fondato nel 1956 263 PERIODICO DI INFORMAZIONE DELLA VALLE DELL’AGNO ANNO LVI - N.1 Gennaio/Febbraio 2011 Taxe percue (Tassa riscossa) all’Ufficio Postale di Vicenza - Italy € 2,00 - GRATIS AI SOCI - BIMESTRALE EDITO DA: ASSOCIAZIONE PRO VALDAGNO Recapito: 36078 Valdagno (VI), Viale Trento, 4/6 - Telefono 0445 401190 e-mail: [email protected] Direttore Responsabile: Gianni Luigi Spagnolo - Direttore: Vittorio Visonà - Redazione: G. Spagnolo, V. Visonà Stampa: Tipografia Danzo srl - 36073 Cornedo, Via Monte Ortigara, 83 - Imp. Grafica: Elena Chemello Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana Reg. Tribunale di Vicenza n. 92 (22 /12/1956) Sped. in Abb.Post.Comma 20/b Art.2 L. 662/96 Ufficio Postale di Vicenza Ferrovia. Pubb. - 70% I 150 anni dell’Unità d’Italia RIPARTIRE CON R I N N O VAT O ENTUSIASMO Sono trascorsi due anni del mio mandato di presidente, che ha visto la nostra Associazione svolgere moltissime attività con mezzi spesso limitati ma con l’impegno di sempre. Tengo comunque a sottolineare che per continuare con entusiasmo in questo cammino cercando di costruire sempre di più e meglio momenti di incontro e di promozione della vita sociale, culturale e ricreativa della nostra città, occorre, come ho già avuto modo di sottolineare altre volte, un rinnovamento profondo ed in prospettiva futura. Uomini, mezzi già presenti all’interno della nostra associazione, devono essere supportati da forze fresche e dinamiche per dare nuovo impulso e creatività. Mi aspetto quindi, come in parte sta già avvenendo, l’ingresso nel nostro organismo associativo di ragazzi giovani che hanno a cuore il proprio paese, per il quale la Pro Valdagno è, non l’unico, ma uno dei principali veicoli trainanti. Già alcune manifestazioni previste per il 2011 prevedono una partecipazione attiva dei ragazzi dai 13 ai “40” anni e mi aspetto da questi richiami una risposta attiva e sincera. Via via costruiremo tutti assieme un percorso univoco in quanto, come ho già avuto modo di sottolineare nella mia relazione della assemblea annuale, l’età media dei nostri associati è piuttosto alta (io compreso) e dobbiamo rinnovarci per avere un futuro. IL RISORGIMENTO A VALDAGNO: PAGINE DI STORIA CHE NARRANO DI UN POPOLO CHE NEL NUOVO ASSETTO POLITICO-ISTITUZIONALE RIPONEVA LA SPERANZA DI UN RISCATTO LUNGAMENTE ATTESO. Nella cronaca del Soster un resoconto “in diretta” del periodo, con episodi inediti, come quella volta che i valdagnesi arrivarono in ritardo alla battaglia di Sorio... Gianna Dalle Rive Moltissime sono le iniziative in occasione del 150° anniversario della proclamazione di Vittorio Emanuele 2° Re d’Italia, e quindi della nascita dell’Italia come Nazione. La città di Valdagno ha scelto di proporre, tra l’altro, una serie di conferenze sui fatti e i documenti del nostro Risorgimento, come è stato vissuto nella zona. Tutte queste conferenze sono organizzate a cura del Gruppo Storico Valle dell’Agno. Le prime due sono state tenute il 10 marzo 2011 nella Sala “Soster” di Palazzo Festari, con gli interventi di Silvano Fornasa su: “Il 1848-49 nella cronaca del Soster”; e di Antonio Fabris su: “La rivolta dei montanari di Castelvecchio durante la 1° Guerra di Indipendenza”. L’intervento di due attori ha valorizzato la lettura di brani delle memorie di Giovanni Soster (1814-1893), e di alcuni avvisi delle autorità legati agli eventi insurrezionali di quegli anni. Giovanni Soster, orefice, ebbe la passione di raccogliere e commentare minuziosamente le “cronache” della sua Valdagno, e dei dintorni, negli anni dal 1836 alla morte, nel 1893. Ebbe la ventura di assistere come testimone diretto ed attento alla cacciata degli Austriaci dal Vicentino nel marzo Sono convito che l’amministrazione comunale, con la quale è stato rinnovato un accordo collaborativo, saprà fornirci, come sempre ha fatto, quel sostegno economico ed organizzativo essenziale alla realizzazione dei nostri scopi associativi. del 1848, al gonfiarsi della speranza “italiana”, ed al ritorno della dominazione austriaca, che nel Veneto terminò soltanto nel 1866 con l’annessione al Regno d’Italia. Soster, osservatore disincantato, era certamente un conservatore, che assistette con scetticismo alle prodezze del "partito italiano", ma non fu un "austriacante". Gli eventi risorgimentali trovarono una Valdagno essenzialmente rurale, con circa 5400 abitanti (comprese le frazioni di Piana, Cerealto e Castelvecchio). Il tratto dominante che si evidenzia allo sguardo dello studioso è la diffusione della povertà tra la popolazione, che toccava - a seconda della zona, centro o periferie - dal 25% al 75% degli abitanti. Nella prima metà dell'ottocento si registrava un netto arretramento della qualità della vita rispetto al periodo precedente. Ciò è imputabile senz'altro anche ai cambi di regime ed alla conseguente instabilità anche socio-economica. La seconda dominazione austriaca, inoltre, depresse volutamente la nascente industria del Lombardo-Veneto a favore delle proprie manifatture. La conseguenza di tutto questo nell'ambito di una economia già debole fu un'autentica disperante miseria, descritta dalle autorità, e specialmente dal clero secolare e dai medici, come assoluta incertezza del futuro, fame, abbrutimento degli animi. Il medico Ludovico Festari asseriva che la mortalità media degli infanti era di uno su tre, toccando il 50% nei mesi invernali, a causa della denutrizione, del freddo, ed anche dell'ignoranza ed incuria dei genitori. La maggior parte della popolazione viveva coltivando la terra e di allevamento. (segue a pag. 2) Un’immagine “vicentina” del Risorgimento italiano: l’incontro di Vittorio Emanuele II - re d’Italia dal 1861 - con i notabili vicentini, in piazza dei Signori a Vicenza nel 1866. (dipinto di D. Peterlin, Museo del Risorgimento - Vicenza. (segue a pag.2) LA BANDIERA DELL’ITALIA UNITA Ricordando la presenza del tricolore a Valdagno, per la prima volta. di Vittorio Visonà Quando qualcuno chiede quali sono i colori della bandiera italiana, tutti o quasi rispondono che sono tre, elencandoli in ordine alfabetico, quasi a non voler creare “differenze”. Infatti la disposizione sul drappo in bande verticali e secondo il senso di lettura, inizia col colore verde, a seguire il bianco e quindi il rosso. Tra le varie interpretazioni sulla scelta e sul significato dei colori, piace pensare che i più rispondenti alle idealità siano quelli che si configurano nei naturali “Diritti dell’Uomo”: nel verde la speranza, nel bianco la fede serena alle idee, nel rosso la passione, il sacrificio dei martiri e degli eroi, l’amore verso i più alti valori. La nascita del tricolore si riscontra in qualche data. Apparve per la prima volta come coccarda puntata sugli abiti dei patrioti nella sommossa di Bologna il 14 novembre 1794. Al bianco ed al rosso, colori del gonfalone cittadino, gli insorti vollero aggiungere il verde “in segno della speranza che tutto il popolo italiano segua la rivoluzione nazionale iniziata e che cancelli que’ confini segnati dalla tirannide forestiera”. La sollevazione popolare contro la tirannide, era stata voluta e capeggiata da un giovane studente Luigi