Progetto cofinanziato da
pubblica accoglienza
Rafforzamento delle Capacità istituzionali
nell’erogazione dei servizi per l’integrazione degli immigrati
Fondi FEI - 2012 - Az.7 “Capacity building”
Linee guida per la riorganizzazione
dei servizi in chiave interculturale
Ambito penitenziario
pubblica accoglienza
PRESENTAZIONE
I processi globali delle migrazioni hanno profondamente cambiato
l’aspetto delle società moderne che sono oggi sempre più connotate
dalla coesistenza di una pluralità di culture e di pluralismi sociali, culturali
e politici. Davanti a un pubblico che si va trasformando, i servizi sono
chiamati ad affrontare la sfida di una propria riorganizzazione in chiave
interculturale, per assicurare agli stranieri quell’accesso su un piede di
parità ed in modo non discriminatorio con i cittadini nazionali, che è
elemento essenziale dell’integrazione (sesto dei Principi di Base Comuni
per l’Integrazione dei Paesi Europei) ed è l’essenza stessa della esistenza
dei Servizi Pubblici.
Essi rappresentano, infatti, l’infrastrutturazione sociale che realizza sul
territorio la rete di sostegno e di risposta ai bisogni, dai più elementari
a quelli che sostanziano il percorso di cittadinanza, fondamentale
soprattutto per le fasce deboli e marginali della popolazione, sia essa
autoctona o immigrata.
E’ proprio a partire da questa consapevolezza che Cidis Onlus,
il Comune di Cassano all’Ionio e la Provincia di Cosenza, hanno
dato vita al progetto FEI Pubblica Accoglienza, un intervento teso a
migliorare i livelli di gestione ed erogazione dei Servizi Pubblici rivolti
alla popolazione immigrata della Regione Calabria nei delicati settori
penitenziario e sanitario. Questo piccolo opuscolo è il risultato del
lavoro comune di collaborazione e confronto tra operatori penitenziari,
mediatori culturali, immigrati ed esperti interculturali del Privato
Sociale, promosso nell’ambito del progetto tra agosto 2013 e giugno
2014. Esso raccoglie sotto forma di Linee Guida i suggerimenti emersi
per delineare, anche in ambito penitenziario, le caratteristiche di Servizi
attenti alle differenze e non discriminatori e si rivolge a tutti coloro i
quali operano, seppure in territori e con funzioni diverse, negli Istituti
Penitenziari, Istituti di Reclusione, Uffici Penali di Esecuzione Esterna e
quotidianamente affrontano le molteplici sfide per implementare Servizi
dignitosi e rispettosi dei diritti, consapevoli che questo è l’unico modo
per costruire davvero giustizia e coesione sociale nella società italiana.
CIDIS ONLUS
1. INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si è assistito ad una continua crescita delle immigrazioni
sul territorio del nostro Paese e, contemporaneamente, all'aumento
delle presenze di detenuti stranieri all'interno degli Istituti Penitenziari.
Questo fenomeno, soprattutto nel corso dell'ultimo decennio, ha
portato le istituzioni deputate e, in particolare, il Dipartimento
dell'Amministrazione Penitenziaria ad una importante presa d'atto,
rafforzando la consapevolezza che la presenza degli stranieri all'interno
degli Istituti Penitenziari è un dato oggettivo di carattere durevole. Di
conseguenza ha avuto inizio l'elaborazione di una strategia e di una
programmazione a lungo termine che ha comportato una revisione
dell'attenzione rivolta a questa fascia di popolazione detenuta che, come
per la società libera, è sicuramente svantaggiata.
Ed è in questo contesto che nasce la collaborazione tra l'Ufficio della
Formazione del Provveditorato Regionale dell'Amministrazione
Penitenziaria e Cidis Onlus che ha permesso di elaborare una importante
azione formativa rivolta al personale che opera all'interno degli Istituti
Penitenziari della regione e, nello stesso tempo, sperimentare un modello
di mediazione culturale.
Fin dal primo approccio con gli operatori di Cidis Onlus si è potuto
constare la grande professionalità e l'impegno. Due aspetti o, ancor
meglio, due pregi che si sono confermati nel tempo apprezzando la loro
idea e il loro pensiero che è anche il nostro, di come la storia di un essere
umano non possa essere ridotta alle "azioni compiute e non compiute",
ma come sia necessario sforzarsi per poter riconoscere l'altro come uomo,
nella sua fragilità, nella sua vulnerabilità, cercando di lasciare "fuori dalla
mente" ogni pregiudizio.
​Agli operatori di Cidis Onlus, ai mediatori culturali, ai direttori degli
istituti Penitenziari e degli Uffici di esecuzione penale esterna della
regione, ai funzionari giuridico-pedagogici, ai funzionari di servizio
sociale, ai funzionari ed al personale della polizia penitenziaria va
il nostro ringraziamento nella consapevolezza che, in un momento
oggettivamente difficile per il nostro Paese, solo una fattiva attività
sinergica e un'azione congiunta rivolta ad un obiettivo comune
conducono a risultati ottimali.
Dir. Ufficio Organizzazione, Relazioni del Personale e della Formazione P.R.A.P
Dott. Rosario Tortorella
Resp. Settore Formazione P.R.A.P
Dott. Calogero Busuito
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pubblica accoglienza
1.1. Il progetto
Le linee guida nascono dall’esperienza acquisita con il progetto Pubblica
Accoglienza realizzato da un partenariato composto da Comune di
Cassano All’Ionio, Provincia di Cosenza e Cidis Onlus, grazie al cofinanziamento del Ministero dell’Interno (Fondi FEI - 2012 - Az.7
“Capacity building”).
Pubblica Accoglienza ha agito in un contesto regionale del tutto
particolare, la Calabria: una terra in cui l’incontro tra culture e identità
diverse è inevitabile e dove l’immigrazione assume i volti dei braccianti,
dei rifugiati giunti dal mare, degli stranieri che vivono nelle città. Dal
proprio canto, la regione vive lo sforzo di ripensare le proprie politiche
di accoglienza. E’ dunque inevitabile che, nel confrontarsi con una realtà
complessa e in continua evoluzione, si incontrino difficoltà, ci siano
momenti di rallentamento, si avvertano maggiormente le carenze in
termini di coordinamento e collaborazione.
Il progetto ha agito su diversi piani, attraverso un’azione sistemica,
scegliendo due ambiti strategici di intervento: i settori socio-sanitario e
penitenziario.
