fondato nel 1956
263
PERIODICO DI INFORMAZIONE DELLA VALLE DELL’AGNO
ANNO LVI - N.1 Gennaio/Febbraio 2011
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di Vicenza - Italy € 2,00 - GRATIS AI SOCI -
BIMESTRALE EDITO DA: ASSOCIAZIONE PRO VALDAGNO
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Direttore Responsabile: Gianni Luigi Spagnolo - Direttore: Vittorio Visonà - Redazione: G. Spagnolo, V. Visonà
Stampa: Tipografia Danzo srl - 36073 Cornedo, Via Monte Ortigara, 83 - Imp. Grafica: Elena Chemello
Associato all’Unione
Stampa Periodica
Italiana
Reg. Tribunale di Vicenza n. 92 (22 /12/1956)
Sped. in Abb.Post.Comma 20/b Art.2 L. 662/96
Ufficio Postale di Vicenza Ferrovia. Pubb. - 70%
I 150 anni dell’Unità d’Italia
RIPARTIRE CON
R I N N O VAT O
ENTUSIASMO
Sono trascorsi due anni del mio
mandato di presidente, che ha visto la nostra Associazione svolgere moltissime attività con mezzi
spesso limitati ma con l’impegno
di sempre.
Tengo comunque a sottolineare
che per continuare con entusiasmo in questo cammino cercando
di costruire sempre di più e meglio
momenti di incontro e di promozione della vita sociale, culturale e
ricreativa della nostra città, occorre, come ho già avuto modo di sottolineare altre volte, un rinnovamento profondo ed in prospettiva
futura.
Uomini, mezzi già presenti all’interno della nostra associazione, devono essere supportati da
forze fresche e dinamiche per dare
nuovo impulso e creatività.
Mi aspetto quindi, come in parte
sta già avvenendo, l’ingresso nel
nostro organismo associativo di
ragazzi giovani che hanno a cuore
il proprio paese, per il quale la Pro
Valdagno è, non l’unico, ma uno
dei principali veicoli trainanti.
Già alcune manifestazioni previste per il 2011 prevedono una
partecipazione attiva dei ragazzi
dai 13 ai “40” anni e mi aspetto da
questi richiami una risposta attiva
e sincera.
Via via costruiremo tutti assieme
un percorso univoco in quanto,
come ho già avuto modo di sottolineare nella mia relazione della
assemblea annuale, l’età media dei
nostri associati è piuttosto alta (io
compreso) e dobbiamo rinnovarci
per avere un futuro.
IL RISORGIMENTO A VALDAGNO: PAGINE DI STORIA CHE NARRANO
DI UN POPOLO CHE NEL NUOVO ASSETTO POLITICO-ISTITUZIONALE
RIPONEVA LA SPERANZA DI UN RISCATTO LUNGAMENTE ATTESO.
Nella cronaca del Soster un resoconto “in diretta” del periodo, con episodi inediti, come quella volta che i valdagnesi arrivarono in ritardo alla battaglia di Sorio...
Gianna Dalle Rive
Moltissime sono le iniziative in
occasione del 150° anniversario
della proclamazione di Vittorio
Emanuele 2° Re d’Italia, e quindi
della nascita dell’Italia come Nazione. La città di Valdagno ha
scelto di proporre, tra l’altro, una
serie di conferenze sui fatti e i
documenti del nostro Risorgimento, come è stato vissuto nella
zona. Tutte queste conferenze sono organizzate a cura del Gruppo Storico Valle dell’Agno.
Le prime due sono state tenute il
10 marzo 2011 nella Sala “Soster”
di Palazzo Festari, con gli interventi di Silvano Fornasa su: “Il
1848-49 nella cronaca del Soster”; e
di Antonio Fabris su: “La rivolta
dei montanari di Castelvecchio durante la 1° Guerra di Indipendenza”.
L’intervento di due attori ha valorizzato la lettura di brani delle
memorie di Giovanni Soster
(1814-1893), e di alcuni avvisi delle autorità legati agli eventi insurrezionali di quegli anni.
Giovanni Soster, orefice, ebbe la
passione di raccogliere e commentare minuziosamente le “cronache” della sua Valdagno, e dei
dintorni, negli anni dal 1836 alla
morte, nel 1893. Ebbe la ventura
di assistere come testimone diretto ed attento alla cacciata degli
Austriaci dal Vicentino nel marzo
Sono convito che l’amministrazione comunale, con la quale è
stato rinnovato un accordo collaborativo, saprà fornirci, come
sempre ha fatto, quel sostegno
economico ed organizzativo essenziale alla realizzazione dei nostri
scopi associativi.
del 1848, al gonfiarsi della speranza “italiana”, ed al ritorno
della dominazione austriaca, che
nel Veneto terminò soltanto nel
1866 con l’annessione al Regno
d’Italia. Soster, osservatore disincantato, era certamente un conservatore, che assistette con scetticismo alle prodezze del "partito
italiano", ma non fu un "austriacante". Gli eventi risorgimentali
trovarono una Valdagno essenzialmente rurale, con circa 5400
abitanti (comprese le frazioni di
Piana, Cerealto e Castelvecchio).
Il tratto dominante che si evidenzia allo sguardo dello studioso è
la diffusione della povertà tra la
popolazione, che toccava - a seconda della zona, centro o periferie - dal 25% al 75% degli abitanti.
Nella prima metà dell'ottocento
si registrava un netto arretramento della qualità della vita rispetto
al periodo precedente. Ciò è imputabile senz'altro anche ai cambi
di regime ed alla conseguente
instabilità anche socio-economica. La seconda dominazione
austriaca, inoltre, depresse volutamente la nascente industria del
Lombardo-Veneto a favore delle
proprie manifatture. La conseguenza di tutto questo nell'ambito di una economia già debole fu
un'autentica disperante miseria,
descritta dalle autorità, e specialmente dal clero secolare e dai
medici, come assoluta incertezza
del futuro, fame, abbrutimento
degli animi. Il medico Ludovico
Festari asseriva che la mortalità
media degli infanti era di uno su
tre, toccando il 50% nei mesi
invernali, a causa della denutrizione, del freddo, ed anche dell'ignoranza ed incuria dei genitori. La maggior parte della popolazione viveva coltivando la terra e
di allevamento.
(segue a pag. 2)
Un’immagine “vicentina” del Risorgimento italiano: l’incontro di Vittorio
Emanuele II - re d’Italia dal 1861 - con i
notabili vicentini, in piazza dei Signori
a Vicenza nel 1866. (dipinto di D. Peterlin, Museo del Risorgimento - Vicenza.
(segue a pag.2)
LA BANDIERA
DELL’ITALIA UNITA
Ricordando la presenza
del tricolore a Valdagno,
per la prima volta.
di Vittorio Visonà
Quando qualcuno chiede quali sono i colori della bandiera
italiana, tutti o quasi rispondono che sono tre, elencandoli
in ordine alfabetico, quasi a
non voler creare “differenze”.
Infatti la disposizione sul
drappo in bande verticali e
secondo il senso di lettura,
inizia col colore verde, a seguire il bianco e quindi il rosso.
Tra le varie interpretazioni
sulla scelta e sul significato dei
colori, piace pensare che i più
rispondenti alle idealità siano
quelli che si configurano nei
naturali “Diritti dell’Uomo”:
nel verde la speranza, nel
bianco la fede serena alle idee,
nel rosso la passione, il sacrificio dei martiri e degli eroi,
l’amore verso i più alti valori.
La nascita del tricolore si
riscontra in qualche data.
Apparve per la prima volta
come coccarda puntata sugli
abiti dei patrioti nella sommossa di Bologna il 14 novembre 1794.
Al bianco ed al rosso, colori
del gonfalone cittadino, gli
insorti vollero aggiungere il
verde “in segno della speranza
che tutto il popolo italiano segua
la rivoluzione nazionale iniziata e
che cancelli que’ confini segnati
dalla tirannide forestiera”.
