MONDO CINESE
RIVISTA TRIMESTRALE
SOMMARIO
Politica interna
Marina Miranda
Il PCC discute di come migliorare la propria “capacità
di governo”
pag. 3
Economia e diritto
Corrado Molteni
Gli investimenti delle case automobilistiche giapponesi
in Cina
pag. 10
Marco De Marco
Considerazioni sull’adozione di software ERP nella
Repubblica Popolare Cinese
pag. 18
Cultura e società
Valentina Pedone
Contesti extrascolastici di socializzazione della seconda
generazione cinese
pag. 33
Documenti
La funzione di Internet nel processo di democratizzazione
in Cina
pag. 44
Rapporti
Clara Bulfoni
Beijing International Education Expo 2004
pag. 63
Filippo Salviati
n. 121
Ottobre-Dicembre 2004
“Sulla via di Tianjin, mille anni di relazioni tra Italia
e Cina”
1
pag. 69
ISTITUTO Vittorino Colombo per lo sviluppo delle relazioni culturali,
economiche e politiche con la Repubblica Popolare Cinese.
Presidente onorario: Giulio Andreotti
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"MONDO CINESE"
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OTTOBRE/DICEMBRE - ANNO XXXII - N. 121
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2
Politica Interna
Il PCC discute
di come migliorare
la propria “capacità
di governo”
Jintao, invece, ha avuto la possibilità di consolidare in breve tempo la propria posizione politica,
riuscendovi a 61 anni, un’età eccezionalmente giovane rispetto a
quella di tutti gli altri precedenti
leader della Repubblica popolare.
Il merito di aver fatto in modo che
il passaggio dei poteri avvenisse
in modo ordinato va a Jiang
Zemin, il quale aveva già favorito una sorta di formalizzazione
istituzionale all’interno della
leadership, fissando limiti di età1
e di mandato2 per le principali
cariche al vertice del partito e dello
stato. Si temeva, però, che lo stesso Jiang potesse arrestare tale tipo
di processo e ostacolare così il
passaggio reale dei poteri ai leader della quarta generazione. Se
non si fosse dimesso dalla Commissione militare centrale, l’exSegretario generale avrebbe superato il precedente storico fissato da Deng Xiaoping, il quale aveva mantenuto la sua posizione a
capo di tale organismo militare
solo per due anni, fino al 1989,
dopo essersi ritirato dall’Ufficio
politico e dal Comitato centrale
nel 1987. Sembrerebbe quindi
essere in atto una trasformazione da un tipo di potere fortemente
personalizzato a una forma più
istituzionalizzata di governo, regolata da norme e procedure.
MARINA MIRANDA
1. Il completamento di una successione ordinata
I
l 4° Plenum del XVI Comitato
centrale, che si è riunito dal
16 al 19 settembre 2004, ha
segnato una svolta importante
nella storia della Repubblica popolare: il completamento del passaggio dei poteri da Jiang Zemin
a Hu Jintao, che così ha ottenuto
anche la nomina a Presidente della Commissione militare centrale.
Si è conclusa quindi la prima successione ai vertici del partito avvenuta in modo non traumatico,
senza che sia stata provocata da
eventi scatenanti, come la morte
di un leader o il verificarsi di una
crisi politica. Ricordiamo che, nel
corso delle precedenti transizioni
al vertice, tutti i successori via via
designati sia da Mao Zedong che
da Deng Xiaoping erano caduti
in disgrazia prima di riuscire ad
affermare il proprio potere. Hu
3
Politica Interna
Non sono tuttavia del tutto chiari
i retroscena e i passaggi politici,
su cui ha cercato di far luce la
stampa di Hong Kong3, che, in un
clima di grande incertezza ancora alla vigilia del Plenum, hanno
alla fine portato alle dimissioni di
Jiang. Dopo il suo ritiro, non si
può però certo immaginare che il
peso politico dell’ex-Segretario
generale sia azzerato completamente, in quanto potrebbe, in
maniera simile a quella di Deng,
continuare ad esercitare la propria influenza dietro le quinte.
Ricordiamo che sono a lui molto
vicini cinque dei nove membri dell’Ufficio politico, tra cui Huang Ju
e Zeng Qinghong. Proprio la candidatura di quest’ultimo, ancora
secondo la stampa di Hong
Kong4, pare fosse stata proposta
da Jiang per la carica a Vice-presidente della Commissione militare centrale; in realtà, invece, Zeng
non figura ancora neanche tra i
membri che compongono tale organismo.
Dopo la sua promozione, il posto
di Hu in qualità di Vice-presidente è stato assunto dal generale
Xu Caihou, il quale possiede una
buona esperienza politica, essendo stato a capo negli ultimi cinque anni del Dipartimento politico dell’Esercito. Per quanto riguarda il ruolo della commissione stes-
sa, esso sembrerebbe essere stato in un certo senso potenziato,
dato che il numero dei suoi componenti è stato aumentato da 8
a 11.
Nonostante la nomina ottenuta,
Hu ha ancora bisogno di dimostrare quanto sia saldo il suo legame con l’Esercito. Bisogna ricordare che alla fine degli anni
’90, era stato coinvolto da Jiang
nel processo di risanamento delle
attività imprenditoriali dei militari, cresciute enormemente nel corso delle riforme e che avevano
dato vita a molteplici forme di
corruzione. Nonostante il difficile
compito affidatogli, Hu era riuscito a imporre la propria autorità; ciò può essere considerato
come un preliminare riconoscimento del suo ruolo a capo dell’Esercito.
2. Migliorare la “capacità di
governo”
Quanto la posizione di Hu ai vertici del partito sia ormai consolidata appare evidente dal testo
delle “Risoluzioni del Comitato
centrale del PCC per rafforzare
la capacità di governo del partito”5 , nelle quali viene ulteriormente ampliata e sviluppata la
visione politica della nuova
leadership. Questo documento
4
Politica Interna
approvato dal 4° Plenum pone in
primo piano, tra le priorità dell’agenda politica, quella di migliorare la capacità di governo del
partito, un progetto di ampio respiro, articolato in molti punti e
che investe diversi aspetti del ruolo
del PCC.
La nuova funzione che il partito è
chiamato a svolgere nella società
era stata uno dei principali temi
affrontati nel documento del XVI
Congresso 6 : in esso era stata
esplicitata ufficialmente, per la
prima volta, l’avvenuta trasformazione del PCC da “partito rivoluzionario” in “partito di governo”.7 Lo sviluppo di tale processo
evolutivo è dunque consistito nell’affrontare il problema della capacità del partito di guidare il
paese.
Dopo che tale tema era stato trattato anticipatamente nell’editoriale del Quotidiano del Popolo
del 1 luglio 20048, in occasione
dell’83° anniversario della fondazione del PCC, la stampa di
Taiwan lo aveva annunciato come
l’argomento all’ordine del giorno del successivo 4° Plenum. 9
Averne fatto il tema centrale di
quest’importante riunione politica sta a significare quanto la capacità di governo rimanga ancora un problema aperto. E’ un segnale incoraggiante di come la
nuova leadership voglia mantenersi al passo coi tempi, riconoscendo che i profondi cambiamenti generati da più di 25 anni di
riforme necessitano una più efficace gestione delle questioni economiche e sociali, come pure
maggiore trasparenza politica.
Il problema del miglioramento
della capacità di governo è reso
impellente dal fatto che il processo di trasformazione in atto ha
raggiunto una fase critica in cui
sono emersi fattori di crisi che
potrebbero compromettere la stabilità sociale. Promuovere ulteriormente le riforme e consolidare il
ruolo del partito costituisce una
prova senza precedenti per poter
governare il paese e rappresenta
una doppia sfida, sia sul piano
interno che su quello internazionale. A tale riguardo è da tempo
in corso all’interno del PCC una
profonda riflessione sulle cause
che in altri paesi hanno portato il
partito unico al potere a dover
abbandonare la scena politica: tra
le diverse ragioni individuate, l’incapacità di adattarsi ai mutamenti sociali in corso e la scarsa attenzione prestata al problema del
miglioramento della capacità di
governo.
Quest’ultimo tema è presentato
dalle “Risoluzioni” come una delle questioni di maggior rilevanza
5
Politica Interna
strategica per il futuro del socialismo, unitamente alla capacità
del partito di realizzare i cosiddetti “tre compiti storici”: il progresso della modernizzazione, la
riunificazione del paese, il mantenimento della pace mondiale e
la promozione dello sviluppo comune. Nel primo di questi tre
obiettivi, lo sviluppo economico
rimane la priorità essenziale,
unitamente al miglioramento dell’economia di mercato e l’adattamento agli standard internazionali.
Nella sua funzione di guida, il partito necessita di un risanamento,
attraverso l’introduzione di ulteriori meccanismi di controllo nel
proprio funzionamento interno,
come il decentramento dei processi decisionali, l’adozione di
procedure che abilitino i membri
ordinari a monitorare i rendimenti
dei quadri superiori, l’istituzionalizzazione di norme che rendano
più trasparenti i meccanismi di
selezione e promozione dei funzionari. Risanare il partito significa soprattutto combattere efficacemente il fenomeno della corruzione. A tale proposito il Plenum
ha fornito un esempio significativo: con l’approvazione del rapporto della Commissione centrale per le Ispezioni disciplinari, ha
espulso dal Comitato centrale
Tian Fengshan, accusato di corruzione per circa 5 milioni di
yuan.
Nell’intero documento appaiono
molteplici riferimenti al principio
di legalità: è significativo che sia
richiamata ed enfatizzata in più
punti la necessità di “governare
in base alla legge” (yi fa
zhizheng). Ciò sta a significare che
il partito è tenuto ad agire attenendosi alla legge e non può ritenersi al di sopra di essa; si rende necessario inoltre ridefinire i
suoi rapporti con le istituzioni e
l’amministrazione del paese, con
cui il partito non deve interferire
e a cui non può assolutamente
sostituirsi.
La capacità di governare in base
alla legge è ritenuta una delle cosiddette “cinque grandi capacità”
che dovrebbero possedere i quadri di partito secondo quanto
enunciato dal documento. Le altre consisterebbero nella capacità di controllare l’economia di
mercato, di fronteggiare gravi
emergenze, di fornire un giudizio
“scientifico” delle situazioni e di
assumerne il controllo globale.
Uno dei problemi più gravi da
affrontare è il basso livello di competenza dei quadri, nonostante la
lunga esperienza accumulata negli anni. In base a quanto emerso in una recente inchiesta effet6
Politica Interna
tuata dalla scuola centrale di partito, il 66,9% dei quadri di livello
superiore a quello di distretto non
sarebbe in grado di controllare
l’economia di mercato, il 58,1%
possiederebbe scarsa capacità di
fornire un giudizio “scientifico”
delle situazioni, mentre più di un
terzo avrebbe difficoltà a fronteggiare le emergenze o ne perderebbe completamente il controllo, come, ad esempio, è successo
durante la fase iniziale dell’epidemia della Sars. 10 Inoltre i quadri di diversi livelli spesso dimostrerebbero mancanza di spessore ideologico, senso di responsabilità e integrità politica.
“Scientifico” è un termine spesso
ricorrente in molti passaggi del
testo delle “Risoluzioni”: scientifico deve essere l’approccio adottato nel migliorare la capacità di
governo e nello sviluppare ulteriormente le riforme; scientifico il
processo decisionale da promuovere; scientifico il principio cui bisogna aderire, quello di “porre la
popolazione al primo posto”.
Scientifico è uno sviluppo economico che tenga conto del fattore
umano, uno sviluppo sostenibile,
ben coordinato in modo complessivo con quello sociale, una crescita bilanciata da un sistema di
garanzie sociali, una maggiore
attenzione ai problemi e agli squi-
libri della crescita economica.
Un’altra delle parole d’ordine più
citate è quella di “governare per
il popolo”, unitamente a quella
di mantenere saldi i rapporti con
la popolazione come “muscoli e
sangue” di un unico organismo.
E’ importante notare che nelle
“Risoluzioni” ricorre più volte un
altro termine, che sembra fare così
il suo ingresso ufficiale nell’attuale
gergo politico della nuova
leadership, quello di una “società armoniosa” (hexie shehui), un
modello cui deve tendere la Cina
per evitare gli squilibri e i conflitti
sociali.11 Gli squilibri da correggere sono quelli tra città e campagna, tra aree costiere e regioni interne meno sviluppate, in
particolare quelle abitate da minoranze nazionali, quelle delle
zone di confine nord-occidentali
e sud-occidentali, la vecchia base
industriale del nord-est.
In tale modello “armonioso” si fa
riferimento alla società nel suo
complesso e non a strati specifici
e più avanzati, come nel cosiddetto pensiero de “le tre
rappresentatività”12, spesso citato nel testo del documento. A quest’ultima elaborazione teorica,
considerata come ideologia guida, bisogna aderire per l’edificazione del partito, unitamente al
marxismo-leninismo, al pensiero
7
Politica Interna
di Mao e alla teoria di Deng
Xiaoping. Il documento esalta in
più punti il contributo fornito da
Jiang Zemin al partito e al popolo, durante gli anni in cui ha ricoperto le più alte cariche, a partire dal 4° Plenum del XIII Comitato centrale (giugno 1989).
Molti dei temi affrontati nelle “Risoluzioni” di questo 4° Plenum del
XVI Comitato centrale vengono
trattati in maniera più articolata
in un importante documento
neibu, a circolazione interna,
emanato l’8 ottobre 2004 dal
Comitato centrale e indirizzato ai
comitati di partito a livello provinciale e inferiore. E‘ la stampa
di Hong Kong, sempre aggiornata e sensibile a determinate
problematiche, a presentare una
sintesi di questo documento denominato “I dieci elementi scatenanti di (possibili) crisi prima del
2010 nel nostro paese”.13 Essi consisterebbero in una crisi di fiducia nel marxismo-leninismo e nel
sistema socialista da parte degli
stessi membri del partito a diversi
livelli; nella scarsa competenza,
demotivazione e arrivismo di molti quadri; nella corruzione in aumento all’interno del partito e
nella società; nelle difficoltà per
la creazione di un sistema legale
e di uno stato di diritto; nella discrepanza tra sistema politico e
sviluppo dell’economia di mercato; nelle strozzature nello sviluppo economico e finanziario; negli squilibri nella distribuzione del
reddito tra strati sociali e tra aree
geografiche; nell’allentamento del
rapporto tra partito e masse; nella
più generale crisi culturale e morale; nelle difficoltà per la risoluzione pacifica del problema di
Taiwan.
E’ questa una riproduzione sintetica ma puntuale dei mali e delle
contraddizioni che affliggono la
società cinese contemporanea e
della cui gravità il partito sta
prendendo definitivamente coscienza.
1) La norma del limite d’età di 70 anni
per l’appartenenza all’Ufficio politico fu
applicata nel 1997 al XV Congresso nei
confronti di Qiao Shi, Yang Baibing, Liu
Huaqing, Zou Jiahua.
2) Il limite di due mandati è stato fissato per le cariche di Segretario generale
del partito, Primo ministro, Presidente
della repubblica e dell’Assemblea nazionale del popolo.
3) Yong Bing, “Jiang Zemin xiatai neimu“
(I retroscena delle dimissioni di Jiang
Zemin), Zheng ming (Zm), n.10 (324),
ottobre 2004, pp. 6-8.
4) “Jiang Zemin zhu zheng shisan nian“
(I tredici anni in cui Jiang Zemin ha diretto la politica), Fenghuang zhoukan,
n.28 (161) ottobre 2004, pp. 14-20.
5) “Zhonggong zhongyang guanyu
jiaqiang dang de zhizheng nengli
jianshe de jueding“ (Risoluzioni del
8
Politica Interna
Comitato centrale del PCC per rafforzare la capacità di governo del partito), Beijing qingnian bao, 27 settembre
2004, pp.1-3.
6) Jiang Zemin, “Quanmian jianshe
xiaokang shehui, kaichuang Zhongguo
tese shehuizhuyi shiye xin jumian. Zai
Zhongguo Gongchangdang Di-shiliu ci
Quanguo Daibiao Dahui shang de
baogao“ (Costruiamo in modo
onnicomprensivo una società del benessere, creiamo nuove condizioni per
la causa del socialismo con caratteristiche cinesi. Rapporto all’Assemblea
Generale dei Delegati di tutto il paese
al XVI Congresso del Partito Comunista Cinese), Renmin ribao, internet ed.
(Rmrb), 18 novembre 2002, p.1.
7) Sebbene tale trasformazione possa
apparire ormai ovvia, l’importanza di
un’affermazione di tale tipo risiede nel
fatto che sia stata inserita per la prima
volta in un documento ufficiale. Si veda,
M. Miranda, “Il Partito comunista cinese da ‘partito rivoluzionario’ a ‘partito
di governo’”, Mondo Cinese, n.113, ottobre-dicembre 2002, pp.15-28.
8) “Yi tigao zhizheng nengli wei
zhongdian jiaqiang he gaijin dang de
jianshe - qingzhu Zhongguo
Gongchandang chengli bashisan
zhounian“ (Rafforziamo e miglioriamo
l’edificazione del partito prendendo
come punto chiave il perfezionamento
della capacità di governo - Celebriamo
l’ottantatreesimo anniversario della
fondazione del PCC), Rmrb, 1 luglio
2004.
9) “Zhonggong tisheng zhizheng nengli
jianshe mianlin yali yu tiaozhan“ (Le sfide e le pressioni che devono affrontare i Comunisti cinesi nel miglioramento
della capacità di governo), Zhonggong
yanjiu, vol. 38, n.7 (451), luglio 2004,
p.3.
10) “CPC’s Major Challenges”, Beijing
review, internet ed., vol. 47, n. 44, 4
novembre 2004.
11) “Riots provide bleak picture of
society’s ills”, South China morning post,
internet ed., 4 novembre 2004; Philip
P. Pan, “Civil unrest challenges China’s
party leadership”, Washington post,
internet ed., 4 gennaio 2004.
12) In base a tale elaborazione teorica
formulata da Jiang Zemin, il partito rappresenterebbe “le esigenze di sviluppo
delle forze produttive più avanzate, gli
orientamenti della cultura più avanzata e gli interessi fondamentali di larghissima parte della popolazione”.
13) “Wo guo 2010nian qian shi da weiji
yinsu“ (I dieci elementi scatenanti di
[possibili] crisi prima del 2010 nel nostro paese), in Yong Bing, “Zhonggong
wenjian xi shi da weiji“ (Un documento
dei comunisti cinesi analizza dieci grandi
[fattori di] crisi), Zm, n.11 (325), novembre 2004, pp.12-14.
9
Economia e diritto
Gli investimenti
delle case
automobilistiche
giapponesi in Cina
soli produttori stranieri in Cina.
Le case giapponesi esportavano i
loro modelli, ma non realizzarono alcun investimento significativo, nonostante i tentativi del governo cinese di indurre la Toyota
a farlo.
Una seconda fase nello sviluppo
dell’industria automobilistica cinese si aprì a metà degli anni novanta, quando il governo adottò
una politica industriale mirata allo
sviluppo e al consolidamento di
un settore ritenuto strategico.
Obiettivo della nuova politica era
quello di favorire la crescita di un
numero limitato di produttori nazionali – tre grandi e tre di medie
dimensioni –, dotati d’adeguate
risorse finanziarie e di tecnologie
avanzate. A tal fine fu promossa
la costituzione di joint venture
paritetiche tra i principali
costruttori nazionali, quasi tutti
controllati dal governo, e i grandi gruppi stranieri, ai quali si offriva un mercato potenzialmente
enorme, ma si richiedevano anche investimenti e il trasferimento di tecnologie e conoscenze
manageriali. In questa fase, dopo
lunghe e complesse trattative, alcuni produttori europei ed americani riuscirono a formare alleanze strategiche con partner cinesi, ma le grandi case automobilistiche giapponesi rimasero ancora una volta alla finestra, op-
CORRADO MOLTENI
1. Dall’iniziale cautela alla
massiccia penetrazione degli
ultimi anni
L
’apertura del settore automobilistico cinese agli investimenti esteri risale alla metà
degli anni ottanta. Le prime società straniere che decisero di produrre in Cina, sempre in joint venture con partner locali, furono nell’ordine: l’American Motors
Corporation (poi acquisita dalla
Chrysler), che avviò nel 1983 la
produzione della Jeep Cherokee
in una società mista con la Beijing
Auto Works (BAW), la Volkswagen,
che nel 1984 iniziò a produrre il
modello Santana in una joint venture con la Shanghai Automotive
Industrial Corporation (SAIC), e
la Peugeot, che nello stesso anno
avviò la produzione in un impianto localizzato a Guangzhou. Questi pionieri europei ed americani
rimasero per una decina d’anni i
10
Economia e diritto
pure furono semplicemente escluse dai negoziati.1 Era infatti convinzione diffusa in Giappone che,
nonostante i bassi costi della manodopera, produrre in Cina non
fosse per nulla conveniente.