L’intervento è stato articolato in una pluralità di azioni, in maniera da
rispondere ai differenti bisogni emergenti: percorsi di aggiornamento
per operatori pubblici, servizi di mediazione culturale, tavoli pubblici
di dibattito e confronto, spazi virtuali di aggiornamento e scambio di
informazioni, servizi innovativi di consulenza e supporto informativo/
normativo. Questo approccio ha rappresentato una modalità innovativa
per l’ambito regionale, offrendo così l’occasione di sperimentare,
condividere e valutare tecniche di comunicazione interculturale e nuove
modalità di accoglienza. Soprattutto, il progetto ha consentito di rilevare
i bisogni nel loro formarsi, attraverso un confronto continuativo con gli
operatori dei servizi.
In ambito penitenziario sono stati promossi, in collaborazione con il PRAP
regionale tre percorsi di aggiornamento negli istituti “Sergio Cosmai” di
Cosenza, “Nuovo complesso penitenziario di Vibo Valentia e “Giuseppe
Panzera” di Reggio Calabria che hanno permesso di riunire e incontrare
oltre un centinaio tra assistenti sociali, funzionari della professionalità
giuridico-pedagogica, agenti di polizia penitenziaria, assistenti carcerari,
operatori sanitari, mediatori culturali, rappresentanti delle comunità
di immigrati e del privato sociale della Calabria. E’ assieme ad essi che
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sono stati costruiti e realizzati i percorsi di collaborazione, che hanno
consentito uno scambio di know how e la condivisione di esperienze
professionali, diffondendo le conoscenze e le competenze e accrescendo
l’operatività e l’efficienza dei servizi.
Pubblica Accoglienza ha inoltre messo a disposizione un innovativo
servizio di consulenza e supporto: l’InfoPoint operativo tre giorni alla
settimana. Esperti hanno risposto a dubbi su questioni normative/
legislative in materia di immigrazione e hanno fornito consulenza su
come prevenire fraintendimenti e conflitti e favorire la corretta gestione
del rapporto con lo straniero. Gli operatori pubblici che ne hanno
avuto necessità, hanno potuto prenotare interventi di mediazione per la
facilitazione linguistica e culturale presso il proprio servizio, potenziando
così le dinamiche dell’accoglienza.
E’ stata poi attivata, sul sito della Provincia di Cosenza, una Piattaforma
virtuale che ha reso fruibili contenuti multimediali di aggiornamento,
un archivio legislativo e la possibilità di scaricare strumenti di supporto
all’aggiornamento professionale.
Sono stati anche promossi e realizzati tre Tavoli pubblici, incontri
organizzati per favorire il confronto tra stakeholders locali nei rispettivi
settori di intervento, per promuovere la condivisione di esperienze nel
settore delle politiche di inclusione della popolazione immigrata.
Pubblica Accoglienza ha quindi rappresentato uno spazio di incontro,
un punto di mediazione, un’occasione per mettere in moto un processo
di miglioramento continuo su più livelli: individuale, associativo,
istituzionale per il sostegno a reali politiche pubbliche di accoglienza.
1.2. Il contesto
Secondo i dati del Ministero della Giustizia (31 maggio 2014), in Calabria
ci sono 13 strutture detentive che accolgono 2.619 detenuti, pari al 4,4%
del totale della popolazione internata in Italia. Complessivamente, i
reclusi stranieri ospiti negli Istituti Penitenziari della Calabria sono poco
meno di 300. Non è facile stabilirne sempre la provenienza, poiché i
continui trasferimenti tendono a modificare il quadro complessivo. E’
possibile comunque affermare che tra di essi si trovino consistenti gruppi
di romeni e maghrebini, aree dalle quali appartengono, peraltro, la
maggioranza dei reclusi stranieri presenti in Italia, spia di una situazione
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di emarginazione e discriminazione che colpisce soprattutto determinati
gruppi etnici.
L’indice di affollamento è del 100%, vale a dire che è stata raggiunta la
capienza massima regolamentare. In questo contesto di affollamento, la
situazione dei detenuti immigrati, almeno secondo le statistiche, appare
persino migliore rispetto alle altre regioni italiane. In Calabria, infatti, i
non-italiani sono pari all’11,1% del totale della popolazione ristretta, si
tratta della quota più bassa tra le regioni italiane, che vedono in cima
alla graduatoria Trentino, Valle d’Aosta e Liguria dove i non italiani sono
oltre la metà dei reclusi. La Calabria guida invece la graduatoria per
il numero dei detenuti in attesa di primo giudizio, che sono il 28,3%
degli internati, contro una media nazionale del 15,4%. Si tratta di un
dato che influisce sull’elevata mobilità dei detenuti, spesso costretti a
cambiare Istituto Penitenziario con il procedere del processo. Non si
notano, invece, particolari differenze di trattamento tra italiani e stranieri
che, rispetto al totale di coloro che sono in attesa di primo giudizio,
mantengono l’incidenza media (11% circa).
Gli Istituti Penitenziari, per definizione, sono luoghi chiusi sottoposti a
regole rigide. Sia chi lavora all’interno delle carceri, sia chi vi è detenuto,
vive una condizione di reclusione e di estremo isolamento. All’esterno,
degli Istituti Penitenziari sono percepite come “ultima spiaggia” per
persone che devono essere recluse per non turbare il normale svolgimento
della vita sociale e per scontare la pena per comportamenti devianti.
Sulle carceri, pertanto, si investe pochissimo. Ogni provvedimento
legislativo in materia di detenzione è, quasi sempre, oggetto di aspre
critiche da parte dell'opinione pubblica. Spesso si invocano trattamenti
duri contro i detenuti e il sistema giudiziario è accusato di essere troppo
condiscendente con chi commette un reato.
Gli agenti di polizia penitenziaria, gli assistenti sociali e gli educatori sono
anche essi immersi in questo clima. Il loro lavoro, pertanto, diviene fonte
di frustrazione perché è incompreso all'esterno delle mura carcerarie.
L'obiettivo di recuperare alla socialità i condannati, così, diviene sempre
più lontano e se non ci fossero la drammaticità delle storie individuali,
gli Istituti Penitenziari rischierebbero di trasformarsi completamente in
luoghi disumani.
Il sistema penitenziario italiano, non a caso, vanta alcuni tristi primati tra
cui il numero di suicidi, tanto tra gli ospiti quanto tra gli agenti di polizia
penitenziaria. L’Italia spicca inoltre per l’elevato tasso di carcerazione
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(inferiore comunque a Spagna, Grecia e Regno Unito), il bassissimo
ricorso alle pene alternative e ai cosiddetti percorsi di probation, e il
sovraffollamento delle carceri.