La sollevazione popolare
contro la tirannide, era stata
voluta e capeggiata da un
giovane studente Luigi Zamboni che, confidando in una
imminente calata dei Francesi
in Italia, che avrebbero ammi(segue a pag. 7)
FONDIARIA SAI
DIVISIONE
FONDIARIA
Agenzia Generale di Valdagno
Via S. Clemente, 10/12
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divisione
FONDIARIA
2
gennaio/febbraio 2011
continua dalla prima pag. ”Pensato e scritto”
Sappiamo tutti che economicamente
è un periodo difficile in tutti i settori,
ma la nostra forza principale, come
sempre sono i nostri soci che come
ogni anno ci sostengono con il loro
tesseramento oltre che con la loro
partecipazione attiva.
Molti sono i volontari infatti che in
ogni manifestazione, si offrono per
dare una mano ed ovviamente sono
sempre ben graditi.
Rinnovo ancora una volta a tutti
coloro che ricevono il nostro giornale
di fornirci, quanto prima, anche
attraverso il nostro sito itituzionale
www.provaldagno.it - oppure la
nostra mail [email protected]
i propri indirizzi di posta elettronica
affinché possiamo inviare notizie e
informazioni delle varie iniziative e
promozioni legate alla nostra associazione.
Avanti, quindi, con sempre maggiore
slancio e in un ritrovato spirito di
unità e di collaborazione.
Ass. Pro Valdagno
Il Presidente
Andrea Ederosi
continua dalla prima pag. ”Il Risorgimento...”
600-700 persone lavoravano nell'ambito minerario, all'estrazione
del carbon fossile, in particolare
nella Miniera del monte Pulli, e
commercializzandolo soprattutto
sulla piazza di Verona.
L'industria laniera era agli albori,
e Gaetano Marzotto senior era
allora consigliere comunale. Il
commercio aveva una certa rilevanza nel centro di Valdagno,
che era già allora decoroso, con
bei palazzi, persone di cultura notai, medici, avvocati, piccola
nobiltà, con una certa circolazione di giornali e scambi culturali.
La periferia, come la gran parte
dei centri limitrofi a Valdagno,
conosceva da vicino la misera,
come abbiamo detto più sopra, e
la sopravvivenza di antiche superstizioni e credenze che continuavano a governare la vita quotidiana di quella povera gente.
Nonostante questo, e nonostante
un vecchio preconcetto che permane, non sembra che i moti risorgimentali ed il sentimento patriottico siano stati davvero appannaggio soltanto di un ristretto
gruppo, una elite "borghese" e benestante, che beneficiava delle informazioni e della circolazione
delle idee. Moltissimi popolani,
come risulta dai documenti d'archivio, aderirono con consapevolezza, e parteciparono spesso con
passione ai moti che portarono alla nascita della Nazione Italiana.
Anche il clero era favorevole al
partito italiano, e contrario agli
Austriaci, a partire da Papa Pio IX
e dal vescovo di Vicenza Cappellari. Infatti, come racconta
puntualmente Soster, il 18 marzo
1848 a Valdagno la notizia della
fuga di Metternich fu salutata con
manifestazioni di gioia, le campane suonarono e ci furono canti,
feste e grida fin oltre mezzanotte.
Il 19 marzo i "patrioti", portando
coccarde tricolori, si recarono con
la Banda cittadina al solenne "Te
Deum" delle 10, e ricevettero la
benedizione. In seguito, al grido
"W l'Italia, W Pio IX", andarono in
giro festeggiando e cantando per
le contrade.
Alla sera, si fece in piazza una
luminaria con lanterne di carta
anche sul campanile, ed il giorno
successivo l'impazienza di avere
notizie fece si che alcuni valda-
gnesi corsero a cavallo incontro al
corriere postale, gli presero i giornali e li distribuirono in piazza.
I Valdagnesi si divisero tra il
"partito italiano", ora trionfante
in piazza, e "partito tedesco".
A Valdagno furono istituite le
Guardie civiche. Si arruolarono
quasi subito in circa 200, e subito
si organizzarono con una struttura di tipo militare, armandosi sia
con le armi da fuoco di loro
proprietà, sia con attrezzi da
taglio ed altre armi improprie persino archi e frecce - e alcuni
provenienti da Recoaro con lance. Tra gli ufficiali ed i sottufficiali
di questa truppa entusiasta ma
poco professionale, al comando
di Francesco Cengia Bevilacqua,
erano annoverati nomi notevoli,
ed anche sorprendenti: il parroco
don Annibale Pozzan era sottonenente, come il ventottenne
Gaetano Marzotto, non ancora
imprenditore della lana. I volontari, riferisce il Soster, erano
chiamati anche "crociati", o "crociati di Pio IX", perchè portavano
una croce di stoffa rossa cucita
sul bavero, o direttamente un
crocifisso. Il 24 marzo gli Austriaci lasciarono Vicenza, che aderì
momentaneamente alla Repubblica veneziana di San Marco,
sebbene molti amministratori
fossero dubbiosi, e propendessero invece per il partito filo sabaudo. Gli Austriaci pressavano da
vicino la città di Vicenza, per loro
indispensabile presidio strategico, e le Guardie civiche si prepa-
ravano a difendersi, anche con
mezzi rudimentali, ad esempio
ammassando pietre nei granai
per lanciarle eventualmente sui
"tedeschi".
I "patrioti" si preparano a contrastare gli Austriaci fuori Vicenza,
nella campagna tra Gambellara e
Montebello, a Sorio. È l'8 aprile,
ed anche nella valle dell'Agno i
"patrioti" si preparano a dare
man forte agli insorti nella campagna verso Verona, e si organizzano in circa 120 per partire da
Valdagno, guidati da Costante
Maltauro.
Anche da Recoaro scendono 80
uomini pronti per il confronto
con gli austriaci. I preparativi
prendono tempo: bisogna armarsi, recarsi in chiesa per la benedizione, salutare le madri ed i familiari piangenti, partire a piedi
verso il luogo del combattimento... le ore passano, ed i valdagnesi arrivano soltanto alle Tezze di
Arzignano, per apprendere che a
Sorio lo scontro tra i cinquemila
austriaci e i tremila volontari
italiani è già all'epilogo, con la
sconfitta degli insorti ed una
cinquantina di morti. Riprendono
quindi il cammino verso Valdagno, da dove gli 80 recoaresi non
sono ancora partiti! Nei giorni
successivi, anche nell'alta valle
dell'Agno cominciano ad arrivare
profughi scappati davanti ai
"tedeschi". Ora, però, i "crociati"
si riscattarono difendendo lo storico "confine" di Campogrosso e
Pian delle Fugazze, contrastando
le truppe croate dell'esercito austriaco. Prima 20 volontari, poi
altri 70, poi ancora altri recoaresi
e valdagnesi si recano sulla montagna a reggere un fronte secondario ma strategico.
ll 10 giugno Radetzky riprende
Vicenza, con la battaglia di Monte Berico, che vede morire millecinquecento patrioti vicentini.
Dai documenti risulta che una
ventina di cornedesi tentarono di
unirsi ai combattenti a Monte
Berico. I valdagnesi, ancora, difesero Campogrosso e il Pian delle
Fugazze. Si sa che il farmacista
Gaetano Pizzati vi combattè, e il
cittadino Francesco Cocco vi morì. Dopo la notizia della sconfitta,
da Valdagno si richiamarono i
volontari combattenti. Seguirono
fughe ed esilii di coloro che
avevano abbracciato con foga la
causa patriottica. Il 24 giugno
salirono a Valdagno 120 "Cacciatori" austriaci per prendere i
ribelli in fuga, e farsi consegnare
le armi. Dei patrioti armati, alcuni fuggirono in Toscana ed a
Venezia, mentre gli Austriaci cercavano i disertori e renitenti alla
leva nell'esercito austriaco, arrestavano padri e fratelli dei fuggitivi, comminavano salate multe al
Comune di Valdagno, ed imponevano l'onere dell'alloggio alle
truppe. Nel frattempo, il Comune
di Valdagno aveva anche iniziato
ad edificare un nuovo municipio,
ed era in costruzione l'Ospedale
San Lorenzo.