Come sostiene ancor oggi Chi
Hung Kwan, economista cinese
che però lavora in Giappone, 2 il
basso livello della produttività per
addetto, gli elevati costi indiretti
e l’inferiore qualità dei componenti e dei semilavorati non garantivano e non garantirebbero
tuttora gli standard qualitativi e
d’efficienza delle fabbriche giapponesi. Meglio quindi puntare
sulle esportazioni e sulla creazione di un’efficiente rete distributiva. Questa tesi, però, non convinse del tutto le imprese. Di fronte
al rischio di accumulare ulteriori
ritardi in un mercato che stava
crescendo a ritmi impressionanti,
le grandi case automobilistiche
decisero nei primi anni di questo
secolo di affrontare la sfida della
produzione in loco.
La Honda, da sempre il costruttore
più dinamico e innovativo, fu la
prima società ad effettuare il gran
passo, rilevando nel 1998 le attività e gli impianti della Peugeot a
Guangzhou. La decisione fu favorita anche dal fatto che la società era già presente in Cina con
impianti per la produzione di
motociclette. Aveva quindi acqui-
sito una notevole esperienza che
le permise di rilanciare la società
rilevata dai francesi. Il successo
di questo investimento3 e, soprattutto, la rapida crescita del mercato cinese dopo l’ammissione
della Cina al WTO indussero anche gli altri produttori giapponesi a rivedere le loro strategie. 4
2. La situazione attuale: la nascita di una grande fabbrica
integrata
Come risulta dalla tabella 1 in
appendice, attualmente tutte le
principali case automobilistiche
giapponesi hanno delocalizzato in
Cina una parte importante delle
loro attività produttive. Toyota,
Honda, Nissan hanno costituito
joint venture paritetiche con i maggiori produttori locali. La Toyota
con le imprese del gruppo FAW,
First Automotive Work, il maggior
produttore cinese di autoveicoli,
che però ha creato società miste
anche con la Volkswagen e la
Mazda del gruppo Ford. 5 La
Honda con due case automobilistiche: il gruppo Guangzhou
Automotive, con il quale gestisce
una società mista in grado di produrre 240.000 auto l’anno, e la
Dongfeng Motor. Con quest’ultima società la Honda produce annualmente a Wuhan 30.000 veicoli, ma le due società hanno re11
Economia e diritto
centemente annunciato che la
capacità produttiva sarà portata
a 120.000 veicoli entro il 2006. 6
Infine, la Nissan, l’ultima a sbarcare, ha creato un’alleanza strategica con la Dongfeng Motor. 7
Le tre società hanno inoltre costituito una fitta rete di impianti per
la produzione di motori, trasmissioni e componenti, dovendo conformarsi alla normativa cinese
che, sino a metà del 2004, imponeva alle case automobilistiche di
utilizzare determinate percentuali
di componenti prodotti localmente. Ad esempio, il gruppo Honda
in Cina è costituito da una decina di imprese che producono parti e componenti, alcune compartecipate come la Dongfeng
Honda Engine e la Dongfeng
Honda Autoparts, ed altre interamente controllate dalla società
giapponese. 8 Sono cresciuti notevolmente anche gli investimenti dei
produttori di componentistica indipendenti, contribuendo alla formazione di una grande officina
integrata. Questa complessa rete
produttiva si basa su di una dinamica divisione del lavoro tra
impianti localizzati in Giappone
e fabbriche cinesi, sfruttando il
vantaggio competitivo dei due
paesi: una divisione del lavoro che
si riflette anche nel commercio
bilaterale tra i due paesi, in rapida crescita, e caratterizzato da un
sempre maggiore
intraindustriale.
scambio
3. Gli sviluppi recenti
Il mutamento di strategia delle
imprese giapponesi appare ancora più evidente osservando contenuti ed obiettivi degli ultimi investimenti.
Toyota ha recentemente annunciato che dal 2005 inizierà ad
assemblare in Cina, in una joint
venture con il gruppo FAW, anche
la Prius, il modello tecnologicamente avanzato della casa giapponese, dotato di un propulsore
ibrido, a benzina ed elettrico:
modello che risponde alle esigenze cinesi di ridurre i consumi
energetici e di limitare la congestione e l’inquinamento provocati dalla rapida motorizzazione. 9
Anche la Nissan appare determinata a seguire una strategia di
rapida penetrazione e di consolidamento della propria presenza.
Lo dimostrano le dimensioni e il
livello tecnologico dei nuovi impianti che la società sta costruendo con il partner cinese, la
Dongfeng Motor, nella zona di
Huadu a Guangzhou. La nuova
fabbrica, che a regime avrà una
capacità produttiva annua di
150.000 autoveicoli, potrà produrre sulla stessa linea otto modelli diversi, usando la tecnolo12
Economia e diritto
gia che Nissan utilizza nei suoi
impianti in Giappone. Inoltre, è
prevista l’inaugurazione entro il
2005 di un centro di ricerche con
circa 700 dipendenti che, in collaborazione con i tecnici della
Nissan, svilupperanno modelli
adatti alle esigenze del mercato
cinese. 10
La Honda, infine, ha costituito nel
2003 una società mista con
Dongfeng Motor e il gruppo
Guangzhou Automotive, per la
produzione a Guangzhou di
50.000 utilitarie destinate ad essere esportate in Asia ed in Europa. Si noti che si tratta del primo
caso di joint venture nella quale il
socio straniero detiene una partecipazione maggioritaria. (La
Honda controlla il 65% della società, mentre i partner cinesi ne
possiedono rispettivamente il 10
e il 25%).11 L’acquisizione della
maggioranza da parte della
Honda è divenuta possibile dopo
l’annuncio della nuova politica per
il settore automobilistico, la cosiddetta Automotive Industry
Development Policy, in vigore dal
1º giugno 2004. 12 Varata con
l’obiettivo di consolidare ulteriormente l’industria nazionale e sostenere la crescita di imprese in
grado di competere nel mercato
internazionale, la nuova politica
autorizza le società estere ad acquisire quote superiori al 50%,
purché le società siano orientate
a produrre per i mercati esteri ed
operino in aree designate.
Inoltre, tutte le società giapponesi sono impegnate a sviluppare le
loro reti di vendita e di assistenza, beneficiando anche del fatto
che ora possono affidare la distribuzione a strutture che, a differenza del passato, non devono
commercializzare anche i prodotti
delle società cinesi. Come
latecomers, e sfruttando i vantaggi del ritardatario, le imprese
giapponesi stanno dunque investendo in modo aggressivo, ponendosi all’avanguardia dal punto di vista del prodotto, della tecnologia e della rete distributiva.
Toyota, che inizialmente si era
proposta di acquisire una quota
di mercato del 10% entro il 2010,
potrebbe addirittura raddoppiarla, utilizzando la capacità produttiva che sta approntando con i
partner cinesi. Honda, come si è
detto, inizierà presto ad esportare modelli della casa giapponese
ma “made in China”, mentre la
Nissan si avvia a costituire un polo
produttivo di rilevante importanza strategica.
4. Problemi e prospettive
Certo, le imprese giapponesi devono affrontare e risolvere diversi problemi. Innanzi tutto, la for13
Economia e diritto
te concor renza tra produttori
stranieri, che i cinesi mostrano di
saper abilmente sfruttare, non
solo riduce margini e profitti, ma
pone anche seri problemi per
quanto riguarda il trasferimento
tecnologico. Si noti che molti dei
principali produttori cinesi hanno stretto alleanze strategiche in
regime di “promiscuità”. Il gruppo FAW ha costituito numerose
joint venture con la Toyota, ma
anche con la Volkswagen e la
Mazda del gruppo Ford. La
Dongfeng Motor, partner privilegiato della Nissan e di Renault,
ha joint venture e collaborazioni
anche con Citroën/Peugeot,
Honda e Kia. La SAIC con
Volkswagen e General Motors.
Questa politica dei produttori cinesi è certamente funzionale ad
una rapida acquisizione di tecnologie e di capacità manageriali ad
ampio raggio, ma dal punto di
vista delle case automobilistiche
giapponesi rende più complessa
la gestione dei rapporti di collaborazione. Anche per questo, alcuni produttori, tra cui Toyota,
hanno deciso di allacciare alleanze con altre imprese, cercando
di creare condizioni che ne rafforzino il potere contrattuale. 13
Tuttavia questa scelta è limitata
dalla politica cinese per il settore
automobilistico. Essa prevede, infatti, che i gruppi stranieri non
possano costituire più di due joint
venture per ogni categoria di veicoli (automobili, veicoli commerciali, motociclette ecc.). Inoltre,
qualunque iniziativa è in ogni
caso soggetta all’approvazione
del governo cinese.
La propensione a firmare accordi
con una pluralità di imprese rischia di creare anche un eccesso
di capacità produttiva. Alcuni analisti ritengono che ciò potrebbe
verificarsi già dall’anno prossimo.
Ed il problema è destinato ad
acutizzarsi negli anni successivi,
quando la riduzione dei dazi doganali porterà ad un aumento
delle importazioni e, conseguentemente, della concorrenza sul
mercato cinese. 14 Del resto, già
dalla primavera di quest’anno si
è registrata una contrazione delle vendite, determinata in parte
dall’aumento dei tassi di interesse e in parte proprio dall’attesa
di una riduzione futura dei prezzi.
Esiste inoltre un problema di costi di produzione e di efficienza
degli impianti. Uno studio del
Centro di Shanghai dell’Università di Kyoto mostra come nel settore automobilistico i costi di produzione possono essere ancora
molto elevati.15 È vero che il costo
della manodopera è molto inferiore rispetto al Giappone. A
Shanghai, la città con i salari più
14
Economia e diritto
alti, il costo del lavoro medio annuo, comprensivo anche delle spese per l’assistenza medica e sociale, si aggirerebbe infatti intorno al 10% del costo in Giappone.
A Tianjin non arriverebbe al 4%.
Tuttavia, considerando la produttività per addetto (numero delle
auto prodotte in un anno per addetto), il divario si riduce notevolmente e in alcuni casi il costo
del lavoro in Cina sale fino al 90%
di quello giapponese. Inoltre, vi è
il problema del costo e della
reperibilità di attrezzature e di
semilavorati. I prodotti cinesi sono
molto meno costosi (un torno a
controllo numerico prodotto in
Cina costa circa il 40% di un torno prodotto all’estero), ma ciò
nonostante la maggior parte delle imprese, anche quelle di proprietà statale, usa prevalentemente macchine utensili importate.
Sono di produzione estera anche
i robot e quasi tutti i macchinari
che incorporano tecnologie avanzate. Le imprese devono inoltre
confrontarsi con le difficoltà d’approvvigionamento in loco di materiali e semilavorati. Tutto ciò
rende ancora poco competitiva
l’industria cinese, anche se gli
assemblatori finali e i produttori
di componentistica stanno certamente facendo rapidi progressi.
Tuttavia nel medio-lungo termine
il progresso dei costruttori cinesi
potrebbe minare le basi della cooperazione. Una volta in possesso delle più avanzate tecnologie
e delle competenze manageriali
necessarie, i produttori cinesi potrebbero rendersi indipendenti,
acquisendo eventualmente il controllo delle società miste. Certo,
ci vorrà tempo. Al momento, e per
molti anni a venire, le imprese cinesi, non disponendo di sufficienti
capacità di ricerca e di sviluppo
autonome, continueranno a dipendere dai loro partner stranieri per l’accesso alle tecnologie più
avanzate. Ma non si può nemmeno parlare di totale dipendenza.
Nel corso di questi anni si va creando una reale integrazione che,
se da un lato consente alle imprese giapponesi di penetrare in
una mercato in rapido sviluppo,
dall’altro lato permette alle imprese cinesi di crescere e di inserirsi in una rete produttiva di primo livello. Affinché la cooperazione continui è necessario però
che le imprese giapponesi sviluppino la propria rete distributiva e
di assistenza in Cina, mantenendo una salda leadership tecnologica. In caso contrario potrebbero essere un giorno superate da
coloro che hanno contribuito a far
crescere.
1) Il più importante progetto per un
nuovo impianto fu assegnato ad una
15
Economia e diritto
joint venture paritetica tra la Shanghai
Automotive Industrial Corporation
(SAIC) e la General Motors. La Toyota,
che negli anni ottanta aveva respinto
le offerte cinesi, non fu nemmeno invitata al tavolo delle trattative.
2) Chi Hung Kwan, dopo una laurea
in economia conseguita alla Chinese
University of Hong Kong, ha studiato
all’Università di Tokyo e dal 2001 lavora come Senior Fellow al RIETI, l’Istituto di ricerche del Ministero dell’Economia, Commercio e Industria.
3) Nel 2003 la Honda ha venduto
117.129 veicoli in Cina, con una quota di mercato del 5,4%, superiore al
3,5% della Nissan ed al 2,4% della
Toyota.
La Volkswagen conserva la prima posizione con una quota di mercato del
32,2%, diminuita, però, rispetto all’anno 2000 quando la società tedesca
deteneva una quota superiore al 50%.
Segue la General Motors con una quota
del 9,5%. (Dati forniti da Fourin, società di consulenza giapponese specializzata nell’analisi del settore automobilistico).
4) Secondo le stime degli analisti più
accreditati, entro il 2010 il mercato degli autoveicoli in Cina potrebbe assorbire dai 7 ai 10 milioni di unità all’anno, diventando così il secondo mercato al mondo dopo gli Stati Uniti. Le vendite di automobili dovrebbero attestarsi
tra i 3 e i 4 milioni di unità.
5) La costituzione di joint venture con
una pluralità d’imprese tra loro concorrenti – aspetto caratterizzante le politiche sia dei produttori cinesi sia delle
società estere – ha indotto la Toyota a
firmare un accordo con il gruppo
Guangzhou Automotive per la produzione del modello Camry della casa
giapponese.
6) Si veda http://www.japancopr.net/
Article.Asp?Art_ID=8703.
7) Hanno investito in società miste per
la produzione d’autoveicoli e di loro
componenti anche Isuzu, Suzuki,
Daihatsu, Mazda e Mitsubishi. Suzuki,
in particolare, ha costituito due importanti joint venture con due diversi partner. Tali investimenti garantiscono alla
società giapponese un’importante posizione nel mercato cinese.
8) Gli investimenti esteri nel settore della componentistica non sono soggetti
al vincolo di una partecipazione del capitale straniero non superiore al 50%.
9) Toyota non produrrà in Cina né i
motori né le sofisticate batterie elettriche, che continueranno ad essere
esportati dal Giappone.
10) Sull’ultimo investimento della Nissan
si veda The Nikkei Weekly del 24 maggio 2004.
11) Si veda http://world.honda.com/
news/2003/c030529.html.
12) Si veda l’articolo sulla politica industriale
cinese
in
htpp://
www.freshfield.com/practice/
automotive/9935.pdf.
13) Nel 2003 la Toyota ha firmato un
accordo con il gruppo Guangzhou
Automotive per la produzione a partire dal 2006 del modello Camry. L’accordo è stato approvato dal governo
cinese nel corso di quest’anno.
14) A seguito dell’ammissione della Repubblica Popolare Cinese al WTO, i dazi
sulle auto importate scenderanno al
25% entro il luglio 2006.
15) Si veda Marukawa Tomoo,
“Chûgoku jidôshasangyô ni okeru
guroobarukyôsô to chûgokushiki
jidôsha seisan” (L’industria automobilistica cinese: competizione globale e il
modello di produzione), Kyôto Daigaku
Shanghai Sentaa, Kyôto, 2004.
16
Economia e diritto
Tabella 1. Principali joint venture sino-giapponesi nel settore automobilistico
Joint venture
Società
cinese
Società
giapponese
Anno
inizio
produzione
Prodotti
Capacità
produttiva
(x mille)
Tianjin FAW
Toyota Motor
First Automotive
Work (FAW
Group)
FAW Group
Toyota
2002
Modelli Vios
e Corolla
30
Toyota
1998
Motori
70
FAW Group
Toyota
Motori V6
130
(prevista)
FAW Group
Toyota
Previsto
per inizio
2005
2000
10
Dongfeng
Motor (DFM)
Nissan
n.d.
Guanzhou
Automotive
Honda
1999
Dongfeng
Motor (DFM)
Honda
2004
Modelli Land
Cruiser, Prado
Modelli
Bluebird
e Sunny
Modelli
Accord,
Odyssey e Fit
Modelli CR-V
Tianjin Toyota
Motor Engine
FAW Toyota
Changchun
Engine Co.
Sichuan Toyota
Motor
Dongfeng
Motor (DFL)
Guangzhou
Honda
Automobile
Dongfeng
Honda
Automobile
Fonte: Japan Automobile Manufacturers Association.
17
n.d.
240
30
Economia e diritto
Considerazioni
sull’adozione di
software ERP nella
Repubblica Popolare
Cinese
porto di applicazioni portanti,
quali: la vendita e la distribuzione, la contabilità, la finanza, la
gestione dei materiali, la gestione del personale e così via, che
consentono a utenti diversi di utilizzare i medesimi dati per molteplici funzioni e processi gestionali.
Un sistema ERP è nativamente
strutturato sulla base di un modello concettuale unitario che definisce i dati e i loro significati,
unitamente alle modalità di trattamento e gestione degli stessi. Le
aziende possono scegliere di implementare tutti i moduli applicativi offerti da un certo pacchetto ERP oppure possono limitarsi a
installare soltanto quelli di proprio interesse.
Gli ERP, proprio a causa dell’approccio integrato e globale che
propongono, a detta di molti sono
più rigorosi nell’imporre un modello organizzativo a chi li adotta. Evidentemente la scelta delle
funzionalità da implementare e,
di conseguenza, delle modalità
operative che verranno adottate
dall’organizzazione utilizzatrice,
presuppongono di condividere,
accanto a un insieme di valori,
anche una certa cultura.
Davenport3 scrive che “i sistemi ERP
impongono la loro logica sulle
organizzazioni e possono essere
una fonte di conflitti culturali”. Per
MARCO DE MARCO
Premessa
L
’adozione di una nuova tecnologia implica spesso sostanziali modifiche al modo
di lavorare sia in termini di sequenza e tipo di operazioni da
svolgere, sia in termini di gestione, controllo e valutazione degli
eventi: le strutture dei compiti variano con la tecnologia utilizzata.1
Questa considerazione, che da
sempre accompagna l’innovazione, ha acquistato maggior forza
da quando si sono affermati i
software denominati Enterprise
Resource Planning (ERP), ossia “sistemi basati su un insieme integrato di applicazioni che copre
tutte, o quasi, le funzionalità dell’azienda”.2 Si tratta di pacchetti
software costituiti da un insieme
di moduli interdipendenti, a sup18
Economia e diritto
questo diventa di particolare interesse affrontare il tema dell’introduzione di questi sistemi in una
cultura diversa da quella in cui
essi sono nati.
Secondo Deutsch4 l’introduzione
degli ERP non comporta cambiamenti limitati al piano applicativo,
ma si traduce anche in un massiccio impegno in formazione,
nella ridefinizione e riallocazione
dei compiti e nella soppressione
o revisione ex novo di molte delle
procedure in essere. Possiamo
quindi affermare che gli ERP abbiano portato a una vera e propria “rivoluzione” basata sulla
(spesso ingiustificata) convinzione
che l’adozione di questi sistemi si
accompagni con l’implementazione delle migliori pratiche aziendali
esistenti e che, adeguandosi ad
esse, si possano ottenere sostanziali vantaggi.
Alcuni studiosi sono ancora più
radicali. Ad esempio Robinson e
Wilson5 sostengono che gli ERP
sono uno dei più recenti tentativi
di utilizzare le capacità dell’ICT
per rafforzare il controllo del
management sul processo si crescita del capitale, a questo proposito, ricorrono all’analisi di
Marx nei Grundrisse sui processi
di accumulazione e circolazione
del capitale per comprendere gli
effetti dell’adozione degli ERP.
