stato osservato
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che, nei fumatori con enfisema prevalentemente centroacinare, la riduzione di flusso aereo è correlata al grado di infiammazione delle vie aeree e non alla perdita della retrazione elastica del polmone, mentre, al contrario, nei fumatori con enfisema prevalentemente panacinare, la riduzione
di flusso aereo è correlata alla perdita di forza di retrazione elastica del polmone, ma non al grado di infiammazione delle vie aeree. Sulla base di queste considerazioni è stato ipotizzato che
l’enfisema centroacinare possa essere una malattia “air-borne”, cioè che origina dalle vie aeree infiammate, mentre l’enfisema panacinare sarebbe invece una malattia “blood-borne”, che origina
da uno squilibrio delle sostanze circolanti nei vasi sanguigni, come nel caso del deficit di α-1-antitripsina (34).
Il processo di distruzione non è l’unica alterazione anatomo-patologica presente nel parenchima
dei soggetti con BPCO. Recentemente è stato dimostrato che, nel parenchima polmonare di
questi soggetti, è presente un processo infiammatorio caratterizzato da un aumento di linfociti T
CD8 quando la BPCO è lieve (25) e da un aumento di tutte le cellule infiammatorie quando la malattia diventa grave (35). Sia i meccanismi responsabili dell’infiammazione parenchimale che il ruolo
svolto da questo processo infiammatorio nello sviluppo della distruzione parenchimale rimangono ancora ampiamente sconosciuti.
Il recente sviluppo delle tecniche di tomografia computerizzata (TC scan) ha evidenziato che un
quadro radiologico compatibile con la presenza di enfisema è riscontrabile in circa il 40% dei fumatori e, sorprendentemente, può essere presente anche in fumatori con funzionalità respiratoria
normale. Tuttavia l’ipotesi che la presenza precoce di enfisema sia prognostica di un futuro sviluppo di broncoostruzione non è ancora stata adeguatamente studiata. L’osservazione che il 40%
dei fumatori sviluppano enfisema, ma solo il 15% sviluppano broncoostruzione conclamata probabilmente riflette il lungo decorso subclinico della BPCO (27) durante il quale i danni indotti dal fumo rimangono silenti nel polmone anche per molti anni.
Anatomia-patologica delle riacutizzazioni di BPCO
I fumatori con BPCO vanno incontro a frequenti riacutizzazioni della malattia. Sebbene una definizione standardizzata di riacutizzazione di BPCO non sia stata ancora formulata, una riacutizzazione lieve può essere definita clinicamente come un peggioramento dei sintomi di dispnea, tosse ed
espettorato tale da far ricorrere il paziente alle cure mediche, mentre una riacutizzazione può essere considerata grave quando è associata ad insufficienza respiratoria acuta (36). È importante sottolineare che non tutte le riacutizzazioni sono caratterizzate da una riduzione marcata della funzionalità respiratoria.
I fattori eziologici delle riacutizzazioni di BPCO non sono ancora del tutto noti, tuttavia appare sempre più evidente il coinvolgimento di infezioni, sia batteriche sia virali. I meccanismi attraverso i quali
queste infezioni possono causare le riacutizzazioni della BPCO sono poco conosciuti e ciò è in parte dovuto al fatto che soltanto pochi studi istopatologici hanno esaminato pazienti con BPCO durante una riacutizzazione. I risultati di questi studi, eseguiti su biopsie bronchiali, lavaggio broncoalveolare e, più recentemente, su espettorato spontaneo o indotto, hanno dimostrato un'amplificazione del processo infiammatorio associato ad un aumento della produzione di citochine proinfiammatorie (37-41). In particolare, le riacutizzazioni della BPCO sono caratterizzate da un marcato reclutamento di granulociti neutrofili nel polmone. Questa neutrofilia si associa ad una aumentata
espressione della chemochina IL-8 (o CXCL8) che ha azione chemotattica sui neutrofili, e dell’enzima mieloperossidasi che è un indice di attivazione dei neutrofili (37,38). Inoltre, durante le riacutizzazioni di BPCO si osserva un aumento di TNF-α (38), una citochina capace di aumentare l'espressione delle molecole di adesione sulle cellule endoteliali, facilitando così la migrazione dei leucociti dai
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
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vasi del circolo bronchiale al tessuto polmonare. Nelle biopsie bronchiali di soggetti con una riacutizzazione lieve di BPCO, si è visto che la neutrofilia è associata ad una marcata eosinofilia e ad un
aumento delle chemochine eotassina e RANTES (Regulated upon Activation Normal T cell Expressed and Secreted) (39,40). Questi risultati fanno ipotizzare che le infezioni virali, capaci e di indurre la produzione sia di eotassina sia di RANTES, abbiano un ruolo importante nelle riacutizzazioni
della BPCO. Poiché RANTES è in grado di promuovere l'apoptosi di cellule infettate da virus agendo in sinergia con i linfociti T CD8, è possibile che un aumento di RANTES dovuto a ripetute riacutizzazioni virali possa favorire la distruzione del tessuto alveolare nella BPCO che, come abbiamo visto, è caratterizzata proprio da un infiltrazione di linfociti T CD8. Pertanto, come suggerito da
Zhu e collaboratori, attraverso questo meccanismo le riacutizzazioni virali potrebbero favorire lo sviluppo di enfisema e quindi la perdita di funzionalità respiratoria (40), un’ipotesi rafforzata dalla recente osservazione che nei soggetti con BPCO, una maggior frequenza di riacutizzazioni è associata
ad un maggior declino della funzionalità respiratoria (7). D’altra parte è stato proposto che anche le
infezioni batteriche possano avere un ruolo nelle riacutizzazioni di BPCO. Questa ipotesi è avvalorata dalle osservazioni che, in corso di riacutizzazione, i livelli di IL-8 correlano con il numero di unità
formanti colonie batteriche (41). Oltre alla chemochina IL-8 (o CXCL-8), anche CXCL-5 sembra avere un ruolo cruciale nel reclutamento dei neutrofili durante le riacutizzazioni di BPCO, soprattutto
quelle più gravi. Infatti Qiu e collaboratori hanno recentemente dimostrato che, in pazienti con riacutizzazioni di BPCO così gravi da sviluppare insufficienza respiratoria e richiedere ventilazione
meccanica invasiva, la neutrofilia era associata ad un aumento dell’espressione di CXCL-8 e ancor
più di CXCL-5 (42). Poiché CXCL-5 e CXCL-8 non sono espresse nel polmone di pazienti con
BPCO in fase di stabilità, è ipotizzabile che l’espressione di queste chemochine indichi l’attivazione “de novo” di una serie di eventi che porta al reclutamento dei neutrofili (43). Chiarire questi eventi che sono alla base delle riacutizzazioni di BPCO è fondamentale sia per prevenirle sia per sviluppare nuove e più efficaci terapie. Quest’obiettivo è di importanza primaria poiché è stato dimostrato che, tra i pazienti con riacutizzazioni di BPCO gravi che richiedono ricovero ospedaliero, la
mortalità a due anni è del 49%, un tasso drammatico, simile a quello del tumore del polmone (44).
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Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
4. Anatomia-patologica - G. Turato, S. Baraldo, B. Beghè, R. Zuin, M. Saetta
53
5. Quadri clinici e stadiazione
A cura di
Anna Maria Moretti (1) e Caterina Brindicci (2)
(1)
(2)
Struttura Complessa II° Pneumologia, Ospedale S. Paolo, Bari
Royal Brompton Hospital, NHLI, Imperial College, Londra
5.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una patologia cronica ad alta prevalenza,
caratterizzata da mortalità elevata, capacità di condizionare in modo significativo la qualità di
vita dei pazienti che ne sono affetti e di determinare un ingente utilizzo di risorse sanitarie ed
economiche. La BPCO, secondo le Linee Guida GOLD, è un “quadro nosologico caratterizzato da progressiva limitazione del flusso aereo non completamente reversibile, associata ad una
risposta infiammatoria polmonare conseguente all’inalazione di particelle o gas nocivi” (1).
Pertanto la sintomatologia, le alterazioni funzionali e le complicanze della BPCO possono trovare
una spiegazione nel quadro flogistico polmonare e nelle conseguenti alterazioni anatomo-patologiche. Diagnosi e trattamento di questa patologia si sono attualmente arricchiti di nuovi ed efficaci strumenti e sono codificati da Linee Guida autorevoli supportate da solide evidenze scientifiche.
Sappiamo che la diagnosi di BPCO nella popolazione generale è sottostimata, che la spirometria,
metodica indispensabile per diagnosticare correttamente la BPCO e valutarne la progressione, è
sottoutilizzata, che molti pazienti non ricevono un trattamento adeguato. D’altra parte, una esatta
diagnosi e una corretta valutazione dei sintomi e della funzione consentono di attuare precocemente provvedimenti capaci di migliorare la qualità di vita e rallentare la progressione della patologia.
Il fumo di sigaretta rappresenta il più importante fattore di rischio nell’insorgenza della BPCO. La
relazione fra il fumo di sigaretta e l’infiammazione è stata studiata molto dettagliatamente (2-9), ma
studi recenti dimostrano che l’infiammazione è presente anche nei polmoni dei fumatori asintomatici con caratteristiche simili per tipologia, ma di minore intensità di quella osservata nei soggetti con BPCO (10-15). Numerosi studi hanno dimostrato che altri tipi di particelle (ad esempio, gli
scarichi dei motori diesel o le polveri di cereali) possono indurre infiammazione nelle vie respiratorie (16-18). È probabile che l’inquinamento degli ambienti interni, determinato dai prodotti di combustione di combustibili da biomasse, abbia effetti simili.
Nel corso della BPCO le alterazioni caratteristiche sono l’ipersecrezione mucosa, la disfunzione
delle ciglia, la riduzione del flusso aereo espiratorio, l’iperdistensione polmonare, le alterazioni
dello scambio gassoso, l’ipertensione polmonare ed il cuore polmonare. Tali alterazioni contribuiscono all’insorgenza dei sintomi caratteristici della malattia quali tosse cronica, espettorazione e dispnea. La tosse cronica e l’espettorazione rappresentano le manifestazioni cliniche più
caratteristiche dell’infiammazione bronchiale, che provoca ipersecrezione mucosa ed alterazione della clearance muco-ciliare. In corso di BPCO l’espettorato prodotto non viene totalmente
eliminato a causa di una clearance inefficace. La dispnea è la percezione di un respiro alterato
e la sua intensità viene influenzata da svariati fattori. Nella BPCO la dispnea è soprattutto la conseguenza di un’alterata meccanica respiratoria. Nelle fasi iniziali della malattia la dispnea compare dopo sforzo fisico, ma può essere presente anche a riposo se le alterazioni della meccanica respiratoria divengono gravi.
Stadiazione
La gravità della BPCO attualmente si classifica in 4 livelli e la classificazione si basa sulla riduzione del flusso aereo espiratorio, oltre che sulla presenza di sintomi caratteristici che inducono il paziente a recarsi dal medico.
I livelli di gravità di patologia sono così definiti:
Livello 0 (a rischio): presenza di tosse cronica ed espettorazione. La funzionalità ventilatoria,
misurata con metodica spirometrica, è ancora nella norma.
55
Livello I (BPCO lieve): presenza di lieve riduzione del flusso aereo espiratorio (VEMS/CVF <70%,
ma VEMS >80% del teorico) e presenza non obbligatoria di tosse ed espettorazione. In molti casi il paziente in tale stadio è asintomatico.
Livello II (BPCO di media gravità): peggioramento della broncoostruzione (50% <VEMS <80%
del teorico) e aggravamento dei sintomi caratteristici, con particolare riguardo alla dispnea da
sforzo.
Livello III (BPCO grave): ulteriore peggioramento della broncostruzione (30% <VEMS <50% del
teorico), incremento della dispnea e presenza di frequenti episodi di riacutizzazione che influiscono negativamente sulla qualità di vita dei pazienti.
Livello IV (BPCO molto grave): grave ostruzione bronchiale (VEMS <30% del predetto) e presenza di insufficienza respiratoria cronica definita da una pressione parziale di ossigeno arterioso
(PaO2) inferiore a 60 mmHg con o senza una pressione parziale della CO2 (PaCO2) superiore a 50
mmHg e caratterizzata da manifestazioni di insufficienza cardiaca destra (cuore polmonare) quali
turgore delle vene giugulari ed edemi declivi.
56
In pazienti con malattia grave, la pressione arteriosa polmonare è di solito solo modestamente aumentata a riposo, ma aumenta significativamente durante lo sforzo e, se non trattata, lentamente peggiora. Nella BPCO avanzata, la principale causa di ipertensione polmonare è l’ipossia che
causa vasocostrizione delle arterie polmonari e determina rimodellamento della parete vasale (19).
L’ipertensione polmonare determina lo sviluppo di cuore polmonare, caratterizzato da ipertrofia
del ventricolo destro, anche se in alcuni pazienti la funzionalità ventricolare destra sembra essere
conservata nonostante l’ipertensione polmonare (20).
La BPCO è attualmente considerata una patologia sistemica perché si associa a manifestazioni
infiammatorie a carico di altri organi o apparati, causate da stress ossidativo sistemico (21), anormale concentrazione di citochine circolanti (29) e attivazione delle cellule infiammatorie (22,24). Le alterazioni a carico dell’apparato osteo-muscolare, comprendono la perdita progressiva di massa
muscolo-scheletrica e la presenza di diverse alterazioni bioenergetiche (25) che contribuiscono a limitare la tolleranza allo sforzo fisico, determinando un peggioramento delle condizioni cliniche del
paziente ed un impatto negativo sulla prognosi (26).
Sintomi della BPCO
I sintomi della BPCO sono caratteristici e si relazionano allo stadio di malattia.
Allo Stadio 0 ed allo Stadio I i sintomi caratteristici sono la tosse cronica e la produzione di
escreato. Questi sintomi possono essere presenti per molti anni prima che compaiano le caratteristiche anomalie funzionali e spesso sono tenuti in scarsa considerazione dai pazienti.
Nello Stadio II i pazienti iniziano a soffrire di una difficoltà respiratoria capace di interferire con le
attività quotidiane e molti pazienti si rivolgono al medico in questo stadio. Il ricorso al medico curante però in molti casi si verifica solo a seguito di un peggioramento acuto in corso di un’infezione dell’apparato respiratorio.
Nello Stadio III sono presenti tosse e produzione di espettorazione abbondante, accompagnati
da peggioramento della dispnea.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
5. Quadri clinici e stadiazione - A. M. Moretti, C. Brindicci
Tosse: la tosse cronica è di solito il primo sintomo che insorge in corso di BPCO. Il paziente, ritenendola un’inevitabile conseguenza dell’esposizione al fumo e/o a fattori ambientali, spesso la
sottovaluta. All’inizio la tosse può essere occasionale, stizzosa, ma con il progredire della malattia diventa catarrale e si presenta quotidianamente, talora anche nelle ore notturne.
Escreato: la regolare produzione di escreato per 3 o più mesi/anno per almeno 2 anni consecutivi rappresenta una caratteristica della definizione di bronchite cronica. L’espettorato può essere
denso e presentarsi dopo accessi di tosse. È spesso difficile quantificare la produzione di escreato, perché i pazienti ne trascurano spesso un corretto esame.
Dispnea: la dispnea costituisce la principale motivazione per la quale i pazienti si rivolgono al medico ed è la causa principale di invalidità ed ansia legate alla malattia. È descritta, dai pazienti affetti da BPCO, come una sensazione di aumentata fatica respiratoria e di fame d’aria. Attualmente
la dispnea viene misurata in maniera semplice mediante il questionario del British Medical Research Council (MRC). Nella BPCO tale sintomo è persistente e progressivo; nelle prime fasi di
malattia compare solo dopo sforzo (per esempio, salire rapidamente una rampa di scale) che il
paziente tende accuratamente ad evitare. Con il progredire della malattia, la dispnea peggiora determinando un deterioramento della qualità di vita, quando il paziente realizza di avere difficoltà a
svolgere attività, regolarmente svolte da soggetti della stessa età. Negli stadi avanzati della BPCO la dispnea è presente anche durante lo svolgimento delle normali attività quotidiane, quali vestirsi o lavarsi, ed in corso di insufficienza respiratoria compare anche a riposo.
Sintomi sistemici: nella BPCO avanzata sono frequentemente presenti calo ponderale ed anoressia. L’emoftoe può essere presente in corso di riacutizzazioni respiratorie, ma la sua presenza deve costituire sempre motivo di approfondimento diagnostico nel sospetto di altre patologie
respiratorie (TBC, neoplasia polmonare). Una tosse particolarmente intensa può talvolta essere
causa di dolore toracico associato occasionalmente a fratture costali che possono decorrere
asintomatiche. La depressione e l’ansia sono i sintomi psichiatrici più frequenti nei pazienti affetti
da BPCO in fase avanzato. Gli edemi declivi possono rappresentare l’unico segno che indica
l’insorgenza di cuore polmonare.
Sintomi in corso di riacutizzazioni: le riacutizzazioni hanno un notevole impatto sulla qualità di
vita del paziente, sulla evoluzione della malattia e determinano un frequente ricorso alle strutture
sanitarie.
Gestione della malattia
Lo spettro di gravità è estremamente ampio e può variare dal lieve e transitorio incremento dei sintomi, gestibili autonomamente da parte del paziente ben istruito, fino a condizioni di estrema gravità per
le quali è necessario il ricovero in unità di terapia intensiva.
La decisione relativa alla opportunità di ricoverare un paziente con BPCO riacutizzata può influenzare in modo significativo sia la prognosi sia la qualità di vita del paziente.
Non vi è dubbio che la gestione complessiva di una patologia cronica ad elevato impatto sociale, quale è la BPCO, necessiti dell’azione coordinata di differenti figure professionali e che non possa esaurirsi completamente né nell’ambito delle cure primarie né in quello della medicina specialistica. È fondamentale pertanto disegnare, attuare e valutare un sistema di cura che si faccia carico della malattia in tutte le sue fasi e che preveda una forte integrazione di tutte le figure professionali coinvolte.
57
58
È pertanto estremamente difficile tracciare un confine tra i livelli di competenza della Medicina generale e della Medicina specialistica. Senza dubbio allo pneumologo è affidata la supervisione dei
pazienti, giunti presso le strutture ospedaliere o specialistiche territoriali, che può concludersi, dopo una valutazione clinica e strumentale (spirometria, Rx torace, emogasanalisi), con il riaffidamento al medico di Medicina generale ovvero con ricovero in DH, in reparto di degenza o in terapia intensiva.
Al medico di Medicina generale è affidato il compito di identificare correttamente e tempestivamente i sintomi e segni della riacutizzazione, di valutare l’opportunità dell’attivazione dell’assistenza domiciliare integrata o del ricovero ospedaliero, di gestire, in collaborazione con lo specialista, il trattamento domiciliare dopo l’eventuale ricovero.
Le Linee Guida GOLD evidenziano che “I soggetti che presentano tosse cronica ed escreato ed
una storia di esposizione a fattori di rischio dovrebbero essere studiati, anche se non riferiscono
dispnea, per valutare la presenza di una riduzione del flusso aereo espiratorio”.
I soggetti con fattori di rischio (soprattutto fumo di tabacco), potrebbero avere già un danno funzionale anche se non riferiscono una sintomatologia evidente. In questa categoria di soggetti la presenza di tosse cronica, espettorazione o dispnea va ricercata attivamente in quanto spesso tali sintomi vengono sottovalutati e sottaciuti dal paziente perché considerati naturale conseguenza del
proprio stato di fumatore.
Nello screening dei soggetti con possibile BPCO e nella valutazione di gravità di malattia, un
ruolo strategico è affidato pertanto alla corretta ricerca dei sintomi ed alla gestione degli stessi da parte dello specialista pneumologo e del medico di Medicina generale perché questo tipo di intervento rappresenta una delle attività più caratteristiche e rilevanti dal punto di vista
della qualità dell’assistenza.
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59
6. Fisiopatologia della limitazione di flusso
nella BPCO. Diagnosi differenziale
A cura di
Roberta Poggi (1) e Andrea Rossi (2)
Unità di Struttura Complessa di Pneumologia, Azienda Ospedaliera
Ospedale Maggiore di Borgo Trento, Verona
(2)
Unità di Struttura Complessa di Pneumologia, Azienda Ospedaliera
Ospedali Riuniti, Bergamo
(1)
6.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una delle poche malattie respiratorie che
contiene nella definizione un commento sulle sue caratteristiche di funzionalità respiratoria e precisamente sulla riduzione dei flussi espiratori forzati. La fisiopatologia della BPCO è un argomento
davvero complesso ma molto interessante (1), perché la malattia è assai eterogenea in termini di
presentazione clinica e fisiopatologica. Sono presenti infatti contemporaneamente anomalie della meccanica del polmone e della gabbia toracica, alterazioni dello scambio gassoso, ma anche
della struttura e della funzione dei muscoli respiratori e scheletrici, nonché aspetti sistemici (2).
Probabilmente l’origine della malattia è l’infiammazione delle vie aeree, per una esagerata riposta all’inalazione di agenti nocivi come il fumo di sigaretta o l’aria inquinata (3). Gli eventi finali sono la grave inabilità fisica e la morte prematura del paziente. In questa complessità la “limitazione di flusso” è un elemento centrale che unisce i danni biologici e fisiopatologici alle manifestazioni cliniche. In definitiva la limitazione di flusso è il meccanismo chiave che determina la dispnea, la progressiva inabilità ed infine l’insufficienza ventilatoria nei pazienti con BPCO. La
comprensione della fisiopatologia della limitazione di flusso è quindi un passo essenziale per
mettere in atto efficaci interventi farmacologici, riabilitativi e di modificazioni nello stile di vita (4).
Lo scopo di questo capitolo è di puntualizzare la differenza tra broncoostruzione e limitazione
di flusso e la loro relazione con l’iperinflazione polmonare e le manifestazioni cliniche. È nostra
convinzione, e fortunatamente non solo nostra, che ostruzione delle vie aeree/flusso aereo e limitazione di flusso non dovrebbero essere usati come sinonimi.
L’acronimo BPCO caratterizza la patologia con il termine di “ostruttiva”. Tuttavia, in alcune recenti Linee Guida (5) viene utilizzato il termine di “ostruzione del flusso aereo”, mentre in altre (4,6) si preferisce il termine di “limitazione del flusso aereo”. Nella prima definizione (ostruzione) si sottolinea
come il risultato finale, indipendentemente dal meccanismo fisiopatologico, sia una riduzione del
calibro delle vie aeree con conseguente ritardo nel flusso espiratorio. Con il termine “limitazione”
si pone invece in rilievo come l’ostruzione delle vie aeree, dovuta alla flogosi della parete bronchiale
e all’ipersecrezione di muco, rallenti il flusso aereo ma a ciò si associ la perdita di retrazione elastica del polmone (quindi della pressione di spinta) e la distruzione dei setti alveolari responsabili
del sostegno delle piccole vie aeree. L’ostruzione delle vie aeree e la perdita di retrazione elastica
del polmone contribuiscono entrambi alla presenza e al grado di limitazione di flusso (7).
Un possibile problema legato all’uso del termine “limitazione di flusso espiratorio” è l’implicazione
di una condizione di “flusso espiratorio illimitato” che non esiste neppure nelle migliori condizioni
fisiologiche. I soggetti normali, ad esempio, non sono limitati nel flusso a riposo ma possono divenirlo durante l’esercizio quando vi sia un incremento della ventilazione. Molti fisiologi preferiscono restringere la definizione di limitazione di flusso espiratorio alla condizione in cui il flusso espiratorio non può aumentare ad un dato volume polmonare anche in presenza di una forte attivazione dei muscoli espiratori, poiché il volume corrente si trova già a coincidere con i flussi espiratori massimi, ottenuti, ad esempio su una curva flusso volume da una espiratoria forzata.
Rapporti struttura-funzione
La BPCO è conseguenza di una risposta infiammatoria abnorme all’inalazione di agenti nocivi
come il fumo di sigaretta, agenti occupazionali ed inquinamento atmosferico. Anche fattori individuali, attualmente poco noti, hanno un ruolo rilevante. Si stima che una percentuale variabile dal 15% al 40% dei grandi fumatori sviluppi una malattia clinicamente evidenziabile.
La patogenesi e la fisiopatologia della BPCO sono state ampiamente indagate con un progressivo
miglioramento delle nostre conoscenze scientifiche sui meccanismi della malattia. Hogg et al. nei
61
62
loro primi lavori (8) ponevano già in correlazione funzione e variazioni strutturali nella BPCO e concludevano che la sede principale dell’ostruzione al flusso era nelle piccole vie e cioè nei bronchioli con
un diametro interno inferiore a 2 mm, e che la causa di quell’ostruzione era l’abbondante produzione
di muco, la fibrosi, il restringimento e l’obliterazione delle piccole vie. La misura delle resistenze polmonari e la loro ripartizione in periferiche e centrali venne fatta con la tecnica del catetere periferico.
Hogg et al. (8) dimostrarono che estese modificazioni patologiche nelle piccole vie aeree avvenivano
nei pazienti con BPCO senza importanti anomalie funzionali sia nella spirometria sia nelle resistenze
polmonari totali (9). Ciò era dovuto alla scarsa influenza delle resistenze delle vie periferiche sulle resistenze totali. Nel suo classico editoriale Mead (10) definì le piccole vie come “la zona silente” proprio
perché una estesa patologia nelle vie aeree periferiche poteva svilupparsi in soggetti peraltro asintomatici. Tuttavia, il parenchima a valle delle piccole vie ostruite doveva comunque essere ventilato tramite canali collaterali così che la distribuzione della ventilazione veniva ad essere marcatamente anormale e conseguentemente anche gli scambi gassosi. Trent’anni più tardi questo dato è stato confermato da Barbera et al. (11) con la tecnica MIGET (multiple inert gas expiratory technique) dimostrando
che la disomogeneità della distribuzione di ventilazione e perfusione erano entrambe determinate dalle anomalie delle piccole vie e dalla distruzione di parenchima con scarsa correlazione tra le misure
della distribuzione del rapporto ventilazione-perfusione ed il valore di FEV1.
Dieci anni dopo il lavoro di Hogg et al. (13), Cosio et al.(12) pubblicarono uno studio sulla correlazione
tra modificazioni strutturali delle piccole vie ed i test di funzionalità respiratoria. Esaminando biopsie
polmonari di fumatori con lesioni polmonari localizzate, trovarono che la lesione primaria era una
progressiva infiammazione che portava a fibrosi con deposito di tessuto connettivo nelle piccole
vie aeree. Quelle lesioni potevano essere rivelate da misure funzionali più sensibili come la capacità
di chiusura (closing capacity), il volume di isoflusso e la curva della fase III del washout del singolo
respiro. Questi test dimostravano valori anomali quando la variazioni patologiche erano ancora potenzialmente reversibili e quando altri test più comunemente utilizzati, come la spirometria, non rilevavano cambiamenti significativi. Qualche anno dopo un gruppo di ricercatori giapponesi evidenziava come alcuni pazienti con asma e tutti i pazienti con BPCO avessero un incremento delle
resistenze totali dovuto ad un aumento sia delle resistenze centrali sia periferiche, ma mentre le prime aumentavano del 50% in media, le resistenza delle piccole vie aumentavano di 5 volte.
Ulteriori informazioni sulla natura dell’ostruzione delle piccole vie aeree nella BPCO sono state ricavate da uno studio su 159 pazienti con BPCO grave (secondo la classificazione GOLD) sottoposti
a resezione chirurgica di tessuto polmonare (13). Hogg et al. (13) hanno dimostrato che la progressione
della BPCO era associata ad accumulo di essudato infiammatorio nel lume e ad infiltrato di cellule
infiammatorie immunitarie nella parete bronchiale e che vi era una significativa correlazione tra le alterazioni patologiche delle piccole vie e la classificazione di gravità delle Linee Guida GOLD.
In conclusione quindi vi sono ampie conferme che le anomalie patologiche a carico delle piccole vie
hanno un ruolo rilevante nella patogenesi della BPCO (14), ed in particolare che l’infiammazione delle
piccole vie aeree è un determinante essenziale dell’ostruzione al flusso e della progressione e gravità della malattia (3).
È noto da molti anni che il maggior determinante della riduzione del flusso espiratorio nell’enfisema è la perdita di forza di retrazione elastica del polmone (15). Sebbene la meccanica della ritardata espirazione si spieghi con la presenza di una ridotta pressione di spinta, il meccanismo biologico che sta alla base della relazione fra perdita di tessuto e riduzione del flusso espiratorio non
è altrettanto chiaro. Un gruppo di ricercatori (16) ha dimostrato che la perdita dei setti inter-alveolari è correlata alla riduzione del flusso espiratorio forzato e che tale perdita è in relazione con l’infiammazione nella periferia del polmoni. Kim et al. (16) hanno riportato che l’infiammazione ed il ri-
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
6. Fisiopatologia della limitazione di flusso nella BPCO. Diagnosi differenziale - R. Poggi, A. Rossi
modellamento delle vie aeree e del parenchima sono diversi nei polmoni con enfisema centrolobulare e panlobulare. Nell’enfisema centrolobulare le vie aeree sono più strette e ispessite di quello panlobulare, essendo il primo caratteristico dei fumatori e l’altro maggiormente correlato al deficit di α-1-antitripsina (17).
Diagnosi di BPCO
Il sospetto diagnostico di BPCO è fondato sul riscontro di:
- fattori di rischio come il fumo di sigaretta, esposizioni professionali, inquinamento urbano e domestico;
- presenza di sintomi come la tosse cronica con espettorato, la dispnea durante esercizio;
- riscontro di segni come alterazioni della configurazione toracica, rumori polmonari patologici.
La diagnosi di BPCO necessita invece di conferma per mezzo dell’esame spirometrico.
Indipendentemente dal fatto che venga utilizzato il termine ostruzione o limitazione, tutte le Linee
Guida nazionali ed internazionali indicano il FEV1 (o VEMS, volume espiratorio forzato in un secondo) come il parametro funzionale di riferimento per la diagnosi, la valutazione di gravità ed il monitoraggio della BPCO (GOLD). Il FEV1 viene misurato sul tracciato volume/tempo o flusso/volume di
una manovra espiratoria forzata dal punto di massima inspirazione all’espirazione completa alla
massima velocità possibile. Si misura anche la capacità vitale forzata (FVC).
Un valore del rapporto FEV1 /FVC <70% dopo broncodilatatore, indipendentemente da età, sesso, razza, altezza e peso, è indicativo di BPCO (4,6). Nonostante il limite di identificare un valore assoluto, vi è un generale consenso sul fatto che sia necessario un mezzo semplice per ovviare all’ampia sottodiagnosi di BPCO, malattia che ha un grave impatto sulla salute pubblica (18).
Alcuni anni addietro le Linee Guida dell’European Respiratory Society (6) sulla BPCO indicavano
come parametro diagnostico di BPCO un rapporto FEV1 /VC <88% e 89% del predetto rispettivamente per maschio e femmina, ma la misura di questo parametro (noto come indice di Tiffenau) richiedeva due manovre di espirazione completa, una lenta e una forzata, con una evidente
restrizione sulla possibilità di uso massificato della spirometria.
Il valore di FEV1 viene attualmente suggerito per stadiare la gravità della BPCO come segue:
FEV1 % predetto > 80%
lieve
1
FEV % predetto <80% >50% moderata
FEV1 % predetto <50% >30% severa
molto severa
FEV1 % predetto <30%
In questo contesto è da ricordare l’interessante relazione recentemente sottolineata da Hogg et
al. (13) tra alcune modificazioni infiammatorie delle piccole vie aeree e la stadiazione di BPCO sopra riportata.
Dopo la pubblicazione di Fletcher et al. (19) il FEV1 viene utilizzato anche per valutare la progressione di malattia, in quanto risulta accelerato nei soggetti fumatori e con BPCO. L’accelerato declino del FEV1 porta a invalidità e morte prematura. La cessazione del fumo rallenta il declino del
FEV1 ad ogni età.
È comunque necessario ricordare che i valori di FEV1 e FVC sono entrambi influenzati dalla velocità dell’inspirazione che precede l’espirazione forzata e dalla presenza e durata della pausa di fine inspirazione. Se la manovra di espirazione forzata è preceduta da una lenta inspirazione con
una lunga (4-5 sec) pausa inspiratoria, i flussi espiratori sono inferiori a quelli ottenuti con un’espirazione forzata preceduta da un’inspirazione massimale veloce e senza pausa di fine inspiratoria (20). Quindi la manovra di espirazione forzata della spirometria deve essere standardizzata.
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Per ottenere i flussi massimali l’inspirazione deve essere effettuata a massima velocità e seguita
immediatamente dall’espirazione forzata senza pause (20).
Corrispondenza tra ostruzione e limitazione
64
Un approccio semplice potrebbe essere quello di considerare la limitazione di flusso come una forma di broncoostruzione grave delle vie aeree. La limitazione di flusso non è tuttavia correlata con
il grado di ostruzione delle vie aeree valutato e classificato con la misura del FEV1. Questa interessante osservazione è stata fatta da Eltayara et al. (21) che hanno paragonando il valore di FEV1 con
i risultati della tecnica della NEP (negativ expiratory pressure), in una popolazione di BPCO a diversi
stadi di gravità. Il valore di “flow limitation” valutato con la NEP non era assolutamente correlato
con il valore di FEV1 a riposo. Un primo fattore per questa mancata associazione può essere legata a problemi metodologici della NEP. Tuttavia, è necessario considerare che fattore predominante della limitazione di flusso è la distruzione parenchimale con riduzione del ritorno elastico del polmone, mentre il FEV1 è influenzato in modo importante anche dalla contrazione della muscolatura
liscia e dell’ispessimento della parete bronchiale. Ad esempio una grave broncocostrizione può determinare una evidente broncoostruzione, ma senza limitazione del flusso perché la broncocostrizione rende le vie aeree più rigide e quindi non compressibili durante l’espirazione forzata.
Una più completa valutazione funzionale della BPCO si avvale della misura dei volumi polmonari
che permettere l’identificazione e la distinzione di un alterazioni di tipo ostruttivo o restrittivo. La
capacità polmonare totale (CPT) risente soprattutto delle caratteristiche delle proprietà elastiche
del polmone. Modificazioni della CPT richiedono tempo, oppure una grave ostruzione acuta come può avvenire nell’attacco asmatico grave. Una misura recentemente rivalutata e assai semplice da eseguire è la capacità inspiratoria (IC), somma del volume corrente più il volume di riserva inspiratorio (22). La IC è lo specchio della capacità funzionale residua (CFR) e delle sue variazioni. Il valore di IC è significativamente correlata sia con la dispnea che con la tolleranza all’esercizio fisico (22,23), sì da essere un buon predittore della capacità individuale di attività fisica più del valore di FEV1. Inoltre risulta un buon predittore del volume corrente massimo durante esercizio e
quindi della ventilazione massimale. La IC riflette infatti la reale riserva inspiratoria, particolarmente nei pazienti che non possono utilizzare la riserva espiratoria a causa della limitazione di flusso.
Alcuni studi hanno dimostrato che, nella maggior parte dei pazienti con BPCO e con limitazione
di flusso a riposo, la IC è più bassa dei soggetti normali e che, nei pazienti BPCO stabili con “flow
limitation” a riposo, vi è una correlazione significativa tra la ridotta IC e la presenza di ipercapnia.
Considerate le importanti conseguenze dell’iperinflazione polmonare statica nella BPCO, è stato
recentemente proposto l’indice IC/TLC nella valutazione di questi pazienti. Uno studio condotto
su una coorte di 689 pazienti BPCO in un periodo di 34 mesi ha individuato la riduzione del rapporto IC/TLC come importante predittore di mortalità per cause respiratorie indipendente da altri
fattori (24).
Limitazione di flusso ed iperinflazione polmonare
La conseguenza maggiore dell’ostruzione delle vie aeree è l’aumento del lavoro respiratorio (lavoro resistivo), mentre la maggior conseguenza della limitazione di flusso è l’iperinflazione polmonare. Quest’ultima incrementa il lavoro respiratorio perché sposta la ventilazione polmonare nella
porzione alta e più piatta della curva pressione-volume, dove la compliance è minore (lavoro elastico). L’iperinflazione polmonare è definita come un aumento della quantità di aria che rimane nei
polmoni alla fine di un’espirazione corrente (capacità funzionale residua, CFR). La CFR nei soggetti normali corrisponde al punto di equilibro elastico, circa il 40% della CPT.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
6. Fisiopatologia della limitazione di flusso nella BPCO. Diagnosi differenziale - R. Poggi, A. Rossi
Iperinflazione polmonare statica: nei pazienti con BPCO, il punto di equilibrio elastico del sistema respiratorio si stabilisce a volumi più alti rispetto ai normali ed è la conseguenza alla perdita di retrazione elastica del polmone.
Iperinflazione polmonare dinamica: è la conseguenza principale del ritardato flusso espiratorio per la limitazione di flusso e l’ostruzione delle vie aeree nei pazienti BPCO, inizialmente durante esercizio e in seguito anche a riposo. In presenza di un ritardato flusso espiratorio, il tempo tra due successive inspirazioni non è sufficiente perché l’apparato respiratorio si svuoti al punto di equilibrio elastico. In queste condizioni, lo sforzo inspiratorio inizia prima della fine dell’espirazione, quando la pressione alveolare è ancora positiva. Chiaramente quella pressione positiva
deve essere controbilanciata dalla contrazione dei muscoli inspiratori perché si crei una pressione subatmosferica nelle vie aeree centrali ed inizi il flusso inspiratorio. La pressione alveolare positiva di fine espirazione è stata definita “intrinsic positive end-expiratory pressure” (PEEPi). Questa costituisce una pressione di soglia inspiratoria che aumenta ulteriormente il carico meccanico della ventilazione, aggiungendosi al maggiore lavoro resistivo ed elastico. La PEEPi è sempre
associata con una FRC superiore al punto di equilibrio elastico. Entrambi i meccanismi, statico
e dinamico, contribuiscono all’iperinflazione polmonare nella BPCO.
L’iperinflazione polmonare compromette le proprietà forza-lunghezza delle fibre dei muscoli inspiratori e l’arrangiamento geometrico del diaframma con una riduzione importante sia della capacità di generare pressione sia dell’azione sull’area di apposizione che viene significativamente ridotta nella ventilazione ad alti volumi polmonari (25).
L’iperinflazione polmonare ed insufficienza ventilatoria
L’iperinflazione polmonare svolge quindi un ruolo rilevante nella patogenesi dell’insufficienza respiratoria della BPCO. In breve la riacutizzazione grave di BPCO provoca un incremento delle resistenze
delle vie aeree e un aumento del lavoro respiratorio e dell’intrappolamento d’aria. Quest’ultimo peggiora l’iperinflazione polmonare e rende incapaci i muscoli respiratori di supportare il più grande carico ventilatorio. L’aumento compensatorio di attività del centro respiratorio può essere in questo caso deleterio in quanto l’aumento della frequenza respiratoria con un respiro rapido e superficiale peggiora l’iperinflazione polmonare ed è inefficace nell’eliminare la CO2. Tuttavia, l’aumento della frequenza a scapito della profondità della respirazione appare come l’unico modo per difendere i muscoli respiratori dalla fatica e per prevenire l’esaurimento della pompa ventilatoria. Tuttavia, l’aumento di PaCO2 aggraverà progressivamente l’acidosi che diverrà gravissima se non vi sarà un intervento
tempestivo con il supporto ventilatorio meccanico.