(la seconda parte nel prossimo numero)
Antica foto-cronaca. La via Manin di un secolo fa.
AI TEMPI DELLA ”BOTTE D’ORO”
EDILVENCATO s.r.l.
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36078 Valdagno (VI)
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up
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PER L’EDILIZIA
po
4
1
2
Alla pagina 3 si conclude il bel
racconto del prof. Sisto Cocco
sull’osteria “La Botte d’oro”
(chiusa da qualche decennio).
Con questa carellata d’immagini,
si vuole riportare alla memoria
alcune delle varie attività operanti in quel tempo (alcune rimaste).
Foto 1:
“Amichevole incontro tra società”
(presso la trattoria La Cantina”);
Hanno collaborato a questo numero:
C. Bevilacqua, M. Dal Lago, B. Magrin, F. Morsolin
Foto e documenti storici:
Ass. Pro Valdagno, B. Magrin,F. Morsolin, G. Spagnolo,V. Visonà
5
Impaginazione grafica:
Elena Chemello
Stampa:
Tipografia Danzo srl - Cornedo Vic. no
3
Foto 2: Riunione dei soci del Mutuo
Soccorso davanti al Baracon (1906);
Foto 3: “Banda musicale di Valdagno”(1923) - il Baracon fungeva da sala
concerto e ritrovo per altre attività;
Foto 4: la locandina del “Cinematografo al Teatro Marconi (24 maggio 1913);
Foto 5: serata di carnevale al teatro
”Marconi” per dopolavoristi, negli
anni ‘20.
gennaio/febbraio 2011
LA BOTTE D’ORO
a cura di Carlo Bevilacqua
E’ sempre come allora, ma con piu’
insistenza di allora sembra indicarci
il vecchio orologio appeso alla parete,
quasi per dirci : fate presto, comprate, poi è troppo tardi!
Ma continuando di questo tono verrebbe proprio voglia di dare del rimbambito a quel vecchio di Alessandro
che ebbe la spudoratezza di chiamare
l’ osteria “luogo di delizie“.
Per fortuna le cose non stanno sempre così e soltanto di rado si devono
registrare in Botte di codeste riunioni ex tempore.
Normalmente nei giorni feriali, l’ambiente comincia ad animarsi solo
verso le ore diciotto, quando cioe’,
dalla fabbrica e dal comune cominciano a sfornare i poveri cirenei.
Singoli o a piccoli gruppi allora, con
o senza ombrello, a piedi o in macchina (sia lode all’edilizia e alle arti e
mestieri in genere!) arrivano i pellegrini a bearsi della compagnia degli
amici e della festevole accoglienza dei
padroni di casa. Ci son sempre, sul
tavolo opposto a chi entra, i volti
simpatici dei soliti pensionati che,
per non essere legati ad orario e per il
non offrir la bella Valdagno svago
migliore, vengono lì per tempo ad
ammazzar la noia, a raccontarsi le
solite storie di tanti anni prima, ad
attendere che la sala si popoli per
confondere con quella altrui la propria malinconia.
Quello loro è chiamato il tavolon dei
quartini: ce n’é uno davanti a ognuno con un effetto di prospettiva
meraviglioso. Il vino per i “vecioti“ è
come il brodo per gli ammalati: con il
vino come per incanto le preoccupazioni del presente e del domani
spariscono, spariscono le rughe, fanno discorsi da… galletti, ritornano
giovani e, specie nei giorni di paga o
di qualche festa particolare, non è
rara la sera che spieghino le voci al
canto fino all’esaurimento del loro
repertorio di vecchie canzoni.
Spicca fra tutti, specie quando occorre un do di petto o sia in programma
la Fedora (5), Angelin Pesavento che
ha voce , dicono i maligni tanto dolce
e chiara, quanto ombroso il suo tem-
(seconda puntata)
peramento.
Io personalmente non credo e sarei
pronto a scommettere. Nelle tonalità
basse invece domina la voce baritonale di Giuseppe Lora detto Cassa che
vanta tra l’altro ben 48 anni di
fabbrica e il nobile tentativo di
conquistare qualche primato di profondità nel sondaggio notturno,
senza batiscafo s’intende, della “rosa“. Dicono che Picard (6) informato,
dorma piu’ sonni tranquilli.
Fanno parte del coro Gianni Trentin,
detto Calda, dall’infernale pipa Belzebù e, inutile nasconderlo, geloso di
donna Milia; Antonio Franceschi,
meglio conosciuto, non so se per
affinità come il biblico o per altro
motivo, col nome di Giacobbe.
Ha anche questi al suo attivo 35 anni
di fabbrica, beve volentieri il suo
bicchiere e con un aria così buffa e
sorniona, come di un monello che stia
combinandone qualcuna di grossa.
Maestro concentratore è sempre Sandro Franceschi, con 49 anni di fabbrica e al primo anno di “strillone“ del
Campanile.
È conosciuto e chiamato da tutti
Sandro Cana, alto un metro e 40
centimetri e così disarticolato nei
suoi movimenti e nella contrazione
perfino della bocca, che se avesse
qualche proprietà da ventriloquo sarebbe l’esemplare più vero dell’indimenticabile teatrino Campogalliani
(7). È benemerito della guerra 15/18
durante la quale ha sventato un sicuro sabotaggio ad importante polveriera affidata alla sua guardia.
Che se, nell’ultimo conflitto mondiale, avesse avuto, dato il suo glorioso
passato, un bastone di comando,
putacaso in marina, non v’ è dubbio
sulla sorte che sarebbe toccata alla
pur potente flotta avversaria.
Lo assicurano i suoi amici che, ad
Altissimo, l’ hanno visto trasformare
sé stesso in mago Bacù e il bastone da
viaggio in bacchetta magica e disperdere e affondare così i turpi galleggianti nel bidet dei Graizzaro.
Conferisce gravità a tutto il coro che,
per amore di brevità, ho citato solo
negli elementi più caratteristici.
Flaminio dal Medico con 57 anni di
stabilimento, arsenale vivente di ogni notizia relativa alle antichita’
Il prof. Sisto Cocco
valdagnesi. È, si può dire, il perno
della tavolata, gode delle simpatie
generali ed è tacito monito a tutti i
clienti della Botte ai quali sembra
voler dire “se volete arrivare così
com’io sono, alla bella età di 77 anni,
risparmiatevi da giovani“.
Inteso Angelino? Capito Eugenio?
Ma è ora di cambiare tavolo e di
assistere a qualche partita. Anche
perché se dovessi continuare a far
nomi, dovrei ricordare anche quell’eterno malcontento che tutti chiamano accennando con i movimenti delle
dita “forbese“ col rischio di diventare pure io cimossa o, come malignano
gli amici, di essere invitato a bere il
bianco a casa sua, che sarebbe peggio.
Due parole di presentazione quindi
agli assidui del “tresette“ della “marianna“ e ai maniaci del nobile “foraccio“. Essi sono: un professore di
greco, senza barba, dall’aria canzonatoria meglio conveniente a un
imbonitore di polveri contro le pulci
(8) o a un venditore ambulante del
Poiana Maggiore che ad un severo
insegnante; un impresario edile proveniente dal contado, che si dà l’aria
del giocatore infallibile, che giustifica
le frequenti sconfitte “grugnando“
intraducibili imprecazioni contro le
carte o ripetendo alla noia “no go mai
visto na’roba compagna“ un altro
impresario edile, del centro questo,
trentenne, elegante, alto e biondino
come un norvegese; un mugnaio del
Maglio non lontano parente del famoso Bastian; un cosettino, poco più
di trenta chili in tutto, impiegato all’
anagrafe tutto pepe e perciò sempre
assetato; un maestro di Montecchio,
esperto in micologia e facile a prender
fuoco quanto suo cugino “comunista“ e segretario zelante di più bocciofile; un principe consorte, viveur
di professione e spugna nel vero senso della parola, e tanti tanti altri che
preferisco non citare sia perché sono
tuttora gerarchi in fabbrica, sia anche
soprattutto perchè bevono solo vino
bianco e questo genere di distinzione
non mi garba.
