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NOVEMBRE 2013 ANNO 10 N 10
periodico dei terremotati o di resistenza umana
€ 1,00
terremoto anno dodicesimo
da quell’istante per molti
- sempre troppi -
non è ancora cambiato nulla
lotta e contemplazione
tornare umani
Rosalba Manes
“Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se lo vogliono rubare” (Mt
11,12)
Ci sono cose nella vita che si possono rubare: oggetti o idee, il posto
di lavoro che spetta a persone più competenti, persino la moglie o il marito
altrui. Queste però sono cose che passano: i soldi si spendono e finiscono,
una casa non sempre resiste alla prova del terremoto, un sentimento che non
ha messo radici è come una canna al vento, una raccomandazione sul lavoro
dà il mensile ma non l’immortalità. Altre cose invece nella vita non puoi rubarle. Sfuggono agli artigli della tua avidità. L’amore, l’amicizia, la pace, la
gioia, ad esempio, non si vendono in nessuno dei centri commerciali, nuovi
santuari meta del pellegrinaggio non di chi cerca la verità ma di chi ha perso
il senso del necessario, dell’utile, del valore. Alcuni sarebbero persino disposti a tutto pur di comprarsi il Paradiso o meglio la raccomandazione divina:
qualche preghierina, qualche sacramento, qualche moneta al clochard che mi
ingombra il passaggio. Questi violenti, che credono di fare il buono e il cattivo tempo solo perché hanno il potere, non sanno però che il Cielo non si ruba perché è già nelle mani dei poveri e dei piccoli. Di fronte ai cittadini del
Regno, veri vincenti della storia, sapranno prima
o poi i violenti scegliere
almeno di essere dei
“buoni” ladroni, gente
riconoscente, cioè disposta a condividere ciò che
gratuitamente ha ricevuto dalla cura paterna e
dalle coccole materne di
Dio? Solo questa condivisione ci fa accedere
alle cose che il denaro e
il potere non possono
comprare perché da ladroni ci rende eredi e
quindi figli e fratelli. Ci
fa tornare umani.☺
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Carla Llobeta: ombre urbane
prima che il governo ti freghi gli ultimi spiccioli
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Direttore responsabile
Antonio Di Lalla
Tel/fax 0874732749
Redazione
Dario Carlone
Domenico D’Adamo
Annamaria Mastropietro
Maria Grazia Paduano
Segreteria
Marialucia Carlone
Web master
Pino Di Lalla
www.lafonte2004.it
E-mail
[email protected]
Quaderno n. 100
87
Chiuso in tipografia il
26/08/12
21/10/13
Stampato da
Grafiche Sales s.r.l.
via S. Marco zona cip.
71016 S. Severo (FG)
Autorizzazione Tribunale di
Larino n. 6/2004
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intestato a:
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via Fiorentini, 10
86040 Ripabottoni (CB)
costruttori di futuro
Antonio Di Lalla
Le lotte di liberazione, di rivendicazione dei propri diritti raramente sono indolori, costano lacrime e sangue. Ne sappiamo
qualcosa noi che abitiamo nei paesi colpiti
dal terremoto del 2002. Dopo undici anni,
davvero troppi, per molti non è ancora cambiato nulla, né si sono attutiti i disagi. La sofferenza subìta può far chiudere in se stessi,
può diventare muta o rabbiosa ricerca dei
beni perduti: dove sono oggi le prese di posizione del comitato vittime di San Giuliano di
Puglia che chiedeva giustizia e si è ripiegato
su un pugno di denari? Noi, radunati intorno
a questa rivista - non solo noi, naturalmente di fronte ai crolli e alle 30 vittime, ai muri
lesionati e alle giustificate paure, ci siamo
ritrovati squarciati dentro e questo ci ha consentito di intravvedere orizzonti che niente
avevano più a che fare con il nostro ombelico. Perciò prima di fare il punto della situazione, pur doveroso, è bene sottolineare almeno due processi irreversibili: la liberazione
della donna che ha come risvolto i femminicidi e la trasmigrazione incontrovertibile dei
popoli che nessun naufragio potrà scoraggiare o arginare.
Finora il maschio, in particolare
quello che abita i meridioni del mondo, aveva
subìto con una certa sufficienza la lotta di
liberazione delle donne, dal voto a suffragio
universale alla cancellazione del delitto
d’onore, dalla scolarizzazione all’assunzione
di responsabilità fino al volersi gestire senza
più tutori, sentendosi sempre padre e padrone
di tutte, in perfetto stile patriarcale, prima che
marito o amante di qualcuna in particolare.
Ogni potere assoluto, quando si sente mancare la terra sotto i piedi reagisce con particolare
violenza ed è paradossalmente proprio
l’inusitata sopraffazione il segno evidente
della fine. L’accentuazione della repressione
lascia presagire che sta sfuggendo il controllo. Il femminicidio è l’estremo tentativo,
destinato miseramente al fallimento, di controllo della società da parte del maschio messo sempre più all’angolo. Anche in questo
Berlusconi, proprio per il modello da lui millantato, ha non poche responsabilità, anzi è
concausa del femminicidio in atto: se con
denaro e promesse può permettersi tutte le
donne che vuole (lui, col culo flaccido, come
messaggiò una di quelle sul suo libro paga)
allora la donna può essere comprata e quelle
che non si riesce a tenere soggiogate vanno
eliminate! Quelli che gli hanno dato la preferenza hanno legittimato anche questo. Mentre
assistiamo impietriti a questi colpi di coda che
vedono a terra, con una media da capogiro,
una donna ogni due giorni, in gran parte assassinate da persone con cui erano legate affettivamente, non possiamo che felicitarci, nonostante tutto, perché si comincia ad abitare un
futuro non procrastinabile.
Così come non c’è maschio che può
tenere asservite le donne contro il loro volere
allo stesso modo non c’è barriera che può
fermare la trasmigrazione dei popoli. Non è
quanto meno strana una nazione che di fronte
al naufragio di barconi provenienti dalle coste
africane ne piange i morti, organizza i funerali,
dichiara il lutto nazionale mentre poi per i
superstiti c’è l’incriminazione per il reato di
immigrazione clandestina e per i pescatori che
soccorrono quella di favoreggiamento? Se nel
2009, appena varato, abbiamo contestato il
pacchetto sicurezza - io ospito i clandestini. E
tu? - è proprio per questo paradosso al di fuori
di ogni logica: gli unici immigrati per i quali
proviamo pietà sono quelli morti. E si calcolano in ventimila quanti hanno avuto per tomba
il Mediterraneo! Quelle che sui banchi di scuola ci hanno descritto come invasioni barbariche erano trasmigrazioni di popoli e quella
fatta passare come scoperta dell’America in
realtà fu una sanguinosa conquista. Potenza
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fontenovembre
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del linguaggio!
Oggi chiediamo la libera circolazione degli
esseri viventi sull’unico pianeta, casa comune dell’umanità e, contemporaneamente,
che vengano dichiarate illegali la produzione e il commercio delle armi, lo sfruttamento delle loro terre da parte delle multinazionali, il rispetto dei governi che ogni popolo
si sceglie. Finché organizziamo guerre e
deprediamo risorse in casa d’altri avremo
sempre persone costrette a fuggire. Per imbarcarsi su autentiche bagnarole galleggianti
vuol dire che ormai non hanno più niente da
perdere e per chi mette in gioco la vita non
ci sono né leggi, peraltro inique, né sbarramento che tengano. Con loro vogliamo
essere costruttori di un futuro di speranza.
Proprio perché ci interessa ogni
cammino di liberazione abbiamo i piedi ben
piantati nel Molise e gli imperdonabili ritardi della ricostruzione ci indignano e ci mobilitano. Prima di scaricare le responsabilità
sulla nuova giunta regionale - certo non la
assolviamo per gli errori fatti e che sta per
fare in campi di possibile ripresa - non dobbiamo dimenticare che è il sistema Iorio che
è collassato e ha prodotto cantieri chiusi,
casse vuote e ricostruzione completamente
ferma con le imprese a rischio fallimento.
Dovrebbero saperlo bene gli imprenditori
che fino a ieri ci andavano a braccetto sponsorizzando lui e la banda dei suoi accoliti,
che oggi o è passata dall’altra parte, ricucendo malamente la propria verginità, o addirittura gli fa causa per fregargli il piatto.
Detto questo a onore della verità,
in ogni caso pretendiamo che la ricostruzione riprenda perché è una priorità. Qualcuno
lo dica anche al valvassore Ruta che pochi
giorni fa chiedeva in senato la stabilizzazione dei tecnici che dovrebbero sorvegliare la
ricostruzione, per il principio che se non si
finanzia il ponte sullo stretto di Messina, si
foraggia la società che deve realizzarlo!
Chiediamo al presidente Frattura
che non ipotechi il futuro del basso Molise
facendolo riempire di letame delle manze
della Granarolo (dove c’è puzzo c’è Ruta)
ma promuova fattivamente la Clean Economy, unica vera opportunità, oggi, per lo
sviluppo e la salvaguardia dell’ambiente. ☺
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spiritualità
il dolore di un popolo
Michele Tartaglia
“Lungo i fiumi di Babilonia, là
sedevamo piangendo ricordandoci di
Sion” (Sal 137,1). Così comincia il più famoso canto degli ebrei deportati, a cui si ispira il
Va’ pensiero di Verdi e una bella poesia di
Quasimodo. La bibbia, Parola di Dio, ci conserva le parole strazianti di un’umanità ferita
e calpestata, sempre attuali nella nostra storia.