Zamboni che, confidando in una imminente calata dei Francesi in Italia, che avrebbero ammi(segue a pag. 7) FONDIARIA SAI DIVISIONE FONDIARIA Agenzia Generale di Valdagno Via S. Clemente, 10/12 36078 VALDAGNO (VI) Tel. 0445 409735 - 409933 - Fax 0445 406097 e-mail: [email protected] divisione FONDIARIA 2 gennaio/febbraio 2011 continua dalla prima pag. ”Pensato e scritto” Sappiamo tutti che economicamente è un periodo difficile in tutti i settori, ma la nostra forza principale, come sempre sono i nostri soci che come ogni anno ci sostengono con il loro tesseramento oltre che con la loro partecipazione attiva. Molti sono i volontari infatti che in ogni manifestazione, si offrono per dare una mano ed ovviamente sono sempre ben graditi. Rinnovo ancora una volta a tutti coloro che ricevono il nostro giornale di fornirci, quanto prima, anche attraverso il nostro sito itituzionale www.provaldagno.it - oppure la nostra mail [email protected] i propri indirizzi di posta elettronica affinché possiamo inviare notizie e informazioni delle varie iniziative e promozioni legate alla nostra associazione. Avanti, quindi, con sempre maggiore slancio e in un ritrovato spirito di unità e di collaborazione. Ass. Pro Valdagno Il Presidente Andrea Ederosi continua dalla prima pag. ”Il Risorgimento...” 600-700 persone lavoravano nell'ambito minerario, all'estrazione del carbon fossile, in particolare nella Miniera del monte Pulli, e commercializzandolo soprattutto sulla piazza di Verona. L'industria laniera era agli albori, e Gaetano Marzotto senior era allora consigliere comunale. Il commercio aveva una certa rilevanza nel centro di Valdagno, che era già allora decoroso, con bei palazzi, persone di cultura notai, medici, avvocati, piccola nobiltà, con una certa circolazione di giornali e scambi culturali. La periferia, come la gran parte dei centri limitrofi a Valdagno, conosceva da vicino la misera, come abbiamo detto più sopra, e la sopravvivenza di antiche superstizioni e credenze che continuavano a governare la vita quotidiana di quella povera gente. Nonostante questo, e nonostante un vecchio preconcetto che permane, non sembra che i moti risorgimentali ed il sentimento patriottico siano stati davvero appannaggio soltanto di un ristretto gruppo, una elite "borghese" e benestante, che beneficiava delle informazioni e della circolazione delle idee. Moltissimi popolani, come risulta dai documenti d'archivio, aderirono con consapevolezza, e parteciparono spesso con passione ai moti che portarono alla nascita della Nazione Italiana. Anche il clero era favorevole al partito italiano, e contrario agli Austriaci, a partire da Papa Pio IX e dal vescovo di Vicenza Cappellari. Infatti, come racconta puntualmente Soster, il 18 marzo 1848 a Valdagno la notizia della fuga di Metternich fu salutata con manifestazioni di gioia, le campane suonarono e ci furono canti, feste e grida fin oltre mezzanotte. Il 19 marzo i "patrioti", portando coccarde tricolori, si recarono con la Banda cittadina al solenne "Te Deum" delle 10, e ricevettero la benedizione. In seguito, al grido "W l'Italia, W Pio IX", andarono in giro festeggiando e cantando per le contrade. Alla sera, si fece in piazza una luminaria con lanterne di carta anche sul campanile, ed il giorno successivo l'impazienza di avere notizie fece si che alcuni valda- gnesi corsero a cavallo incontro al corriere postale, gli presero i giornali e li distribuirono in piazza. I Valdagnesi si divisero tra il "partito italiano", ora trionfante in piazza, e "partito tedesco". A Valdagno furono istituite le Guardie civiche. Si arruolarono quasi subito in circa 200, e subito si organizzarono con una struttura di tipo militare, armandosi sia con le armi da fuoco di loro proprietà, sia con attrezzi da taglio ed altre armi improprie persino archi e frecce - e alcuni provenienti da Recoaro con lance. Tra gli ufficiali ed i sottufficiali di questa truppa entusiasta ma poco professionale, al comando di Francesco Cengia Bevilacqua, erano annoverati nomi notevoli, ed anche sorprendenti: il parroco don Annibale Pozzan era sottonenente, come il ventottenne Gaetano Marzotto, non ancora imprenditore della lana. I volontari, riferisce il Soster, erano chiamati anche "crociati", o "crociati di Pio IX", perchè portavano una croce di stoffa rossa cucita sul bavero, o direttamente un crocifisso. Il 24 marzo gli Austriaci lasciarono Vicenza, che aderì momentaneamente alla Repubblica veneziana di San Marco, sebbene molti amministratori fossero dubbiosi, e propendessero invece per il partito filo sabaudo. Gli Austriaci pressavano da vicino la città di Vicenza, per loro indispensabile presidio strategico, e le Guardie civiche si prepa- ravano a difendersi, anche con mezzi rudimentali, ad esempio ammassando pietre nei granai per lanciarle eventualmente sui "tedeschi". I "patrioti" si preparano a contrastare gli Austriaci fuori Vicenza, nella campagna tra Gambellara e Montebello, a Sorio. È l'8 aprile, ed anche nella valle dell'Agno i "patrioti" si preparano a dare man forte agli insorti nella campagna verso Verona, e si organizzano in circa 120 per partire da Valdagno, guidati da Costante Maltauro. Anche da Recoaro scendono 80 uomini pronti per il confronto con gli austriaci. I preparativi prendono tempo: bisogna armarsi, recarsi in chiesa per la benedizione, salutare le madri ed i familiari piangenti, partire a piedi verso il luogo del combattimento... le ore passano, ed i valdagnesi arrivano soltanto alle Tezze di Arzignano, per apprendere che a Sorio lo scontro tra i cinquemila austriaci e i tremila volontari italiani è già all'epilogo, con la sconfitta degli insorti ed una cinquantina di morti. Riprendono quindi il cammino verso Valdagno, da dove gli 80 recoaresi non sono ancora partiti! Nei giorni successivi, anche nell'alta valle dell'Agno cominciano ad arrivare profughi scappati davanti ai "tedeschi". Ora, però, i "crociati" si riscattarono difendendo lo storico "confine" di Campogrosso e Pian delle Fugazze, contrastando le truppe croate dell'esercito austriaco. Prima 20 volontari, poi altri 70, poi ancora altri recoaresi e valdagnesi si recano sulla montagna a reggere un fronte secondario ma strategico. ll 10 giugno Radetzky riprende Vicenza, con la battaglia di Monte Berico, che vede morire millecinquecento patrioti vicentini. Dai documenti risulta che una ventina di cornedesi tentarono di unirsi ai combattenti a Monte Berico. I valdagnesi, ancora, difesero Campogrosso e il Pian delle Fugazze. Si sa che il farmacista Gaetano Pizzati vi combattè, e il cittadino Francesco Cocco vi morì. Dopo la notizia della sconfitta, da Valdagno si richiamarono i volontari combattenti. Seguirono fughe ed esilii di coloro che avevano abbracciato con foga la causa patriottica. Il 24 giugno salirono a Valdagno 120 "Cacciatori" austriaci per prendere i ribelli in fuga, e farsi consegnare le armi. Dei patrioti armati, alcuni fuggirono in Toscana ed a Venezia, mentre gli Austriaci cercavano i disertori e renitenti alla leva nell'esercito austriaco, arrestavano padri e fratelli dei fuggitivi, comminavano salate multe al Comune di Valdagno, ed imponevano