Avete mai letto la lettera famosa che
Macchiavelli scrisse a Francesco Vettori (9) nel 1512 quando il segretario
fiorentino era stato allontanato dall’ufficio e s’era ritirato all’ Albergaccio? (10).
Vale proprio la pena che ve ne riporti
un brano, perchè, leggendola, si ha
proprio l’impressione di assistere ad
una partita a carte alla Botte. Eccolo:
“Mangiato che ho, ritorno all’osteria;
quivi è l’oste, per ordinario, un beccaio, un mugnaio, due fornaciai.
Con questi io mi ingaglioffo per tutto
il dì giocando a cricca e poi, ove nascono mille contese e infiniti dispetti
di parole ingiuriose siamo sentiti non
di manco gridare da San Casciano.
Venuta la sera, mi ritorno a casa e
entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio
mi spoglio quella veste cotidiana,
piena di fango e di loto e mi metto
panni reali e curiali e entro nelle
antiquecorti degli antiqui omini …“.
Se si pensa che quelli che s‘ingaglioffano alla Botte gridano spesso
come ossessi tanto che, non di rado,
fanno accorrere il notaio Simionati
(11) che, udendoli dal suo studio crede indispensabile sua opera di paciere
e di ufficiale testamentario; se si pensa che nonostante il rumorosissimo
aspiratore quando si ritorna a casa si
è impregnati di tanto profumo che
3
neppure il Deodorin Rumianca riesce a medicare; se si pensa che una
volta a casa con una canzone di
Modugno sognamo il cielo dipinto di
blù, il parallelismo tra Macchiavelli e
noi appare perfetto.
Ma è tempo ormai di chiudere la
filastrocca e, data l’ora, sono le 19
precise, di correre in Botte a dire al
cav. Marchetti (12) che l’articolo è
finito e, se del caso, berne un bicchiere insieme, anche se a lui piace solo
vino bianco...
Così (13)
**************
Note:
(5) Fedora è, insieme a Andrea Chénier e
Siberia, una delle opere più note di Umberto
Giordano; la prima rappresentazione avvenne
il 17 Novembre 1898 al Teatro Lirico di
Milano con l’interpretazione di Enrico Caruso che con quest’opera ottenne la sua prima
importante affermazione;
(6) Piccard Auguste, Basilea 1884 - Losanna
1962; costruì insieme al figlio Jacques un
batiscafo che raggiunse, nel 1960, la profondità mai toccata di 10.910 m. nella fossa delle
Marianne;
(7) l’Accademia Teatrale Francesco Campogalliani fu fondata nel 1946 da Ettore Campogalliani e dedicata al padre, Francesco Campogalliani (1870 - 1931), commediografo, attore e burattinaio; l’Accademia era ed è
ancora una compagnia costituita da attori
dilettanti;
(8) l’autore, con un artificio retorico, parla di
sé in terza persona;
(9) ambasciatore fiorentino presso la corte
papale;
(10) al tempo, Macchiavelli si trovava nella
villa dell’Albergaccio, lontano da Firenze, e
soprattutto, lontano dagli uffici e dalla vita
pubblica, dalla quale era stato scacciato un
anno prima;
(11) il notaio Renzo Simionati è stato uno
storico notaio di Valdagno con studio in via
Manin n. 41;
(12) morto nel 1979, fu un personaggio
pubblico della Valdagno del dopoguerra;
fondatore dell’ Avis, Presidente della Pro
Valdagno, attivo in tutti i settori della vita
amministrativa e sociale, istituì tra l’ altro il
Premio della Bontà;
(13) è l’acronimo con cui il prof. Cocco si
firma.
Foto sopra:
Panorama del centro cittadino visto da via Castello.
Stretto attorno alla chiesa,
il paese è tutto sul versante
occidentale della valle.
Il versante opposto è ancora incontrastata area del
verde dei prati e delle colline.
(ed. G. Modiano&C. - Milano Fine ‘800)
4
gennaio/febbraio 2011
AUTOPSIE DI Pi Greco E DI UNA MACCHINA DA CUCIRE
Il titolo della mostra (marzo- aprile 2011)che
l’Istituto Tecnico V.E. Marzotto di Valdagno
dedica alle opere e alle installazioni di Vittorio Marchis è particolarmente intrigante e
lascia intravedere la complessità di un intervento culturale condotto in una misteriosa ed
affascinante regione in cui si incrociano le
strade della scienza, dell’arte, dell’antropologia. La nostra è la civiltà delle macchine,
per eccellenza; esse sono il nostro vanto e la
nostra forza per scoprire e governare il
mondo (e la società). Ma delle stesse ben pochi conoscono la
struttura, “l’anatomia e la fisiologia”. E se un esperto - dalla
cultura poliedrica, come Marchis - ci conduce per mano a
scoprire ciò che si cela dentro le macchine, si entra in un
mondo fatto non solo di cavi, ingranaggi, leve e bottoni, ma
tutto intessuto della memoria di un passato fatto di scienza,
fantasia, progetti, suggestioni ed emozioni estetiche.
Vittorio Marchis - ingegnere e docente di meccanica applicata
- insegna al Politecnico di Torino e si definisce “anatomista
delle macchine” e sotto la sua lente di esploratore-artista finiscono lavastoviglie e telefoni, aspirapolvere e tostapane,
macchine da scrivere e da cucire…
In un percorso che - come nel caso della mostra valdagnese parte dal famoso Pi-Greco: “Nulla nella geometria esisterebbe senza la squadra e il compasso, nulla nella meccanica senza il
Pi-Greco e così dissezionando una macchina si scoprono le storie del mondo”e dimensioni estetiche inesplorate che fanno
capire come, al di là della divisione accademica tra sapere scientifico ed cultura umanistica, esista in realtà una grande
unitarietà di fondo del nostro essere uomini in una civiltà tecnologicamente avanzata. (G.L.S.)
MASCHERE IN PIAZZA A VALDAGNO - Carnevale 2011
Domenica 6 marzo, ultimo di carnevale, si è svolta, come da tradizione
(la sfilata di carnevale a Valdagno ha oltre un secolo di vita), la festa
delle “Maschere in Piazza”. Già dal primo pomeriggio la piazza del
Comune era presa d’assalto da centinaia di “maschere” di ogni foggia
e colore: un variopinto andirivieni lungo il corso, scaldato da un ormai
ultimo sole invernale, quanto mai propizio per l’occasione.
Sul palco, l’animazione e l’intrattenimento erano assicurati dagli
“Spritz”, con gruppi di balletti “Le mille e una danza”, “Folklore brasiliano”, il Mago Danilo con i suoi giochi di prestigio ed illusionismo,
che sempre affascinano, e la sfilata delle maschere iscritte alla competizione, per aggiudicarsi l’attestato di merito di una delle caratterizzazioni richieste dalla manifestazione.
Una giuria (composta da Vallì Gasparella, Marcella Nori, Emilio Nizzero,
Luciana Grandis e Vittorio Visonà) nel frattempo osservava ed annotava.
Alla fine gli attestati sono stati conferiti a:
La maschera più originale: "Nettuno" di Andrea ; "Diavoletta" di Alice
Gruppo più originale: "Bad Boys e Bad Girls", Scuola P. dei Nori; "Medioevo", scuola Ponte dei Nori
La maschera da 0 a 5 anni: "Principino" di Nicolò; "Fragolina" di Iside
La maschera ever green: "Le radici del ricordo" di Vania e Gianfranco;
"W l'Italia" di Antonio e Patrizia;
Gruppo di sole donne: "Fatina Winx" di Ippolito; "Gruppo Can Can” di
Ponte dei Nori; Costume last minute: "La gallina" dello stand Provaldagno; "La bimba" del gruppo "Le fritole" .