Dopo aver sostenuto, con il conforto di autorevoli fonti, che l’adozione degli ERP può comportare
effetti rilevanti sulle modalità di
svolgimento del lavoro e sulla
struttura organizzativa, è interessante vedere i loro effetti nel contesto cinese. Infatti i sistemi ERP
sono stati creati su un modello
aziendale concepito e utilizzato
nel mondo anglosassone; in un
Paese che presenta delle forti diversità culturali rispetto all’Occidente e in cui il modello comunemente inteso di gestione aziendale
non ha ancora una storia consolidata, l’introduzione di questo
software potrebbe presentare caratteristiche peculiari. Le domande che ci poniamo riguardano le
implicazioni derivanti dall’adozione di sistemi ERP in Cina; gli eventuali aspetti peculiari riscontrati
rispetto al mondo occidentale; gli
esiti dell’introduzione di questi sistemi in un contesto particolare
come quello cinese e infine
l’individuazione di ragioni di natura sociale o culturale per comprendere meglio il fenomeno descritto.
1. Uno studio sui sistemi ERP
in Cina
Sul tema degli ERP in Cina vi sono
numerosi lavori che, con una giu19
Economia e diritto
sta scelta delle parole chiave, possono essere indicati da un motore di ricerca. Di particolare interesse è un saggio a firma di
Martinsons6, apparso su una delle riviste più autorevoli nel campo dei sistemi informativi, in cui
si prova a fare il punto della situazione. E già il fatto di dedicare un articolo a questo argomento testimonia l’importanza che,
tanto nel mondo scientifico quanto in quello degli operatori del
settore, esso ha assunto nella Repubblica Popolare Cinese.
Va comunque rilevato che il saggio di Martinsons, pur se notevole per il prestigio del suo autore e
della rivista che lo pubblica, suscita non poche perplessità in
merito ai contenuti e all’impianto metodologico adottato. Appare infatti solo in parte condivisibile
la scelta di Martinsons di concentrarsi sulle differenze tra le modalità di introduzione degli ERP
nelle aziende pubbliche, le State
Owned Enterprise (SOE), e in
quelle private, le Private Venture
(PV). In ogni Paese esistono sacche tanto di inefficienza quanto
di eccellenza che caratterizzano
la Pubblica Amministrazione, conseguentemente l’adozione del
metodo dei case study per dare
una risposta alla domanda di ri-
cerca è altamente opinabile. Infine alcune spiegazioni di tipo antropologico o culturale che l’autore fornisce non sono completamente condivisibili e potrebbero,
al limite, essere tenute presenti
come ipotesi di ricerca future.
Fatte queste premesse, Martinsons
riprende un’analisi del gruppo
IDC7 e parla della presenza di circa
un migliaio di installazioni ERP in
Cina nel 2001. Lo studio si basa
sull’esame di 8 casi, ma l’autore
- allo scopo di dare maggiore
spessore alla sua tesi - dimostra
come un’analoga rilevazione condotta su 189 casi a cura di
un’azienda produttrice leader a
livello mondiale (la tedesca SAP)
giunga a conclusioni del tutto simili.
Prima di entrare nel merito delle
peculiarità riguardanti l’adozione degli ERP in Cina è necessario
fare una precisazione: gli ERP non
sono realizzati esclusivamente in
Occidente ma esistono anche delle aziende cinesi, quali UFSoft8 e
Kingdee Software9, che li producono. Questo è più che comprensibile in un mercato che - secondo le previsioni - dovrebbe passare da un fatturato di un milione di dollari registrato nel 2002
a 3 milioni di dollari nel 2007.
Lo studio di Martinsons ha porta20
Economia e diritto
to a evidenziare alcuni elementi
comuni e fattori di difformità tra
gli otto casi analizzati. In tutti i
contesti (privati e pubblici):
1. i progetti di progetto e sviluppo di sistemi informativi basati su
soluzioni ERP difficilmente vengono completati nei tempi previsti,
pur tuttavia rispettano il budget
iniziale;
2. l’adozione di sistemi ERP non
sembra accompagnarsi a miglioramenti sostanziali nelle prestazioni dell’azienda utilizzatrice;
3. i progetti volti all’introduzione
di ERP sponsorizzati dal vertice
aziendale hanno una sorte migliore di quelli sponsorizzati dal responsabile della funzione preposta alla gestione dei sistemi informativi.
Riguardo al primo punto, l’autore propone una spiegazione molto semplice: è ovvio che un allungamento dei tempi di installazione indica la presenza di un effort,
ovvero un impegno di lavoro, superiore al previsto e, quindi, essendo questa la principale voce
di costo in un progetto di
implementazione di un nuovo
software, è altrettanto evidente
che tale circostanza implica il
mancato rispetto del piano dei
costi. Il problema del superamento
del budget viene generalmente
affrontato imputando ad altri progetti le risorse aggiuntive utilizzate per completare il piano di
lavoro relativo all’ERP. Questa
prassi risulta molto diffusa in varie parti del mondo.
La seconda osservazione può riassumersi nel fatto che raramente i
progetti ERP si accompagnano a
miglioramenti significativi nei
tempi dei cicli aziendali (ossia i
tempi intercorrenti tra l’ordine e
la consegna) e nel grado di soddisfazione del cliente. Nei casi
analizzati i tempi di risposta alle
richieste del cliente si sono ridotti
in misura non coerente con le attese, ossia su livelli inferiori al
10%, dato questo che trova conferma in altre analisi. Quest’ultimo risultato, più che domande sul
mondo aziendale cinese solleva un
dubbio sugli ERP: tali sistemi, forse, sono più adatti a migliorare
l’efficienza in un ambiente statico anziché dinamico. Ma a questa domanda non si è ancora data
una risposta univoca neppure nel
mondo occidentale: si può soltanto affermare che il software ERP
può contribuire - in ambienti conosciuti e stabili - a migliorare l’efficienza relativa ad attività caratterizzate da un elevato grado di
standardizzazione e codificabilità;
mentre in caso contrario e in am21
Economia e diritto
bienti in continuo cambiamento
è probabile che i risultati siano
parziali oppure contrassegnati da
maggior incertezza.
La terza osservazione non può
essere limitata al mondo cinese:
infatti in tutti i tipi di contesto i
progetti chiaramente sponsorizzati dal vertice aziendale presentano maggiori probabilità di successo rispetto a quelli sostenuti da
singoli responsabili funzionali.
Per quanto riguarda le osservazioni relative alle differenze tra le
SOE e le PV, alcune meritano attenzione. Anzitutto occorre tenere presente che nei casi esaminati i progetti ERP sono stati portati
avanti con obiettivi diversi a seconda dei contesti. Nelle aziende
pubbliche, in particolare, il grado di automazione preesistente
era mediamente modesto e limitato agli aspetti fondamentali della gestione finanziaria e di magazzino, mentre quello che si richiedeva al sistema ERP era di fornire interoperabilità e coerenza
tra le varie applicazioni, al fine
di ridurre i costi amministrativi.
In genere le SOE, nell’adottare
sistemi ERP, sono state spinte da
obiettivi non tanto di crescita dei
ricavi o di riduzione dei tempi di
consegna, quanto piuttosto di
miglioramento dell’efficienza di
applicazioni già in uso. Molto diverso è il caso delle PV, soprattutto a causa del precedente livello
di automazione (forse perché nate
più tardi?). Inoltre sembra che
presso le aziende private analizzate abbia prevalso l’idea di approfittare dell’introduzione degli
ERP
come
occasione
di
ottimizzazione della gestione, ivi
compresi i tempi di risposta alle
richieste del cliente, e di adozione di prassi migliori. Intendendo
con prassi migliori le best practice
riferite alle procedure e agli
standard delle imprese occidentali.
Un altro aspetto che viene
evidenziato riguarda il sostegno
al progetto di adozione dell’ERP.
Anche in Europa e negli Stati Uniti
il fattore chiave di successo dei
progetti di sviluppo basati su soluzioni integrate dipende dalla
posizione e dal ruolo dello sponsor interno. Una delle spiegazioni che Martinsons adduce per giustificare la scarsa percentuale di
successo relativamente a progetti
sostenuti dalle direzioni tecniche,
nel caso specifico quella dell’IT, è
che i vertici aziendali delle imprese cinesi temono che la loro incompetenza in materia di ERP
possa essere giudicata negativamente dalle strutture subordina22
Economia e diritto
te. Affidando alle aree funzionali
la responsabilità dei progetti riguardanti gli ERP, il management
allontana sì questo rischio ma, al
tempo stesso, finisce per
ingenerare nella struttura l’errata convinzione che il progetto di
introduzione dell’ERP non sia ritenuto prioritario oppure rivesta
un’importanza marginale per l’alta direzione.
Un elemento che Martinsons riconosce come dirimente è quello
della presenza di consulenti. Nelle aziende SOE il ricorso a questi
professionisti è alquanto raro. Si
può aggiungere che, come in altre parti del mondo, nel settore
pubblico il ruolo degli esperti
esterni che affiancano i responsabili interni proponendo esperienze maturate in altri contesti è
molto marginale poiché i consulenti, spesso, non possiedono l’autorevolezza e il livello di delega
necessari per imporre la propria
visione. La spiegazione che viene
avanzata in proposito, peraltro
senza supporti documentali, è che
il vertice delle SOE potrebbe vedere la propria autorità messa in
discussione se per certi progetti si
facesse ricorso a consulenti esterni. Non viene invece presa in considerazione l’idea che un ente
pubblico debba sottostare a pre-
cisi vincoli di tipo regolamentare
e giuridico (identificazione del responsabile di certe attività, obblighi verso altri enti pubblici etc.)
che, in tutto il mondo e quindi
anche in Cina, rendono più difficile affidare i progetti a team di
specialisti esterni. Talvolta si sottovaluta che un organismo pubblico ha degli obblighi rispetto a
tutti i cittadini in modo indistinto
e non solo verso i clienti, e che
per questa ragione vi sono delle
regole da rispettare sancite per
legge che determinano molte delle procedure interne. L’adozione
di un ERP, che presuppone nuove
prassi di comportamento, potrebbe implicare potenziali conflitti
con la normativa vigente.
Un altro aspetto critico dell’adozione dei sistemi ERP è quello di
modificare radicalmente l’articolazione dei processi operativi all’azienda, vedendola nel suo insieme e non più come la somma
di tanti servizi o tante funzioni
composite. Tratto distintivo delle
soluzioni ERP è rappresentato dalla capacità di integrare (grazie a
un’intelaiatura costituita da numerosi “moduli” interconnessi) la
gestione dei dati e delle informazioni, strutturando questi ultimi
lungo flussi informativi unici e
comuni a tutta l’organizzazione.
23
Economia e diritto
Pertanto, la presenza di una struttura organizzativa articolata
funzionalmente obbliga - in sede
di implementazione di una soluzione ERP - ad analizzare i flussi
informativi tenendo conto della
visione trasversale (o interfunzionale) dei flussi medesimi. Certamente l’adozione di questo tipo
di approccio (“per processi”) risulta più facile nel settore privato
che in quello pubblico; inoltre,
sempre secondo Martinsons, in
Cina entra in gioco anche un ulteriore aspetto l’importanza di
salvaguardare la struttura tradizionale: ossia si tende a proteggere l’interesse dell’impiegato o
dello specifico gruppo di lavoro
interno (danwei) anziché adottare una prospettiva più ampia e
generale, ossia che prenda in esame le implicazioni (di efficacia e
di efficienza) per l’azienda nel suo
complesso. A questo proposito
alcuni fatti recenti come l’accordo10 tra Lenovo (il più grande fabbricante di computer cinese) e IBM
secondo il quale tra l’altro la Cina
fornirà del management in
outsourcing agli americani sono
un segnale di quanto i metodi e
gli stili aziendali occidentali siano stati assimilati. Per questo l’insistenza sulle peculiarità cinesi
come un fattore immutabile è
poco convincente. Se gli americani importano management cinese e per questo pagano vuol
dire che sono certi che alcuni
standard aziendali e culturali sono
conosciuti e praticati. Non vi è
notizia di altri Paesi che esportino management in America sulla
base di accordi siglati sulla base
di numeri consistenti.
Secondo Davison11 le differenze
culturali rappresentano un fattore critico di successo nell’adozione degli ERP. La domanda che
l’autore si pone è se il basso grado di coerenza tra il modello di
gestione aziendale cinese e gli ERP
possa essere superato oppure se
si tratti di un fattore strutturale.
Pur concedendo che gli ERP richiedono di essere adeguati alla
cultura cinese, ma non specificando come ciò dovrebbe avvenire,
la conclusione cui l’autore giunge è molto radicale: o le aziende
cinesi adottano gli ERP e si adeguano al modello di gestione occidentale oppure esse andranno
incontro a una serie di “catastrofi”, quali la perdita di competitività, la disoccupazione di massa, la messa in discussione dei fondamenti della società. Ma a supporto di queste funeste previsioni
non viene avanzata alcuna ipotesi convincente. Resta pertanto
24
Economia e diritto
l’impressione che le conclusioni si
fondino soprattutto su sensazioni
personali dell’autore.
parte delle grandi aziende per
indurre le piccole ad adottare un
sistema informativo coerente con
il proprio. Entrambi gli elementi
appena citati dovrebbero favorire il ricorso agli ERP. È altresì probabile che le soluzioni ERP, diffusesi inizialmente nelle grandi imprese manifatturiere, proseguiranno il loro cammino in direzione delle medie aziende e verso
settori economici relativamente
nuovi a questo genere di applicazioni: banche, assicurazioni,
servizi di telecomunicazione e così
via.
Vi è poi un altro fatto che si è
verificato in Occidente e per il
quale vi sono tutti i presupposti
per attendersi che si verifichi anche in Cina: la forte presenza di
società di consulenza. L’introduzione di un sistema ERP richiede
l’impegno di un elevato numero
di specialisti per un tempo relativamente breve (6-18 mesi).
L’azienda che non possiede competenze interne di questo genere, fa generalmente ricorso a una
società di consulenza specializzata nell’installazione e personalizzazione di questi sistemi. Come
ovvio, tali società di servizi a propria volta esercitano una forte
pressione commerciale affinché si
diffondano gli ERP in tutti i tipi di
2. Quale futuro per gli ERP in
Cina
Al di là di quanto emerge dagli
studi citati vi sono alcune riflessioni, basate su dati certi, che
possono aiutare a mettere in luce
aspetti interessanti sulle possibili
traiettorie di diffusione dei sistemi ERP. In Cina sta aumentando
notevolmente la presenza di società multinazionali con casa madre all’estero12 , queste aziende
molto spesso utilizzano sistemi ERP,
è logico prevedere che anche alla
consociata cinese verrà chiesto di
adeguarsi, altrimenti diventerebbero difficili il controllo aziendale
e il consolidamento del bilancio.
Dal rapporto IDC citato in precedenza emerge che alcune importanti imprese manifatturiere cinesi
hanno già introdotto sistemi ERP.
Spesso queste aziende si
avvalgono di numerosi fornitori
che, per essere gestiti in modo
efficiente, impongono un certo
grado di omogeneità tra i sistemi
informativi. Analogamente a
quanto è avvenuto in Italia, questa spinta all’uniformità potrebbe provocare una pressione da
25
Economia e diritto
contesto. Si assiste spesso, in queste fasi iniziali della diffusione di
un prodotto, a una crescita accelerata nell’adozione dei sistemi
dovuta all’azione congiunta dei
produttori di soluzioni ERP e delle
società di consulenza.
Un segnale chiaro che la diffusione degli ERP aumenterà in Cina
proviene altresì dall’impegno di
due grandi aziende locali, UFSoft
e Kingdee Software13, nella produzione e fornitura di sistemi ERP.
Evidentemente queste aziende
hanno fatto conto sul successo di
tali sistemi sul mercato nazionale.
Se restano pochi dubbi sulla futura massiccia diffusione degli ERP,
più difficile è prevedere quali potranno essere gli effetti.
Ritornando allo studio discusso in
precedenza, in più punti si riferisce di opposizione da parte degli
impiegati all’introduzione di sistemi ERP, a causa del timore di perdere il posto di lavoro, e di appoggio da parte della dirigenza.
In realtà le esperienze occidentali
non evidenziano alcuna prova
certa di riduzione dell’occupazione attribuibile all’introduzione di
questi sistemi, anzi, è più facile
sostenere il contrario, anche se
sarebbe un po’ superficiale attribuire ad una sola causa questi
effetti. I sistemi ERP vengono in-
trodotti in aziende solitamente
sane, perché dotate delle risorse
finanziarie occorrenti per affrontare questo genere di investimento, con prospettive di crescita,
perché spesso è proprio la rapida
espansione a mettere in evidenza
i punti deboli del sistema informativo e a condurre alla necessità di un rifacimento che, vista l’offerta tecnologica esistente, oggi
è sensato portare a termine con
l’introduzione di un ERP. Nella
maggior parte dei casi l’adozione di tali soluzioni è indotta da
una combinazione di ragioni,
molte delle quali vincolanti o non
procrastinabili: talvolta vi è un
problema di obsolescenza dei sistemi in essere (ad esempio, alla
fine degli anni ’90 hanno molto
influito il passaggio all’euro e il
cambio di data); in altri casi lo
stimolo è derivato dagli standard
imposti dalla casa madre o da
importanti imprese partner.
A questo punto viene da chiedersi: ma è proprio una strada obbligata ricalcare il modello
gestionale di tipo occidentale?
Certamente le imprese cinesi che
lavorano in stretto contatto con
realtà straniere tenderanno ad
adottare schemi gestionali molto
simili, mentre quelle dove una
parte rilevante del ciclo produtti26
Economia e diritto
vo avviene in Cina saranno meno
soggette a queste pressioni. Più
degli ERP, saranno i vincoli esterni
a esercitare un’influenza decisiva
sulle scelte di automazione future. Il miglioramento dei tempi di
risposta alle richieste dei clienti,
il comportamento dei concorrenti, la standardizzazione della documentazione contabile e
l’adeguamento a nuove disposizioni fiscali rappresentano altrettante occasioni per riprogettare i
sistemi informativi in chiave ERP.
In realtà il carattere vincolante
degli ERP non è così deterministico
e assoluto come appare: da una
parte essi - grazie alle caratteristiche di configurabilità - possono prendersi carico delle peculiarità che caratterizzano le prassi
in uso nella realtà cinese.
Configurare, in molti casi, significa ricercare un compromesso tra
le logiche di funzionamento che
si vogliono introdurre, e le possibilità previste dal sistema ERP.
D’altro canto, è del tutto ragionevole attendersi qualche utilizzo
imprevisto della tecnologia.
Per quanto riguarda l’adeguamento alle peculiarità cinesi, si
deve ricordare che gli ERP sono
prodotti che devono essere
personalizzati (in gergo questa
operazione viene definita
“parametrizzazione”) rispetto alla
realtà nella quale vengono inseriti: pertanto, nulla vieta che certe prassi tipiche del contesto cinese, se ritenute valide e convenienti, siano accolte nel software.
A volte è soltanto la pigrizia intellettuale che induce le aziende
utilizzatrici ad assumere acriticamente un prodotto software assieme al modello organizzativo
che avevano in mente coloro che
l’hanno sviluppato. Se esiste una
proposta organizzativa migliore e
percorribile, essa può essere accettata e si può tentare un
adeguamento del software in funzione delle caratteristiche di contesto.
Né si deve trascurare il fatto che,
finora, la Cina ha dimostrato in
maniera anche energica la volontà di salvaguardare le proprie
peculiarità: in un rapporto di alcuni studiosi svedesi si riprende da
CNet Asia14 l’affermazione che “le
autorità locali cinesi debbono preferire il software prodotto in Cina”
e questo potrebbe più facilmente
portare ad accogliere le caratteristiche del modo di lavorare e di
organizzarsi del Paese. Direttamente legata a tali considerazioni è la scelta di ricorrere in modo
generalizzato al cosiddetto
software open source (ossia che
27
Economia e diritto
offre a tutti gli utenti un libero
accesso al codice sorgente del programma per consentire di correggere eventuali errori o di apportare miglioramenti) rispetto a
quello proprietario.
Non è questa la sede per affrontare il tema dell’open source, basti qui menzionare che il software
si suddivide in due grandi categorie: quello di tipo “proprietario”, di cui si acquista in licenza
d’uso il cosiddetto codice eseguibile (es. Office di Microsoft) non
modificabile dall’utente, e quello
“aperto” che invece permette di
operare sul codice sorgente. Con
quest’ultimo le esigenze personali,
aziendali e sociali possono trovare più spazio per essere accettate. La scelta riscontrata in Cina a
favore dell’open software indica
la volontà di non importare modelli preconfezionati dall’Occidente senza avere la possibilità di
adeguarli e contestualizzarli.