Altro aspetto peculiare è che spesso la carcerazione trasforma il detenuto
nel reato, nel senso che i diversi padiglioni e i gruppi che si formano
raccolgono soggetti con il medesimo profilo delinquenziale e, non di
rado, della medesima origine etnica. Si creano così i padiglioni che
ospitano coloro che hanno commesso reati contro il patrimonio e quelli
riservati a coloro che hanno commesso reati contro la persona, celle che
ospitano detenuti maghrebini e celle che accolgono solo rom. Il rischio
è che all'interno della struttura penitenziaria si determinino conflitti e
contrapposizioni tra gruppi di detenuti.
Proprio la condizione dei detenuti migranti mette in evidenza alcune
problematiche che rendono particolarmente penosa la situazione di chi
è carcerato. La prima abnormità è che determinati reati, come quello
di immigrazione clandestina, possono essere compiuti esclusivamente
da non-italiani. E’ una fattispecie del tutto straordinaria per il sistema
giudiziario italiano, fondato invece sui criteri della responsabilità
oggettiva individuale e sull’atto commissivo (avere commesso un’azione
antisociale) per la formulazione del giudizio di colpevolezza.
Molti immigrati detenuti, inoltre, sono in attesa di giudizio. Tuttavia, la
scarsa conoscenza della lingua e delle norme allungano notevolmente i
tempi del giudizio. Spesso, i migranti hanno solo una vaga conoscenza
dei sistemi penitenziari dei paesi di origine, circostanza che aggrava la
condizione di angoscia e prostrazione in cui cadono durante i primi mesi
di detenzione.
Avviene così che si finisca in prigione senza avere consapevolezza né
di cosa si è accusati, né di quanto tempo durerà la detenzione. Questa
condizione ha una pesante ricaduta psicologica sul detenuto straniero,
poiché l’isolamento e l’incertezza sono totali anche in ragione dell’assenza
di contatti con parenti e visitatori che, provenendo dall’esterno, lo
possano tenere informato di quanto accade. Di fatto, anche nei casi
in cui la rete etnica solidaristica è abbastanza strutturata, il passaggio
alla condizione di detenzione comporta l’abbandono da parte della
comunità immigrata, che sceglie di separare il proprio destino da quello
di chi è in prigione.
In sintesi, il migrante che entra nella struttura penitenziaria si trova
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pubblica accoglienza
privo del sostegno delle reti familiari e/o etniche; privo di conoscenze
linguistiche che gli consentano di comunicare con il sistema penitenziario
e esprimere i suoi bisogni e le sue richieste; inconsapevole dei diritti e dei
doveri che scaturiscono dalla condizione detentiva.
Nel caso della Calabria, i mesi di collaborazione con educatori e agenti
di polizia penitenziaria, hanno consentito di conoscere in maniera più
approfondita le problematiche. Tra tutte, oltre all’affollamento e al
degrado che colpiscono alcune strutture, è da segnalare il frequente e
improvviso spostamento dei detenuti da una struttura all’altra.
Anche sugli Istituti Penitenziari della Calabria, secondo quanto riferito
dagli operatori, grava lo stigma di una condizione arretrata e quasi
abbandonata a se stessa. Si lamentano l'assenza di assistenti sociali, di
iniziative e percorsi che favoriscano il reinserimento sociale del detenuto,
l’inadeguatezza delle strutture.
Eppure, gli Istituti Penitenziari possono essere annoverate tra le strutture
di accoglienza che intrattengono un rapporto prolungato e continuativo
con gli ospiti. Per questo richiedono un’organizzazione complessa e il
coinvolgimento attivo dei detenuti, fondamentale per il mantenimento
di un clima sereno all’interno delle celle e degli spazi comuni. Se i
reclusi sono consapevoli delle regole vigenti e comprendono che il loro
rispetto assicura la sicurezza di tutti, allora saranno essi stessi a osservarle
spontaneamente e a vegliare sul comportamento dei compagni.
L'attività di mediazione è una delle strategie di gestione dell'intera
struttura penitenziaria e non è limitata ai soli internati immigrati. Inoltre,
proprio perché strategie e margini di azione sono limitati, diviene
fondamentale sfruttarli per evitare che condizioni detentive degenerino
fino a trasformare gli Istituti Penitenziari in enclave di anomia e
anonimato.
2. LINEE GUIDA PER SERVIZI PENITENZIARI “INTERCULTURALI”
E' a partire da questo contesto così complesso che sono state elaborate
delle semplici Linee Guida, che suggeriscono sei tipologie di azione:
a) monitorare i bisogni
b) accoglienza e accompagnamento
c) mediazione culturale
d) fare rete
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e) motivare e aggiornare il personale
f) tutelare i diritti di chi vive nei penitenziari.
2.1. Monitorare i bisogni
Di certo all’interno delle strutture detentive e dei servizi pubblici
in generale le azioni di monitoraggio non mancano. Spesso, però,
sono effettuate in base a sollecitazioni provenienti da organi e uffici
gerarchicamente sovraordinati che perseguono obiettivi, in tutto o in
parte, diversi da quelli del Istituto Penitenziario.
Conoscere chi sono gli ospiti, quali lingue parlano, che religione praticano,
da dove vengono, se abbiano o meno conoscenza di altre parti dell’Italia
e, ancora, quali atteggiamenti e comportamenti manifestino durante la
detenzione, è importante per progettare interventi efficaci, prevenire
atti di autolesionismo, interpretare e rispondere ai bisogni di ciascuno.
Può inoltre essere utilissimo individuare chi soffre di determinate
patologie o accertare rapidamente se il migrante detenuto sia iscritto al
Servizio Sanitario Nazionale e/o sia titolare di permesso di soggiorno.
I dati devono essere raccolti e organizzati sinteticamente in modo
che, nel rispetto della privacy, possano essere consultati e utilizzati per
programmare le attività interne.
E’ bene poi considerare che anche gli ospiti possano svolgere incarichi
che contribuiscano alla serenità della vita comune. Per questo, raccogliere
informazioni sul titolo di studio, sui lavori svolti e persino sugli hobby può
essere prezioso. Sebbene in un primo momento possa suscitare diffidenza
la richiesta di informazioni dettagliate, si tratta comunque di un gesto di
interessamento. Per chi è detenuto, il tempo trascorso nella raccolta di
dati e informazioni è l’occasione per raccontare una storia diversa di se
stessi, non legata agli sbagli compiuti, ma agli studi, al lavoro, alle proprie
passioni. E’ l’occasione per ricostruire un’immagine positiva.