Dispnea
Uno dei sintomi più debilitanti per i pazienti con BPCO è la dispnea, definita come una spiacevole sensazione di difficoltà respiratoria, sebbene anche la tosse e l’espettorato possano complicare la vita sociale di questi pazienti ed essere associate con un accelerato declino del FEV1 (26). La
dispnea inizialmente è associata all’esercizio e in seguito si presenta anche durante le attività meno pesanti. La gravità della dispnea è in relazione individualmente modesta con il grado di broncoostruzione ed è influenzata anche dalla presenza di comorbidità quali patologie cardiovascolari, stati nutrizionali carenziali (2) e diversi stili di vita dei pazienti.
Tantucci et al. (27) e Diaz et al. (23) confrontando in senso strettamente fisiologico pazienti con e senza limitazione di flusso hanno dimostrato che i primi tollerano un esercizio minore rispetto ai secondi anche in presenza di grave broncoostruzione. Durante l’esercizio fisico infatti, l’aumento di
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ventilazione richiesto dal maggiore metabolismo è fronteggiato dal reclutamento dei muscoli espiratori e dall’utilizzazione del volume di riserva espiratorio oltre che della riserva inspiratoria. In presenza di limitazione del flusso espiratorio, l’attivazione dei muscoli espiratori è inefficace perché i
flussi espiratori sono già massimali. È utilizzabile solo la riserva inspiratoria. Inoltre per ottenere
maggiori flussi, la ventilazione deve essere spostata in una zona della curva flusso-volume dove
questo sia possibile, cioè a più elevati volumi polmonari dove il flusso espiratorio non è limitato.
La maggiore ventilazione richiesta dall’esercizio fisico è quindi associata, nei pazienti con limitazione del flusso espiratorio, ad iperinflazione polmonare dinamica e conseguentemente ad una
più precoce comparsa della dispnea, rispetto ai pazienti senza limitazione del flusso a volume corrente. Naturalmente, l’iperinflazione dinamica nell’esercizio fisico ha le stesse caratteristiche di aumento del carico meccanico (maggiore lavoro elastico e resistivo e carico soglia della PEEPi) e di
riduzione della capacità dei muscoli inspiratori di generare pressione, del meccanismo che guida
all’insufficienza ventilatoria.
Diagnosi differenziale tra asma bronchiale e BPCO
Confrontando i due estremi di una ideale curva di distribuzione dell’asma e della BPCO sulla popolazione generale, non è difficile estrapolare una semplice tabella che dimostri con grande facilità la diagnosi differenziale tra le due malattie. (tab. 1)
Tabella 1 – Diagnosi differenzile tra asma e BPCO
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CARATTERISTICA
ASMA
BPCO
Età
Atopia
Fumo
Dispnea
Spirometria
IBA °°°
giovane
++++
— (+)
accessionale
normale °
++++
medio-anziana
——
++++
da sforzo
FEV1 /FVC<0,7 °°
—++
° nei periodi intercritici; °° dopo broncodilatatore; °°° iperreattività bronchiale aspecifica.
In realtà esiste una vasta area grigia in cui le differenze tra le due malattie ed i due gruppi di pazienti non sono così nette, soprattutto se l’asma si manifesta per la prima volta in età post-giovanile. Allora, la dispnea può essere da sforzo, le crisi accessionali possono essere non intensissime, l’atopia è sfumata o poco correlata ai sintomi, vi può essere anamnesi di fumo. Sia l’asma
sia la BPCO sono malattie respiratorie con un’importante prevalenza nella popolazione generale,
per cui è possibilissimo che un soggetto sia affetto da entrambe, come può accadere per l’ipertensione arteriosa e le cardiopatie o il diabete etc. Tuttavia, l’asma conserva una caratteristica che
non è costante nella BPCO, cioè la larga reversibilità dell’ostruzione. Se questa reversibilità è
completa, cioè se i valori spirometrici, misurati prima del broncodilatatore, dimostrano una condizione di ostruzione delle vie aeree mentre dopo broncodilatatore ritornano nei limiti di norma, la
diagnosi più probabile è di asma bronchiale. Se la reversibilità è importante, ad esempio un aumento >25% di FEV1 dopo broncodilatatore rispetto al basale, ma il valore del FEV1 postbroncodilatore rimane al di sotto dei limiti di norma, la diagnosi più probabile è: “Asma bronchiale. BPCO”, ricordando la “dutch hypothesis” menzionata precedentemente. In sintesi, la diagnosi di
asma richiede la dimostrazione spirometrica di un’ostruzione in larga misura potenzialmente reversibile.
Altri test, come la misura dell’iperreattività bronchiale specifica mediante il test alla metacolina e/o
la misura dell’ossido nitrico (NO) esalato (28), possono essere utili, ma hanno dei limiti che devono
essere ben conosciuti per evitare errori di interpretazione sia nel senso della sensibilità che della
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
6. Fisiopatologia della limitazione di flusso nella BPCO. Diagnosi differenziale - R. Poggi, A. Rossi
specificità. Sia l’iperreattività bronchiale aspecifica sia l’aumentata concentrazione di NO nell’aria
esalata esistono in soggetti non asmatici, anche se negli asmatici il fenomeno può essere (non
costantemente) quantitativamente più rilevante (29). Una recente pubblicazione valorizza l’uso della misura di NO esalato più della iperreattività bronchiale nella diagnosi di asma (30). Tuttavia, si tratta di conclusioni su piccoli gruppi in laboratorio che vanno certamente confrontate con indagini
su ben più vaste popolazioni.
Si può quindi sintetizzare che:
- in presenza di un chiaro fenotipo clinico, la diagnosi differenziale tra asma bronchiale e BPCO
non presenta insormontabili difficoltà;
- nell’area grigia, oltre al quadro clinico è importante l’evidenza spirometrica con documentazione del grado di reversibilità dell’ostruzione.
Conclusioni
La BPCO è una patologia complessa per la cui completa comprensione sono necessari ulteriori
studi, particolarmente sul rapporto struttura-funzione. Per quanto finora conosciuto, i termini
“ostruzione delle vie aeree” e “limitazione di flusso” sono spesso utilizzati come sinonimi ma hanno significati diversi nella fisiopatologia della BPCO. Tali differenze hanno notevole rilevanza per le
implicazioni cliniche in termini di tolleranza all’esercizio e rischio di insufficienza ventilatoria.
La sede principale del danno che porta alla limitazione di flusso sono le piccole vie e l’infiammazione è il meccanismo eziopatogenetico associato alla distruzione del parenchima che determina
perdita di retrazione elastica del polmone e dei legami alveolari che supportano le vie aeree intratoraciche.
La conseguenza principale della limitazione di flusso è l’iperinflazione polmonare che oltre ad incrementare il lavoro respiratorio induce importanti modificazioni nell’attività dei muscoli respiratori e favorisce l’insufficienza ventilatoria.
Per la diagnosi di BPCO è necessaria la spirometria ma la misura dei volumi polmonari è importante per una maggior comprensione della fisiopatologia dei pazienti con BPCO. Risulta inoltre
molto utile la misura della IC (semplice e ricca di informazioni) per spiegare manifestazioni cliniche
quali la dispnea e predire la tolleranza all’esercizio.
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Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
6. Fisiopatologia della limitazione di flusso nella BPCO. Diagnosi differenziale - R. Poggi, A. Rossi
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7. Cuore polmonare cronico ed ipertensione
polmonare secondaria alla BPCO
A cura di
Alfredo Potena e Marco Piattella
UO Fisiopatologia Respiratoria
Azienda Ospedaliero-Universitaria Arcispedale S. Anna, Ferrara
7.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Definizioni
Cor Pulmonale: ipertrofia e/o dilatazione del ventricolo destro associata ad ipertensione arteriosa polmonare derivata da malattie respiratorie che limitano la funzione e/o la struttura dei polmoni. Clinicamente il cor pulmonale è caratterizzato dalla presenza di edema associato ad insufficienza respiratoria.
Ipertensione arteriosa polmonare: pressione arteriosa polmonare (PAP) media a riposo superiore ai 20 mmHg. Nei pazienti BPCO la comparsa di ipertensione arteriosa polmonare di solito è preceduta da un aumento dei valori pressori superiori a 30 mmHg durante test da sforzo
rettangolari con carico di lavoro leggero (30 watts) (1).
L’ipertensione polmonare associata a malattie polmonari e/o ipossiemia, nella nuova e più recente classificazione, non viene più considerata una forma di ipertensione arteriosa secondaria,
ma è ritenuta una forma a parte nel contesto di un gruppo di malattie respiratorie (2).
Epidemiologia
Anche se dati indiretti fanno ritenere che siano piuttosto rilevanti, le attuali prevalenze di cor pulmonale e di ipertensione arteriosa polmonare nella BPCO non sono note, non essendo state sistematicamente ricercate con strumenti diagnostici affidabili, quali ad esempio la cateterizzazione del cuore destro. Un tentativo di individuare la prevalenza di ipertensione arteriosa polmonare in pazienti a rischio, con ostruzione bronchiale ed insufficienza respiratoria (VEMS
<50% del teorico e PaO2 <55 mmHg) ha prodotto una stima, in uno studio condotto nel Regno
Unito, pari allo 0,3% della popolazione generale (3).
Studi autoptici hanno evidenziato alterazioni di tipo ipertrofico a carico del ventricolo destro in
più del 40% dei pazienti con BPCO, anche se sono state riportate discrepanze tra serie differenti per la mancanza di omogeneità dei criteri morfologici utilizzati (4,5).
Studi recenti eseguiti in pazienti con enfisema grave (VEMS 27% del teorico) hanno riportato una
elevata incidenza di ipertensione polmonare; il 91% dei pazienti, infatti, aveva una pressione in arteria polmonare media, rilevata mediante cateterizzazione, superiore a 20 mmHg (6).
Rilevanza clinica
L’ipertensione polmonare, nella BPCO, oltre ad essere un fattore prognostico sfavorevole in
termini di sopravvivenza, è anche associata ad una peggior evoluzione clinica e ad un più frequente utilizzo di risorse sanitarie. Il cor pulmonale è una condizione che accompagna molto spesso la BPCO, di cui viene ritenuta la causa principale di disabilità e di morte (7,8).
In uno studio longitudinale, della durata di 7 anni, eseguito su 50 pazienti con BPCO si è osservato che la loro sopravvivenza era inversamente correlata alle resistenze vascolari periferiche (RVP),
e che la correlazione della sopravvivenza con le RVP era simile a quella ottenuta con il VEMS (9).
In un altro studio, della durata di 15 anni, si è dimostrato che la presenza o l’assenza di cuore polmonare, dopo la correzione per l’età, era uno dei migliori fattori predittivi per il rischio di
mortalità (10). La PAP, inoltre, si è confermata come miglior singolo fattore predittivo di mortalità anche su pazienti BPCO in ossigenoterapia domiciliare a lungo termine (11).
Storia naturale nella BPCO
L’evoluzione dell’ipertensione polmonare nella BPCO è progressiva, e la sua gravità è correlata
al grado di ostruzione delle vie aeree ed alle alterazioni degli scambi gassosi (6).
71
Tuttavia, il tasso di progressione dell’ipertensione nella BPCO è lento, e di solito la PAP è soltanto moderatamente aumentata, anche in pazienti con patologia di base avanzata.
Non è chiaro in che fase della storia naturale della BPCO si manifesti l’ipertensione polmonare,
tanto che spesso i segni clinici compaiono tardi, nello stadio avanzato di malattia quando le modificazioni a carico del circolo polmonare e l’ipertensione arteriosa polmonare dovrebbero essere
presenti già da tempo.
Patogenesi
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Diversi fattori possono contribuire allo sviluppo ed al mantenimento dell’ipertensione polmonare
nella BPCO, e dunque alla comparsa di cor pulmonale. Nelle malattie respiratorie croniche l’ipertensione deriva da un aumento delle resistenze vascolari polmonari mentre la portata cardiaca e la
pressione capillare da incuneamento, la cosiddetta “pulmonary capillary wedge pressure” (Ppcw),
sono normali. In questi casi si parla di ipertensione arteriosa polmonare pre-capillare.
I più importanti fattori che sostengono l’aumento delle RVP sembrano essere la vasocostrizione
ipossica, che induce un’ipertrofia permanente della tonaca media ed il conseguente rimodellamento dei vasi polmonari. La comprensione dei meccanismi eziopatogenetici responsabili di queste alterazioni vascolari nella BPCO rimane non completamente chiarita ma, come nelle altre malattie respiratorie croniche, l’ipossia alveolare conseguente alla riduzione della ventilazione gioca un
ruolo prevalente. L’abitudine di continuare a fumare che molti pazienti BPCO manifestano anche
negli stadi avanzati di malattia può avere un ulteriore effetto aggravante su questi fenomeni (12).
L’ipossia alveolare cronica che porta al rimodellamento vascolare polmonare con ipertrofia della
tonaca muscolare media dei piccoli vasi e delle arteriole polmonari e fibrosi dell’intima, è comparabile a quella osservata nelle popolazioni che nascono e vivono a grandi altezze.
Caratteristiche del rimodellamento vascolare polmonare
I pazienti BPCO in fase di cuore polmonare cronico e negli stadi terminali di malattia, presentano
modificazioni a carico delle arterie polmonari e dei vasi pre-capillari tali da giustificare l’irreversibile
aumento delle resistenze vascolari polmonari. Tutti gli strati laminari che compongono i vasi sono
coinvolti e le alterazioni dell’intima sono le più importanti. Questo aspetto può derivare dall’associazione tra ipossia, danno meccanico e reazione infiammatoria cioè da tutti i fenomeni che derivano
dallo stiramento ripetuto di parenchima polmonare iperinsufflato (13,14).
L’ispessimento dell’intima è secondario alla proliferazione di cellule muscolari lisce, alcune delle
quali hanno perduto il loro fenotipo contrattile, e al deposito di fibre collagene ed elastiche. Su soggetti fumatori con normale funzionalità respiratoria, è stato documentato un ispessimento dell’intima nelle arterie polmonari, non dissimile da quello che si osserva in pazienti con BPCO lieve (15).
Fisiopatologia
L’ipertensione polmonare secondaria a BPCO è definita dalla presenza di una pressione media in
arteria polmonare (PAP) superiore al normale limite di 20 mmHg (16,17).
Nella maggior parte dei casi, il grado di ipertensione polmonare in corso di BPCO è di entità lieve-moderata e si attesta intorno ai 25-30 mmHg, superando raramente i 35-40 mmHg, con una
portata cardiaca normale.
Sia la pressione in atrio destro sia la Ppcw tendono ad essere normali.
Questo profilo emodinamico è diverso da quello che si riscontra nell’ipertensione polmonare da
altre cause (primitiva, post embolica), dove la PAP raggiunge valori considerevoli e la portata cardiaca è generalmente ridotta (9,17).
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
7. Cuore polmonare cronico ed ipertensione polmonare secondaria alla BPCO - A. Potena, M. Piattella
Vasocostrizione polmonare ipossica
L’ipossia determina vasocostrizione sulla circolazione polmonare e vasodilatazione su quella sistemica. La vasocostrizione arteriolare su base ipossica, riduce la perfusione delle unità alveolari
scarsamente o per nulla ventilate, e la ridistribuisce verso unità alveolari meglio ventilate, mantenendo in equilibrio il rapporto ventilo-perfusorio, migliorando quindi la pressione parziale di O2 nel
sangue arterioso.
La somministrazione di ossigeno supplementare nei pazienti con BPCO inibisce lo stimolo ipossico, determinando un peggioramento del rapporto ventilo-perfusorio.
In generale, il contributo della vasocostrizione ipossica sul rapporto ventilo-perfusorio tende ad
essere maggiore nei pazienti con BPCO meno grave, mentre risulta essere meno efficace nei soggetti con forme più severe di malattia (18).
Studi condotti su anelli arteriosi isolati, hanno evidenziato che l’intensità della contrazione indotta
dalla ipossia è inversamente correlata alla funzione endoteliale, e direttamente correlata alla PO2
arteriosa (19).
Questo dati fanno ritenere che l’alterazione della funzione endoteliale sia associata ad una alterata risposta allo stimolo ipossico, con ulteriore peggioramento degli scambi gassosi.
Funzione del ventricolo destro
L’ipertensione arteriosa polmonare accresce il post-carico e quindi il lavoro ventricolare destro cui
fanno seguito l’ipertrofia e la dilatazione e successivamente una disfunzione sistolica e diastolica.
Il ventricolo destro, rispetto al sinistro, presenta una parete meno spessa ed un maggior rapporto volume/superficie d’area. Il ventricolo destro è considerato una pompa di volume, piuttosto che
di pressione, ed in termini fisiologici si adatta meglio a modificazioni del pre-carico, rispetto a cambiamenti repentini del post-carico. Ciò spiega perché nei soggetti con BPCO in cui la PAP è modestamente elevata e la progressione è sostanzialmente lenta, il ventricolo destro ha il tempo necessario per adattarsi. Quando la PAP è cronicamente elevata il ventricolo destro si dilata, con incremento del volume sia tele-diastolico che tele-sistolico.
Nella BPCO il volume sistolico del ventricolo destro è generalmente mantenuto, mentre la frazione di eiezione è ridotta. Durante le riacutizzazioni di BPCO, in corrispondenza di un marcato incremento della PAP, la contrattilità del ventricolo destro si riduce nei pazienti con segni clinici di
insufficienza del ventricolo destro (20, 21). Ciò è causa, sul piano clinico, della sindrome denominata
scompenso ventricolare destro, con congestione sistemica del circolo venoso ed impossibilità di
adattare la portata ventricolare destra alle esigenze muscolari periferiche ed allo sforzo muscolare anche lieve.
Segni clinici
Alcuni segni clinici del cor pulmonale sono mascherati dalla iperinflazione polmonare e possono
essere riscontrati in fase tardiva di malattia, molto tempo dopo l’insorgenza di ipertensione arteriosa polmonare. L’edema malleolare o pretibiale è il più classico di questi, anche se poco specifico perchè lo si può osservare in altre malattie respiratorie croniche o perché in alcuni pazienti
con ipertensione polmonare può mancare del tutto.
L’edema periferico è la testimonianza clinica dello scompenso cardiaco destro e consegue la congestione venosa secondaria alla trasmissione a monte della pressione di riempimento del ventricolo destro.
Nella BPCO, l’ipossiemia e l’ipercapnia possono aggravare la congestione venosa, inducendo una
attivazione del sistema nervoso simpatico, già stimolato dalla distensione dell’atrio destro.
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L’attivazione simpatica riduce il flusso plasmatico renale, stimola il sistema renina-angiotensina-aldosterone, e promuove l’assorbimento di bicarbonato, sodio ed acqua.
Anche la vasopressina, rilasciata quando il paziente diviene iponatriemico, in pazienti con ipossiemia ed ipercapnia, contribuisce alla formazione dell’edema (22).
La distensione della parete atriale determina la messa in circolo dell’ormone natriuretico atriale, che
agisce come un fattore protettivo verso l’edema, a causa della sua azione vasodilatatrice, natriuretica e diuretica; i suoi effetti, tuttavia, possono essere insufficienti per controbilanciare i meccanismi che favoriscono la formazione dell’edema.
Durante episodi di riacutizzazione di BPCO si può assistere allo sviluppo o alla progressione di un
edema già presente. La riacutizzazione spesso può comportare un’insufficienza respiratoria acuta
o acuta su cronico (come viene chiamata in gergo quando l’episodio di insufficienza respiratoria è
una recidiva in un soggetto BPCO nel quale erano già presenti segni di insufficienza respiratoria
cronica) che determina aumenti di PAP di oltre 20 mmHg. Questi valori accresciuti, dopo un corretto trattamento, possono ritornare ai livelli di base al termine dell’episodio di riacutizzazione (23,24).
La presenza di edema periferico, però, non dev’essere necessariamente ritenuta come un segno
di scompenso cardiaco destro perchè può indicare, più semplicemente, la presenza di iperaldosteronismo conseguente ad insufficienza respiratoria.
Un segno tardivo di cor pulmonale è l’insufficienza tricuspidalica accompagnata da un soffio sistolico generato dal rigurgito valvolare.
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Esercizio
L’esercizio determina un anomalo aumento della PAP, specialmente in pazienti con ipertensione
polmonare a riposo. Pazienti che sembrano più suscettibili di sviluppare ipertensione polmonare,
possono evidenziare un aumento della PAP sotto sforzo anni prima che l’ipertensione si manifesti a riposo (25).
Diversi studi hanno identificato un certo numero di meccanismi per spiegare l’ipertensione polmonare indotta dall’esercizio nella BPCO, tra cui la vasocostrizione ipossica, la riduzione del letto capillare conseguente all’enfisema, la compressione extramurale per l’aumentata pressione alveolare
o lo squilibrio nella produzione di fattori di rilassamento vascolare di derivazione endoteliale (26).
In corso di BPCO, la PAP sotto sforzo è maggiore di quella predetta dall’equazione delle RVP,
suggerendo una vasocostrizione attiva sotto sforzo (27). Durante l’esercizio, i pazienti con BPCO
possono sviluppare una iperinflazione dinamica secondaria alla limitazione del flusso espiratorio,
che ha come risultato un aumento della pressione alveolare, a sua volta trasmesso alla Ppcw (28).
Oltre a ciò, l’aumento della ventilazione sotto sforzo, in presenza di ostruzione al flusso, determina significative oscillazioni della parete toracica.
Questi cambiamenti pressori possono portare ad una riduzione dell’output cardiaco per alterazione del ritorno venoso sistemico o per aumento del post-carico ventricolare sinistro (29,30).
Diagnosi della ipertensione polmonare nella BPCO
Il riconoscimento della ipertensione polmonare nella BPCO può non essere agevole, specialmente nelle forme più lievi.
I sintomi dovuti alla ipertensione polmonare, come dispnea o affaticamento, sono difficili da differenziare rispetto a quelli tipici del quadro clinico della BPCO.
Nella maggior parte dei casi, il rilievo di edema periferico in un paziente con BPCO deve far pensare ad una manifestazione dell’ipertensione polmonare, anche se non sempre è un segno di insufficienza del ventricolo destro. I toni cardiaci possono non essere apprezzati bene per la soRapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
7. Cuore polmonare cronico ed ipertensione polmonare secondaria alla BPCO - A. Potena, M. Piattella
vrapposizione di rantoli bronchiali da ipersecrezione, o per l’iperinflazione polmonare.
Inoltre, i tipici reperti auscultatori dell’ipertensione polmonare, click di eiezione, rinforzo del secondo tono e soffio olosistolico da rigurgito mitralico, non sono frequenti nei pazienti con BPCO.
Radiografia del torace
La principale caratteristica radiologica dell’ipertensione polmonare è l’aumento degli ili vascolari
con oligoemia nei campi polmonari periferici.
Altri segni sono la cardiomegalia, dovuta ad una dilatazione del ventricolo destro e del tronco polmonare. L’allargamento ilare può essere stimato dall’indice toraco-ilare, che è definito dal rapporto tra la larghezza transilare (distanza tra l’inizio delle divisioni delle arterie polmonari destra e
sinistra) con il diametro traverso del torace (31).
Un rapporto >0,36 è suggestivo di ipertensione polmonare (32). Un altro potenziale indicatore nella
radiografia del torace è l’allargamento del diametro dell’arteria polmonare discendente di destra
(normalmente <16 mm) fino a 18 mm.
L’allargamento del ventricolo destro giustifica un aumento dell’indice cardio-toracico >0,5, assieme all’ampliamento degli spazi aerei retrosternali visibile nella proiezione laterale.
Elettrocardiogramma
La sensibilità dell’elettrocardiogramma nell’identificare l’ipertensione polmonare è relativamente
bassa, e modificazioni del tracciato non sono strettamente correlate alla gravità dell’ipertensione.
Alterazioni elettrocardiografiche associate a cuore polmonare comprendono: una P polmonare
suggestiva di sovraccarico atriale destro nelle derivazioni D2, D3 ed aVF; un aspetto S1-S2-S3
oppure S1-Q3; un blocco di branca destro incompleto; l’ipertrofia del ventricolo destro definita da
un QRS della durata superiore a 0,10 sec; predominanza dell’onda R in V1 ampiezza del rapporto R/S <1 in V5 e V6; basso voltaggio QRS. Tra queste alterazioni elettrocardiografiche, il pattern
S1-S2-S3 ed i segni di sovraccarico destro sono stati associati ad una riduzione della sopravvivenza in pazienti con BPCO, monitorati dopo una riacutizzazione (33).
Le modificazioni elettrocardiografiche presentano una specificità dell’86% ed una sensibilità del
51% nell’evidenziare ipertensione polmonare.
Prove di funzionalità respiratoria
Le prove di funzionalità respiratoria sono necessarie per la diagnosi di BPCO, ma non ci sono pattern specifici associati all’ipertensione polmonare che di per sé ha scarso effetto sulla meccanica
polmonare o sugli scambi gassosi. In condizioni di integrità del parenchima polmonare, l’ipertensione polmonare può ridurre la diffusione del monossido di carbonio anche se, nella BPCO, questa alterazione può essere spiegata dalla presenza di enfisema polmonare.
Ecocardiografia
L’ecocardiografia fornisce utili informazioni sulla funzione del ventricolo destro e sulla sua rilevanza prognostica, ed anche se la metodica possiede alcuni limiti se ne raccomanda l’utilizzo per la
valutazione della ipertensione polmonare nella BPCO.
L’ecocardiografia doppler misura la velocità di flusso del rigurgito tricuspidalico, e può essere utilizzata per determinare il gradiente pressorio ventricolo-atrio destro. Questo, sommato alla
pressione atriale destra, permette una valutazione della pressione sistolica ventricolare destra.
In caso di insufficienza della valvola polmonare la velocità di flusso può essere utile per misurare il gradiente pressorio diastolico fra l’arteria polmonare ed il ventricolo destro, e quindi la
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pressione polmonare diastolica. Recentemente è stato dimostrato che la misurazione transcutanea del flusso a livello delle vene giugulari, mediante tecnica ecodoppler, può avere un
potenziale ruolo nel predire la pressione in arteria polmonare in pazienti con BPCO (34). Il metodo si basa sulla analisi della velocità di flusso diastolico e sistolico del polso venoso giugulare, il cui rapporto sembra correlato con la PAP stimata mediante cateterizzazione destra, e
sembra essere più specifico rispetto a quello tradizionale con ecocardiografia doppler. I limiti
di questa metodica comprendono una bassa sensibilità in pazienti con ipertensione polmonare lieve, ed i potenziali errori tecnici in presenza di tachicardia od aritmia.
L’ecocardiografia bidimensionale fornisce informazioni sulla morfologia e sulla dinamica delle strutture cardiache, ed è anche essenziale per la diagnosi delle patologie associate al cuore sinistro.
Segni tipici di cuore polmonare sono l’allargamento di atrio e ventricolo destri l’aumento di spessore ventricolare destro con cavità ventricolare sinistra normale o ridotta ed eventualmente inversione della normale curvatura del setto.
L’ecocardiografia da sforzo ha permesso di identificare un anomalo movimento del setto ventricolare con distorsione del ventricolo sinistro nei pazienti con BPCO. Questo aspetto può aiutare
ad identificare disfunzioni occulte del ventricolo destro.
Un problema dell’ecocardiografia doppler è che spesso questo esame diagnostico può fornire stime errate dei valori pressori, con differenze superiori a 10 mmHg rispetto ai valori misurati con il
cateterismo. La specificità è stata stimata nel 52% ed il valore positivo predittivo nel 52%, offrendo dunque un rischio per eccesso diagnostico di ipertensione polmonare nei pazienti BPCO (35,36).
Alcuni autori hanno valutato il valore prognostico dell’ecocardiografia sulla funzione ventricolare
destra in pazienti con BPCO. Da questo studio risulta che il diametro ventricolare destro di fine
diastole e la velocità di riempimento diastolico tardivo erano fattori predittivi indipendenti di sopravvivenza (37,38). L’ecocardiografia M-mode consente di ipotizzare una ipertensione polmonare
sulla base dei movimenti della valvola polmonare (onda A, pendenza E-F, incisura mesosistolica,
tempi sistolici del ventricolo destro).
Risonanza magnetica
La risonanza magnetica polmonare con angiografia è forse la migliore modalità diagnostica perché produce le migliori immagini del ventricolo destro ed è un ottimo sistema per valutare alterazioni funzionali del ventricolo destro.
Un diametro dell’arteria polmonare destra superiore a 28 mm, risulta essere un fattore predittivo
di ipertensione polmonare sensibile ed altamente specifico, anche se la sua applicazione nella
BPCO non è ancora stata studiata (39).
È bene sottolineare, in ogni caso, che questa tecnica è particolarmente costosa e non disponibile dappertutto. Pertanto il suo impiego deve essere considerato solo ai fini di ricerca.
Test da sforzo
Il principale fattore limitante la tolleranza all’esercizio nella BPCO è lo squilibrio della ventilazione (40).
Durante lo sforzo eseguito con un test rettangolare (30-40 watts per 10’) la PAP aumenta notevolmente nei pazienti BPCO in stadio avanzato con PAP aumentata già a riposo, perché le resistenze vascolari polmonari in questi soggetti non diminuiscono con lo sforzo e ad un raddoppio
della portata cardiaca corrisponde un incremento del 100% della PAP (41).
Il polso di ossigeno al culmine dell’esercizio è di solito ridotto nei pazienti con BPCO, ed il suo valore correla con la capacità di esercizio (42).
In pazienti con ipertensione polmonare primitiva la distanza percorsa durante test del cammino
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
7. Cuore polmonare cronico ed ipertensione polmonare secondaria alla BPCO - A. Potena, M. Piattella
dei 6 minuti, è stata utilizzata come esito principale per valutare l’efficacia di nuove terapie (43).
Questo test si è dimostrato particolarmente efficace nella valutazione prognostica delle malattie
respiratorie; nella BPCO, pertanto, sarebbe interessante valutarne la sensibilità anche nella determinazione dell’ipertensione polmonare (44).
Analisi dell’aria espirata
L’ossido nitrico è un importante regolatore del tono vascolare e nei pazienti BPCO il suo rilascio
a livello delle arterie polmonari è alterato. L’ossido nitrico di derivazione polmonare può essere
analizzato nell’aria espirata, tanto che variazioni di concentrazione sono state osservate in varie
patologie respiratorie, e lo si ritiene un utile strumento diagnostico di malattia in fase attiva (45).
La presenza di ipertensione polmonare è stata associata ad una ridotta produzione di ossido nitrico sia a riposo sia sotto sforzo (46, 47), mentre in pazienti con insufficienza cardiaca ed ipertensione polmonare l’ossido nitrico è risultato inversamente correlato con le RVP (47).
Un recente studio, ha valutato la relazione tra ossido nitrico nell’aria espirata e la funzione ventricolare destra in un gruppo di pazienti con BPCO, evidenziando che la stima ecocardiografica della PAP e della funzione ventricolare destra erano significativamente correlate con la concentrazione di ossido nitrico espirato.
I pazienti con disfunzione ventricolare destra presentavano una ridotta concentrazione di ossido
nitrico nell’aria espirata, suggerendo che questi pazienti potrebbero avere sia un ridotto rilascio
che una ridotta diffusione dell’ossido nitrico dall’endotelio verso le vie aeree (48).
Tuttavia l’esatta origine dell’ossido nitrico espirato non è chiara.
Cateterismo cardiaco destro
Il cateterismo cardiaco destro è il GOLD standard, cioè la tecnica di riferimento per la diagnosi di
ipertensione polmonare e determina una misura diretta della PAP, dell’output cardiaco e delle resistenze vascolari polmonari.
Può anche essere utilizzato per valutare gli effetti acuti dell’intervento terapeutico.
Si tratta di una procedura sicura in mani esperte anche se, in considerazione della sua invasività,
non è raccomandata come esame di routine nei pazienti con BPCO.
Terapia
L’ipertensione polmonare nella BPCO è di solito lieve o moderata e pertanto potrebbe essere non
necessario un suo trattamento specifico. Al contrario si possono ottenere buoni vantaggi da un
corretto schema terapeutico della malattia di base.
Diversa è la condizione di scompenso cardio-congestizio del ventricolo destro associata ad insufficienza respiratoria che necessita di un trattamento con diuretici e la correzione dell’insufficienza respiratoria con ossigenoterapia ed eventualmente, in caso di ipercapnia, con ventilazione
meccanica non-invasiva. In corso di terapia diuretica è necessario controllare periodicamente la
funzione renale e gli elettroliti plasmatici.
L’impiego di farmaci inotropo-positivi, quali ad esempio la digitale, deve essere riservata alla coesistenza di segni di insufficienza ventricolare sinistra o di fibrillazione atriale.
L’ossigenoterapia a lungo termine si è dimostrata utile nel ridurre i valori di PAP nei pazienti con
BPCO ipossiemica permettendo di ridurre gli episodi di scompenso congestizio e di accrescere
la sopravvivenza nei pazienti che ne facevano uso per oltre 15 ore/die (49,50).
Nonostante i vasodilatatori sistemici possano produrre una lieve riduzione della PAP ed un aumento dell’output cardiaco nella BPCO, la loro somministrazione è usualmente associata ad un
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peggioramento degli scambi gassosi. Inoltre, non esiste evidenza che un trattamento a lungo termine con vasodilatatori sia associato ad un beneficio clinico. Per tali motivi i vasodilatatori non sono raccomandati nel trattamento dell’ipertensione polmonare nella BPCO (8).
Studi in acuto ed a lungo termine hanno dato risultati contrastanti sull’impiego della nifedipina e dei
calcio antagonisti più in generale; questi farmaci dopo un trattamento a lungo termine non hanno
prodotto un reale beneficio clinico (51). L’ossido nitrico può essere somministrato con sicurezza nei
pazienti con BPCO per 24 ore di seguito, tuttavia non vi è evidenza che la somministrazione combinata a lungo termine di ossigeno ed ossido nitrico determini un miglioramento della ipertensione
polmonare nella BPCO (52). Uno studio recente indica nella tecnica di somministrazione “pulsata” una
modalità più efficace per ottenere risultati favorevoli sulla PAP media, sulle resistenze vascolari polmonari e sulla portata cardiaca, senza riduzione dell’ossigenazione sul sangue arterioso (53).
La somministrazione di prostaciclina, dei suoi analoghi sintetici o dell’antagonista recettoriale bosentan, ha fornito ottimi risultati nell’ipertensione arteriosa polmonare, che sono stati attribuiti alla regressione del rimodellamento vascolare (43).
In considerazione di questi dati, e del fatto che l’ipertensione polmonare secondaria a BPCO presenta tratti patogenetici comuni all’ipertensione polmonare primitiva, è ragionevole supporre che
questi farmaci, correggendo lo squilibrio vasocostrizione-vasodilatazione, possano avere anche in
questa patologia qualche beneficio clinico (14). Prostacicline, sildenafil e bosentan, in ogni caso, allo
stato attuale non hanno indicazione per l’impiego nei pazienti BPCO con ipertensione polmonare.
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79
8. Ruolo delle infezioni nelle riacutizzazioni
della BPCO
A cura di
Antonio Spanevello e Luisa M. Esposito
Dipartimento di Pneumologia Riabilitativa
Fondazione Salvatore Maugeri
Istituto Scientifico di Cassano Murge, (Bari)
8.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Definizioni e Diagnosi
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia cronica disabilitante, caratterizzata da frequenti e sistematiche riacutizzazioni associate ad un progressivo, quanto repentino, deterioramento fisiologico e della funzione polmonare, ad aumento delle alterazioni infiammatorie delle vie aeree ed ad un considerevole aumento della sintomatologia di base. Le riacutizzazioni della BPCO sono oggi riconosciute come rilevante causa di morbilità e mortalità connessa con tale patologia e la loro frequenza rappresenta uno dei più rilevanti fattori determinanti
la qualità di vita oltre che essere un’importante causa di ricovero ospedaliero. È ancora controversa l’origine delle riacutizzazioni bronchitiche, infatti numerosi fattori eziologici, soli o concomitanti, ne sono responsabili. Negli ultimi anni la scienza medica, attraverso innovative tecniche
di ricerca, ha fatto notevoli progressi nella patogenesi della BPCO e sui fattori scatenanti una
riacutizzazione, riscontrando numerose evidenze sia per l’eziologia infiammatoria sia per quella
infettiva.
Riacutizzazione della BPCO: nonostante gli sia stato riconosciuto un ruolo clinico e biologico
importante per frequenza ed impatto, nella storia naturale della malattia, ancor oggi non se ne
dispone una definizione definitiva universalmente accettata. Nel 1968 Fisher ha scritto “Il valore dei lavori futuri in questo campo sarebbe maggiore se si potesse raggiungere l’accordo sulla definizione di riacutizzazione”(1) ma, purtroppo, le contraddizioni continuano e i numerosi tentativi per raggiungere un consenso unanime sono stati decisamente vani (2,3).
Un tentativo di standardizzazione della definizione di riacutizzazione della BPCO fu dato da
Anthonisen et al. nel 1987 (4). In quello studio le riacutizzazioni sono state suddivise in tre gruppi, (in associazione ai principali sintomi della malattia):
- riacutizzazioni del 1° Tipo: caratterizzate da aumento della dispnea, del volume e della purulenza dell’espettorato;
- riacutizzazioni di 2° Tipo: caratterizzate da due dei precedenti sintomi;
- riacutizzazioni di 3° Tipo: caratterizzata da uno qualunque dei precedenti sintomi associato
ad almeno uno dei sintomi supplementari quali faringodinia, ipersecrezione nasale per almeno 5 giorni, febbre, incremento della dispnea e della tosse, incremento della frequenza cardiaca o respiratoria di oltre il 20% se rapportata a quella basale.
Una recente dichiarazione, emersa da un gruppo di esperti (Aspen Conference) ha definito la
riacutizzazione come un “significativo peggioramento delle condizioni di un paziente affetto da
BPCO, dallo stato di stabilità clinica, che va al di là delle normali variazioni quotidiane, ha inizio
acuto e necessita di un cambiamento nella terapia di base”(5). È molto probabile che tale definizione sia in futuro universalmente accettata.
Attualmente, la definizione più comunemente usata per definire tale evento clinico è la seguente: “incremento soggettivo dal livello di soglia di uno o più sintomi cronici”. Sintomi che includono (5):
- aumento della tosse (per frequenza e gravità);
- aumento del volume dell’espettorato;
- presenza di espettorato purulento e persistenza dello stesso;
- aumento della dispnea e della sensazione di ostruzione bronchiale.
81
Numerose altre patologie possono determinare un aumento degli stessi sintomi ed è necessario
che queste possano essere ragionevolmente escluse con certezza attraverso la valutazione clinica.
Nella maggior parte dei casi, infatti, la storia clinica del paziente e un esame completo permettono
di formulare una corretta diagnosi (6). Le diagnosi differenziali includono la polmonite, lo scompenso
cardiaco congestizio, l’ischemia del miocardio, l’infezione delle vie respiratorie superiori, l’embolia
polmonare, l’inspirazione ricorrente e la scarsa compliance al trattamento farmacologico (7).