L’orientamento a favore del sistema operativo aperto Linux (che
può essere prelevato da Internet
gratuitamente o può essere acquistato a basso prezzo da società che forniscono in aggiunta altri strumenti software) e la creazione di poli produttivi locali,
come RedFlag Linux15 e Bluepoint
Linux16, indicano una chiara vo-
lontà in tale direzione.
Certamente il percorso più
prevedibile è che tra qualche anno
la Harbin Aircraft Manufacturing
Company che produce aeroplani
ed elicotteri assomigli nella sua organizzazione interna molto più alla
Boeing di quanto non avvenga
oggi; e che la Shanghai Automotive Industry , il gigante cinese dell’auto, sarà organizzata in modo
più vicino a quello della Honda e
della General Motors. Ma non si
deve dimenticare che la storia delle
tecnologie dell’informazione e della comunicazione annovera casi di
utilizzo completamente imprevisto.
Sotto gli occhi di tutti è il successo
degli Short Message Systems (SMS),
sistema di messaggistica nato per
brevi comunicazioni tra gestore e
utente e che, inaspettatamente e
nel giro di pochissimo tempo, si è
trasformato in un sistema di comunicazione interpersonale. Non
diverso è il caso di Internet, il cui
utilizzo odierno non poteva in alcun modo essere previsto da chi
l’ha ideata.
Sempre più spesso le tecnologie
trovano effettiva applicazione secondo modalità impreviste, seguendo sentieri di sviluppo comunque diversi da quanto i
progettisti avevano originariamente pianificato. Tale circostan28
Economia e diritto
za deriva certamente dalla
plasticità e dall’apertura degli
strumenti; tuttavia è bene sottolineare che, al di là di queste proprietà “intrinseche”, gli effetti della tecnologia sono il risultato della
continua e reciproca interazione
tra prassi sociali, atteggiamenti
dei singoli attori e contesto istituzionale come sostenuto anche da
Orlikowski17.
Forse, e auspicabilmente, nei
prossimi anni in Cina assisteremo
a utilizzi dei sistemi ERP che ancora non riusciamo a immaginare. Non vi sarebbe da essere sorpresi a fronte di ERP con “caratteristiche cinesi”.
BASE for Advances in Information
Systems, 32(4), 2001.
6) M.G. Martinsons, “ERP in China: One
Package, Two Profiles”, Communications
of the ACM, 47(7), 2004.
7) IDC Market Research Report China
Enterprise
Resource
Planning
Applications 2004– 2008 Forecasts and
Analysis.
8) La UF Software ha recentemente concluso un accordo con la IFS svedese,
un’azienda leader mondiale nel campo del software per l’industria e la finanza. La UFsoft ha anche ottenuto la
certificazione di qualità secondo gli
standard ISO 9001 e ISO 9002. Oggi
la UFsoft è il primo produttore indipendente di software in Cina.
9) Kingdee è un’azienda leader nel
software, dal prospetto di bilancio
emerge che ha 2800 dipendenti, ha rilasciato il primo software ERP nel 1999
ed è il numero uno come venditore di
sistemi ERP in Cina.
10) “Lenovo will Outsource Management to IBM“, in International Herald
Tribune, 28 dicembre 2004.
11) R. Davison, “Cultural Complications
of ERP”, Communications of the ACM,
45(7), 2002.
12) Secondo China–Window. Com, 24
marzo 2004, 400 delle 500 aziende di
“Fortune 500” hanno già effettuato
investimenti diretti in 2000 progetti in
Cina. Nella sola Shanghai sono in corso 181 su cui hanno investito 98 multinazionali per un totale di 8 milioni di
dollari. A proposito delle multinazionali
in Cina si veda Multinational Corporations
in China, Copenhagen Business School
Press, 2000 e China Service Sector: A New
Battlefield for International Corporations,
1) C. Perrow, “A Framework for the
Comparative
Analysis
of
Organizations”, American Sociological
Review, N. 2, 1967.
2) T. Coulson et al., “ERP Training
Strategies: Conceptual Training and the
Formation of Accurate Mental Models”,
SIGMIS Conference ’03, Philadelphia,
Penn 2003.
3) T. Davenport, “Putting the Enterprise
into the Enterprise System”, Harvard
Business Review, 76(1), 1998.
4) C.H. Deutsch, “Software That Can
Make a Grown Company Cry”, The
New York Times, 8 novembre 1988.
5) B. Robinson e F. Wilson, “Planning
for Market? EntERPrise Resource
Planning
Systems
and
the
Contradictions of Capital”, The DATA
29
Economia e diritto
Copenhagen Business School Press,
2001 entrambi scritti da Yadong Luo.
Nel primo testo citato si rileva che dal
1979 al 2000 le autorità cinesi avevano
approvato 300000 autorizzazioni a operare per aziende con capitale straniero.
13) Si vedano i prospetti di bilancio delle
due aziende. La UF Software è quotata alla borsa di Shanghai. La Kingdee
Software, il cui nome completo è Kindee
International Software Group Company
Limited, è quotata al GME (Growth
Enterprise Market) dello HKSE (Hong
Kong Stock Exchange).
14) CNET Asia “China blocs foreign
software use in gov’t”, disponibile on
line su http://asia.cnet.com/newstech/
a p p l i c a t i o n s /
0,39001094,39146335,00.htm
15) Red Flag Linux ha tra gli azionisti e
fondatori il Software Institute dell’Accademia delle scienze cinese e ha stabilito una serie di accordi di partneriato
con IBM, Intel, HP, Oracle, BEA e altri.
16) Bluepoint Linux Software è una
azienda fondata nel 2003 che sta rapidamente affermandosi nel campo del
supporto ai sistemi operativi Linux.
17) W. J. Orlikowski, “Using technology
and constituting structures: a practice
lens for studying technology in
organizations”, Organization Science,
Vol. 11, n° 4, luglio-agosto 2000.
30
Economia e diritto
APPENDICE
Information e Communication Technologies
in Cina
L
e caratteristiche demografiche della Cina, numero di abitanti, fasce d’età, ripartizione tra zone urbane e rurali hanno dimensioni
tali che ogni dato statistico riferito a tale contesto finisce per assumere un significato particolare. Basti pensare che un aumento di 3
punti nella percentuale della popolazione che possiede un PC significa
39 milioni di computer in più, ovvero una cifra che, fino a qualche
anno fa, non trovava riscontro nemmeno in tutto l’Occidente sommato
a Giappone e Taiwan. Per questa ragione, gli operatori del settore ICT
seguono con particolare attenzione quanto avviene in Cina, relativamente ai seguenti aspetti:
- capacità tecnologiche interne;
- tassi di incremento dell’hardware installato;
- modalità di acquisizione del software;
- capacità di progettazione e sviluppo del software.
Per quanto riguarda le capacità tecnologiche interne, la recente scelta
di Steve Chen 1, uno dei più noti progettisti di supercomputer nato a
Taiwan e da molti anni operante in America, di tornare in Cina perché
reputa stimolanti le prospettive scientifiche e tecnologiche di quel paese, è un chiaro indice di come la Cina stia cercando di qualificarsi
come uno dei Paesi all’avanguardia nella tecnologia ICT (Information
and Communication Technologies). Si aggiunga il fatto che, solo quest’anno, il numero degli studenti cinesi che si candidano per gli studi di
PhD negli USA è sceso del 40%2. In proposito va certamente considerato il fatto che è diventato più difficile ottenere lo stato di residente in
America, tuttavia non sembrano esservi dubbi sul fatto che una parte
del calo di domande sia motivata dall’ampliamento dell’offerta di studio disponibile in patria.
31
Economia e diritto
A questi fatti, già per sé indicativi, si aggiunga che, secondo i dati della
Banca Mondiale3, nel 2003 l’export cinese relativo a prodotti ad alta
tecnologia ha raggiunto la quota del 25% delle esportazioni totali. È
vero che su questa cifra vi sono da fare una serie di considerazioni che
ne riducono la portata, ma se si pensa che il dato analogo per l’Italia,
comunque lo si calcoli, è inferiore al 10%, l’idea della Cina come Paese
arretrato tecnologicamente riceve un duro colpo.
Inoltre i dati della Banca Mondiale4 indicano che tra il 1995 e il 2002 il
numero dei PC è passato da 2,3 a 27.6 per ogni 1.000 persone, il
numero di PC presso istituzioni formative da 315.000 a 3.555.157.
Nello stesso periodo il numero complessivo di utenti Internet è cresciuto
da 60 mila a 68 milioni.
Gli ultimi dati disponibili, riportati dal China Internet Network
Information Center, indicano la presenza di 87 milioni di utenti Internet
e 626.000 siti web.
Interessante è il rating che la World Bank assegna al governo cinese
circa la priorità che esso attribuisce all’ICT: in una scala da 1 a 7 il voto
è 5,3 (Italia:4,6).5
Il Financial Times, riporta una dichiarazione della banca di investimenti Morgan Stanley secondo cui la Cina è il secondo mercato del
mondo per l’ICT con 207 milioni di cellulari in funzione, 100 milioni
di abbonati alla TV via cavo e 214 milioni di linee telefoniche.
1) J. Morkoss, “Technology; Have Supercomputer, will travel”, New York Times, 1
novembre 2004.
2) Quotidiano del Popolo,16 marzo 2004, cit. nel sito www.wais.stanford.edu/USA/
usa03282004.htm.
3) Cfr. www.worldbank.org/data/. Si veda in proposito anche il sito del Ministero
del commercio estero cinese.
4) World Bank 2004 World Development Indicators, p. 294.
5) Development Data book, World Bank, ICT at Glance, China 10 marzo 2003.
32
Cultura e Società
Contesti
extrascolastici di
socializzazione
della seconda
generazione cinese
lavoro di ricerca etnografica durato sei mesi su un gruppo di 9
ragazzi di età compresa tra i 13
e i 17 anni, compagni di classe in
una scuola media di Roma.
Tre sono le aeree tematiche attorno alle quali si è sviluppata la
ricerca: (a) le dinamiche familiari
e i rapporti intergenerazionali; (b)
l’inserimento scolastico; (c) i percorsi di integrazione sociale e di
costruzione dell’identità. Per
l’etnografia si è utilizzata una
metodologia di osservazione conosciuta come shadowing, che
prevede che il ricercatore accompagni un determinato attore nei
momenti e nei contesti chiave della sua giornata. Per il caso cinese
si è trattato di osservazioni ravvicinate, prolungate e partecipate
con i giovani individuati, sia a
scuola (a contatto con coetanei
di altre nazionalità e con i docenti), sia nei loro contesti di vita
extrascolastica. Oltre alle osservazioni, sono stati anche svolti un
focus group con il gruppo in analisi e diverse conversazioni dirette
attraverso griglie semistrutturate
di domande. Parallelamente, l’indagine ha allargato lo spettro
delle informazioni sulle seconde
generazioni cinesi attraverso interviste di approfondimento con
testimoni privilegiati, coinvolgendo mediatori culturali, ricercatori
VALENTINA PEDONE
Premessa
I
l presente lavoro riporta alcuni risultati relativi ad uno studio sulle seconde generazioni
cinesi in Italia realizzato nell’arco di nove mesi tra il 2003 ed il
2004. Lo studio è inserito all’interno di un’indagine più ampia
sulle seconde generazioni di stranieri in Italia promossa dal Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali e affidata alla Fondazione Labos, in partenariato con il
CISP. Tale ricerca è stata condotta
su giovani figli di immigrati nati
o scolarizzati almeno in parte sul
nostro territorio, provenienti da
famiglie appartenenti a cinque dei
principali gruppi nazionali presenti in Italia: Marocco, Albania,
Cina, Romania e Perù.
La gran parte dell’indagine sui
giovani cinesi è consistita in un
33
Cultura e Società
e giovani universitari di origine
cinese.
In ultima analisi, a conclusione del
lavoro sul campo, sono state svolte 10 interviste di verifica con famiglie immigrate cinesi e 7 con docenti che abbiano insegnato a studenti cinesi nelle scuole romane.
In queste pagine viene fornita una
presentazione riassuntiva dei risultati relativi alla terza area
tematica in analisi, ovvero ai percorsi di integrazione sociale e di
costituzione identitaria dei giovani
cinesi di seconda generazione.
gior parte dei casi sono persone
relativamente facoltose anche in
patria che si spostano con il definito intento di sfruttare le condizioni economiche o sociali favorevoli del paese accogliente.
Una seconda caratteristica del modello migratorio cinese in Italia è
la sua modalità ‘a catena’, per
cui i gruppi emigrano per nuclei
familiari, mossi dalla finalità di
insediarsi nel paese d’approdo
mediante imprese a conduzione
familiare, in cui tutti i membri, se
non appartengono alla stessa famiglia, ne condividono la provenienza.1
I due elementi descritti contribuiscono a giustificare il forte attaccamento alla cultura di origine
che si riscontra nelle prime generazioni di immigrati cinesi. Se infatti, da un lato, viene a mancare la motivazione ad un assimilazione alla cultura di approdo, l’organizzazione in imprese familiari
ostacola ulteriormente la contaminazione con l’ambiente esterno. La ricerca sul campo ha
evidenziato come tale attitudine
venga deliberatamente trasmessa alle seconde generazioni.
Un elemento che è emerso prepotentemente durante la ricerca
è la tendenza in molte famiglie
cinesi immigrate ad esercitare un
forte controllo sugli spazi e tempi
1. Spazi e tempi dei giovani
cinesi
Per inquadrare l’orizzonte dei valori delle seconde generazioni cinesi in Italia ci si deve soffermare
su alcune caratteristiche che distinguono il progetto migratorio
delle prime generazioni cinesi rispetto ad altri flussi migratori.
Il movimento migratorio cinese, a
differenza di altri, non si genera
con la finalità di rifuggire una situazione di disagio, ma piuttosto
con il preciso intento di accumulare una ricchezza utile per sé e
per i propri familiari. I migranti
che lasciano il paese di origine,
dunque, non sentono la necessità di cominciare una vita nuova
in un contesto nuovo; nella mag34
Cultura e Società
dei più giovani. Per poter meglio
giustificare tale atteggiamento si
deve riflettere su alcune differenze nella percezione del ruolo dei
figli nel contesto di origine e in
Italia. Molto illuminante è stato
l’intervento durante un focus
group di uno studente universitario di origine cinese che ha sottolineato come per molte famiglie
cinesi il concetto italiano di tempo libero sia poco comprensibile.
Anche se nelle città cinesi sono
iniziati a diffondersi costumi e
valori consumistici di impronta occidentale, nelle campagne e nelle sacche più tradizionali, giovani ed adulti considerano la giornata come un contenitore che va
riempito unicamente con lo studio, il lavoro e le faccende di casa.
Nel contesto di origine, quindi,
non sono previste attività o luoghi specificamente rivolti allo svago, i giovani una volta svolti gli
onerosi compiti scolastici, solitamente trascorrono il poco tempo
rimasto aiutando a casa oppure
svolgendo piccole faccende. Dal
momento che i ritmi lavorativi non
sono così pressanti come in contesto migratorio ed i genitori si
sentono più sicuri, ai ragazzi è
concesso di vivere una certa
socialità, rappresentata dallo svolgere i compiti con i compagni,
oppure passare il tempo con i cu-
gini e via dicendo. Sebbene quindi i giovani cinesi nel contesto di
origine non siano coinvolti in attività prettamente ludiche, vivono comunque un continuo scambio con i coetanei membri della
famiglia allargata o i compagni
di scuola.
In Italia, invece, i giovani cinesi si
trovano isolati e sottoposti ad un
rigido controllo familiare e le loro
occasioni di socializzare si riducono così sensibilmente. Oltre una
frequente ingerenza aperta da
parte dei genitori sulle
frequentazioni dei figli, un’altra
strategia protettiva molto comune è il coinvolgimento dei ragazzi nelle attività lavorative familiari. Il contributo lavorativo può
prendere varie forme, ma a prescindere dall’intensità, è comunque significativo il fatto che gli immigrati cinesi lo chiamino semplicemente “aiuto” (bangzhu). Il lavoro è interpretato come un contributo all’assoluzione del debito
che i più giovani devono sentire
verso i genitori.2 La ricerca sul
campo ha però dimostrato che si
può parlare di lavoro vero e proprio solo in alcune circostanze,
ovvero presso quelle famiglie
meno abbienti, che si trovano in
uno stadio meno avanzato del
progetto migratorio, e per le quali
è necessaria la forza lavoro di tut35
Cultura e Società
ta la famiglia. Il nodo cruciale è
che anche nelle famiglie di media estrazione il contributo lavorativo viene chiesto ai ragazzi, ma
differisce profondamente nelle
modalità. Se tutti i ragazzi contattati affermano infatti di collaborare in qualche modo alle attività lavorative dei genitori, spesso si tratta unicamente di un appoggio, il cui scopo principale
sembra il mantenimento del controllo sui figli ed il rinforzo della
loro attenzione nei confronti del
progetto migratorio. A tal fine ai
ragazzi spesso viene anche solo
richiesta la presenza fisica presso
gli esercizi commerciali, oppure
un aiuto nelle faccende domestiche. Il concetto sotteso a questa
imposizione sembra essere che i
giovani devono sempre sentirsi
impegnati per la riuscita economica dell’impresa familiare, restando continuamente coinvolti in
attività di responsabilità; e deve
anche essere sempre possibile
prevedere dove e con chi sono, in
modo da prevenire il loro
coinvolgimento in interessi che li
possano rendere estranei agli
obiettivi della famiglia.
A livello di disponibilità di libertà
però il risultato non cambia, sia
che si tratti di vero lavoro che di
sola presenza, i giovani cinesi
sono schiacciati tra la scuola che
almeno in parte permette loro di
socializzare, ed il controllo familiare espresso molte volte dal contributo lavorativo.3
Va sottolineato che non è solo l’ossessione per il successo del progetto migratorio che spinge le famiglie ad inquadrare i figli in una
serie di attività controllabili, ma
anche il naturale tentativo di proteggerli da quanto non si conosce e non si capisce profondamente: quel misterioso tempo libero italiano, che potrebbe spingere i ragazzi in attività sconvenienti o situazioni dolorose.
Sebbene le giornate dei ragazzi
cinesi siano fortemente strutturate dagli impegni scolastici e familiari, per alcuni giovani del tempo da occupare rimane; a volte
dedicano le ore di studio ad altre
attività, lontani dallo sguardo dei
genitori; in altre occasioni gli viene chiesto di assistere i fratelli
minori, e di nuovo si trovano soli
senza nulla da fare. Generalmente trascorrono questo tempo, che
più che “libero” potremmo definire “vuoto”, in attività che li fanno sentire più vicini ai coetanei in
patria e agli altri giovani cinesi
che condividono le loro esperienze sul territorio italiano. Agli occhi dei ragazzi è comune che si
generi un ricordo idealizzato del
paese natale, dovuto al diverso
36
Cultura e Società
sfondo storico che suscitano l’interesse del pubblico cinese appartenente a diverse generazioni ed
estrazioni sociali e culturali. Tale
passione viene importata nel contesto migratorio: i ragazzi frequentano assiduamente le
videoteche cinesi e la maggior
parte delle case ha dei riproduttori dvd con ricche collezioni di
telenovelas. I ragazzi collezionano dvd che comprano durante i
viaggi in Cina o che si fanno spedire e che portano a scuola per
scambiarli con i compagni.
Un’altra attività domestica che assorbe molto tempo è l’utilizzo delle chat line telematiche. Anche in
questo caso, si tratta di chat cinesi, che mettono in contatto
adolescenti in patria ma anche
altri giovani figli di immigrati in
varie zone italiane. I ragazzi amano a tal punto le chat, da passare intere giornate a casa o presso gli internet cafè (cosiddetti
wangba) inventandosi identità e
profili per comunicare con i coetanei.4
modo del vivere quotidiano. Il
continuo confronto con la situazione di origine, inoltre è mantenuto vivo dall’uso diffuso, per le
famiglie che se lo possono permettere, di mandare in Cina i figli per brevi periodi non appena
ce ne sia la possibilità, anche
durante l’anno scolastico. Questa modalità di mantenimento del
contatto con la patria che emerge dai viaggi dei ragazzi in Cina,
assieme al forte orgoglio culturale trasmesso dalle famiglie, sembrano contribuire alla profonda
nostalgia che anche quegli individui che hanno lasciato il paese
in tenera età continuano ad avere. Considerato tale attaccamento al paese di origine, non stupisce che i rari passatempi disponibili per i giovani cinesi, risultino
essere sostanzialmente dei mezzi
per usufruire, attraverso dei surrogati, del vivere e sentire cinese.