2.2.Accoglienza e accompagnamento
Lo straniero che entra nella struttura detentiva ha un’idea della
carcerazione superficiale e elaborata sulla conoscenza, più o meno
approssimativa, del sistema penitenziario del paese di origine. E' bene
ricordare che, in diversi paesi del mondo, è prevista la pena capitale
o la detenzione lunga, persino illimitata, se al termine del periodo di
detenzione non si liquidano le sanzioni amministrative accompagnatorie.
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pubblica accoglienza
E' il caso, ad esempio, dei sistemi penitenziari di gran parte dell'Africa
nera, ma anche di diversi paesi orientali.
E’ fondamentale, dunque, che fin dall’ingresso, al detenuto vengano
illustrate quali regole disciplinano la vita all’interno del Istituto
Penitenziario, quali sono le persone a cui rivolgersi per le diverse
necessità, quali siano i comportamenti da tenere e come si svolgerà la
vita nei giorni immediatamente futuri, possibilmente illustrando gli orari
delle diverse attività e i giorni in cui è possibile recarsi al parlatorio,
incontrare gli assistenti sociali ecc. Quest'ultimo aspetto, quello della
scansione del tempo, è particolarmente importante per evitare che il
detenuto perda rapidamente la cognizione del tempo che passa.
E’ dunque opportuno produrre opuscoli in più lingue che spieghino
il funzionamento e le regole della struttura penitenziaria; utilizzare
un'apposita cartellonistica per indicare i luoghi e gli orari in cui si svolgono
le attività; far intervenire un mediatore linguistico/culturale al momento
della fase di ingresso del detenuto immigrato nella struttura detentiva;
dedicare tempo a parlare con il detenuto, nella consapevolezza che la
paura e l’incertezza possono suscitare atteggiamenti aggressivi o depressi.
Si tratta di produrre materiali con una certa attenzione all’uso delle
lingue, dei colori, dei disegni. Una rappresentazione che, in una cultura,
suscita immediatamente l’associazione con un luogo, un oggetto, un
comportamento, può non avere lo stesso effetto per chi proviene da
culture altre. Anche le traduzioni di frasi e parole non devono essere
approssimative, lì dove diversi sono stati i casi riscontrati di errori di
traduzione. E’ bene dunque ricordare che, l’accuratezza del linguaggio,
ha un doppio significato: quello del rispetto, ma anche quello della
conoscenza dell’altro e dell’attenzione alle pulsioni e ai comportamenti.
Anche nei casi in cui, per motivi di sicurezza e di organizzazione interna,
non siano previsti degli orari fissi, ad esempio per godere dell'ora d'aria,
è comunque opportuno delineare per grandi linee il programma della
settimana. Oltre a dare la dimensione temporale a chi vive all'interno
della struttura detentiva, un programma settimanale della vita ordinaria
consente di individuare i momenti critici e le finestre temporali più
opportune per l'inserimento di altre attività.
Per quanto attiene l'accompagnamento degli internati da parte degli
operatori degli Istituti Penitenziari, è importante che tutti si presentino
nella maniera più professionale possibile, che ricorrano all'italiano
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standard, casomai facendo attenzione a non esagerare con i sinonimi e
a non adoperare circonlocuzioni e una fraseologia troppo complessa. La
formalità, infatti, semplifica la comunicazione e consente di identificare
gli interlocutori come figure responsabili, informate e attente.
2.3.Mediazione culturale
In Italia il tema della mediazione culturale è stato affrontato con grande
ritardo rispetto agli altri paesi europei. Il rapido modificarsi del panorama
migratorio internazionale e europeo ha condotto ad una riflessione più
accurata. La mediazione culturale è stata distinta da quella linguistica e la
terminologia è stata modificata e adoperata con maggiore cautela.
La mediazione culturale (o interculturale), che nata in Messico è stata
ripresa e rielaborata in Francia e Regno Unito si fonda sul principio che
il processo di integrazione è bidirezionale, coinvolgendo tanto la società
di accoglienza, quanto l’immigrato.
Nel caso della società di accoglienza, si tratta di un cambiamento di
attitudini e comportamenti che investe sia la dimensione della vita
individuale, sia la dimensione della vita sociale e organizzata.
La mediazione culturale è, infatti, tipica di uno stato democratico e di un
contesto globale, nel quale c’è bisogno di trovare, giorno dopo giorno,
soluzioni a problematiche nuove, nella salvaguardia delle identità
individuali. Anche in ambito comunitario, il concetto di “mediazione
interculturale” sembra avere trovato una sua definizione nei Common
Basic Principles on Integration dove si precisa che “l’integrazione è un
processo dinamico bidirezionale di reciproco adattamento da parte di
tutti gli immigrati e dei residenti degli Stati membri”.
La mediazione culturale, dunque, è l’agire strategico che mette in rete
servizi e destinatari, in un processo di scambio e di confronto che consente
di individuare e interpretare i bisogni e formulare risposte adeguate
all’identità e all’individualità di ciascuno, con un migliore utilizzo delle
risorse già esistenti. In questa prospettiva, il mediatore culturale è una
figura di supporto che, per quanto importante e definita da competenze
e compiti, non può esistere svincolata da un sistema di servizi. Le sue
competenze linguistiche sono solo un aspetto, nemmeno tra i più
importanti, della sua azione. Occorre, infatti, considerare che in Italia i
paesi rappresentati sono circa 190 e ancora di più sono le lingue parlate.
Non ha senso cercare di intervenire con azioni di interpretariato o con la
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pubblica accoglienza
traduzione dei documenti in tutte le lingue. D’altronde, in determinate
situazioni in cui il disagio psicologico è marcato e la terminologia è
specialistica (come la detenzione) l’uso di una lingua terza risulta poco
efficace. Per questo, il mediatore più che un traduttore è un comunicatore.
E’ capace di mettersi nei panni del migrante ma conosce bene il paese
di accoglienza. Comprende le difficoltà di approccio culturale e trova i
canali e le forme per una comunicazione efficace. Il mediatore culturale
è, dunque, fondamentale nel suggerire le strategie migliori per affrontare
una o più fasi della presa in carico dell’internato straniero. In questo
senso, non è detto che debba necessariamente lavorare a contatto
con i migranti, ma svolge un ruolo prezioso nel migliorare la qualità e
l’efficienza dei servizi prestati.