Ad undici anni dal terremoto che ha portato
alla nascita del nostro periodico di resistenza
umana, non possiamo ripiegarci a riflettere
solo sulla nostra tragedia, spesso diventata
farsa, a causa di egoismi famelici e cinici,
perché tante tragedie si sono consumate da
allora sotto il sole, guardando anche solo la
nostra Italia: terremoti, alluvioni, fino agli
ultimi (ma purtroppo non ultimi) morti affogati nel nostro mare (così i romani chiamavano il Mediterraneo, perché quel mare è cosa
nostra, di un continente che si gloria di discendere da Roma). E tuttavia questo canto
dice anche tutto il dolore di un popolo terremotato che rimane ancora in esilio, diventando un numero nell’elenco delle cose lasciate
in sospeso, per gli anziani che restano nelle
baracche, per i soldi stornati altrove ad ingrassare il ventre di voraci approfittatori, che si
ricordano del terremoto solo per le celebrazioni, al pari di un’Italia che mentre ancora
tollera la Bossi-Fini, proclama una giornata di
lutto nazionale, consumando parole vuote e
lacrime di coccodrillo. “Ai salici di quella
terra appendemmo le nostre cetre. Perché là
ci chiedevano parole di canto coloro che ci
avevano deportato, allegre canzoni i nostri
oppressori: Cantateci i canti di Sion!” (137,
2).
È questa la tentazione che viene di
fronte alle prese in giro di chi continua a venderci la lamentela della mancanza di fondi,
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ma nel frattempo, anziché riformare sul serio
la struttura regionale, aumenta gli emolumenti
dei consiglieri e affini (persino l’Espresso ne
ha parlato!) facendoli passare per tagli alla
spesa. I nostri babilonesi non ci chiedono canzoni allegre, ma ce le cantano direttamente
loro! “Come cantare i canti del Signore in
terra straniera? Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra; mi si
attacchi la lingua al palato se lascio cadere il
tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di
sopra di ogni mia gioia” (137,4-6). La terra
straniera sono le case prefabbricate e fatiscenti
del nostro popolo e di tutti coloro che in altri
terremoti stanno nelle new town, ma anche,
non possiamo dimenticarlo, la condizione di
profughi di tanti nostri fratelli che scappano
dalla morte e dalla fame e incontrano anziché
una casa, dei muri, sia legislativi che morali, se
di fronte alle tante bare (che ricordano quelle
di S. Giuliano e dell’Aquila) ancora continuano a difendere anche solo l’idea che ci possa
essere una legge che dichiari ipso facto una
persona illegale, come se dovesse togliere il
disturbo per essere venuta al mondo: come si
può dichiarare illegale l’esistenza di un uomo?
Il nazismo non ha insegnato nulla? E il peggio
è che del canto degli schiavi ebrei (il Va’ pensiero) se ne è appropriato un gruppo politico
che fa strame dell’idea che l’uomo ha una
dignità in sé, cantando per il loro diletto i canti
di Sion, come se gli esiliati e i calpestati fossero gli abitanti della Padania!
“Ricordati, Signore, dei figli di Edom, che, nel giorno di Gerusalemme, dicevano: Spogliatela, spogliatela fino alle sue fondamenta!” (137,7).Quanti di fronte alle tragedie viste sono stati in silenzio oppure hanno
detto che se lo sono meritato? “Che ci vengono a fare sulle nostre coste, dove non c’è neppure lavoro per noi?
Tornino a casa loro che
qui vengono solo a
rubare!”. Gli Edomiti
erano contenti della fine
di Gerusalemme, noi
semplicemente cambiamo canale per vedere
l’ennesima trasmissione
di cucina! “Figlia di
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fontenovembre
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Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà
quanto ci hai fatto. Beato chi afferrerà i tuoi
piccoli e li sfracellerà contro la pietra” (137,8-9). Noi siamo Babilonia che
abbiamo affamato il mondo e adesso ci
chiediamo perché dal sud del mondo vengono qui. Noi siamo Babilonia che ha taciuto
quando si commettevano illeciti per incassare la differenza per poi permettere i crolli
mortali dei terremoti. Noi siamo Babilonia
che ha permesso alla classe politica di usare
le tragedie per fini elettorali, anziché calarsi
sul serio nei panni di chi sente sulla propria
pelle l’angoscia per la perdita della casa. Il
Salmo ci insegna che certe cose si capiscono
solo se le viviamo in prima persona. Solo
quando siamo personalmente (ciascuno di
noi) colpiti forse possiamo solidarizzare con
le miserie dei nostri simili. L’invocazione
degli schiavi ebrei a Babilonia non dobbiamo leggerla come desiderio di vendetta, ma
come constatazione che l’uomo recupera il
senso del limite solo quando fa l’esperienza
della propria sofferenza.
Che i drammi dell’umanità, soprattutto per chi ha vissuto, come noi, il
dolore del terremoto, non diventino più solo
l’oggetto di uno stanco rituale di ricordo, ma
spinta all’impegno di farci carico delle vittime, di lottare per la giustizia. ☺
[email protected]
twitter
Per i primi cento numeri abbiamo ricevuto twitter da tutto il mondo. Riportiamo i più simpatici.
USA – molti al n. 100 si fermano e si
rilassano. Voi che farete? –
Kalatemy Jeans
GIAPPONE – siate sempre duri e concreti –
Naka Kata
RUSSIA – attenti a non fare frittate –
Galina Cocimilowa
CINA – sappiate proseguire oltre ogni
difficoltà –
Cian Rut Furgoncin
IRAQ – non lasciatevi ingabbiare –
Tareg Azizz
BULGARIA – non lasciatevi intimidire –
Kalu Saracinescu
SICILIA – giocate coi santi e lasciate in
pace i fanti –
Noscassate Aminchia
glossario
ulisse e nicola
Premessa
Come nella migliore tradizione della tragedia
greca bisogna uccidere il padre per poter
affermare la propria persona. E il Molise di
contaminazioni greche ne ha parecchie sia
per come hanno ridotto le casse regionali, sia
perché la regione ha fatto sempre parte della
magnagrecia.
Il cannibale è colui che mangia il suo nemico
quando è vivo per impossessarsi del coraggio
dell’altro. Lo sciacallo invece fa scempio
delle carogne, amici o nemici che siano.
I fatti
Tale Ulisse, che in vita sua non ha mai vinto
una competizione elettorale, a marzo ha partecipato all’occupazione del palazzo di giustizia di Milano contro l’accanimento dei giudici verso l’innocente e verginello Berlusconi.
Quando poi la povera vittima si è preso il
seggio molisano di senatore il signor Nessuno ha messo l’avvocato perché il cainano
paralisi
Dario Carlone
cati quei provvedimenti che cercano di tutelare le persone più svantaggiate, i poveri e gli
anziani soprattutto, che in un paese come gli
Stati Uniti vengono lasciati a se stessi quando
non prendono più parte al mondo produttivo,
non posseggono più i requisiti per lavorare,
non hanno una assistenza privata, magari
faticosamente costruita con il loro lavoro.
Niente di più semplice, agli occhi di una classe dirigente insensibile e cinica, che tagliare
su chi ha poco o per nulla voce in capitolo!
Linguisticamente shutdown è sia
verbo, col significato di disattivare, mettere
fuori servizio, che sostantivo; in questa seconda accezione sta ad indicare proprio
l’interruzione di un lavoro, la cessazione di
un’attività, in maniera irreversibile, senza
ripensamenti o rinvii. Nella mentalità americana, in cui il più delle volte ciò che è corrisponde a ciò che appare, il vocabolo suona
come “parola definitiva”, ultimo traguardo,
condanna senza appello! È facile dedurne che
accettare un simile stato di cose non
sia stato affatto semplice: la pressione dell’opinione pubblica, di quella
statunitense in primo luogo, e succesvenga deposto dal senato senza
frapporre indugio e lui possa andarvi a bivaccare, a favore del governo
per non andare subito a casa.
Tale Nicola, che da anni mangiava
le briciole che cadevano dal tavolo
di Iorio, solo l’estate scorsa a Piana
dei Mulini ringhiava verso assessori
e consiglieri che chi era contro il
suo padrone e signore doveva dimettersi e andarsene a casa. Ora ha
messo l’avvocato perché Iorio
rientri il più tardi possibile in consiglio regionale in modo da maturare
anche lui la pensione.
Morale
Per la pagnotta c’è chi è disposto a
passare anche sul cadavere della
madre, qualora mors tua vita mea;
è proprio vero che anche le formiche nel loro piccolo si incazzano.
sivamente di quella mondiale, è stata rilevante per convincere i responsabili delle
decisioni da prendere ad evitare questo
scelta irreparabile.
Interruzione, cessazione, parole
che traducono shutdown nella realtà italiana, purtroppo non ci sono estranee. Quotidianamente possiamo avvertire i pesanti
effetti di quella che viene ormai chiamata
genericamente “crisi”, che rappresenta una
(legittima?) giustificazione per condizioni
di vita sempre meno sostenibili, che maschera situazioni drammatiche ormai non
soltanto temporanee.
Precariato, emergenza abitativa,
disoccupazione crescente sono solo alcune
delle voci “italiane” recenti per tradurre
shutdown. Che dire ancora di quella
“interruzione” forzata che undici anni fa ha
paralizzato un’area della nostra regione?
Un autentico processo di ripresa è stato mai
avviato? ☺
[email protected]
Scatto d’autore di Guerino Trivisonno
Stando a quello che ci hanno
raccontato i media, sembra essersi risolta
proprio sul finale la drammatica situazione
che vedeva l’economia degli Stati Uniti
d’America subire un nuovo contraccolpo.