Ampiamente utilizzata è la televisione, ma unicamente per vedere
programmi cinesi. Molte famiglie
possiedono un’antenna parabolica e possono ricevere programmi cinesi, ma cosa veramente
appassiona i giovani cinesi sono
le telenovelas, in particolare le
soap opera cavalleresche. La
telenovela è un genere molto apprezzato anche in patria: le più
popolari sono lunghe saghe a
2. Il rapporto con l’altro sesso
Per quanto riguarda la vita affettiva, nel corso della ricerca è emersa una profonda discrepanza tra i
valori coltivati dai giovani cinesi
rispetto ai coetanei italiani, in par37
Cultura e Società
ticolare in relazione al concetto di
amore. Numerose conversazioni
sul tema con giovani universitari
di origine cinese hanno rilevato un
atteggiamento piuttosto cinico e
pragmatico nei confronti del sentimento amoroso. Questa prospettiva è stata confermata durante lo
shadowing, allorché i giovani in
osservazione si sono dichiarati in
maniera unanime poco interessati
all’amore. Quello che segue è un
estratto da una conversazione con
una giovane cinese di 13 anni nata
in Italia:
Giovane: Non credo che l’amore
sia una cosa così importante, penso che l’amicizia sia molto più importante. Non mi interessa tanto se
nella vita mi innamorerò sul serio
oppure no. Però mi sposerò di sicuro.
Ricercatrice: Ma come, secondo te
le due cose non sono collegate in
nessun modo?
Giovane: [ride] Ma no, questa è
una cosa cinese, per questo non
capisci. Noi nella vita ci sposiamo
e basta. L’amore è tutta un’altra
questione. (…) Per questo in Cina
non divorzia nessuno: perché non
ci sposiamo per amore, quello poi
può finire. Lo so che ti sembra strano, ma ai miei occhi siete strani voi
italiani, così ossessionati con
l’amore, è proprio una mania!
I flirt adolescenziali sono consi-
derati con leggerezza dai ragazzi
cinesi che guardano all’amore
come a una sorta di accessorio,
una variabile trascurabile nel valutare i propri progetti futuri. Le
interviste con i genitori cinesi hanno confermato come il matrimonio sia visto prevalentemente
come un fatto strettamente
pragmatico, un’unione strumentale alla procreazione e alla
condivisione dei beni materiali.
Questa ottica, già radicata nel
contesto di origine, si acuisce in
territorio straniero, in quanto le
oggettive difficoltà quotidiane,
ancor più rendono urgenti delle
unioni a basso conflitto.
Considerando le opinioni dei genitori riguardo all’eventualità di
un matrimonio misto, le persone
intervistate hanno mostrato a volte di preferire apertamente che i
figli scelgano partner cinesi, in
questo caso però sembra che il
motivo principale sia solo il timore di incorrere in problemi di comunicazione. Oltre la comunicazione verbale, tuttavia ci riferiamo anche alla condivisione di un
bagaglio di valori a cui gli immigrati di prima generazione sono
molto attaccati. I genitori che
hanno affermato di preferire partner cinesi per i propri figli, infatti, hanno sottolineato che l’importante è che il matrimonio risulti
38
Cultura e Società
armonico, che non ci siano
incomprensioni che possano risultare dannose all’unione. Altri hanno poi aggiunto di essere preoccupati nello specifico del fatto che
gli italiani non mostrano un rispetto per gli anziani pari a quello prescritto dai dettami della tradizione cinese, ovvero si sono rivelati preoccupati in prima persona che una coppia mista possa
avere meno interesse al mantenimento della loro buona salute e
del loro benessere. Si riporta di
seguito una estratto da un’intervista con una famiglia cinese, che
più in dettaglio ha mostrato quanto sia viva tale preoccupazione:
Ricercatrice: Quali sono le caratteristiche della famiglia italiana che
le piacciono di meno?
Madre: Non ne so molto, ma mi
sembra che i rapporti tra figli e genitori nella famiglia italiana non
sono molto stretti e forti.
Figlia: Voi vivete così, a diciotto
anni ve ne andate di casa. In Cina
non è così, anche se i rapporti non
sono i migliori, i figli rimangono
con i genitori anche dopo il matrimonio. Ed è dovere dei figli mantenerli.
Ricercatrice: Quali sono i valori cinesi che è importante mantenere
quando ci si sposta in Italia?
Madre: Sicuramente il rispetto per
gli anziani, perché i genitori attra-
verso molti sforzi allevano i figli e
non è giusto che da vecchi i figli li
trascurino. Questo è un valore cinese che è importante mantenere.
Non tutte le famiglie comunque
hanno mostrato di preferire partner cinesi: gran parte degli adulti
con cui si è venuti in contatto durante la ricerca si sono, infatti,
limitati a spiegare che l’unica cosa
che conta è che le unioni siano
solide e durature. In alcuni casi,
si è anche registrata da parte di
certe famiglie una propensione
alla scelta di partner italiani, che
possano guidare i figli verso una
migliore comprensione del paese
ospite. 5
E’ notevole tuttavia che i ragazzi
contattati abbiano invece un’opinione molto omogenea, preferendo in maniera assoluta un partner cinese. Spesso, evidentemente, i genitori immaginano che i
propri figli abbiano raggiunto un
livello di integrazione tale con la
società da non avvertire alcun
ostacolo alla comunicazione con
un partner italiano. I ragazzi, a
prescindere dalla durata della
loro permanenza in Italia, quando chiamati in causa però hanno
spiegato di sentirsi interamente
capiti solo da altri cinesi: sentono
che condividere il tetto con una
persona che parla la propria lingua e conosce le proprie tradi39
Cultura e Società
zioni è la sola garanzia di stabilità e di maggiore semplicità
relazionale. 6
solitudine: la nostalgia del paese
natale o la pressione dei valori
familiari, castra ogni spirito di iniziativa, quindi molti scelgono di
rimanere a casa a giocare con i
solitari di carte sul computer oppure di rimanere al negozio della
famiglia, aspettando solo che il
tempo passi.
Ma a quale modello si ispirano i
timidi tentativi di una ricerca
identitaria autonoma manifestata da queste proto-comitive?
Sono gruppi che si identificano in
una serie di comportamenti che
chiaramente non sono caratteristici del contesto di origine: giocare a basket, fumare (anche le
ragazze), bere birra all’aperto,
scambiarsi effusioni in pubblico;
tutte cose che non appartengono
all’adolescenza delle famiglie cinesi delle zone rurali di provenienza. Questi comportamenti scaturiscono dall’immersione nella società italiana e non vengono riprodotti nel contesto di origine,
se non nei grandi centri urbani.
Altri aspetti ci mostrano che il
modello non è la gioventù italiana: i ragazzi passano i pomeriggi
a giocare tra loro a poker e a
majiang, ad ascoltare musica cinese, mangiano solo cibi cinesi,
vestono abiti di fattura cinese. Il
modello che sembrano avere in
mente è la seconda, terza gene-
3. Modelli di riferimento
La maggior parte dei ragazzi contattati avvertono che le proprie
esistenze in Italia “sono vuote”:
lo denunciano nei temi, nei questionari, nelle interviste e nelle
conversazioni informali; troppo
poco spazio è dedicato alla
socialità e spesso la barriera della lingua limita le amicizie ad un
gruppo in cui già tutti i membri
vivono forti ingerenze sulla libertà personale da parte della famiglia.7
Anche se, come si è detto, molti
giovani cinesi passano il tempo
esterno alla scuola, al lavoro o
agli eventuali corsi pomeridiani di
cinese, soli in casa impegnati con
i mezzi di comunicazione descritti, una parte di loro appare avere una timida iniziativa a costruire spazi ricreativi in cui
socializzare.
Questi ragazzi si trovano per la
prima volta ad inventarsi un
modo di stare insieme, diverso da
quello dei giovani in Cina, ma non
completamente uguale a quello
dei coetanei italiani. Per questo è
solo una parte minoritaria di loro
a trovare l’energia di reagire alla
40
Cultura e Società
razione cinese di paesi con una
tradizione migratoria più lunga,
come gli Stati Uniti, l’Inghilterra,
la Francia e altri paesi europei8:
giovani che non soffrono la solitudine, perché grazie alla maggiore portata numerica, il maggiore successo economico e la
completa acquisizione degli strumenti linguistici, non si trovano a
subire il paese ospitante, ma ad
usarlo, selezionando i valori ed i
costumi che vogliono acquisire,
ma mantenendo un’identità cinese a cui si sentono orgogliosamente attaccati. Il modello giovanile
a cui questi ragazzi si ispirano è
proprio il cliche del giovane cinese all’estero, figlio di famiglie cinesi immigrate con grande successo economico e che ha a disposizione beni e libertà che i suoi
coetanei in patria non possono
avere per motivi culturali ed economici. Sono modelli di vita che
si ritrovano anche nelle grandi
città cinesi dove l’estetica occidentale si va imponendo sul pubblico
giovanile.
Se l’identità di giovane huaqiao9
“di successo”, con l’immaginario
musicale, d’abbigliamento, di
passatempi e stile di vita a lui propri, appare essere il modello a cui
tendono i ragazzi cinesi di seconda generazione, analogamente le
loro velleità lavorative si dirigono
verso lo stesso tipo di valori. I ra-
gazzi appaiono estremamente
decisi nella prospettiva di riscattarsi economicamente, affermano
“voglio diventare un ricco commerciante”, in una maniera che
li distingue dai loro coetanei anche quando questi ultimi siano anch’essi immigrati. I testimoni in età
più avanzata spiegano che il cuore delle aspirazioni è fondamentalmente l’arricchimento, non necessariamente attraverso le attività commerciali. E’ molto forte
in tutti la tendenza al successo
economico ma non necessariamente ottenuto subentrando all’attività dei genitori. Il commercio, rimane a questo punto la via
più rapida e proficua per raggiungere tale meta, per questo i ragazzi spesso si proiettano impegnati in futuro nell’attività dei
genitori in quanto, nella maggior
parte dei casi con cui siamo venuti in contatto, sono attività commerciali. Molti però sono i casi in
cui i ragazzi esprimono semplicemente la determinazione a perseguire la ricchezza, senza necessariamente coinvolgersi nelle attività familiari, sentendo così di
rispettare a sufficienza le aspettative dei genitori, partiti con tale
proposito.
La costante è la forte dedizione
al lavoro, per cui è normale che i
giovani cinesi che padroneggiano la lingua si impegnino con
41
Cultura e Società
diverse attività anche su vari fronti, dimostrando un forte spirito di
abnegazione, strumentale all’accumulo di ricchezza e all’affermazione personale. E’ questa grande laboriosità motivata all’accumulo del patrimonio economico
che spesso i cinesi rimproverano
agli italiani di non capire, come
emerge, ad esempio, da un’intervista con una famiglia di ristoratori, in cui la madre ha sottolineato che:
“I cinesi sono molto operosi, più
degli italiani; siamo più in grado
di sopportare i disagi. Nel vostro
caso non si tratta proprio di pigrizia, ma è naturale, voi qui avete
dei lavori sicuri. Per noi è diverso,
dobbiamo cercare di lavorare il
più che possiamo, guadagnare il
più che possiamo, non sappiamo
cosa ci aspetta per il futuro”.
Per quanto riguarda le aspettative per il futuro dunque, si avverte nella maggioranza dei casi una
sovrapposizione con i valori sostenuti dalla prima generazione,
in quanto i giovani condividono
pienamente gli ideali dei genitori
e, per quanto possano decidere
di non seguirli nell’attività avviata, si sentono comunque come
loro tesi alla ricerca di un successo economico da condividere con
tutto il clan familiare10.
In conclusione, la vita sociale al
di fuori della scuola e degli ob-
blighi familiari è piuttosto limitata per i giovani cinesi. I pochi tempi rubati alla loro routine fortemente strutturata sono utilizzati
dai ragazzi per concedersi degli
svaghi che sono connotati da una
forte spinta alla conferma della
propria identità cinese. I giovani
consumano, spesso in solitudine,
beni di intrattenimento cinesi che
li facciano evadere da una
quotidianità che avvertono come
noiosa e isolata. D’altro canto i
soggetti più intraprendenti cercano forme di socializzazione al di
fuori della rete di obblighi in cui
sono imprigionati. Questi ultimi
si incontrano tra loro e formano
comitive i cui modelli di riferimento
sono ancora una volta cinesi, ma
non strettamente legati al contesto di origine. Il modello
adolescenziale a cui si ispirano
infatti appare essere quello dei
giovani cinesi di oltremare in paesi a più lunga tradizione
migratoria. Giovani che non vivono più la barriera linguistica e
che in alcuni casi hanno a disposizione un notevole patrimonio
economico. E’ un modello giovanile profondamente cinese che è
diffuso anche in patria in quelle
città in cui i beni di consumo, i
valori e le icone occidentali sono
state già assimiliate e sinizzate.
L’evidente permanere degli orizzonti di riferimento cinesi per tut42
Cultura e Società
vani cinesi in Italia si veda: A. Ceccagno,
Giovani migranti cinesi, Franco Angeli,
Prato 2004, pp. 118-127.
5) S. Roncaglia, “Affettività e vita
relazionale dei giovani cinesi”, in D.
Cologna, L. Breveglieri (a cura di), I figli
dell’immigrazione, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 145-163.
6) Per un confronto con la situazione
della seconda generazione cinese negli Stati Uniti, in riferimento ai matrimoni misti, si veda: N. Kibria, “The
construction of ‘Asian American’:
reflections on intermarriage and ethnic
identity among second-generation
Chinese and Korean Americans”, in
Ethnic and Racial Studies, (20), 3, 1997.
7) Si veda anche: D. Cologna, in D.
Cologna, L. Breveglieri (a cura di), I figli
dell’immigrazione, Franco Angeli, Milano 2003, pp. 38-41.
8) Per un confronto con la seconda generazione cinese in Belgio si veda:
Chinglin Pang, “Invisible visibility:
intergenerational transfer of identity
and social position of Chinese women
in Belgium”, in Asian and Pacific
Migration Journal, 7, 4, 1998.
9) Il termine risalente alla fine del XIX°
secolo indica tradizionalmente i cosiddetti ‘cinesi di oltremare’, durante la
ricerca tuttavia mi è capitato di sentirlo
utilizzare per indicare specificamente
quelle famiglie migrate da molto tempo che sono riuscite ad accumulare una
consistente ricchezza, preferendolo in
tal caso al termine moderno yimin (più
genericamente “migrante”).
10) Si veda anche: A. Ceccagno, “Lingue e dialetti dei cinesi in Italia: percezioni, aspirazioni, ostacoli”, in E. Banfi
(a cura di), Italiano/L2 di Cinesi, Franco
Angeli, Milano 2003, p. 142.
ti questi giovani, fa sì che non si
riscontri di norma un forte conflitto generazionale. Considerato
il forte utilitarismo che caratterizza il flusso migratorio delle famiglie cinesi in Italia, riscontriamo
un allineamento di vedute
intergenerazionale su molti temi
(il matrimonio, le aspettative lavorative, l’attaccamento all’identità di origine). Rimane comunque da augurarsi che i giovani
cinesi non debbano continuare a
pagare questa stabilità e consapevolezza del proprio ruolo nell’ambito del progetto migratorio,
con l’alienazione dai contesti di
socializzazione e con la solitudine.
1) N. Baracani, “La seconda generazione nella migrazione cinese in Toscana: scuola e integrazione sociale”, in
G. Campani, F. Carchedi, A. Tassinari
(a cura di), L’immigrazione silenziosa, le
comunità cinesi in Italia, Fondazione
Agnelli, Torino 1994.
2) Sul ruolo dei figli nel progetto
migratorio cinese si veda: D. Cologna
(a cura di), Bambini e famiglie cinesi a
Milano - Materiali per la formazione degli insegnanti del materno infantile e della scuola dell’obbligo, Franco Angeli,
Milano 2002, pp. 75-77.
3) AA.VV., Cina a Milano. Famiglie,
ambienti e lavori della popolazione cinese a Milano, Abitare Segesta, Milano
1997, pp. 230-231.
4) Per una accurata descrizione del valore che le chat line rivestono per i gio43
Documenti
La funzione di
Internet nel processo
di democratizzazione
in Cina
corso del suo effettivo processo di
attuazione, oltre a scontrarsi con
le tradizioni culturali, le strutture
istituzionali, il livello di sviluppo
economico ed educativo ed altri
ostacoli, si trova di fronte ad un
problema molto importante: le
difficoltà di tipo tecnico ovvero
l’impossibilità per una quantità
straordinariamente grande di persone di occuparsi direttamente
dell’amministrazione degli affari
pubblici e sociali. Di conseguenza, la democrazia rappresentativa (Representative democracy [in
ingl. nel testo]) - in cui il potere
viene esercitato indirettamente da
rappresentanti delegati tramite il
sistema delle elezioni - è diventata la più diffusa forma effettiva
di governo democratico. Tuttavia
il difetto presente nella sostituzione della democrazia partecipativa
(Participatory democracy [id.]) con
la democrazia rappresentativa sta
nel fatto che, nonostante l’accurata progettazione di ogni tipo di
sistema per garantire che i rappresentanti possano seguire fedelmente la volontà popolare, nella
loro effettiva attuazione esistono
comunque dei problemi di comunicazione tra gli elettori e i rappresentanti. Attualmente “Salvo
che in paesi eccezionalmente piccoli, in tutti gli altri stati solo una
piccola parte dei cittadini ha la
“Lun hulian w angluo zai Zhongguo
minzhuhua jincheng zhong de
zuoyong”, di Li Junqing (Istituto di
Scienze dell’Amministrazione, Università Centrale delle Nazionalità
di Pechino), Jin yang xuekan, n. 2,
aprile 2004, pp. 3-7.
I
n greco antico il termine “democrazia” è composto dalle
due parole “demos”, popolo e
“krathia”, governo. Nella sua accezione di valore etico, essa sta a
indicare che “la sovranità appartiene al popolo”, ovvero il “governo del popolo”; nella sua accezione di organizzazione istituzionale, l’essenza di un governo
democratico risiede nel garantire
alle masse popolari una partecipazione ampia e paritaria alle
pubbliche decisioni e alla pubblica amministrazione, rendendo
così effettivo il diritto del popolo
ad essere sovrano.
Tuttavia, pur essendo la migliore
forma di governo creata finora
dall’umanità, la democrazia, nel
44
Documenti
possibilità di discutere riguardo a
eventuali problematiche assieme
ai propri rappresentanti. La partecipazione diretta al governo attraverso la forma della discussione presenta svariate limitazioni;
basterà moltiplicare il numero dei
contatti tra i cittadini e i loro rappresentanti necessari alla partecipazione al governo per il tempo mediamente necessario per
ogni contatto perché tali limitazioni possano venire facilmente
alla luce. E se questa semplice
moltiplicazione dimostra chiaramente tale situazione, il tempo
totale necessario, a seguito di
un’eventuale crescita del numero
dei cittadini, arriverebbe rapidamente a cifre astronomiche”.1 In
altre parole, anche se si è già arrivati a realizzare tutte le altre
condizioni necessarie a un governo democratico, le limitazioni tecniche alle richieste relative al benessere e all’espressione politica
del popolo fanno sì che all’atto
della messa in pratica esso sia
ancora un gigante zoppo.
A partire degli anni ’90 del Ventesimo Secolo, l’affermarsi di
Internet e la sua rapida diffusione hanno colmato, a un certo livello, tale lacuna. In particolare,
per quanto riguarda la Cina, continuando decisa la politica di riforma e apertura, con la conseguente, continua e rapida cresci-
ta economica, col diffuso
innalzamento del livello d’istruzione, e con il rapido sviluppo del
processo di internazionalizzazione, si sono verificati significativi cambiamenti nelle strutture
sociali; la società cinese, nel suo
progressivo diversificarsi ha mostrato un entusiasmo senza precedenti nella richiesta di una distribuzione delle risorse politiche
tramite un sistema democratico.
Essendo la democrazia l’essenza
basilare del socialismo, la costruzione di un governo socialista altamente civile, e il perfezionamento di un governo socialista
democratico costituiscono il nostro obiettivo politico. Nel corso
del rapido sviluppo della Cina,
Internet ha fornito un efficiente
supporto tecnico alla crescita della
coscienza democratica nelle masse cinesi, all’allargamento dei canali di partecipazione politica, al
cambiamento delle strutture politiche e dei modelli di comportamento politico tradizionali e all’attuazione del processo di
democratizzazione della Cina
stessa.
1. Internet in Cina: condizioni
attuali e tendenze di sviluppo
Nell’arco di dieci anni, dalla sua
introduzione in Cina nel 1994,
Internet ha conosciuto uno svilup45
Documenti
po straordinariamente rapido.