l'onere dell'alloggio alle truppe. Nel frattempo, il Comune di Valdagno aveva anche iniziato ad edificare un nuovo municipio, ed era in costruzione l'Ospedale San Lorenzo. (la seconda parte nel prossimo numero) Antica foto-cronaca. La via Manin di un secolo fa. AI TEMPI DELLA ”BOTTE D’ORO” EDILVENCATO s.r.l. EDILVENCATO 36078 Valdagno (VI) Z.I. - Via Campagna, 36 Tel. 0445 402790 Fax 0445 402078 e-mail: [email protected] Gr up PRODOTTI E TECNOLOGIE PER L’EDILIZIA po 4 1 2 Alla pagina 3 si conclude il bel racconto del prof. Sisto Cocco sull’osteria “La Botte d’oro” (chiusa da qualche decennio). Con questa carellata d’immagini, si vuole riportare alla memoria alcune delle varie attività operanti in quel tempo (alcune rimaste). Foto 1: “Amichevole incontro tra società” (presso la trattoria La Cantina”); Hanno collaborato a questo numero: C. Bevilacqua, M. Dal Lago, B. Magrin, F. Morsolin Foto e documenti storici: Ass. Pro Valdagno, B. Magrin,F. Morsolin, G. Spagnolo,V. Visonà 5 Impaginazione grafica: Elena Chemello Stampa: Tipografia Danzo srl - Cornedo Vic. no 3 Foto 2: Riunione dei soci del Mutuo Soccorso davanti al Baracon (1906); Foto 3: “Banda musicale di Valdagno”(1923) - il Baracon fungeva da sala concerto e ritrovo per altre attività; Foto 4: la locandina del “Cinematografo al Teatro Marconi (24 maggio 1913); Foto 5: serata di carnevale al teatro ”Marconi” per dopolavoristi, negli anni ‘20. gennaio/febbraio 2011 LA BOTTE D’ORO a cura di Carlo Bevilacqua E’ sempre come allora, ma con piu’ insistenza di allora sembra indicarci il vecchio orologio appeso alla parete, quasi per dirci : fate presto, comprate, poi è troppo tardi! Ma continuando di questo tono verrebbe proprio voglia di dare del rimbambito a quel vecchio di Alessandro che ebbe la spudoratezza di chiamare l’ osteria “luogo di delizie“. Per fortuna le cose non stanno sempre così e soltanto di rado si devono registrare in Botte di codeste riunioni ex tempore. Normalmente nei giorni feriali, l’ambiente comincia ad animarsi solo verso le ore diciotto, quando cioe’, dalla fabbrica e dal comune cominciano a sfornare i poveri cirenei. Singoli o a piccoli gruppi allora, con o senza ombrello, a piedi o in macchina (sia lode all’edilizia e alle arti e mestieri in genere!) arrivano i pellegrini a bearsi della compagnia degli amici e della festevole accoglienza dei padroni di casa. Ci son sempre, sul tavolo opposto a chi entra, i volti simpatici dei soliti pensionati che, per non essere legati ad orario e per il non offrir la bella Valdagno svago migliore, vengono lì per tempo ad ammazzar la noia, a raccontarsi le solite storie di tanti anni prima, ad attendere che la sala si popoli per confondere con quella altrui la propria malinconia. Quello loro è chiamato il tavolon dei quartini: ce n’é uno davanti a ognuno con un effetto di prospettiva meraviglioso. Il vino per i “vecioti“ è come il brodo per gli ammalati: con il vino come per incanto le preoccupazioni del presente e del domani spariscono, spariscono le rughe, fanno discorsi da… galletti, ritornano giovani e, specie nei giorni di paga o di qualche festa particolare, non è rara la sera che spieghino le voci al canto fino all’esaurimento del loro repertorio di vecchie canzoni. Spicca fra tutti, specie quando occorre un do di petto o sia in programma la Fedora (5), Angelin Pesavento che ha voce , dicono i maligni tanto dolce e chiara, quanto ombroso il suo tem- (seconda puntata) peramento. Io personalmente non credo e sarei pronto a scommettere. Nelle tonalità basse invece domina la voce baritonale di Giuseppe Lora detto Cassa che vanta tra l’altro ben 48 anni di fabbrica e il nobile tentativo di conquistare qualche primato di profondità nel sondaggio notturno, senza batiscafo s’intende, della “rosa“. Dicono che Picard (6) informato, dorma piu’ sonni tranquilli. Fanno parte del coro Gianni Trentin, detto Calda, dall’infernale pipa Belzebù e, inutile nasconderlo, geloso di donna Milia; Antonio Franceschi, meglio conosciuto, non so se per affinità come il biblico o per altro motivo, col nome di Giacobbe. Ha anche questi al suo attivo 35 anni di fabbrica, beve volentieri il suo bicchiere e con un aria così buffa e sorniona, come di un monello che stia combinandone qualcuna di grossa. Maestro concentratore è sempre Sandro Franceschi, con 49 anni di fabbrica e al primo anno di “strillone“ del Campanile. È conosciuto e chiamato da tutti Sandro Cana, alto un metro e 40 centimetri e così disarticolato nei suoi movimenti e nella contrazione perfino della bocca, che se avesse qualche proprietà da ventriloquo sarebbe l’esemplare più vero dell’indimenticabile teatrino Campogalliani (7). È benemerito della guerra 15/18 durante la quale ha sventato un sicuro sabotaggio ad importante polveriera affidata alla sua guardia. Che se, nell’ultimo conflitto mondiale, avesse avuto, dato il suo glorioso passato, un bastone di comando, putacaso in marina, non v’ è dubbio sulla sorte che sarebbe toccata alla pur potente flotta avversaria. Lo assicurano i suoi amici che, ad Altissimo, l’ hanno visto trasformare sé stesso in mago Bacù e il bastone da viaggio in bacchetta magica e disperdere e affondare così i turpi galleggianti nel bidet dei Graizzaro. Conferisce gravità a tutto il coro che, per amore di brevità, ho citato solo negli elementi più caratteristici. Flaminio dal Medico con 57 anni di stabilimento, arsenale vivente di ogni notizia relativa alle antichita’ Il prof. Sisto Cocco valdagnesi. È, si può dire, il perno della tavolata, gode delle simpatie generali ed è tacito monito a tutti i clienti della Botte ai quali sembra voler dire “se volete arrivare così com’io sono, alla bella età di 77 anni, risparmiatevi da giovani“. Inteso Angelino? Capito Eugenio? Ma è ora di cambiare tavolo e di assistere a qualche partita. Anche perché se dovessi continuare a far nomi, dovrei ricordare anche quell’eterno malcontento che tutti chiamano accennando con i movimenti delle dita “forbese“ col rischio di diventare pure io cimossa o, come malignano gli amici, di essere invitato a bere il bianco a casa sua, che sarebbe peggio. Due parole di presentazione quindi agli assidui del “tresette“ della “marianna“ e ai maniaci del nobile “foraccio“. Essi sono: un professore di greco, senza barba, dall’aria canzonatoria meglio conveniente a un imbonitore di polveri contro le pulci (8) o a un venditore ambulante del Poiana Maggiore che ad un severo insegnante; un impresario edile proveniente dal contado, che si dà l’aria del giocatore infallibile, che giustifica le frequenti sconfitte “grugnando“ intraducibili imprecazioni contro le carte o ripetendo alla noia “no go mai visto na’roba compagna“ un altro impresario edile, del centro questo, trentenne, elegante, alto e biondino come un norvegese; un mugnaio del Maglio non lontano parente del famoso Bastian; un cosettino, poco più di trenta chili in tutto, impiegato all’ anagrafe tutto pepe e perciò sempre assetato; un maestro di Montecchio, esperto in micologia e facile a prender fuoco quanto suo cugino “comunista“ e segretario zelante di più bocciofile; un principe consorte, viveur di professione e spugna