Vittorio Visonà
A lato: una gioiosa carrellata di foto su
“Maschere in Piazza” ed. 2011 (che ha
voluto ricordare anche i 150 anni dell’Unità d’Italia, con la presenza di alcuni
gruppi mascherati rievocativi del Risorgimento), scattata in piazza del
Comune durante la consegna degli attestati, da parte del presidente della Pro
Valdagno, Andrea Ederosi, ai vincitori
delle varie “specialità”.
gennaio/febbraio 2011
... PROGETTO IN EVOLUZIONE
Gianni Luigi Spagnolo
85 Le proposte progettuali per la
riprogettazione e il riuso delle
fondamenta della villa incompiuta nel Parco La Favorita (il cui
progetto era stato affidato da
Gaetano Marzotto a Gio Ponti e
Francesco Bonfanti); non solo
nelle tre migliori, selezionate dalla commissione del concorso, ma
in tutte sono emerse indicazioni
di grande interesse
Il progetto di Gio Ponti
Il ritrovamento dei disegni per il
progetto di Villa Favorita a Valdagno di Gio Ponti ha fornito lo
spunto ideale per indire un concorso di idee sull'area, dal titolo
“Progetto in evoluzione”, con l’intento di acquisire idee progettuali
per la realizzazione di strutture e
spazi funzionali adatti alle attività ricreative, sportive e culturali
da svolgersi nel parco e nell'area
delle fondamenta, durante tutto
l’arco dell'anno.
La Villa, articolata su tre piani
(uno interrato e due fuori terra)
con una superficie coperta di circa 900 mq. doveva sorgere al
centro di un “parco architettonico”,
Parco Favorita, tra “il giardino dei
giochi” e “il giardino delle arti”.
Il Parco La Favorita
Innovazione e rigore formale, valorizzazione del contesto ambientale,
strutture e spazi per una socializzazione aperta e creativa...
Grande rilievo doveva assumere
l’ingresso principale, rivolto verso
il parco a sud con un grande patio,
mentre la facciata verso ovest,
sarebbe stata esaltata dall’asse monumentale delle gradinate del parco verso la città..
Queste le tematiche sulle quali si
sono cimentati i concorrenti che hanno partecipato al concorso di idee “Progetto in Evoluzione”, indetto
dall’Amministrazione Comunale di Valdagno assieme alla Fondazione e all'Ordine degli Architetti P.P.
e C. della provincia di Vicenza; concorso apertosi il 1° ottobre 2010 e conclusosi il 12 gennaio 2011 con la
pubblicazione della graduatoria finale, che ha proclamato vincitori:
- 1° classificato: Maurizio Dalla Valle, Alessandro Dalla Valle, Daniele Cappelletti;
- 2° classificato: Eleonora Cecconi, Alessio Bovini, Alessandro Cossu ;
- 3° classificato: Alessandro Baldo.
Ancora una volta, come era capitato ai tempi di Bonfanti e di Gio Ponti, si può parlare di “Valdagno città
dell’architettura” per sottolineare lo stretto legame tra cultura architettonica, che si è concretizzato in realizzazioni importanti, come il Parco La Favorita e tutta la Città Sociale in cui è inserito; legame che deve rafforzarsi ed esprimersi in nuove realizzazioni con uno spirito innovativo e creativo. In linea con le indicazioni
che ci vengono proprio da un progetto incompiuto.
Il progetto propone uno spazio continuo e orizzontale, dove la natura acquista un’importanza straordinaria.
L’esperienza dello spazio continuo è
intimamente legata all’incidenza della
luce sui volumi che lo delimitano. I corpi
di vetro diventano così scatole opache se
osservate dall’interno, mentre si trasformano in volumi completamente trasparenti, che mutano l’interno in esterno se
osservati da un punto di vista prospettico ad essi perpendicolare.
L’edificio è costituito da un basamento/piano terra dove si sviluppano le seguenti funzioni:
- punto informazioni, sala lettura, spazio espositivo, depositi, internet point,
guardaroba, ufficio, cucina bar caffetteria e servizi igienici. L’accesso al piano
terra avviene tramite un vialetto in
pendenza sul prolungamento ideale
dell’asse della Città Sociale. Il volume
emergente al di sopra la sala lettura
ospita una sala polivalente con tribuna e
cento posti a sedere. La caffetteria si
sviluppa anche nel volume emergente
posto sopra di essa e accede al terrazzo
del podio con tavolini all’aperto.
1° premio
La progettazione, affidata da
Gaetano Marzotto Jr. agli architetti Francesco Bonfanti e Gio
Ponti, tra il 1936 ed il 1939, si
concretizzò nella costruzione delle fondamenta tuttora visibili; nel
1940 i lavori furono interrotti a
causa del sopraggiungere della
guerra.
Svolgendosi nella stessa direzione scelta da
Gio Ponti e Francesco Bonfanti, per il
disegno del giardino, un lungo scavo segna,
attraverso vuoti e pieni una direzione.
2° premio
Il disegno di questa direzione è affidato a
una coppia di lunghi muri, scabri e privi di
rifiniture, che si stagliano come quinta
scenica del parco naturale.
Il primo e più alto di questi elementi ricalca
la traccia della corte della Favorita, ne
ricrea il volume acquisendone solo misura e
sensazione di raccoglimento; proprio da
questo luogo, attraverso una “scala esigua,
che si arrampica lungo il muro” si accede
alla quota della Favorita, prima stanza del
progetto.
Da questo luogo di luce si aprono le due
direzioni del progetto, a ovest il percorso
della musica, a est quello dell’arte.
L'ipotesi di progetto si sviluppa, intorno al
rudere del piano interrato di Villa Favorita.
L'idea di progetto si basa sul recupero dei coni
visuali verso il parco, ipotizzati da Ponti nel
disegno di Villa Favorita. I due edifici pensati e
posti a nord e a sud della fondazione della villa,
sono disegnati in pianta e in sezione come due
cannocchiali ottici che riprendono gli affacci
delle logge della villa di Ponti verso il parco.
Dal punto di vista funzionale, l'edificio si sviluppa principalmente nel piano seminterrato, dal
quale si accede alla struttura. Sul lato ovest,
sono collocate due rampe di discesa. Nel piano
seminterrato, vi sono collocate le funzioni di
servizio alle attività del parco; nella zona di
ingresso un bar e ampi spazi; negli edifici
multipiano, trovano posto alcune sale polivalenti di varie dimensioni, che possono essere
utilizzate dalle scuole del territorio per realizzare progetti di studio, da associazioni, gruppi
culturali e sociali per riunioni, corsi o mostre.
3° premio
Il Parco La Favorita rappresenta un complesso paesaggistico di assoluto prestigio,
per dimensione (circa 5 ettari) e impianto, ricchezza del
patrimonio arboreo e per la
qualità delle sue architetture. La progettazione del parco La Favorita fu affidata
negli anni Trenta da Gaetano Marzotto (contestualmente alla realizzazione della Città Sociale o Città dell’Armonia) a Bonfanti e Zardini, autori di gran parte
della Città Sociale valdagnese.
Al suo interno vi si riconoscono: gli ingressi monumentali, la grande gradinata,
le balaustre di pietra e graniglia dei terrazzamenti, il viale alberato, le serre ed il parco romantico.
Al centro dell’area monumentale, il progetto prevedeva la realizzazione di una
grande villa padronale, (progetto di Gio Ponti e Francesco Bonfanti).
I lavori per la sua realizzazione furono interrotti a causa della seconda guerra
mondiale e mai più ripresi.
Le fondazioni del palazzo
sono tuttora visibili.
Il parco per molti anni rimase privato, sede di serre
per la floricoltura e di vaste
aree coltivate.
È stato ceduto all’Amministrazione Comunale nell’anno 2000 e successivamente è iniziato l’intervento
di restauro naturalistico ed
architettonico.