Attualmente si sono già iniziate a
costituire la CSTNET, la
CHINANET, la CERNET, la CHINA169, la UNINET, la CNCNET,
la CIETNET, la CMNET, la
CGWNET, la CSNET e una decina
di altre reti telematiche. Secondo
il 13° “Rapporto statistico sulla situazione dello sviluppo di Internet
in Cina”, pubblicato dal China
Internet Network Information
Center, fino al 31 dicembre 2003
in Cina il numero di computer
connessi a Internet era arrivato a
30.890.000, il numero di utenti
a 79.500.000, i domini registrati
presso CN a 340040, i siti Internet
a 595.550, il numero totale di
indirizzi IP a 41.456.128, la dimensione complessiva di banda
larga per la trasmissione di dati
all’estero 27216 Mbit/s.
Ecco la situazione dello sviluppo
di Internet in Cina a partire dal
1997 secondo le cifre riportate dal
13° “Rapporto statistico sulla situazione dello sviluppo di Internet
in Cina”, pubblicato dal China
Internet Network Information
Center (si veda la successiva tabella 1).
Da tale tabella si può osservare
come, nell’arco di poco più di 7
anni, il numero di computer connessi a Internet si sia moltiplicato
per 103.3 volte, il numero di uten-
ti Internet di 128.2 volte, il numero di domini registrati presso
la CN di 83.6 volte e le bande
larghe internazionali di 1071.2
volte.
Secondo la ricerca condotta dall’impresa statunitense NIELSEN,
attualmente il numero di utenti
Internet in Cina è inferiore solo a
quello degli Stati Uniti e occupa
il secondo posto nella classifica
mondiale; inoltre, con una crescita attuale del 5-6% mensile, si
prevede che, nell’arco di 3 o 4
anni, il numero degli utenti
Internet in Cina raggiungerà circa 257 milioni. Attualmente in
Cina si stanno realizzando tre
grandi progetti: il “Governo in
rete”, l’”Impresa in rete” e la “Famiglia in rete”, che stanno già
ottenendo una prima fase di successi. Si può dunque prevedere
che, a seguito del continuo sviluppo economico cinese, nell’arco di qualche anno Internet si diffonderà in Cina in modo straordinariamente rapido.
2. L’influenza esercitata da
Internet nel processo di
democratizzazione in Cina
La rapida diffusione di Internet ha
avuto un’influenza profonda e di
ampia portata sul processo di
democratizzazione in Cina. Le
46
Documenti
principali manifestazioni si sono
verificate riguardo tre aspetti:
1)
Allargamento del diritto all’informazione dei cittadini.
Il diritto all’informazione costituisce il principio cardine di una
società democratica: il possesso
del diritto alla conoscenza di informazioni inerenti al benessere
personale e pubblico è uno dei
prerequisiti fondamentali per la
realizzazione della democrazia
stessa. Per la maggior parte dei
cittadini, il canale principale di
accesso all’informazione è costituito dai mass media; tuttavia, per
quanto riguarda l’allargamento
del diritto all’informazione dei cittadini, Internet presenta dei vantaggi incomparabili rispetto ai
mass media tradizionali.
Prima di tutto, la grande varietà
delle fonti di informazione e dei
mezzi di diffusione contribuisce ad
arricchire notevolmente i contenuti. Attualmente la maggior parte delle pagine Web dedicate alle
notizie è di natura commerciale,
e tra esse sussiste un rapporto di
concorrenza paritaria. Ed è proprio questo che determina il carattere polivalente di Internet riguardo alle fonti di informazione
e ai mezzi di diffusione, rendendo ancora più ricca la quantità
delle notizie in rete; in questo
modo si fornisce ai cittadini un
diritto ancora maggiore di accesso alle notizie. Così non ci si pone
in modo passivo di fronte ai tradizionali mass media, come accadeva in passato, ma si può scegliere liberamente la notizia che
si desidera approfondire e, tramite il confronto di diverse fonti
di informazione, si può ottenere
una notizia ancora più completa
e rispondente al vero.
In secondo luogo, per quanto riguarda il metodo di trasmissione
delle notizie, i vantaggi di Internet
rispetto ai tradizionali mass media sono:
a) Rapidità nei tempi: sotto l’impulso di una affannosa ricerca di
vantaggi commerciali, su Internet
spesso si trovano scoop della prima ora riguardo a fatti che presentano un effettivo valore giornalistico; Internet inoltre offre rapidamente i retroscena riguardo
la notizia in questione.
b) Vastità degli ambiti: Internet è
un mezzo di informazione globale, che supera ampiamente il raggio di estensione della stampa e
delle trasmissioni radio e la limitata zona di copertura dei segnali
televisivi. Teoricamente, una notizia pubblicata su Internet può
invece essere accessibile agli utenti
dell’intero pianeta.
c) Ampiezza di capacità. Essendo
un nuovo tipo di mezzo di comu47
Documenti
nicazione, Internet ha una capacità enorme, che sorpassa ampiamente lo spazio delle pagine di
un giornale o le limitazioni di tempo delle trasmissioni radio-televisive.
d) Multimedialità. Internet può
combinare insieme parole, immagini, suoni e ogni vantaggio dei
metodi di comunicazione, fornendo inoltre al pubblico una modalità di ricezione ancora più comoda.
e) Continuità. Dal momento che
l’utente può decidere liberamente quando collegarsi a Internet,
l’accesso alle informazioni e alle
notizie può essere fatto in modo
libero e comodo senza dovere
aspettare l’uscita di giornali o
l’orario prefissato delle trasmissioni radio-televisive.
Secondo quanto mostrato dai risultati di recenti indagini, in Cina
la percentuale degli utenti che si
collega alla rete da casa propria
costituisce il 66.1% del totale degli utenti. La percentuale degli
utenti che paga autonomamente
i costi della connessione a Internet
supera il 70%. Queste cifre dimostrano come Internet non sia più
soltanto uno strumento per l’ufficio o per la ricerca scientifica,
come era ai tempi della sua introduzione in Cina, ma sia diventato un parte importante della vita
quotidiana delle masse. Tra gli
utenti Internet, più del 90% ha
indicato come scopo principale
della navigazione l’accesso a informazioni e notizie. I risultati di
un’indagine condotta verso la fine
del 2001 sugli abitanti di Pechino
dall’Istituto di Ricerche sulla Psicologia Sociale mostra come nello svolgimento di un questionario
sui 7 grandi eventi dell’anno, gli
utenti Internet avessero in media
risultati del 20% più alti rispetto
agli altri. Ma l’influenza delle notizie diffuse su Internet non è limitata alla vita personale degli
utenti. Nelle famiglie degli utenti
su cui è stata condotta questa inchiesta, l’81.6% ha dichiarato di
essere al corrente delle notizie diffuse in rete tramite l’utente
Internet.
Nella società moderna, l’influenza dei mezzi di comunicazione
sullo sviluppo sociale, sulle opinioni e sui comportamenti è enorme, al punto da farli definire come
“il quarto potere”; lnternet, che
presenta dei vantaggi incomparabili rispetto ai mezzi di comunicazione tradizionali, ha fornito un
potente supporto tecnico al diritto all’informazione dei cittadini
cinesi.
2) Offerta di un nuovo spazio di
partecipazione alla vita politica e
sociale dei cittadini cinesi.
48
Documenti
L’allargamento al diritto all’informazione e la crescita della coscienza democratica che ne è conseguita hanno inevitabilmente
portato a un ampliamento della
partecipazione dei cittadini alla
vita politica e sociale.
Nonostante la Costituzione garantisca ai cittadini il diritto alla
partecipazione alla vita politica
dello Stato, la messa in pratica di
tale diritto necessita non solo di
garanzie da parte delle istituzioni, ma anche del supporto di una
sicura strategia tecnica. Internet,
con la caratteristica dell’
interattività, fornisce ai cittadini
uno spazio per la partecipazione
e da loro non solo il diritto di “sapere”, ma anche un’occasione di
“parlare”: per esempio, nel sito
Web del Quotidiano del Popolo
(www.peopledaily.com.cn), in calce ad ogni notizia c’è lo spazio
“La parola agli utenti”; oltre a
questo, nella pagina “Opinioni”
ci sono tre spazi per le discussioni
degli utenti: “Dicono gli utenti”,
“In primo piano”, “Parole in libertà”. In particolare, nel “Forum per
il rafforzamento dello Stato” organizzato dal sito, sono attualmente registrati 80000 utenti, di
cui 10000 inviano quotidianamente dei messaggi; il numero
più alto di messaggi registrati in
un thread è di 20000. Negli ulti-
mi anni i primi quattro tra gli argomenti più frequentemente trattati in questo forum sono stati: le
relazioni tra Cina e Stati Uniti, la
questione Taiwan, il problema
della democrazia, il problema
della corruzione. La Sina.com
(www.sina.com.cn) in calce ad
ogni notizia riporta tre link:
“Commenti”, “Forum sui fatti del
giorno” “Notizie raccomandate”;
il 31 luglio 2001, dopo la rivelazione della notizia del grave incidente della miniera Nandan nel
Guangxi2, nell’ arco di sei mesi più
di 1300 utenti postarono messaggi. La Eastday (www.eastday.com)
riporta sotto a ogni notizia il comando “Lascia un messaggio” che
riporta immediatamente alle “Discussioni più seguite”, in cui gli
utenti possono liberamente lasciare dei messaggi. Attualmente in
tutte le grandi pagine web cinesi
non solo sono stati costituiti dei
forum di discussione sulle notizie
più importanti in Cina e all’estero ; sono inoltre stati aperti per
gli utenti degli spazi che
rispecchiano problemi inerenti al
loro benessere personale. Spazi
come questi sono la tre rubriche
speciali la “Voce della gente” della Enorth (www.enorth.com.cn)
“Le voci della gente” e “L’espresso dell’Est” della Eastday: la prime due sono dedicate alle denun49
Documenti
ce dei lettori, mentre la terza si
occupa delle inchieste dei giornalisti della Eastday sulle denunce
dei lettori. Il 24 marzo 2001, sul
“Forum per il rafforzamento dello Stato” un utente (il cui pseudonimo era “L’uomo del villaggio
Chengshan”) con un posting dal
titolo “Ferrovie: cosa succede veramente?” ha denunciato gli irragionevoli abusi verbali ricevuti
alla biglietteria della stazione ferroviaria di Chongqing, dichiarando di voler continuare ininterrottamente a inviare il messaggio
finchè non fosse stato letto dal Direttore delle Ferrovie. La Ripartizione delle Ferrovie ha rapidamente disposto un’inchiesta e la
stazione ferroviaria di Chongqing
ha espressamente inviato un suo
delegato fino nel Fujian (un viaggio estremamente lungo) per presentare le proprie scuse all’”uomo
del villaggio Chengshan”. Zou
Jiajian di Shenzhen, attravero il
sito “Jingzhou 315” ha lanciato
un appello per la difesa del diritto di proprietà, suscitando l’interesse e la simpatia della società.
Da qualche anno, nel periodo tra
le due Assemblee, diversi membri
dell’Assemblea nazionale del popolo e della Conferenza Politica
Consultiva hanno comunicato con
le masse attraverso la rete, informandosi e raccogliendo i sugge-
rimenti e le opinioni della popolazione. Importanti problemi di
pubblico interesse come le riforme politiche, l’imparzialità nell’amministrazione della giustizia,
l’ingresso della Cina nel sistema
globale, gli oneri dei contadini,
la riorganizzazione delle telecomunicazioni, la politica della borsa valori, la riforma della sanità,
fino al problema dei candidati
indipendenti, il “caso Liu Yong3”,
“Il caso della BMW pirata4” e
l’”Affare Sun Zhigang5" sono diventati argomenti di primo piano
sulla rete, con pareri espressi attraverso decine di migliaia di messaggi. Inoltre, gli utenti possono
entrare liberamente nei BBS
(Bullettin Board Systems) in rete,
il cui numero è difficilmente
calcolabile, nei forum di discussione liberi, negli spazi per i commenti, nelle chat room, negli spazi
per critiche e recensioni, nelle
mailbox di istituzioni governative.
E se dovessero sorgere motivi di
preoccupazione, si può sempre
mantenere l’anonimato o ricorrere a uno pseudonimo per pubblicare opinioni, scambiarsi pareri,
offrire dei consigli e costituire in
tal modo un comune patrimonio
di conoscenze.
Il sociologo tedesco Jurgen
Habermas nella sua opera Trasformazione strutturale delle sfere pub50
Documenti
bliche (Strukturwandel der Oeffentlichkeit) sottolinea come una
delle condizioni base di un governo democratico debba essere
la necessaria presenza di “spazi
dove i cittadini discutono liberamente degli affari pubblici e dove
possono partecipare alle attività
politiche” ovvero le “sfere pubbliche” 6. La caratteristica principale
delle sfere pubbliche è che vi può
partecipare il maggior numero
possibile di persone, che ogni parere viene valutato allo stesso
modo e vi può essere liberamente espresso. Esse fanno sì che “i
fatti pubblici possano essere soggetti a una supervisione popolare caratterizzata da una coscienza critica” e “hanno la funzione
di regolare le politiche nazionali
e sociali”. Una sfera pubblica ideale dovrebbe essere indipendente dal governo e dal mercato,
dovrebbe avere una raccolta di
informazioni completa e obiettiva, un sistema di credito garantito e poter offrire alla popolazione degli spazi pubblici e aperti per
poter comunicare e discutere in
modo libero e paritario. Ma nell’epoca moderna, vista l’unilateralità dei mezzi di comunicazione, il monopolio da parte dei leader dell’opinione e la mancanza
di un meccanismo di interattività,
la limitata portata ed i contenuti
delle loro comunicazioni fanno sì
che le sfere pubbliche non possano contribuire in pieno allo sviluppo della società urbana e di
un governo equilibrato. Al contrario, lo spazio telematico fornito da Internet presenta una grande apertura, un potente livello di
interattività, informazioni in abbondanza, comodità nello spoglio
dei materiali, assenza di limitazioni per quanto riguarda lo spazio, la locazione geografica e il
tempo; e oltre all’attrezzatura per
l’accesso alla rete e semplici competenze sul suo utilizzo non presenta limitazioni, ottemperando
così alle caratteristiche necessarie per una sfera pubblica ideale.
La Cina ha avuto da sempre una
tradizione politica all’insegna del
controllo sociale e del detto “Meglio chiuder la bocca alla gente
che chiuder le frontiere”; i canali
della libera espressione popolare
sono sempre stati estremamente
ridotti, ma il rapido sviluppo di
Internet ha fornito alla popolazione uno spazio per esprimersi
liberamente e conformarsi al punto di vista delle masse, facendo sì
che il diritto di parola ritornasse
dai tradizionali mezzi di comunicazione alle masse, suscitando
quindi forti pressioni da parte
51
Documenti
dell’opinione pubblica e dando un
impulso allo sviluppo del processo di democratizzazione in Cina.
Essendo la democrazia una idea,
la messa in pratica sarà tanto più
importante. I cittadini cinesi, attraverso la comprensione e la partecipazione alla politica e alla vita
sociale della nazione, stanno progressivamente accrescendo la
propria coscienza democratica;
dall’interesse e dalla partecipazione alla gestione e alle politiche
governative concernenti l’interesse
del singolo ci si è allargati fino a
quelle concernenti il pubblico interesse, costituendo in tal modo
una potente forza motrice per il
processo di democratizzazione cinese.
3) Promozione di uno stimolo alle
riforme politiche.
Considerata l’esigenza di un ulteriore adattamento agli sviluppi
economici e sociali, dal 1999 il
governo cinese ha iniziato l’attuazione dell’imponente progetto
“Governo in rete”; dal dicembre
2003 gli utenti registrati nel dominio gov.cn sono arrivati a
11764, 2436 in più rispetto a sei
mesi prima, con un tasso di crescita del 26.1%, 36 volte di più
rispetto ai 323 del 1997. Attualmente tutti i livelli del governo,
da quelli centrali a quelli periferici, tendono alla costruzione di
un governo telematico. Ad esem-
pio, la municipalità di Pechino ha
avviato la costruzione di una stazione di pubblica informazione
nella capitale (CPIP), i cui più importanti contenuti sono:
a) Governo telematico (Egovernment);
b) Business telematico (Ecommerce);
c) Rete informatica per la scienza
e l’educazione;
d) Rete di informazione sulla sicurezza del lavoro e sociale e sui
servizi per la comunità;
e) Cyber – Beijing.
D’altro canto nel caso di
Shenzhen, una città e una rete
informatica governativa locale
progettate e ultimate nell’arco di
5 anni, la rete serve per accrescere il livello di perfezionamento
e potenziare la funzionalità nei
servizi, con lo scopo di permettere ai cittadini di sbrigare il 40%
delle pratiche statali via Internet.
Attualmente, i principali contenuti
del Governo cinese in rete sono:
a) La messa in rete delle funzioni
del governo, ossia la pubblicazione su Internet delle funzioni dei
vari dipartimenti governativi, delle
loro competenze, le strutture delle organizzazioni, delle procedure delle pratiche, delle leggi e regolamenti. b) La messa in rete di
informazioni, ossia la pubblicazione su Internet di materiale informativo, files e dati sui dipartimenti
52
Documenti
governativi. Attualmente l’ufficio
preposto a questo compito sta
preparando la bozza della “Normativa sulla divulgazione di materiale informativo sul governo”.
c) Il governo in rete, ossia il rendere pubbliche, tramite Internet,
tutte le attività dei dipartimenti
governativi – in tal modo si farebbe di Internet un canale di divulgazione degli affari di governo.
d) La messa in rete delle pratiche
burocratiche, ossia l’informatizzazione di certificati e documenti
ufficiali attraverso la costituzione
di un centro informatico documenti - in questo modo crescerebbe la percentuale delle pratiche burocratiche sbrigate.
La riforma del sistema amministrativo, a confronto con quella del
sistema economico, sta affrontando una fase di ristagno, dal momento che il governo, in alcuni
casi, si serve ancora dei moduli e
dei sistemi amministrativi tipici del
periodo dell’economia pianificata, con dei meccanismi enormi,
andamenti lentissimi e mancanza
di chiarezza nelle responsabilità.
In alcuni dipartimenti ancora sussiste il trend burocratico del “Le
porte non si aprono, i documenti
non si leggono e le pratiche non
si sbrigano” e degli abusi dovuti
alla “dipartimentizzazione del
potere statale, l’individualizzazione del potere di dipartimento e
la commercializzazione del potere individuale”. La trasparenza e
la precisione sono i prerequisiti
della correttezza e dell’imparzialità; l’ingresso del governo in
Internet ha indubbiamente messo, a un certo livello, il governo
sotto il controllo della popolazione, e ha richiesto che esso seguisse
l’influsso delle tendenze alla
tecnologizzazione, alla legalizzazione e alla democratizzazione
e che esso facesse il possibile per
attuare la razionalizzazione delle
strutture, la definizione delle funzioni, la chiarezza dei regolamenti, la semplicità nelle procedure.
In questo modo si può enormemente innalzare il livello di perfezionamento dello stato, eliminare gli intrighi dietro le quinte, innalzare il livello di efficienza dell’amministrazione, e ha avuto un enorme significato nel
contenimento della corruzione,
nell’opposizione al burocratismo
e nella promozione del processo
di democratizzazione.
3. Problemi e prospettive
1) Il problema dell’esiguità della
portata di Internet e della
disomogeneità della distribuzione
geografica.
Nonostante lo straordinario sviluppo di Internet negli ultimi anni,
le dimensioni della rete, la velo53
Documenti
cità di trasmissione, le informazioni e i servizi offerti sono ancora lontani dall’essere adeguati alle
richieste dello sviluppo economico e sociale. Oltre a questo, se
esaminiamo la situazione dal punto di vista della distribuzione geografica, vedremo che questa è
estremamente disomogenea - la
concentrazione maggiore è nelle
città principali e nelle zone economicamente sviluppate della costa. Secondo le statistiche sulla
distribuzione territoriale fatte dalla CN nella Cina del Nord la percentuale di diffusione di Internet
è del 29.4%, nella parte orientale è del 29.6%, nella parte meridionale è del 19.4%, nella parte
nord-orientale del 5%, nella parte sud-occidentale del 4.9%, nella parte nord-occidentale del
2.7%; solo a Pechino la percentuale è del 24.9%, mentre nel
Qinghai è appena dello 0.1%. E’
quindi evidente che la rapidità
dello sviluppo di Internet è direttamente proporzionale a quella
dello sviluppo economico e che è
necessario ancora del tempo perché Internet si diffonda in Cina.