nel vero senso della parola, e tanti tanti altri che preferisco non citare sia perché sono tuttora gerarchi in fabbrica, sia anche soprattutto perchè bevono solo vino bianco e questo genere di distinzione non mi garba. Avete mai letto la lettera famosa che Macchiavelli scrisse a Francesco Vettori (9) nel 1512 quando il segretario fiorentino era stato allontanato dall’ufficio e s’era ritirato all’ Albergaccio? (10). Vale proprio la pena che ve ne riporti un brano, perchè, leggendola, si ha proprio l’impressione di assistere ad una partita a carte alla Botte. Eccolo: “Mangiato che ho, ritorno all’osteria; quivi è l’oste, per ordinario, un beccaio, un mugnaio, due fornaciai. Con questi io mi ingaglioffo per tutto il dì giocando a cricca e poi, ove nascono mille contese e infiniti dispetti di parole ingiuriose siamo sentiti non di manco gridare da San Casciano. Venuta la sera, mi ritorno a casa e entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto e mi metto panni reali e curiali e entro nelle antiquecorti degli antiqui omini …“. Se si pensa che quelli che s‘ingaglioffano alla Botte gridano spesso come ossessi tanto che, non di rado, fanno accorrere il notaio Simionati (11) che, udendoli dal suo studio crede indispensabile sua opera di paciere e di ufficiale testamentario; se si pensa che nonostante il rumorosissimo aspiratore quando si ritorna a casa si è impregnati di tanto profumo che 3 neppure il Deodorin Rumianca riesce a medicare; se si pensa che una volta a casa con una canzone di Modugno sognamo il cielo dipinto di blù, il parallelismo tra Macchiavelli e noi appare perfetto. Ma è tempo ormai di chiudere la filastrocca e, data l’ora, sono le 19 precise, di correre in Botte a dire al cav. Marchetti (12) che l’articolo è finito e, se del caso, berne un bicchiere insieme, anche se a lui piace solo vino bianco... Così (13) ************** Note: (5) Fedora è, insieme a Andrea Chénier e Siberia, una delle opere più note di Umberto Giordano; la prima rappresentazione avvenne il 17 Novembre 1898 al Teatro Lirico di Milano con l’interpretazione di Enrico Caruso che con quest’opera ottenne la sua prima importante affermazione; (6) Piccard Auguste, Basilea 1884 - Losanna 1962; costruì insieme al figlio Jacques un batiscafo che raggiunse, nel 1960, la profondità mai toccata di 10.910 m. nella fossa delle Marianne; (7) l’Accademia Teatrale Francesco Campogalliani fu fondata nel 1946 da Ettore Campogalliani e dedicata al padre, Francesco Campogalliani (1870 - 1931), commediografo, attore e burattinaio; l’Accademia era ed è ancora una compagnia costituita da attori dilettanti; (8) l’autore, con un artificio retorico, parla di sé in terza persona; (9) ambasciatore fiorentino presso la corte papale; (10) al tempo, Macchiavelli si trovava nella villa dell’Albergaccio, lontano da Firenze, e soprattutto, lontano dagli uffici e dalla vita pubblica, dalla quale era stato scacciato un anno prima; (11) il notaio Renzo Simionati è stato uno storico notaio di Valdagno con studio in via Manin n. 41; (12) morto nel 1979, fu un personaggio pubblico della Valdagno del dopoguerra; fondatore dell’ Avis, Presidente della Pro Valdagno, attivo in tutti i settori della vita amministrativa e sociale, istituì tra l’ altro il Premio della Bontà; (13) è l’acronimo con cui il prof. Cocco si firma. Foto sopra: Panorama del centro cittadino visto da via Castello. Stretto attorno alla chiesa, il paese è tutto sul versante occidentale della valle. Il versante opposto è ancora incontrastata area del verde dei prati e delle colline. (ed. G. Modiano&C. - Milano Fine ‘800) 4 gennaio/febbraio 2011 AUTOPSIE DI Pi Greco E DI UNA MACCHINA DA CUCIRE Il titolo della mostra (marzo- aprile 2011)che l’Istituto Tecnico V.E. Marzotto di Valdagno dedica alle opere e alle installazioni di Vittorio Marchis è particolarmente intrigante e lascia intravedere la complessità di un intervento culturale condotto in una misteriosa ed affascinante regione in cui si incrociano le strade della scienza, dell’arte, dell’antropologia. La nostra è la civiltà delle macchine, per eccellenza; esse sono il nostro vanto e la nostra forza per scoprire e governare il mondo (e la società). Ma delle stesse ben pochi conoscono la struttura, “l’anatomia e la fisiologia”. E se un esperto - dalla cultura poliedrica, come Marchis - ci conduce per mano a scoprire ciò che si cela dentro le macchine, si entra in un mondo fatto non solo di cavi, ingranaggi, leve e bottoni, ma tutto intessuto della memoria di un passato fatto di scienza, fantasia, progetti, suggestioni ed emozioni estetiche. Vittorio Marchis - ingegnere e docente di meccanica applicata - insegna al Politecnico di Torino e si definisce “anatomista delle macchine” e sotto la sua lente di esploratore-artista finiscono lavastoviglie e telefoni, aspirapolvere e tostapane, macchine da scrivere e da cucire… In un percorso che - come nel caso della mostra valdagnese parte dal famoso Pi-Greco: “Nulla nella geometria esisterebbe senza la squadra e il compasso, nulla nella meccanica senza il Pi-Greco e così dissezionando una macchina si scoprono le storie del mondo”e dimensioni estetiche inesplorate che fanno capire come, al di là della divisione accademica tra sapere scientifico ed cultura umanistica, esista in realtà una grande unitarietà di fondo del nostro essere uomini in una civiltà tecnologicamente avanzata. (G.L.S.) MASCHERE IN PIAZZA A VALDAGNO - Carnevale 2011 Domenica 6 marzo, ultimo di carnevale, si è svolta, come da tradizione (la sfilata di carnevale a Valdagno ha oltre un secolo di vita), la festa delle “Maschere in Piazza”. Già dal primo pomeriggio la piazza del Comune era presa d’assalto da centinaia di “maschere” di ogni foggia e colore: un variopinto andirivieni lungo il corso, scaldato da un ormai ultimo sole invernale, quanto mai propizio per l’occasione. Sul palco, l’animazione e l’intrattenimento erano assicurati dagli “Spritz”, con gruppi di balletti “Le mille e una danza”, “Folklore brasiliano”, il Mago Danilo con i suoi giochi di prestigio ed illusionismo, che sempre affascinano, e la sfilata delle maschere iscritte alla competizione, per aggiudicarsi l’attestato di merito di una delle caratterizzazioni richieste dalla manifestazione. Una giuria (composta da Vallì Gasparella, Marcella Nori, Emilio Nizzero, Luciana Grandis e Vittorio Visonà) nel frattempo osservava ed annotava. Alla fine gli attestati sono stati conferiti a: La maschera più originale: "Nettuno" di Andrea ; "Diavoletta" di Alice Gruppo più originale: "Bad Boys e Bad Girls", Scuola P. dei Nori; "Medioevo", scuola Ponte dei Nori La maschera da 0 a 5 anni: "Principino" di Nicolò; "Fragolina" di Iside La maschera ever green: "Le radici del ricordo" di Vania e Gianfranco; "W l'Italia" di Antonio e Patrizia; Gruppo di sole donne: "Fatina Winx" di Ippolito; "Gruppo Can Can” di Ponte dei Nori; Costume last minute: "La gallina" dello stand Provaldagno; "La bimba" del gruppo "Le fritole" . Vittorio Visonà A lato: una gioiosa carrellata di foto su “Maschere in Piazza” ed. 2011 (che ha voluto ricordare anche i 150 anni dell’Unità d’Italia, con la presenza di alcuni gruppi