Fisiopatologia delle riacutizzazioni
82
Lo stato di stabilità clinica è caratterizzato da vari stadi di infiammazione che interessano le grandi e le piccole vie aeree così come gli alveoli, con conseguente ipersecrezione di muco, riduzione del calibro delle vie aeree e distruzione alveolare, rispettivamente. I mediatori principali, direttamente responsabili di questi danni, sono le proteinasi rilasciate dalle cellule infiammatorie, specialmente i neutrofili, che si riscontrano numerosi nelle secrezioni bronchiali dei pazienti con
BPCO (8-11). I neutrofili sono richiamati in circolo in risposta ai “chemoattractants”, specialmente
l’interleuchina-8 (IL-8) e il leucotriene B4 (LTB4) attraverso le molecole di adesione intercellulare 1 (quali la selectina E e l’ICAM-1) espresse sull’endotelio vascolare. Questi recettori si pensa siano iperespressi sulle cellule epiteliali di pazienti con BPCO (9), implicati, oltre che nel reclutamento, nell’adesione dei neutrofili (quale la MAC-1, molecola di adesione della famiglia delle integrine) (10). La degranulazione neutrofila comporta rilascio di elastasi e di altre proteinasi
(quali la catepsina G, la proteinasi 3 e la metalloproteinasi) che si pensa siano responsabili di
varie funzioni ai danni del tessuto (parenchimale), così come la mieloperossidasi (MPO) (12). Una
percentuale di pazienti, inoltre, presenta un aumento della quota di eosinofili bronchiali che
possono contribuire al processo infiammatorio (13-15). Con questo background vi è la comune
convinzione che le riacutizzazioni siano eventi in cui si osserva un’incremento del processo infiammatorio, anche se tali processi e relative conseguenze restano ancora non del tutto compresi. Infatti, non è stato possibile il confronto tra i diversi studi a causa della mancanza di una
standardizzazione nelle definizioni utilizzate, nella metodologia di ricerca e nella selezione della
popolazione con relativa caratterizzazione del paziente.
Eziologia infettiva nella riacutizzazione della BPCO
Le riacutizzazioni della BPCO sono state associate con un certo numero di fattori eziologici, un
posto di rilievo è occupato dagli episodi infettivi. Queste, infatti, sono frequentemente innescate
da infezioni del tratto respiratorio superiore prevalentemente nei mesi invernali, quando sono più
diffuse nella collettività le infezioni respiratorie (16), anche se ciò potrebbe essere dovuto anche al
fatto che la funzione polmonare dei pazienti affetti da BPCO mostra piccole ma significative diminuzioni associate alla riduzione della temperatura esterna (17).
Tre classi di agenti patogeni sono stati individuati come causa scatenante di una riacutizzazione
acuta di BPCO attraverso le infezioni delle basse vie respiratorie: i virus respiratori, i batteri aerobici gram-positivi e gram-negativi e i batteri atipici (18). I contributi relativi a queste tre classi differenti di agenti patogeni possono cambiare a secondo della severità della malattia ostruttiva sottostante. Così come potrebbero variare i contributi relativi agli agenti patogeni appartenenti ad
una stessa classe, in particolar modo se si tratta di agenti patogeni batterici (6). In particolare il grado di compromissione funzionale del soggetto BPCO sembra in qualche modo poter condizionare il tipo di microrganismo coinvolto nella riacutizzazione, è, infatti, stata dimostrata l’esistenza
di una correlazione tra il deterioramento della funzione respiratoria ed i batteri isolati nel corso della riacutizzazione stessa (19).
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
8. Ruolo delle infezioni nelle riacutizzazioni della BPCO - A. Spanevello, L. M. Esposito
Ruolo dei virus nella riacutizzazione della BPCO
Le infezioni virali delle basse vie respiratorie in pazienti con BPCO possono anche essere una
causa diretta del danno all’epitelio delle vie aeree, con conseguente perdita delle cellule ciliate,
ipersecrezione di muco ed espulsione delle cellule necrotiche nel lume delle vie aeree, associata ad aumento della trasudazione plasmatica (20). Inoltre, causando una riduzione del calibro
delle vie aeree (21), le alterazioni atmosferiche possono facilitare le infezioni batteriche secondarie determinando un peggioramento dell’infiammazione. Si è dimostrato che le infezioni virali
sono responsabili dell’aumento dell’iperreattività delle vie aeree e ciò può essere dovuto ad
un’alterazione dell’equilibrio delle sostanze broncocostrittrici e broncodilatatrici nelle vie respiratorie (20,22). Effettivamente, è stato dimostrato che le infezioni virali correlano con l’aumento del
livello di endotelina -1 (ET-1), inducendo stati asmatici acuti, e incrementando le già elevate
concentrazioni plasmatiche di ET-1 durante le riacutizzazioni di BPCO (23). Inoltre, i virus possono anche incrementare il rilascio di acetilcolina per mezzo degli effetti direttti ed indiretti dei recettori muscarinici M2 facilitando la tendenza al broncospasmo (24). Quindi, sono molti i meccanismi attraverso i quali i virus possono provocare una riacutizzazione acuta di BPCO (AECOPD).
Le infezioni virali
Le infezioni virali rappresentano un importante fattore scatenante per le riacutizzazioni bronchitiche innescate frequentemente, appunto, dalle infezioni delle vie aeree superiori. Tuttavia la loro
reale incidenza è tuttora sconosciuta perché test virali, a causa della loro complessità, non sono
routinariamente applicabili alla pratica clinica.
A partire dagli anni ’70, numerosi studi longitudinali hanno esaminato il ruolo dei virus come causa di riacutizzazione della BPCO (25-27). In questi studi l’infezione virale, considerata responsabile di
circa il 30% degli episodi di riacutizzazione, è stata solitamente documentata da analisi sierologiche ed occasionalmente da analisi colturali.
Il Rhinovirus è attualmente considerato il fattore scatenante più importante alla base di una riacutizzazione bronchitica. Insieme agli Enterovirus, i Rhinovirus appartengono al gruppo dei Picornavirus, virus dell’RNA, e si trasmettono direttamente da un ospite all’altro attraverso le secrezioni
respiratorie infette. È soltanto in tempi recenti che è stata riconosciuta la sua importanza come
causa di riacutizzazione nella BPCO, grazie ad adeguate tecniche di laboratorio, come la “reazione a catena polimerasica” (PCR), che hanno permesso il suo isolamento nelle colture cellulari
e sierologiche. Infatti, questo virus presenta particolari meccanismi di crescita e si manifesta in oltre 100 sierotipi, pertanto la sua individuazione mediante colture o metodi sierologici è particolarmente difficile, da qui la sottostima negli studi, condotti finora, sulle cause delle riacutizzazioni che
facevano largo uso di tali metodiche (28).
Altri virus, oltre al Rhinovirus, possono innescare riacutizzazioni bronchitiche. In ordine di importanza, per la frequenza con cui è isolato, va citato l’Influenza-virus (25-27), considerato la seconda
causa di riacutizzazioni dovute ad infezioni virali, seguono il Parainfluenza-virus, il Coronavirus, associato con una piccola percentuale di riacutizzazioni asmatiche, pertanto si suppone non svolga un ruolo maggiore nella BPCO (25), l’Adenovirus ed il Virus Sinciziale Respiratorio (VRS) (tab. 1).
Vi sono un certo numero di meccanismi che possono essere coinvolti nelle interazioni fra i virus e
le riacutizzazioni. È stato dimostrato che, nel corso di una riacutizzazione, usando metodi sierologici ed i campioni biologici da tampone nasale per la coltura virale, il Rhinovirus può essere trovato più frequentemente nell’espettorato che nell’esalato nasale (29-31), ciò suggerisce che la specie più aggressiva di Rhinovirus può infettare le basse vie respiratorie e contribuire ai processi in-
83
fiammatori associati alla riacutizzazione (29). Inoltre, è stato osservato che le riacutizzazioni associate alla presenza del Rhinovirus nell’espettorato indotto sono anche associate ad un incremento maggiore dei livelli di interleuchina-6 (IL-6) nelle vie aeree (29). Ciò suggerisce che i virus aumentano la severità dell’infiammazione delle vie aeree in fase di riacutizzazione. Quanto trovato è
in accordo con il dato che i virus respiratori determinano le riacutizzazioni più lunghe e più severe con una conseguente maggiore incidenza sull’utilizzo delle risorse sanitarie (29,30,32). È stato riscontrato, inoltre, un sistematico aumento dei markers infiammatori laddove vi era una evidente
infezione virale delle vie aeree.
Il recettore principale dei Rhinovirus è la molecola di adesione intercellulare (ICAM-1), che è situata sulle cellule epiteliali del tratto respiratorio. Gli attacchi, dovuti al Rhinovirus, all’epitelio delle vie aeree attraverso la molecola di adesione ICAM-1, stimolano l’espressione dell’ICAM-1, quindi promuovono il reclutamento e l’attivazione delle cellule infiammatorie, come è visto accadere
nelle riacutizzazioni (33). Vi è una certa evidenza che nella BPCO, sulla superfice dell’epitelio bronchiale, l’espressione della molecola di adesione ICAM-1 potrebbe essere iperespressa e ciò suggerirebbe una maggiore predisposizione all’infezione da Rhinovirus (34). Quindi l’iperespressione
dell’ICAM-1 può rappresentare un importante obiettivo terapeutico nelle riacutizzazioni associate
a Rhinovirus (35).
Tuttavia ad oggi non vi è evidenza che pazienti bronchitici cronici siano soggetti a più infezioni di
natura virale, anche se l’effetto infiammatorio delle infezioni rinovirali può essere maggiore in tali
pazienti.
84
Ruolo dei batteri nella riacutizzazione della BPCO
Il ruolo dei batteri nella progressione della malattia è stato largamente studiato anche se resta relativamente poco chiaro. Ci sono un certo numero di potenziali meccanismi che potrebbero coinvolgere i batteri nella sintomatologia della BPCO. Specie di “Hemophilus influenzae”, “Pseudomonas aeruginosa”, e “Streptococcus pneumoniae” sono stati mostrati essere in grado di stimolare l’ipersecrezione del muco in vitro (36) ed i primi due organismi sono stati individuati come inibitori della frequenza del battito ciliare (37). Ancora, l’Hemophilus influenzae può causare danni all’epitelio bronchiale (38), infatti, la relativa endotossina si è riscontrata essere responsabile di determinare l’iperespressione epiteliale di citochine proinfiammatorie, quali l’IL-6, l’IL-8 e TNF-α (Tumor
necrosis factor-α) in vitro (39), causando i potenziali meccanismi dell’iperespresssione infiammatoria. A sostegno di questa tesi, pazienti con bronchite cronica e BPCO, che presentano una coltura batterica positiva di Hemophilus influenzae, presentano concentrazioni più alte di TNF-α nel
loro espettorato (40). In uno studio di pazienti con bronchite cronica stabile, il carico batterico delle
vie aeree si è trovato in diretta correlazione con i markers dell’infiammazione neutrofila, indipendentemente dall’agente patogeno isolato (26). Similmente, la presenza di potenziali agenti patogeni
microbici isolati dal liquido del lavaggio broncoalveolare è significativamente associata con l’incremento dei neutrofili e le concentrazioni di TNF-α (41). L’estirpazione o la riduzione dei batteri è
associata con risoluzione dell’infiammazione.
Alcuni autori affermano che non esistano prove definitive del fatto che i batteri svolgano un ruolo
nelle riacutizzazioni acute (42). La maggior parte degli studi microbiologici determinati a stabilire il
ruolo dei batteri ha fatto uso di colture di espettorato spontaneamente prodotto confrontando lo
stato stabile con quello riacutizzato. Poiché gli stessi organismi sono stati trovati frequentemente
negli stessi paziente sia nella fase stabile sia durante una riacutizzazione, l’interpretazione del loro
ruolo risulta tuttora difficile. Tuttavia, è stato riscontrato che la percentuale di pazienti con colture
batteriche positive e con un alto carico batterico aumenta durante le riacutizzazione nella maggior
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
8. Ruolo delle infezioni nelle riacutizzazioni della BPCO - A. Spanevello, L. M. Esposito
parte degli studi (1,43,44). Recentemente le più innovative tecniche molecolari hanno evidenziato che
la colonizzazione batterica non è stabile e ci sono frequenti turnover di alcuni ceppi di Hemophilus
influenzae che determinano specifiche host-responses alla membrana esterna alla proteina (45). È
quindi probabile che una mutazione dell’agente patogeno può essere responsabile dei sintomi di
una riacutizzazione; ciò potrebbe spiegare perché gli studi che non sono riusciti a discriminare i differenti ceppi batterici (46) non abbiano riscontrate evidenze di una nuova infezione.
Le infezioni batteriche
Nel corso degli ultimi quattro decenni l’opinione, relativa al contributo dell’infezione batterica nella patogenesi delle riacutizzazioni bronchitiche, si è progressivamente modificata, passando da
un ruolo preponderante, voluto dalla “British Hypothesis” degli anni ’50-’60, all’idea che l’infezione batterica fosse soltanto una mera conseguenza (epifenomeno) (33,47) degli anni ’70-’80. Nell’ultimo decennio nuovi metodi d’indagine sono stati utilizzati nello studio di questo problema che
hanno portato ad una migliore determinazione del contributo dell’infezione batterica nelle riacutizzazioni della BPCO.
Le potenziali vie attraverso cui i batteri potrebbero contribuire alla patogenesi di una riacutizzazione acuta possono essere sintetizzate nelle seguenti tre (48):
- infezione primaria delle basse vie aeree;
- infezione secondaria delle vie aeree dopo un’infezione virale antecedente;
- antigeni batterici che inducono l’iperreattività bronchiale e l’infiammazione eosinofila.
Le nuove metodiche di laboratorio, messe a punto negli ultimi anni, hanno permesso, appunto,
di ricercare evidenze di una responsabilità dei batteri come causa primaria di una riacutizzazioni;
responsabilità la cui entità, ad oggi, risulta ancora non ben determinata a causa dei risultati, non
definitivi e spesso contraddittori, riflettenti la scarsa sensibilità e specificità di metodiche quali ad
esempio l’analisi colturale dell’espettorato. Infatti, i progressi fatti nella comprensione della patogenesi batterica nei decenni passati hanno mostrato che la tecnica della coltura dell’espettorato,
una volta usata come unico mezzo d’indagine per determinare la causa della riacutizzazione
bronchiale, presenta notevoli limiti per quanto ne possa essere ancora considerata la pietra per
la diagnostica eziologia. Limiti dovuti soprattutto al metodo di raccolta dell’espettorato e alla relativa, quanto inevitabile, contaminazione delle secrezioni con la flora orofaringea, spesso contenente potenziali patogeni, con conseguente minore specificità del risultato della coltura. Limiti che
oggi possono essere superati se si esaminano secrezioni delle vie aeree più basse ottenute con
metodi broncoscopici in test colturali quantitativi (49). Infatt,i i campioni ottenuti dalle secrezioni delle vie aeree distali mediante la tecnica del PBS (Protected Specimen Brush) o quella del BAL (Lavaggio Bronco Alveolare) sono incontaminate dalle secrezioni delle vie respiratorie superiori e le
concentrazioni batteriche oltre determinati livelli di soglia nelle colture quantitative correlano con
l’infezione del tessuto (50). Studi recenti (51-54), utilizzando tali metodiche hanno dimostrato un’infezione batterica costantemente significativa delle vie aeree distali in circa il 50% di pazienti riacutizzati. Le specie batteriche isolate coprono la stessa gamma di patogeni comunemente isolati
nelle analisi colturali dei campioni di espettorato raccolti in pazienti bronchitici cronici durante una
riacutizzazione acuta (49).
Vi è comune accordo sul fatto che gli agenti batterici più comunemente isolati nelle vie aeree dei
pazienti, sia con BPCO stabile sia durante una riacutizzazione, appartengono a ceppi non classificabili di Hemophilus influenzae, Streptococcus pneumoniae e Moraxella catarrhalis (55). Come anticipato, la specie batterica isolata durante una riacutizzazione bronchitica sembra dipendere dalla
85
severità dell’affezione polmonare sottostante. Gli Streptococcus pneumoniae ed altri Cocci grampositivi sono isolati più comunemente in pazienti con moderata ostruzione del flusso aereo mentre
i pazienti con ostruzione più severa del flusso presentano più comunemente batteri gram-negativi
quali quelli appartenenti al genere delle Enterobacteriaceae e delle Pseudomonas (56) (tab. 1).
Tabella 1 – Batteri e virus respiratori associati a riacutizzazioni della BPCO
CAUSE INFETTIVE DI RIACUTIZZAZIONE DELLA BPCO
VIRUS
Rhinovirus
Influenza-virus
Parainfluenza-virus
Coronavirus
Adenovirus
Virus respiratorio sinciziale
BATTERI
Hemophilus influenzae
Streptococcus pneumoniae
Streptococcus gram-positivi
Bacilli enterici gram-negativi (GNEB)
Moraxella catarrhalis
Staphylococcus aureus
Pseudomonas aeruginosa
BATTERI ATIPICI
Chlamydia pneumoniae
Legionella
Mycoplasma pneumoniae
86
La presenza di batteri nelle vie aeree più basse di bronchitici cronici determina una breccia nei
meccanismi di difesa dell’ospite, che da l’avvio ad un “circolo vizioso” ai danni delle cellule epiteliali, un’ipotesi ben definita la quale sostiene che i batteri che colonizazano il tratto respiratorio producono endotossine ed altri prodotti che associati ad un aumento della “perdita della sottomucosa vascolare” inducono l’infiammazione, aumentano l’iperreattività delle vie aeree e determinano il deterioramento dei meccanismi di clearance mucociliare associato ad ipersecrezione di muco. Questi prodotti batterici sono attivatori potenti dei macrofagi alveolari, che reclutano i neutrofili ed altre cellule infiammatorie nel polmone, comportando una aumento nella produzione delle
proteasi o peggio ancora determinando lo squilibrio fra proteinasi ed antiproteinasi che si ipotizza possa determinare la distruzione del parenchima polmonare (16).
Numerosi studi recenti hanno dimostrato l’esistenza di una associazione tra il carico batterico delle vie aeree e la presenza di markers infiammatori, oltre che la diretta proporzionalità tra l’estensione della colonizzazione batterica e l’incremento dell’infiammazione delle stesse vie aeree (57). In
particolar modo è stato dimostrato che le riacutizzazioni associate ad Hemophilus influenzae e
Moraxella catarrhalis sono associate a livelli significativamente più elevati dei markers infiammatori delle vie aeree e dell’elastasi neutrofila, rispetto a riacutizzazioni non patologiche (58). Un altro
studio ha messo in evidenza che il tipo di specie batterica è legato al grado di infiammazione,
con la colonizzazione dello pseudomonas aeruginosa, che mostra un incremento della mieloperossidasi (MPO), una misura indiretta dell’attivazione neutrofila (57). Infine, in un altro studio è
stato dimostrato che la colonizzazione batterica delle vie aeree dei pazienti è variabile quando
i campioni sono prelevati a circa 1 anno di distanza e che i cambiamenti nel carico batterico
presente nelle vie aeree è correlato al declino del FEV1 (59). I pazienti bronchitici che hanno mostrato maggiori cambiamenti nella natura della colonizzazione batterica hanno sofferto di declini più repentini della funzione polmonare.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
8. Ruolo delle infezioni nelle riacutizzazioni della BPCO - A. Spanevello, L. M. Esposito.
I livelli elevati nell’espettorato di interleuchina-8 (IL-8) sono associati a carico batterico maggiore ed ad un declino più repentino del FEV1 (16).
In conclusione se la colonizzazione batterica è correlata ad un aumento dell’infiammazione allora
può essere associata all’aumento della frequenza delle riacutizzazioni. La colonizzazione batterica, inoltre, modula il carattere delle riacutizzazioni ed un suo incremento si è dimostrato di recente
essere direttamente proporzionale all’incremento della frequenza delle riacutizzazioni.
Batteri atipici. Negli ultimi anni il progredire delle metodiche di laboratorio ha migliorato notevolmente le nuove conoscenze a riguardo, anche se queste sono ancora molto limitate per quanto
concerne la diagnosi e l’identificazione, di agenti patogeni batterici atipici ed il loro ruolo nelle riacutizzazioni bronchitiche. Un ruolo tutto sommato piuttosto marginale considerato il loro coinvolgimento in circa il 5-10% delle riacutizzazioni di tipo infettivo. In particolare i patogeni atipici più
frequentemente isolati sono: la Chlamydia pneumoniae, la Legionella ed il Mycoplasma pneumonie (25-27,53) (tab. 1). Molto probabilmente i meccanismi che implicano le riacutizzazioni di BPCO sono simili a quelli coinvolti nelle infezioni virali e, inoltre, le ricerche sul ruolo di questi organismi dipende in gran parte dall’analisi sierologica (27,57,60,61).
La Chlamydia pneumoniae è un batterio intracellulare che causa bronchite acuta e polmonite.
Un recente interesse ha messo a fuoco il ruolo dell’infezione clamidiale cronica nella BPCO, associata ad una percentuale di riacutizzazione che va dal 24% al 34% (62,63). Per la sua diagnosi
vengono utilizzate combinazioni in concentrazioni elevate degli anticorpi Immunoglobulina G
(IgG) e Immunoglobulina A (IgA) nel siero, concentrazioni Immunoglobulina A secrete nell’espettorato, o la tecnica della “reazione a catena polimerasica” su campioni di espettorato (64). Tuttavia nonostante gli ultimi studi ancora non è chiaro il suo ruolo nella patogenesi delle riacutizzazioni bronchitiche, cioè se ne sia in qualche modo coinvolto oppure se è soltanto un “innocente spettatore” (16). Inoltre gli studi fino ad ora condotti non hanno dimostrato alcuna associazione
tra questo batterio e la presenza di markers infiammatori (65). Le infezioni da Mycoplasma pneumoniae, invece, interessano principalmente gli adulti in giovane età i quali per la maggior parte
raggiungono l’immunità all’età in cui la riacutizzazione acuta della BPCO si è trasformata in un
problema clinico. Quindi non c’è da sorprendersi se numerosi studi hanno riscontrato che soltanto una piccola percentuale di riacutizzazioni è associata con la presenza diretta di questo organismo (66).
Le infezioni eterogenee
Sono ancora limitate le nostre conoscenze su questo argomento, infatti, nonostante, alcuni studi abbiano riscontrato la presenza di infezioni eterogenee virali e batteriche in percentuali variabili
dal 30 al 60% dei casi di riacutizazione, nessuna chiara evidenza è stata riscontrata circa il fatto
che le infezioni virali siano promotrici dirette di quelle batteriche (25-27). Piuttosto, la percentuale di
batteri isolati associata a riacutizzazioni infettive di natura virale non differisce rispetto a quella associata a riacutizzazioni non virali. Ulteriori approfondimenti sono però necessari in questo campo. Lo stesso si può dire circa le interazioni tra agenti batterici “tipici” ed “atipici” (25).
Conclusioni
Vi è una significativa morbilità e mortalità associata alle riacutizzazioni bronchitiche. Il ruolo delle infezioni del tratto respiratorio come causa principale di riacutizzazione è stato fonte di controversie per numerosi decenni e rappresenta tuttora un campo di ricerca aperto.
Tuttavia sono state riscontrate numerose evidenze scientifiche a supporto del fatto che un’alta
percentuale di riacutizzazioni possa essere attribuita ad agenti infettivi come virus e batteri. L’in-
87
fezione della via aerea tracheobronchiale è un processo dinamico complesso. Capire questo
processo e la risposta immunitaria dell’ospite è di fondamentale importanza per la messa a punto di nuovi modelli preventivi e terapeutici.
88
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89
9. Disturbi cardio-respiratori
nel sonno nella BPCO
A cura di
Giuseppe Insalaco e Oreste Marrone
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto di Biomedicina e Immunologia Molecolare “A. Monroy”,
Sezione di Fisiopatologia Respiratoria, Palermo
9.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
La diagnosi di broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è basata su una anamnesi che
evidenzi l’esposizione a fattori di rischio e sulla limitata reversibilità della ostruzione al flusso aereo, con o senza sintomi (1). La BPCO è sottodiagnosticata in quanto spesso non è riconosciuta fino a quando non raggiunge uno stadio di evidenza clinica moderatamente avanzata. I pazienti con BPCO presentano alterazioni della funzione respiratoria che, durante la veglia, vengono dimostrate dai classici test di funzionalità respiratoria, i quali permettono di definire il grado di severità della malattia. L’esame di riferimento più importante è la spirometria. Una completa valutazione funzionale del paziente con BPCO richiede anche di mettere in evidenza il grado di compromissione della funzione respiratoria durante il sonno. Nel sonno, infatti, si verifica
costantemente un peggioramento delle tensioni dei gas arteriosi, che raggiungono solitamente
livelli tanto peggiori quanto più alterati sono i valori emogasanalitici nella veglia. In alcuni pazienti
un quadro clinico di compromissione cardio-respiratoria difficilmente spiegabile sulla base dei
test funzionali eseguibili durante la veglia potrebbe trovare spiegazione in disturbi respiratori nel
sonno. Inoltre un trattamento mirato alla correzione dei disturbi respiratori nel sonno può in alcuni casi contribuire a migliorare il quadro funzionale presente nella veglia e quindi l’evoluzione
della malattia. È importante quindi conoscere a quali fenomeni possa andare incontro il paziente con BPCO durante il sonno, da cosa siano determinati, e quali possano essere le loro conseguenze.
Caratteristiche dei disturbi respiratori nel sonno
Una riduzione della PaO2 ed un aumento della PaCO2 rispetto alla veglia sono un fenomeno fisiologico sia durante il sonno non-REM, sia durante il REM, e coincidono con una riduzione della ventilazione minuto (2). Nei soggetti sani e nella maggior parte dei pazienti con malattie respiratorie ma
normossiemici in veglia, la riduzione della PaO2 durante il sonno non determina apprezzabili cadute della saturazione ossiemoglobinica (SaO2); queste, invece, compaiono facilmente in caso di ipossiemia in veglia, specialmente quando la PaO2 si trova sulla parte ripida della curva di dissociazione dell’ossigeno dall’emoglobina. In questi casi, piccole ulteriori riduzioni di PaO2 nel sonno facilitano la comparsa di desaturazioni significative.
Anche nei pazienti con BPCO la PaO2 diurna è l’elemento predittivo piú rilevante delle desaturazioni notturne. Nel sonno non-REM è raro osservare profonde cadute della SaO2, a meno che non sia
presente una severa insufficienza respiratoria. L’evenienza più frequente è rappresentata da una riduzione della SaO2 di poche unità percentuali, con un pattern respiratorio regolare. Durante il sonno REM compaiono invece facilmente desaturazioni arteriose prolungate (3), spesso per tutta la sua
durata (fig. 1).
La durata prolungata della desaturazione distingue gli episodi ipossiemici della BPCO da quelli
della sindrome dell’apnea ostruttiva, che sono invece caratterizzati da durate solitamente inferiori al minuto e da una rapida risoluzione (4). Gli episodi ipossiemici prolungati nel sonno REM
non sono un fenomeno specifico della BPCO, ma si verificano anche in altre malattie respiratorie e, in una certa misura, in soggetti normali anziani. La registrazione del flusso aereo e dei movimenti della parete toracica e addominale in coincidenza con questi episodi ipossiemici non
mette solitamente in evidenza alterazioni del pattern respiratorio ben definibili; per lo più si osservano modificazioni che suggeriscono prolungate riduzioni della ventilazione inframezzate,
specie in coincidenza con i movimenti oculari rapidi, da ipopnee con caratteristiche a volte di tipo centrale, altre di tipo ostruttivo (5).
91
Figura 1 - Successione delle fasi di sonno e andamento della saturazione ossiemoglobinica durante la notte in
un paziente con BPCO
SaO2(%)
100
90
80
70
60
Stadio sonno
W
REM
1
2
3
1h
4
23:00
92
2:30
6:00
Per quanto riguarda la PaCO2, vi sono solo scarse informazioni sulle sue variazioni durante il sonno, per la difficoltà di ottenere sue misure sufficientemente accurate in modo non invasivo. I pochi dati disponibili indicano che essa aumenta (6), ma le sue variazioni sembrerebbero minori rispetto a quelle della SaO2.
Alcuni pazienti presentano una casuale associazione tra la BPCO e la sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno (OSAS), associazione che rientra nel gruppo delle “overlap syndromes”, caratterizzate dalla sovrapposizione tra apnee ostruttive nel sonno e patologie polmonari (7). In questo caso, le alterazioni del pattern respiratorio e l’andamento della SaO2 nel sonno mantengono caratteristiche più simili a quelle dell’OSAS o della BPCO, secondo quale di queste condizioni sia maggiormente conclamata, e nel complesso determinano quadri clinici e funzionali più severi.
Correlati dei disturbi respiratori nel sonno
Vi è una correlazione significativa tra i valori di PaO2 diurni e quelli di SaO2 nel sonno. A parità di
PaO2 mostrano peggiori desaturazioni nel sonno i soggetti più ipercapnici (8). Ciò è in accordo con
la vecchia osservazione che i “pink puffers” presentano durante il sonno desaturazioni meno gravi rispetto ai “blue bloaters”. Vari studi hanno mostrato correlazioni significative tra risposte ventilatorie ad ipossia e ad ipercapnia misurate in veglia e desaturazioni notturne (9), ma non è chiaro
quanto queste correlazioni siano indipendenti dai valori emogasanalitici. Una relazione tra l’ipossiemia notturna e il grado di ostruzione bronchiale non è stata sempre riscontrata, e se esiste, è
certamente più debole rispetto a quella con i valori emogasanalitici.
Il problema della comparsa di ipossiemia notturna si pone soprattutto per i pazienti con modesta
ipossiemia in veglia, non tale da giustificare da sola un’ossigenoterapia a lungo termine. Infatti, è
improbabile che pazienti con PaO2 elevata presentino ipossiemia nel sonno; per contro pazienti
con livelli molto bassi di PaO2 non possono che essere ipossiemici anche nel sonno (in grado variabilmente maggiore che nella veglia) e ricevono un trattamento per la loro insufficienza respiratoria anche quando il comportamento dei loro scambi gassosi nel sonno non è rilevato strumentalmente.
Nella popolazione dei pazienti con PaO2 comprese tra 60 e 70 mmHg la correlazione fra PaO2
diurna ed ipossiemia notturna non è tale da consentire di prevedere quali soggetti vadano incontro ad ipossiemia nel sonno. In questi pazienti solo un monitoraggio notturno consente di distinguere con certezza i “desaturatori” dai “non-desaturatori”. Due criteri sono stati proposti per definire i pazienti “desaturatori”: il primo è rappresentato dalla presenza di valori di SaO2 <90% per
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
9. Disturbi cardio-respiratori nel sonno nella BPCO - G. Insalaco, O. Marrone
almeno il 30% della registrazione notturna (10); il secondo dalla presenza di cadute della SaO2 rispetto alla linea di base della durata di almeno 5 minuti, nella quale sia raggiunto un valore di SaO2
≤85% (11).
Patogenesi dei disordini respiratori notturni
Durante la veglia e nel sonno non-REM la ventilazione è mantenuta in rapporto alle esigenze metaboliche. Nella veglia essa può essere modificata in funzione dello svolgimento di attività fisica e
di esigenze comportamentali, come la fonazione; inoltre lo stesso stato di veglia fornisce uno stimolo continuo ai centri nervosi (drive di veglia) che riesce a mantenere la ventilazione anche in assenza di stimoli chimici efficaci (iperossia, ipocapnia). Nel sonno non-REM, variazioni delle tensioni dei gas arteriosi sono da imputare a due fenomeni: la rimozione del drive di veglia e l’aumento
del carico resistivo dovuto all’incremento delle resistenze al flusso nelle alte vie aeree. L’aumento
delle resistenze faringee è legato ad una riduzione del tono muscolare, che coinvolge anche i muscoli dilatatori faringei; questo causa una riduzione della ventilazione per una minor capacità di risposta al carico resistivo rispetto alla veglia. Il sonno REM è caratterizzato da una completa perdita dell’attività dei muscoli intercostali ed accessori della respirazione insieme con quella di tutti i muscoli ad attività tonica, da un’estrema riduzione della risposta ventilatoria agli stimoli chimici e da
alterazioni del pattern respiratorio che diviene caratteristicamente irregolare in coincidenza con l’attività fasica (coincidente con i movimenti oculari rapidi) di questo stato di sonno (12).
Le principali modificazioni a carico della respirazione nel sonno sono riportate nella seguente tabella per fase di sonno:
NREM 1,2
NREM 3,4
REM tonico
REM fasico
Regolazione
Metabolica
Metabolica
Metabolica
Comportamentale
Pattern respiratorio
Periodico/Regolare
Regolare
Regolare/Irregolare
Irregolare
Risposta ventilatoria a O2 e CO2
Ridotta +
Ridotta +
Ridotta ++
Ridotta +++
Resistenze vie aeree superiori
Normale
Aumentata +
Aumentata +
Aumentata ++
Ventilazione minuto
Ridotta +
Ridotta ++
Ridotta +++
Variabile
Attività dei muscoli intercostali
e accessori
Normale
Assente
Assente
Assente
Nei soggetti con BPCO, la più importante variazione della funzione respiratoria che interviene nel
sonno REM è quella che riguarda l’attività muscolare (13). I pazienti con BPCO, specie se iperinsufflati, hanno una ridotta efficienza della contrazione diaframmatica. Quando il diaframma, come
avviene nel sonno REM, diviene l’unico muscolo responsabile del mantenimento dell’attività respiratoria, la ventilazione minuto si riduce in misura maggiore che nei soggetti normali (14). Un’altra
conseguenza della perdita di attività dei muscoli accessori può essere una riduzione della capacità funzionale residua. In realtà quest’ultima non è stata chiaramente dimostrata, salvo che in
soggetti asmatici iperinsufflati (15). È comunque ritenuta una possibile causa di aumento del volume di chiusura, e quindi di una diminuzione del rapporto ventilazione/perfusione e di ipossiemia.
La riduzione della responsività agli stimoli chimici nel sonno REM rispetto alla veglia, in soggetti
con bassa responsività già in veglia, potrebbe teoricamente favorire lo sviluppo di un’importante
ipossiemia, ma non è chiaro se essa svolga effettivamente un ruolo; la possibilità che essa entri
in gioco è suggerita dall’osservazione di una correlazione tra risposta agli stimoli chimici in veglia
e ipossiemia nel sonno rilevata sia in soggetti con BPCO (9), sia in soggetti sani in condizioni sperimentali (16).
93
Un certo contributo all’ipossiemia può essere fornito dal tipico pattern respiratorio rapido e poco
profondo che spesso si verifica in coincidenza con i movimenti oculari rapidi, con conseguente
aumento della ventilazione dello spazio morto e diminuzione della ventilazione alveolare.
In conclusione, gli episodi di ipossiemia notturna riconoscono come meccanismi patogenetici:
1. Le alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione, in parte spiegate dal decubito e dalla riduzione della capacità funzionale residua, in parte dall’abolizione del riflesso della tosse durante
il sonno con possibile ristagno di secrezioni;
2. L’ipoventilazione secondaria allo stato di sonno (17).
Quest’ultima costituisce la causa più importante dell’ipossiemia, che tende ad essere tanto più
profonda quanto peggiore è la compromissione funzionale in veglia, sia dal punto di vista della
meccanica respiratoria, sia, soprattutto, degli scambi gassosi. La forma della curva di dissociazione dell’ossigeno dall’emoglobina è il motivo principale per cui le cadute della SaO2 nel sonno
sono più accentuate nei soggetti con livelli di PaO2 ridotti già in veglia.
Conseguenze dei disturbi respiratori nel sonno
94
I pazienti con BPCO lamentano più disturbi del sonno, tra i quali, soprattutto risveglio precoce (18,19)
rispetto a soggetti di controllo. Anche l’elettroencefalogramma dimostra spesso un sonno di cattiva qualità, con numerosi risvegli e relativa prevalenza di fasi di sonno leggero (20). Sembra che in
assenza di apnee l’ipossiemia possa fornire al più un contributo trascurabile ad un peggioramento della qualità del sonno, come anche dimostrato dagli effetti incostanti dell’ossigenoterapia sulla struttura del sonno (21). È verosimile che un ruolo maggiore sia invece svolto dalla tosse, dalla dispnea o dall’uso di farmaci come la teofillina. Uno studio più recente, mirato ai pazienti con
BPCO lieve, non ha trovato disturbi del sonno se non nei casi in cui coesistevano apnee (22).
Persistono incertezze sul significato delle desaturazioni notturne in pazienti con BPCO senza
ipossiemia nelle ore diurne.
Sembra accertato che l’ipossiemia nel sonno favorisca un aumento delle aritmie cardiache, almeno nel caso di episodi ipossiemici piuttosto severi. La somministrazione di ossigeno previene l’aumento delle aritmie notturne (23). Non è noto se queste possano influenzare la prognosi dei pazienti
con BPCO.
È possibile che episodi di desaturazione ossiemoglobinica notturna possano provocare aumenti
della pressione arteriosa sistemica. I dati della letteratura riguardanti questo aspetto sono comunque ad oggi molto limitati (24).
Studi emodinamici eseguiti nel sonno hanno chiaramente dimostrato come la pressione arteriosa
polmonare aumenti durante gli episodi ipossiemici (25). Alcuni dati della letteratura avevano suggerito un piú rapido deterioramento clinico, con progressivo aumento della pressione arteriosa polmonare (26,27), nei pazienti che desaturano nelle ore notturne rispetto ai non-desaturatori, e avevano indicato come con l’utilizzo di O2 durante il sonno la pressione arteriosa polmonare rimanesse
invece stabile nel tempo (28). Tuttavia dati pubblicati successivamente suggeriscono che l’ipossiemia notturna di modesta entità, anche se prolungata per almeno il 30% della notte, non sia importante nell’evoluzione della malattia, e nessun vantaggio emodinamico sarebbe ottenuto dalla
somministrazione notturna di O2 ai pazienti con desaturazioni esclusivamente notturne (29).
La conseguenza potenzialmente più importante dell’ipossiemia notturna potrebbe essere un
peggioramento della prognosi dei pazienti. Iniziali osservazioni su pazienti ricoverati per riacutizzazione di una BPCO indicavano come il decesso durante il ricovero fosse più frequente nelle ore
della notte, suggerendo che l’ipossiemia nel sonno potesse compromettere in modo diretto ed
immediato la sopravvivenza (30). Un successivo lavoro multicentrico su soggetti in ossigenoterapia
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
9. Disturbi cardio-respiratori nel sonno nella BPCO - G. Insalaco, O. Marrone
studiati retrospettivamente ha però puntualizzato come in molti pazienti che muoiono nelle ore
notturne il decesso non avvenga durante il sonno (31).
Altri studi, infine, hanno valutato il valore prognostico dell’ipossiemia notturna, indipendentemente da quella diurna, nei pazienti con BPCO (32,33), ma non sono riusciti a dimostrare un suo effetto
sfavorevole. Pertanto, il significato clinico delle desaturazioni notturne nella BPCO lieve-moderata e l’effetto della loro correzione rimangono ancora poco chiari. Quasi tutti gli studi su questo argomento hanno riguardato solo poche decine di individui. Sono necessari ulteriori studi su casistiche molto più numerose.
Va sottolineato come i dati sopra riportati riguardino l’ipossiemia notturna da ipoventilazione, quella cioè che più tipicamente si osserva nella BPCO. Diverse possono essere le conseguenze dell’ipossiemia in caso di “overlap syndrome”. In pazienti con l’associazione tra BPCO ed apnee
ostruttive è molto più frequente rispetto ai pazienti con sola BPCO, o con sola OSAS, il riscontro
di ipertensione polmonare, insufficienza ventricolare destra, poliglobulia o sensazione di affaticamento sproporzionate alle alterazioni emogasanalitiche rilevate in veglia, come pure più frequente è il riscontro di alterazioni emogasanalitiche apparentemente sproporzionate rispetto al grado
dell’ostruzione bronchiale (34).
Monitoraggio notturno
Il monitoraggio notturno della respirazione nella BPCO è volto a ricercare e quantificare la comparsa o il peggioramento degli scambi gassosi durante il sonno. A questo scopo si possono utilizzare la polisonnografia o monitoraggi più semplici come l’ossimetria.
La polisonnografia consiste nel monitoraggio continuo e contemporaneo durante il sonno di più
tipi di segnali che comunemente riguardano la funzione cardio-respiratoria e lo stato di vigilanza.