Il mediatore non può nemmeno essere un esperto della normativa in
materia di immigrazione, sebbene ne debba conoscere i principi generali
e debba tenersi aggiornato sulle modifiche. Sarebbe illusorio pensare che
si possa essere esperti di tutta la legislazione sociale in una situazione
come quella italiana.
Mediatore e mediazione non sono la medesima cosa. La mediazione
implica un’azione consapevole e il coinvolgimento dei vari livelli
del sistema dei servizi nell’assumere coscientemente una strategia di
intervento capace di abbassare la soglia di accesso ai servizi e garantire
pari condizioni di accesso ai medesimi. Il mediatore è una risorsa preziosa
per implementare tale strategia. Nelle strutture penitenziarie, il compito
del mediatore diviene essenziale nella fase si accoglienza, quando è
necessario intervenire per facilitare l’adattamento del detenuto alla
nuova situazione, ma anche in quella di accompagnamento, quando è
importante monitorare i comportamenti, informare progressivamente il
recluso sull’iter processuale, orientarlo verso attività che possano rendere
meno penosa la detenzione.
2.4.Fare rete
Le risorse riservate alle strutture penitenziarie, purtroppo, sono spesso
insufficienti. E’ importante, dunque, fare rete con le altre strutture
territoriali di servizio, eventualmente sottoscrivendo dei protocolli
di intesa, e con le associazioni di volontariato e del terzo settore. Le
esperienze in Italia non sono numerose, ma alcune hanno riscosso
importanti successi. L’inerzia, infatti, determina uno stato di prostrazione
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e di sfiducia e rende insopportabile la condizione detentiva. La possibilità
di lavorare, viceversa, offre una prospettiva di miglioramento e la
possibilità di organizzare diversamente le giornate.
Soprattutto tra i condannati in via definitiva si registra una diminuzione
dell’autostima che può minare ogni desiderio di riscatto e di ripresa della
vita sociale. E’ invece decisivo offrire occasioni per dimostrare a ciascun
detenuto che si è in grado di fare qualcosa di diverso e di socialmente
apprezzato.
I progetti esistenti in Italia sono diversissimi tra di loro. Alcuni si basano
sulla cucina. Nel carcere minorile di Nisida, ad esempio, i giovani
detenuti preparano i pasti che poi saranno distribuiti dai volontari della
Comunità di Sant’Egidio ai senza fissa dimora della città. A Volterra, nel
carcere di massima sicurezza, è stato creato un vero e proprio ristorante
che organizza serate di gala.
Altrove, però, sono stati realizzati laboratori di falegnameria o di sartoria,
spettacoli teatrali, piccole fabbriche per la tostatura e l’impacchettamento
di caffè. Anche nel “fare rete” la figura del mediatore culturale può essere
preziosa per individuare associazioni con le quali stringere accordi e
promuovere le iniziative tra i detenuti, indirizzando in particolare coloro
che sembrano accusare maggiori sintomi di isolamento e frustrazione.
In ogni caso, è importante notare che dove è stato possibile, ad esempio,
avviare dei percorsi di scolarizzazione, si registrano un basso numero di
suicidi e di atti di autolesionismo.
Fare rete, inoltre, consente di proporre alla comunità territoriale
un’immagine diversa del Istituto Penitenziario e di rendere gratificante il
lavoro degli operatori e meno penosa l’esperienza degli ospiti.
2.5.Motivare e aggiornare il personale
Il personale è la risorsa principale di tutte le strutture che si confrontano
quotidianamente con un’utenza. Da questo punto di vista, le strutture
penitenziarie non fanno eccezione. Anzi, è possibile affermare che
proprio negli Istituti Penitenziari ci sia una maggiore necessità di momenti
di aggiornamento e di confronto per evitare di interpretare i momenti di
difficoltà come fallimenti personali.
L’aggiornamento può rappresentare esso stesso una forma di motivazione,
a patto che non sia ridotto alla sterile comunicazione dell’ultima normativa
o dell’ultimo provvedimento ministeriale. Ogni operatore si scontra con
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pubblica accoglienza
una realtà complessa, nella quale si intersecano più piani: comunicativo,
antropologico, psicologico, normativo, esistenziale. E’ essenziale che
tutti i diversi aspetti abbiano la loro dignità. D’altro canto, gli stessi testi
normativi, soprattutto le leggi di rango più elevato, scaturiscono da
una riflessione complessiva sulla condizione umana. E’ importante che i
momenti di aggiornamento rappresentino anche occasioni per ridefinire
i confini della deontologia professionale. Ogni professione, infatti, non
resta mai identica a se stessa ma, con il trascorrere degli anni, si modifica.
Oggi, nelle carceri, oltre a tanti migranti si trovano anche moltissimi
soggetti marginalizzati e vittime di esclusione sociale. In questo senso,
gli Istituti Penitenziari, anche attraverso un’adeguata valorizzazione e
formazione del personale, possono recuperare il senso della propria
mission.
2.6.Tutelare i diritti di chi vive nei penitenziari
La tutela dei diritti degli internati e dei condannati è una questione che,
in Italia, si scontra con un’insufficienza cronica di risorse che origina
condizioni di sovraffollamento e di vita tali che la Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per tortura (sentenza Torreggiani
dell’8 gennaio 2013)1.
Evidentemente, nel caso dei migranti, la tutela dei diritti passa attraverso
una diffusa consapevolezza, da parte degli operatori, di quali siano
tali diritti e quali siano i percorsi di accesso ai medesimi. Nel caso dei
servizi sociali, spesso le strutture erogano prestazioni in maniera del
tutto disarticolata rispetto al beneficiario. Negli Istituti Penitenziari, ma
l’esempio vale anche, per le strutture sanitarie, il recluso perde lo status
di uomo, donna, padre, madre, lavoratore per acquisire esclusivamente
quello determinato dal reato e dalla condanna. Tuttavia, le normative
prevedono a buona ragione interventi individualizzati e consentono, in
base alla condizione sociale e economica di ciascun internato, di godere
di benefici differenti.
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Tra i ricorrenti, oltre a Fermo Mino Torreggiani, compaiono anche due cittadini
marocchini, un albanese e un ivoriano. La Corte ha condannato l’Italia per avere infranto l’art.