mascherati rievocativi del Risorgimento), scattata in piazza del Comune durante la consegna degli attestati, da parte del presidente della Pro Valdagno, Andrea Ederosi, ai vincitori delle varie “specialità”. gennaio/febbraio 2011 ... PROGETTO IN EVOLUZIONE Gianni Luigi Spagnolo 85 Le proposte progettuali per la riprogettazione e il riuso delle fondamenta della villa incompiuta nel Parco La Favorita (il cui progetto era stato affidato da Gaetano Marzotto a Gio Ponti e Francesco Bonfanti); non solo nelle tre migliori, selezionate dalla commissione del concorso, ma in tutte sono emerse indicazioni di grande interesse Il progetto di Gio Ponti Il ritrovamento dei disegni per il progetto di Villa Favorita a Valdagno di Gio Ponti ha fornito lo spunto ideale per indire un concorso di idee sull'area, dal titolo “Progetto in evoluzione”, con l’intento di acquisire idee progettuali per la realizzazione di strutture e spazi funzionali adatti alle attività ricreative, sportive e culturali da svolgersi nel parco e nell'area delle fondamenta, durante tutto l’arco dell'anno. La Villa, articolata su tre piani (uno interrato e due fuori terra) con una superficie coperta di circa 900 mq. doveva sorgere al centro di un “parco architettonico”, Parco Favorita, tra “il giardino dei giochi” e “il giardino delle arti”. Il Parco La Favorita Innovazione e rigore formale, valorizzazione del contesto ambientale, strutture e spazi per una socializzazione aperta e creativa... Grande rilievo doveva assumere l’ingresso principale, rivolto verso il parco a sud con un grande patio, mentre la facciata verso ovest, sarebbe stata esaltata dall’asse monumentale delle gradinate del parco verso la città.. Queste le tematiche sulle quali si sono cimentati i concorrenti che hanno partecipato al concorso di idee “Progetto in Evoluzione”, indetto dall’Amministrazione Comunale di Valdagno assieme alla Fondazione e all'Ordine degli Architetti P.P. e C. della provincia di Vicenza; concorso apertosi il 1° ottobre 2010 e conclusosi il 12 gennaio 2011 con la pubblicazione della graduatoria finale, che ha proclamato vincitori: - 1° classificato: Maurizio Dalla Valle, Alessandro Dalla Valle, Daniele Cappelletti; - 2° classificato: Eleonora Cecconi, Alessio Bovini, Alessandro Cossu ; - 3° classificato: Alessandro Baldo. Ancora una volta, come era capitato ai tempi di Bonfanti e di Gio Ponti, si può parlare di “Valdagno città dell’architettura” per sottolineare lo stretto legame tra cultura architettonica, che si è concretizzato in realizzazioni importanti, come il Parco La Favorita e tutta la Città Sociale in cui è inserito; legame che deve rafforzarsi ed esprimersi in nuove realizzazioni con uno spirito innovativo e creativo. In linea con le indicazioni che ci vengono proprio da un progetto incompiuto. Il progetto propone uno spazio continuo e orizzontale, dove la natura acquista un’importanza straordinaria. L’esperienza dello spazio continuo è intimamente legata all’incidenza della luce sui volumi che lo delimitano. I corpi di vetro diventano così scatole opache se osservate dall’interno, mentre si trasformano in volumi completamente trasparenti, che mutano l’interno in esterno se osservati da un punto di vista prospettico ad essi perpendicolare. L’edificio è costituito da un basamento/piano terra dove si sviluppano le seguenti funzioni: - punto informazioni, sala lettura, spazio espositivo, depositi, internet point, guardaroba, ufficio, cucina bar caffetteria e servizi igienici. L’accesso al piano terra avviene tramite un vialetto in pendenza sul prolungamento ideale dell’asse della Città Sociale. Il volume emergente al di sopra la sala lettura ospita una sala polivalente con tribuna e cento posti a sedere. La caffetteria si sviluppa anche nel volume emergente posto sopra di essa e accede al terrazzo del podio con tavolini all’aperto. 1° premio La progettazione, affidata da Gaetano Marzotto Jr. agli architetti Francesco Bonfanti e Gio Ponti, tra il 1936 ed il 1939, si concretizzò nella costruzione delle fondamenta tuttora visibili; nel 1940 i lavori furono interrotti a causa del sopraggiungere della guerra. Svolgendosi nella stessa direzione scelta da Gio Ponti e Francesco Bonfanti, per il disegno del giardino, un lungo scavo segna, attraverso vuoti e pieni una direzione. 2° premio Il disegno di questa direzione è affidato a una coppia di lunghi muri, scabri e privi di rifiniture, che si stagliano come quinta scenica del parco naturale. Il primo e più alto di questi elementi ricalca la traccia della corte della Favorita, ne ricrea il volume acquisendone solo misura e sensazione di raccoglimento; proprio da questo luogo, attraverso una “scala esigua, che si arrampica lungo il muro” si accede alla quota della Favorita, prima stanza del progetto. Da questo luogo di luce si aprono le due direzioni del progetto, a ovest il percorso della musica, a est quello dell’arte. L'ipotesi di progetto si sviluppa, intorno al rudere del piano interrato di Villa Favorita. L'idea di progetto si basa sul recupero dei coni visuali verso il parco, ipotizzati da Ponti nel disegno di Villa Favorita. I due edifici pensati e posti a nord e a sud della fondazione della villa, sono disegnati in pianta e in sezione come due cannocchiali ottici che riprendono gli affacci delle logge della villa di Ponti verso il parco. Dal punto di vista funzionale, l'edificio si sviluppa principalmente nel piano seminterrato, dal quale si accede alla struttura. Sul lato ovest, sono collocate due rampe di discesa. Nel piano seminterrato, vi sono collocate le funzioni di servizio alle attività del parco; nella zona di ingresso un bar e ampi spazi; negli edifici multipiano, trovano posto alcune sale polivalenti di varie dimensioni, che possono essere utilizzate dalle scuole del territorio per realizzare progetti di studio, da associazioni, gruppi culturali e sociali per riunioni, corsi o mostre. 3° premio Il Parco La Favorita rappresenta un complesso paesaggistico di assoluto prestigio, per dimensione (circa 5 ettari) e impianto, ricchezza del patrimonio arboreo e per la qualità delle sue architetture. La progettazione del parco La Favorita fu affidata negli anni Trenta da Gaetano Marzotto (contestualmente alla realizzazione della Città Sociale o Città dell’Armonia) a Bonfanti e Zardini, autori di gran parte della Città Sociale valdagnese. Al suo interno vi si riconoscono: gli ingressi monumentali, la grande gradinata, le balaustre di pietra e graniglia dei terrazzamenti, il viale alberato, le serre ed il parco romantico. Al centro dell’area monumentale, il progetto prevedeva la realizzazione di una grande villa padronale, (progetto di Gio Ponti e Francesco Bonfanti). I lavori per la sua realizzazione furono interrotti a causa della seconda guerra mondiale e mai più ripresi. Le fondazioni del palazzo sono tuttora visibili. Il parco per molti anni rimase privato, sede di serre per la floricoltura e di vaste aree coltivate. È stato ceduto all’Amministrazione Comunale nell’anno 2000 e successivamente è iniziato l’intervento di restauro naturalistico ed architettonico. Nel dettaglio, il progetto di recupero del parco