Nel dettaglio, il progetto di
recupero del parco ha visto
interventi per il restauro
naturalistico e per il restauro
architettonico dei manufatti
(gradinate, balaustre).
Venne eseguito un completo
rilievo della vegetazione,
con la schedatura di circa
una cinquantina di specie
diverse e la valutazione del
suo stato di salute, presentandosi oggi al visitatore,
per quanto riguarda il suo
assetto ed il patrimonio arboreo, in modo abbastanza
fedele rispetto l’impianto
originario e l’idea dei progettisti.
La parte principale del grande parco oggi aperto alla
città è rappresentata da una
grande struttura monumentale a balconate, con parapetti e percorsi tracciati. Una
grande scalinata monumentale conduce ad un vasto
spazio rialzato. In questa
grande area, la più elevata
del parco stesso, sono presenti numerose specie arboree di grandi dimensioni,
che delineano un ambiente
di grande suggestione e impatto.
Oggi il parco è destinato al
tempo libero delle persone
ed alla realizzazione di eventi quali spettacoli, percorsi natura, attività per
bambini, attività ginniche
assieme a tutte le iniziative
che attualmente possono
svolgersi solamente nel periodo più mite dell’anno.
5
6
gennaio/febbraio 2011
Domenico Bruschi, pittore dell’Unità d’Italia
Personaggio poliedrico e geniale, che affrescò Il Palazzo del Monte di Pietà di Vicenza
Bepi Magrin
Fin dal 1861 correva la notizia che
Firenze sarebbe stata capitale di
Italia e a Palazzo Pitti (che si
presumeva dovesse diventare residenza del Re) si lavorava per
adattare l’edificio alla regale presenza. In particolare la palazzina
della Meridiana era divenuta un
vero cantiere pittorico ove le decorazioni a soggetto storico avrebbero creato l’opportuna cornice all’evento. Qui, accanto a
pittori della fama di Luigi Mussini
(1813-1888), Annibale Gatti (18271909) avrebbe fatto il suo apprendistato il giovane Domenico
Bruschi consolidando la sua predilezione per i temi storici. Il suo
lavoro sarebbe stato circoscritto
alla sala del Trono ove operava
appunto il Gatti, un intradosso
dedicato al Genio Militare e due
putti con lo stemma Sabaudo
ricordano proprio quelli dipinti a
tempera dal Bruschi in San Domenico a Perugia (1869).
Ma nelle stesse stanze reali della
Meridiana, troviamo pure la scena dell’Italia che viene presentata
alle altre nazioni e gli episodi della vita di Michelangelo oltre ad
uno stipo ligneo elaborato nei
disegni dallo stesso Bruschi, mobile che poi viene donato dal
Comune di Perugia al Re per il
suo insediamento fiorentino.
Altre successive commissioni tra
cui quella per il Trionfo di Aureliano (1869) faranno del Bruschi
un artista riconosciuto e molto
richiesto specialmente per la diffusione di idee puriste e classiche.
A Perugia l’omaggio
all’artista che affrescò il
Palazzo del Monte di
Pietà a Vicenza.
Le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia sono state occasione per una mostra promossa
dalla provincia di Perugia e dedicata ad un grande artista italiano quale fu Domenico Bruschi
(1840-1910).
Ritratto del Bruschi eseguito dal pittore A. Giancarli (olio su tela) nel 1912.
Si trova presso la sede comunale di
Perugia, a Palazzo dei Priori.
Si tratta di un personaggio poliedrico e geniale, che cosparse
l’Italia, e non solo, di inestimabili
tracce del suo passaggio, non trascurando la nostra Vicenza che
ancora conserva - forse con insufficiente attenzione - gli affreschi
del pittore nella facciata del Palazzo del Monte di Pietà sulla
Piazza dei Signori, opere che risalgono al periodo 1907-1909 e
che sono tra le ultime, ovvero
quelle della sua completa maturità, lasciateci dal pittore perugino.
A tali opere accenna in modo
lusinghiero L. Ongaro nel suo “Il
Monte di Pietà di Vicenza” (pagg.
51-55) edito da Arti Grafiche VI
nel 1909, opera che andrebbe rivisitata e magari riproposta all’attenzione e alle cure di coloro
che hanno a cuore la genesi e le
stesse bellezze artistiche della nostra città.
Domenico Bruschi, allievo del
Valeri nella Accademia di Perugia
si era perfezionato nell’arte pittorica a Firenze, sotto la guida di
Stefano Ussi, prima di soggiornare
in Inghilterra (1862-1868) dove
eseguì nei più eleganti palazzi
varie decorazioni a soggetto mitologico. Di seguito troviamo il
pittore a Roma città allora da
poco capitale del Regno, ove gli
viene affidata la cattedra di
Ornato del reale Istituto d’arte e
diventa Accademico di San Luca. Ma la sua più importante e
riconosciuta attività artistica, iniziò nel 1875 quando Bruschi dipinse a Tavernelle (Pg) le pareti
della parrocchiale e la cappella
del Rosario.
La notorietà giunse presto, coi
successivi lavori nel Palazzo
della provincia, nel battistero e
nel Duomo della sua città.
Lo troviamo poi nell’isola di
Malta, al Quirinale, a Montecitorio ove è presente con le pitture
murali nei palazzi della Camera e
del Senato, a palazzo Corsini e
nel palazzo del Ministero delle
Finanze ecc. Del 1877 sono i lavori a Palazzo Clitumno -Trevi, e
ancora a Spoleto, al Quirino di
Roma, alla Basilica dei SS Apostoli e nel Duomo di Palestrina, come a Cagliari ecc. Celebri anche
le decorazioni lasciateci in Palazzo Cesaroni (Pg) o e le storie bibliche dell’Oratorio dell’Annunziata eseguite tra il 1898 e il 1901.
Altre sono oggi parte di importanti collezioni private come il
ritratto di Fanny Folz segnalato a
Buenos Aires Argentina.
Invece le opere della facciata vicentina del Monte di Pietà, analoghe a quelle (perdute) del Palazzo vescovile perugino (1880), sono quelle ormai conclusive di una
feconda ed intensa attività che
riguarda anche il ritrattismo ed
altre pregiate forme espressive
tra cui miniature, decorazioni
ecc. Una ricchissima bibliografia
che spazia negli anni dal 1853 al
2009 con circa 150 titoli correda il
catalogo recentemente pubblicato
per cura di Corrado Balducci e
che riporta immagine di interessanti documenti che riguardano
anche la città berica, come l’Atto
di sottomissione fra Bruschi e il
Comune di Vicenza del luglio
1908, i ricordi e i progetti delle
decorazioni esterne di Perugia e
Vicenza, città entrambe di raf-
finata cultura che si trovano gemellate nell’opera di Domenico
Bruschi.
Si tratta di un vero e proprio
contratto di fornitura di cui si
rinviene copia negli archivi
comunali al numero 6980/1909
del Protocollo Generale. In esso
il Comm. prof. Domenico Bruschi, si impegna a fornire e porre in opera gli arazzi destinati a
ricoprire le pareti della sala dei
ricevimenti del comune. Tessuti
di primissima qualità, dipinti a
perfetta regola d’arte con figure
che rappresentano nel quadro
principale, “I legati vicentini al
Convegno di Pontida” mentre
negli altri quattro riquadri previsti nel contratto, si rappresentavano con figure allegoriche e
con ornati, le “principali epoche
della storia di Vicenza” secondo
i bozzetti già presentati all’esame del committente. L’opera
del costo previsto di Lire 6.500
doveva essere presentata e posta
in opera ove previsto entro il
marzo del 1909. Ad esso fa cronologicamente seguito una lettera che il Bruschi scrive il 7
ottobre da Vicenza al Presidente dell’Accademia di Perugia
comunicandogli il compimento
della sua opera decorativa per la
facciata del Monte di Pietà della
stessa città e cita anche un suo
viaggio a Venezia dove ha eseguito altri due lavori.