Com’è d’abitudine nel mondo anglosassone
la trattativa tra i partiti politici rappresentati
in Congresso ha ottenuto grande risalto ed è
stata portata a conoscenza dell’opinione
pubblica.
Il nostro vocabolario in campo
economico si è arricchito quindi di un nuovo termine: shutdown [pronuncia: sciatdaun], per indicare in sintesi la sospensione
di alcuni servizi pubblici erogati
dall’amministrazione federale, a causa di
una mancata copertura finanziaria. In altre
parole, si è speso troppo, non ci sono i fondi
necessari, il servizio è sospeso! Niente di più
semplice in una nazione in cui il pragmatismo regna sovrano. Di riflesso però bisogna
notare che buona parte dei fondi pubblici
sono stati impiegati per finanziare la riforma
sanitaria fortemente voluta dal presidente
Obama: per i suoi avversari politici quindi è
stato facile chiedere di cancellarla per risparmiare. Un compromesso è stato raggiunto e
temporaneamente ha scongiurato lo shutdown.
Obamacare [pronuncia: Obamacher] - dal nome dell’attuale presidente
USA - è l’appellativo con cui vengono indi-
quanti tunnel dobbiamo attraversare
per non avere la luce ad intermittenza?
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xx regione
un’alba possibile
Giovanni Di Stasi
Dall'Università di Tor Vergata
arriva, in queste settimane, un appello a battersi per un Nuovo Rinascimento italiano. Gli
studiosi evocano il profondo rinnovamento
culturale e scientifico che caratterizzò il Rinascimento fin dagli ultimi decenni del XIV
secolo e segnò il passaggio dal Medioevo
all'era moderna prima in Italia e poi in Europa
e sottolineano che: “Le condizioni di partenza
del Tardo Medioevo in Italia non erano certo
migliori di quelle che abbiamo oggi, ma i
nostri antenati furono capaci con le loro idee
di influenzare e cambiare il mondo. Le ingenti risorse accumulate fino a quel punto furono investite per costruire palazzi, chiese e
monumenti, per commissionare dipinti, statue e opere letterarie, determinando così un
fermento culturale e la creazione/attrazione
di capitale umano. La situazione oggi si ripete. Esistono ingenti capitali che aspettano
solo di essere diretti da una visione strategica
e non da interessi di breve periodo. L’eredità
che ci è stata lasciata dai nostri avi in termini
di patrimonio storico e culturale e il patrimonio di conoscenze scientifiche e tecniche che
abbiamo acquisito negli ultimi 150 anni, se
propriamente impiegati, ci potrebbero permettere di fare un altro balzo in avanti e di
vivere stabilmente in un mondo meraviglioso
in armonia con noi stessi e la natura. È ora
di provare a ripartire, i nostri posteri ce ne
saranno grati”.
La riflessione che ci viene proposta
è assai stimolante, ma dubito assai che le
attuali classi dirigenti, tutte concentrate sui
problemi dell'oggi e su interessi consolidati e
particolarissimi, possano essere sfiorate dall'idea di accettare la sfida. Questo non ci impedisce, tuttavia, di tenere quella sfida sullo
sfondo mentre continuiamo a riflettere sulle
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prospettive di una regione in grandi difficoltà
dal punto di vista produttivo, occupazionale e
sociale.
In realtà ci siamo mossi in questa
direzione quando, alcuni mesi or sono, abbiamo elaborato, insieme al presidente della Regione Molise, un'idea progettuale da attuare
con l'attivazione di un Contratto di Sviluppo,
denominato Clean Economy Molise. Si trattava e si tratta di dar vita ad una serie di attività
economiche, strutturate ed interconnesse, mirate alla valorizzazione delle nostre risorse più
preziose: il capitale umano, l'ambiente, i beni
culturali e i prodotti agroalimentari.
In una situazione che vede tutti i
soggetti istituzionali e sociali impegnati sopratutto nella gestione ordinaria, e nell'affannosa
quanto doverosa rincorsa alle numerose emergenze in atto, si rischia di perdere il treno del
futuro. Al fine di scongiurare o, almeno, di
attenuare tale rischio, si è pensato di indirizzare
una parte delle energie culturali, progettuali,
imprenditoriali e finanziarie disponibili verso
la creazione di filiere
innovative legate al
territorio e capaci di
rafforzare le attività
produttive
esistenti,
integrandole con nuove
iniziative economiche.
Il presidente Frattura ha
evidenziato l'esistenza
di una perfetta sintonia
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tra le sue dichiarazioni programmatiche di
inizio mandato e l'idea progettuale in questione e si è espresso in termini inequivocabili con riferimento ad un Contratto di Sviluppo per l'agroalimentare parlandone come
di un “modello che ci unisce e ci rende vincenti”.
La conferenza stampa, tenuta il 16
settembre dal presidente Frattura e dall'assessore Facciolla nel nucleo industriale di
Termoli, ha visto una partecipazione vasta e
attiva e si è conclusa con l'impegno a convocare tempestivamente le parti interessate
presso la presidenza della Regione Molise.
Siamo dunque in attesa di un incontro che ci
consenta di contribuire a definire un percorso condiviso attraverso il quale le istituzioni
regionali potranno interloquire con le istituzioni nazionali ed europee al fine di creare le
condizioni per l'attivazione del Contratto di
Sviluppo Clean Economy Molise.
Per quel che ci è stato possibile
capire nel corso dell'incontro del 16 settembre, il presidente della Regione Molise potrà
contare, per la riuscita di questa non facile
impresa, sul sostegno degli imprenditori del
settore agricolo, industriale e commerciale,
ma anche del sistema creditizio, delle rappresentanze sociali e della società civile.
Toccherà a lui confezionare e lanciare il
messaggio giusto, in sede di conferenza
Stato-Regioni, per far capire che il Molise
non si accontenterà più soltanto delle misure
necessarie per la sopravvivenza, ma vuole
giocare la grande partita del rafforzamento
del tessuto produttivo e occupazionale sulla
base di strategie e comportamenti improntati
alla valorizzazione del rapporto tra uomo e
territorio. Per di più, l'idea di sostenere lo
sviluppo legato al made in Italy con un ricorso massiccio, in tutte le regioni italiane, a
Contratti di Sviluppo capaci di creare importanti sinergie tra risorse pubbliche e private,
costituirebbe un aiuto concreto al governo
nazionale, attualmente impegnato a rilanciare sviluppo e occupazione con strumenti del
tutto inadeguati.
Ci sono, dunque, le condizioni per
far uscire questo nostro dolorante e declinante Molise dal crepuscolo che lo avvolge,
ma una nuova alba è possibile solo se sapremo percorrere, tutti insieme e con grande
determinazione, la strada che abbiamo individuato e che il presidente Frattura ha dichiarato di voler seguire.☺
[email protected]
politica
Quando penso al nostro presidente
del consiglio mi viene un sentimento incerto,
quasi doppio. È irritante questa tecnica tutta
democristiana di eludere, manipolare, rinviare e rimuovere i problemi veri. A sentire
Letta la ripresa è vicinissima, anzi è già in
atto, la legge di stabilità per la prima volta
non tassa e distribuisce risorse, i precari e i
disoccupati possono guardare al futuro con
più serenità e così su ogni cosa. Se andiamo a
guardare la realtà: il Pil forse in un prossimo
futuro sarà di poco sopra lo zero e le cifre
delle quali si parla per redditi e lavoro sono
risibili, praticamente il nulla. Però insieme a
tanta irritazione mi viene spontaneo un moto
di comprensione, quasi di solidarietà.
L’impresa che Letta ha dinnanzi è di quelle
che rasentano l’impossibilità. Si tratta di
smontare uno Stato burocratico, inefficiente e
corrotto. Si tratta di definire un piano economico, un progetto industriale scontrandosi
con tutte le corporazioni e i privilegi che
hanno incistato il sistema economicoindustriale. Infine, si tratta di educare una
società che in questi ultimi trenta anni ha
perso la bussola e qualsiasi fiducia nella legalità e nel sistema politico-istituzionale.
Nella sostanza ciò di cui avremmo
bisogno è una vera e propria rivoluzione, un
grazie a ruta
Si dice, ma non vi è nessuna conferma, che
in occasione della conversione del decreto
legge sulle emergenze ambientali, nei corridoi di palazzo Madama, Letta, il nipote
dello zio, pare abbia affidato un pizzino
scritto di pugno per non indurre alcuno in
errore e non è la prima volta, ad una sottosegretaria molisana per il successivo inoltro
all’unico senatore del PD, conterraneo, contenente il fatidico emendamento relativo alla
riduzione degli obiettivi del patto di stabilità;
pare ancora, ma non ve n’è conferma, che
solo telefonicamente la ex parlamentare
abbia raggiunto il destinatario finale e nella
conversazione, il suo interlocutore, pasticciando come quei scolaretti che sbagliano il
dettato ha, senza volerlo, autorizzato i comuni e non la regione a spendere soldi che i
primi non hanno a disposizione. Morale
della vicenda: il Molise, con l’emendamento
alla legge sulle emergenze, presentato dal
senatore Ruta, al quale riconosciamo ogni
merito, invece di portare a casa 15 milioni di
euro per il terremoto, li ha perduti.
ribellarsi è giusto
Famiano Crucianelli
mutamento radicale della funzione dei partiti,
delle politiche economiche, dello Stato e del
modo di vivere e pensare dei cittadini. Arriviamo a questo tornante della nostra storia con 50
anni di ritardo, perché è sul finire degli anni
cinquanta e nel decennio degli anni sessanta
che questa partita si è giocata. Gli anni della
guerra fredda, ma anche gli anni del miracolo
economico. Gli anni nei quali si è sfiorata la
terza guerra mondiale, ma anche gli anni nei
quali abbiamo avuto la coesistenza pacifica, la
destalinizzazione in Russia e Kennedy negli
Stati Uniti. Gli anni che hanno visto in Italia un
nuovo protagonismo cattolico con Giovanni
XXIII e una nuova possibilità di dialogo fra
comunisti e cattolici con il discorso di Togliatti
a Bergamo. Insomma in quella fase vi erano le
energie sociali, la forza morale della Politica, le
personalità autorevoli per portare questo paese
verso la modernità, la giustizia sociale e la
legalità. Si è persa lì, e per molte ragioni, una
grande occasione.