Il pattern ventilatorio è studiato mediante il rilevamento del flusso aereo e dei movimenti toracoaddominali; l’ossigenazione arteriosa mediante rilevamento non invasivo della SaO2; lo stato di vigilanza mediante registrazione dell’elettroencefalogramma (EEG), elettrooculogramma (EOG) ed
elettromiogramma (EMG) sottomentoiero.
Il flusso aereo può essere rilevato con cannule nasali collegate ad un trasduttore di pressione; l’uso di termistori e termocoppie consente di identificare agevolmente le apnee, ma non altri tipi di
disturbi respiratori caratterizzati da riduzioni parziali del flusso aereo.
Il metodo non invasivo più accurato dal punto di vista quantitativo per il rilevamento dei movimenti
respiratori è rappresentato dalla pletismografia induttiva. Più frequente è l’uso di altri tipi di sensori (piezoelettrici, impedenziometrici, strain gauge) che forniscono un segnale di tipo qualitativo.
L’incoordinazione dei movimenti toraco-addominali può essere indice di vari eventi respiratori
(ostruzione delle vie aeree, apnee ostruttive, condizioni di ostruzione parziale delle vie aeree superiori). Informazioni quantitative sullo sforzo respiratorio si ottengono con il monitoraggio della
pressione esofagea ma, a causa della invasività del posizionamento del catetere esofageo, è più
impiegato a fini di ricerca che di routine clinica.
La SaO2, rilevata mediante ossimetria non invasiva, può essere analizzata con riferimento al tempo totale della registrazione o allo stadio di sonno.
L’analisi del complesso dei segnali respiratori consente di rilevare, oltre al grado di ipossiemia, la
presenza di disordini respiratori (“eventi”: apnee, ipopnee, limitazione di flusso). Nei pazienti con
BPCO i parametri più utili nella analisi della SaO2 sono il livello di SaO2 medio e il tempo trascorso al di sotto di alcuni valori di riferimento di SaO2 (solitamente 90, 85 o 80%). Comunemente è
segnalato anche il valore minimo di SaO2 nella notte. Il valore minimo di SaO2 raggiunto in media
al termine di ogni desaturazione (“media dei minimi”) è un parametro poco utile nella BPCO pura,
95
96
mentre può essere utile nei casi di “overlap syndrome”. Come già accennato, frequenti eventi respiratori e desaturazioni caratterizzano l’”overlap syndrome”.
La frequenza cardiaca è monitorata durante il sonno con una derivazione elettrocardiografica. In
questo modo risulta agevole misurare la frequenza ed identificare eventuali turbe del ritmo. La frequenza cardiaca può essere ottenuta anche con i pulsossimetri, che la forniscono automaticamente mentre rilevano i valori di SaO2.
La valutazione dello stato di vigilanza permette di correlare eventuali disturbi respiratori con la
condizione di sonno e i suoi stadi. Più comunemente si utilizzano derivazioni EEG unipolari centrali (C3A2 e/o C4A1) e occipitali (O1A2 e/o O2A1). L’EOG consente il riconoscimento dei movimenti oculari. Movimenti oculari rapidi compaiono in veglia e nel sonno REM. L’EMG sottomentoniero fornisce una stima del tono muscolare, che normalmente diminuisce col passaggio dalla
veglia al sonno e si annulla nel sonno REM.
L’ossimetria può essere eseguita indipendentemente dalla polisonnografia. L’accuratezza dei saturimetri dipende dal tempo di risposta alle variazioni di SaO2 e dalla frequenza di campionamento del segnale da parte dello strumento, e può essere alterata da emoglobine patologiche, da elevati valori di metaemoglobina e carbossiemoglobina. In particolare, i saturimetri misurano la SaO2
come percentuale dell’emoglobina coniugata all’O2, escludendo dal calcolo l’emoglobina legata al
CO. Pertanto, in soggetti con elevate percentuali di HbCO, come i fumatori, il rilevamento di elevati valori di SaO2 da parte di un ossimetro può condurre a conclusioni ingannevoli.
Gli studi polisonnografici sono stati utili in passato a mettere in evidenza con precisione le modalità con cui i disturbi respiratori nel sonno si verificano. Oggi, in considerazione dell’elevato costo
degli esami polisonnografici, della difficoltà di molti pazienti a tollerare questi complessi esami e
della possibilità, nella maggior parte dei casi, di ottenere sufficienti informazioni con il solo, economico, monitoraggio saturimetrico, si tende ad utilizzare in modo diffuso quest’ultimo esame per
la valutazione dell’ipossiemia notturna. Esso è eseguito soprattutto allo scopo di ottimizzare il trattamento con O2 (35). Nei pazienti con sintomi come dispnea, cefalea mattutina o con ipertensione
polmonare o poliglobulia sproporzionati rispetto al quadro funzionale diurno sono indicati monitoraggi più complessi. Infatti, la maggior parte di questi pazienti presenta una “overlap syndrome”,
per la dimostrazione della quale non è sufficiente la sola ossimetria.
Trattamento dei disturbi respiratori nel sonno
Nei soggetti in stato di riacutizzazione lo stato di sonno non può che accompagnarsi ad un peggioramento degli scambi gassosi. In questi pazienti, il trattamento dell’insufficienza respiratoria si
avvale della ventiloterapia, che si è indiscutibilmente rivelata efficace (36), ma non vi sono indicazioni terapeutiche specifiche basate sul comportamento degli scambi gassosi nel sonno.
Gli studi più approfonditi sulla respirazione nel sonno nella BPCO hanno finora riguardato soltanto pazienti in fase di stabilità clinica. In questi ultimi, nè la necessità, nè le modalità del trattamento
dei disturbi respiratori nel sonno sono ancora ben chiarite. L’aspetto che richiama più discussioni è la necessità del trattamento dell’ipossia in eccesso rispetto a quella presente in veglia. La
controversia è in rapporto all’incertezza, sopra riportata, sull’effettiva pericolosità dell’ipossiemia
limitata alle ore notturne. Peraltro, esiste un solo studio che ha paragonato gli effetti sulla sopravvivenza di soggetti normossiemici in veglia ma desaturatori nella notte, trattati o non con ossigeno notturno: per quanto i dati suggerissero un effetto benefico del trattamento, non si osservavano differenze significative nella sopravvivenza tra i due gruppi, probabilmente per la scarsa numerosità del campione (28).
Vi sono solo pochi studi sulla possibile efficacia di vari trattamenti farmacologici sull’ipossia notRapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
9. Disturbi cardio-respiratori nel sonno nella BPCO - G. Insalaco, O. Marrone
turna nella BPCO. Tra questi, un recente lavoro ha messo in evidenza come l’assunzione di tiotropio determina un lieve aumento della SaO2 senza interferire sulla qualità del sonno (37).
Per i soggetti che rientrano nelle classiche indicazioni all’ossigenoterapia a lungo termine (38), si
tende ad aumentare l’erogazione di ossigeno nelle ore notturne per cercare di prevenire le inevitabili desaturazioni nel sonno. È stato osservato però che non sempre è facile prevenire le desaturazioni notturne con l’aumento del flusso di ossigeno, specie nei soggetti più ipercapnici (39).
Le desaturazioni notturne possono essere oggetto di trattamento ventilatorio anche in pazienti
con BPCO in fase stabile. Si tende ad utilizzare soltanto ventilazione a pressione positiva, per lo
più “bi-level”. Molti pazienti mostrano una scarsa compliance a questo trattamento. Le indicazioni sono limitate a soggetti ipercapnici. Tra questi, è stato proposto di istituire il trattamento ventilatorio, in associazione all’O2, in coloro che durante la notte mantengono valori di SaO2 ≤88% per
almeno 5 minuti consecutivi nonostante la somministrazione di O2 al flusso di 2l/min (40). La prevenzione dell’aumento di PCO2 nel sonno, dimostrato in uno studio (41), andrebbe possibilmente ricercata durante monitoraggio notturno e può accompagnarsi ad un certo miglioramento dei valori emogasanalitici in veglia. Anche la qualità del sonno ed il numero di ricoveri potrebbero risentire beneficamente della ventiloterapia. Non è invece ancora stato dimostrato un suo effetto benefico sulla sopravvivenza (42).
Un discorso a parte va fatto per i pazienti con “overlap syndrome”. Questi pazienti vanno sempre
trattati mediante ventiloterapia notturna. Per l’eliminazione delle apnee ostruttive è sufficiente la
ventilazione a pressione positiva continua (CPAP), ma spesso questa non è sufficiente a correggere l’ipossiemia nel sonno. Va allora valutato, sulla scorta dei risultati di monitoraggi notturni e di
ripetute valutazioni emogasanalitiche diurne, se occorra sostituire la CPAP con una ventilazione
“bi-level” e se sia necessario associare alla ventilazione meccanica la somministrazione di ossigeno.
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Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
9. Disturbi cardio-respiratori nel sonno nella BPCO - G. Insalaco, O. Marrone
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10. Terapia e prevenzione
A cura di
Lorenzo Corbetta
Clinica di Malattie dell’Apparato Respiratorio
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Modena
10.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia scarsamente reversibile per
quanto riguarda le alterazioni funzionali e anatomo-patologiche ma trattabile con possibilità di
successo dal punto di vista clinico. Le caratteristiche patologiche della malattia e la tipologia del
paziente affetto da BPCO che è spesso un fumatore che “si autoinfligge” la malattia inducono erroneamente medici e pazienti a un atteggiamento fatalistico che porta ad una sottostima della
malattia e a una sottovalutazione delle possibilità terapeutiche.
Premesso che la cessazione del fumo di sigaretta resta l’unico trattamento in grado di rallentare la
progressione della BPCO, è necessario ricordare che esistono trattamenti farmacologici e riabilitativi in grado di migliorare i sintomi, aumentare la tolleranza all’esercizio fisico e ridurre le riacutizzazioni, migliorando alla fine la qualità di vita del paziente. Inoltre un corretto trattamento domiciliare
delle riacutizzazioni permette al paziente di evitare il disagio del ricovero e del trattamento intensivo.
È opportuno quindi considerare l’intervento terapeutico dalla prospettiva del paziente, che non è
solo interessato al miglioramento della funzionalità polmonare come tale, ma soprattutto alla riduzione di sintomi estremamente invalidanti come dispnea, tosse e catarro, ad avere meno riacutizzazioni e meno ricoveri, a poter svolgere senza limitazioni le comuni attività quotidiane come lavorare, camminare, vestirsi, lavarsi e avere rapporti sessuali.
In assenza di farmaci in grado di modificare la storia naturale della malattia, i pazienti possono
pertanto trarre beneficio da programmi individualizzati integrati che impiegano terapie farmacologiche e non farmacologiche in grado di raggiungere “outcomes” diversi.
Dal 2001 la Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease (GOLD) in collaborazione con
l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha realizzato Linee Guida che vengono aggiornate annualmente sulla diagnosi e i trattamenti di provata efficacia per la BPCO (1,2); in seguito sono inoltre state pubblicate Linee Guida da parte delle più importanti Società Scientifiche Internazionali
come la British Toracic Society (BTS)(3) l’American Thoracic Society (ATS) in collaborazione con
l’European Respiratory Society (ERS)(4) e la Canadian Thoracic Society (CTS) (5). Tali Linee Guida
sono caratterizzate da un approccio “evidence based” con assegnazione di livelli di evidenza alle raccomandazioni contenute nei documenti (tab. 1).
Tabella 1 – Descrizione dei livelli di evidenza (1)
LIVELLO
FONTE
A
Studi randomizzati, controllati (RCT)
Elevato numero di studi
B
Studi randomizzati, controllati (RCT)
Scarso numero di studi
C
Studi non randomizzati
Studi osservazionali
D
Giudizio di un Gruppo di Esperti
Strategia terapeutica basata sulla gravità della BPCO
Lo strategia terapeutica della BPCO in fase stabile raccomandata pressoché uniformemente
dalle Linee Guida più accreditate (1-5) prevede uno schema a gradini, cumulativo, con un crescendo del trattamento in rapporto alla gravità della malattia, iniziando dall’intervento preventivo sull’eliminazione dei fattori di rischio e proseguendo con l’aggiunta e integrazione di trattamenti farmacologici e non farmacologici. Nella BPCO, rispetto all’asma bronchiale, non è normalmente possibile ridurre la terapia una volta raggiunto il controllo della sintomatologia; al con-
101
trario la progressione della malattia e del danno funzione respiratorio caratteristico della BPCO richiede la somministrazione del trattamento per periodi molto lunghi con necessità spesso di incrementare il trattamento. La disponibilità di trattamenti farmacologici con meccanismo d’azione
diverso offre inoltre la possibilità di sostituire o integrare diverse classi di farmaci individualizzando il piano terapeutico al singolo paziente attraverso un attento monitoraggio degli effetti del trattamento (6).
Il trattamento mira a raggiungere i seguenti obiettivi nella BPCO (1):
- prevenire l’evoluzione della malattia;
- migliorare i sintomi;
- migliorare la tolleranza allo sforzo;
- migliorare la qualità di vita;
- prevenire e trattare le complicanze;
- prevenire e trattare le riacutizzazioni;
- ridurre la mortalità.
102
Questi obiettivi dovrebbero essere raggiunti con una trascurabile incidenza degli effetti collaterali.
La figura 1 fornisce un riassunto di questa strategia terapeutica “a step” basata sulla gravità della
BPCO. In pratica tutti i pazienti dovrebbero essere sottoposti ad intervento per la cessazione del fumo di sigaretta. In pazienti con sintomi modesti o saltuari e con minima ostruzione bronchiale (Stadio I: BPCO lieve) è sufficiente una terapia al bisogno con farmaci a breve durata d’azione per controllare i sintomi, in particolare dispnea o tosse. In pazienti compresi fra lo Stadio II (BPCO moderata) e lo Stadio IV (BPCO molto grave), i cui sintomi non sono controllati con broncodilatatori a breve durata d’azione al bisogno e con chiari segni di limitazione al flusso aereo (VEMS <80% del teorico con VEMS/CVF <70), è raccomandata la somministrazione regolare di broncodilatatori a lunga
durata d’azione (Evidenza A) ed un programma di riabilitazione. In pazienti con un VEMS misurato
dopo broncodilatazione inferiore al 50% del teorico (Stadio III: BPCO grave e Stadio IV: BPCO molto grave) ed una storia di ripetute riacutizzazioni (per esempio 3 negli ultimi 3 anni) un trattamento
regolare con corticosteroidi per via inalatoria riduce la frequenza delle riacutizzazioni e migliora la
qualità di vita (Evidenza A) (1,2).
Figura 1 – Terapia della BPCO ad ogni stadio
t
Trat
a
to
men
a st
ep
+ O2 terapia a lungo termine
in caso di insufficienza
respiratoria considerare
NIV e trattamenti chirurgici
+ Steroidi per via inalatoria in caso
di ripetute riacutizzazioni
+ Trattamento regolare con uno o più broncodilatatori
a lunga durata d’azione + riabilitazione
+ Broncodilatatori a breve durata d’azione al bisogno
EVITARE I FATTORI DI RISCHIO; VACCINAZIONI ANTINFLUENZALE
Caratteristiche
• Sintomi cronici
• Esposizione a fattori
di rischio
• Spirometria normale
• FEV1/CVF <70%
• FEV1 ≥80%
• Con o senza
sintomi
• FEV1/CVF <70%
• FEV1/CVF <70%
• FEV1/CVF <70%
• 50% >FEV1 <80% • 30% >FEV1 <50%
FEV1 <30% o
• Con o senza
• Con o senza
presenza di
sintomi
sintomi
insufficienza
respiratoria cronica
o scompenso
cardiaco destro
STADIO
0: A RISCHIO
I: LIEVE
II : MODERATA
III: GRAVE
PROGRESSIONE DELLA MALATTIA
IV: MOLTO GRAVE
Sintomi
Tosse produttiva
Dispnea-Riacutizzazioni
FEV1
Disabilità-Insufficienza
Respiratoria
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
10. Terapia e prevenzione - L. Corbetta
Riduzione dei fattori di rischio
Cessazione del fumo di sigaretta: il controllo della BPCO inizia con la prevenzione, diretta principalmente sul fumo di sigaretta. Un programma completo per la cessazione del fumo richiede un
approccio multidisciplinare che comprende l’educazione sanitaria, le politiche pubbliche e i programmi di informazione rivolti a scoraggiare tale abitudine a cui devono essere affiancati programmi diretti alla sospensione dell’abitudine tabagica in soggetti che soffrono già di BPCO e in
soggetti considerati a rischio di BPCO in quanto fumatori. La sospensione dell’abitudine tabagica è l’intervento più efficace ed economicamente più vantaggioso per ridurre il rischio di sviluppare la BPCO e per fermarne la progressione (fig. 2) (1,6) poiché rallenta il declino della funzione respiratoria ed in particolare del VEMS che nella BPCO è accelerato, riduce i sintomi e la reattività
bronchiale.
Figura 2 – Effetti del fumo e della sua cessazione sulla funzione polmonare
Non fumatori o fumarori suscettibili ai danni da fumo
100
FEV1
75
Fumatori
suscettibili
ai danni da fumo
Sospensione
del fumo a 45 anni
50
Disabilità
Sospensione
del fumo a 65 anni
25
Mortalità
Età (anni)
25
50
75
Fletcher and Peto, BMJ 1977, 1, 1645-1648
La dipendenza da fumo è attualmente riconosciuto come una dipendenza a cui contribuiscono fattori genetici ed ambientali in cui la nicotina gioca un ruolo importante. Per la cessazione del fumo
sul singolo paziente è raccomandato un approccio multidisciplinare che prevede un programma integrato comportamentale e farmacologico.
Il supporto comportamentale: i risultati del supporto comportamentale sono strettamente correlati al numero e alla durata degli incontri con i fumatori con risultati che raggiungono il 20% dei
partecipanti rispetto al 2% dei tentativi senza alcun supporto. L’approccio cognitivo-comportamentale proprio del trattamento di gruppo può essere sostituito in certi casi con un approccio individuale che meglio si adatta alla situazione ambulatoriale dove operano prevalentemente il medico di Medicina generale e lo specialista pneumologo e che presenta il vantaggio del rapporto
personale tra paziente e medico e la possibilità di associare un trattamento farmacologico (7-9). Anche
brevi incontri di counseling individuale diretti a chi non può o non vuole partecipare a interventi
comportamentali intensivi e di gruppo possono raggiungere risultati fino al 6% (6).
Il Rapporto del Public Health Service per aiutare gli operatori sanitari interessati a migliorare le loro abilità dissuasorie contro il fumo suggerisce un programma di intervento che si articola in 5
(10,11)
punti (le 5 A) per identificare e supportare chi vuole smettere di fumare
:
1. Chiedere (Ask): identificare sistematicamente tutti i fumatori ad ogni visita;
2. Consigliare (Advise): invitare decisamente tutti i fumatori a smettere;
3. Valutare (Asses): la volontà del fumatore di smettere;
103
4. Assistere (Assist): aiutare il paziente a smettere;
5. Organizzare (Arrange): un programma di follow-up.
Sempre in 5 punti (le 5 R) si articola il programma per motivare i fumatori che non intendono smettere di fumare:
1. Rilevanza (Rilevance): per ogni singolo paziente;
2. Rischi (Risk): presentare i rischi di continuare a fumare;
3. Benefici (Rewards): presentare i benefici dello smettere;
4. Barriere (Roadblocks): identificare le barriere;
5. Ripetizione (Repetition): rinforzare ad ogni visita il messaggio motivazionale.
Terapia farmacologica: sono oggigiorno disponibili diverse terapie farmacologiche efficaci per
la sospensione dell’abitudine tabagica.
104
1. Terapia sostitutiva con nicotina
I prodotti sostitutivi della nicotina aumentano il successo dell’intervento per la sospensione dell’abitudine tabagica indipendentemente dagli interventi comportamentali o psicosociali. Dunque,
l’uso di terapia sostitutiva con nicotina dovrebbe essere utilizzata in tutti i fumatori che non sono
stati in grado di smettere spontaneamente e che non presentino serie controindicazioni (angina
instabile, ulcera peptica non trattata, recente infarto del miocardio o ictus) (1,6).
Nel Lung Health Study, un trial clinico controllato multicentrico, è stata utilizzata la seguente combinazione: il consiglio del medico, il gruppo di supporto, esercizi di abilità e la terapia sostitutiva
con nicotina, con un tasso di sospensione ad un anno del 35%, mantenuto del 22% a distanza
di 5 anni. Nello stesso studio è stato dimostrato che il declino del VEMS era significativamente inferiore nel gruppo che aveva smesso di fumare rispetto ai fumatori (13-16). Tutte le forme di terapia
sostitutiva con nicotina sono considerevolmente più efficaci del placebo, nonostante il cerotto sia
di solito preferito rispetto alla preparazione in gomma da masticare per la migliore facilità d’uso. I
prodotti contenenti nicotina sono stati meno studiati nei modesti fumatori che sono spesso in grado di smettere più facilmente. In tale categoria è necessario considerare la somministrazione di
una dose iniziale più bassa nei cerotti o nella gomma da masticare.
a) Cerotti di nicotina: i cerotti sono la modalità più utlizzata e rappresentano la prima scelta: sono
disponibili in dosaggi differenti (5-10-15 mg durata d’azione 16 ore; 7-14-21 mg durata d’azione
24 ore; 15-30 mg/24 ore). Nel prescrivere il dosaggio, il medico deve principalmente tener conto del numero di sigarette fumate e del punteggio raggiunto nel Test di Fagerstrom unitamente alla misurazione del CO nell’espirato. Ad un fumatore medio (20 sig./die; Test di Fagerstrom tra 5
e 7) si potrà prescrivere un dosaggio iniziale di 15 mg da scalare regolarmente nei mesi successivi.
b) Gomme da masticare di nicotina: esistono due dosaggi: 2 e 4 mg. Dal primo dosaggio il paziente può avere a disposizione circa 0,8 mg di nicotina; dal secondo circa 1,2 mg. In generale
si può consigliare al fumatore di masticare una gomma in sostituzione di ogni sigaretta, in altri termini almeno una gomma/ora per avere una corretta copertura. Il dosaggio di 2 mg dovrebbe essere utilizzato dai pazienti con un Test di Fagerstrom inferiore a 6 ed un basso numero di sigarette fumate e il dosaggio superiore (4 mg) per gli altri. La corretta tecnica di assunzione consiste
nel masticarle lentamente. Il fumatore deve fermarsi dopo i primi 5-10 atti masticatori e riprendere dopo una pausa. Ogni gomma va masticata per circa 20-30 minuti.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
10. Terapia e prevenzione - L. Corbetta
c) Inalatori di nicotina: la nicotina è contenuta in cartucce (10 mg) e viene vaporizzata ad ogni inspirazione. La nicotina viene assorbita attraverso il cavo orale e le prime vie respiratorie. L’inalatore garantisce la gratificazione della gestualità e della stimolazione orale della sigaretta senza
avere il potenziale di innescare tossicodipendenza. Quando il fumatore sente il bisogno della sigaretta deve semplicemente portare alla bocca l’inalatore e aspirare. Il dosaggio deve essere personalizzato: da 4 a 10 cartucce al giorno. Utile l’associazione con il cerotto.
d) Compresse sub-linguali di nicotina: hanno la stessa indicazione delle gomme. La compressa deve essere posta sotto la lingua dove si dissolve lentamente (circa 30 minuti). La dose deve essere personalizzata come per le altre formulazioni in base al numero di sigarette fumate e
del punteggio raggiunto nel Test di Fagerstrom unitamente alla misurazione del CO nell’espirato. Inizialmente si consiglia l’assunzione di una compressa ogni 1 o 2 ore; la dose mediamente utilizzata è di 8-12 compresse al giorno. La dose può essere raddoppiata fino a raggiungere una dose giornaliera di 16-24 compresse.
2. Bupropione
Il farmaco sembra agire inibendo il re-uptake neuronale della dopamina e della noradrenalina con
un conseguente effetto sul meccanismo biochimico della dipendenza da nicotina attenuando il
desiderio di fumare e la sindrome di astinenza nei pazienti che smettono.
Il trattamento deve iniziare mentre il paziente è ancora fumatore. Deve smettere di fumare entro
la seconda settimana. La dose iniziale è di 150 mg da assumere una volta al giorno per sei giorni, aumentando a 150 mg due volte al giorno a partire dal settimo giorno.
Il bupropione combinato con la terapia sostitutiva con nicotina aumenta la percentuale di successo. L’uso di questo farmaco è controindicato nei soggetti con anamnesi di epilessia.
105
Trattamento di fondo della BPCO
Il trattamento di fondo della BPCO prevede un progressivo incremento dei farmaci che vanno integrati con il trattamento non farmacologico (riabilitazione, ossigenoterapia domiciliare, ventilazione non invasiva, terapia chirurgica) basandosi sulla gravità della malattia. (fig. 1 - tab. 2). La gravità è determinata principalmente dalla riduzione del flusso aereo espiratorio e quindi dalla spirometria, ma anche da altri fattori quali la gravità dei sintomi, la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni, l’insorgenza di complicanze, la presenza di insufficienza respiratoria, di comorbidità
(malattie cardiovascolari, patologie legate al sonno, etc.) e dallo stato di salute complessivo del
paziente. La classificazione basata sulla funzione respiratoria e soprattutto sulla riduzione del
VEMS rispetto al teorico raccomandato dalle principali Linee Guida, sebbene arbitraria, rappresenta comunque il criterio più semplice ed efficace (1,3).
Tabella 2 – Principali trattamenti farmacologici e non farmacologici di fondo della BPCO
TRATTAMENTI FARMACOLOGICI
Categorie di farmaci utilizzati
β2-agonisti e anticolinergici (A)
Corticosteroidi inalatori (A)
Vaccino anti-influenzale (A)
Teofillina (B)
Immunomodulatori (B)
Antiossidanti (B)
Mucolitici (D)
TRATTAMENTI NON FARMACOLOGICI
Riabilitazione
Ossigenoterapia a lungo termine
Ventilazione meccanica a lungo termine
Terapia chirurgica
Progetto Mondiale BPCO
Terapia farmacologica: la terapia farmacologica di fondo ha lo scopo di prevenire e controllare i
sintomi, ridurre la frequenza e la gravità delle riacutizzazioni, migliorare lo stato di salute e la tolleranza allo sforzo. I farmaci raccomandati sono i broncodilatatori (β2-agonisti, anticolinergici) e
gli steroidi, con preferenza per la via inalatoria. La teofillina è un broncodilatatore il cui uso deve essere valutato nel singolo paziente in termini di rapporto rischio/beneficio, in considerazione dei
possibili effetti collaterali e della necessità di monitoraggio dei livelli plasmatici. Nessuno dei farmaci disponibili nel trattamento della BPCO (tab. 3) è efficace nel modificare la progressiva riduzione
del flusso aereo espiratorio che è l’elemento caratteristico della malattia ma ne è raccomandato
l’uso per ridurre la morbilità e migliorare la qualità di vita.
Tabella 3 – Farmaci comunemente utilizzati nel trattamento della BPCO [Modificata da voce bibliografica 1]
FARMACIa
INALATORI PREDOSATI
(µg)b
AEROSOL
(mg/ml)b
VIA ORALE
(mg)
DURATA D’AZIONE
(ore)
0,1
5
-4
4-6
β2-agonisti: a breve durata d’azione
Fenoterolo
Salbutamolo (albuterolo)
Terbutalina
100-200
100-200
500
4-6
β2-agonisti: a lunga durata d’azione
Formoterolo
Salmeterolo
4,5-1,2
25-50
---
12+
12+
---
6-8
7-9
Anticolinergici: a breve durata d’azione
106
Ipratropio bromuro
Oxitropio bromuro
20-40
100
0,25-0,5
1,5
Anticolinergici: a lunga durata d’azione
Tiotropio
18
24+
Combinazione dei β2-agonisti a breve durata d’azione con gli anticolinergici somministrati in un unico
inalatore
Fenoterolo/ipratropio
Salbutamolo/ipratropio
100/40
75/15
1,25/0,5
---
---
6-8
6-8
Metilxanthine
Aminofillina (LR)
Teofillina (LR)
200-600
100-600
Variabile fino a 24
Variabile fino a 24
Glucocorticosteroidi somministrati per via inalatoria
Beclometasone
Budesonide
Flunisolide
Fluticasone
100-400
100-400
250
100-500
0,2-0,4
0,2-0,25-0,5
0,5-1
0,25-1
Combinazione dei β2-agonisti a lunga durata d’azione con i glucocortisteroidi somministrati in un unico
inalatore
Formoterolo/budesonide
Salmeterolo/fluticasone
4,5-9/160-320
25/50-125/250
50/100-250/500
Steroidi sistemici
Prednisone
Metil-prednisolone
5-60
4-16
a: dosi: la dose dei β2-agonisti si riferisce ad un dosaggio medio ripetibile fino a quattro volte al giorno nel caso delle molecole a breve durata d’azione e fino a 2 volte al giorno nel caso delle molecole a lunga durata d’azione (salmeterolo, formoterolo); gli anticolinergici a breve durata d’azione vengono in genere somministrati 3-4 al giorno mentre quelli a lunga durata d’azione (tiotropio) 1
sola volta al giorno.
b: le metilxantine richiedono il monitoraggio della concentrazione plasmatica da cui dipende il dosaggio da somministrare, che condiziona sia l’insorgenza di effetti collaterali sia i livelli plasmatici.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
10. Terapia e prevenzione - L. Corbetta
1. Broncodilatatori
I farmaci broncodilatatori hanno un ruolo centrale nel trattamento sintomatico e nel trattamento regolare della BPCO (Evidenza A). Sono denominati broncodilatatori i farmaci che migliorano il VEMS
o modificano altri parametri spirometrici, di solito agendo sul tono della muscolatura liscia bronchiale. Questi farmaci riducono inoltre il volume residuo, tendono a ridurre l’insufflazione polmonare a riposo e durante lo sforzo e migliorano la performance ventilatoria durante l’esercizio. Per questo motivo nelle forme moderate e severe le variazioni del VEMS non rappresentano l’unico indice
predittivo dell’efficacia del trattamento e la presenza di reversibilità del VEMS non è un criterio indispensabile per la prescrizione dei broncodilatatori. Infatti nel BPCO moderato-grave i broncodilalatori possono migliorare solo parzialmente il VEMS ma indurre un miglioramento dei sintomi
agendo sull’iperdistensione dinamica che impedisce al polmone di raggiungere il suo volume di rilasciamento durante l’espirazione. Ad esempio un paziente con un VEMS di 1500 ml che ha un
valore di base intorno al 35% del suo valore teorico, anche se migliora di 300 ml dopo l’assunzione di broncodilatatore resterà sempre marcatamente sotto la norma. Il paziente percepisce comunque un beneficio dall’uso di questi farmaci perchè viene ridotta l’iperinflazione dinamica sotto
sforzo. Come risultato clinico si ottiene un miglioramento dei sintomi, una maggior tolleranza allo
sforzo, una miglior qualità di vita e inoltre una riduzione del numero di riacutizzazioni (6).
Vi sono 3 classi principali di broncodilatatori: β2-agonisti, anticolinergici e metilxantine.
a) β2-agonisti: agiscono sui ß recettori delle vie aeree; il capostipite è il salbutamolo che è un β2agonista a breve durata d’azione per cui viene somministrato al bisogno per alleviare i sintomi nella BPCO lieve o il riacutizzarsi della dispnea nelle forme moderato-gravi. L’effetto inizia
dopo 5 minuti, raggiunge il picco entro 30 minuti e persiste per 2-4 ore. Tale effetto è utile nel
paziente asmatico in cui la crisi asmatica è spesso improvvisa in risposta a determinati stimoli; lo è meno nel BPCO in cui la dispnea è costante e peggiorata eventualmente dall’esercizio
fisico. Il paziente con BPCO necessita pertanto di una broncodilatazione continua per cui sono preferibili broncodilatori con azioni più prolungata, i cosiddetti β2-agonisti a lunga durata
d’azione (salmeterolo, formoterolo) che hanno effetto per 12 ore senza una riduzione della loro efficacia durante la notte con l’uso regolare; possono perciò essere somministrati 2 volte al
giorno per prevenire o migliorare i sintomi e per aumentare la tolleranza allo sforzo. Per tale motivo le Linee Guida ritengono più conveniente l’uso dei broncodilatatori a lunga durata d’azione nelle forme di BPCO da moderata a molto grave (1-4,19,20).
Salmeterolo è un agonista parziale con un effetto più ritardato rispetto al salbutamolo, che inizia dopo 30’ dalla somministrazione, ha un picco dopo 2 ore e persiste 12 ore. Formoterolo è
un agonista completo con azione rapida come salbutamolo e durata di 12 ore.
Gli effetti collaterali dei β2-agonisti sono prevedibili e dose-dipendenti per cui non è conveniente
andare oltre le dosi consigliate. Sono meno frequenti e si risolvono più rapidamente quando somministrati per via inalatoria piuttosto che per via orale anche se è necessario prestare maggiore
attenzione alla corretta assunzione del farmaco. Per questo motivo è sempre preferibile la via inalatoria rispetto a quella orale che è stata quasi completamente abbandonata. La stimolazione dei
β2-recettori può determinare tachicardia sinusale ed è in grado di aggravare un’aritmia cardiaca
preesistente in pazienti suscettibili; tali eventi sono tuttavia rari con la somministrazione del farmaco per via inalatoria. In soggetti anziani trattati con alte dosi di β2-agonisti può comparire tremore, indipendentemente dalla modalità di somministrazione, limitando così la dose che può essere tollerata. Sebbene possa insorgere ipokaliemia, specialmente quando si associa un trattamento con diuretici tiazidici, ed il consumo di ossigeno possa risultare aumentato in condizioni di
107
riposo, questi effetti metabolici presentano tachifilassi a differenza degli effetti broncodilatatori.
Modeste riduzioni nella PO2 arteriosa insorgono dopo somministrazione di β2-agonisti sia a breve
sia a lunga durata d’azione, ma il significato clinico di queste variazioni è dubbio.
108
b) Anticolinergici: agiscono principalmente bloccando l’azione dell’acetilcolina sui recettori muscarinici M3 responsabili della contrazione muscolare liscia delle vie aeree. A livello delle vie aeree sono
presenti anche altri 2 recettori: M1, che potenziano gli effetti del riflesso colinergico e M2, che hanno invece un effetto di feed-back inibitorio. I farmaci anticolinergici attualmente disponibili non sono farmacologicamente selettivi per i recettori M1 e M3 ma bloccano anche i recettori M2. Come
per i β2-agonisti si differenziano anticolinergici a breve durata d’azione (ipratropio e oxitropio) e
a lunga durata d’azione (tiotropio). Ipratropio inizia la sua azione dopo 10-15 minuti, raggiunge il
suo picco dopo 30 min. -1 ora con una durata d’azione variabile tra 3 e 6 ore. Tiotropio, unico anticolinergico a lunga durata d’azione, si dissocia molto lentamente dai recettori M3 (dopo circa 35
ore) e più rapidamente dai recettori M2 (36 ore) con il risultato che alla dose consigliata di 18
mcg/die la sua durata d’azione risulta superiore alle 24 ore. Lo steady-state farmacologico viene
raggiunto entro 3 settimane. L’efficacia e la sicurezza di tiotropio è stata valutata con numerosi studi verso placebo, ipratropio e salmeterolo: questi hanno dimostrato un miglioramento significativo
e persistente sull’ostruzione bronchiale in particolare sul VEMS, sul PEF e sulla Capacità Vitale Forzata (CVF) anche quando vengono misurati al mattino prima dell’inalazione della dose giornaliera,
un miglioramento della dispnea e della tolleranza allo sforzo, una riduzione delle riacutizzazioni
bronchiali ed un miglioramento della qualità di vita (21-27). È stato avviato inoltre nel 2004 uno studio
(UPLIFT: Understanding the Potential Long-Term Impacts on Function with Tiotropium) della durata di 4 anni, per valutare l’efficacia a lungo termine del tiotropio sul declino del VEMS (28).
L’utilizzo di questa classe di farmaci per via inalatoria ha dimostrato di essere notevolmente sicura. Il più importante effetto collaterale si è dimostrato essere la secchezza delle fauci. Nonostante siano stati riportati occasionalmente disturbi prostatici, non vi sono dati che provino una
relazione causale tra tali sintomi e l’assunzione degli anticolinergici. È riportato in letteratura che
la prescrizione di soluzioni erogate da nebulizzatori con maschera facciale ha indotto l’aggravamento acuto di un glaucoma, probabilmente per un effetto diretto sull’occhio (6,29).
c) Xantinici (teofillina): la teofillina è l’unica metilxantina utilizzata per la terapia della BPCO. È un
modesto broncodilatatore ma a causa della sua potenziale tossicità, viene considerata di seconda scelta rispetto ai broncodilatatori inalatori nonostante i suoi possibili effetti terapeutici
addizionali di tipo antinfiammatorio, diuretico, inotropo positivo e di aumento della forza muscolare dimostrati in alcuni studi. La tossicità dei derivati delle xantine è dose-dipendente, e
questo costituisce un problema poiché il suo effetto terapeutico è significativo a dosi prossime
a quelle tossiche. Richiede pertanto uno stretto monitoraggio della concentrazione plasmatica
che deve essere mantenuta tra 5 e 10 mcg/ml valutando anche attentamente le possibili interferenze farmacologiche. Le metilxantine sono inibitori non specifici di tutte le fosfodiesterasi
e ciò spiega l’ampia varietà degli effetti tossici, i più importanti dei quali sono rappresentati dall’insorgenza di aritmie atriali e ventricolari, che possono risultare fatali. Possono anche favorire
l’insorgenza di attacchi epilettici, tipo “grande male”, anche in pazienti che non hanno una storia di epilessia. Effetti collaterali meno drammatici sono comuni e comprendono cefalee, insonnia, nausea ed epigastralgie (1,6).
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
10. Terapia e prevenzione - L. Corbetta
2. Glucocorticosteroidi
a) Steroidi inalatori: il trattamento regolare con steroidi inalatori non è raccomandato routinariamente in tutti i pazienti con BPCO ma le Linee Guida più accreditate ne raccomandano l’uso nei
pazienti sintomatici con BPCO grave e molto grave, che presentano quindi un VEMS <50% del
teorico e con ripetute riacutizzazioni, ad es. 3 negli ultimi 3 anni per le Linee Guida GOLD (1) e 2
negli ultimi 12 mesi per le BTS (4) (Evidenza A). I 4 trials principali sul loro uso nella BPCO hanno infatti dimostrato che gli steroidi inalatori non rallentano il declino funzionale caratteristico
della BPCO e non modificano la storia naturale della malattia ma determinano un miglioramento dell’ostruzione bronchiale e riducono del 25% le riacutizzazioni migliorando quindi la
qualità di vita dei pazienti (30-34); la sospensione del trattamento con steroidi può inoltre portare
alla comparsa di riacutizzazioni (35).
Studi retrospettivi, criticati per la possibilità di artefatti, suggeriscono che la somministrazione di
steroidi inalatori dopo un ricovero per riacutizzazione possa associarsi ad una riduzione della mortalità del 30% legata ad una riduzione delle riacutizzazioni (36,37). Sono pertanto in corso studi prospettici per valutare questo importante aspetto (38). Gli steroidi inalatori possono dare effetti collaterali locali come candidosi e manifestazioni cutanee. Uno studio a lungo termine ha dimostrato
che il trattamento con triamcinolone acetomide per via inalatoria, peraltro non in commercio in
Italia, si associava ad una rarefazione della densità ossea. Un altro studio a lungo termine ha dimostrato invece che la budesonide non riduce la densità della trama ossea e non aumenta la frequenza di fratture (31,33).
b) Steroidi orali: non si consiglia di utilizzare cronicamente gli steroidi orali nella BPCO (Evidenza A).