2) Esiguità della percentuale di
utenti Internet rispetto al totale
della popolazione.
A causa delle limitazioni costituite dalle condizioni economiche, i
personal computer non sono an-
cora diffusi in Cina; le famiglie
che possiedono un computer in
Cina sono solo una piccola percentuale. Sebbene attualmente il
numero di utenti Internet sia quasi
arrivato a 80.000.000, tale cifra
costituisce appena il 6.2% della
popolazione cinese (che conta
1.300.000.000 di persone). Oltre
alle condizioni economiche, un
altro fattore gravemente limitante per la diffusione di Internet in
Cina è l’istruzione. In Cina ci sono
800 milioni di contadini con un
basso livello di istruzione; gli oltre 100 milioni di analfabeti si
concentrano per lo più nelle campagne remote e nelle regioni povere. Secondo una recente indagine del China Internet Network
Information Center, tra tutti i fattori che influenzano l’accesso della popolazione a Internet, la non
conoscenza del computer e/o di
Internet costituisce il 37.7%; il ritenere Internet inutile o non necessario costituisce il 14.8%; la
mancanza di attrezzature per accedere a Internet il 21.3%. L’inadeguatezza dell’istruzione nazionale di base, l’arretratezza delle
condizioni economiche sono dei
seri problemi per la diffusione dei
personal computer e di Internet.
3) Problemi derivanti dal sistema
governativo, dai modelli di tipo
amministrativo e dalla qualità dei
dipendenti statali.
54
Documenti
Lo sviluppo dell’economia di mercato richiede da parte del governo una trasformazione dai tradizionali modelli di tipo amministrativo a modelli di erogazione di
servizi; tutto ciò che concerne
l’economia nazionale e il benessere della popolazione, e specialmente le misure politiche inerenti
al benessere particolare della gente comune, deve avvenire attraverso il coinvolgimento e l’ampia
discussione delle masse, e specialmente dei destinatari di tali vantaggi. Ma, a causa del modello
prettamente amministrativo formatosi in tanti anni di sistema
basato sull’economia pianificata,
sussiste ancora il problema detto
“Path dependence” [in ingl. nel
testo]: essendo ancora l’80% delle fonti d’informazione sulla società in mano al governo, più di
3000 database, il grado di apertura di tale materiale al pubblico
è ancora ben lontano dal soddisfare le richieste della società. Ci
sono ancora dei casi isolati di funzionari che ritengono di essere
non i “servitori del popolo” bensì
i padroni, che usano tuttora il
proprio potere come strumento
per ottenere vantaggi personali e
quindi non sono disposti a rendere trasparenti le procedure.
Inoltre, attualmente ancora il
43.3% dei 5.600.000 funzionari
cinesi non ha frequentato università o istituti universitari; pertanto il livello di istruzione di una
considerevole parte dei funzionari, in particolare di quelli delle
strutture governative di base, è
piuttosto basso. Questi funzionari quindi difficilmente si potranno
adattare alle esigenze di un governo telematico in un breve arco
di tempo.
Tutti i fattori elencati sopra costituiscono un’ostruzione al processo di ingresso in Internet del governo cinese, e causano il rallentamento di questo processo; in
alcuni luoghi esso è divenuto una
pura formalità, riducendosi alla
creazione di una sola pagina
Web, dal contenuti obsoleti e
monofunzionale. Recenti statistiche mostrano come nei siti Web
del governo cinese, la percentuale dei servizi offerti sia la seguente: la presentazione di funzioni e
incarichi costituisce l’87%, i comunicati del governo, le leggi e i
regolamenti il 79.2%, le notizie
sul governo il 77.6%, le informazioni sulle professioni e le informazioni territoriali il 76%, le indicazioni sulle pratiche il 67.7%,
i dati statistici il 21.9%, gli spazi
per informazioni o per sottoporre delle richieste il 5.7%, l’ammi55
Documenti
nistrazione statale (come le spiegazioni ufficiali in rete) lo 0.2%.
Un’indagine rivolta agli utenti
Internet rivela come il 12.7% non
ha mai sentito parlare dell’amministrazione statale in rete, il 36.5%
ne ha sentito parlare, ma non sa
di cosa si tratta, il 35.8% ne sa
poco, il 15% sa bene di cosa si
tratti, mentre solo il 2.0% ha
usufruito dei suoi servizi, limitandosi essenzialmente a navigare
nelle pagine di informazione. Secondo l’ONU e l’American Society
for Public Administration (ASPA) le
5 fasi di sviluppo dell’amministrazione statale in rete sarebbero:
a) Fase costitutiva (Emerging Web
Presence [in ingl. nel testo]). Si
verifica quando un paese ha una
quantità limitata di pagine Web
sul governo, pagine che possono
fornire soltanto alcune informazioni a carattere statico.
b) Fase di perfezionamento
(Enhanced Web Presence [in ingl.
nel testo]). Si verifica quando la
quantità di pagine Web cresce
ininterrottamente e possono essere fornite informazione a carattere maggiormente dinamico.
c) Fase di interattività (o Interactive
Web Presence [in ingl. nel testo]).
Si verifica quando le pagine Web
della pubblica amministrazione
offrono solo in parte delle fun-
zioni interattive, come moduli da
scaricare, richieste da presentare
in rete ecc.
d) Fase di transazione (o
Transactional Web Presence [in
ingl. nel testo]). I cittadini possono, a seconda del bisogno, sbrigare comodamente sulla pagina
Web del governo delle pratiche ad
esso inerenti, come pagare le tasse
o fare altri tipi di versamenti.
e) Fase di presenza pienamente
integrata (o Fully Integrated Web
Presence [in ingl. nel testo]). Si
integrano in un unico sistema tutti
i servizi governativi presenti in
rete; gli utenti, tramite il sistema
del “portale unico” (One-StopShop Portal [in ingl. nel testo]),
possono sbrigare tutte le pratiche
statali.
In base a questi standard, il processo di ingresso in Internet del
governo cinese sta tuttora attraversando la fase di formazione e
sviluppo; c’è ancora molto lavoro e molta strada da fare prima
di realizzare un governo
telematico nel vero senso della
parola e ottenere la trasparenza
e la perfezione nell’attuazione
della pubblica autorità.
Inoltre, una ragionata partecipazione alla rete richiede anche l’appoggio e il sostegno dei cittadini
più consapevoli, e dotati del sen56
Documenti
so della cosa pubblica; l’economia di mercato ha risvegliato nei
cittadini la coscienza della salvaguardia dei propri diritti e la consapevolezza della propria partecipazione. Tuttavia in un governo
democratico ideale dovrebbe esserci “una partecipazione ordinata all’amministrazione degli affari
di stato da parte dei cittadini”.
La democrazia telematica, mentre
si fa portatrice di un’importante
funzione di critica indipendente nei
confronti della sfera pubblica,
deve anche saper prevenire il dibattito rispetto ad alcuni temi, dal
momento che “la turbolenza del
sentimento popolare” soffoca le
analisi razionali, fino alla formazione della cosiddetta “dittatura
della maggioranza”.
Nonostante sussistano ancora
problemi di vario genere riguardo alla promozione del processo
di democratizzazione da parte di
Internet, si può essere tuttavia ottimisti sulle sue prospettive di sviluppo.
In primo luogo, in seguito all’ininterrotta crescita dell’economia cinese e alla crescente forza della
globalizzazione dell’informazione,
e in particolare a seguito delle
pressioni dovute all’accesa concorrenza che ci si è trovati a fronteggiare dopo l’ingresso della
Cina nel WTO, si può affermare
senza dubbio che nell’arco di
qualche anno Internet si diffonderà in Cina a velocità ancora
maggiore.
In secondo luogo, in base all’età,
al grado di istruzione e alla professione degli utenti di Internet in
Cina, si può osservare che attualmente, tra gli utenti Internet cinesi la percentuale di quelli in età
tra i 18 e i 24 anni costituisce il
34.1%, quella tra i 24 e i 30 anni
il 17.2%, e quella tra i 31 e i 35 il
12.1%, quella degli utenti tra i 36
e i 40 il 7.6%, e infine tra i 41 e i
50 il 6.4%; quelli con un’istruzione al di sopra della scuola superiore costituiscono l’86.5%; per
quanto riguarda la professione,
sono distribuiti principalmente
negli organi di partito, nei settori
della ricerca scientifica e dell’educazione, nell’editoria e nell’informazione, nelle imprese industriali e commerciali e così via. E’ evidente che i giovani e le persone
di età intermedia che dispongono di notevoli risorse sociali e hanno un livello culturale piuttosto
alto costituiscono il corpo principale degli utenti Internet. Il loro
modo di pensare ed il loro comportamento hanno un significato
estremamente importante nella
promozione del processo di
democratizzazione in Cina.
57
Documenti
Nel novembre del 2001 l’Istituto
di Ricerche sulla Psicologia Sociale di Pechino ha condotto un’indagine nel territorio della municipalità della capitale, dal tema
“Internet e atteggiamento verso
la politica” (www.mingyi.org.cn).
Svolgendo un’analisi comparativa sui dati risultati dalla ricerca,
si possono evidenziare alcune caratteristiche.
1) Gli utenti Internet sono meno
soddisfatti dei pubblici poteri rispetto a coloro che non navigano in rete.
Per esempio, all’affermazione “In
questo momento la gente gode
pienamente di tutti i diritti civili”
hanno così risposto (si veda la tabella 2).
All’affermazione “In questo momento i rappresentanti del popolo possono veramente farsi portavoce degli interessi della gente” hanno così risposto (si veda la
tabella 3).
“I funzionari di governo sono sinceramente al servizio della gente” (si veda la tabella 4).
2) Gli utenti Internet hanno una
maggiore coscienza della partecipazione politica rispetto a coloro che non navigano in rete.
All’affermazione “La politica è
una cosa da funzionari, non ha
niente a che vedere con la gente
comune” hanno così risposto (si
veda la tabella 5).
“Se il partito e i funzionari amministrano bene lo stato, non c’è
bisogno di partecipare molto” (si
veda la tabella 6).
4. Conclusioni
Una democrazia di tipo socialista
è costituita da un sistema politico
in cui il popolo è sovrano; essa
costituisce la forma di democrazia più elevata in tutta la storia
umana fino ai giorni nostri. La
costruzione di una democrazia
socialista di alto livello costituisce
l’obiettivo di base della costruzione del socialismo e uno dei suoi
compiti fondamentali; per realizzare questo eccezionale obbiettivo è necessaria la partecipazione
politica della totalità delle masse
popolari. A partire dall’apertura
riformista, il processo di
democratizzazione in Cina e gli
sviluppi politici hanno attraversato due diversi periodi; se si afferma che è stato l’inizio dell’epoca
di “riforme e apertura” ad avere
dato il via allo sviluppo di una
politica democratica in Cina, allora è stato proprio in quel periodo che è sorto nelle masse uno
slancio politico proveniente da
una partecipazione fatta di con58
Documenti
vinzione. Tuttavia, a partire dal
1990 sono state le richieste dello
sviluppo economico e sociale a
diventare la principale forza motrice del processo di democratizzazione in Cina. Il differenziarsi negli interessi da parte della società e i cambiamenti nella
tipologia degli interessi stessi hanno reso sempre più impellenti le
aspettative sulle richieste e
l’espressione degli interessi da
parte di diverse classi e gruppi,
facendo sì che la forma principale di partecipazione politica fosse
quella di una partecipazione variamente distribuita. Qualsiasi sistema di interessi, al momento di
una mossa decisiva, richiede un
equilibrio dinamico, e per questo
viene stimolato lo sviluppo di una
politica democratica.
La costruzione di una civiltà politica socialista di alto livello e la
realizzazione di una politica socialista democratica costituiscono
un enorme progetto strutturale,
che concerne problematiche riguardanti la politica, l’economia,
la società, la cultura e via dicendo. Il rapidissimo sviluppo di
Internet in Cina, dal punto di vista tecnologico, ha fornito a masse di cittadini un modo per realizzare il diritto alla democrazia
attraverso la comprensione e la
partecipazione alla vita politica e
sociale. Sebbene attualmente il
canale da esso fornito sia ancora
stretto, lo spazio messo a disposizione limitato, tuttavia Internet,
con le sue rosee prospettive e la
sua potenzialità, sta ininterrottamente alzando il livello della coscienza democratica dei cittadini
cinesi e cambiando le vedute del
pensiero cinese tradizionale, le
strutture sociali e il sistema del
pubblico potere.
(Traduzione dal cinese di Anna
Maria Paoluzzi)
1) Blackwell Encyclopaedia of Political
Science, Beijing, Zhongguo Zhengfa
Daxue Press, 1992, pag. 188 (n.d.a.).
2) Incidente verificatosi il 16 luglio 2001
– più di 70 minatori rimasero uccisi
(nota del traduttore).
3) Ex dirigente del Partito comunista,
diventato capo di una banda di
malavitosi nella provincia del Liaoning
– giustiziato il 22 dicembre 2003 al termine di un processo travagliato, e numerosi tentativi di corruzione dei giudici da parte dei vertici del Partito
(n.d.t.).
4) Caso verificatosi nell’ottobre 2003 –
Su Xiuwen, una lontana parente di un
funzionario provinciale, perse il controllo della propria auto, causando la
morte di una persona e il ferimento di
12 passanti ad Harbin. Il processo, anche questo caratterizzato da numerosi
tentativi di corruzione della giuria, terminò con la condanna della donna a
59
Documenti
5 anni di carcere (di cui 3 con la condizionale) (n.d.t.).
5) Nel marzo del 2003 Sun Zhigang,
un disegnatore di moda arrestato per
vagabondaggio (non aveva con sè la
carta d’identità) morì a seguito di un
pestaggio nell’ospedale giudiziario di
Guangzhou. Per questi fatti 12 persone furono processate e condannate a
pene tra i 3 anni e l’ergastolo (n.d.t.).
6) Jurgen Habermas, Trasformazione
strutturale delle sfere pubbliche, Xuelin
Press, 1999 (n.d.a.).
cio investimento che il governo cinese ha previsto nel campo della
ICT (Information Communication
Technology), per il prossimo futuro: sarebbero stati investiti ben 500
miliardi di dollari entro il 2005 per
far marciare allo stesso passo “l’industrializzazione e l’informatizzazione” (p.528) !
E’ vero che Internet fornisce all’individuo opportunità di accedere,
inviare e creare informazione in
una maniera diversa rispetto ad
altri strumenti di comunicazione,
perciò potrebbe costituire una sfida per l’autorità del PCC, secondo
quella expectation of convergence
in base alla quale, soprattutto tra
gli anni ’80 e ’90, si pensava che
la modernizzazione sarebbe stata
strettamente legata allo sviluppo
del processo democratico.
E’ invece opinione dell’A. che la
nozione di Internet come gateway
to freedom and democracy, pur se
ancora radicata nelle menti di molti, “sia di fatto un’idea errata, perché in alcuni casi la ICT ha aiutato
a mantenere l’autoritarismo al governo”. Ed il suo saggio smonta
puntualmente l’idea che l’introduzione di Internet in Cina porti automaticamente alla democratizzazione. Al contrario, in questi anni
il governo cinese, proprio poten-
*******
Varrà la pena rilevare, a margine
dell’articolo che qui pubblichiamo,
che nello stesso periodo è comparso sul Journal of Contemporary
China (2004, n.13, vol.40, pp.525540) un saggio, a firma di Tamara
Renee Shie, intitolato “The Tangled
Web: does the Internet offer promise or peril for the Chinese
Communist Party?”. L’occhio critico
dell’autrice esamina, al di là della
retorica politica del regime, le effettive possibilità che l’uso della rete
può avere nel processo di democratizzazione del paese, e quindi di
messa in discussione del ruolo dirigente del PCC.
Rilevando che “i regimi autoritari
come la Repubblica Popolare Cinese si basano sul controllo dell’informazione per sostenere il proprio
monopolio”, l’autrice mette
innanzitutto in evidenza il massic60
Documenti
ziando l’informatizzazione delle
proprie strutture, viene anche rafforzando i propri strumenti di gestione e quindi di controllo del potere, razionalizzando e migliorando l’efficienza dei propri servizi interni, i siti e la quantità di notizie
comunque autorizzate, e quindi
anche i propri strumenti di censura. E tutto questo avviene anche
grazie alla collaborazione internazionale: alcune società straniere
(Cisco, Nortel) sono state coinvolte
nella costruzione della Great
Firewall of China, un sistema integrato per intercettare e bloccare virus, hacker, ma anche informazioni, siti e temi politically sensitive
(p.534).
La maggiore diffusione di Internet
può, invece, servire a perfezionare
gli strumenti nelle mani del PCC per
migliorare la propria capacità di
governo: ad esempio, i progetti
messi in atto per l’informatizzazione dell’amministrazione centrale e locale e per la gestione delle imprese, riducendo la burocrazia e migliorando la trasparenza,
possono diventare efficaci sistemi
per costruire nuove reti di collaborazione, soprattutto tra il centro e
le zone periferiche. Così, anche la
maggiore possibilità di accesso alle
notizie, che in questi anni si va sem-
pre più diffondendo - anche se
sono solo il 3.87% i siti in lingua
cinese, su una popolazione di
utenti che oggi rappresenta il secondo gruppo online - non è affatto detto che automaticamente
costituisca una pericolosa minaccia per il potere: la maggioranza
degli utenti, infatti, sembra sempre
più interessata alle diverse
tematiche della vita quotidiana (email, chat, ricerche, intrattenimento, shopping, ecc.) che non all’agitazione politica per un cambio di
regime.
Perciò l’idea che Internet automaticamente porti con sé la democrazia in un paese viene dimostrata
come erronea, poiché sono altri i
fattori che vanno messi in gioco,
oltre alla ICT, per operare non solo
una riforma, ma una vera e propria trasformazione: “freedom of
the press, political accountability,
and a reduction of corruption”. Il
cyberspazio potrà essere veicolo
privilegiato per rendere più rapido
il cambiamento, una volta che questo venga messo in movimento.
E quindi, come l’A. conclude, “…for
the time being, and probably for
some time to come, the Internet
may be more an asset than a
liability for both China and the
CCP”.
(Alessandra C. Lavagnino)
61
Documenti
Tabella 1
Periodo
Ott.97 Lug.98 Gen.99 Lug.99 Gen.00 Lug.00 Gen.01 Lug.01 Gen.02 Lug.02 Gen.03 Lug.03 Dic.03
Apparecchi
Connessi
(migliaia)
29.9 54.2 74.7
146
350
650
892 1002 1254 1613 2083 2572 3089
Utenti
Internet
(migliaia)
62 117.5
210
400
890 1690 2250 2650 3370 4580 5910 6800 7950
Domini
registrati
presso
la CN
4066 9415 18396 29045 48695 99734 122099 128362 127319 126146 179544 250651 340040
Siti Web
1500 3700 5300 9906 15153 27289 265405 242739 277100 293213 371600 473900 595550
Dimensioni
di banda
larga internazionali
(Mbit/s) 25.408 84.64 143.25
241
351 1234 2799 3257 7597.510576.5 9380 18599 27216
Tabella 2
Utenti Internet
Non utenti Internet
Totalmente
d’accordo
4.7
13.4
Abbastanza
d’accordo
23.3
25.5
Di solito
è così
39.2
42.1
Non molto
d’accordo
24.5
13.4
Per niente
d’accordo
8.3
5.7
Totalmente
d’accordo
Abbastanza
d’accordo
Di solito
è così
Non molto
d’accordo
Per niente
d’accordo
6.4
10.9
24.9
27.1
44.2
45.4
17.8
9.4
6.7
7.2
Totalmente
d’accordo
Abbastanza
d’accordo
Di solito
è così
Non molto
d’accordo
Per niente
d’accordo
2.1
10.9
7.1
9.5
31
36.4
32.4
28.1
27.4
22.4
Totalmente
d’accordo
3
5.6
Abbastanza
d’accordo
10.1
9.5
Di solito
è così
20.8
24.1
Non molto
d’accordo
36
31.6
Per niente
d’accordo
30.1
29.2
Totalmente
d’accordo
Abbastanza
d’accordo
Di solito
è così
Non molto
d’accordo
Per niente
d’accordo
3.8
7
12.4
15.5
24.9
25.3
37.3
33.2
21.6
19
Tabella 3
Utenti Internet
Non utenti Internet
Tabella 4
Utenti Internet
Non utenti Internet
Tabella 5
Utenti Internet
Non utenti Internet
Tabella 6
Utenti Internet
Non utenti Internet
62
Rapporti
Beijing International Education Expo
2004 (BIEE 2004) - Pechino, 24-26
agosto 2004
CLARA BULFONI
C
ome da tempo annunciato su un sito web appositamente creato1, “la Commissione dell’Istruzione della Municipalità di Pechino (Beijingshi Jiaoyu Weiyuanhui) e il China Scholarship Council
(Guojia Liuxue Jijin Guanli Weiyuanhui), in uno sforzo teso ad adempiere agli impegni della Cina nei riguardi del WTO, preparare i Giochi
Olimpici del 2008, costruire la reputazione di Pechino come metropoli
internazionale, migliorare il livello generale dell’istruzione nella capitale e promuoverne la competitività internazionale, hanno promosso
un evento internazionale chiamato “Beijing International Education Expo
2004 (Beijing Guoji Jiaoyu Bolanhui 2004)”. Il sito sottolinea che si
tratta della prima manifestazione internazionale sponsorizzata da enti
governativi della Repubblica Popolare Cinese nel campo della promozione degli scambi in materia di istruzione primaria, secondaria e superiore.