Oggi dopo dieci anni di pentapartito
e venti di Berlusconismo è tutto molto difficile, molto più difficile. Che la situazione sia
grave è ben testimoniato anche dalle vicende
di casa nostra. Il Molise è una piccola regione,
la sua densità di popolazione è quasi come
quella svedese, il suo territorio è, ancora, in
gran parte ambientalmente integro, non è inquinato se non marginalmente dalla malavita
e, soprattutto, esiste ancora una comunità con
la sua storia e la sua cultura. La nostra regione
potrebbe essere un esemplare laboratorio per
uno sviluppo sostenibile, compatibile con le
ragioni dell’ambiente e dei diritti sociali. Questo potrebbe essere, ma la realtà è ben diversa.
Il campo di concentramento per le famose
dodicimila manze della Granarolo con tutti i
danni collaterali ambientali, economici e sociali è uno sfregio alla
prospettiva di un altro
Molise. Sulla Gazzetta
del Molise è uscita una
pagina intera nella
quale viene chiamato
in causa il senatore
Ruta che è stato il
mentore fondamentale
del progetto manze
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della Granarolo; in questo articolo, con dovizia di particolari, si accredita la tesi che il
fratello dello stesso Ruta avrebbe avuto una
lautissima collaborazione per progetti in
qualche modo collegati al piano della Granarolo. Se così fosse sarebbe una cosa gravissima, non saremmo più di fronte solo a
una miopia progettuale, ad una idiozia politica, ma anche al prevalere di interessi privati che si fanno gioco del bene comune e del
destino della gente molisana.
Quel che è ancor più grave è che
il senatore Ruta non è un politico isolato, ma
è parte fondamentale del gruppo dirigente
del Partito Democratico e di quella maggioranza che governa la regione Molise.
L’auspicio è che si arrivi rapidamente ad un
chiarimento e, comunque, non è più rinviabile un rinnovamento radicale di uomini e
progetti, non è più sostenibile che la politica
di un’intera regione sia al servizio di interessi privati e dei gattopardi di tutte le stagioni.
La speranza è che dal congresso del Partito
Democratico arrivi un segnale chiaro,
l’impegno deve essere quello - ben al di là
della discussione politica nazionale - di
mobilitare in Molise tutte le persone di buona volontà, perché si cambi e si cambi davvero.
Mai come in questa fase vale
l'antico detto "ribellarsi è giusto". ☺
[email protected]
Dietro ogni articolo della costituzione ci sono centinaia di giovani morti nella Resistenza. È
una conquista nostra e dobbiamo
difenderla, costi quel che costi.
Sandro Pertini
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xx regione
gran manze
L’associazione LIBERA - Associazione,
nomi e numeri contro le mafie - ritiene opportuno intervenire nel dibattito aperto, soprattutto nel Basso Molise, sul problema
relativo al progetto della Granarolo di trasferire su 1 Km quadrato di territorio molisano
dodicimila manze in attesa che venga resa
pubblica (come da normativa vigente D.L.gs
152/06) la proposta di piano o programma e
il relativo rapporto ambientale (che costituisce parte integrante del piano e ne accompagna l’intero processo di elaborazione e approvazione ma che a tutt’oggi è tenuto nascosto)
per fare in modo eventualmente, di riconsiderare le posizioni preconcette e presentare le
proprie osservazioni, obiezioni e/o suggerimenti.
Dall’analisi delle innumerevoli pubblicazioni
scientifiche, rese a tutti disponibili dai correnti
mezzi di informazione si evincono le considerazioni che di seguito si riportano.
benessere animale
e interessi economici
La denuncia delle cattive condizioni di vita
degli animali negli allevamenti intensivi non
è recente: essa risale a metà degli anni 60,
dopo la pubblicazione del saggio di Ruth
Harrison, Animal Machine. In seguito a tale
pubblicazione il governo inglese fu costretto
ad istituire un’apposita commissione
d’indagine, passata alla storia come
“commissione Brambell” dal nome del medico veterinario che la presiedeva. Nel 1965
questa commissione pubblicava il “Brambell
Report” divenuto punto di riferimento per lo
studio del benessere animale, offrendo per la
prima volta una definizione scientifica di
benessere animale e stabilendo precisi parametri di riferimento che non prendono in
considerazione solo quelli riconducibili ad un
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concetto etico ma soprattutto valutabili e quindi misurabili. Detti parametri possono essere
racchiusi nelle famose 5 libertà: 1- libertà
dalla fame, dalla sete e dalla cattiva nutrizione, 2- libertà dal disagio ambientale, 3- libertà
dal dolore dai traumi e dalle malattie, 4- libertà dalla paura e dallo stress, 5- libertà di poter
manifestare le caratteristiche comportamentali specie-specifiche.
L’evoluzione storico-culturale del rapporto
uomo-animale, che non vede più gli animali
come oggetti asserviti all’uomo (il dominio
dell’uomo sulla natura non deve essere trasformato “in tirannide che devasta la natura”
come sostiene Monsignor Ravasi) ma portatori di diritti in quanto “esseri senzienti”, ha nel
corso del tempo ampliato ed integrato il concetto di benessere.
Si è così arrivati alla definizione di benessere
formulata dal Farm Animal Welfare Council :
“vita degna di essere vissuta”, intendendo
cioè la possibilità di offrire agli animali opportunità per esplorare l’ambiente, cibarsi di ciò
che preferiscono o mettere in atto comportamenti che diano loro
soddisfazione. Ci sembra di capire che
l’allevamento intensivo
per la fabbrica di
“macchine animali ad
alta produzione di latte” da trasferire poi, al
momento della produzione, in Emilia (e
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quindi non disponibili per il rilancio della
zootecnia molisana) non risponda ai principi
di vita degna di essere vissuta. Come viene
riportato dalle indiscrezioni dei giornali
locali, i vitelli a 10 giorni di vita (subito
dopo la cicatrizzazione del cordone ombelicale) vengono allontanati dalle mamme per
essere trasferiti in Molise ed alimentati con
latte in polvere e avviare così il ciclo della
famosa nursery per la costruzione “delle
macchine da latte”. È forse utile ricordare
che in natura una vacca produce il latte sufficiente esclusivamente per alimentare, per il
tempo necessario, il proprio vitello. Fabbricare macchine da latte, che producono circa
60 litri di latte al giorno, con una alimentazione spinta, casomai con mais OGM
(ritenuto meno attaccabile dalle muffe produttrici di aflatossine ma soprattutto patrimonio delle multinazionali) per essere riformate (destinate alla macellazione) all’età di
circa 5/6 anni (dopo 3, massimo 5 parti
poiché la produzione spinta e le modalità di
allevamento comportano problemi anche di
fertilità), è una contraddizione stridente in
tema di benessere animale, poiché la vita di
questi animali si rivelerà una vita poco e per
niente “degna di essere vissuta”. È noto
infatti come gli animali della specie bovina
subiscano situazioni di STRESS derivanti
dal repentino cambiamento di condizioni
ambientali: il trasporto, lo svezzamento, i
cambi di alimentazione e la formazione dei
gruppi ne rappresentano tipici esempi. Pertanto, una cattiva gestione dell’igiene dei
ricoveri e del management aziendale in
queste fasi potrebbe comportare l’ insorgenza di patologie condizionate (gastroenteriche
e respiratorie) oltre alla riduzione dell’ accrescimento ponderale, soprattutto se i soggetti non riusciranno ad adattarsi adeguatamente all’ambiente. A tale proposito bisogna tener presente che esiste una notevole
variabilità su base genetica delle capacità di
adattamento ambientale. A parità di stimoli
esterni alcuni individui reagiscono con modesti aggiustamenti omeostatici, altri saranno costretti a risposte compensative molto
più elevate, altri ancora saranno incapaci di
allestire una adeguata risposta allo stimolo
dell’ambiente, manifestando segni di malattia.
sostenibilità ambientale
Chi conosce il territorio molisano sa che i
prodotti tipici molisani (scamorza, caciocavallo, burrate, ricotte etc.) devono essere
xx regione
prodotti con latte proveniente da razze rustiche a duplice attitudine, del tipo Bruna Alpina o Pezzata Rossa, allevate possibilmente
al pascolo, che producono un modesto
quantitativo di latte ma ricco di materia
grassa e giusto tenore proteico. È su questo
tipo di allevamento sostenibile che un programma di ristrutturazione della zootecnia
molisana deve puntare anche nel rispetto
del documento elaborato dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri tramite il comitato
nazionale per la bioetica del 28/9/2012 alimentazione umana e benessere animale-.