ha visto interventi per il restauro naturalistico e per il restauro architettonico dei manufatti (gradinate, balaustre). Venne eseguito un completo rilievo della vegetazione, con la schedatura di circa una cinquantina di specie diverse e la valutazione del suo stato di salute, presentandosi oggi al visitatore, per quanto riguarda il suo assetto ed il patrimonio arboreo, in modo abbastanza fedele rispetto l’impianto originario e l’idea dei progettisti. La parte principale del grande parco oggi aperto alla città è rappresentata da una grande struttura monumentale a balconate, con parapetti e percorsi tracciati. Una grande scalinata monumentale conduce ad un vasto spazio rialzato. In questa grande area, la più elevata del parco stesso, sono presenti numerose specie arboree di grandi dimensioni, che delineano un ambiente di grande suggestione e impatto. Oggi il parco è destinato al tempo libero delle persone ed alla realizzazione di eventi quali spettacoli, percorsi natura, attività per bambini, attività ginniche assieme a tutte le iniziative che attualmente possono svolgersi solamente nel periodo più mite dell’anno. 5 6 gennaio/febbraio 2011 Domenico Bruschi, pittore dell’Unità d’Italia Personaggio poliedrico e geniale, che affrescò Il Palazzo del Monte di Pietà di Vicenza Bepi Magrin Fin dal 1861 correva la notizia che Firenze sarebbe stata capitale di Italia e a Palazzo Pitti (che si presumeva dovesse diventare residenza del Re) si lavorava per adattare l’edificio alla regale presenza. In particolare la palazzina della Meridiana era divenuta un vero cantiere pittorico ove le decorazioni a soggetto storico avrebbero creato l’opportuna cornice all’evento. Qui, accanto a pittori della fama di Luigi Mussini (1813-1888), Annibale Gatti (18271909) avrebbe fatto il suo apprendistato il giovane Domenico Bruschi consolidando la sua predilezione per i temi storici. Il suo lavoro sarebbe stato circoscritto alla sala del Trono ove operava appunto il Gatti, un intradosso dedicato al Genio Militare e due putti con lo stemma Sabaudo ricordano proprio quelli dipinti a tempera dal Bruschi in San Domenico a Perugia (1869). Ma nelle stesse stanze reali della Meridiana, troviamo pure la scena dell’Italia che viene presentata alle altre nazioni e gli episodi della vita di Michelangelo oltre ad uno stipo ligneo elaborato nei disegni dallo stesso Bruschi, mobile che poi viene donato dal Comune di Perugia al Re per il suo insediamento fiorentino. Altre successive commissioni tra cui quella per il Trionfo di Aureliano (1869) faranno del Bruschi un artista riconosciuto e molto richiesto specialmente per la diffusione di idee puriste e classiche. A Perugia l’omaggio all’artista che affrescò il Palazzo del Monte di Pietà a Vicenza. Le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia sono state occasione per una mostra promossa dalla provincia di Perugia e dedicata ad un grande artista italiano quale fu Domenico Bruschi (1840-1910). Ritratto del Bruschi eseguito dal pittore A. Giancarli (olio su tela) nel 1912. Si trova presso la sede comunale di Perugia, a Palazzo dei Priori. Si tratta di un personaggio poliedrico e geniale, che cosparse l’Italia, e non solo, di inestimabili tracce del suo passaggio, non trascurando la nostra Vicenza che ancora conserva - forse con insufficiente attenzione - gli affreschi del pittore nella facciata del Palazzo del Monte di Pietà sulla Piazza dei Signori, opere che risalgono al periodo 1907-1909 e che sono tra le ultime, ovvero quelle della sua completa maturità, lasciateci dal pittore perugino. A tali opere accenna in modo lusinghiero L. Ongaro nel suo “Il Monte di Pietà di Vicenza” (pagg. 51-55) edito da Arti Grafiche VI nel 1909, opera che andrebbe rivisitata e magari riproposta all’attenzione e alle cure di coloro che hanno a cuore la genesi e le stesse bellezze artistiche della nostra città. Domenico Bruschi, allievo del Valeri nella Accademia di Perugia si era perfezionato nell’arte pittorica a Firenze, sotto la guida di Stefano Ussi, prima di soggiornare in Inghilterra (1862-1868) dove eseguì nei più eleganti palazzi varie decorazioni a soggetto mitologico. Di seguito troviamo il pittore a Roma città allora da poco capitale del Regno, ove gli viene affidata la cattedra di Ornato del reale Istituto d’arte e diventa Accademico di San Luca. Ma la sua più importante e riconosciuta attività artistica, iniziò nel 1875 quando Bruschi dipinse a Tavernelle (Pg) le pareti della parrocchiale e la cappella del Rosario. La notorietà giunse presto, coi successivi lavori nel Palazzo della provincia, nel battistero e nel Duomo della sua città. Lo troviamo poi nell’isola di Malta, al Quirinale, a Montecitorio ove è presente con le pitture murali nei palazzi della Camera e del Senato, a palazzo Corsini e nel palazzo del Ministero delle Finanze ecc. Del 1877 sono i lavori a Palazzo Clitumno -Trevi, e ancora a Spoleto, al Quirino di Roma, alla Basilica dei SS Apostoli e nel Duomo di Palestrina, come a Cagliari ecc. Celebri anche le decorazioni lasciateci in Palazzo Cesaroni (Pg) o e le storie bibliche dell’Oratorio dell’Annunziata eseguite tra il 1898 e il 1901. Altre sono oggi parte di importanti collezioni private come il ritratto di Fanny Folz segnalato a Buenos Aires Argentina. Invece le opere della facciata vicentina del Monte di Pietà, analoghe a quelle (perdute) del Palazzo vescovile perugino (1880), sono quelle ormai conclusive di una feconda ed intensa attività che riguarda anche il ritrattismo ed altre pregiate forme espressive tra cui miniature, decorazioni ecc. Una ricchissima bibliografia che spazia negli anni dal 1853 al 2009 con circa 150 titoli correda il catalogo recentemente pubblicato per cura di Corrado Balducci e che riporta immagine di interessanti documenti che riguardano anche la città berica, come l’Atto di sottomissione fra Bruschi e il Comune di Vicenza del luglio 1908, i ricordi e i progetti delle decorazioni esterne di Perugia e Vicenza, città entrambe di raf- finata cultura che si trovano gemellate nell’opera di Domenico Bruschi. Si tratta di un vero e proprio contratto di fornitura di cui si rinviene copia negli archivi comunali al numero 6980/1909 del Protocollo Generale. In esso il Comm. prof. Domenico Bruschi, si impegna a fornire e porre in opera gli arazzi destinati a ricoprire le pareti della sala dei ricevimenti del comune. Tessuti di primissima qualità, dipinti a perfetta regola d’arte con figure che rappresentano nel quadro principale, “I legati vicentini al Convegno di Pontida” mentre negli altri quattro riquadri previsti nel contratto, si rappresentavano con figure allegoriche e con ornati, le “principali epoche della storia di Vicenza” secondo i bozzetti già presentati all’esame del committente. L’opera del costo previsto di Lire 6.500 doveva essere presentata e posta in opera ove previsto entro il marzo del 1909. Ad esso fa cronologicamente seguito una lettera che il Bruschi scrive il 7 ottobre da Vicenza al Presidente dell’Accademia di Perugia comunicandogli il compimento della sua opera decorativa per la facciata del Monte di Pietà della stessa città e cita anche un suo viaggio