Non vi è infatti evidenza di un beneficio derivante dalla somministrazione continuativa di tali farmaci. Un importante effetto collaterale del trattamento a lungo termine con corticosteroidi per via
sistemica è miopatia da steroidi, che contribuisce alla comparsa della debolezza muscolare, delle alterazioni funzionali e dell’insufficienza respiratoria nei pazienti con BPCO avanzata (1).
Terapia di combinazione
Nei pazienti con BPCO da moderata a molto grave la somministrazione di un singolo farmaco (di solito un broncodilatatore) spesso non è sufficiente a controllare i sintomi per cui è razionale utilizzare
combinazioni di broncodilatatori con meccanismo d’azione e durata diversi per aumentare l’entità della broncodilatazione, riducendo al minimo l’insorgenza di effetti collaterali e l’associazione di questi con
gli steroidi inalatori (1,3,4).
Combinazione tra broncodilatatori: la combinazione di β2-agonisti a breve durata d’azione e di
un anticolinergico determina un miglioramento maggiore e più prolungato del VEMS rispetto a ciascuno dei due farmaci considerati singolarmente e non determina tachifilassi nei successivi 90 giorni di trattamento (Evidenza A) (38). L’associazione di un β2-agonista e di un anticolinergico con teofillina può determinare un ulteriore miglioramento del quadro funzionale respiratorio e della qualità di
vita (39-40). L’associazione di un anticolinergico a breve durata d’azione (ipratropio) e un β2-agonista a
lunga durata d’azione (salmeterolo o formoterolo) ha dimostrato una broncodilatazione superiore rispetto al singolo farmaco (41,42). Sebbene sia razionale che anche l’associazione β2-agonisti a lunga
durata d’azione e tiotropio determini effetti sinergici, i vantaggi clinici di tale associazione sono ancora oggetto di studio (6,43-45). Aumentare il numero dei farmaci infatti comporta un aumento dei costi per cui deve essere attentamente valutata la reale necessità e i benefici monitorando il paziente
nelle successive 4 settimane dalla prescrizione (4).
109
Combinazioni steroidi/broncodilatatori: almeno 4 studi hanno dimostrato che l’associazione
fra corticosteroidi e β2-agonisti a lunga durata d’azione (salmeterolo più fluticasone, formoterolo
più budesonide), somministrati con un unico inalatore, è più efficace della somministrazione dei
singoli componenti sulla funzione polmonare, sui sintomi, sulla qualità di vita e sulla comparsa di
riacutizzazioni (Evidenza A) (46-48) e può migliorare l’aderenza al trattamento (Evidenza C).
Altre terapie farmacologiche
Terapia sostitutiva con α-1-antitripsina: giovani pazienti con deficit ereditario di α-1-antitripsina e con un enfisema consolidato possono essere candidati alla terapia sostitutiva. Tale terapia tuttavia è molto costosa e non è disponibile in molti Paesi; non è inoltre consigliata per le forme di BPCO che non sono determinate da un deficit di α-1-antitripsina (Evidenza C) (1).
Antibiotici: la terapia antibiotica è consigliata soltanto nel trattamento delle riacutizzazioni infettive e di eventuali altre infezioni batteriche e non nel trattamento a lungo termine della BPCO (Evidenza A) (1).
110
Mucolitici (mucocinetici, mucoregolatori - ambroxol, erdosteina, carbocisteina, glicerolo iodinato): nonostante alcuni pazienti, che manifestano tosse produttiva possano trarre beneficio dai
mucolitici, i risultati complessivi sembrano limitati. (Evidenza D) (1). In ogni caso la terapia mucolitica dovrebbe essere continuata solo se viene ottenuto un miglioramento dei sintomi (es. una riduzione della frequenza della tosse e della produzione di muco) (4).
Antiossidanti: gli antiossidanti, in particolare l’N-acetilcisteina, hanno dimostrato di ridurre la frequenza delle riacutizzazioni e potrebbero pertanto avere un possibile ruolo nel trattamento di tali
pazienti con frequenti riacutizzazioni (Evidenza B) (50).
Trattamento palliativo della dispnea: la somministrazione per via orale o parenterale di oppioidi è indicata nel trattamento palliativo della dispnea nei pazienti con BPCO con malattia in fase terminale quando non c’è risposta al trattamento, al punto che tali pazienti dovrebbero avere
accesso ai servizi multidisciplinari per le cure palliative, compreso il ricovero in “hospice” (4,51).
Trattamento dell’ansia e della depressione: ansia e depressione sono spesso presenti nei pazienti con BPCO ipossici, con grave dispnea e con frequenti ricoveri ospedalieri. In tali pazienti,
oltre al trattamento causale, dovrebbe essere preso in considerazione anche una valutazione approfondita ed un trattamento antidepressivo(4).
Immunoregolatori (immunostimolanti, immunomodulatori): sebbene uno studio recente con un
farmaco immunostimolante abbia mostrato una riduzione della gravità delle riacutizzazioni in corso di BPCO, ma non della loro frequenza, nessun altro autore ha ottenuto analoghi risultati. L’utilizzo regolare di questa classe di farmaci non può pertanto essere raccomandata sulla base delle attuali evidenze (Evidenza B) (1).
Antitussivi: nonostante la tosse sia talvolta un sintomo fastidioso ha anche un significato protettivo, per tale ragione l’uso regolare di antitussivi è sconsigliato nella BPCO stabilizzata (Evidenza D) (1).
Stimolanti respiratori: l’utilizzo prolungato di doxapram, uno stimolante respiratorio non speciRapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
10. Terapia e prevenzione - L. Corbetta
fico, disponibile soltanto nella formulazione per via endovenosa, non è raccomandato nei pazienti con BPCO stabilizzata (Evidenza D). Anche la somministrazione prolungata di almitrina bimesilato non è raccomandata nei soggetti con BPCO stabilizzata (Evidenza B) (1).
Altri: nedocromile, leucotrieni o metodi di cura alternativi (per esempio medicine a base di erbe,
agopuntura e omeopatia) non sono state adeguatamente sperimentate in soggetti con BPCO ed
il loro utilizzo non può pertanto essere al momento raccomandato (1).
Terapia non farmacologica
La terapia non farmacologia viene trattata per esteso nei capitoli successivi. È molto importante
nel trattamento di fondo della BPCO e riguarda principalmente la riabilitazione, l’ossigenoterapia,
la ventilazione domiciliare e l’approccio chirurgico. I principali obiettivi della riabilitazione sono
rappresentati dal miglioramento dei sintomi, della qualità di vita e dall’aumento della partecipazione fisica e psicologica alle attività quotidiane (Evidenza A). Rientra nella riabilitazione anche il
supporto nutrizionale da considerare nei pazienti con Body Mass Index (BMI) <20 e deve utilizzare anche preparati per il supplemento nutrizionale (4,52). L’ossigenoterapia a lungo termine (>15
ore al giorno) a pazienti con insufficienza respiratoria cronica ha dimostrato di incrementarne la
sopravvivenza (Evidenza A). Può anche essere importante per l’emodinamica, per il profilo ematologico, per la capacità di esercizio, per la meccanica polmonare e per lo stato mentale.
I trattamenti chirurgici sono rappresentati da:
1. Bullectomia
In pazienti adeguatamente selezionati, questa tecnica risulta efficace nel ridurre la dispnea e migliorare la funzionalità respiratoria (Evidenza C).
2. Chirurgia di riduzione del parenchima polmonare (LVRS)
Nonostante siano già disponibili dati incoraggianti (Evidenza C), la LVRS è considerata ancora una
procedura chirurgica palliativa sperimentale. Sono in corso diversi grandi studi per dimostrare l’efficacia ed i costi della LVRS a confronto con la terapia medica convenzionale. Si è osservato che i pazienti che presentano un VEMS <20% del predetto, a cui si associa alla TC ad alta risoluzione un quadro di enfisema omogeneamente distribuito, od una diffusione del CO <20% del predetto presentano un elevato rischio di morte dopo LVRS ed è inoltre improbabile che, in caso di sopravvivenza, tali
pazienti possano trarre beneficio da questo tipo di intervento chirurgico. Fino a quando non saranno
disponibili ulteriori risultati la LVRS non potrà essere utilizzata se non in casi selezionati e l’utilizzo della LVRS non potrà essere raccomandato su larga scala (1).
3. Trapianto polmonare
In pazienti adeguatamente selezionati con BPCO molto avanzata, il trapianto polmonare ha dimostrato di essere in grado di migliorare la qualità di vita e la funzionalità respiratoria (Evidenza C). I criteri per il trapianto polmonare comprendono un VEMS <35% del predetto, una PaO2 <7,3-8.0 kPa
(55-60 mmHg), una PaCO2 >6,7 kPa (50 mmHg) ed una ipertensione polmonare secondaria.
Prevenzione delle infezioni
I vaccini antinfluenzali possono ridurre l’incidenza di riacutizzazioni e la morte in circa il 50% dei
pazienti con BPCO. Essi dovrebbero essere somministrati una volta (in autunno) o due volte (in
autunno ed in inverno) ogni anno. Nella pratica clinica è stato impiegato il vaccino pneumococci-
111
co, che contiene 23 sierotipi; sulla base di studi in combinazione con il vaccino antinfluenzale le
Linee Guida BTS ne raccomandano la somministrazione anche nella prevenzione delle riacutizzazioni della BPCO oltrechè di quella della polmonite pneumococcica (4,17,18).
Trattamento delle riacutizzazioni
La BPCO è spesso associata a riacutizzazione della sintomatologia. Una riacutizzazione di BPCO è un
evento importante nella storia naturale della malattia ed è caratterizzata dalla modifica, rispetto alla variabilità giornaliera, della dispnea, della tosse e/o della produzione di escreato, tale da richiedere una
variazione del trattamento. Il peso economico e sociale delle riacutizzazioni della BPCO è estremamente alto. Le cause più comuni di riacutizzazione sono rappresentate dalle infezioni dell’albero tracheo-bronchiale e dall’inquinamento ambientale, ma la causa di circa un terzo delle riacutizzazioni severe rimane ad eziologia sconosciuta.
Figura 3 – Algoritmo per il trattamento della riacutizzazione della BPCO a domicilio
Inizio o aumento dei broncodilatatori ed eventuale antibiotico-terapia
Rivalutare entro poche ore
Risoluzione o miglioramento
dei segni e dei sintomi
SE
Nessun miglioramento
Corticosteroidi per via orale
Continua il trattamento
riducendolo quando è possibile
112
Rivalutare il trattamento
a lungo termine
Rivalutare entro poche ore
Peggioramento dei sintomi
Ospedalizzazione
Il trattamento farmacologico del paziente con riacutizzazione di BPCO si basa sull’incremento della terapia broncodilatatrice a breve durata d’azione in aggiunta a la terapia di fondo, sull’aggiunta di steroidi sistemici, preferibilmente per via orale e, in alcuni casi, degli antibiotici (fig. 3). Gli steroidi sistemici
contribuiscono a ridurre i giorni di degenza ospedaliera ed accelerano la ripresa della funzionalità respiratoria (Evidenza A). Dovrebbero pertanto essere impiegati in associazione alla terapia broncodilatatrice se il valore del VEMS basale è inferiore al 50% del predetto. Si consiglia la somministrazione di
30-40 mg/die di prednisolone per 7-10 giorni a seconda della gravità (Evidenza D). Gli antibiotici sono
efficaci solo quando il paziente con dispnea ingravescente e tosse presenta un espettorato aumentato di volume e purulento (Evidenza B) (1). La scelta degli antibiotici più appropriati è determinata dalle
sensibilità locali a S. pneumoniae, H. influenzae e M. catarrhalis, sulla base dello schema riportato in
tabella 4.
La mortalità in corso di riacutizzazione di BPCO è strettamente correlata all’insorgenza di acidosi respiratoria che si manifesta con segni neurologici fino al coma, alla presenza di patologie concomitanti ed alla necessità di ventilazione. I pazienti che presentano una BPCO grave o molto grave necessitano spesso dell’ospedalizzazione. Nella tabella 5 sono elencati i criteri che suggeriscono di avviare il paziente ad una valutazione specialistica e/o al ricovero ospedaliero. È comunque opportuno che i pazienti a rischio siano informati su come riconoscere i sintomi di riacutizzazione e quando rivolgersi al medico e che tengano a domicilio i farmaci per il trattamento della riacutizzazione per un rapido intervento guidato dal proprio medico curante (4).
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
10. Terapia e prevenzione - L. Corbetta
Tabella 4 – Trattamento della BPCO riacutizzata per livello di gravità (ERS-ATS); Livello I: trattamento domiciliare
1. Educazione del paziente
Controllare la tecnica di inalazione
Considerare l’uso di spaziatori
2. Broncodilatatori
β2-agonisti short acting# e/o ipatroprio MDI con spaziatore o nebulizzatori al bisogno
Considerare l’aggiunta di broncodilatatori
long-acting se il paziente non li sta usando
3. Corticosteroidi (la dose può variare)
Prednisone 30-40 mg per os per 7-10 giorni
considerare l’uso di un corticosteroide inalatorio
4. Antibiotici
Può essere prescritto in presenza di alterazioni delle caratteristiche dell’espettorato†
La scelta dovrebbe essere guidata dagli spettri di
resistenza locali:
- amoxicillina/ampicillina¶, cefalosporine
- doxiciline
- macrolidi∫
Se il paziente non ha risposto ad un precedente antibiotico-terapia, considerare:
- amoxicillina/clavunato
- fluorochinoloniƒ
MDI: inalatori a dose fissa; #: salbutamolo, terbutalina; †: purulenza e/o volume; ¶: a seconda delle prevalenze locali delle
beta-lattamasi batteriche; ∫: aziromicina, claritromicina, eritromicina, roxitromicina; ƒ: levofloxacina e moxifloxacina
Tabella 5 – Indicazioni alla valutazione e/o ricovero ospedaliero in corso di riacutizzazione di BPCO
• Sintomi severi, quali il significativo peggioramento della gravità dei sintomi, quale l’improvvisa insorgenza di
dispnea a riposo
• Storia di BPCO severa
• Insorgenza di nuovi segni fisici, quali la cianosi, gli edemi periferici
• Assenza di miglioramento con il trattamento medico iniziale
• Importanti patologie associate
• Aritmie cardiache di recente insorgenza
• Incertezza diagnostica
• Età avanzata
• Insufficiente supporto familiare
113
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115
11. Programma educazionale nella BPCO
A cura di
Margherita Neri (1) e Cristina Cinti (2)
Con la collaborazione del Gruppo di Studio AIPO
“Attività Educazionale”
(1)
(2)
UO Pneumologia, Fondazione S. Maugeri IRCCS, Tradate
UO Pneumotisiatria, AUSL di Bologna, Bologna
11.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
L’efficacia e l’efficienza dell’attività educazionale nelle malattie respiratorie croniche è sostenuta da
molteplici evidenze scientifiche (EBM), tanto che viene raccomandata nelle Linee Guida recentissimamente approntate dalla comunità scientifica (1,2). Tuttavia ancora troppi Sanitari la ritengono
“opzionale” e la omettono, con evidente discrepanza tra il comportamento ideale, secondo EBM,
e quello reale di specialisti pneumologi e medici di Medicina generale (MMG) nella gestione del paziente portatore di BPCO. L’utilizzo appropriato degli interventi più efficaci non è una pratica attuata dall’intera classe medica, probabilmente per retaggi del passato, dubbi sull’effetto del trattamento per le scarse modificazioni dei parametri facilmente misurabili, dimenticanze, mancato
rimborso della prestazione se non è ancora “ufficialmente” codificata; tutto ciò porta a non avvalersi interamente delle potenzialità diagnostiche e terapeutiche attualmente disponibili (3,4,5).
I documenti con le maggiori evidenze dell’utilità dell’attività educativa ed informativa ai pazienti
con malattie respiratorie croniche si riferiscono all’asma. Nelle recenti Linee Guida Internazionali
per la gestione della BPCO è ribadita l’importanza dell’educazione ma sono ancora poche le
evidenze documentate in letteratura (1,2,3).
Gli obiettivi del trattamento nella BPCO sono noti: ridurre o rallentare la progressione del danno funzionale, prevenire, se possibile, e trattare le maggiori complicanze quali ipossiemia e infezioni, ridurre i sintomi (soprattutto la dispnea) e migliorare la qualità di vita utilizzando razionalmente le risorse disponibili.
Una revisione critica delle indicazioni fornite al paziente BPCO durante la visita ambulatoriale ha
evidenziato che l’abolizione del fumo è trattata sufficientemente solo in una piccola percentuale dei casi e la prescrizione farmacologica è spesso inadeguata (eccessiva o insufficiente), rispetto alle raccomandazioni EBM (4,5).
In oltre nel 50% dei casi vi è una sottovalutazione dei sintomi da parte dei pazienti e dei Sanitari, con un conseguente fallimento diagnostico e terapeutico (4,5,6). Tosse, produzione di escreato e
dispnea sono i sintomi prevalenti della BPCO ma, spesso, divengono manifesti quando il rimodellamento strutturale (inizialmente broncopolmonare e poi vascolare) è già presente, irreversibile e quantificabile con un esame funzionale. I segni clinici, poi, non sono sempre facilmente rilevabili nelle fasi precoci del deficit funzionale; devono, quindi, essere ricercati e correttamente interpretati in qualunque fase della malattia perché consentono di confermare la diagnosi di BPCO
e iniziare prontamente gli interventi terapeutici e educazionali indispensabili (7). Nel Nord America
è evidente una sottodiagnosi della BPCO in ambo i sessi, in particolare nelle donne, da parte dei
MMG, correlabile ad una carente valutazione funzionale. L’indagine spirometrica, mezzo diagnostico semplice, economico, non invasivo e ripetibile, dovrebbe essere perciò implementata attraverso l’attività educativa ed informativa anche nella Popolazione Generale (8).
Sono ipotizzabili alcune spiegazioni delle discrepanze tra le strategie raccomandate dalle Linee
Guida e la corrente pratica clinica: scarsa praticità e ricaduta concreta. Il Sanitario può, talvolta, essere coscientemente in disaccordo con le raccomandazioni dello “stato dell’arte” e ritenere più affidabile la propria esperienza o il parere di Colleghi stimati. Non si deve, perciò, discutere solo della necessità di educare i pazienti per ottimizzarne l’aderenza al trattamento, ma
anche come implementare l’adesione dei Sanitari alle Linee Guida.
Il rapporto Sanitario/Paziente deve essere rivalutato per portare ad un’efficace comunicazione
“empatica”. L’empatia rappresenta, infatti, il fondamento di una buona relazione medico-paziente e, quindi, una garanzia di maggior successo per ogni terapia. È interessante sottolineare, infine, che il rapporto medico-paziente può presentare delle peculiarità di genere: i medici
donna pongono una maggiore accuratezza nella relazione e fanno attenzione non soltanto agli
117
aspetti verbali della comunicazione, ma anche a quelli non verbali, e dedicano una maggiore cura alle informazioni fornite e al modo di proporle. Prevenire i dubbi, le perplessità e i timori del proprio assistito, rendendolo partecipe delle decisioni, ascoltandolo empaticamente, senza stancarsi di dare spiegazioni, sono tutti elementi che contribuiscono ad attuare quella “alleanza terapeutica” che migliora l’adesione al trattamento e determina la soddisfazione dell’utente (9).
Peculiarità di genere nella BPCO
118
La BPCO costituisce un modello delle complesse differenze di genere e sesso, fra uomini e donne, in tema di salute. La BPCO sembra avere una maggiore prevalenza negli uomini rispetto alle
donne attribuibile alla maggiore abitudine tabagica ed al superiore rischio d’esposizione occupazionale (10). Un’indagine pubblicata su Epidemiology nel 2001 ha però confermato una scarsa rappresentatività femminile, già segnalata dai primi anni novanta, negli studi clinici ed epidemiologici
attuati tra il 1966 ed il 1990 per la BPCO, l’AIDS e le malattie cardiache (11).
D’altro canto, purtroppo, nelle donne la prevalenza dell’abitudine tabagica è in aumento e sembra documentata una maggiore suscettibilità del polmone femminile ai danni da fumo. Gli effetti
del fumo sulla crescita della funzione polmonare sono maggiori in assoluto nelle ragazze. In due
campioni indipendenti della popolazione danese risultava che il rischio di ospedalizzazione era più
alto nelle donne che negli uomini per un dato numero di pacchetti/anno; la differenza fra i generi
negli effetti del fumo sulla funzione polmonare risulta parallela al conseguente rischio di ricovero
ospedaliero per BPCO (12,13). C’è, quindi, una crescente evidenza che le donne sono più suscettibili a diversi fattori di rischio ambientale, un aspetto finora mascherato dalla predominanza del fumo nell’uomo e l’aggiustamento per genere è il primo analitico passo da effettuare in molti studi.
Le differenze fra i sessi nella percezione della dispnea è, poi, uno degli esempi più persuasivi della
complessa interazione fra i fattori ambientali, socio-culturali e biologici. La sensazione d’alterata funzione respiratoria nelle donne può essere più sensibile, ma meno specifica che negli uomini, poiché
le loro vie aeree sono soggette a variazioni cicliche ormonali, in particolare per azione del progesterone, con effetti stimolanti sulla ventilazione al minuto durante l’età riproduttiva (13,14). Ne consegue che
la dispnea, un elemento chiave nella scala della qualità di vita, può essere percepita dalla donne, più
che dagli uomini, come un indicatore globale della salute. Oltre alle differenze nella percezione dei
sintomi, c’è evidenza della diversità di genere nel loro riconoscimento e descrizione; questo può ulteriormente influenzare l’interpretazione dei sintomi riportati dalle donne anche riluttanti nel descrivere il secreto bronchiale, mentre gli uomini più difficilmente ammettono la dispnea.
La mortalità per BPCO negli Stati Uniti è in continua crescita nelle femmine mentre sembra stabilizzata nei maschi (8). In uno studio effettuato in Canada su 7210 soggetti d’età 35-64, dei quali
3654 uomini, la prevalenza femminile di BPCO era 2,1% nelle non fumatrici, 2,7% nelle ex fumatrici e 8,2% nelle fumatrici; negli uomini le prevalenze erano rispettivamente 0,8%, 2,9%, 3,5%.
L’OR per un fumatore che aveva iniziato prima dei diciotto anni, era pari a 3 nei maschi e 5,9 nelle femmine comparato con i non fumatori. Il sovrappeso incrementava nelle donne la prevalenza
di BPCO di 2,4 e la correlazione tra il precoce inizio del tabagismo ed il sovrappeso era molto forte. Un altro studio pubblicato su Chest nel 2001 evidenziava differenze di genere nella riabilitazione respiratoria che risultava meno efficace nelle donne (15). La terapia steroidea orale nei pazienti
in OLT determina un incremento della sopravvivenza degli uomini ed un’aumentata mortalità nelle donne che associano una maggiore necessità di ricovero ospedaliero prolungato specie nelle
fasi più avanzate della malattia (16). Deriva da tutto quanto esposto la necessità di ipotizzare un diverso approccio terapeutico e, di conseguenza, educazionale, prestando attenzione anche alle
peculiarità legate alle differenze di genere.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
11. Programma educazionale nella BPCO - M. Neri, C. Cinti, Gruppo di Studio AIPO “Attività Educazionale”
L’educazione dei pazienti
Anticipare la diagnosi e, quindi, iniziare precocemente il trattamento della BPCO è assolutamente auspicabile, prima di tutto nell’ambito della Medicina generale, poi in ogni occasione di contatto fra il paziente ed i Servizi Sanitari. Tale sforzo non dovrebbe essere esercitato solo sui soggetti sintomatici, ma anche nei confronti di chi è considerato a maggiore rischio di ammalarsi di
BPCO: i fumatori.
Diversi studi hanno confermato per la BPCO ciò che già era evidente per l’asma bronchiale: l’aderenza al trattamento da parte dei pazienti è generalmente scarsa. Persino nel corso dei trial clinici più rigorosi, con stretto controllo e supervisione dei pazienti, il fenomeno ha spesso caratteristiche disarmanti. Nel corso del Lung Health Study (12), ad esempio, l’utilizzo del broncodilatatore dopo un anno dalla prescrizione era riferito solo nel 60% dei casi e nel 50% dopo cinque anni. I riscontri potrebbero essere peggiori se si utilizzasse una metodica obiettiva con conteggio
delle dosi residue, sistemi di registrazione delle inalazioni e monitoraggio delle prescrizioni farmaceutiche per verificare realmente l’assunzione dei farmaci (17).
Scarsa aderenza al trattamento significa anche uso eccessivo o improprio dei farmaci, perciò si
ritorna all’importanza di aumentare nel portatore di BPCO, e nei Sanitari che lo seguono, il livello
di conoscenza dei principi d’utilizzo degli aerosol predosati, inalatori di polvere secca, nebulizzatori ed erogatori di ossigeno.
L’educazione del paziente portatore di BPCO è un intervento mirato ad ottimizzarne il programma terapeutico-riabilitativo anche attraverso importanti modificazioni dello stile di vita: sospensione del tabagismo, applicazione di regole igieniche e dietetiche, regolare attuazione di programmi
riabilitativi ed anche convivenza con protesi respiratorie spesso non accettate dal paziente perché troppo visibili agli “estranei”.
L’educazione non è, quindi, solo un apprendimento nozionistico da parte del paziente, ma anche
attività di supporto e condivisione del carico terapeutico con i Sanitari che lo curano. Per raggiungere il primo obiettivo è indispensabile la comunicazione di messaggi basati su rigorose informazioni scientifiche, per il secondo bisogna personalizzare le informazioni strutturando un reale
rapporto di alleanza terapeutica e co-gestione della malattia.
La BPCO è curata in un’ottica multidisciplinare dove l’azione educazionale deve essere svolta da
tutte le figure, sanitarie, e non, che entrano in contatto con il paziente: il MMG, lo specialista pneumologo, i terapisti della Riabilitazione, gli infermieri professionali, i familiari e le associazioni di volontariato e d’assistenza (3,17).
Con l’intervento educazionale è possibile, quindi, promuovere l’applicazione d’abitudini comportamentali corrette ed incidere positivamente sul mantenimento delle condizioni di stabilità della
malattia.
Nelle fasi di riacutizzazione, anche in ambiente specialistico ospedaliero, è doveroso sensibilizzare il paziente a seguire scrupolosamente la terapia prescritta, insegnando, o correggendo, l’uso
degli inalatori, consigliando di evitare ipnotici e sedativi, mantenere una sufficiente idratazione,
praticare l’autodrenaggio delle secrezioni ed osservare un’alimentazione con pasti non abbondanti e frequenti (18).
Al paziente ed i suoi familiari, sarebbe utile fornire delle istruzioni scritte che rammentassero i segni e i sintomi indicativi di una situazione di pericolo, con le relative azioni da intraprendere, così
come viene suggerito per la gestione dell’asma bronchiale.
119
La terapia inalatoria
120
Nei pazienti BPCO è particolarmente importante attuare in modo corretto la terapia inalatoria perché, come principale via d’assunzione dei farmaci, influenza notevolmente il successo terapeutico.
La somministrazione della dose terapeutica è possibile utilizzando appositi erogatori che consentono di inalare una quantità prefissata di farmaco disperso in un aerosol o preparati in polvere. Questi
apparecchi richiedono la collaborazione del pazienti, per ottimizzarne la somministrazione, ed ognuno è dotato di caratteristiche diverse e di specifica manualità d’uso. Per valutare il grado d’adesione dei pazienti alle manovre previste da ciascuno dei più comuni inalatori ed erogatori il gruppo Attività Educazionale AIPO ha organizzato e svolto i Progetti di ricerca GEINA e GENEBU (19,20). Questi
studi hanno indagato in Italia le modalità abituali di utilizzo della tecnica inalatoria evidenziando i numerosi errori frequentemente attuati dai pazienti che usano aerosolterapia e le scarsissime istruzioni ricevute sull’uso e sulla manutenzione degli aerosolizzatori. Questi studi hanno confermato una
bassa aderenza, in Italia, anche dei pazienti BPCO alle terapie prescritte. Nonostante la estrema diffusione nel nostro Paese della aerosolterapia con nebulizzatori e le evidenze che le caratteristiche
del nebulizzatore sono essenziali per assicurare i migliori risultati, è lo pneumologo stesso che non
riceve in Italia informazioni sulle proprietà dei nebulizzatori disponibili per eseguire una aerosolterapia e di conseguenza l’utente è poco istruito ad utilizzare al meglio questo mezzo terapeutico (20). Numerosi studi hanno comunque confermato che la non aderenza del paziente, anche intenzionale, all’utilizzo corretto della terapia inalatoria è un problema estremamente importante (21-24).
Il paziente con BPCO, quando assume la terapia inalatoria, ha bisogno dello stesso tipo d’informazioni pratiche che dovrebbero, ormai d’abitudine, essere fornite all’asmatico; l’età mediamente più avanzata può però spesso causare difficoltà all’utilizzo corretto della terapia inalatoria, ad
esempio per patologia articolare delle mani, maggiori difficoltà nel leggere le prescrizioni e minor
coordinamento erogazione-inalazione (25). Taluni autori non sembrano evidenziare un miglioramento dei risultati clinici in pazienti BPCO sottoposti ad attività educative-informative durante trattamento riabilitativo rispetto al gruppo controllo (26). Altri autori hanno dimostrato che un intervento
educazionale rivolto a pazienti BPCO può rivelarsi efficace in termini di migliore conoscenza della malattia, dell’utilizzo corretto dei farmaci e del PEF, nonché sul ricorso ai servizi sanitari (27). Non
sempre si è visto un favorevole rapporto costo/beneficio, in termini economici, per una maggior
consapevolezza dei segni e sintomi d’aggravamento della malattia che può portare ad un’aumentata richiesta di visite mediche e, in taluni casi, un aumento del ricorso al ricovero ospedaliero. Una metanalisi dei risultati dell’educazione nella BPCO conclude che l’evidenza dell’efficacia
dell’educazione esiste ma è piuttosto debole (28).
Un corretto intervento d’educazione potrebbe ottenere la riduzione del rischio di ripetuti ricoveri
ospedalieri che sono anche la conseguenza comportamenti modificabili (29). Un lavoro italiano ha evidenziato che i pazienti BPCO assegnati all’intervento d’educazione e rinforzo motivazionale hanno
avuto miglioramenti statisticamente significativi della qualità di vita e della capacità di performance (30).
Mancano studi di lunga durata per valutare l’efficacia di un intervento educazionale sulla qualità
di vita e la sopravvivenza a lungo termine del malato con BPCO.
L’ossigenoterapia a lungo termine (OLT)
La storia naturale della BPCO è caratterizzata dall’inarrestabile progressione del danno funzionale polmonare fino all’alterazione degli scambi gassosi con insufficienza respiratoria. Uno stato
ipossiemico può anche presentarsi transitoriamente nel corso degli episodi di riacutizzazione.
La somministrazione d’ossigenoterapia a lungo termine (OLT) aumenta la sopravvivenza dei pa-
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
11. Programma educazionale nella BPCO - M. Neri, C. Cinti, Gruppo di Studio AIPO “Attività Educazionale”
zienti affetti da BPCO di grado severo con ipossiemia a riposo e tale effetto è più marcato quanto più la terapia viene condotta in modo regolare e continuativo (31). L’intervento educazionale nell’OLT dovrebbe essere soprattutto finalizzato a convincere il paziente a rispettare le ore di somministrazione quotidiana prescritte, curando quei momenti in cui è maggiore il rischio d’ipossiemia, come il sonno e soprattutto l’attività fisica. Tale presidio terapeutico non è utilizzato correttamente da molti medici ed è accettato con difficoltà da parte dei pazienti: questo si traduce spesso in una scarsa compliance. Molte inadempienze dei medici, e dei pazienti, sono state confermate da uno studio multicentrico italiano in corso di pubblicazione, dal quale deriveranno programmi educazionali ad hoc per le varie realtà documentate. Esistono, infatti, alcune evidenze che
un intervento d’informazione e educazione, reiterato ed approfondito, potrebbe, ancora una volta, aumentare la compliance nell’OLT (32). Le esperienze Italiane della Scuola dell’ossigenoterapia
domiciliare nella BPCO sono ancora sporadiche (33). Negli studi nazionali ed internazionali viene
messa in luce, infatti, la frequente carenza di informazioni, addirittura, da parte dei medici prescrittori, sull’utilizzo corretto dell’ossigenoterapia; in più della metà di casi il paziente non è informato della necessità di utilizzare l’ossigeno durante l’attività fisica e comunque solo un terzo dei
pazienti utilizza lo “stroller” portatile quando esce di casa. È fondamentale l’opera di educazione
anche del MMG che segue a domicilio e conosce bene il paziente; convincere i pazienti a continuare l’OLT con il portatile, quando escono e vanno in comunità, spesso è particolarmente difficile per il disagio che manifestano nella vita di relazione e può essere necessario coinvolgere nell’intervento educazionale i familiari e conviventi del BPCO in OLT, fornendo le informazioni basilari sulla ossigenoterapia a tutti.
La ventiloterapia domiciliare
Negli ultimi anni il paziente affetto da BPCO con insufficienza respiratoria globale, in passato, purtroppo, considerato non suscettibile di intervento terapeutico di tipo ventilatorio, soprattutto per via
non invasiva, viene sempre più frequentemente avviato a ventiloterapia domiciliare, sia pur in casi
selezionati: pazienti con severa ipossiemia notturna o segni di fatica dei muscoli respiratori (34). Inoltre, spesso, esiste un doppio problema d’associazione della BPCO con la sindrome delle apnee
ostruttive del sonno (OSAS) che comporta la necessità d’utilizzo di dispositivi come la ventilazione a pressione positiva continua (CPAP).
La prescrizione di una protesi ventilatoria domiciliare comporta la necessità di affrontare, e risolvere, numerosi problemi pratici organizzativi, gestionali, relazionali e psicologici che coinvolgono il paziente e la sua famiglia, modificandone radicalmente l’impostazione della vita quotidiana. È evidente, pertanto, la grandissima attenzione che va posta nel fornire, sia al paziente sia al suo gruppo familiare, tutte le informazioni sulla necessità, e finalità, della ventiloterapia e della manutenzione quotidiana dell’apparecchiatura. Il paziente non potrà essere dimesso dall’ospedale se non dopo un adeguato “training” che deve coinvolgere anche i familiari-conviventi, verificando l’accettazione, e la comprensione, dei concetti fondamentali di questa particolare terapia. È anche molto
importante fornire un supporto psicologico al paziente ed alla sua famiglia e prevedere la possibilità di prolungare quest’intervento, anche dopo le dimissioni, in occasione di controlli ambulatoriali
o domiciliari. Esiste, però, il problema della compliance al suo utilizzo. Bisogna educare il paziente
riguardo all’uso della protesi ventilatoria spiegandone i relativi benefici, il meccanismo d’azione della ventilazione meccanica e come risolvere gli effetti collaterali della maschera nasale o facciale che
possono influenzare negativamente l’aderenza al trattamento. I dati obiettivi relativi all’uso dei ventilatori sono solo quelli provenienti dagli ultimi modelli dotati di conta-ore d’utilizzo legati all’attivazione diretta del paziente mediante l’inspirazione. La compliance può essere in ogni modo au-
121
mentata con semplici provvedimenti immediati sul singolo paziente o con la realizzazione di lezioni di gruppo; il programma gestionale può essere sviluppato nel centro pneumologico al momento della diagnosi e della prescrizione terapeutica, e completato da un intensivo supporto domiciliare nel medio termine con visite periodiche. Nel caso delle lezioni di gruppo (scuola della BPCO
e dell’insufficienza respiratoria in ossigeno e ventiloterapia domiciliare sulla falsariga della già collaudate scuole dell’asma), impartite dai sanitari dei Centri specialistici pneumologici, il fine è sempre l’educazione, il supporto, il trattamento degli effetti collaterali ed il monitoraggio delle attrezzature in possesso del paziente con una metodologia che permette un’interazione tra i singoli partecipanti con confronto e condivisione delle esperienze personali di ciascuno (35).
L’abolizione del fumo
122
Il fumo di sigaretta costituisce il maggiore fattore di rischio per BPCO e la sua sospensione è il
solo intervento terapeutico, con l’OLT nelle fasi avanzate della malattia, che influenza la sopravvivenza. I Sanitari hanno il dovere di fare azione antitabagica in occasione d’ogni incontro con la
Popolazione Generale ed, in particolare, con il portatore di BPCO (36).
Il Lung Health Study ha evidenziato che negli Stati Uniti i pazienti sottoposti ad un intenso programma antifumo riducevano significativamente il declino annuale del FEV1, già dopo un anno (11). I
pazienti erano sottoposti a colloqui individuali con il medico ed a successive frequenti sedute di
gruppo (12 incontri in 10 settimane) guidate da figure sanitarie, con un eventuale supporto farmacologico (terapia nicotinica sostitutiva) e un tentativo precoce “di salvataggio” in caso di ricaduta.
I messaggi che si possono trasmettere hanno il vantaggio della semplicità, dell’economicità e dell’ampio numero di soggetti raggiungibili con risultati simili a quelli d’interventi più strutturati su piccoli gruppi.
I soggetti maggiormente motivati hanno superiori possibilità di smettere definitivamente di fumare, tuttavia anche in chi manifesta le più serie intenzioni sono possibili insuccessi e ricadute. È
sempre opportuno sfruttare, senza ricorrere a politiche di “terrorismo psicologico”, qualsiasi ricorso al medico da parte del paziente che lamenta vaghi sintomi respiratori o cardiaci, a maggior
ragione se non conducenti ad una diagnosi definitiva.
Il supporto dei familiari è importante: se è stata concordata con il medico una data precisa di sospensione del fumo, c’è la possibilità di non lasciare il paziente a gestire la tentazione della ricaduta da solo.
Nel paziente con BPCO i test di funzionalità respiratoria possono essere sfruttati come strumento di motivazione, all’inizio del trattamento, citando le “crude” percentuali del danno funzionale e,
poi, l’effetto confortante che il miglioramento dei parametri spirometrici nel tempo può esercitare.
Il National Cancer Institute consiglia al medico di svolgere quattro azioni: informarsi sull’abitudine
tabagica del paziente, comunicare i rischi per la salute, considerare i possibili interventi per l’abolizione del fumo e pianificare un follow-up (ask, advise, assess, assist, arrange) (37).
Nel sistema di classificazione americano dei disturbi mentali sono codificati i sintomi da astinenza da nicotina che raggiungono l’acme di norma entro la prima settimana dall’abolizione del fumo: irritabilità, ansia, difficoltà di concentrazione, riduzione della frequenza cardiaca, sudorazione,
insonnia, incremento dell’appetito e perdita di peso.
Le possibilità d’interventi di sostegno farmacologico sono ormai ampie.
La terapia nicotinica sostitutiva (nicotine replacement therapy - NRT) è usualmente prescritta per
attenuare le ripercussioni comportamentali, e psicologiche, che l’astensione dal fumo può determinare, soprattutto nei primi mesi, quando avvengono la maggior parte delle ricadute. I livelli plasmatici di nicotina che il fumo assicura non sono, però, raggiunti mediante NRT e ciò, in aggiunRapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
11. Programma educazionale nella BPCO - M. Neri, C. Cinti, Gruppo di Studio AIPO “Attività Educazionale”
ta alla perdita di quello che viene comunemente identificato come “il piacere di fumare”, giustifica
i bassi tassi di successo, dell’ordine del 15-25% a 12 mesi.