Tale importante documento analizza, in
maniera approfondita, il benessere animale
nella prospettiva della scienza e dell’etica
della biocultura (scienza che si occupa dei
problemi morali relativi al rapporto di gestione tra esseri umani e non umani, ribadendo la responsabilità dell’uomo riguardo
al benessere animale). Il testo tra l’altro
afferma la necessità di “pervenire ad una
valutazione globale che esamini il problema
alla luce di un ampio e lungimirante concetto di vantaggio per la società nel suo complesso, compreso quello del mondo produttivo, nel rispetto della salute umana, del
benessere degli animali e della sostenibilità
ambientale”. Ed è sul concetto di
“sostenibilità ambientale” che è necessario
aprire un altro confronto di riflessione. È
noto, dalla lettura di riviste specializzate, che
la tecnica dell’allevamento intensivo c.d.
“senza terra” (che ha rotto il rapporto
animale/territorio) produce un impatto ambientale altissimo. Tale allevamento obbliga
alle produzioni di monocolture per l’ approvvigionamento alimentare dei 12000
animali (ogni animale ha bisogno di circa il
3-3,5% di peso vivo di sostanza secca/die),
trasformando così il paesaggio, mandando
al diavolo il concetto di “biodiversità” (tanto
cara ai fautori del progetto Gran Manze) e
favorendo esclusivamente le multinazionali. Si ritiene sostenibile l’uso di enormi
quantità di acqua (bene comune prezioso)
utili per assolvere ai bisogni e le necessità
dell’allevamento? Solo per fare un esempio:
se si pensa che per ogni tonnellata di mais
prodotto occorrono 1000 tonnellate di acqua, quanta acqua necessita per produrre
tanto mais da alimentare 12.000 bovine?
Considerando che un bovino in accrescimento necessita orientativamente di circa 50
litri di acqua al giorno (la vacca da latte beve
fino a 200 litri di acqua al giorno), di quanta
acqua c’è bisogno per abbeverare 12.000
capi? Quanta acqua bisogna utilizzare per
pulire e disinfettare sistematicamente le strutture e le attrezzature utili all’allevamento e
soprattutto smaltire le deiezioni animali? E
inoltre quanti erbicidi, pesticidi e diserbanti
(che finiscono nelle falde acquifere) sono
necessari per produrre tutti gli alimenti necessari? È possibile concepire la costituzione
dell’allevamento intensivo con l’intento principale di produrre deiezioni (che hanno più
valore del latte perché utili a produrre energia)? È possibile consentire che il bene che
produce più reddito, le deiezioni, debba essere appannaggio della Granarolo? Tali deiezioni, infatti, prodotte in enormi quantità, non
possono essere stoccate per almeno 90 giorni
in concimaie assieme alla paglia ed essere
utilizzate quindi come ottimo concime naturale, così come avviene normalmente per
l’allevamento tradizionale. Esse devono
essere raccolte in enormi vasconi (ogni capo
produce l’8-10% del peso vivo al giorno di
deiezioni a cui si devono aggiungere le acque
di lavaggio e le acque piovane provenienti
dai recinti scoperti) e stoccate per almeno 4-6
mesi e pertanto risultano ricche, tra l’altro, di
sostanze chimiche utilizzate sia per la profilassi che per la cura di eventuali animali malati.
rischi per l’ambiente
Il rischio ambientale rappresentato dal potenziale rilascio di farmaci (e dei loro prodotti di
derivazione metabolica) nell’ambiente è
oggetto di crescente interesse da parte del
mondo scientifico, poiché la dispersione
nell’ambiente di principi attivi o di loro metaboliti ancora in possesso di una attività biologica anche solo parziale può determinare il
manifestarsi di effetti biologici indesiderati
diretti, a carico di organismi non-target terrestri (microorganismi, fauna del terreno, insetti, piante) e acquatici (pesci, invertebrati acquatici, alghe) e indiretti, mediante passaggio
nell’acqua di falda, alle diverse specie animali e all’uomo. Le suddette deiezioni, quindi, ricche di fosforo,
azoto e sostanze chimiche costituiscono
un grande problema
ambientale e dovranno essere utilizzate
solo in appositi impianti per la produzione di biogas (vedi tra
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l’altro il Piano Nitrati Regione Molise
approvato con DGR 21/7/2006 n.1023 BURM n. 29/2006). Inoltre, non dovrà
essere sottovalutato l’inquinamento ambientale che verrà prodotto sia dai mezzi
di trasporto (che quotidianamente devono
muoversi avanti e indietro, per trasportare
animali, alimenti, deiezioni) che dai gas
serra (biossido di carbonio, metano e protossido di azoto) prodotti da 12.000 capi di
bestiame allevati in uno spazio ristretto.
domande
La regione Molise in questo modo intende
contribuire al rispetto del protocollo di
Kyoto, tendente alla riduzione dei gas serra? Quali sistemi di monitoraggio ambientale verrebbero messi a punto in considerazione che l’allevamento intensivo e le monocolture provocano, come abbiamo sostenuto, effetti indesiderati e dannosi
(l’abolizione della biodiversità, le modificazioni del paesaggio, un enorme consumo
di acqua, l’impiego di prodotti chimici e
pesticidi in misura eccessiva - vedi categorie di impatto ASPA)?
Tali domande potrebbero risultare retoriche. Ci sostiene però la convinzione che la
tutela dell’ambiente è imposta, tra l’altro,
da precetti Costituzionali (come affermano
numerose sentenze di Cassazione) ed in
particolare dall’art. 9 “la Repubblica tutela
il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, e dall’art 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della
collettività…”. Ed è anche per questi motivi che si rende indispensabile la partecipazione di tutti i cittadini, singoli ed associati,
ad ogni decisione che le autorità competenti volessero adottare in materia per rendere
veritiero il motto propagandato da quasi
tutte le forze politiche in campagna elettorale “il Molise di tutti”.
Libera Molise
[email protected]
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progetti antitetici
Cristina Muccilli
Il sostegno del Governatore Frattura alla Clean Economy e l'impegno del Senatore Ruta per l'attuazione del progetto Gran
Manze devono, per forza di cose, essere letti
come espressioni di una medesima linea
politica, entrambi molisani, appartenenza per
entrambi allo stesso partito (non è nemmeno
necessario ricordare chi è stato il traghettatore del Governatore nel PD), si spendono
entrambi per uno sviluppo del territorio.
Clean è un termine inglese che si
traduce con pulito, l'economia a cui si pensa
è quella che non contamina, che rispetta
prodotti e territorio, una economia che preserva e tutela. Dodicimila vitelli da allevare,
nello stesso luogo, per due anni, per poi sostituirli in altrettanta schiera, fanno tanti due
anni più due anni, più due anni... di una
quantità smisurata di cacca che prima di
diventare letame (che la Granarolo provvederà a riassumere a sé per lucrarci) avrà tutto
il tempo di inquinare l'inquinabile. La clean
economy punta ai prodotti di eccellenza, alla
salvaguardia delle biodiversità, i dodicimila,
che potremo chiamare d'ora in poi mucchio
selvaggio trasformeranno inevitabilmente in
monocolture l'agricoltura locale. Due progetti per lo sviluppo, uno ragionato, discusso e
auspicato, l'altro lanciato in aria come un
missile inesploso, del quale poco si sa, tranne
la certa (?) attuazione.
Ebbene come potremo chiamare
questo modo di pensare e attuare la politica,
schizofrenia, assenza di programmazione,
visione strettamente limitata al proprio orto
di approvvigionamento voti, strategia fumogena per giustificare l'inadeguatezza, determinismo che cela interessi altri? Voi scegliete l'opzione che più vi aggrada, per me sono
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valide tutte.
Bene ha scritto Famiano Crucianelli
su queste pagine, senza l'apporto, il controllo e
l'interesse dell'intera popolazione non c'è progettazione che tenga, se una buona, sana programmazione non riesce ad attecchire è una
nostra precisa responsabilità, se continuano a
fare scempio del nostro territorio è una nostra
precisa responsabilità. È una nostra precisa
responsabilità pretendere che un politico agisca in conseguenza della volontà che lo ha
eletto, è nostra precisa responsabilità pretendere che ci sia dato conto delle scelte fatte sul
nostro territorio e dei silenzi che hanno accompagnato le scelte aberranti, è una nostra
precisa responsabilità cercare di cambiare le
cose. Nessuno lo farà in nostra vece.
Altrove, dove la crisi ha colpito
prima e con più clamore, dove lo scontro
sociale promuove una cultura alternativa alla
rassegnazione ed all'assopimento, sono nate
iniziative che meritano grande attenzione.
In Grecia, nell'area industriale di
Salonicco c'è lo stabilimento Vio.Me, la prima
fabbrica autogestita. I proprietari sono spariti,
letteralmente, lasciando i dipendenti con numerose mensilità insolute, il giudice concede
l'utilizzo della fabbrica ma non dei macchinari
e i lavoratori si mettono a produrre detersivi
biologici. Il prodotto viene venduto attraverso
una rete di associazioni e mercati alternativi, è
buono e costa poco, il collettivo degli operai
riesce ad avere un salario minimo con prospettive migliori per il futuro. Non è un esempio risolutivo ma apre uno spiraglio, segna
una traccia, apre un varco verso cose possibili.