a Venezia dove ha eseguito altri due lavori. Nelle tre foto in alto, figure ormai rese illeggibili dal tempo e dall’incuria, sulla facciata del Palazzo del Monte di Pietà a Vicenza. Rappresentano una sequenza biblica che ripercorre le vicende di Mosé. Il ritratto di Isabella Guardabassi è un olio su tela del 1898 di collocazione ignota, l’immagine è tratta da E. Santi, Mostra di pittura dell’800 a Perugia 1951. gennaio/febbraio 2011 7 (continua dalla prima pag”La Bandiera”...) avrebbero ammirato e rispettato il sacrificio dei fratelli italiani caduti nella ricerca della libertà propria, pensava ad una vittoria non troppo difficoltosa. Ma la storia fu drammaticamente diversa. Il tricolore italiano come stendardo, nasce a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, dunque 214 anni a far data oggi, 7 gennaio 2011, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni decreta “che si renda universale lo stendardo o Bandiera Cispadana di tre Colori Verde, Bianco e Rosso e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti”. La bandiera tricolore Cispadana ha i colori disposti in tre strisce orizzontali: il rosso in alto, il bianco in mezzo, il verde in basso. Al centro è dipinta la faretra con quattro frecce, a simboleggiare la unione delle quattro popolazioni di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia. Ma il vessillo tricolore aveva sventolato già l’anno prima alla testa delle formazioni dei patrioti italiani arruolati volontariamente nell’Armata d’Italia per combattere contro l’Austria. Napoleone infatti, entrato vincitore a Milano il 10 maggio 1796, aveva promosso l’organizzazione della “Legione Lombarda” consegnandole lo stendardo scelto tricolorato, ornato dal motto “Subordinazione alle leggi militari” e dagli emblemi della libertà. Il Tricolore a Valdagno, per la prima volta. Nelle “Cronache” di Bernardo Bocchese (1755-1833) si trova ampia notizia di quando e in che forma apparve per la prima volta il tricolore in paese. Scorrendo quelle semplici ma puntuali annotazioni, si avverte anche come la gente vivesse quel periodo denso di avvenimenti politici e sociali, in un clima di guerra, con un forte disorientamento. Alla caduta della Repubblica di Venezia “…1797 addì 28 aprile… giorno che i Veneziani hanno perso tutto lo Stato”, alla quale i valdagnesi, per secoli, erano stati “fedeli” servitori, si installarono a Valdagno, come in tutto il resto del territorio vicentino, i soldati napoleonici. Il 4 maggio arrivò da Vicenza l’ordine di “…tirare zo tutte le arme (stemmi, simboli e altro veneziani) che si trovano in Vicariato e nelli Palazzi delli Conti ...”. Tale smantellamento fu portato a termine, su incarico ricevuto dalle autorità locali, credenti interpreti dei nuovi proclami inneggianti Libertà ed Uguaglianza, dal muratore Zuane Beni, dietro compenso di lire venete 200. Sempre dalle “Cronache” si apprende delle manifestazioni euforiche di quei giorni. “1797 addì 27 maggio, in piaza hanno cavato il buso e la sera medesima hanno piantato l’Albero della Libertà a tre colori rosso, bianco e verde, alle ore 20,30”. Tale “Albero” fu sorvegliato per tutta la notte da quattro volontari. Per tenerlo in piedi, oltre ad aver praticato il buco in terra, i volonterosi pensarono di sostenerlo meglio accatastandogli alla base del materiale “appropriato”, che fu approvvi- gionato, come si legge nelle note del Bocchese, “…togliendo zò di fuora della chiesa nova (San Clemente, aperta al culto nel 1778) il deposito di un Guariero Trissino che era in una cassa dietro la sua cappella e le sue ossa portate sul segrà e quel materiale (e) di quelli sassi (probabilmente frantumazioni dell’altare) se n’è servito per sostenere l’Albero della Libertà”. La “fonzione”, cioè la cerimonia, ebbe luogo la domenica pomeriggio col discorso di un’ora pronunciato da Giuseppe Rubini. “Il signor Giuseppe Rubini del fu Gio. Batta vestito di panno verde con le mostre bianche e rosse, la divisa e con la stola a traverso del collo de tri colori verde e rosso e bianco e là in piaza rente la Loza (la loggia della casa comunale) soto la Madona vi era un palco e la predica sulla Libertà l’à predicata un’ora crescente e un (altro) palco era posato al casamento del Mastini in piaza e là vi era sonadori di violino in diversi e si cantava la cansoneta patriottica e vi era don Francesco Rubini del fu Carlo che bateva con la carta di musica e in arquanti si cantava. Dopo di aver finito da cantare e finito da predicare, dopo siamo andati intorno all’albero a ballare… tutte cansonete patriottiche”. Il sincero entusiasmo di tanti democratici rimase, infatti, deluso dal trattato di Campoformio (17-18 ottobre 1797), in particolare della “vendita” della regione all’Austria da parte di Napoleone. Una annotazione su Giuseppe Rubini (1744-1820) uno dei principali organizzatori dei festeggiamenti filo-francesi del maggio 1797. Sposatosi giovanissimo con Maria Maddalena Nicolini di Thiene, con la sua notevole capacità organizzativa e amministrativa, riuscì in breve a creare a Valdagno una delle “industrie” più attive e fiorenti, indirizzata alla concia delle pelli. Ma oltre a questa si occupava anche della lavorazione e del commercio della seta. Rubini era un imprenditore “arrivato” e credibile. Anche per questo fu un personaggio di primo piano accettato nella diffusione delle nuove idee e nella applicazione dei decreti delle amministrazioni “giacobine”. Coinvolto in pieno nel processo d’instaurazione del nuovo regime e per la sua notorietà a Vicenza venne nominato membro della prima “Municipalità provvisoria vicentina”, che aveva il compito di tenere il governo della città fino all’avvento degli ordinamenti defi nitivi. Col trattato di Campoformio, tutto cambiò. Intanto però, con la prima campagna d’Italia, che Napoleone condusse fino al 1799, si era assistito all’antico sgretola- mento del sistema di Stati in cui era divisa la penisola. Al loro posto sorsero numerose repubbliche giacobine, di chiara impronta democratica (ricordiamo la Repubblica Ligure, la Repubblica Romana, la Repubblica Partenopea, la Repubblica Anconitana), che rappresentarono la prima espressione di quegli ideali di indipendenza che alimentarono successivamente il Risorgimento italiano. E’ proprio in quegli anni che la bandiera venne avvertita come simbolo del popolo, delle l ibertà conquistate e della nazione stessa. La Repubblica Cisalpina, nata dalla fusione delle repubbliche Transpadana e Cisalpina, adottò il tricolore quale bandiera nazionale l’11 maggio 1798. Dopo il Congresso di Vienna (1815) e la restaurazione dei regimi reazionari, il tricolore comparve sporadicamente, come simbolo rivoluzionario della Carboneria, a Napoli e a Torino nel 1821 e 1828. Fu Giuseppe Mazzini, fondatore della Giovane Italia (1831), ad adottare il tricolore come simbolo dell’Italia futura. Il tricolore sventolò nelle strade di Genova il 10 dicembre 1847, nell’anniversario dell’insurrezione popolare del 1746, ma con un chiaro significato patriottico ed antiaustriaco. Uno dei portabandiera era un giovane di nome Goffredo Mameli. Il 23 marzo 1848, al momento di varcare il Ticino ed intraprendere