La terapia sostitutiva può essere attuata con: chewing gum, pasticche, cerotti transdermici, spray
nasali e inalatori. Ogni sistema ha delle peculiarità. Uno dei vantaggi della somministrazione orale è la possibilità di modificare autonomamente le dosi di nicotina assunte rispetto, ad esempio,
ai cerotti transdermici che rilasciano una dose fissa, ma può potenzialmente portare anche a fenomeni di sottodosaggio. I cerotti hanno dimostrato di essere efficaci soprattutto se utilizzati come supporto di minimi interventi educazionali e rappresentano probabilmente l’attuale prima scelta di trattamento nei casi più importanti. Nel soggetto che fuma meno di dieci sigarette al giorno
le gomme da masticare e gli inalatori possono essere più adatti.
Bupropione è un agente dopaminergico con meccanismo d’azione centrale, associato alla terapia nicotinica sostitutiva per via transdermica ha presentato tassi di successo più alti rispetto al
solo cerotto; ha però anche mostrato di favorire la comparsa di uno stato convulsivo, soprattutto nei soggetti affetti da epilessia e bulimia, per cui deve essere usato con molta cautela.
La terapia comportamentale di supporto varia da interventi strutturati in modo semplice a programmi complessi gestiti da veri e propri “smoking specialist”. I programmi più aggressivi raggiungono tassi di successo approssimativi del 20%, più elevati se uniti al trattamento farmacologico.
Investire risorse nei programmi antitabagici si è dimostrato essere costo-efficace (raccomandazione A delle Linee Guida GOLD) se si prendono in considerazione il rallentamento del declino della funzionalità respiratoria e l’incremento della sopravvivenza (1,12).
Aspetti nutrizionali
Il paziente con BPCO presenta caratteristiche costituzionali riconducibili a due tipologie: l’eccedenza ponderale del bronchitico cronico e la magrezza dell’enfisematoso.
Nel caso del sovrappeso, che determina ripercussioni più gravi nelle donne, sono comuni uno
stato edematoso periferico con ritenzione idrica agli arti inferiori e ipotrofismo di cute e annessi,
mentre nell’enfisematoso prevale l’inappetenza e la tendenza a perdere peso (8). Il mantenimento
o la ripresa del peso corporeo ideale è un obiettivo importante nella terapia della BPCO. In condizioni d’incremento ponderale è aumentato il lavoro cardiorespiratorio per assicurare l’ossigenazione a tutti i distretti corporei e l’eccesso d’adipe in regione addominale, ostacola i movimenti del
diaframma e non consente l’ottimale espansione dei polmoni. Nel paziente denutrito, all’opposto,
c’è ipotonia e ipotrofia della muscolatura corporea, anche dei muscoli respiratori e conseguente
circolo vizioso ove la deplezione muscolare incrementa ulteriormente il fabbisogno calorico.
Lo stato nutrizionale si ripercuote anche sulle difese immunitarie: una dieta ipocalorica, con poche vitamine, minerali e, in particolare, proteine, riduce la produzione d’immunoglobuline.
Nella BPCO è necessaria un’adeguata idratazione per ridurre la viscosità delle secrezioni e, se è
in corso l’OLT, per contrastare la secchezza delle mucose secondaria all’ossigenoterapia. L’apporto proteico dovrebbe essere individualizzato per favorire i processi di difesa e di riparazione
cellulare. Un supplemento di calcio è utile soprattutto nelle donne e nei pazienti in terapia steroidea, mentre quello di potassio serve per regolare il controllo della pressione arteriosa, della contrazione muscolare e trasmissione nelle fibre nervose. La correzione d’eventuali squilibri dei fosfati
e del magnesio può favorire la funzionalità diaframmatica.
Il ruolo del contenuto lipidico nella dieta è ancora da chiarire: da una parte la dieta iperlipidica contribuirebbe a ridurre la formazione d’anidride carbonica, dall’altra la minore assunzione di grassi
favorirebbe lo svuotamento gastrico migliorando la meccanica respiratoria.
123
Contenuti di un programma di educazione rivolto al paziente BPCO
Le nozioni d’anatomia e fisiologia cardio-respiratoria sono importanti informazioni da dare, così
come la definizione di BPCO, sia pur in modo semplificato e comprensibile a tutti. Dovranno essere descritti i test di laboratorio e gli strumentali utili per la diagnosi di BPCO, spiegando per
sommi capi le procedure e l’interpretazione dei risultati.
Altro importante argomento è la terapia farmacologia della BPCO: meccanismo d’azione, benefici attesi, effetti collaterali, modalità di assunzione, metodi per ricordarsi di assumere il farmaco.
Importantissima, oltre alla campagna contro il fumo di sigaretta, è quella contro le abitudini di vita
scorrette (vita sedentaria, rinuncia all’attività fisica, ecc). L’esercizio fisico e gli interventi di riabilitazione devono essere dettagliati: quali, quando, quanto tempo e perché attuarli regolarmente.
Sarà molto utile ribadire le tecniche di conservazione dell’energia nelle normali attività quotidiane,
il rilassamento e la riduzione dello stress, la gestione degli aspetti emotivi relativi alla malattia, la
nutrizione ideale e il trattamento dei sintomi principali. Il razionale e le modalità di utilizzo dei presidi non farmacologici (l’ossigenoterapia, il ventilatore) devono essere ampiamente descritti, così
come le modalità per riconoscere le riacutizzazioni e le emergenze, cosa fare e chi contattare in
caso di necessità. Un opuscolo educazionale o schede illustrative possono aiutare il discorso dell’educatore ed essere poi consegnati al paziente (vedi materiale disponibile sul sito: www.pneumologiospedalieri.it) (tab.1 e 2).
Tabella 1 – Contenuti teorici di un programma educazionale per pazienti con BPCO
124
TEORICI
Argomento
Dettagli
Mezzi
Persone coinvolte
Sede
Nozioni sulla malattia
Cause, evoluzione,
sintomi, riacutizzazioni
Illustrazioni e
disegni semplici
Medici, infermieri,
terapisti della
Riabilitazione
Ambulatorio,
degenza ordinaria,
DH, incontri informali
Nozioni sui farmaci
Utilità, effetti, possibili
effetti collaterali,
modalità di assunzione
Schemi scritti,
foglietti illustrativi
Medici, infermieri,
terapisti della
Riabilitazione
Ambulatorio,
degenza ordinaria,
DH
Informazioni sui
danni da fumo
A livello respiratorio
e di tutto l’organismo
Opuscoli,
videoproiezioni
Psicologi, medici,
infermieri, terapisti
della Riabilitazione
Occasioni pubbliche:
- conferenze
- Giornata del respiro
Ambulatorio,
degenza ordinaria, DH
Informazioni sulla
fisio-kinesiterapia
Finalità, durata, modalità, Opuscoli, video
indicazioni, risultati previsti
Terapisti della
Riabilitazione, medici
Ambulatorio,
degenza ordinaria, DH
Tabella 2 – Contenuti pratici di un programma educazionale per pazienti con BPCO
PRATICI
Argomento
Dettagli
Mezzi
Persone coinvolte Sede
Modalità di corretto
utilizzo di farmaci
Dimostrazioni pratiche
sull’utilizzo della
terapia inalatoria
Dispositivi “placebo”,
illustrazioni,
foglietti illustrativi
Medici, infermieri,
terapisti della
Riabilitazione
Ambulatorio,
degenza ordinaria,
DH
Modalità per
“Economia” dei
minimizzare la dispnea
movimenti,
ed eliminare le secrezioni utilizzo “Peep” e simili
Dimostrazioni pratiche, Terapisti della
illustrazioni ed
Riabilitazione,
informazioni scritte
medici
Degenza ordinaria,
DH
Strategie di
disassuefazione
dal fumo
Sostegno medico e
psicologico attraverso
un programma basato
sulle “5 A”
Questionari
(Fagerstrom, Ask,
Advise, Assess, ecc)
Psicologi, medici,
infermieri, terapisti
della Riabilitazione
Ambulatorio,
degenza ordinaria,
DH
Programmi di
mantenimento
dell’attività fisica
Consigli
preferibilmente scritti
Opuscoli e programmi
di FKT sintetici
ma precisi
Terapisti della
Riabilitazione,
medici
Ambulatorio,
degenza ordinaria,
DH
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
11. Programma educazionale nella BPCO - M. Neri, C. Cinti, Gruppo di Studio AIPO “Attività Educazionale”
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12. Insufficienza respiratoria cronica
e sua terapia
A cura di
Antonio Corrado e Stefania Bertini
UO Terapia Intensiva Pneumologica e Fisiopatologia Toracica,
Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Firenze
12.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Definizione e classificazione
Con il termine di insufficienza respiratoria (IR) si intende la condizione caratterizzata da un’alterata pressione parziale dei gas (O2 e CO2) nel sangue arterioso. I criteri necessari per porre diagnosi di IR sono una pressione parziale arteriosa di ossigeno (PaO2) <55-60 mmHg durante respirazione in aria ambiente o un rapporto fra PaO2 e frazione inspiratoria di ossigeno (FIO2)
(PaO2/FIO2) <300, accompagnata o meno da ipercapnia (pressione parziale arteriosa di anidride carbonica (PaCO2) >45 mmHg). La diagnosi di IR non è, quindi, una diagnosi clinica ma richiede sempre la misurazione della pressione parziale dei gas nel sangue arterioso (1).
Il sistema respiratorio è costituito da due entità funzionali anatomicamente distinte ma integrate tra loro: il polmone, comprendente il parenchima, le vie aeree ed i vasi polmonari, che svolge la funzione di scambiatore di gas; la pompa ventilatoria, costituita dai centri respiratori, i muscoli respiratori, ed il torace (nei suoi comparti diaframmatico ed addominale), che ha invece la
funzione di sostenere la ventilazione alveolare (V’A) (2). Dal punto di vista fisiopatologico, si possono considerare due principali quadri di insufficienza respiratoria:
- insufficienza polmonare (insufficienza di scambio), caratterizzata prevalentemente da ipossiemia con un aumento della differenza alveolo-arteriosa di O2 [(A-a)DO2 >15-20 mmHg]. L’ipoventilazione alveolare, lo shunt intrapolmonare, le alterazione della diffusione, e l’ineguaglianza del rapporto ventilazione/perfusione (V’A/Q’) sono i possibili meccanismi che conducono all’ipossiemia e riconoscono cause intrapolmonari ed extrapolmonari;
- insufficienza ventilatoria (insufficienza di pompa), rappresentata dall’ipercapnia con ipossiemia. L’ipercapnia dipende generalmente da una insufficiente ventilazione alveolare. Un aumento della PaCO2 segnala che l’eliminazione da parte del polmone della CO2 è inadeguata
cioè che la quantità prodotta dal metabolismo cellulare è superiore a quella che l’apparato respiratorio può eliminare con la ventilazione. Il rapporto tra la quantità di CO2 prodotta e quella eliminata è definito dall’equazione 1: PaCO2 = K* V’CO2/V’E (1-VD/VT) dove PaCO2 è la
pressione parziale di anidride carbonica nel sangue arterioso, V’CO2 è la produzione metabolica di anidride carbonica, V’E è la ventilazione minuto, VD è lo spazio morto anatomico, VT
il volume corrente.
L’incapacità di mantenere una adeguata ventilazione alveolare (V’A) dipende essenzialmente da
tre fattori:
- depressione dei centri respiratori (ad es. sedazione, uso di oppiacei);
- eccessivo carico meccanico respiratorio (ad es broncospasmo, ipersecrezione);
- ridotta capacità della pompa (ad es. riduzione della forza dei muscoli respiratori).
Da un punto di vista clinico, l’IR è comunemente classificata in:
1. Acuta (IRA): insorge rapidamente in un apparato respiratorio sostanzialmente intatto fino al
momento dell’episodio acuto;
2. Cronica (IRC): evento insidioso, progressivo e tardivo nella storia naturale della patologia cronica;
3. Cronica riacutizzata (IRCR) o insufficienza respiratoria acuta su cronica.
La presenza di iperbicarbonatemia suggerisce che l’ipercapnia è di tipo cronica piuttosto che
acuta mentre il valore del pH è indicativo del livello di compenso dell’insufficienza respiratoria;
un valore di pH inferiore a 7,35 con valori di PaCO2 >45 mmHg indica una acidosi respiratoria
scompensata.
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Per l’insufficienza respiratoria cronica riacutizzata è l’entità delle oscillazioni dei valori dei gas ematici rispetto ai valori abituali rilevati in condizione di stabilità clinica a segnalare la presenza di IRA: si
considerano indicative variazioni ≥5 mmHg in più o in meno rispettivamente per la PaCO2 e la PaO2.
Trattamento della insufficienza respiratoria cronica
Il trattamento della IRC prevede l’impiego di risorse terapeutiche quali l’ossigeno-terapia a lungo
termine e la ventilazione meccanica domiciliare al fine di stabilizzare e rallentare la progressione
della malattia cronica.
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Ossigeno terapia a lungo termine (OTLT)
L’ossigenoterapia consiste nella somministrazione di O2 in concentrazione maggiore di quella presente nell’aria ambiente, allo scopo di trattare o prevenire i sintomi e le manifestazioni dell’ipossiemia arteriosa.
Il trattamento con O2 può essere applicato sia in situazioni di acuzie, per il periodo necessario a
superare l’evento acuto, sia a lungo termine (OTLT), quando esiste una grave ipossiemia cronica
stabilizzata.
Tutti i pazienti con insufficienza respiratoria cronica e con grave ipossiemia arteriosa suscettibile
di correzione possono essere trattati con OTLT, anche se la indicazione provata al momento è solo per i soggetti affetti da IRC secondaria a broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO).
Pertanto nelle patologie diverse dalla BPCO complicate da insufficienza respiratoria, pur in assenza di evidenza che dimostri l’efficacia della OTLT sulla sopravvivenza si consiglia la somministrazione di O2 laddove si dimostri la reale efficacia in termini di correzione della ipossiemia e di miglioramenti clinici o sintomatologici documentabili.
Numerosi studi clinici hanno dimostrato che l’ossigeno terapia a lungo termine nei pazienti affetti
da BPCO complicata da IRC è in grado di:
- aumentare la sopravvivenza (3-6);
- migliorare la qualità di vita (7-11);
- ridurre i costi di gestione della malattia di base tramite riduzione del numero di ricoveri e di giorni di degenza annua (10-13).
Tali risultati si ottengono solo se l’ossigeno-terapia viene:
1. Prescritta in modo mirato a pazienti che realmente necessitano del trattamento continuativo
dopo opportuni controlli e verifiche presso strutture specialistiche;
2. Strettamente integrata al trattamento medico e riabilitativo;
3. Condotta in modo corretto e continuativo per un periodo di ore giornaliere di almeno 18 possibilmente 24, con un flusso di Ossigeno (l/min) il minimo sufficiente a mantenere valori di PaO2
compresi tra 60-70 mmHg senza pericolose variazioni della PaCO2;
4. Controllata con un corretto follow-up del paziente.
Per chi?
Tutti i pazienti con IRC e con grave ipossiemia arteriosa suscettibile di correzione possono essere trattati con OTLT, anche se l’indicazione provata al momento è solo per i soggetti affetti da
BPCO (3,4). I pazienti candidati all’OTLT devono essere sottoposti ad una attenta osservazione clinica per un certo periodo di tempo (almeno tre mesi dopo un episodio di scompenso respiratorio) e ad un complesso iter diagnostico al fine di stabilire la reale necessità del trattamento con relative modalità di esecuzione dello stesso (14).
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
12. Insufficienza respiratoria cronica e sua terapia - A. Corrado, S. Bertini
Durante il periodo di osservazione si dovrà procedere alla monitorizzazione dei valori della PaO2 e
PaCO2 a riposo da eseguirsi con cadenza bimensile per un periodo di 2-3 mesi.
Si dovrà inoltre valutare il paziente nel tempo mediante controllo clinico, esami ematochimici quali
l’ematocrito, prove di funzionalità respiratoria, radiografia del torace, elettrocardiogramma, ecocardiogramma (con eventuale determinazione delle pressioni del piccolo circolo).
Per determinare con esattezza il flusso di ossigeno ottimale durante lo sforzo e durante il sonno
sarà necessario eseguire un test da sforzo in aria ed in O2 e una monitorizzazione notturna dei
gas ematici e della saturazione (per via indiretta) in aria e in O2.
Criteri di ammissione all’OTLT
I pazienti che presentano ipossiemia continua con valori diurni a riposo di PaO2 stabilmente inferiori a 55 mmHg, hanno una indicazione assoluta al trattamento. Tale limite può essere aumentato
a 59 mmHg qualora siano associati policitemia e/o cuore polmonare cronico e/o cardiopatia ischemica. Nella tabella 1 vengono riportati le indicazioni assolute e relative per la prescrizione di OTLT.
Per i pazienti che presentano valori di base di PaO2 uguali o lievemente superiore a 60 mmHg ma
che presentano episodi di desaturazione sotto sforzo e/o durante il sonno, la somministrazione
andrebbe limitata alla situazione che induce le pousses di desaturazione.
Stabilita l’effettiva indicazione all’OTLT deve essere poi saggiata la tolleranza al trattamento e si
deve ricercare la dose ottimale che eviti da un lato il pericolo di una iperossigenazione, che può
causare acidosi ipercapnica o danni da tossicità (produzione di radicali liberi), dall’altro un’insufficiente ossigenazione con conseguente inutilità del trattamento.
Tabella 1 – Ossigeno terapia a lungo termine (OTLT)
INDICAZIONE ASSOLUTA
INDICAZIONE RELATIVA
PaO2 ≤55 mmHg
PaO2 tra 55 e 60 mmHg in presenza di almeno uno dei seguenti
criteri aggiuntivi:
• Policitemia (Hct > 55%)
• Segni di ipertensione polmonare
• Segni di ipossia tissutale (edemi da scompenso cardiaco destro,
deterioramento dello stato mentale)
• Cardiopatia ischemia
Costi e fattori correlati
La OTLT ha un costo di gestione non indifferente per la collettività. Pellettier-Fleury et al. (15) hanno
riportato che in Francia il costo annuale diretto (medico e non medico) per l’assistenza respiratoria fornita a un paziente con BPCO in OTLT è di 9.868±9.208 $; nell’ambito della ripartizione del
costo le cure ambulatoriali e la ospedalizzazione rappresentano il 50,3% e 49,3% rispettivamente del costo totale. L’OTLT da sola rappresenta l’86,6% del costo delle cure ambulatoriali e il
36,9% dei costi totali.
Dall’analisi dei costi ne consegue che l’indicazione alla OTLT va rigorosamente subordinata a un
reale stato di necessità, a una razionale pianificazione assistenziale (medica, infermieristica, tecnica), a disponibilità di risorse economiche ed a periodiche verifiche di controllo della efficacia e
qualità dei servizi prestati nonchè del grado di compliance alla terapia assegnata.
Da quando i Trials MRC (3) e NOTT (4) (fig. 1) hanno dimostrato che la OTLT migliorava la sopravvivenza nei pazienti BPCO con valori di PaO2 stabilmente inferiori a 60 mmHg sembrò logico valutare se gli effetti benefici della somministrazione di ossigeno fossero rilevanti in termine di miglioramento della sopravvivenza anche in pazienti con moderata ipossiemia.
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Figura 1 – Curve di sopravvivenza in pazienti BPCO in OTLT. Lo studio MRC compara 15 ore/die di trattamento con
ossigeno con un gruppo di controllo che non assumeva ossigeno; lo studio NOT-COT compara 12 ore di
trattamento contro 24 ore di trattamento. [da Rees PJ, Dudley. ABC of oxygen: oxygen therapy in chronic lung disease. BMJ 1998; 317:871 - 874.]
100
O2 24 h/die
90
O2 15 h/die
Sopravvivenza (%)
80
O2 12 h/die
70
Controllo (No O2)
60
50
40
30
20
10
Mesi
0
0
130
10
20
30
40
50
60
Un dilemma di frequente riscontro nell’ambito della prescrizione dell’OTLT è stato sempre quello
di cosa fare nei pazienti con valori di PaO2 compresi tra 56–65 mmHg. Prescrivere ossigeno in
questi casi si traduce in un miglioramento della sopravvivenza?
Nel 1997 Goreka et al. (16) hanno pubblicato uno studio longitudinale randomizzato e controllato con
periodo osservazionale di 7 anni sugli effetti dell’OTLT in pazienti con BPCO e moderata ipossiemia. Dei 135 pazienti arruolati: 68 (gruppo di studio) con valori di PaO2 di 59,5±2,7 mmHg ricevevano OTLT (tramite concentratore per 17/24 ore/die) + terapia farmacologica, 67 (gruppo di controllo) con valori di PaO2 di 61,3±2,7 mmHg ricevevano solo la medesima terapia farmacologica del
gruppo di studio. L’analisi delle curve di sopravvivenza non evidenziava alcuna differenza tra il gruppo di studio e quello di controllo e pertanto gli autori concludevano che la precrizione dell’OTLT in
questo specifico gruppo di pazienti dovrebbe essere fatta con molta cautela riservando questo
oneroso trattamento a pazienti con grave ipossiemia. Queste conclusioni condivisibili nella sostanza vanno tuttavia interpretate alla luce di due aspetti importanti per la valutazione dei risultati ottenuti. Il primo aspetto è legato al numero medio effettivo di ore giornaliere di trattamento eseguito
dai pazienti in OTLT che risultava di 13,5 h/die contro le 17 ore prescritte all’inizio dello studio, il secondo aspetto riguarda la sorgente di ossigeno impiegata ovverosia il concentratore.
L’impiego della sorgente fissa può aver influenzato la ridotta compliance al trattamento (numero di
ore di terapia effettivamente eseguite inferiori a quelle prescritte) e questa ultima a sua volta può
aver influenzato la sopravvivenza. Un recente studio (17) sui fattori prognostici in pazienti con
BPCO ha dimostrato infatti che i pazienti in OTLT che necessitavano e assumevano in modo regolare l’ossigeno (in conformità alla prescrizione) erano sottoposti a un più basso rischio di morte
rispetto ai pazienti che necessitavano di ossigeno ma lo assumevano in modo irregolare (non
conforme all’atto prescrittivo).
Il problema della compliance al trattamento rappresenta un altro elemento che può inficiare l’efficacia della terapia e quindi gravare sui costi di gestione senza un apprezzabile risultato clinico o
un miglioramento della qualità di vita. La mancata aderenza al trattamento specifico è sempre ed
esclusivamente colpa del paziente o anche di chi prescrive? Un recente lavoro di Pepin et al. (18)
condotto su 930 pazienti con BPCO in OTLT ha evidenziato che l’ossigeno veniva utilizzato dai
pazienti per un numero di ore /die: ≥15 solo nel 45% dei casi mentre veniva prescritto per 15 o
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più ore al giorno dall’87% dei medici, la prescrizione della OTLT nel 20% dei casi avveniva senza
il riscontro iniziale di una emogasanalisi. Le istruzioni impartite dal medico prescrittore sulle modalità di impiego del trattamento erano particolarmente carenti, infatti solo al 33% dei pazienti veniva raccomandato l’impiego dell’ossigeno durante l’igiene personale, solo al 24% veniva raccomandato l’uso dell’ossigeno durante i pasti e infine solo al 37% dei pazienti veniva spiegato e raccomandato l’uso dell’ossigeno durante attività ricreative. Questi dati dovrebbero farci riflettere sul
significato del processo educativo che dovrebbe essere indirizzato non solo al paziente ma anche al medico prescrittore.
L’ossigeno terapia rappresenta al momento l’unica terapia in grado di modificare il decorso della
BPCO, tuttavia gli elevati costi che comporta dovrebbero spingerci sempre di più a essere più selettivi nella prescrizione e a dedicare più tempo ai nostri pazienti per fare in modo che la compliance al trattamento aumenti e l’efficacia della cura prescritta si traduca in un reale beneficio per
il singolo e la collettività.
Problemi aperti
1. L’associazione all’ossigenoterapia cronica di un potente e selettivo vasodilatatore sul circolo
polmonare quale l’ossido nitrico (No) può migliorare ulteriormente la prognosi dei pazienti BPCO
con grave ipossiemia cronica? Uno studio recente (19) condotto per tre mesi ha dimostrato che
l’associazione della somministrazione di ossigeno con No rispetto alla somministrazione del solo ossigeno era in grado di ridurre in modo statisticamente significativo la pressione arteriosa
polmonare media da 27,6 (4,4) mmHg a 20,6 (4,9) mmHg, p<0,001, e l’indice delle resistenze
vascolari polmonari da 569,7 (208,1) a 351,3 (159,9) dynezs–1zcm–5zm–2, p<0,001 senza ridurre l’ossigenazione arteriosa. Inoltre la gittata cardiaca aumentava di 0,5 litri (da 5,6 (1,3)
l/min a 6,1 (1,0) l/min, p=0,025) e tutto questo in assenza di incremento della produzione di
sostanze tossiche derivanti dalla somministrazione di No. Il piccolo gruppo di pazienti studiati
(40 pazienti) e il periodo limitato di somministrazione non ci permettono di trarre conclusioni definitive anche se i dati sono di estremo interesse e con implicazioni pratiche rilevanti qualora venissero confermati su una casistica maggiore e un più lungo periodo di osservazione.
2. Poichè l’iperossia aumenta lo stress ossidativo tramite la formazione di radicali liberi potrebbe
indurre un processo infiammatorio nei polmoni? Un recente studio (20) condotto su 23 soggetti
sani e 23 pazienti con BPCO ha dimostrato che la somministrazione di ossigeno per 1 ora ad
una concentrazione del 28% aumentava le concentrazioni di 8-isoprostano e di interleukina 6
(IL-6) nell’aria espirata sia dei soggetti sani sia dei pazienti con BPCO e che questo non si verificava respirando aria. Le conclusioni di questo studio va sottolineato che si riferiscono ad un
breve periodo di osservazione (1 ora) e pertanto al momento non possono essere estrapolate
a pazienti in somministrazione cronica di ossigeno.
3. Durante l’iter prescrittivo dell’ossigeno, che avviene in strutture specialistiche pneumologiche,
nello stabilire la dose ottimale di correzione della ipossiemia cronica ci avvaliamo di flussimetri
di ossigeno collegati alle prese dell’ossigeno in rete o direttamente collegati a contenitori di ossigeno liquido o a riduttori di pressione delle fonti di ossigeno gassoso. In queste condizioni il
flusso determinato per la correzione della ipossiemia non è automaticamente trasferibile ai concentrari di ossigeno soprattutto nei pazienti ipossiemici cronici con grave deficit ventilatorio
ostruttivo (FEV1 % predetto <30%). Un recente lavoro (21) infatti evidenzia come la prescrizione
di un flusso di ossigeno in questa categoria di pazienti sottostima significativamente il flusso ottimale da concentratore per ottenere una adeguata ossigenazione, e questo può avere delle
importanti implicazioni per la ossigenoterapia domiciliare a lungo termine.
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Ventilazione Meccanica Domiciliare (VMD)
Gli scopi della ventilazione meccanica a domicilio sono:
- continuare un trattamento ventilatorio iniziato in ospedale per patologia acuta che ha compromesso in modo irreversibile l’autonomia ventilatoria del soggetto (pazienti ventilatore-dipendenti);
- controllare l’evolutività di alcune malattie respiratorie e/o neuromuscolari croniche (22);
- correggere particolari alterazioni respiratorie che insorgono durante il sonno (23).
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Pur non disponendo di studi randomizzati e controllati che dimostrino l’utilità della VMD nelle malattie toraciche o nelle malattie neuromuscolari, la vasta mole di dati pubblicati in letteratura inerente l’efficacia della NPPV in questa categoria di pazienti può essere considerata sufficientemente dimostrativa (24).
Due studi retrospettivi (22,25) a lungo termine inerenti la NPPV domiciliare (prevalentemente notturna) su oltre 450 pazienti sono stati riportati negli ultimi anni. A seconda delle patologie di base la
percentuale di sopravvivenza, che coincide in questo caso con la probabilità di continuare la
NPPV, varia fra l’80 e il 100% a distanza di 5 anni. Questo outcome favorevole si aveva prevalentemente nei pazienti con cifoscoliosi, con sequele post polio, e sequele post-tubercolari.
L’effetto fisiologico più importante pare rappresentato dal miglioramento degli scambi gassosi in
stato di veglia per il migliore controllo ottenuto durante il sonno con la VM (26).
Nei pazienti con malattie restrittive della parete toracica in assenza di condizioni reversibili che
contribuiscano a peggiorare la ventilazione alveolare e che possano essere corrette, l’indicazione
alla VMD viene posta in presenza delle seguenti condizioni (27):
- sintomi (fatica, dispnea, cefalea mattutina, sonno disturbato, ipersonnia diurna) associati a uno
dei seguenti criteri:
- PaCO2 ≥45 mmHg;
- episodi di desaturazione di HbO2 durante monitorizzazione notturna con SaO2 ≤88% per 5’ consecutivi;
- pressione massima inspiratoria (MIP) <60% o FVC <50% del predetto nei pazienti con malattie
neuromuscolari progressive.
Quale modalità di ventilazione?
La VMD può essere effettuata in modo:
- non invasivo: tramite maschere facciali o nasali (ventilazione a pressione positiva) o tramite
poncho, corazze o polmone d’acciaio (ventilazione a pressione negativa);
- invasivo: tramite cannula tracheostomica.
1.Ventilazione non invasiva a pressione positiva (NPPV)
Viene oggi considerata di prima scelta, qualora non vi siano controindicazioni alla ventilazione non
invasiva (28).
Prima di iniziare il trattamento ventilatorio va verificato che:
- la deglutizione e la tosse siano efficienti;
- il paziente abbia una autonomia ventilatoria >12 ore al giorno.
I pazienti che sviluppano insufficienza ventilatoria possono cominciare con la NPPV e poi proseguire con la VM per via tracheostomica, man mano che peggiora l’autonomia ventilatoria oppure
continuare con la NPV se si verificano complicazioni legati all’uso della maschera.
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Nella tabella 2 vengono riportati i vantaggi ed i limiti della ventilazione non invasiva a pressione positiva.
Tabella 2 – Ventilazione non invasiva a pressione positiva (NPPV)
VANTAGGI DELLA NPPV
LIMITI DELLA NPPV
Stabilizza la sindrome da insufficienza respiratoria cronica
Richiede la collaborazione del paziente
Preserva i meccanismi di difesa delle vie aeree
Non consente facile accesso alle vie aeree
e l’aspirazione delle secrezioni
Permette di parlare e non influenza la deglutizione
Possibili complicanze legate alla maschera
(ulcere cutanee, rinite, secchezza nasale, congiuntivite,
aerofagia, rischio di inalazione in caso di vomito)
Consente un’applicazione intermittente
Perdite d’aria con possibili limitazioni d’efficacia
legate alla conformazione del volto
2.Ventilazione a pressione negativa (NPV) (29)
È riservata attualmente a pazienti in cui la NPPV non ha avuto successo e rappresenta un’alternativa di seconda scelta per pazienti che usano altri metodi di ventilazione assistita. Nella tabella 3
sono riportate le indacazioni e gli svantaggi della ventilazione non invasiva a pressione negativa.
Tabella 3 – Ventilazione non invasiva a pressione negativa
INDICAZIONI DELLA NPV
Non tolleranza delle maschere
SVANTAGGI DELLA NPPV
Può provocare o accentuare il collasso delle vie
aeree superiori (nei pazienti con OSAS e nei
pazienti con SLA con interessamento bulbare)
Presenza di lesioni da decubito provocate dalle maschere
È di difficile applicazione in caso di severa deformità
della cassa toracica e grave obesità
Presenza di una conformazione facciale che preclude
l’utilizzazione delle maschere
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Presenza di paresi del diaframma
3.Ventilazione per via tracheostomica
La tracheotomia viene generalmente eseguita in seguito ad episodio di insufficienza respiratoria
acuta o cronica riacutizzata, per via elettiva o dopo prolungata intubazione orotracheale.
- Perchè il paziente non è svezzabile dalla ventilazione meccanica invasiva;
- per assicurare una gestione migliore delle vie aeree (tosse inefficace, disturbi della deglutizione).
La tracheotomia determina una riduzione dello spazio morto anatomico, un più facile approccio alle
vie aeree sia per le necessità di aspirazione delle secrezioni sia per eventuali emergenze respiratorie.
Nella tabella 4 vengono riportate le complicanze della tracheostomia.
Tabella 4 – Complicanze della tracheostomia
• Stenosi tracheale
• Tracheomalacia
• Ipersecrezione
• Possibilità di frequenti reinfezioni
• Impedimento alla fonazione
• Alterazioni del meccanismo della deglutizione
Indicazioni alla VM invasiva
1. Incontrollabili secrezioni delle vie aeree nonostante l’uso di strumenti espiratori non invasivi;
2. Compromissione della deglutizione conducente ad aspirazione cronica e polmoniti ripetute;
3. Il paziente ha insufficienza respiratoria sintomatica persistente e non tollera o non migliora con
la VM non invasiva;
4. Il paziente ha bisogno di supporto ventilatorio prolungato (>12 ore/die) a causa di muscolatura
respiratoria indebolita o paralizzata (es. tetraplegia o malattie neuromuscolari in fase terminale).
Nella tabella 5 sono riportati i vantaggi ed i limiti della ventilazione meccanica domiciliare invasiva.
Tabella 5 – Ventilazione meccanica domiciliare invasiva
VANTAGGI
LIMITI
Stabilizza la sindrome da IRC
Richiede maggiore coinvolgimento dei familiari
Assicura un controllo delle vie aeree
Necessita di accurata cura infermieristica del
foro tracheostomico
Fornisce un rapido accesso alle vie aeree
Maggiore rischio di infezioni alle vie aeree (aspirazione ecc.)
Perfetta interazione tra paziente e ventilatore
senza perdite d’aria
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VMD nella BPCO
L’ossigeno-terapia a lungo termine (OTLT) rimane il trattamento di scelta nella IRC dovuta a BPCO.
Però è stato suggerito che la NPPV offra vantaggi nel controllare l’insufficienza respiratoria ipercapnica e nel ridurre il lavoro respiratorio mettendo a riposo i muscoli respiratori i questi pazienti.
Allo stato dei fatti il valore della NPPV nella insufficienza respiratoria ipercapnica del paziente BPCO
è controverso. Nonostante infatti alcune esperienze dimostrino un peggioramento della qualità di vita (valutata attraverso apposito questionario) e della qualità del sonno (30-32), altri studi dimostrano un
miglioramento di entrambe (33,34) anche attraverso il miglioramento di tutte le componenti attinenti con
la sintomatologia, la sensazione di dispnea, e lo stato di umore (35). Tuttavia i risultati più incoraggianti
e forse destinati a promuovere un’oculata prescrizione di NPPV anche per pazienti BPCO appaiono quelli che si riferiscono all’outcome clinico dei pazienti in termini di ospedalizzazioni. In ampie casistiche di individui ventilati a lungo termine in maniera non invasiva (28) e invasiva (36) anche la sottopopolazione dei pazienti BPCO dimostra una flessione dei ricoveri ospedalieri costante entro i primi
2 anni di follow-up. Tuttavia l’unico studio multicentrico, randomizzato e controllato (37) condotto su
122 pazienti BPCO stabili, ipercapnici ha evidenziato che l’aggiunta della NPPV alla OTLT induceva:
- lieve riduzione della ipercapnia nei pazienti in OTLT;
- miglioramento della dispnea e qualità di vita (HRQL).
Per quanto concerne la ventilazione a pressione negativa esterna l’unico studio pubblicato in letteratura sugli effetti a lungo termine della NPV non ha evidenziato vantaggi dall’impiego di questa
tecnica ventilatoria. Tuttavia va sottolineato che la metodologia di questo studio è criticabile in
quanto includeva pazienti BPCO stabili ma normocapnici (38).
Non esistono al momento attuale studi basati sull’evidenza scientifica che indichino la necessità
di un uso generalizzato della VMD nel paziente BPCO con o senza ipercapnia, con autonomia
ventilatoria e senza episodi di ipoventilazione. L’uso della VMD in pazienti BPCO selezionati con
ipercapnia complicata da ipoventilazione notturna appare più giustificato (39).
In pazienti con fibrosi cistica viene riportato che la NPPV è in grado di migliorare lo stato respiratorio e le condizioni generali in pazienti con malattia in fase terminale ed in attesa di trapianto (40,41).
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135
13. La riabilitazione respiratoria nel
trattamento della BPCO
A cura di
Nicolino Ambrosino e Massimiliano Serradori
U.O. Pneumologia Dipartimento Cardio-Toracico,
Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana, Pisa
13.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
Nella broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) solo la sospensione del fumo può ridurre il
progressivo peggioramento del flusso delle vie aeree (1) e solo l’ossigeno terapia a lungo termine
(OTLT) è in grado di migliorare la sopravvivenza dei pazienti ipossiemici (2). In uno studio di pazienti con severa BPCO in OTLT, il 50% (con dispnea del grado 5 della scala del Medical Research Council: MRC) non lasciava la casa e il 78% era dispnoico nel camminare per casa e nell’eseguire le attività della vita quotidiana (ADL: activities of daily living) (3). L’utilizzazione di risorse
sanitarie da parte dei pazienti BPCO è correlato più alla forza dei muscoli respiratori e periferici
che all’ostruzione delle vie aeree (4). In aggiunta, pazienti ospedalizzati per una riacutizzazione di
BPCO severa hanno una sopravvivenza ad un anno che è correlata in modo indipendente all’indice di massa corporea (BMI) e alla capacità di far fronte alle ADL in fase stabile (5). I programmi
di riabilitazione respiratoria (PRR) possono essere utili sotto questo aspetto: essi infatti possono
influenzare positivamente la funzione dei muscoli periferici e respiratori, lo stato nutrizionale e le
ADL. Una volta considerata più arte che scienza, la riabilitazione respiratoria è stata definita come “un insieme multidimensionale di servizi diretti a persone con malattie polmonari e alle loro
famiglie, di solito sotto la guida di un team interdisciplinare di specialisti con lo scopo di raggiungere e mantenere il massimo livello di indipendenza e di attività nella comunità” (6-10).
Vi è evidenza scientifica che i PRR migliorano la dispnea e il controllo della BPCO (10). Tale evidenza deriva da studi prospettici, randomizzati e controllati (11-15) e da meta-analisi (16). Nelle recenti Linee Guida “GOLD” (17) l’evidenza scientifica di efficacia della riabilitazione nella BPCO è
stata definita come “A”, cioè massima, superiore per esempio a quella di farmaci comunemente usati nel trattamento farmacologico a lungo termine. La riabilitazione è dunque parte integrante del trattamento globale della BPCO (18,19).
Una attenta selezione del paziente può servire per l’individualizzazione del PRR ed è fondamentale per il suo successo (20,21). L’unica controindicazione assoluta ai PRR è la mancata volontà di parteciparvi e/o una cattiva compliance ad essi. L’età non è considerata un fattore limitante dei PRR (21). Il miglioramento della tolleranza all’esercizio dopo PRR non si correla con la
severità della emogasanalisi o della ostruzione delle vie aeree (22,23). In particolare, i PRR sono
parte integrante di nuove modalità terapeutiche come la resezione di volume ed il trapianto polmonare (24-26).
Misure di Outcome
Il Test da sforzo incrementale è generalmente usato per valutare l’outcome dei PRR e allo stesso tempo per definire l’intensità dell’allenamento. La valutazione dell’esercizio dovrebbe essere
fatta usando il tipo di esercizio, cicloergometro, pedana mobile o ergometro a braccia, che sarà
impiegato nell’allenamento, però i risultati di un tipo di test da sforzo possono essere applicati
a differenti forme di esercizio (28). La misura della distanza coperta durante il cammino (6 o 12 minuti) e lo “Shuttle Test” sono considerati metodi semplici e riproducibili per valutare la tolleranza all’esercizio (29).