Sempre in Grecia, nei mercati rionali di varie città nasce una moneta virtuale il
Tem, acronimo per “unità alternativa locale” e
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Kinò che vuol dire “comune”, sono unità
equiparate all'euro e vengono utilizzate in
una sorta di conto corrente virtuale, ognuno
dei frequentatori di questi mercati vende
prodotti e servizi che vengono accreditati
sul proprio conto, spendendo e acquistando,
poi, con ciò che ha accumulato. È stato
calcolato che, con questo metodo, il risparmio sulla spesa mensile può arrivare al
25%. Anche questo non è un esempio risolutivo ma anche questo segna una traccia da
seguire; ma soprattutto è una spinta verso
l'autodeterminazione, verso la consapevolezza che possiamo sicuramente organizzarci per gestire i nostri bisogni e tentare di
riprenderci la vita.☺
[email protected]
lutto in famiglia
Alla fine di settembre è venuta a mancare
Elena Sassi, prof. universitaria di Napoli
originaria di San Martino in Pensilis che
aveva partecipato alla redazione de La
Fonte anche con alcuni contributi. Passionale ed impegnata socialmente nelle grandi battaglie contro il nucleare e per l'acqua
bene comune, Elena si è sempre contraddistinta per l'amore alla sua terra dando
con generosità un diretto contributo di
alto profilo scientifico.
La ricordiamo nei suoi interventi puntuali
sulle questioni cruciali legate all'energia
ed al territorio e nelle manifestazioni di
Roma accanto al popolo. Ci mancherà
molto la sua sensibilità ed intelligenza che
ha generosamente elargito ai giovani allievi universitari, amici e familiari. Amiamo immaginarla sempre viva nelle manifestazioni dei movimenti, con il cuore di
una ragazza vivace, curiosa e simpatica e
la ricorderemo sempre per gli incoraggiamenti a lottare per la giustizia sociale.
Grazie Elena.
l’assessore risponde
Michele Petraroia
Le straordinarie suggestioni di
questi giorni dovute all’incontro con Papa
Francesco insieme ai familiari di Padre Giuseppe Tedeschi, ai volontari dell’associazione
e alla comunità di Jelsi, si sommano alle forti
emozioni vissute in piazza Beccaria a Milano
ai funerali civili di Lea Garofalo, la testimone
di giustizia assassinata e bruciata dalla Ndrangheta. Insieme ai ragazzi di Libera contro le
Mafie ho condiviso l’intitolazione di un parco
a questa coraggiosa donna meridionale portando la voce del Sud ad una manifestazione
in cui la Regione Molise col proprio gonfalone era l’unica istituzione presente del Mezzogiorno insieme al paese d’origine di Lea. Le
parole accorate di don Ciotti si confondono
con quelle belle dette da Papa Francesco al
fratello di Padre Tedeschi in una settimana
che ha visto il Molise uscire dai propri confini
per testimoniare a Roma e a Milano un impegno che parla al cuore delle persone, ai sentimenti collettivi e alla memoria che si fa storia
del nostro territorio.
Tra mille vertenze complesse, un
dimensionamento scolastico in itinere, la
nuova legge quadro sul sociale, la riorganizzazione della pianta organica della regione, il
bando sui non autosufficienti, l’attivazione
delle sezioni primavera, l’avvio dei corsi
triennali per l’obbligo formativo, 3 milioni di
finanziamenti a sostegno dell’apprendistato e
della formazione continua e 500 mila euro
per finanziare i master post-laurea a cui hanno risposto 817 giovani, non mancano le
iniziative concrete attivate in favore dei lavoratori, degli studenti, dei disabili, dei disoccupati e dei bambini. Se si sommano anche i
fondi degli ammortizzatori sociali in deroga,
l’Assessorato al Welfare ha impegnato in
pochi mesi 30 milioni di euro in settori e
ambiti d’intervento che favoriscono le fasce
deboli, le famiglie e i minori con disabilità. In
questo contesto di profondo mutamento culturale si inserisce la politica d’accoglienza per
i migranti che mira a promuovere il volto di
un Molise aperto, inclusivo ed accogliente.
Fatte queste rapide puntualizzazioni su un’attività intensa che non riesce ad
arrivare all’esterno per un’oggettiva carenza
comunicativa del governo regionale, non
intendo sottrarmi al quesito posto dai lettori
sulle sofferenze in cui versano i diversamente
abili in Molise e su quali provvedimenti concreti possono essere assunti in corso di legi-
I portatori di handicap, praticamente ignorati dalle trascorse legislature, che attenzione fattiva
ricevono oggi dalle istituzioni
regionali?
slatura per affermare i diritti universali di cittadinanza per ogni persona. Sulla delicata questione occorre riaffermare una sensibilità sociale che è andata smarrendosi nell’ultimo
ventennio e che è testimoniata dalle innumerevoli difficoltà incontrate nel promuovere riunioni tematiche con l’associazionismo di settore, con il volontariato, con i patronati sindacali
e con le istituzioni. I corpi sociali intermedi
stentano a partecipare attivamente ai tavoli di
confronto su materie di tale rilievo e le organizzazioni dei disabili dialogano con difficoltà
tra di loro e sono prese dalla propria missione
specifica per questa o tal’altra categoria di
soggetti svantaggiati. I piani sociali di zona e
gli ambiti territoriali agiscono con scarse risorse finanziarie, pochi strumenti normativi e,
salvo lodevoli eccezioni sono oggetto di direzione tecnica e coordinamento amministrativo
che mal si conciliano, col protagonismo diffuso delle associazioni dei disabili. Bisogna
adoperarsi per ribaltare questa impostazione,
ripartire dai diretti interessati, collocarli al centro dell’azione istituzionale e indurli a riprendere un dialogo sistemico che
sappia tenere insieme il Vangelo e la Costituzione, i fondi
europei 2014-2020 ed il nuovo
piano triennale sociale 20142016, la conoscenza del bilancio regionale e le buone pratiche realizzate in altri territori.
La concertazione vive se tutti i
soggetti si adoperano nel quadro generale esistente per mutarlo in positivo attraverso
innovazioni legislative, nuovi
appostamenti di bilancio e
costruendo reti di mutualità che valorizzano
ad ogni livello un
modello sociale solidale.
Nei periodi
di crisi la paura vince,
l’egoismo si alimenta
nella preoccupazione
per il domani e a pagare lo scotto più duro
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sono i soggetti più fragili che vengono relegati ai margini di qualsiasi programmazione.
Per questo serve uno scatto d’orgoglio che
sappia unire le tante e belle esperienze di
volontariato attivo, di autogestione dei servizi, di cooperazione sociale e di mobilitazione culturale, in un grande mosaico della
solidarietà in cui il singolo tassello della
specifica associazione di disabili interagisca
virtuosamente con le altre associazioni e con
le istituzioni. In questi primi mesi questa è la
scommessa su cui la nuova amministrazione sta investendo, sapendo tenere insieme la
risoluzione delle emergenze dei servizi sociali e del taglio dei fondi con la capacità di
pianificare i provvedimenti del futuro coinvolgendo attivamente la conferenza del
volontariato, il no profit, il terzo settore, le
organizzazioni sindacali, la cooperazione, le
associazioni umanitarie e gli esperti, i tecnici
e gli amministratori. Se sapremo unire le
energie dell’Ente Sordomuti, dell’Unione
Ciechi, degli Invalidi Civili e del Lavoro, di
chi soffre di Sclerosi Multipla o di Alzheimer, dei familiari dei non autosufficienti, di
chi si impegna per la vita indipendente del
disabile o per la piena integrazione dei cittadini con la sindrome di Down, saremo più
forti e porremo le base per una società più
equa, giusta e solidale. ☺
[email protected]
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dislessia
Antonello Miccoli
Da circa un mese ha avuto inizio il nuovo anno scolastico; l’istituzione è chiamata ad accogliere
coloro che dovranno vivere da protagonisti il ruolo di cittadini e di lavoratori. Per molti ragazze e ragazzi la
scuola e l’università rappresentano un momento di gioia e di fatica: un processo inserito in un normale ed
articolato percorso di apprendimento e di crescita. Per altri, tale itinerario, si presenta più complesso e difficoltoso: si pensi ad esempio a quanti presentano gravi forme di disabilità o a coloro che devono misurarsi
con la dislessia. Termine, quest’ultimo, che indica un disturbo dell’apprendimento: un deficit che, solo
negli ultimi anni, gode, grazie soprattutto al lavoro compiuto dall’Associazione Italiana Dislessia, della
tutela della legge n.170 emanata l’8 ottobre 2010: una conquista di civiltà e del diritto. “La presente legge
riconosce la dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di apprendimento, di seguito denominati «DSA», che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per
alcune attività della vita quotidiana”.
La difficoltà di lettura, connessa alla decifrazione dei segni linguistici, o la problematicità legata
all’esecuzione di semplici calcoli, rappresentano alcuni degli aspetti che possono limitare il normale processo di apprendimento. La finalità della normativa, come evidenziato nell’art.2, è racchiusa in otto punti:
a) garantire il diritto all'istruzione; b) favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di
supporto, garantire una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialità; c) ridurre i disagi
relazionali ed emozionali; d) adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessità formative
degli studenti; e) preparare gli insegnanti e sensibilizzare i genitori nei confronti delle problematiche legate
ai DSA; f) favorire la diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi; g) incrementare la comunicazione e
la collaborazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari durante il percorso di istruzione e di formazione; h)
assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito sociale e professionale.