3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che
recita “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
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3. PICCOLA BUSSOLA NELL’OCEANO NORMATIVO
Negli Istituti Penitenziari spesso ci si dimentica che i migranti devono
essere iscritti al Servizio Sanitario Nazionale o che hanno la possibilità, 60
giorni prima o dopo della scadenza, di produrre istanza per il rinnovo del
permesso di soggiorno. Il rischio, insomma, è che si ripeta stancamente
sempre la stessa routine, senza distinguere tra condizioni e storie personali.
Tra i diritti tutelati rientra anche la libertà religiosa, ribadita dalla L.
633/1986 e dal DPR 230 del 30 giugno 2000. In molti casi, questa
dimensione all’interno delle strutture detentive è sottovalutata, anche
perché si teme che la pratica cultuale possa istigare atti violenti. E’ il caso
soprattutto dei fedeli islamici, fatti oggetto di una campagna mediatica di
disinformazione. Così, quando tutto va bene, ci si limita a rispettare che
le tabelle vittuarie tengano conto, nella misura del possibile, di quanto
previsto dalle prescrizioni delle singole religioni.
E’ invece opportuno condurre una riflessione un po’ più approfondita
sull’importanza della pratica religiosa nelle carceri che, si ricorda, non
può mai essere imposta. Contenuti trasversali in tutte le grandi religioni
sono i concetti di purificazione, redenzione, peccato, pena, perdono.
Nel caso dell’Islam, ad esempio, il ramadan corrisponde ad un periodo
di digiuno e purificazione, quello in cui, insomma, si chiede il perdono
dei peccati commessi e la festa conclusiva (la principale festività islamica)
è quello in cui i fedeli ricevono il perdono. Ricevere il perdono è la
condizione indispensabile per poter intraprendere un percorso diverso,
per ricominciare a vivere rettamente. E’ dunque evidente come
consentire di celebrare il ramadan significhi offrire ai credenti dell’Islam
la possibilità di riacquistare un equilibrio psicologico, di rielaborare il
male compiuto e scegliere di cambiare comportamento.
Anche il caso del Natale è significativo. Nato come festa pagana, il
Natale è festeggiato in ogni parte del mondo, indipendentemente dalla
religione professata, come momento nel quale si compie il bene (è il
cosiddetto “spirito natalizio”).
Proprio nelle case circondariali, la cura di questi aspetti psicologici è
fondamentale per restituire ad ogni recluso una prospettiva differente,
di accettazione e non di esclusione sociale.
Per aiutare il compito degli operatori dei penitenziari, viene qui offerta
una sintetica tabella su alcuni aspetti normativi che è bene conoscere e
mettere in pratica.
17
Gratuito
Patrocinio
DPR 115/2002 - titolo I;
Convenzione Europea per
la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà
civili fondamentali, art. 6,
comma3 lettera C.
Diritti e dei doveri DPR 30 giugno 230;
dei detenuti e
Decreto del Ministro della
degli internati
Giustizia 5 dicembre 2012
Approvazione della "Carta
dei diritti e dei doveri dei
detenuti e degli internati".
Norma di riferimento
Procedura
La carta contiene: informazioni relative all'ingresso
dalla libertà; diritti esercitabili nella vita quotidiana;
norme relative a istruzione, attività ricreative,
lavoro, compenso e trasferimenti; rapporti con la
società esterna; permessi; liberazione anticipata;
misure alternative alla detenzione; regimi di
detenzione speciali; norme relative a detenute
gestanti, madri puerpere e madri con figli;
dismissione. Per quello che riguarda i detenuti
stranieri, la Carta riconosce loro
• il diritto di chiedere che le autorità consolari
siano o meno informate dell'arresto;
• di ricevere l’estratto delle norme nella propria
lingua;
• di effettuare telefonate e colloqui con l’ausilio di
un interprete;
• di soddisfare le proprie abitudini alimentari e
le loro esigenze di vita religiosa e spirituale.
Hanno inoltre il diritto a chiedere il rinnovo del
permesso di soggiorno entro i termini previsti
dalla legge.
Tre sono le condizioni per essere ammessi al gratuito
patrocinio: Reddito, Tipo di controversia, Ragioni
non manifestatamente infondate. L'ammissione può
essere richiesta per ogni grado e per ogni fase del
processo. La domanda si presenta presso l'ufficio
del Magistrato davanti al quale pende il processo e
quindi: alla cancelleria del GIP se il procedimento è
nella fase delle indagini preliminari; alla cancelleria
del giudice che procede, se il procedimento è
nella fase successiva; alla cancelleria del giudice
che ha emesso il provvedimento impugnato se il
procedimento è davanti alla Corte di Cassazione.
Descrizione sintetica
La Carta è consegnata a ciascun
detenuto al suo ingresso in istituto.
Consente il migliore esercizio dei
suoi diritti ed assicura la maggiore
consapevolezza delle regole
del carcere. La Carta è messa a
disposizione per la consultazione
nella sala colloqui di ogni singolo
istituto ed è messa a disposizione
anche dei familiari dei detenuti sul
sito internet del Ministero della
Giustizia. Deve essere tradotta
nelle lingue degli stranieri.
Il gratuito patrocinio è un istituto
che consiste nel riconoscimento
dell'assistenza legale gratuita,
ovvero a carico dello stato, a chi
non ha i redditi necessari per
potersi permettere un avvocato.
Messaggistica interna del
Ministero dell’Interno n.
2007070314262316984
relativa alle procedure di
presentazione delle istanze
di rinnovo/richiesta del
permesso di soggiorno degli
stranieri ospitati presso
Istituti religiosi o ristretti in
istituti penitenziari.
Testo Unico
sull'Immigrazione
di seguito "TUI" (Decreto
Legislativo 25 luglio 1998,
n. 286)
Rinnovo del
permesso di
soggiorno
Allontanamento
obbligatorio
dall’Italia
Il cittadino straniero è
ALLONTANATO dal territorio
italiano se: non ha i requisiti per
entrare in Italia; non ha i requisiti
per il rinnovo del permesso di
soggiorno; commette reati per
i quali è prevista come misura
alternativa o sostitutiva o
accessoria l’uscita dall’Italia
Se il detenuto straniero è titolare
di permesso di soggiorno, e la sua
intenzione è quella di restare in
Italia al fine pena, 60 giorni prima
della scadenza del proprio titolo di
soggiorno può chiederne il rinnovo.
È possibile richiedere il rinnovo
anche entro i 60 giorni successivi
alla data di scadenza del permesso
di soggiorno (termine ordinatorio e
non perentorio).