La manifestazione, allestita all’interno del China International Exhibition
Center di Pechino dal 24 al 26 agosto, comprendeva cinque settori:
1. Partecipazione di prestigiose università internazionali.
Sono stati estesi inviti a quasi 500 istituzioni: università di tutta la Cina
(Beijing Daxue, Renmin Daxue, Qinghua Daxue, Fudan Daxue, Nankai
Daxue, Wuhan Daxue, ecc.), università straniere (tra cui le università di
Oxford, Cambridge, Harvard, Mosca, Varsavia, Tokyo, Seul, ecc.), e
università interessate alle opportunità di cooperazione in Cina. Ogni
istituzione partecipante ha allestito uno stand autonomo e offerto documentazione bilingue, in cui veniva fornita una dettagliata descrizione delle opportunità di studio ai giovani cinesi interessati a intraprendere corsi all’estero.
Sono state ben 114 le università e gli istituti stranieri che hanno aderito
63
Rapporti
all’iniziativa, ma, con rammarico, va evidenziato che l’Italia era rappresentata ufficialmente solo da uno stand allestito dall’Università per
stranieri di Perugia.2
2. Partecipazione di istituti professionali.
L’invito è stato rivolto a istituti professionali stranieri e agli istituti professionali medio-superiori di Pechino al fine di rafforzare la cooperazione e la comunicazione tra insegnanti e incrementare l’innovazione e
lo sviluppo degli istituti professionali. L’introduzione dei partecipanti è
stata curata dell’Istituto di Lingue e Interpretariato di Goettingen.
3. Partecipazione di istituti di istruzione primaria.
Hanno partecipato scuole di istruzione primaria sia straniere sia di
Pechino al fine di dare incremento allo sviluppo e alla modernizzazione
dell’istruzione primaria.
4. Celebrazione del 10° anniversario della costituzione di istituti sinostranieri.
Con la partecipazione degli istituti sino-stranieri approvati dal Ministero dell’Istruzione della Repubblica Popolare Cinese e dalla Commissione dell’Istruzione della Municipalità di Pechino, sono state presentate e
analizzate le disposizioni del governo cinese riguardanti la
regolamentazione di istituti sino-stranieri al fine di incrementare la
cooperazione di istruzione internazionale a Pechino.
5. Partecipazione di agenzie per gli studi all’estero.
Si tratta di agenzie autorizzate dal Ministero dell’Istruzione della Repubblica Popolare Cinese a offrire informazioni e orientamenti a persone che desiderano svolgere studi all’estero a proprie spese3. L’obiettivo della partecipazione delle agenzie alla International Expo 2004 è
stato quello di rendere trasparenti le normative di studi all’estero in
base alla legge cinese, e, soprattutto, quello di poter presentare proposte di collaborazione con istituti e università stranieri disponibili ad
accogliere studenti cinesi.
Tra le 32 agenzie presenti all’esposizione ricordiamo il citato Dongfang
International Center for Educational Exchange4; il China Education
Service Center, che ha fornito accurati volantini in carta patinata ciascuno dedicato agli studi rispettivamente in Germania, Canada, Malesia, Irlanda, Francia, Australia, Nuova Zelanda; il Beijing OZ Enrollment
Center of International Education Co. che ha fornito un opuscolo dedicato alle università europee in cui poter conseguire i titoli di studio, e
64
Rapporti
precisamente Russia, Irlanda, Olanda, Francia, Germania, Svizzera: di
ogni paese figurava un’introduzione storica e geopolitica e venivano
presentati gli istituti e le università con cui questa agenzia ha già stipulato accordi per poter accogliere gli studenti cinesi.
La stampa locale ha dato grande rilievo all’evento: il Xin Jing bao ha
dedicato un inserto speciale di 13 pagine dal titolo “L’esposizione sull’istruzione solleverà un’onda d’urto”5, in cui, oltre ad articoli di fondo,
figuravano anche inserzioni pubblicitarie di scuole e agenzie. Anche il
numero del 23 agosto del giornale Xiandai jiaoyu bao (Modern Education
News) è stato interamente dedicato alla manifestazione.
La rivista Beijing Review del 2 settembre ha fornito un dossier dal titolo
“Foreign study frenzy”. L’attrattiva di conseguire titoli accademici all’estero coinvolge sempre più giovani ed infatti, in base alle statistiche
del Ministero dell’Istruzione, il numero di studenti in istituti e università
stranieri è triplicato negli ultimi tre anni: si è passati da 39 mila nel
2000 a 117.300 nel 2003 (gli stessi dati sono stati riportati anche dallo
International Herald Tribune del 19 ottobre6). Sono aumentati in proporzione anche gli studenti che si recano all’estero a proprie spese,
ovvero dall’82% si è passati al 93%. Il dossier analizza le scelte e le
considerazioni di potenzialità future, senza omettere lo sforzo da parte
del governo cinese di richiamare in patria i “cervelli” offrendo loro
carriere e benefici. Un articolo è dedicato alle agenzie intermediarie,
nuovo fenomeno del settore terziario, che lo scorso anno hanno guadagnato 362 milioni di dollari.
Dopo la chiusura del BIEE 2004, nella pagina “News” del sito web
dedicato all’evento è stato reso noto il bilancio: 60 mila i cinesi e gli
stranieri che hanno visitato l’esposizione, otto i programmi di collaborazione e venti i Memorandum di cooperazione che sono stati siglati.
Gli istituti e le organizzazioni che hanno partecipato all’esposizione
sono state 362 (248 cinesi e 114 stranieri in rappresentanza di 12
paesi e regioni): per la prima volta università, scuole superiori, scuole
elementari e istituti professionali si sono riuniti in una unica manifestazione; per la prima volta si è tenuto un Forum dei consulenti in materia
di istruzione; e per la prima volta quasi l’80% delle agenzie di Pechino
per gli studi all’estero a proprie spese hanno stipulato una “Garanzia
di onestà”.
Nel corso del Forum internazionale sullo sviluppo dell’istruzione, tenu65
Rapporti
tosi il 24 agosto, hanno preso la parola più di venti esperti, tra cui
Zhang Xinsheng, vice ministro dell’istruzione, e il prof. Robert A. Mundell,
premio Nobel 1999 per l’economia.
Per quel che concerne il nostro Paese si segnala che al Forum dei consulenti dell’istruzione, tenutosi il giorno 25, ha partecipato anche la
prof.ssa Paola Paderni (attualmente addetto stampa presso l’Ambasciata d’Italia a Pechino), la quale, nel suo intervento, ha illustrato le
attuali disposizioni riguardanti gli studenti cinesi che intendono conseguire titoli di studio in Italia, e ha fornito un quadro generale sul
sistema di istruzione italiana.
L’organizzazione da parte cinese di manifestazioni come questa costituisce una concreta testimonianza dell’attenzione che il governo cinese
rivolge verso i curricula di studi dei giovani, il futuro di un paese teso a
svolgere un ruolo sempre più rilevante nell’era della globalizzazione. E
proprio i laureati in un paese straniero saranno coloro che potranno
costituire, una volta rientrati in patria, i canali di privilegiato collegamento con i paesi che li hanno ospitati, tramiti interculturali per future
cooperazioni economiche e politiche.
Ma purtroppo l’Italia non rientra, fino ad oggi, tra i paesi prescelti per
intraprendere studi universitari o di specializzazione: i nostri mezzi di
informazione avevano sollevato il problema già in occasione della visita in Italia del premier Wen Jiabao, lo scorso maggio, mettendo in
evidenza il divario che esiste con altri paesi europei. La Repubblica del
7 maggio indicava il numero di 600 studenti cinesi nelle nostre università, contro le decine di migliaia di studenti in Inghilterra, Germania e
Francia7.
Di recente la nostra stampa sembra finalmente cominciare ad occuparsi anche dell’aspetto culturale dei rapporti tra i nostri due paesi, ed
evidenzia la poca attenzione prestata all’insegnamento della lingua
italiana nelle principali università cinesi. Esemplificativo è un articolo
apparso sul Corriere della Sera del 13 novembre8, in cui il corrispondente enfatizza il fatto che, nonostante l’attenzione rivolta all’Italia dal
mondo accademico cinese, poco è stato fatto non solo per finanziare e
promuovere corsi di specializzazione in italiano nelle università cinesi
ma anche per avviare una politica di scambio culturale tra gli atenei.
Il primo progetto di accoglienza di studenti cinesi che a proprie spese
frequentano corsi di laurea nelle università italiane si è concretizzato lo
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Rapporti
scorso settembre in seguito alla collaborazione siglata dal nostro Istituto di Cultura a Pechino con il China Scolarship Council. Il primo gruppo, giunto in Italia lo scorso settembre, è composto da 60 giovani neodiplomati, oggi regolarmente iscritti in diversi atenei italiani.
In occasione della recente visita di Stato del presidente Ciampi in Cina
(4-9 dicembre) anche i nostri media hanno evidenziato il fatto che è
stata dedicata una parte importante degli incontri ufficiali alla collaborazione culturale, base essenziale nelle relazioni tra i due paesi,
come ha sottolineato lo stesso presidente, che ha incontrato gli italianisti
cinesi e ha donato mille volumi all’Associazione Dante Alighieri che
opera presso la nostra rappresentanza diplomatica. Il Corriere della
Sera del 7 dicembre ha riportato le parole di Ciampi: “Il flusso di
studenti cinesi in Italia è ancora limitato e va facilitato”9.
Va però detto che il chuguore (ovvero “la moda di voler andare all’estero”), termine coniato per suffissazione negli anni ’80 e in gran
voga per anni, viene oggi considerato con maggiore ponderazione e,
soprattutto, maturità dai giovani che costituiranno la classe intellettuale del futuro. In un articolo apparso sul China Daily del 25 agosto, il
giornalista sottolinea che l’attuale dilemma che oggi tormenta molti
studenti è “andare a studiare all’estero o no?” 10 e, riportando le parole
di un dirigente della notissima Scuola Superiore n. 4 di Pechino, riferisce che la maggior parte dei neo-diplomati sceglieranno di frequentare l’università in Cina, e continuare gli studi post-laurea all’estero. La
testimonianza di uno studente di matematica presso l’Università Nankai
di Tianjin ribadisce l’attenzione rivolta dai giovani alla qualità degli
studi: se dovesse essere ammesso in una comune università americana
e, allo stesso tempo, fosse ammesso in una delle migliori università
della Cina, il giovane oggi non avrebbe dubbi e sceglierebbe di seguire
il corso post-laurea in patria.
In un tale contesto appare oggi di vitale importanza che anche le
nostre istituzioni si attivino in tempi brevi per rendere fruibile anche
alla popolazione studentesca cinese un’offerta didattica qualificata e
specializzata, non solo riguardante i Corsi triennali, ma anche le Lauree specialistiche, i Master e i Dottorati, in un progetto strategico mirato alla formazione presso i nostri atenei ed istituti di quelli che saranno
i rappresentanti della futura élite cinese.
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Rapporti
1) www.edufair.com.cn
2) Anche l’Università degli Studi di Milano, grazie al supporto della nostra Ambasciata e dell’Istituto di Cultura, ha potuto esporre e distribuire il proprio materiale
illustrativo (in inglese e in cinese) nello stand del Dongfang International Center for
Educational Exchange (Dongfang Guoji Jiaoyu Jiaoliu Zhongxin). E’ questa una
delle agenzie, alle dirette dipendenze del China Scholarship Council, che si occupa
della gestione del flusso degli studenti cinesi che, a proprie spese, desiderano
svolgere gli studi superiori all’estero.
3) Queste agenzie, in cinese, sono chiamate “zifei chuguo liuxue zhongjie jigou”
(lett., organizzazioni intermediarie per studiare all’estero a proprie spese), cfr. Xinjin
bao, “Zhongjie jieji dakai xin jumian” (Gli intermediari offrono l’occasione di aprire
una nuova fase), 25/8/2004, p. D86.
4) Cfr. nota n. 2.
5) Jiang Li, “Jiaoyu bolanhui xianqi chongjibo”, Xinjing bao, 25/8/2004, p. D81.
6) T. Plafker, “Foreign degrees lose cachet in China”, International Herald Tribune,
19/19/2004, p. 9.
7) F. Rampini, “La Cina alla scoperta dell’Italia si apre il capitolo investimenti”, La
Repubblica, 7/5/2004, p. 18. Cfr., inoltre, A. Lavagnino, “Dove vanno gli studenti
cinesi?”, Mondo cinese, n. 119, aprile-giugno 2004, pp. 47-53.
8) F. Cavalera, “L’anno zero di Dante Nel cuore del Celeste Impero”, Corriere della
Sera, 13/11/2004, pagina “Cultura”.
9) R. Zuccolini, “E Dante Alighieri insegna l’italiano a 50 funzionari cinesi”, Corriere
della Sera, 7/12/1004, p. 8.
10) Li Qin, “Education expo helps lure students”, China Daily, 25/8/2004, p. 2.
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Rapporti
“Sulla via di Tianjin, mille anni
di relazioni tra Italia e Cina”
FILIPPO SALVIATI
C
ome ampiamente riportato dagli organi di stampa e dai servizi
televisivi, la recente visita del Presidente Ciampi in Cina si è
aperta con l’inaugurazione, da parte dello stesso Ciampi, della
mostra “Sulla via di Tianjin: mille anni di relazioni tra Italia e Cina”,
allestita presso l’Istituto Italiano di Cultura di Pechino ed articolata in
due sezioni distinte e complementari. La prima, curata da Roberto Ciarla,
archeologo e curatore del Museo Nazionale di Arte Orientale e da chi
scrive, recava il sottotitolo “Italiani in Cina ambasciatori di amicizia e
cultura”, esemplificativo del taglio dato all’esposizione, tesa appunto a
documentare i millenari rapporti di interscambio culturale che l’Italia,
unico paese al mondo, ha intrattenuto con la Cina sin dai tempi degli
antichi romani.
Per illustrare tali rapporti ci si è sostanzialmente avvalsi di una serie di
pannelli didattici, in cinese ed italiano, dedicati a quei personaggichiave che hanno nel tempo contribuito a costruire e rafforzare il dialogo tra i due paesi. Tra questi Giovanni da Pian del Carpine, Marco
Polo, Odorico da Pordenone, Matteo Ricci, Martino Martini, Matteo
Ripa, Giuseppe Castiglione, fino ad arrivare al Novecento e a coloro
che hanno gettato le basi per le moderne relazioni diplomatiche e
culturali tra la Cina e l’Italia, Pietro Nenni e Piero Calamandrei. A
corredo di questa prima sezione della mostra, accompagnata da una
pubblicazione dell’IsIAO che ne riassume i contenuti essenziali, figuravano anche alcuni importanti documenti e manufatti, tra cui la Historia
Mongolorum di Giovanni da Pian del Carpine, una carta della regione
di Pechino di Michele Ruggeri, il Novus Atlas Sinensis di Martini e una
serie di sei carte della Cina da lastre in rame di Matteo Ripa, oggetti
prestati dall’Archivio di Stato, Biblioteca Nazionale Centrale, Società
Geografica Italiana e Museo Nazionale di Arte Orientale. Pochi ma
significativi oggetti provenienti da collezioni private completavano, ar69
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ricchendola, questa prima parte dell’esposizione: al pannello dedicato
a Giuseppe Castiglione, alias Lan Shining, si accompagnava un dipinto
di scuola raffigurante due cani sulla riva di un lago, gentilmente concesso dall’Ambasciatore italiano in Corea, Francesco Rausi; mentre un
oggetto in giada della fine del XVIII, inizi del XIX secolo intagliato nella
forma di ‘pesche di lunga vita’, donato nel 1955 dal presidente Mao
Zedong a Pietro Nenni in occasione della visita di questi in Cina, ricordava l’inizio delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, sancito il 6
novembre del 1970. Il prezioso manufatto è stato gentilmente concesso
in prestito dalla signora Danielle Lantin, nipote di Pietro Nenni, mentre
dall’Archivio Storico della FIAT di Torino sono giunte le fotografie illustranti il pannello dedicato al mitico raid automobilistico Pechino-Parigi, vinto dal principe Scipione Borghese e vividamente raccontato da
Giovanni Barzini nel suo libro L’altra metà del mondo vista da un’automobile.
La seconda sezione della mostra, intitolata “Un quartiere italiano in
Cina” era invece dedicata alla ex-concessione italiana di Tianjin, che si
spera possa essere almeno in parte restaurata secondo un piano di
recupero al quale stanno lavorando le autorità cinesi ed importanti
studi di architettura italiani. Anche questa sezione della mostra, curata
da Nicoletta Cardano e Pier Luigi Porzio, era costituita da pannelli
didattici illustrati con fotografie d’epoca e documenti d’archivio e mirava “a documentare le vicende storico-costruttive dell’insediamento
costruito a Tianjin dagli italiani a partire dal 1902", come si legge nella
introduzione al catalogo pubblicato dall’editore Gangemi.
Nonostante la ristrettezza del tempo a disposizione, la mostra è stata
comunque pensata, preparata ed allestita con successo grazie allo sforzo
congiunto e coordinato dei curatori, del personale di tutte le istituzioni
coinvolte, degli autori dei testi e dello staff di traduttori che ha reso
accessibili in cinese i testi dei pannelli e dei due cataloghi. Anche se,
come ha tenuto a precisare il nostro Ambasciatore in Cina, Gabriele
Melegatti, si trattava essenzialmente di una ‘mostra privata’, pensata
cioè per accogliere il Presidente Ciampi in occasione della sua importante visita nel paese estremo-orientale, l’impegno, anche finanziario,
profuso nella sua realizzazione e la natura squisitamente didattica dell’esposizione, fanno sperare che il materiale in essa confluito possa
essere riutilizzato in futuro in altre occasioni, vuoi in Cina come in
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Italia. I pannelli, che verranno donati alla municipalità di Tianjin in
attesa che in questa città venga aperto un punto d’incontro e contatto
permanente per raccordare i comuni interessi economici e culturali dei
due paesi, potrebbero infatti essere ristampati e trovare collocazione
all’interno di una o più sedi universitarie italiane e/o cinesi, sì da permettere agli studenti di avere sott’occhio una sintetica storia delle relazioni tra i due paesi. Inoltre, durante il prossimo mese di ottobre si
celebrerà in Italia la ‘Settimana di Tianjin’, occasione perfetta per poter riproporre la mostra, anche ampliata dal punto di vista dei manufatti e della documentazione d’archivio relativa alla ex-concessione di
Tianjin. Non è da escludere infine che la mostra, opportunamente rivisitata per l’occasione, possa costituire uno degli eventi che caratterizzeranno il 2006, ‘Anno dell’Italia in Cina’.
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Clara Bulfoni, ricercatore di Lingua cinese presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell’Università Statale di Milano
Marco De Marco, professore straordinario di Organizzazione dei Sistemi Informativi Aziendali presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano
Alessandra C. Lavagnino, professore ordinario di Lingua e cultura
cinese presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di
Milano
Marina Miranda, professore associato di Istituzioni politiche e sociali
dell’Estremo Oriente presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “Federico II” di Napoli
Corrado Molteni, professore straordinario di Lingue e Letterature del
Giappone e della Corea presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Statale di Milano
Anna Maria Paoluzzi, dottoranda di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia Orientale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Valentina Pedone, dottoranda di ricerca in Storia e Civiltà dell’Asia
Orientale presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Filippo Salviati, professore a contratto di Storia dell’Arte dell’Estremo
Oriente presso la Facoltà di Studi Orientali dell’Università degli Studi
di Roma “La Sapienza”
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