In tale ottica, l’art.5 rafforza le modalità d’intervento attraverso l’applicazione di misure educative e didattiche di supporto che vengono così definite: 1. Gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a
fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilità didattica nel corso dei cicli di
istruzione e formazione e negli studi universitari. 2. Agli studenti con DSA le istituzioni scolastiche garantiscono: a) l'uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro
scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari dei soggetti, quali il bilinguismo, adottando
una metodologia e una strategia educativa adeguate; b) l'introduzione di strumenti compensativi, compresi
i mezzi di apprendimento alternativi e le tecnologie informatiche, nonché misure dispensative da alcune
prestazioni non essenziali ai fini della qualità dei concetti da apprendere; c) per l'insegnamento delle lingue
straniere, l'uso di strumenti compensativi che favoriscano la comunicazione verbale e che assicurino ritmi
graduali di apprendimento, prevedendo anche, ove risulti utile, la possibilità dell'esonero. 3. Le misure di
cui al comma 2 devono essere sottoposte periodicamente a monitoraggio per valutarne l'efficacia e il raggiungimento degli obiettivi. 4. Agli studenti con DSA sono garantite, durante il percorso di istruzione e di
formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato e di ammissione all'università nonché gli esami universitari.
La materia ha trovato un ulteriore assetto nel decreto n° 5669 del 2011 e nell’accordo Stato Regioni del 25 luglio 2012; mentre a livello locale si deve fare riferimento alla legge regionale dell’8 gennaio
2010 n.1. La complessità e la delicatezza della problematica impone l’impegno di tutte le istituzioni deputate a vigilare affinché la legge trovi reale applicazione. La Regione stessa potrebbe avviare una campagna
di sensibilizzazione che, di concerto con gli altri soggetti istituzionali, dovrebbe poter valutare: i risultati
raggiunti; l’andamento del processo formativo rivolto agli insegnanti; il ruolo delle famiglie, con particolare riferimento ai nuclei culturalmente più deboli; l’entità delle risorse finanziarie deputate a migliorare la
qualità degli interventi ed a garantire l’efficacia delle iniziative poste in atto. L’eventuali criticità e debolezza degli interventi, che solo una verifica puntuale può far emergere, rischiano di vanificare la bontà di una
legge che è stata voluta con forza da chi ogni giorno lotta affinché anche ai propri figli vengano pienamente
riconosciuti i fondamentali diritti di cittadinanza. ☺
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“Comincerete a prendere in seria considerazione la follia quando per la prima volta essa
vi tornerà utile per risolvere i
vostri problemi da persona normale” (S. Freud)
Voglio raccontare ai soliti
quattro cinque lettori che mi seguono, una storia di molti anni fa. Moglie ragazzina, cresciuta in un matrimonio normale, fra sconoscenza e
indifferenza dove la MOGLIE in
quanto tale veniva amata. Cresciuta
con due figli in fragoroso silenzio
capì dopo anni che nella sua casa
c’era un estraneo con cui aveva
avuto due figli. Cominciò a dimagrire e a non volere vivere, arrivò a
pesare 42 kg, tentò di farsi fuori, le
fu sbattuta in faccia la sua inadeguatezza ad essere una buona madre, se
ne convinse, ne fu sicura ed un
giorno se ne andò via da casa pensando di far vivere meglio i suoi
figli. Dopo una settimana il marito
le proibì di rivederli, e la tortura
durò quasi due anni. Dopo una
consensuale che dava la patria potestà al marito (come era per legge) li
poté vedere una volta alla settimana
(si!).
Nessuno trovò questo
mostruoso, nessuno le chiese come
non impazzisse. Violenza, uccisione, smembramento? Quella signora
degli anni 70 l’ha subìta anche se la
morte non è stata immediata, definitiva perché i veri assassini sono
uomini buoni con la morale sicura.
Ecco perché non mi meraviglia, non mi sconvolge questa
attuale caccia libera in Italia alle
donne, con vari metodi. Le leggi
sono cambiate da allora ma conosco mogli riempite di botte che non
denunciano il marito perché è il
padre dei propri figli e non vogliono
che cada l’infamia su di loro. Numeri che raccontano un’emergenza
nazionale. Anche perché gli omicidi, spesso, sono l’ultimo atto di anni
di abusi, vessazioni, maltrattamenti.
Storie quotidiane, ci insegna la
cronaca. Storie che possono capitare a chiunque. Episodi ripetuti di
maltrattamenti alternati a "penti-
il calabrone
solo per follia
Loredana Alberti
menti" del partner. E la tragedia sempre in
agguato. Tutto questo avviene nella
"normalità" e nella convinzione che la violenza riguardi altri.
Ma a un certo momento accade
"qualcosa" per cui le donne capiscono che
così non può continuare. Che cosa? Ogni
storia ha una sua "chiave" che la tiene inchiodata alla violenza e una che la porta a non
voler più subire. Qualche volta quel maledetto meccanismo si rompe prima che sia troppo
tardi.
In un'intervista pubblicata su L'eco
di Bergamo del 31 gennaio il pm Pugliese
taglia corto e va diretta al punto: “I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un'arma
di ritorsione per i contenziosi civili durante le
separazioni” e ancora “solo in due casi su 10
si tratta di maltrattamenti veri”. Il resto
(l'80%. NdR) sono querele enfatizzate e usate
come ricatto nei confronti dei mariti durante
la separazione, come precisa il giornalista
Stefano Serpellini nell'articolo.
Internet fa da grancassa
“E allora non abbiamo paura di
dire la verità: un bel calcio nel culo a queste
puttanelle che si mostrano vittime per avere
vantaggi nella separazione... ci sta tutto”.
Oppure: “Finalmente - dopo anni di urla e
strepiti sulla questione femminile e sul presunto fenomeno del femminicidio - questo
governo ha fatto un grosso regalo alle femministe radical-chic e a tutti i radicali più o
meno velati di questa legislatura. Gli uomini,
e soprattutto i padri, ringraziano. Ringraziano, naturalmente, si fa per dire. Se prima era
facile sbarazzarsi di un ex marito o padre
riducendolo all’estrema povertà e facendogli
perdere qualsiasi dignità in quanto persona,
dopo l’approvazione delle nuove norme
varate dal governo, ora sarà facilissimo. Sul
tema femminicidio le nuove norme obbligano
l’irrevocabilità delle querele (incredibile,
nella vita non c’è nulla di irrevocabile, se
non la morte), il patrocinio legale gratuito
alle donne vittime delle violenze (naturalmente non viene neanche presa in considerazione la possibilità che un uomo possa subire
violenze da una donna) e arresti per stalking
(giustamente sempre uomini). Infine c’è un
pacchetto di misure anti cyber bullismo di cui
si conosce ancora poco ma che non si fa fatica
a capire che andranno a colpire i blogger
ritenuti scomodi per il potere. Insomma, tenteranno di mettere un bavaglio a chi scrive su
internet invece di perseguire siti pedofili e
pervertiti abominevoli. (No, quelli le loro protezioni ce l’hanno, altrimenti non si spiega
come sia possibile che nemmeno un pedofilo
venga arrestato, nonostante scambi materiale
pedopornografico: sono solo bambini, quindi
non frega niente a nessuno, compresi gli appassionati di diritti umani che urlano ogniqualvolta viene toccata la dignità di una donna).
Potrei continuare all’infinito. Dalla
statua per le donne violate eseguita per volontà
dell’assessora alle pari opportunità di Ancona
che dovrebbe mostrare una donna dopo lo
stupro subìto che si erge fiera per incontrare
una forma di liberazione: dopo recriminazione
ed indignazione da ogni parte, è stata rimossa.
Il fenomeno sta aumentando con il silenzio o
con la normalizzazione del problema che porta
i nostri internauti (uomini) a proseguire con
lamentele. Da xmanx il Mer 26 Dic 12:20:53: Nessuno ha mai detto che "sono
state loro a provocare i poveri uomini destabilizzati della loro autonomia". Ho solo detto
che per 120 casi di omicidi in un anno, su una
popolazione di 60 milioni di abitanti... parlare
di "femminicidio" è una stronzata. Dopodiché
ci sarebbe da chiedersi: ma come mai Parolisi
ha ucciso la moglie se aveva una relazione
con un'altra dolce fanciulla? Non poteva semplicemente unirsi alla sua nuova fiamma? Che
motivo aveva di uccidere la moglie? Non è per
caso che Melania lo ha ricattato - come spesso e volentieri fanno le donne incattivite - dicendogli che lo avrebbe rovinato economicamente e gli avrebbe portato via la figlia? eh?
(cose assolutamente possibili con la legge
attuale su separazione e divorzi?) (sic!).
Proseguo: il pm Carmen Pugliese
ha chiesto l’archiviazione del fascicolo aperto
nei confronti del falegname in pensione di
Dalmine, 67 anni, incensurato, arrestato lo
scorso mese di aprile con l’accusa di aver
cercato di avvelenare la moglie, una casalinga
di 61 anni, versando dell’acido muriatico
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nella sua bottiglietta dell’acqua. Era stata la
donna a scoprire il tutto, piazzando in cucina una piccola telecamera, che aveva ripreso l’uomo mentre versava il veleno nella
bottiglia. Le successive analisi sull’acqua
avevano però evidenziato la presenza di una
quantità minima di veleno, che aveva provocato alla 61enne solo un bruciore alle
labbra. Era così caduta l’accusa di tentato
omicidio ed erano venute meno le esigenze
cautelari, tanto che il 67enne era stato scarcerato. Sulla scorta di queste analisi, adesso
il magistrato ha chiesto l’archiviazione.