la guerra contro l’Austria, Carlo Alberto adottò il tricolore come bandiera del proprio esercito, inserendo nella banda bianca centrale, lo stemma dei Savoia. Dopo il 1849 il tricolore divenne il simbolo del Regno di Sardegna e dal 1861 (orsono 150 anni) del Regno d’Italia. Da quell’anno, pur mancando una esplicita sanzione normativa, il Tricolore divenne la bandiera nazionale italiana. Solo il 24 dicembre 1923 si arriverà ad avere, per la prima volta, una legge che disciplinasse lo stendardo della Nazione. Alla nascita della Repubblica, dopo il secondo conflitto mondiale (1940-1945), seguì un decreto legislativo presidenziale datato 19 giugno 1946 che stabiliva in via provvisoria, la foggia della nuova bandiera. Foggia confermata dall’Assemblea Costituente nella seduta del 24 marzo 1947 e inserita nell’articolo 12 della nostra Carta Costituzionale. “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”. (In occasione della Festa della Bandiera -Palazzo Festari - Valdagno, 7 gennaio 2011) CORNICI SU MISURA - CORNICI PERSONALIZZATE SPECCHIERE - PORTAFOTO - STAMPE Ci hanno lasciato... Generoso, cordiale, stimato, durante il lungo periodo di lavoro alla Marzotto e per la sua attività di sindacalista, in cui trasfuse tutto il suo impegno e la sua sensibilità sociale, in particolare durante l’occupazione della fabbrica del 1968. Di quel periodo tenne un diario quotidiano degli eventi, realizzando così una preziosa testimonianza. Da molti anni ormai era nota ed apprezzata la sua attività nell’ambito culturale cittadino come fondatore e presidente del museo civico paleontologico “Domenico Dal LaDario Savi go”. Questa la personalità di Dario Savi, mancato il 21 febbraio 2011, dopo una lunga malattia affrontata con quella determinazione che caratterizzava il suo stile di vita, in tutti campi: dal lavoro, alla passione per lo sport (il calcio negli anni ’40 e ’50, il tennis tavolo, l’atletica e lo sci di fondo). Aveva 79 anni, sposato con la signora Mirella, da cui aveva avuto tre figli: Maurizio, Michela e Massimo. Valdagno e la vallata lo ricordano per la sua costante ed attiva presenza nel mondo del volontariato e per la sua grande passione per i fossili (i “sassi”) custoditi nel museo cittadino e fatti oggetto di studio e di cura costanti: sono passate generazioni di studenti in quei locali di palazzo Festari dove egli spiegava con pazienza e competenza le testimonianze fossili della storia della formazione e dell’evoluzione dei nostri monti. Una competenza che si era fatta “sul campo”, in molti anni di osservazioni e di letture specifiche, con quella caparbietà che era certamente parte della sua intelligenza. Giuseppe Mischi Un altro grande vecchio della vallata se n’è andato: Giuseppe Mischi, di anni 92. Carattere estroso, temperamento spesso battagliero soprattutto quando si dovevano affrontare le grandi sfide per lo sviluppo di Valdagno. Attivo dall’inizio degli anni ‘70 nel Comitato di Sviluppo della Valle dell’Agno, fu tra i primi a credere veramente nella possibilità di realizzare il traforo tra Valdagno e Schio e per questo non faceva mai mancare la sua voce nelle varie assemblee pubbliche. A lui vogliamo rendere omaggio ripubblicando una sua scherzosa composizione (apparsa nell’opuscolo sul centenario del campanile di Novale - 2004). DON DAN fa le campane per ciamare i parocchiani a dovere de cristiani. Anca mi da zovaneto ogni mattina andavo a messa. In senoccion se disea le orassion. A la festa guai a mancare alle sante funsion che predicava el paroco don Chiarello, Don Gildo e Don Silvio. Se fasea la confession. In quei tempi gera obligo versare alla ciesa un decimo de tutto el raccolto. In più ghe gera el campanile in costrussion. Così in ogni contra un'incarica el passava per ogni abitassion a catar su i ovi. Don Chiarello dai pulpito ogni domenega el disea contrà per contrà el numero de ovi catassù. Quando el numero gera basso el se fermava de parlare, el fasea: ma queste galline sele forse malà che le fa così pochi ovi?". In ogni modo el nostro campanile se pur corea voce che el saria casca xo perche fatto coi ovi, ciacole a parte, noialtri Novalesi del nostro campanile semo orgogliosi perchè anca se fatto coi ovi, el xe el più bel campanile della vallata. 8 gennaio/febbraio 2011 IL GINKO DEI ”RUARI” Quattro istantanee che fissano un bellissimo esemplare di Ginko Biloba, un vero ”fossile vivente”, pianta rara, unica specie sopravvissuta delle famiglia delle Ginkoaceae, le cui origini risalgono a 250 milioni di anni fa. Appartiene alle gimnosperme, cioè i suoi semi non sono protetti dall’ovario. In zona Ruari, proprio vicino alla strettoia, fa mostra di sè questo magnifico esemplare (notevole anche per le sue dimensioni). Da oggi in poi, quando passeremo di là, soffermiamoci ad ammirarlo, ricordando quanta forza e quanta storia sono racchiuse in questo albero. Qui a lato, in sequenza, le quattro stagioni: inverno, primavera, estate, autunno. (Foto di Vittorio Visonà) LA BOTTEGA DI MAMMA GIGETTA IL DESTINO SULLE SPALLE di Isabella Pittari Sistema di Deneb, prima colonia terrestre al di là del Sistema Solare. La pace era stata per lunghi anni mantenuta dalle Due Accademie, Oregon e Defender, unite in una salda alleanza. A coordinare le loro mosse era stato l'Ordine delle Streghe, composto da abilissime guerriere con il potere di controllare gli Elementi. Tuttavia l'Equilibrio era venuto a mancare a seguito dell' assassinio di Egrit e Tevon, i due comandanti. L'alleanza era stata spezzata, le Streghe, ritenute responsabili, sterminate, ed era scoppiata la guerra… Adolfo Fiorini – valdagnese, storico commesso della Bottega di Mamma Gigetta a Maglio di Sopra – è un narratore raffinato (molti ricordano la sua “Wanda dei rubinetti”) che sa disegnare con brevi ma incisivi tratti di penna un personaggio, una situazione, una piccola storia di paese. Scritti in “forma di poesia” questi quadretti ci restituiscono i toni e i colori di un’epoca concentrata nel piccolo mondo di un negozio di tessuti, pardon, di scampoli, in cui tutto ruotava attorno alla figura mitica di Mamma Gigetta: ” quando la nonna / tagliava una stoffa, / la bottega si fermava / incantata.” Fiorini in questo microcosmo è nato e vissuto, crescendo nella sua dimensione umana e professionale. “In bottega ero / uno scampolo d’uomo, con indosso / il grembiule della timidezza”. Un libricino, questa recente fatica letteraria di Fiorini, da leggere in una manciata di minuti; semplicemente delizioso. (G.L.S.) Esordio narrativo di Isabella Pittari – liceale valdagnese – il libro si colloca nel filone del fantasy che oggi riscuote grande interesse e non solo tra i giovani. Stile sobrio ed appassionato, che punta all’essenzialità del racconto, riuscendo a coinvolgere e a comunicare i sentimenti che animano i protagonisti proiettati in un vortice di azioni e di avventure, con colpi di scena, insidie ed incognite. Un mondo fantastico ma aperto alla speranza, dove regnano comunque entusiasmo e passione che, come scrive Isabella, uniscono i protagonisti in un legame bruciante che va oltre una semplice amicizia, che va oltre il caso, e che segnerà il futuro ...