I provvedimenti con cui lo Stato italiano dispone
l’allontanamento dal suo territorio dei cittadini di
Paesi non appartenenti all’Unione europea e degli
apolidi che non hanno titolo per soggiornarvi, si
suddividono in due grandi categorie: i respingimenti
e le espulsioni (per le rispettive procedure vedere i
riquadri seguenti).
Le richieste dovranno essere inoltrate corredate
di idonea documentazione attestante lo stato di
detenzione, presso l’ufficio postale più vicino alla
struttura; le domande dovranno essere presentate a
cura di un operatore penitenziario appositamente
individuato dalla struttura.
La questura competente può: a) tenere la pratica in
sospeso fino al fine pena; b) può emettere subito un
decreto di rifiuto. Nel secondo caso si può attivare
il ricorso al T.A.R. competente entro 15 giorni,
chiedendo la sospensione della decisione fino a fine
pena, momento in cui sarà possibile esaminare in
concreto la condizione di pericolosità sociale del
detenuto, anche alla luce della condotta tenuta in
carcere e dei percorsi di reinserimento avviati.
Se oltre il rifiuto del rinnovo del permesso viene
notificata al detenuto un’espulsione amministrativa,
si deve presentare ricorso, entro 10 giorni dalla
notifica del decreto di espulsione, al Giudice di Pace
dello stesso luogo della Questura che ha emesso
l’espulsione.
Le espulsioni sono i provvedimenti,
scritti e motivati, con cui viene disposto
l’allontanamento dal territorio dello
Stato degli stranieri che non hanno, o
hanno perso, il diritto di soggiornarvi.
Tale provvedimento obbliga lo straniero
a lasciare il territorio dello Stato e a non
farvi rientro per un periodo minimo di
3 anni, fino ad un massimo di 5 anni,
salvo periodo maggiore per soggetti
pericolosi. Le espulsioni hanno diverse
TUI, artt. 10 e 19
TUI, artt. 13 e 14
Allontanamento
obbligatorio
dall’Italia Casi di divieto
di respingimento
Allontanamento
obbligatorio
dall’Italia Espulsione
Allontanamento
obbligatorio
dall’Italia Respingimento
I respingimenti possono essere
di due tipi:
a) Respingimento alla frontiera;
b) Respingimento disposto dal
questore.
Nel primo caso, la Polizia di Frontiera
respinge lo straniero che si presenta
ai valichi di frontiera senza avere i
requisiti richiesti per l’ingresso nello
Stato, mentre nel secondo caso lo
straniero pur sottraendosi ai controlli
di frontiera, viene momentaneamente
ammesso per motivi di soccorso.
Il respingimento non si applica nei casi
di richiesta di asilo, di riconoscimento
dello status di rifugiato o di protezione
temporanea per motivi umanitari.
In nessun caso può disporsi il
respingimento verso uno Stato in cui
lo straniero possa essere oggetto di
persecuzione per motivi di razza, sesso,
lingua, cittadinanza, religione, opinioni
politiche, condizioni personali o sociali,
ovvero possa essere rinviato verso altro
Stato in cui non possa essere protetto
dalla persecuzione.
TUI, artt. 10 e 19; D.lgs.vo
30/2007
(per i soli cittadini
comunitari)
L’espulso può rivolgere istanza di rientro al Ministero
dell’Interno ed essere autorizzato a rientrare
prima del termine (art.13 co.13 TUI). Avverso il
provvedimento di espulsione può essere presentato
entro 60 giorni ricorso al Giudice di Pace del luogo
ove ha sede l’Autorità che l’ha disposta.
In questo caso si procede con l'iter ordinario
relativo alle modalità previste dalla legge per la
richiesta dell'asilo politico.
Il respingimento alla frontiera è un provvedimento
scritto, motivato e tradotto (nel caso lo straniero
non comprenda la lingua italiana) adottato
dalla polizia di frontiera. I provvedimenti di
respingimento non comportano il divieto di
reingresso. La legge prevede inoltre che agli stranieri
respinti sia fornita l’assistenza necessaria presso
i valichi di frontiera, senza però alcuna ulteriore
specificazione. Prevede altresì che il respingimento
di persone vulnerabili sia effettuato con modalità
compatibili con le specifiche condizioni personali,
ove siano debitamente accertate.
Manifestazione
della libertà
religiosa e di
pratiche di culto
Allontanamento
obbligatorio
dall’Italia Casi di divieto
di espulsione
Questa legge indica nella professione
della propria religione e nella
pratica dei culti, veri e propri diritti
dei detenuti. L'individuazione del
trattamento rieducativo si avvale della
libertà riconosciuta ai detenuti stranieri
di professare la propria fede religiosa,
di istruirsi in essa e di praticarne il culto
secondo il principio di uguaglianza e di
parità di trattamento.
Legge 26 luglio 1975 n. 354,
art. 26.
(Norme sull'ordinamento
penitenziario e
sull'esecuzione delle misure
privative e limitative della
libertà);
DPR 30 giugno 2000.
di
• La legge prevede dei veri e
propri divieti di espulsione
nei seguenti casi: stranieri che
abbiano presentato domanda di
riconoscimento della protezione
internazionale;
• stranieri che rischiano di essere
perseguitati;
• stranieri minori di età;
• stranieri coniugi o parenti fino
al secondo grado conviventi con
cittadino italiano;
• donne incinta o che abbiano
partorito da meno di sei mesi il
figlio.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri
può inoltre stabilire le misure di
protezione temporanea da adottare,
anche in deroga alle disposizioni del
TUI, per rilevanti esigenze umanitarie
(potere discrezionale del questore).
modalità
Legge 26 luglio 1975 n.
354, art. 26. (Norme
sull'ordinamento
penitenziario e
sull'esecuzione delle misure
privative e limitative
della libertà); DPR 30
giugno 2000.
tipologie, presupposti,
esecuzioni ed effetti.
I detenuti hanno libertà di professare la propria
fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il
culto. A tal fine possono far richiesta alla direzione
dell'istituto di avvalersi di tale diritto. La direzione,
al fine di assicurare ai detenuti e agli internati
che ne facciano richiesta l'istruzione e l'assistenza
spirituale, nonché la celebrazione dei riti delle
confessioni diverse da quella cattolica, si avvale
dei ministri di culto indicati da quelle confessioni
religiose i cui rapporti con lo Stato italiano sono
regolati con legge; si avvale altresì dei ministri di
culto indicati a tal fine dal Ministero dell'interno.