Nelle tre foto in alto, figure ormai
rese illeggibili dal tempo e dall’incuria, sulla facciata del Palazzo
del Monte di Pietà a Vicenza.
Rappresentano una sequenza biblica che ripercorre le vicende di Mosé.
Il ritratto di Isabella Guardabassi è un
olio su tela del 1898 di collocazione
ignota, l’immagine è tratta da E. Santi,
Mostra di pittura dell’800 a Perugia 1951.
gennaio/febbraio 2011
7
(continua dalla prima pag”La Bandiera”...)
avrebbero ammirato e rispettato
il sacrificio dei fratelli italiani caduti nella ricerca della libertà
propria, pensava ad una vittoria
non troppo difficoltosa. Ma la
storia fu drammaticamente diversa. Il tricolore italiano come
stendardo, nasce a Reggio Emilia
il 7 gennaio 1797, dunque 214
anni a far data oggi, 7 gennaio
2011, quando il Parlamento della
Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni decreta “che si renda universale lo stendardo o Bandiera Cispadana di tre Colori Verde, Bianco e
Rosso e che questi tre colori si usino
anche nella Coccarda Cispadana, la
quale debba portarsi da tutti”.
La bandiera tricolore Cispadana
ha i colori disposti in tre strisce
orizzontali: il rosso in alto, il
bianco in mezzo, il verde in
basso.
Al centro è dipinta la faretra con
quattro frecce, a simboleggiare la
unione delle quattro popolazioni
di Bologna, Ferrara, Modena e
Reggio Emilia.
Ma il vessillo tricolore aveva
sventolato già l’anno prima alla
testa delle formazioni dei patrioti italiani arruolati volontariamente nell’Armata d’Italia per
combattere contro l’Austria.
Napoleone infatti, entrato vincitore a Milano il 10 maggio 1796,
aveva
promosso
l’organizzazione della “Legione
Lombarda” consegnandole lo
stendardo scelto tricolorato,
ornato dal motto “Subordinazione alle leggi militari” e dagli
emblemi
della
libertà.
Il Tricolore a Valdagno,
per la prima volta.
Nelle “Cronache” di Bernardo
Bocchese (1755-1833) si trova ampia notizia di quando e in che
forma apparve per la prima volta
il tricolore in paese. Scorrendo
quelle semplici ma puntuali annotazioni, si avverte anche come
la gente vivesse quel periodo
denso di avvenimenti politici e
sociali, in un clima di guerra, con
un forte disorientamento.
Alla caduta della Repubblica di
Venezia “…1797 addì 28 aprile…
giorno che i Veneziani hanno perso
tutto lo Stato”, alla quale i valdagnesi, per secoli, erano stati
“fedeli” servitori, si installarono a
Valdagno, come in tutto il resto
del territorio vicentino, i soldati
napoleonici.
Il 4 maggio arrivò da Vicenza
l’ordine di “…tirare zo tutte le
arme (stemmi, simboli e altro veneziani) che si trovano in Vicariato e
nelli Palazzi delli Conti ...”.
Tale smantellamento fu portato a
termine, su incarico ricevuto dalle autorità locali, credenti interpreti dei nuovi proclami inneggianti Libertà ed Uguaglianza,
dal muratore Zuane Beni, dietro
compenso di lire venete 200.
Sempre dalle “Cronache” si apprende delle manifestazioni euforiche di quei giorni.
“1797 addì 27 maggio, in piaza
hanno cavato il buso e la sera medesima hanno piantato l’Albero della Libertà a tre colori rosso, bianco e verde, alle ore 20,30”. Tale “Albero” fu
sorvegliato per tutta la notte da
quattro volontari. Per tenerlo in
piedi, oltre ad aver praticato il
buco in terra, i volonterosi pensarono di sostenerlo meglio accatastandogli alla base del materiale
“appropriato”, che fu approvvi-
gionato, come si legge nelle note
del Bocchese, “…togliendo zò di
fuora della chiesa nova (San Clemente, aperta al culto nel 1778) il
deposito di un Guariero Trissino che
era in una cassa dietro la sua cappella e le sue ossa portate sul segrà e
quel materiale (e) di quelli sassi
(probabilmente frantumazioni
dell’altare) se n’è servito per sostenere l’Albero della Libertà”.
La “fonzione”, cioè la cerimonia,
ebbe luogo la domenica pomeriggio col discorso di un’ora
pronunciato da Giuseppe Rubini.
“Il signor Giuseppe Rubini del fu
Gio. Batta vestito di panno verde con
le mostre bianche e rosse, la divisa e
con la stola a traverso del collo de tri
colori verde e rosso e bianco e là in
piaza rente la Loza (la loggia della
casa comunale) soto la Madona vi
era un palco e la predica sulla Libertà
l’à predicata un’ora crescente e un
(altro) palco era posato al casamento
del Mastini in piaza e là vi era
sonadori di violino in diversi e si
cantava la cansoneta patriottica e vi
era don Francesco Rubini del fu
Carlo che bateva con la carta di musica e in arquanti si cantava.
Dopo di aver finito da cantare e finito
da predicare, dopo siamo andati intorno all’albero a ballare… tutte
cansonete patriottiche”.
Il sincero entusiasmo di tanti democratici rimase, infatti, deluso
dal trattato di Campoformio
(17-18 ottobre 1797), in particolare della “vendita” della regione
all’Austria da parte di Napoleone.
Una annotazione su Giuseppe
Rubini (1744-1820) uno dei principali organizzatori dei festeggiamenti filo-francesi del maggio 1797.
Sposatosi giovanissimo con
Maria Maddalena Nicolini di
Thiene, con la sua notevole capacità organizzativa e amministrativa, riuscì in breve a creare a
Valdagno una delle “industrie”
più attive e fiorenti, indirizzata
alla concia delle pelli. Ma oltre a
questa si occupava anche della
lavorazione e del commercio
della seta. Rubini era un imprenditore “arrivato” e credibile.
Anche per questo fu un personaggio di primo piano accettato
nella diffusione delle nuove idee
e nella applicazione dei decreti
delle amministrazioni “giacobine”. Coinvolto in pieno nel
processo d’instaurazione del
nuovo regime e per la sua notorietà a Vicenza venne nominato
membro della prima “Municipalità provvisoria vicentina”, che
aveva il compito di tenere il
governo della città fino all’avvento degli ordinamenti defi
nitivi.
Col trattato di Campoformio,
tutto cambiò. Intanto però, con la
prima campagna d’Italia, che
Napoleone condusse fino al 1799,
si era assistito all’antico sgretola-
mento del sistema di Stati in cui
era divisa la penisola. Al loro
posto sorsero numerose repubbliche giacobine, di chiara impronta
democratica (ricordiamo la Repubblica Ligure, la Repubblica
Romana, la Repubblica Partenopea, la Repubblica Anconitana),
che rappresentarono la prima
espressione di quegli ideali di
indipendenza che alimentarono
successivamente il Risorgimento
italiano. E’ proprio in quegli anni
che la bandiera venne avvertita
come simbolo del popolo, delle l
ibertà conquistate e della nazione
stessa. La Repubblica Cisalpina,
nata dalla fusione delle repubbliche Transpadana e Cisalpina,
adottò il tricolore quale bandiera
nazionale l’11 maggio 1798.
Dopo il Congresso di Vienna
(1815) e la restaurazione dei regimi reazionari, il tricolore comparve sporadicamente, come simbolo rivoluzionario della Carboneria, a Napoli e a Torino nel 1821
e 1828.
Fu Giuseppe Mazzini, fondatore
della Giovane Italia (1831), ad
adottare il tricolore come simbolo
dell’Italia futura.
Il tricolore sventolò nelle strade
di Genova il 10 dicembre 1847,
nell’anniversario dell’insurrezione popolare del 1746, ma con un
chiaro significato patriottico ed
antiaustriaco. Uno dei portabandiera era un giovane di nome
Goffredo Mameli.