Dispnea: la severità della dispnea si correla solo debolmente con i dati funzionali (30). Esistono
metodi di misura nella pratica clinica per quantificare la dispnea (31,32).
Qualità di vita correlata alla salute (Health Related Qualità of Life, HRQL): in generale i questionari della HRQL misurano l’impatto della salute di un paziente sulla sua capacità di eseguire le ADL.
137
Gli strumenti per la determinazione della HRQL variano da misure malattia-specifiche per un singolo sintomo (per es dispnea) a valutazione globale generica di molti aspetti che includono quelli
emozionali, il ruolo sociale, le ADL. Questi questionari hanno buona riproducibilità anche se la funzione polmonare e la tolleranza allo sforzo non vi si correlano fortemente (33).
Risultati
I risultati pubblicati forniscono una solida base scientifica a sostegno dell’utilizzo di PRR. Dopo PRR
i pazienti riferiscono miglioramento della loro HRQL con una riduzione dei sintomi respiratori, aumento della tolleranza all’esercizio e della capacità di affrontare le ADL ed una maggiore indipendenza (11-16) (tab. 1).
Tabella 1 – Ragionevoli obiettivi della riabilitazione respiratoria
OUTCOME
138
EVIDENZA SCIENTIFICA DI BENEFICIO
Dispnea
A
Tolleranza all’esercizio fisico
A
Qualità divita
B
Consumo di risorse sanitarie
C
Forza dei muscoli respiratori
B
Sopravvivenza
?
Funzione respiratoria
-
Dispnea: studi controllati e una meta-analisi hanno confermato che i PRR migliorano la dispnea
e il controllo sulla BPCO (10,16). Questi effetti persistono per almeno 12 mesi (13-15,34-37).
Capacità di esercizio: i PRR nella BPCO hanno chiaramente dimostrato effetti positivi sulla tolleranza all’esercizio e la performance funzionale (10,16). I benefici si possono ottenere con PRR in regime di degenza ordinaria, in regime di Day-Hospital e domiciliare (38,39).
Stato di salute: studi ben disegnati hanno dimostrato miglioramenti dello stato di salute dopo
PRR. Questi miglioramenti sono di lunga durata e comprendono differenti aspetti dello stato di salute come dispnea, fatica, funzione emozionale e controllo di malattia (12-16,34-36,40).
Riacutizzazioni, ospedalizzazioni e uso di risorse sanitarie: alcuni studi hanno mostrato che
I PRR sono associati a riduzioni del numero delle riacutizzazioni e delle ospedalizzazioni nell’anno successivo alla loro esecuzione (15,35,36). Uno studio randomizzato di Griffiths et al. (13) ha osservato una minore richiesta di visite domiciliari da parte del medico di Medicina generale nei pazienti
sottoposti anche a PRR, tale da rendere i programmi di trattamento della BPCO includenti anche
PRR, più convenienti dal punto di vista economico (41,42).
Sopravvivenza: per quanto ci siano delle evidenze indirette di migliore sopravvivenza nei pazienti
capaci di maggiori prestazioni fisiche (5,43,44) al momento non si può definire che i PRR siano in grado
di migliorare la sopravvivenza. I PRR sono efficaci quando eseguiti in regime di degenza ordinaria (11),
in regime di Day-Hospital (35,36) ed in regime domiciliare (38) (tab. 2). Probabilmente sono la strutturazione e le componenti del programma, piuttosto che la sede in se a determinarne l’efficacia. Il successo dei PRR sono attribuiti all’equipe multidisciplinare, mentre i miglioramenti attribuibili alle singole componenti sono difficili da valutare (45) a causa dell’approccio multidisciplinare (tab. 3).
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
13. La riabilitazione respiratoria nel trattamento della BPCO - N. Ambrosino, M. Serradori
Tabella 2 – Componenti dei programmi di riabilitazione polmonare e loro relativa evidenza scientifica attuale di efficacia
COMPONENTE
EVIDENZA
Ottimizzazione della terapia medica
A
Cessazione dal fumo
A
Educazione
C
Fisioterapia toracica
B
Allenamento all’esercizio fisico generale
A
Allenamento dei muscoli respiratori
B
Allenamento di gruppi muscolari degli arti superiori
B
Coordinazione respiratoria
C
Terapia occupazionale
C
Ossigeno terapia a lungo termine
A
Riposo dei muscoli respiratori (ventilazione meccanica)
B
Supporto psico-sociale
C
Nutrizione
B
Tabella 3 – Sede dell’intervento riabilitativo
SEDE
INDICAZIONE
Domiciliare
Mantenimento, stabile con problemi di trasporto,
non trasportabili, che non vogliono ricoverarsi
Ambulatoriale
Singoli interventi di fisioterapia
Day-Hospital
Paziente in fase stabile senza problemi di trasporto
Degenza ordinaria
Paziente severo, instabile, con necessità di
UTIR
ventilazione domiciliare, stabili con problemi di trasporto
Indicazioni alla UTIR
Componenti dei PRR
Allenamento all’esercizio: l’allenamento aerobico, in particolare quello degli arti inferiori è obbligatorio (11) e benefici possono essere ottenuti con carichi di lavoro di varia intensità (46-49). I maggiori benefici nella risposta massimale e sottomassimale possono essere ottenuti dopo esercizio ad
alto carico (per es. maggiore del 60% del carico di lavoro massimale, cioè sopra la soglia anaerobica) (46). L’allenamento di pazienti BPCO al 60-75% del carico massimale si associa a sostanziali incrementi della massima capacità di esercizio con riduzione della ventilazione e dei livelli di
lattati a isocarico. La maggior parte dei PRR include allenamento all’endurance con periodi di
esercizio sostenuto per circa 20-30 minuti, da 2 a 5 volte la settimana. In pazienti che non possono tollerare alti livelli di intensità, l’“interval training” consistente in 2-3 minuti di esercizio ad alta intensità con uguali periodi di riposo, può essere una alternativa (50).
Per quanto l’esatto meccanismo fisiopatologico sottostante sia ancora non chiaro, vi è evidenza
che la CPAP e differenti modalità di ventilazione non invasive a pressione positiva (NPPV) possono ridurre la dispnea e aumentare la tolleranza all’esercizio fisico. Lo scarico dei muscoli respiratori e la riduzione della pressione positiva di fine espirazione “intrinseca” (PEEPi) sono stati considerati fra i meccanismi alla base di questi effetti. Tuttavia il ruolo della NPPV nella riabilitazione respiratoria, se pure c’è, è ancora controverso. L’aggiunta di NPPV domiciliare notturna a un programma di esercizio diurno in pazienti con BPCO severa ha determinato un vantaggio sulla capacità di esercizio e sulla qualità di vita (51-58). Nei pazienti con BPCO severa l’applicazione di stimolazione elettrica dei muscoli periferici combinata con mobilitazione attiva degli arti, ha miglio-
139
rato significativamente la forza muscolare e l’“interval training” si è dimostrato capace di indurre
effetti fisiologici di allenamento (50,59-62).
La somministrazione di ossigeno in pazienti che non desaturano durante l’esercizio sembra essere promettente poiché permette più alte intensità di allenamento e quindi maggiore efficacia di
allenamento (63-69).
140
Altri interventi: il supporto nutrizionale, gli steroidi anabolizzanti (70), l’ormone della crescita (71) sono stati usati con risultati contrastanti come complementi ai PRR. Il contributo dei programmi
educazionali “per se”, non inseriti in PRR comprendenti allenamento all’esercizio è incerto (12).
Con il termine di “rieducazione respiratoria” si intende un insieme di tecniche come la “respirazione a labbra socchiuse” e la “respirazione diaframmatica”. Gli studi sulla “respirazione diaframmatica” hanno mostrato una mancanza di beneficio, se non addirittura effetti negativi, in pazienti
BPCO di varia gravità (72,73). L’allenamento dei muscoli respiratori è in grado di aumentarne la forza
e l’endurance. Tuttavia nei pazienti BPCO, una meta-analisi ha riportato solo scarsa evidenza di
benefici clinicamente importanti in pazienti con BPCO (74). Questa modalità non dovrebbe essere
usata in pazienti con fibre muscolari danneggiate e in adattamento funzionale (75).
Nonostante i progressi fatti, maggiori informazioni sono necessarie per garantire un trattamento
appropriato al crescente numero di pazienti con BPCO che partecipano ai PRR.
Quali sono i correlati biologici dei miglioramenti indotti dall’allenamento all’esercizio? Studi preliminari mostrano che programmi di allenamento all’endurance sono in grado di aumentare la concentrazione di ossido nitrico esalato nei pazienti BPCO (76).
Quale ne è il significato? Abbiamo bisogno di maggiori informazioni sull’impatto sui costi della sanità (41,42) e sulla sopravvivenza (43,44).
Sebbene i vantaggi dell’allenamento all’esercizio siano ben definiti, poco si conosce sull’efficacia
delle singole componenti dei PRR (31,77).
Qual è il ruolo (se esiste) della messa a riposo dei muscoli respiratori con la ventilazione meccanica non invasiva (78) ?
Quale potrebbe essere l’utilità di altre modalità come la respirazione di miscele di elio durante i
programmi di allenamento (79) ?
Qual è il ruolo della riabilitazione respiratoria nei pazienti con riacutizzazioni (80) ?
Conclusioni
C’è evidenza scientifica che la riabilitazione respiratoria nei pazienti con malattie respiratorie croniche abbia effetti clinici positivi. La dispnea e la tolleranza all’esercizio fisico sono i sintomi che
più migliorano dopo un PRP. Questi programmi sono impegnativi per il paziente, dal punto di vista economico ed organizzativo, di conseguenza dovrebbero essere inseriti in programmi standard di trattamento dei pazienti con BPCO e dovrebbero quindi essere applicati in centri e da personale specializzati.
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143
14. La BPCO nell’anziano
A cura di
Vincenzo Bellia
Istituto di Medicina generale e Pneumologia
Università di Palermo, Palermo
14.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
Secondo le recenti Linee Guida NICE “la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è caratterizzata da ostruzione al flusso aereo. L’ostruzione è solitamente progressiva, non completamente reversibile e non si modifica marcatamente nell’arco di parecchi mesi”. Su questa base
l’espressione “la BPCO nell’anziano” che dà il titolo a questo capitolo costituisce di fatto un pleonasmo: la BPCO infatti, è comunque una malattia dell’anziano, almeno se considerata nei suoi
quadri conclamati, in cui trovano espressione più piena i caratteri distintivi dell’ostruzione irreversibile, per non parlare dei disordini dei gas ematici e della disabilità: di fatto la maggior parte dei
casi riceve la prima volta una diagnosi di BPCO dopo aver compiuto i 50 anni, mentre l’età media dei pazienti in ossigenoterapia a lungo termine si pone intorno ai 70 anni. È pur vero però che
secondo le Linee Guida GOLD può essere inquadrata nella BPCO anche la condizione di chi, in
assenza di riduzione della pervietà bronchiale e della limitazione del flusso espiratorio, presenta
sintomi quali tosse ed espettorazione croniche, il cosiddetto Stadio 0. Su questa base la prevalenza della malattia nei soggetti di età compresa tra 20 e 44 anni in Europa sarebbe superiore al
10%. Questa impostazione estensiva dei termini applicativi della diagnosi di BPCO è però messa in discussione poiché lo Stadio 0 corrisponderebbe ad una condizione di instabilità che non
ha necessariamente valore predittivo nei confronti del rischio di sviluppare la BPCO conclamata
nelle fasi ulteriori della vita. Peraltro, come dimostrato dallo studio multicentrico italiano “Salute
Respiratoria nell’Anziano” (Sa.R.A.), anche in età avanzata è frequente il riscontro di quadri caratterizzati dai sintomi della bronchite cronica “semplice”, nei quali, cioè, nonostante l’esposizione per molti decenni a fattori di rischio come il fumo di tabacco, non si è registrata (né più si registrerà) l’evoluzione verso l’ostruzione bronchiale dimostrata spirometricamente. Comunque si
consideri la questione, sul piano pragmatico non vi è dubbio sul fatto che il maggior impegno assistenziale ed il maggior carico di costi gravino sulle fasce d’età geriatrica: la BPCO rappresenta
la seconda causa di disabilità nella popolazione anziana. Nonostante la consapevolezza dei rapporti tra invecchiamento e BPCO vada diffondendosi, sono ancora in numero limitato gli studi diretti a definire i caratteri peculiari che la malattia assume per il fatto di sovrapporre i suoi effetti a
quelli prodotti dal fisiologico avanzare dell’età. Inoltre appare indubbio il fatto che la patologia respiratoria dell’anziano continui a ricevere un’attenzione molto scarsa, particolarmente fuori dell’ambiente specialistico pneumologico: era e continua ad essere frequente il caso di mancata o
errata diagnosi particolarmente nell’evenienza assai comune di pazienti con multiple comorbilità.
Per conseguenza non è raro il riscontro di casi di mancanza o inadeguatezza dei trattamenti.
Valutazione dell’anziano con BPCO
L’inquadramento diagnostico della BPCO si realizza nell’anziano con modalità non dissimili da
quelle valide in generale e tradizionalmente basate sull’anamnesi (fattori di rischio, sintomi compatibili), nonché sulla valutazione funzionale (spirometria con test di broncodilatazione). Tuttavia
non si può ignorare il fatto che l’invecchiamento dell’apparato respiratorio determina alcuni effetti di confondimento. Se si considera come il polmone senile mimi molte caratteristiche dell’enfisema (per es. la forma del torace a botte, la perdita di elasticità parenchimale, la disfunzione dei muscoli respiratori) non è sorprendente che soggetti con sintomi respiratori occasionali e transitori (per es. tosse da flogosi acuta delle vie aeree) o con sintomi derivanti da patologie extrapolmonari (per es. dispnea o riduzione della tolleranza allo sforzo da cause cardiovascolari) ricevano una diagnosi impropria di BPCO che spesso li accompagnerà acriticamente
come un marchio per il resto della vita; questo tipo di errori ricorre più frequentemente nel sesso maschile. Un’altra possibile occasione di errori diagnostici in tema di BPCO interessa i soggetti anziani affetti da asma bronchiale: è diffuso infatti un pregiudizio culturale che ancora og-
145
146
gi induce a ritenere assai raro il riscontro dell’asma in età geriatrica. Pertanto, l’anziano che presenti tosse e dispnea croniche è esposto ad un rischio significativo di essere comunque etichettato come affetto da BPCO, talora anche se in assenza di riconosciuti fattori di rischio per questa malattia (per es. non fumatore) e spesso senza una adeguata valutazione spirometrica del tipo della broncoostruzione e della sua reversibilità. Oltre all’età anche la presenza di una disabilità
costituisce un fattore di rischio per erronea diagnosi di BPCO in asmatici anziani.
La valutazione spirometrica costituisce una componente essenziale del corretto approccio diagnostico alla BPCO nel senso più ampio: tuttavia nel paziente geriatrico occorre mettere in atto
alcuni adattamenti esecutivi del test ed è necessario pure adottare alcune cautele interpretative
nella lettura dei risultati. Per quanto riguarda l’esecuzione delle misure, i risultati dello studio
Sa.R.A. indicano che oltre l’80% degli anziani non ospedalizzati e deambulanti sono in grado di
eseguire una spirometria complessivamente rispondente ai criteri di accettabilità dell’ATS: tuttavia la compliance con i diversi criteri è variabile. In particolare i risultati meno soddisfacenti sono
stati registrati per quanto riguarda il criterio relativo al tempo del plateau teleespiratorio (cioè almeno un secondo per un minimo di tre curve). Su questo criterio deve dunque essere esercitata
una certa tolleranza, tenendo conto del fatto che tra i fattori di rischio per una performance spirometrica imperfetta sono compresi un deficit cognitivo ed un basso livello di scolarità, che determinano la difficoltà ad interagire con l’operatore, a comprenderne le istruzioni e a metterle in
atto. Il terzo fattore di rischio per scarsa accettabilità secondo lo studio Sa.R.A. è rappresentato
da un risultato scadente al test del cammino per sei minuti: in altri termini la complessiva performance fisica e l’assenza di disabilità rappresentano una delle principali condizioni per l’esecuzione di una corretta spirometria. Per quanto riguarda l’interpretazione dei risultati, secondo le indicazioni dell’ATS occorre innanzitutto fare riferimento a valori teorici derivati da una adeguata popolazione della stessa fascia d’età e della medesima origine etnica rispetto ai pazienti in corso di
valutazione. Recentemente equazioni di calcolo dei teorici sulla popolazione geriatrica italiana sono stati prodotti e resi disponibili sulla base dei risultati dello studio Sa.R.A. già citato.
Dato poi per scontato il riferimento a valori “normali” appropriati, la definizione del significato diagnostico delle misure ed in particolare la scelta dei livelli di cut-off necessari per definire l’esistenza di una patologia necessitano l’esercizio di senso critico. L’analisi del decadimento senile di molti parametri funzionali dimostra che la variabilità delle misure attorno alla media aumenta con l’avanzare dell’età: ne deriva che livelli di taglio che risultano appropriati in età giovanile possono
condurre ad errori di sovradiagnosi in età geriatrica. In uno studio norvegese condotto su soggetti
asintomatici ultrasettantenni non fumatori è stato rilevato che sulla base dell’applicazione dei criteri GOLD alla spirometria circa il 35% dei soggetti sarebbe stato impropriamente considerato affetto da BPCO in Stadio I, mentre la percentuale poteva salire a circa il 50% negli ultraottantenni.
Occorre pertanto ridefinire i criteri di determinazione dei livelli di cut-off delle Linee Guida; questi,
peraltro mostrano anche altri limiti qualora si correlino gli stadi classificativi con la condizione di
salute valutata con specifiche metodologie nell’intento di rilevare le differenze corrispondenti a ciascun passaggio di stadio. Nell’ambito dello studio Sa.R.A., condotto su pazienti ultrasessantacinquenni, il confronto degli stadi GOLD con il punteggio conseguito al Saint Georgès Respiratory Questionnaire (SGRQ), uno strumento di misura della percezione soggettiva dello stato di salute (ovvero della cosiddetta qualità di vita correlata alla salute) specifico per le pneumopatie
ostruttive croniche, ha dimostrato che gli Stadi 0, I e II posseggono una scarsa capacità discriminativa in quanto corrispondono ad un declino molto graduale dello stato di salute, mentre i punteggi mostrano una marcata sovrapposizione fra i tre Stadi. È invece il passaggio dallo Stadio IIa
al IIb (corrispondenti agli Stadi II e III della classificazione aggiornata) ad essere segnato dal più rilevante peggioramento dello stato di salute, mentre i punteggi fanno registrare una scarsa so-
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
14. La BPCO nell’anziano - V. Bellia
vrapposizione tra questi due Stadi. Anche il passaggio dallo Stadio II al III (ovvero III e IV della nuova classificazione) è segnato da un ulteriore scadimento del punteggio del SGRQ. Questi risultati inducono a formulare due ordini di considerazioni. In primo luogo se si considera come il passaggio allo Stadio IIb, che è risultato così determinante ai fini del deterioramento dello stato di salute, corrisponda ad un FEV1 contenuto tra il 30 ed il 49% del teorico, si conferma l’assoluta inappropriatezza dell’uso di soglie arbitrarie come l’80% già messo in discussione dallo studio norvegese ed emerge assai viva l’esigenza di riscrivere il sistema classificativo, almeno all’interno della
popolazione geriatrica. In secondo luogo scaturisce evidente l’importanza di supportare l’approccio diagnostico alla BPCO (in generale, ma massime nell’anziano) con una valutazione multidimensionale che tenga conto dei molteplici aspetti della disfunzione e della disabilità cui si accompagna la BPCO. Per completare la valutazione respiratoria una stima del grado di dispnea
(mediante questionario o scale analogico-visive) deve obbligatoriamente fare parte dell’approccio
basilare a ciascun paziente in stato stabile. Questa valutazione è stata recentemente inclusa insieme con il body mass index (BMI), la misura del FEV1 e la distanza percorsa in sei minuti in un
indice definito BODE, del quale è stato dimostrato l’elevato valore prognostico della mortalità.
Per quanto riguarda gli aspetti extrarespiratori della valutazione multidimensionale, questi devono
innanzi tutto comprendere il rilievo della condizione socio-economica e familiare che spesso condiziona drammaticamente qualunque possibilità di trattamento efficace dell’anziano; indispensabile è inoltre una determinazione della complessiva capacità di performance fisica attraverso questionari come il test di Barthel, o prove sul campo come il test del cammino per sei minuti. Mentre questo ultimo test va sempre più affermandosi, ancora scarso utilizzo fuori degli ambienti specialistici geriatrici hanno i test di screening della performance cognitiva come il Mini Mental Status
test e quelli relativi allo stato affettivo, come la Geriatric Depression Scale che esplora la depressione o la scala di Hamilton che valuta sia l’ansia che la depressione.
Infine la valutazione complessiva dell’anziano con BPCO non può trascurare una sistematica
identificazione e “pesatura” delle patologie indipendenti dalla BPCO e che coesistono nel caso in
esame: la polipatologia costituisce un connotato dell’età avanzata che sovrappone i suoi effetti a
quelli della BPCO influenzando il quadro clinico, la prognosi e la risposta ai trattamenti.
La frequenza di tale condizione è variamente stimata nelle diverse popolazioni (minore nei pazienti
ambulatoriali, come quelli dello studio Sa.R.A., maggiore in quelli ospedalizzati o comunque istituzionalizzati), anche in relazione alla metodologia utilizzata per il rilievo e la codifica (uso di questionari specifici, registrazione “passiva” etc.): essa appare comunque elevata e crescente con l’avanzare dell’età (fig. 1). È stato dimostrato che la coesistenza di altre patologie può influenzare
negativamente vari aspetti della prognosi della BPCO, quali la severità delle riacutizzazioni (per es.
nel caso del diabete mellito) e la mortalità (per es. nel caso dell’insufficienza renale).
Figura 1 – Frequenza di patologie associate nell’anziano
25
Frequenza (%)
20
15
10
5
0
Ipertensione
Osteoartrosi
Cardiopatia ischemica
Diabete
Scompenso II classe
Deficit visivo
Deficit uditivo
Ipertrofia prostatica
147
La valutazione della multimorbilità deve infine far parte del processo decisionale che conduce alle scelte terapeutiche: si pensi alle limitazioni all’uso di teofillinici e simpaticomimetici nei cardiopatici o alle cautele nell’uso dei corticosteroidi negli ipertesi o nei pazienti affetti da osteoporosi.
Principi di trattamento
Nell’impostazione del trattamento diretto all’anziano occorre innanzitutto porre attenzione alle
condizioni generali che spesso influenzano in modo rilevante la sintomatologia, la qualità di vita
ed infine la prognosi: è questo il caso della condizione nutrizionale: tanto la malnutrizione (espressa da un BMI<22) quanto l’obesità (BMI>28) hanno effetti negativi: tuttavia la prima deve essere
particolarmente oggetto di attenzione a causa della sua prevalenza (pari almeno al 20%) e poiché
implica una perdita di massa magra che penalizza soprattutto l’apparato muscolare.
Figura 2 – Patogenesi della sarcopenia
148
Invecchiamento
Fattori genetici
Ipossia
Acidosi
Perdita della massa muscolare
Ridotta attività fisica
Sedentarietà-allettamento
Flogosi
Comorbilità
Stress ossidativo
Malattie endocrine
Scompenso cardiaco
Infezioni
Terapia
steroidea
Alimentazione
Deficit calorico-proteico
Deficit vitaminici
La ridotta efficienza muscolare, oltre a contribuire a determinare la limitazione della tolleranza allo
sforzo, può facilitare l’insorgenza di insufficienza respiratoria globale dal momento che il deficit muscolare non risparmia i muscoli respiratori che nella BPCO sono chiamati a sostenere l’aumentato
carico ventilatorio determinato dall’ostruzione bronchiale; inoltre un deficit trofico e/o funzionale dei
muscoli dà luogo ad una limitazione dell’efficacia espulsiva della tosse cui è riconosciuta un’importanza fondamentale nel complesso dei meccanismi di protezione dell’albero respiratorio. Occorre
pertanto controllare correggere o, ancor meglio, prevenire la malnutrizione assicurando un adeguato introito calorico ed eventualmente integrando la dieta con supplementi ricchi di lipidi allo scopo di
ridurre la produzione endogena di CO2. È però doveroso segnalare che gli studi diretti a valutare l’efficacia degli interventi nutrizionali ai fini della modificazione della prognosi non hanno sinora dato risultati significativi. Nell’ambito dell’attenzione alle condizioni muscolari occorre pure prevenire la possibilità di insorgenza di miopatia da steroidi, i cui effetti negativi si sommerebbero a quelli della sarcopenia: è pertanto necessario limitare l’uso degli steroidi sistemici e incoraggiare una costante attività fisica. Sotto questo profilo è raccomandabile un programma riabilitativo strutturato sia in ambito propriamente respiratorio, sia in ambito motorio più generale: esso può prevenire, ritardare o limitare la disabilità e migliorare lo stato di salute. Sul piano farmacologico i principi di trattamento
della BPCO nell’anziano non sono diversi da quelli codificati per la popolazione generale dei soggetti affetti: in particolare non cambiano i presidi disponibili, né le loro strategie di impiego. Tuttavia numerosi aspetti dell’invecchiamento possono condizionare l’efficacia o la sicurezza di impiego dei diversi trattamenti oppure limitarne l’applicabilità, (per es. attraverso una limitazione della
compliance al trattamento dovuta al difetto della memoria o dell’attenzione). Modificazioni involutive dei tessuti, nella distribuzione e funzionalità dei recettori, o nei meccanismi di controllo possono condizionare l’efficacia dei farmaci nel paziente anziano; inoltre modificazioni di organi e funzioni non respiratori, dovuti ad involuzione senile (per es. a carico del rene o del fegato) o a patologie associate (per es. a carico dell’apparato cardiovascolare), possono interferire sulla farmacocinetica o sulla farmacodinamica dei trattamenti. L’efficacia di questi ultimi può anche essere liRapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
14. La BPCO nell’anziano - V. Bellia
mitata da altri fenomeni connessi con l’involuzione senile dell’organismo: si pensi a vari aspetti
della disabilità (riduzione della destrezza, perdita della forza muscolare, progressiva diminuzione
del visus etc.) che possono interferire con la capacità di eseguire trattamenti complessi o di utilizzare tecnologie inusuali quali le sorgenti per l’ossigenoterapia o i presidi per la ventilazione meccanica non invasiva domiciliare.
In realtà il problema è di riscontro molto più frequente e banale in quanto in primo luogo interessa diffusamente l’uso quotidiano dei dispositivi per l’erogazione di aerosol dosati o di polveri. La
via inalatoria costituisce la scelta prioritaria poiché assicura la prontezza degli effetti terapeutici
sulle vie aeree e la riduzione di quelli indesiderati extrarespiratori a causa della ridotta distribuzione sistemica dei farmaci. L’efficacia è funzione della percentuale di deposizione lungo l’albero
bronchiale e questa, a sua volta, dipende in una misura importante dalle modalità di esecuzione
dell’inalazione. Almeno il 50% dei pazienti mostra qualche difficoltà nell’uso dei dispositivi commerciali erogatori di aerosol dosati o di polveri. Il problema è ancor più frequente negli anziani: in
uno studio su ultrasessantacinquenni soltanto il 10% mostrava una tecnica soddisfacente. Poiché tale tecnica costituisce oggetto di apprendimento non sorprende che il correlato più importante della qualità della performance inalatoria sia rappresentato dalla condizione delle funzioni
cognitive. L’uso di spaziatori può migliorare l’efficienza dell’inalazione: tuttavia il confronto tra l’uso di erogatori di aerosol dosato dotati di spaziatori e quello di erogatori di polvere inalatoria in
soggetti di età 75-101 anni dimostra che la probabilità di uso corretto è maggiore con i secondi
che con i primi. Né può essere dimenticato il problema delle interferenze da parte di farmaci utilizzati per le patologie associate e capaci di influenzare il quadro clinico-funzionale (si pensi al
peggioramento della broncocostrizione indotto dai β-bloccanti) o di aumentare il rischio di effetti
collaterali (come può accadere nell’interazione tra diuretici e simpaticomimetici).
Trattamento dello stato stabile
Per quanto riguarda le modalità di trattamento a lungo termine dei soggetti anziani con BPCO in fase di stabilità clinica, in considerazione di quanto sin qui discusso, occorre privilegiare trattamenti di
facile applicabilità ed utilizzabili nel lungo periodo (teoricamente sine die), senza o con limitati rischi
di tachililassi e di effetti indesiderati. In questa prospettiva gli anticolinergici inalatori risultano spesso
più efficaci dei β-stimolanti, verosimilmente in relazione ad una riduzione dell’attività dei β-recettori
che accompagna l’invecchiamento. Nonostante osservazioni ormai remote suggerissero l’esistenza
nell’anziano di una riduzione nel numero dei β-recettori, ricerche più recenti escludono modificazioni della densità dei recettori stessi. Questi sembrano piuttosto andare incontro ad una riduzione dell’affinità con l’invecchiamento; inoltre alterazioni dei meccanismi postrecettoriali potrebbero contribuire a giustificare il declino della risposta ai simpaticomimetici che si riscontra negli anziani.
Anche per gli anticolinergici si osserva un certo declino dell’attività con l’invecchiamento; tuttavia
questo si realizza meno rapidamente che con i simpaticomimetici. Il complessivo favore riscosso
dagli antimuscarinici nella popolazione geriatrica è dovuto non soltanto a tale vantaggio farmacodinamico, ma anche alla migliore tolleranza ed all’assenza di rischio di tachifilassi. Infine gli anticolinergici inalatori non deprimono significativamente la clearance mucociliare e risultano di impiego sicuro anche nei pazienti di età avanzata che presentano una ipertrofia prostatica od altra
patologia delle vie urinarie. L’indicazione prevalente è quella all’uso del tiotropio bromuro che offre il vantaggio addizionale della monosomministrazione quotidiana che favorisce l’aderenza alla
prescrizione da parte dell’anziano.
Occorre segnalare che un certo numero di pazienti anziani appaiono comunque più responsivi ai
simpaticomimetici: in particolare i β-stimolanti trovano indicazione preferenziale nei pazienti che
presentino una manifesta quota di reversibilità spirometrica al broncodilatatore in relazione o me-
149
150
no ad una anamnesi che risulti compatibile oltre che con la BPCO anche con asma e/o allergie
(bronchite asmatiforme). Anche nei soggetti in cui la spirometria non mostri una apparente reversibilità, può essere indicato un trial con broncodilatatori sfruttando gli effetti non broncospasmolitici degli stessi (sulla clearance, sulla contrazione muscolare, sul circolo). In altri casi l’uso dei
broncodilatatori in presenza di un’apparente negatività al test spirometrico di reversibilità può essere giustificato dal fatto che la mancata risposta ai simpaticomimetici o agli antimuscarinici è dovuta ad un prevalente effetto della flogosi bronchiale e della secrezione endoluminale: in queste
circostanze, un ciclo adeguato di terapia steroidea ed un efficace drenaggio delle secrezioni possono ripristinare l’evidenza spirometrica della reversibilità.
Nella scelta sulla modalità di somministrazione dei farmaci occorre valutare caso per caso in relazione alla performance funzionale, allo scopo di evitare sia il rischio di abuso e conseguente sovradosaggio (che potrebbe essere particolarmente pericoloso nell’anziano), sia il rischio di assunzione
insufficiente per deficit della compliance o di assunzione inadeguata per uso erroneo del dispositivo
inalatorio indicato dal medico. La miglior prevenzione di questi problemi si realizza attraverso un’attenta attività educazionale diretta ad insegnare a ciascun paziente le tecniche corrette: questa attività passa attraverso la verifica da parte del medico delle abilità conseguite e attraverso la reiterazione dei messaggi ed il rinforzo della motivazione. I derivati teofillinici hanno un ruolo secondario nel
trattamento della BPCO in generale: ancor più limitata ne è la prospettiva di impiego nel paziente
anziano. Infatti il rischio di eventi avversi, presente comunque a causa del limitato indice terapeutico, aumenta in età geriatrica, manifestandosi anche per livelli di teofillinemia entro range ritenuti accettabili nella popolazione generale. Occorre anche tenere in conto il rischio di alterazioni della cinetica dovute ai frequenti trattamenti concomitanti cui è costretto l’anziano a causa della comorbilità.
L’uso dei teofillinici nella forma di preparati orali a lento rilascio può essere indicato in aggiunta agli
altri broncodilatatori in caso di controllo insoddisfacente della broncocostrizione, particolarmente
nelle ore notturne. Per quanto si riferisce all’uso dei corticosteroidi, occorre porre grande attenzione
al rischio di accentuare l’osteoporosi assai frequente nel paziente anziano, con il pericolo di facilitare il verificarsi di fratture, con particolare riferimento a quelle vertebrali. Questi rischi sono ovviamente più elevati nel caso dell’impiego della via sistemica, ma la completa sicurezza dell’uso dei preparati inalatori in età geriatrica attende una conferma sperimentale.
Trattamento delle riacutizzazioni
Le riacutizzazioni nell’anziano possono essere particolarmente frequenti innanzitutto per effetto
del deficit immunitario che caratterizza la senescenza e che facilita le infezioni; inoltre ricorrono più
frequentemente eventi diversi, per lo più connessi con le comorbilità, capaci di scatenare i fenomeni della dispnea e della tosse e di motivare aggiustamenti terapeutici (tab. 1). I convenzionali
principi terapeutici validi in senso generale si applicano anche nell’anziano. Occorre nei diversi casi intraprendere una terapia antibiotica ovvero iniziare o incrementare una terapia steroidea. Questa può inizialmente essere attuata per via sistemica con le cautele rese necessarie dalle frequenti
patologie associate (ipertensione, diabete, cataratta etc.) che nell’anziano riducono la sicurezza
di impiego dei corticosteroidi. In considerazione della rilevanza clnico-prognostica sfavorevole che
le sempre più frequenti riacutizzazioni posseggono nell’anziano, è altamente raccomandabile la
prassi delle vaccinazioni regolari, sia quella antiinfluenzale, da ripetere annualmente, sia quella antipneumococcica, da ripetere ogni 5 anni.
Tabella 1 – Diagnostica differenziale delle riacutizzazioni della BPCO nell’anziano
•
•
•
•
Insufficienza ventricolare sinistra, edema polmonare
Embolia polmonare
Polmoniti acquisite in comunità
Polmoniti da aspirazioni
• Versamenti pleurici
• Ostruzione delle prime vie aeree
• Carcinoma polmonare
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
14. La BPCO nell’anziano - V. Bellia
Trattamenti concomitanti
Per quanto riguarda la terapia mucolitica, pur se le valutazioni sono controverse, occorre segnalare
che esistono evidenze sperimentali e metanalisi a favore di un azione positiva dei mucolitici nella direzione della riduzione delle riacutizzazioni. Recentemente è divenuta oggetto di rinnovato interesse
l’acetilcisteina, un farmaco a lungo utilizzato come mucolitico, che possiede proprietà antiossidanti
che potrebbero trovare utile impiego nella BPCO, possibilmente contribuendo a prevenire il declino
strutturale e funzionale nel tempo: si attendono ulteriori e più ampie conferme sperimentali. Per
quanto riguarda l’ossigenoterapia a lungo termine nel trattamento dell’insufficienza respiratoria parziale, indicazioni, precauzioni e controindicazioni sono sovrapponibili a quelle valide nella popolazione generale. Nel paziente geriatrico il regime di vita preferibilmente sedentario facilita la somministrazione: tuttavia in relazione al possibile deficit dell’attenzione e della memoria occorre che si eserciti un frequente controllo esterno sui parametri di erogazione, sull’effettiva assunzione, sul rispetto
delle norme di sicurezza. Appare superfluo in una trattazione sulla gestione dell’anziano con BPCO
sottolineare il ruolo fondamentale che può essere svolto dal complesso delle pratiche riabilitative:
queste devono essere realizzate da personale dotato di specifica esperienza dei problemi geriatrici
e deve comprendere non soltanto attività dirette all’apparato respiratorio, ma anche pratiche indirizzate ad un ripristino di adeguate capacità motorie. Il complesso di queste attività deve essere inquadrato all’interno di un articolato programma assistenziale che tenga conto delle specificità del
quadro clinico, della situazione socio-familiare ed economica, nonché della condizione cognitiva ed
affettiva, con particolare riferimento alla depressione.
Infine, un cenno merita la pratica della ventilazione meccanica non invasiva in ospedale durante
le riacutizzazioni e a domicilio nel paziente avanzato che presenti una condizione di insufficienza
respiratoria globale cronicizzata. Caduti ormai i pregiudizi culturali che in altri tempi avrebbero
sconsigliato una tale pratica nell’anziano, non vi sono praticamente limiti d’età all’istituzione di
questo trattamento: tuttavia è opportuno ribadire che da una parte esso è condizionato all’adesione e all’adattamento continuo del paziente e pertanto non è attuabile nel caso di condizioni
mentali o affettive compromesse; d’altra parte la ventilazione assistita richiede una stretta sorveglianza clinica, un controllo regolare delle caratteristiche di funzionamento della protesi ed un monitoraggio gasanalitico frequente che configurano un onere organizzativo non sempre alla portata del paziente anziano, particolarmente in una realtà disomogenea sul piano socio-assistenziale
come è quella del nostro paese.
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151
15. Il medico di Medicina generale nella
gestione della BPCO
A cura di
Germano Bettoncelli
Medico di Medicina generale, Brescia
15.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
È opinione diffusa ed esistono diversi motivi a sostegno della necessità di un forte coinvolgimento del medico di Medicina generale (MMG) nella gestione del paziente affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). Alcuni di questi motivi hanno carattere generale, altri
sono legati allo specifico della malattia (tab.1).
Tabella 1 – Coinvolgimento dell’MMG nella gestione della BPCO
CARATTERISTICHE DELLA BPCO
CARATTERISTICHE E RUOLO DEL MMG
Prevalenza elevata
Cronicità della patologia
Mortalità e morbilità in aumento
Consumo di risorse elevato
Importanza interventi preventivi
Declino funzionale progressivo
Esacerbazioni
Prospettive di terapia farmacologica
Diffusione capillare sul territorio
Continuità assistenziale
Rilevazione dati epidemiologici
Responsabilizzazione controllo spesa
Interventi di primo livello su popolazione
Diagnosi tempestiva
Valutazione gravità
Verifica appropriato uso delle risorse nella vita reale
Le previsioni di forte incremento della mortalità e della morbilità(1) che si riferiscono a questa malattia ne fanno un fenomeno preoccupante, caratterizzato da un andamento negativo del tutto
peculiare, specialmente se rapportato ad altre condizioni quali le patologie cardiovascolari e quelle neoplastiche, oggi decisamente in netta controtendenza. Il pessimismo degli osservatori si fonda sui dati di incremento di prevalenza della BPCO nella popolazione e sul suo peculiare andamento clinico, caratterizzato dallo sviluppo di una progressiva riduzione della funzionalità respiratoria, che può giungere fino alla grave insufficienza respiratoria, riscontrabile nelle fasi avanzate
della malattia. Per questi motivi la maggior parte dei costi indotti dalla BPCO, si concentra negli
stadi più evoluti della patologia, quando le esacerbazioni si fanno più numerose e gravi ed i ricoveri ospedalieri più frequenti (2,3).