E’ un provvedimento con ampia discrezionalità,
privo di controllo giurisdizionale, salva la
possibilità successiva di presentare ricorso al giudice
amministrativo. A differenza dell’espulsione, non
impedisce un nuovo ingresso regolare nel territorio
dello stato. Dopo la consegna del provvedimento,
si appone un timbro di ingresso, poi barrato con
una croce, ovvero si appone la dicitura “annullato”
sul visto di ingresso.
pubblica accoglienza
4. UN MONDO POSSIBILE?
E’ lecito porsi la domanda se le presenti linee guida siano praticabili
all’interno delle case circondariali e siano conformi ai criteri di legge.
Ebbene, già a partire dalla riforma del sistema penitenziario introdotta
dalla L. 354 del 1975 (quasi 40 anni fa!) prendono avvio tutta una
serie di cambiamenti tesi a incidere profondamente sulla condizione
dei detenuti2. Tutto il titolo I della L. 354 è dedicato al trattamento
penitenziario e l’articolo 1 si apre con un esplicito richiamo agli art. 3 e
27 della Costituzione, cioè ai principi di dignità e umanità.
E’ la lettura del c. 6, però, a dare un’importante indicazione operativa.
Recita, infatti, il comma: “Nei confronti dei condannati e degli internati
deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda anche,
attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli
stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione
in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti”. Si ritrovano, dunque,
nel comma due delle indicazioni delle presenti linee guida: il contatto
con l’esterno (fare rete) e il criterio di individualizzazione (tutelare i
diritti della persona).
Questa impostazione normativa è stata ulteriormente rafforzata dal
DPR 230 del 30 giugno 2000. In particolare, la normativa prevede
“l’accertamento dei bisogni di ciascun soggetto, connessi alle eventuali
carenze fisico-psichiche, affettive, educative e sociali” e l’acquisizione
e la valutazione “di dati giudiziari e penitenziari, clinici, psicologici e
sociali” (art. 27). Insomma, il DPR prevede già un attento monitoraggio
dei bisogni, consigliato anche dalle presenti linee guida e l’articolo 28
è interamente dedicato all’osservazione della personalità mentre il
35, seppure bevemente, indica alcuni diritti dei “detenuti e internati
stranieri”.
Infine, è del 6 giugno 2007 la CM dedicata ai “detenuti provenienti
dalla libertà” che detta le regole di accoglienza e le linee di indirizzo. Si
tratta di un testo normativo di grande rilievo, poiché con estrema sintesi,
indica le azioni da compiere soprattutto con riguardo ai nuovi giunti.
L’intento dichiarato è quello di attenuare gli effetti della carcerazione e
ridurre il rischio suicidario, autolesionistico o eterolesionistico.
2
L. 354 del 26 luglio 1975 recante “Norme sull’ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà”
22
La presenti Linee Guida e l’intero progetto Pubblica Accoglienza sono
in profonda sintonia con le linee di indirizzo ministeriali. Si richiama
innanzitutto la necessità di costituire una équipe multiprofessionale. Tra
le figure esplicitamente richiamate ci sono, oltre agli agenti di polizia
penitenziaria, agli assistenti sociali e agli educatori, medici, infermieri,
psicologi, psichiatri, specialisti del terzo settore e mediatori culturali.
La proposta, esplicita, è quella di case circondariali che si aprono alla
relazione con le strutture del pubblico e del volontariato, attraverso
l’adozione di un nuovo modello organizzativo.
L’attenzione si focalizza soprattutto sulla fase di accoglienza e, per
i nuovi giunti stranieri, è previsto l’intervento dell’educatore e del
mediatore culturale, la formazione degli agenti di polizia penitenziaria,
la produzione e diffusione di materiale informativo tradotto nelle lingue
maggiormente diffuse tra la popolazione detenuta.
Le presenti linee guida, dunque, non rappresentano forse uno strumento
particolarmente innovativo. Intendono però offrire uno spunto di
riflessione a tutti coloro che lavorano all’interno delle case circondariali,
nella convinzione che proprio agli agenti, agli educatori e agli assistenti
sociali spetti il compito di cambiare le condizioni di vita dei detenuti
e educare la società a guardare al sistema penitenziario come ad
un’opportunità e non uno scandalo.
E’ questa la prospettiva in cui ha agito il progetto Pubblica Accoglienza.
Del resto, il quadro delle case circondariali della Calabria contiene ombre
ma anche luci. L’interesse e la disponibilità degli operatori e degli agenti
di polizia penitenziaria ne sono una prova ulteriore.
23
pubblica accoglienza
Ringraziamenti
Le linee guida sono state realizzate da CIDIS Onlus nell’ambito del
Progetto Pubblica Accoglienza e curate da Dario Spagnuolo, Debora La
Rocca, Laura De Rosa e Maurizio Alfano.
Un particolare ringraziamento va alle istituzioni che hanno partecipato
alle attività previste dal progetto,
il Provveditorato Regionale
dell’Amministrazione Penitenziaria della Calabria e gli Istituti Penitenziari
“Rosetta Sisca” di Castrovillari, “Ugo Caridi” di Catanzaro, “Sergio
Cosmai” di Cosenza, Crotone, “Luigi Daga” di Laureana di Borrello,
Locri, “Filippo Salsone” di Palmi, Paola, Reggio Calabria “Arghillà”,
“Giuseppe Panzera” di Reggio Calabria, Rossano, Vibo Valentia e gli
Uffici di Esecuzione Penale Esterna di Catanzaro, Cosenza, e Reggio
Calabria.
Siamo inoltre riconoscenti, in particolare, al Provveditore Regionale
dell’Amministrazione Penitenziaria Dott. Salvatore Acerra, al Direttore
dell’Ufficio dell’Organizzazione, delle Relazioni del Personale e della
Formazione Dott. Rosario Tortorella, al Responsabile del Settore
della Formazione Dott. Calogero Busuito, ai Direttori e agli operatori
penitenziari delle strutture che ci hanno accolto il Dott. Filiberto Benevento
Direttore della Casa Circondariale “Sergio Cosmai” di Cosenza, la Dott.
ssa Maria Carmela Longo Direttore della Casa Circondariale “Giuseppe
Panzera” di Reggio Calabria e il Dott. Mario Antonio Galati Direttore
della Casa Circondariale di Vibo Valentia.
Vogliamo esprimere la nostra gratitudine anche a tutti gli operatori e i
mediatori coinvolti nelle attività di aggiornamento e sperimentazione
previste dal progetto, che hanno collaborato con disponibilità e
professionalità. Sono questi, soprattutto, il volto della Pubblica
Accoglienza.
24
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