Il 23 marzo 1848, al momento di
varcare il Ticino ed intraprendere
la guerra contro l’Austria, Carlo
Alberto adottò il tricolore come
bandiera del proprio esercito,
inserendo nella banda bianca
centrale, lo stemma dei Savoia.
Dopo il 1849 il tricolore divenne il
simbolo del Regno di Sardegna e
dal 1861 (orsono 150 anni) del Regno d’Italia. Da quell’anno, pur
mancando una esplicita sanzione
normativa, il Tricolore divenne la
bandiera nazionale italiana.
Solo il 24 dicembre 1923 si arriverà ad avere, per la prima volta,
una legge che disciplinasse lo
stendardo della Nazione.
Alla nascita della Repubblica,
dopo il secondo conflitto mondiale (1940-1945), seguì un decreto
legislativo presidenziale datato
19 giugno 1946 che stabiliva in
via provvisoria, la foggia della
nuova bandiera. Foggia confermata dall’Assemblea Costituente
nella seduta del 24 marzo 1947 e
inserita nell’articolo 12 della nostra Carta Costituzionale.
“La bandiera della Repubblica è il
tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.
(In occasione della Festa della
Bandiera -Palazzo Festari - Valdagno, 7 gennaio 2011)
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Ci hanno lasciato...
Generoso, cordiale, stimato, durante il lungo periodo di lavoro
alla Marzotto e per la sua attività
di sindacalista, in cui trasfuse tutto il suo impegno e la sua sensibilità sociale, in particolare durante l’occupazione della fabbrica
del 1968. Di quel periodo tenne un
diario quotidiano degli eventi,
realizzando così una preziosa testimonianza. Da molti anni ormai
era nota ed apprezzata la sua
attività nell’ambito culturale cittadino come fondatore e presidente del museo civico paleontologico “Domenico Dal LaDario Savi
go”. Questa la personalità di Dario Savi, mancato il 21 febbraio
2011, dopo una lunga malattia affrontata con quella determinazione
che caratterizzava il suo stile di vita, in tutti campi: dal lavoro, alla
passione per lo sport (il calcio negli anni ’40 e ’50, il tennis tavolo,
l’atletica e lo sci di fondo). Aveva 79 anni, sposato con la signora
Mirella, da cui aveva avuto tre figli: Maurizio, Michela e Massimo.
Valdagno e la vallata lo ricordano per la sua costante ed attiva
presenza nel mondo del volontariato e per la sua grande passione per
i fossili (i “sassi”) custoditi nel museo cittadino e fatti oggetto di studio
e di cura costanti: sono passate generazioni di studenti in quei locali di
palazzo Festari dove egli spiegava con pazienza e competenza le
testimonianze fossili della storia della formazione e dell’evoluzione dei
nostri monti. Una competenza che si era fatta “sul campo”, in molti
anni di osservazioni e di letture specifiche, con quella caparbietà che
era certamente parte della sua intelligenza.
Giuseppe Mischi
Un altro grande vecchio della vallata se n’è andato: Giuseppe Mischi,
di anni 92. Carattere estroso, temperamento spesso battagliero soprattutto quando si dovevano affrontare le grandi sfide per lo sviluppo di
Valdagno. Attivo dall’inizio degli anni ‘70 nel Comitato di Sviluppo
della Valle dell’Agno, fu tra i primi a credere veramente nella possibilità di realizzare il traforo tra Valdagno e Schio e per questo non faceva
mai mancare la sua voce nelle varie assemblee pubbliche. A lui vogliamo rendere omaggio ripubblicando una sua scherzosa composizione
(apparsa nell’opuscolo sul centenario del campanile di Novale - 2004).
DON DAN fa le campane per ciamare i parocchiani a dovere de cristiani.
Anca mi da zovaneto ogni mattina andavo a messa.
In senoccion se disea le orassion.
A la festa guai a mancare alle sante funsion
che predicava el paroco don Chiarello, Don Gildo e Don Silvio.
Se fasea la confession.
In quei tempi gera obligo versare alla ciesa un decimo de tutto el raccolto.
In più ghe gera el campanile in costrussion.
Così in ogni contra un'incarica el passava
per ogni abitassion a catar su i ovi.
Don Chiarello dai pulpito ogni domenega el disea
contrà per contrà el numero de ovi catassù.
Quando el numero gera basso el se fermava de parlare, el fasea:
ma queste galline sele forse malà che le fa così pochi ovi?".
In ogni modo el nostro campanile se pur corea voce che el saria casca xo perche
fatto coi ovi, ciacole a parte,
noialtri Novalesi del nostro campanile semo orgogliosi
perchè anca se fatto coi ovi, el xe el più bel campanile della vallata.
8
gennaio/febbraio 2011
IL GINKO DEI ”RUARI”
Quattro istantanee che fissano un
bellissimo esemplare di Ginko
Biloba, un vero ”fossile vivente”,
pianta rara, unica specie sopravvissuta delle famiglia delle
Ginkoaceae, le cui origini risalgono
a 250 milioni di anni fa.
Appartiene alle gimnosperme, cioè i
suoi semi non sono protetti dall’ovario. In zona Ruari, proprio
vicino alla strettoia, fa mostra di sè
questo magnifico esemplare (notevole anche per le sue dimensioni).
Da oggi in poi, quando passeremo di
là, soffermiamoci ad ammirarlo, ricordando quanta forza e quanta
storia sono racchiuse in questo
albero. Qui a lato, in sequenza, le
quattro stagioni: inverno, primavera,
estate, autunno. (Foto di Vittorio Visonà)
LA BOTTEGA DI MAMMA GIGETTA
IL DESTINO SULLE SPALLE
di Isabella Pittari
Sistema di Deneb, prima colonia
terrestre al di là del Sistema Solare. La pace era stata per lunghi
anni mantenuta dalle Due Accademie, Oregon e Defender, unite
in una salda alleanza.
A coordinare le loro mosse era
stato l'Ordine delle Streghe, composto da abilissime guerriere con
il potere di controllare gli Elementi. Tuttavia l'Equilibrio era
venuto a mancare a seguito dell'
assassinio di Egrit e Tevon, i due
comandanti.
L'alleanza era stata spezzata, le
Streghe, ritenute responsabili,
sterminate, ed era scoppiata la
guerra…
Adolfo Fiorini – valdagnese, storico commesso della Bottega di
Mamma Gigetta a Maglio di Sopra – è un narratore raffinato (molti
ricordano la sua “Wanda dei rubinetti”) che sa disegnare con brevi ma
incisivi tratti di penna un personaggio, una situazione, una piccola
storia di paese.
Scritti in “forma di poesia” questi quadretti ci restituiscono i toni e i
colori di un’epoca concentrata nel piccolo mondo di un negozio di
tessuti, pardon, di scampoli, in cui tutto ruotava attorno alla figura
mitica di Mamma Gigetta: ” quando la nonna / tagliava una stoffa, /
la bottega si fermava / incantata.”
Fiorini in questo microcosmo è nato e vissuto, crescendo nella sua
dimensione umana e professionale.
“In bottega ero / uno scampolo d’uomo, con indosso / il grembiule
della timidezza”.
Un libricino, questa recente fatica letteraria di Fiorini, da leggere in
una manciata di minuti; semplicemente delizioso. (G.L.S.)
Esordio narrativo di Isabella Pittari – liceale valdagnese – il libro
si colloca nel filone del fantasy
che oggi riscuote grande interesse e non solo tra i giovani.
Stile sobrio ed appassionato, che
punta all’essenzialità del racconto, riuscendo a coinvolgere e a
comunicare i sentimenti che animano i protagonisti proiettati in
un vortice di azioni e di avventure, con colpi di scena, insidie ed
incognite. Un mondo fantastico
ma aperto alla speranza, dove
regnano comunque entusiasmo e
passione che, come scrive Isabella, uniscono i protagonisti in un
legame bruciante che va oltre una
semplice amicizia, che va oltre il
caso, e che segnerà il futuro ...
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