Se da una lato ci troviamo di fronte ad un tale scenario piuttosto cupo, numerose evidenze ci
indicano per contro che molto si potrebbe fare per impedire l’insorgenza della malattia e che,
quand’anche la malattia appaia già insorta, molto ancora resterebbe da fare per frenarne la deriva verso gli stadi più gravi.
Sebbene molti ritengano che la Medicina generale (MG), sotto questo punto di vista, potrebbe/dovrebbe avere un ruolo importante, fino ad oggi essa sembra aver tenuto di fatto un basso profilo nell’impegno su questo fronte. In particolare si registra una certa difficoltà e ritardo
nell’adozione delle indicazioni provenienti da documenti scientifici e Linee Guida redatte da autorevoli comitati di esperti ed ampiamente diffuse (4,5,6).
Per altro va osservato che la produzione di questi documenti è abbastanza vasta e la loro revisione piuttosto frequente, a testimonianza forse di una non ancora elevata stabilità delle conoscenze in materia.
Si stima che circa il 50% dei soggetti portatori di BPCO non ne sia informato, ovvero non abbia mai ricevuto una corretta diagnosi medica. È ragionevole pensare che si tratti di pazienti per
la maggior parte in uno stadio di malattia lieve, destinati ad essere riconosciuti solo in momenti successivi, alla comparsa di sintomi più gravi e invalidanti. Merita a tale proposito ricordare la
grande capacità di assuefazione ai disturbi respiratori che spesso questi pazienti presentano e
che è raro riscontrare in altre patologie. La più o meno consapevole riduzione delle proprie
preformances con l’adeguamento al livello di funzionalità respiratoria possibile, rappresenta un
fattore determinante per mantenere la sottostima della malattia e procrastinarne a tempo inde-
153
finito la diagnosi. Alla scarsa consapevolezza del paziente circa il significato dei sintomi di allarme, si accompagna l’atteggiamento del medico che, nella maggior parte dei casi, non va incontro al problema, ma lo aspetta secondo modi e tempi di presentazione di fatto lasciati alla decisione del paziente. Di solito, nella pratica quotidiana, accade che il paziente ricorra al medico per
la presenza di un sintomo particolarmente disturbante o di una limitazione funzionale di una certa importanza: a quel punto ci si trova facilmente già in presenza di una condizione piuttosto evoluta e sensibilmente deteriorata sul piano clinico. Frequentemente l’incontro col medico avviene
in concomitanza di un episodio di esacerbazione della BPCO; evento non di rado omologato ad
altre condizioni più o meno banali di flogosi dell’apparato respiratorio - magari stagionali - e quindi trattato con farmaci sintomatici o antibiotici, o comunque percepito come “episodio” e non
quale epifenomeno della condizione patologica cronica sottostante. Non di rado tale approccio
tende ad essere reiterato, nel corso di più visite mediche, con variazioni prescrittive prevalentemente inefficaci. In realtà questo incontro tra medico e paziente, seppur con i limiti ed i ritardi descritti, potrebbe comunque ancora rappresentare un’occasione favorevole per impostare un iter
in grado di mettere a fuoco la diagnosi e stadiare la gravità della patologia. Nella realtà, non sempre purtroppo questa opportunità viene colta.
154
Quali motivi si possono ipotizzare alla base di questo comportamento?
Per certi versi i MMG sembrano molto affezionati alla prima definizione di Anthoniseen di bronchite cronica, quella nella quale non veniva citato il fenomeno dell’ostruzione bronchiale completamente o prevalentemente non reversibile ed in relazione alla quale poco si conosceva riguardo agli
indirizzi terapeutici. A sostegno di questa affermazione vi sono le osservazioni relative al basso utilizzo della spirometria in MG (ma non solo), test ritenuto essenziale per la formulazione corretta della diagnosi. Studi non ancora pubblicati tratti da un database della MG italiana, Health Search, mostrano infatti che la spirometria è prescritta solo in circa il 30% dei casi etichettati come BPCO. Nello stesso osservatorio, per altro, la prevalenza di malattia riportata nella popolazione sembra abbastanza sottodimensionata rispetto alle stime riportate in letteratura (2,2% nei soggetti di età >40
anni). Si ha l’impressione che i MMG preferiscano in molti casi porre una diagnosi esclusivamente
sulla scorta dei dati desunti dall’osservazione del paziente, cioè della sua obiettività ed ancor più
della sua storia clinica, che non sulla base di una valutazione strumentale. Purtroppo non esistono
ad oggi evidenze scientifiche che dimostrino se questo comportamento sia corretto. Per contro,
medici esposti ad interventi educativi ben strutturati e ben condotti, migliorano sotto il profilo della
qualità della diagnosi, sia nel senso del numero di casi riconosciuti sia per l’applicazione delle procedure standard raccomandate dalle principali Linee Guida.
Quali strategie possono essere pertanto delineate ai fini di migliorare gli standard di cura della BPCO in Medicina generale?
L’individuazione di un soggetto con caratteristiche tali da far porre al medico il sospetto di BPCO
non sembrerebbe, in linea di principio, comportare grandi difficoltà. Si tratta di una persona di età
>40 anni, forte fumatore o con anamnesi positiva per l’esposizione a fattori di rischio, con sintomi significativi quali tosse cronica, produzione cronica di espettorato, dispnea (tab. 2).
Tabella 2 – Soggetto potenziale candidato a sviluppare BPCO
>40 anni, fumatore o ex forte fumatore con spesso (ma non sempre necessariamente)
Presenza di tosse cronica
Espettorato cronico in genere mucoso
Dispnea, all’inizio da sforzo poi anche a riposo
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
15. Il medico di Medicina generale nella gestione della BPCO - G. Bettoncelli
Il primo passo è quindi che il MG disponga di un archivio pazienti in cui venga sistematicamente
raccolto il dato anamnestico relativo all’abitudine tabagica ed all’esposizione ai fattori di rischio la
BPCO.
Sebbene il fumo di tabacco rappresenti il principale fattore di rischio per la salute nelle popolazioni dei paesi industrializzati, ancora troppo limitato è l’intervento svolto dai medici per contrastare questo fenomeno. Rilevare la presenza dell’abitudine tabagica e dimensionarla per intensità
e durata, è un intervento di minimo impegno dal punto di vista del tempo e della difficoltà, quando indirizzato al singolo soggetto (7).
Più complesso diventa invece il problema nell’ipotesi di un intervento esteso a tutti i fumatori (circa il 26% della popolazione totale), che preveda anche la somministrazione di test per la valutazione del grado di dipendenza dalla nicotina (test di Fagestrom) o della disponibilità alla sospensione del fumo. Si consideri, a tale proposito, che l’intervento educazionale minimo standardizzato di tre minuti (minimal advice) raccomandato dalle Linee Guida, se attuato in maniera estesa,
comporta per un generalista con 1500 pazienti un impegno di 2 settimane di attività ambulatoriale (4 ore al giorno per 5 giorni/sett.), totalmente dedicate allo svolgimento di questo compito.
Con questo non si intende evidentemente esprimere un giudizio sull’opportunità ne sulla praticabilità reale di tale intervento (probabilmente, per altro, esso è opportuno e, in ultima analisi, praticabile), ma solo porre in evidenza l’impegno reale richiesto, in un’ottica di popolazione, per l’attuazione di interventi di per sé molto semplici se considerati singolarmente. La sola raccolta del
dato anamnestico e l’avviso minimo sono in grado di produrre la sospensione del fumo nel 2%
dei fumatori; questa percentuale, all’apparenza modesta, assume un deciso rilievo se proiettata
sui larghi numeri di popolazione coinvolti. La presenza di collaboratori di studio che affiancano il
medico può rappresentare un’ulteriore opportunità per effettuare questi interventi in modo più capillare e sistematico e per sollevare in parte il lavoro del medico.
Nell’intento di conoscere il maggior numero di pazienti a rischio di BPCO, possono essere utili
cartelli esposti nella sala d’attesa che richiamano i sintomi patognomonici della malattia o brevi
questionari autocompilati da riconsegnare al medico al momento della visita (tab. 3).
Tabella 3 – Questionario ambulatoriale per lo screening dei soggetti con BPCO
Sai cos’è la BPCO? È la broncopneumopatia cronica ostruttiva, una malattia dei polmoni molto frequente, anche se molti pazienti ne sono affetti senza saperlo.
Rispondi alle domande e scopri se sei affetto da BPCO
1.
2.
3.
4.
5.
Hai tosse frequente?
Hai frequentemente catarro nei bronchi?
Fai fatica a respirare rispetto ai tuoi coetanei?
Hai più di 40 anni?
Sei un fumatore o lo sei stato?
SI
SI
SI
SI
SI
NO
NO
NO
NO
NO
Se hai risposto sì a tre o più domande potresti essere affetto da BPCO, chiedi al tuo medico se ritiene
necessario che tu faccia una spirometria.
Una diagnosi precoce di BPCO è fondamentale nel prevenire un aggravamento di questa malattia.
La diagnosi di BPCO deve essere confermata dalla dimostrazione oggettiva della presenza di un’ostruzione bronchiale, ottenuta con l’esecuzione di una spirometria. Va ricordato che la tosse cronica e la produzione di escreato spesso precedono di molti anni la comparsa della riduzione del flusso aereo espiratorio. Ciò nonostante non tutti i soggetti con tosse e produzione di escreato svilupperanno in seguito un’ostruzione bronchiale vera e propria.
Come già ricordato esiste una certa riluttanza (e non solo in MG) ad utilizzare l’esame spirometrico per diagnosticare le malattie broncostruttive. Dai dati di Health Search emerge che questo te-
155
156
st è stato richiesto in circa il 30% dei soggetti per i quali il medico ha registrato in cartella una diagnosi di BPCO. Vi sono spiegazioni di tale comportamento? Il fenomeno può probabilmente essere legato a diverse cause, tra le quali problemi logistici e di difficoltà di accesso ai servizi diagnostici, indisponibilità del paziente ad effettuare l’accertamento prescritto, carenze culturali del
medico. È possibile anche, tuttavia, che molti medici pur conoscendo perfettamente il significato
dell’esame spirometrico, siano convinti di poter gestire il problema BPCO basandosi esclusivamente sui dati clinico-anamnestici del paziente. Questo comportamento, tendente a prescindere
dai dati di funzionalità respiraoria sembra trovare riscontro anche nella posizione recentemente
assunta dalle recenti Linee Guida NICE (8). La lenta evoluzione della malattia e la scarsa pressione
(in termini di domanda assistenziale) che fino ad un determinato stadio di gravità viene esercitata
dal paziente sul medico, possono favorire questo particolare tipo di valutazione. La conseguenza
dello scarso ricorso allo studio funzionale del paziente, si traduce nella pressochè inesistente consuetudine ad effettuare la stadiazione di gravità della malattia. Non stadiare la BPCO o farlo secondo modelli personali del medico, impedisce di attuare una gestione della malattia standardizzata e coerente. Tale comportamento ha potenziali, pesanti, conseguenze sotto molti punti di vista: da quello delle scelte terapeutiche, a quello della corretta comunicazione con gli altri medici
ed operatori sanitari.
Per il medico generale, che di solito non dispone di strumenti di misura della funzione respiratoria, è
utile conoscere la correlazione esistente fra il grado di riduzione del flusso aereo espiratorio e la presenza ed entità dei sintomi. La classificazione in stadi è pertanto utile non solo per inquadrare il livello di gravità del paziente, ma anche per fornire un’indicazione obiettiva alla programmazione del
trattamento. Naturalmente la necessaria valutazione globale del paziente, deve prendere in considerazione anche altri parametri, tra i quali: gravità dei sintomi, frequenza e gravità delle riacutizzazioni, presenza di complicanze della malattia, presenza di insufficienza respiratoria, co-morbidità,
stato di salute generale, numero di farmaci richiesti per controllare la malattia. In assenza di un dato spirometrico, è utile ricordare che una valutazione approssimativa del grado di dispnea riferito dal
paziente, può essere effettuato con l’uso della scala MRC (Medical Research Council). Anche questo semplice strumento valutativo è pressochè sconosciuto in Medicina generale.
Classificazione MRC della dispnea
- Dispnea solo durante sforzi intensi;
- dispnea se cammina in fretta in piano, o in lieve pendenza, o su una rampa di scale, a passo
normale;
- dispnea se cammina con coetanei a passo normale in piano;
- deve fermarsi a riprendere fiato se cammina a passo normale in piano;
- dispnea forte per uscire di casa o per vestirsi e svestirsi.
L’adozione dello schema di classificazione in 4 stadi di gravità progressiva, proposto dalle Linee
Guida GOLD, farebbe compiere alla Medicina generale un salto qualitativo importante nella gestione della malattia.
Per altro, vi sono state recenti pubblicazioni secondo le quali, in realtà, il riferimento per la valutazione del paziente sembra essere nella pratica più che lo scadimento dei valori di funzionalità respiratoria, la percezione soggettiva dello stato di salute del paziente stesso, valutata con gli appositi questionari per la misura della qualità di vita, valutazione in buona misura correlata con il
numero di esacerbazioni registrate (9). Recenti importanti studi per la valutazione di efficacia di farmaci quali β2 long-acting/steroidi e tiotropio, hanno utilizzato infatti proprio outcomes di questo tiRapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
15. Il medico di Medicina generale nella gestione della BPCO - G. Bettoncelli
po (10,11,12). Si discute molto, non solo nel nostro Paese, attorno alla possibilità/opportunità che il
medico generale di esegua l’esame spirometrico nell’ambito della sua normale routine ambulatoriale. L’ostacolo maggiore all’introduzione di questa attività è rappresentato dall’impatto dei tempi richiesti per effettuare tali accertamenti su una popolazione numerosa come quella potenzialmente interessata, a fronte di tutte le altre attività che normalmente il medico generale deve gestire. Anche qui, modelli organizzativi innovativi potrebbero fornire soluzioni adatte. Un’ipotesi potrebbe vedere gruppi di medici organizzati che condividono metodi, sede e strumenti di lavoro
(medicina di gruppo), ad esempio 7-8 medici con 10.000 assistiti, la cui organizzazione potrebbe
consentire la collaborazione con tecnici esperti (fisioterapisti) operanti all’interno delle strutture
della medicina di gruppo, secondo un calendario di interventi periodici, in grado di soddisfare la
domanda di quella data popolazione. Ad una prima selezione potrebbe far seguito l’invio di quei
pazienti che presentano problemi particolari a centri di secondo livello, per determinazioni più selettive ed accurate.
Sono inoltre in corso anche esperienze di telemedicina che suscitano interesse e che potrebbero dare un contributo allo sviluppo di queste problematiche.
L’approccio terapeutico farmacologico al paziente con BPCO ha avuto negli ultimi anni il supporto
di evidenze scientifiche che hanno mostrato come sia possibile intervenire per tentare di frenare il
decorso della malattia e migliorare la qualità di vita del paziente. Le numerose Linee Guida esistenti
ed in particolare le GOLD, assegnano ad ogni stadio di gravità un approccio terapeutico preciso.
La stadiazione della malattia diviene dunque un requisito necessario per impostare una terapia farmacologica appropriata. In un’epoca nella quale tutti, compresi i MMG, sono richiamati al maggior
controllo della spesa, il perseguire una prescrizione appropriata rappresenta, oltre che l’interesse
del paziente, anche un’arma di tutela per il medico a difesa della propria responsabilità in campo
economico. Ovviamente la prescrizione farmacologica va inserita all’interno di un piano gestionale
complessivo del paziente che preveda anche un preciso follow up, interventi educazionali, integrazione con le diverse figure sanitarie di volta in volta necessarie. Questo modo di procedere può favorire il miglioramento qualitativo delle cure offerte nel setting della medicina di famiglia al paziente
con BPCO, compatibilmente con le risorse esistenti. Palesemente questi concetti sottendono le linee di indirizzo volte ad orientare il modello di gestione verso i principi della clinical governance. Un
obiettivo ambizioso, certo, ma oggi probabilmente senza alternative.
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157
16. Qualità di vita.
Misurazione dello stato di salute
respiratoria e comorbidità
A cura di
Mauro Carone
Divisione di Pneumologia. Fondazione Salvatore Maugeri, IRCCS.
Istituto Scientifico di Veruno (NO)
16.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
Introduzione
Negli ultimi anni si è verificato un crescente interesse per la “qualità di vita” (QdV). Lo scopo che
si prefigge questo metodo di valutazione è quello di fornire una accurata valutazione dei benefici che i pazienti possono trarre dalle cure mediche.
Purtroppo il termine QdV non è ben definito, tanto che spesso sono utilizzati indifferentemente
altri termini quali “qualità di vita correlata alla salute” e “stato di salute”.
L’approccio più semplice per definire la “qualità di vita” è quello di vederla come la distanza tra
ciò che è desiderato e ciò che è invece raggiungibile. Tuttavia, ciascuno di noi ha desideri non
appagati, specialmente quando è presente una malattia cronica come la BPCO. Allora in contesto medico è subentrato il termine di “qualità di vita correlata alla salute”, utilizzato per esprimere la distanza tra ciò che è desiderato e ciò che è possibile ottenere a causa del nostro limitato stato di salute. Ciò nonostante, anche quest’ultima definizione è troppo generica perché abbia un’applicazione pratica, giacché i desideri di un paziente possono essere diversi da
quelli di un altro. Per esempio un paziente tracheostomizzato potrebbe essere aver avuto come principale passione della propria vita l’immersione subacquea. Ovviamente la tracheostomia influenzerà pesantemente questo aspetto della vita di quel paziente, ma tale limitazione
sarà pressoché unica di quel singolo paziente, o al massimo sarà una delle componenti di pochi pazienti.
Si è dunque cercato di superare queste limitazioni mediante una definizione più pratica, quella
che vede la qualità di vita come la “quantificazione dell’impatto della malattia sulla vita di tutti i
giorni e sul benessere in un modo formale e standardizzato” (1). Questa definizione sottolinea
l’importanza di avere questionari “standardizzati”.
In tal senso, i questionari di stato di salute comprendono un gruppo di domande, dette items,
appropriate e applicabili a tutti i pazienti con quella determinata patologia, che esplorano le
aree di compromissione della salute comuni a tutti quei pazienti. Di conseguenza si può dire
che un questionario di stato di salute rappresenta il minimo comun denominatore di una determinata malattia. Ciò permette di includere le misure della salute nel gruppo di tutte le altre
misurazioni, come la spirometria, per le quali i parametri di normalità sono comunemente utilizzati.
QdV e broncopneumopatia cronica ostruttiva
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una patologia essenzialmente “inguaribile”.
Infatti l’unico approccio in grado di influenzare la storia naturale della malattia è la sospensione
dell’abitudine tabagica. Al contrario, le terapie sono quasi dei “palliativi” sintomatologici, e sono
principalmente rivolte alla prevenzione delle riacutizzazioni e alla riduzione della gravità dei sintomi. In tal modo si cerca di migliorare lo stato di salute globale del paziente, o quanto meno di
evitarne il peggioramento.
La BPCO ha anche la caratteristica negativa di essere inesorabilmente progressiva. Quando il
FEV1 scende sotto il litro, vi è un rapido aumento dell’impatto della malattia sulla vita quotidiana del paziente e sul suo benessere (2), con una riduzione delle normali attività della vita quotidiana (3) tanto che a questo livello i pazienti sono e si sentono handicappati.
In queste circostanze, l’effetto della terapia sul benessere del paziente e sulla vita quotidiana
rappresenta il più importante risultato soggettivo del trattamento. Tuttavia, tutte le misurazioni
comunemente utilizzate come indice di danno funzionale correlano scarsamente con la QdV e
perciò forniscono un quadro incompleto dello stato di salute (4).
159
La figura 1 mostra una tipica relazione tra il volume espiratorio forzato in 1 secondo (FEV1) e lo
stato di salute come misurato dal St. George’s Respiratory Questionnaire (SGRQ) (5): l’ampia dispersione attorno alla linea di regressione non permette al FEV1 di predire adeguatamente lo stato di salute dell’individuo. Infatti, se consideriamo due pazienti chiamati A e B, possiamo notare
che il FEV1 è al limite inferiore della normalità in entrambi. Tuttavia, il paziente A non presenta compromissione del proprio stato di salute, mentre il paziente B mostra un marcato effetto della malattia sulla sua salute.
Figura 1 – Correlazione tra FEV1% e punteggi del SGRQ in un gruppo di pazienti respiratori
[Modificato da 1]
90
80
paziente B
70
SGRQ
60
50
40
30
20
10
160
paziente A
FEV1 %
0
0
20
40
60
80
100
120
140
Tutto ciò è legato alla complessità dei fattori in grado di determinare alterazioni dello stato di salute nei pazienti con BPCO (fig. 2). Due aspetti di questa figura devono essere sottolineati. Innanzitutto la possibilità che si creino dei circoli viziosi, ad esempio l’atrofia da disuso dei muscoli
delle gambe causato dalla limitazione all’esercizio conseguente alla dispnea. Il secondo aspetto
importante è che anche le alterazioni dello stato dell’umore del paziente, essenzialmente ansia e
depressione, possono influenzare direttamente la capacità ad eseguire esercizio, il livello di dispnea e lo stato di salute globale. Questo fenomeno è importante perché molti pazienti con
BPCO presentano come conseguenza della cronicità dei sintomi una risposta reattiva di ansia o
depressione.
Figura 2 – Fattori in grado di determinare alterazioni dello stato di salute nei pazienti affetti da BPCO
Perdita di
massa muscolare
Malattia
respiratoria
Dispnea
Limitazione al flusso
Iperinflazione
Alterazioni Va/Q
Limitazione
all’esercizio
Alterazioni
dell’umore
Fatica
Alterazione
dello stato di salute
Tosse
Riacutizzazioni
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
16. Qualità di vita. Misurazione dello stato di salute respiratoria e comorbidità - M. Carone
È chiaro, dalla precedente, che una stima globale della salute del paziente non può essere dedotta da altre misure. Una adeguata valutazione della qualità di vita può essere ottenuta solo dal
paziente stesso, attraverso l’utilizzo di questionari validi e affidabili (1). Gli strumenti sviluppati negli
ultimi 30 anni per quantificare l’impatto della malattia sulla vita quotidiana e sullo stato di benessere consistono essenzialmente in una serie di domande o affermazioni (items) che vengono autosomministrate da parte del paziente stesso oppure raccolte da un intervistatore direttamente o
per via telefonica. Le risposte possono essere dicotomiche (es. il paziente sceglie fra vero e falso), oppure prevedono più risposte (generalmente 3-5 intervalli, per es. moltissimo, molto, indifferente, poco, pochissimo) in scale dette tipo Likert. Un’ultima possibilità è che la risposta venga
espressa su scala analogico-visiva (VAS) (per es. una linea di 10 cm che alle estremità presenta
due valori pari all’intensità minima ed a quella massima).
Il modo più semplice per valutare lo stato di salute dei pazienti è quello di porre al paziente una
singola ed unica domanda globale, del tipo Come valuta la propria qualità di vita? Tuttavia questo tipo di questionario, detto “olistico”, non valuta in modo appropriato lo stato di salute, poiché
sottostima l’impatto della malattia polmonare sulla percezione di salute del paziente. Ciò che accade è un fenomeno di adattamento chiamato “response shift”: i pazienti modificano la loro stima di ciò che è la salute normale perché si abituano ai sintomi causati dalla loro malattia. Questo
fenomeno non si verifica con questionari più complessi che, al contrario, forniscono una stima
globale, affidabile e sensibile della salute.
I questionari più complessi prevedono numerosi items. Le risposte ai singoli items o i pesi dati
ai singoli items vengono sommate permettendo di fornire dei punteggi di QdV che possono essere totali (su tutti gli items) o parziali di alcune sottoscale (es. attività fisica, stato emozionale,
sintomi, ecc.). Sostanzialmente i gruppi di questionari che sono utilizzabili nella valutazione della QdV sono due, quelli generici e quelli specifici per patologia. Un questionario, sia esso generico o specifico per una data patologia, deve possedere alcune proprietà (7,8) per essere definito
standardizzato:
- stesse domande;
- stesso formato;
- stesse istruzioni;
- stessa scelta di risposta;
- stesso sistema di calcolo dei punteggi.
Questionari generici sulla salute
I questionari generici sono state le prime misure della salute utilizzate nelle patologie respiratorie.
Esprimono una misura dei disturbi della salute senza tenere conto delle cause. Questi questionari presentano il vantaggio che la loro riproducibilità e validità è stata verificata in differenti patologie, che lo stesso questionario può essere presentato a ciascun paziente e che la procedura per
il calcolo dei punteggi è sempre la stessa. Tuttavia, essi non sono stati appositamente studiati per
pazienti BPCO o asmatici risultando perciò non adeguatamente sensibili a variazioni clinicamente significative della salute conseguenti al trattamento (tab.1).
Tra questi ricordiamo il Il Sickness Impact Profile (SIP) (9), di cui esiste una versione Italiana (10); la
short form del Medical Outcome Study - MOS o SF-36 (11-14); il Nottingham Health Profile (NHP) (15,16);
la Quality of Well-being scale (QWB) (17); l’Euroqol (18-19).
161
Tabella 1 – Questionari generici di qualità di vita utilizzabili in pazienti affetti da patologie delle vie aeree
Questionario
Items (n)
Componenti (n)
Tempo di completamento/
somministrazione
Sickness Impact Profile
(SIP)
136
12 componenti (interazione sociale;
deambulazione; mobilità; cura del
corpo; sonno e riposo; alimentazione;
lavoro; vita familiare; comunicazione;
tempo libero; emozioni; affetti)
20-30 min/auto-somministrabile
o intervista
Medical Outcome Study,
short form 36 items
(SF36)
36
8 componenti (attività fisica;
limitazione di ruolo dovuta a
problemi fisici; dolore; percezione
di salute generale; vitalità; attività
sociale; limitazione di ruolo dovuta
a stato emotivo; salute mentale)
5-10 min
auto-somministrabile
Quality of Well-being
(QWB)
50
3 componenti (mobilità; attività fisica;
attività sociale)
10-15 min/intervista
Nottingham Health Profile
(NHP)
38
6 componenti (energia; dolore;
mobilità fisica; sonno; isolamento
sociale; reazione emotiva)
5-10 min/auto-somministrabile
Euroqol
(5D)
5
mobilità, self-care, attività usuali,
dolore/disagio, ansia/depressione
5-10 min
Questionari specifici per patologia
162
I questionari generici sono utilizzabili in più patologie. Questo però riduce il numero di item che
sono adeguati per una singola patologia, aumentando di conseguenza il numero di quelli non
adeguati o non completamente pertinenti con quella patologia stessa. Per tale motivo i questionari generici possono risultare poco sensibili a variazioni di QdV nelle malattie respiratorie. Per poter misurare adeguatamente differenze in QdV tra gruppi di pazienti o per valutare correttamente
le variazioni determinate da trattamenti farmacologici o da cicli di riabilitazione respiratoria sono
state sviluppate misure di stato di salute specifiche per i pazienti BPCO.
Il primo questionario sviluppato specificatamente per la BPCO è stato il Chronic Respiratory Questionnaire (CRQ) (20). Il CRQ misura la funzione fisica e quella emotiva suddivise in quattro dimensioni: Dispnea,
Fatica, Funzione emotiva, Mastery o senso di controllo sulla malattia. Il questionario necessita di circa 20
minuti per essere completato. I pazienti rispondono a ciascun item tramite una scala tipo Likert a sette
punti dove il punteggio più alto indica un miglior stato di salute.
Il CRQ ha mostrato di essere affidabile, cioè di saper differenziare tra differenti livelli di salute in differenti pazienti, e di essere sensibile alle variazioni della salute correlate alla terapia (21).
Il St. George’s Respiratory Questionnaire (SGRQ) (5) è attualmente il più diffuso questionario di stato di salute utilizzato nella BPCO. È stato creato con lo scopo di avere una misura sensibile da utilizzare nelle patologie respiratorie, sia asma sia BPCO. Il SGRQ è composto da 50 items (con 72
possibili risposte pesate) suddivisi in 3 sezioni: Sintomi, ovvero i sintomi clinici; Attività, che riguarda le attività che causano o che sono limitate dalla dispnea; Impatto, una misura delle conseguenze soggettive determinate dalla malattia respiratoria sulla vita quotidiana e sullo stato di benessere. Ciascuna componente ha un punteggio. È inoltre possibile calcolare un punteggio totale:
i punteggi variano da 0% (il miglior livello di salute) a 100% (il peggior livello di salute). Una variazione del punteggio nel tempo di almeno 4 punti è considerata clinicamente significativa (22). Il SGRQ
è auto-somministrabile o somministrabile tramite intervista telefonica e necessita di circa 15 minuti per essere completato. È disponibile in tutta Europa, Italia compresa (23), nel Nord e Sud America,
in alcuni Paesi dell’Est Europeo e del lontano Oriente.
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
16. Qualità di vita. Misurazione dello stato di salute respiratoria e comorbidità - M. Carone
Il Maugeri Foundation Respiratory Failure Questionnaire (MRF-28) (24-26) è composto da 28 items,
ed è specifico per pazienti con insufficienza respiratoria cronica (CRF), Le 28 domande possono
essere raggruppate in tre fattori: Attività quotidiana, associata alle attività che sono limitate dai sintomi; Funzione cognitiva, che si correla agli effetti della compromessa funzione cognitiva sulla vita quotidiana; e Invalidità, che è correlata all’inabilità del paziente a fare sforzi, all’esperienza dell’isolamento sociale o della dipendenza da altri (tab. 2).
Tabella 2 – Questionari di qualità di vita specifici per patologia utilizzabili in pazienti affetti da patologie delle vie aeree.
Questionario
Chronic Respiratory
Questionnaire
(CRQ)
St George’s
Respiratory
Questionnaire
(SGRQ)
Maugeri Foundation
Respiratory Failure
Questionnaire
(MRF28)
Items
(n)
Componenti
(n)
Tempo di completamento/
somministrazione
20
4
(dispnea; funzione emotiva;
mastery o senso di controllo
sulla malattia; fatica)
15-25 min (la prima volta);
10-15 min (le successive)
intervista/solo
per BPCO
50
(76 risposte pesate)
3
(sintomi; attività; impatto)
10-15 min
auto-somministrabile/
sia per asma che
BPCO
28
3
(attività quotidiana;
funzione cognitiva;
invalidità)
5-10 min/
auto-somministrabile/
per BPCO e
cifoscoliosi con
insufficienza
respiratoria cronica
In quale ambito utilizzare i questionari di QdV?
I fattori della malattia che contribuiscono ad uno stato di salute alterato dei pazienti con la BPCO
sono stati estensivamente studiati.
Ridotta tolleranza allo sforzo, intensità dei sintomi giornalieri, ed elevato numero di riacutizzazioni
contribuiscono significativamente al peggioramento dello stato di salute (27). I fattori emozionali
(l’ansia e la depressione) sono altrettanto importanti. Nella valutazione dello stato di salute e dell’impatto dei vari interventi terapeutici è molto importante conoscere la soglia clinicamente significativa o la differenza minima clinicamente significativa. Questi due concetti riflettono il giudizio
dei medici e dei pazienti e hanno più importanza nel campo pratico che quello della variazione
statisticamente significativa (28,29). Gli studi attuali hanno dimostrato che una differenza di 4 unità per
il SGRQ (28) e di 0.5 unità per il CRQ (30) può essere considerata differenza minima significativa dal
punto di vista clinico.
Riabilitazione
La misurazione dello stato di salute globale del paziente, o QdV, sta progressivamente crescendo di interesse tra i medici, in particolare nel campo della riabilitazione. La riabilitazione polmonare rappresenta, infatti, l’ambito appropriato per la misurazione dello stato di salute, giacché queste misure permettono una stima dell’impatto generale del trattamento (31,32). In particolare, in uno
studio su 182 pazienti BPCO in trattamento riabilitativo per 6 settimane (32), al termine il miglioramento dei punteggi del SGRQ era sia statisticamente sia clinicamente significativo (fig. 3). Il dato
interessante è che tale miglioramento si manteneva anche a distanza di un anno dal termine del
programma di riabilitazione.
163
Figura 3 – Efficacia di un ciclo di riabilitazione respiratoria in termini di miglioramento dello Stato di Salute [Modificato da 32]
Dopo 6 settimane
Dopo 1 anno
Variazione del punteggio del SGRQ
0
-1
-2
-3
-5
-6
-7
p<0,01
-8
-9
-10
-11
-12
164
Soglia di significatività clinica
-4
p<0,0001
Trattamento farmacologico
Altro ambito di applicazione dei questionari di QdV è la terapia farmacologica.
Uno dei primi studi condotti sul trattamento della BPCO ha riguardato il salmererolo (33). Lo studio
era effettuato in doppio-cieco, randomizzato, per gruppi paralleli e contro placebo. I pazienti randomizzati ricevevano salmeterolo 50 mcg due volte al giorno, salmeterolo 100 mcg due volte al
giorno o placebo. Nonostante il fatto che non c’erano differenze tra i due trattamenti attivi in termini di utilizzo di broncodilatatori addizionali o di stime medico/paziente sull’efficacia del trattamento, il SGRQ ha dimostrato miglioramenti dello stato di salute solo nei pazienti che avevano ricevuto salmeterolo 50 mcg due volte al giorno. Al contrario, il risultato ottenuto con una dose
maggiore di salmeterolo era simile a quello del placebo, e vi sono prove dai dati dell’SF-36 che
questo era probabilmente imputabile a qualche effetto collaterale del salmeterolo 100 mcg due
volte al giorno, come la stimolazione del sistema nervoso centrale.
Più recentemente è stato valutato l’impatto della terapia con un nuovo anticolinergico a lunga durata di azione, il tiotropio: i risultati hanno dimostrato che dopo un anno di terapia si evidenziava
un miglioramento dei parametri fisiologici (FEV1%), nonché una diminuzione della dispnea, una riduzione del numero delle riacutizzazioni e del tempo fino alla successiva riacutizzazione, nonché
un miglioramento dello stato di salute misurato con il SGRQ (34,35). Il tiotropio si è dimostrato più efficace dell’ipratropio e del salmeterolo nel ridurre la dispnea e migliorare lo stato di salute (36).
Programmi educazionali
Nell’asma bronchiale l’efficacia dei programmi educazionali è ormai definita da parecchi anni. Al contrario, la reale efficacia di tali programmi nella BPCO non è ancora stata indagata completamente,
sebbene, dal punto di vista clinico, anche le più recenti Linee Guida le indicano come un elemento
fondamentale di qualunque strategia terapeutica (37).
Quello che manca è la dimostrazione scientifica che i programmi educazionali nella BPCO siano
in grado di migliorare lo stato di salute dei pazienti.
Allo stato attuale l’unico dato presente in letteratura riguarda un lavoro multicentrico italiano (38) effettuato su circa 1200 pazienti. Questi soggetti sono stati randomizzati ad entrare o meno un programma educazionale ben strutturato. Il dato più interessante risultato al termine dei 6 mesi di osservazione è stato il miglioramento dello stato di salute e la riduzione delle riacutizzazioni bronchiali nel gruppo con programma educazionale (39).
Rapporto sulla Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) 2005
16. Qualità di vita. Misurazione dello stato di salute respiratoria e comorbidità - M. Carone
Come scegliere un questionario di QdV?
Non esiste il questionario ideale. Esiste il questionario più appropriato per lo scopo che ci prefiggiamo. Di conseguenza, bisogna prima conoscere o informarsi sulle caratteristiche degli strumenti
disponibili. Vi sono diverse caratteristiche da prendere in considerazione.
Una volta verificato che lo strumento che ci proponiamo di utilizzare sia stato validato, bisogna
solo accertarsi che la validazione sia stata anche trans-culturale, cioè che il questionario sia stato adattato in modo corretto alla realtà Italiana.
La scelta fra questionari generici e questionari specifici è legata allo scopo della misurazione della QdV. In generale, se si vogliono paragonare patologie differenti fra loro o se lo scopo è di valutare lo stato di salute generale di una popolazione, magari confrontandolo con quello dei soggetti “sani”, allora può essere sufficiente un questionario generico. Al contrario, se lo scopo principale è quello di valutare come lo stato di salute sia alterato da una patologia specifica o se una
particolare terapia o trattamento è in grado di modificare la QdV, allora sarà necessario utilizzare
strumenti specifici.
BPCO e comorbidità
Quello delle comorbidità è un capitolo strettamente legato alla qualità di vita. La BPCO rappresenta infatti un “problema” a lungo termine. Di conseguenza i pazienti possono acquisire altre
condizioni patologiche durante la propria vita. Queste, a loro volta, possono essere esacerbate
dalla BPCO o dai suoi trattamenti, oppure possono a loro volta causare sintomi che peggiorano
la disabilità della BPCO.
Allorquando ad una patologia cronica quale la BPCO si associa un’altra patologia cronica (ad es.
cardiopatia ischemica, diabete, sleep apnea, depressione, artropatie, osteoporosi) l’effetto “invalidante” delle singole malattie si potenzia vicendevolmente.
Ad esempio, la disfunzione ventricolare sinistra è abbastanza comune e può determinare peggioramento della dispnea. Altre patologie cardiache (coronaropatie, ipertensione essenziale) possono coesistere con la BPCO e un ventricolo destro dilatato può interessare la funzione diastolica ventricolare sinistra.
Anche le patologie respiratorie durante il sonno possono rappresentare un aggravamento del
problema, specialmente durante il sonno non-rem. Di conseguenza studi polisonnografici notturni sono indicati in tutti quei pazienti con sospetto di apnee notturne o quando i livelli diurni di ipossiemia non sono in relazione al danno funzionale respiratorio.
Questo è tanto vero se si pensa che anche le Linee Guida GOLD sulla BPCO (35) includono le comorbidità tra i fattori determinanti la gravità della BPCO, insieme a gravità dei sintomi, gravità della riduzione del flusso aereo respiratorio, frequenza e gravità delle riacutizzazioni, presenza di
complicanze della malattia, presenza di insufficienza respiratoria, stato di salute generale e quantità di farmaci richiesti per controllare la malattia. È interessante notare come i due argomenti trattati in questo capitolo (stato di salute - QdV - e comorbidità) vengano entrambi inclusi tra questi
fattori.
Una delle conseguenze della comorbidità è l’aumento della degenza ospedaliera nei pazienti che
presentano più di 3 patologie concomitanti alla BPCO (40).
Tra le varie patologie concomitanti, quelle che aumentano di più la mortalità dei pazienti BPCO
sono l’insufficienza renale cronica e l’ipertrofia o il sovraccarico ventricolare destro (41).
165
Conclusioni
I pazienti affetti da BPCO rappresentano una popolazione di soggetti progressivamente più anziani e compromessi. Negli stadi più avanzati di malattia, infatti, la BPCO si accompagna molto
spesso ad altre patologie che rendono lo stato di salute dei pazienti sempre più compromesso.
È allora importante misurare la QdV dei pazienti BPCO. È però noto che non è possibile predire
lo stato di salute da misurazioni fisiopatologiche quali la spirometria o la capacità di esecuzione
dell’esercizio. Parimenti, al termine di trattamenti farmacologici o di programmi di riabilitazione non
è possibile prevedere il livello di miglioramento della QdV a partire dalle variazioni delle misure fisiologiche. L’effetto delle terapie e della riabilitazione sul benessere e sulla vita quotidiana del paziente rappresenta il risultato soggettivo più importante del trattamento. Perciò, un’adeguata valutazione dello stato di salute può solo essere effettuata direttamente tramite questionari appropriati.
In contesto pratico, lo stato di salute deve rappresentare un test complementare alla spirometria ed
agli altri test fisiologici, in quanto riflette la percezione della malattia di ogni paziente. Ne consegue che
la misura dello stato di salute può diventare una misura di outcome utilizzata di routine per valutare
l’effetto dei vari interventi terapeutici.
166
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