Questo signore ha versato nella bottiglietta
dell’acqua della moglie uno dei liquidi più
corrosivi esistenti. Però, secondo il Pubblico
Ministero, siccome ne ha versata una quantità insufficiente a provocare l’orrenda agonia che deriva dalla perforazione dell’ esofago e dalla necrosi dell’intestino, non c’è
motivo di accusarlo di tentato omicidio
(l’ingestione anche di una boccata di acido
muriatico provoca la perforazione dell’
esofago, una necrosi molto rapida del mediastino, sede di molte delle arterie principali. Causa emorragie e un rapido collasso. La
morte sopraggiunge molto velocemente e
con una dolorosa agonia).
A quanto acido corrisponde “una
boccata”? Voleva solo procurarle un malore: un’inezia. Un piccolo malore da acido
muriatico. Un’ustione dell’esofago piccola
piccola. “Procurare un malore” non sarebbe
reato.
Mi viene da osservare che
potremmo cominciare dall’inizio: da
quando è stato scritto “dalla parte delle
bambine” da quando cioè i fermenti
sociali coinvolgevano anche la politica
e non solo a latere. Cominciamo dai
bambini e dalle bambine, creiamo loro
un mondo educativo, formativo, cognitivo di spessore alto e prezioso. Forse
cambieranno, cambieremo. E certamente le parole di Steve Job Siate affamati,
siate folli! Assumerebbero una densità
che travalica il sesso e il genere.
Non aspettiamo la mattanza o
il giorno 25 novembre, giorno contro la
violenza sulle donne, creiamo il clima
della affamatura e della follia per essere nuovi, per essere diversi da quella
signora del ‘70 che non è morta solo
per follia e fame perenne! ☺
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cultura
l’ansia di un giorno
Christiane Barckhausen-Canale
All’inizio di novembre sarò a Berlino, dove sono nata e cresciuta. Motivo della
mia visita è il compleanno di mia madre, 103
anni l’8 novembre. Vista la sua età più che
avanzata, penso che la festa finirà molto prima della mezzanotte, e cosi, per me, quella
notte sarà lunga, e di sicuro dormirò poco e
male. Non sono superstiziosa, ma nel profondo del mio stomaco c’è sempre, quando inizia un 9 novembre, un senso di ansietà, un
presentimento di qualcosa che potrebbe succedere quel giorno, qualcosa di decisivo,
qualcosa che resterà nella memoria dei tedeschi.
Mi spiego. Mia madre ha vissuto in
5 stati differenti: nell’impero del Kaiser, nella
Repubblica di Weimar, nella Germania hitleriana, nella RDT (Repubblica Democratica
Tedesca) e nella Repubblica Federale Tedesca. E nella sua lunga vita, 4 volte la giornata
successiva al suo compleanno è stata una
giornata particolare, entrata nei libri di storia.
Il 9 novembre 1918, il socialdemocratico Phillipp Scheidemann proclamò la
nascita della “Repubblica Germania”, e lo
stesso giorno, Karl Liebknecht, dirigente
della “Federazione Espartaco”, promulgò, da
un balcone del castello di Berlino, la
“Repubblica tedesca libera e socialista”. Cominciarono giornate di combattimenti in
strada, morirono operai, soldati e marinai, la
“rivoluzione di novembre” fu frantumata nel
sangue, e due mesi dopo, Karl Liebknecht fu
assassinato insieme alla sua compagna di
partito, Rosa Luxemburg. Il 9 novembre
1918, una data che potrebbe aver cambiato il
corso della storia non solo della Germania.
Il 9 novembre 1923, a Monaco di
Baviera, un tale Adolf Hitler intentò un colpo
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di stato, frustrato dopo poche ore. 10 anni più
tardi questo stesso uomo arrivò al potere, non
con un colpo, ma dopo elezioni e con
l’appoggio decisivo dei grandi industriali tedeschi, tipo Krupp o Thyssen.
Il 9 novembre 1938, i seguaci di
Hitler - che erano moltissimi - frantumarono le
finestre dei negozi gestiti da ebrei, distrussero
ed incendiarono le sinagoghe in tutto il paese,
seminarono l’odio razziale e diedero inizio alla
persecuzione massiva dei connazionali di
origine ebrea, persecuzione che trovò la sua
espressione più brutale nei campi di concentramento e di sterminio, dove morirono non solo
milioni di ebrei di tutti i paesi europei, ma
anche centinaia di migliaia di rom e sinti, omosessuali, comunisti e socialdemocratici.
L’8 novembre 1989 eravamo riuniti,
parenti ed amici, per celebrare i 79 anni di mia
madre. Quattro giorni prima, sulla Alexanderplatz di Berlino, capitale della Repubblica
Democratica Tedesca, s’era riunito mezzo
milione di cittadini per esigere la fine del potere di un solo partito, SED, l’abolizione delle
leggi che vietavano ai cittadini della RDT di
viaggiare all’estero non-socialista, la libertà di
creare associazioni libere di tutti i tipi e scopi, e
tante altre cose, in due parole, un socialismo
democratico. Il pomeriggio del giorno dopo il 9 novembre - si riunivano in casa mia una
ventina di amiche, perché nel nuovo clima che
si era creato nel nostro paese pensavamo di
progettare la creazione di un’associazione di
solidarietà che, utilizzando tutte le espressioni
della cultura, voleva riunire le donne straniere
residenti a Berlino Est in un centro interculturale di donne. Scritta la bozza degli statuti
dell’associazione, siamo rimaste a chiacchierare, e verso le 22.00, ognuna è tornata a casa.
Accesi la TV per vedere le notizie della sera e
vidi un membro della
direzione del SED che
dava una conferenza
stampa, ed alla domanda di un giornalista credo un italiano - sulle
probabilità di un cambio nella legislazione
riguardante i viaggi all’
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estero, quel signore mostrò un pezzo di
carta, fece finta di leggerlo per la prima volta
e rispose che da quel momento, ogni cittadino della RDT poteva viaggiare dove voleva
e che le frontiere del paese erano aperte. Fu
la famosa “caduta del muro” che altro non
era che una reazione di panico del partito al
governo davanti alle richieste dei manifestanti. Incapace di cogliere il senso di quelle
esigenze, quel partito che aveva 2 milioni di
iscritti preferì fare un passo che, a 24 anni di
distanza, offriva su un vassoio d’oro tutto il
paese, le sue fabbriche, i campi, le università
ed i posti di lavoro degli abitanti del paese
alla voracità dell’altra Germania, la Repubblica Federale Tedesca. Parecchi anni dopo,
una giovane donna, laureata in fisica, exdirigente dell’organizzazione giovanile del
partito governante della RDT, ma diventata
nel giro di poche settimane una grande tifosa dell’unificazione delle due Germanie
(che altro non era che l’annessione di una da
parte dell’altra) diventò capo del governo
della Repubblica Federale Tedesca. Si chiama Angela Merkel. ☺
[email protected]
Rosanna Celano: donna
cultura
Passaggio d’autunno con fitte lancinanti al cuore. Eppure vivo e cammino
spedita e il cric crac delle foglie sotto le suole
delle scarpe mi fa compagnia, mi solletica le
guance una brezza sottile e suonano per la
mia gioia le campane adorate, soprattutto la
volta del cielo, incantevole, mi sorride puntellata di luci per ogni dove e ogni luce è una
promessa, cui voglio affidarmi.
Luminoso e lieto domani sarà il
mattino. Questa vita è stupenda, sii dunque
saggio, cuore. Tu sei prostrato, batti più
sordo, più a rilento… Sai, ho letto che le
anime sono immortali.
Anna Achmatova, tra le apostrofi
al cuore che la poesia ci ha consegnato
dall’inizio dei tempi quella che preferisco.
Non osavo da un po’ la fatica della
scrittura perché non osavo la fatica delle idee:
scrivere stanca, è sfibrante a volte, nella misura in cui costringe a pensare, a lavorare le
idee, a organizzarle in un sistema di senso.
Specialmente lì sta il labor limae di oraziana
memoria, io credo; la confezione di parole,
frasi e nessi opportuni viene per immediata
conseguenza.
Mi capita nei periodi bui, di angustia esistenziale, quando le forze sembrano
esaurite, di rinunciare a produrre idee e accomodarmi nell’inerzia e nell’automatismo
della ricezione passiva; mi capita di chiudermi me tra me e cullarmi in seno ad una prigione di suggestioni negative e di ricordi
nostalgici, sempre le stesse, sempre gli stessi.
Mi arresto, allora, mente e cuore. Ma capita
poi, fortunatamente mi capita, che di questa
palude interiore a rischio di anossia mi stufo,
perché sento in fin dei conti che non sono una
monade apatica ed esclusiva e che la mia
dignità, la mia ragione di elevazione, per dirla
con Pascal, è anche nel pensiero mediato dal
confronto col mondo e con gli uomini. Eccomi, dunque, che ho ripreso a pensare e a scrivere, con gran fatica, e a vivere, perché è
bello e mi piace, costi quel che costi.
Non so ben ridire cosa mi abbia
ricacciato dal mio spleen melanconico; due
eventi però mi hanno scosso l’animo dal
fondo, mi hanno risvegliato dolorosamente e
doverosamente alla vita: il naufragio dei tanti,
troppi aspiranti immigrati africani a largo di
Lampedusa al principio di ottobre e il recente
incontro tenutosi a Campobasso coi genitori
di Stefano Cucchi, il giovane romano
“misteriosamente” deceduto a Roma, dopo
un trattamento preventivo in un carcere e in
strato di polvere
Luciana Zingaro
un ospedale dello Stato.
Due eventi disparati in apparenza,
ma che hanno suscitato in me emozioni e
pensieri simili.
Le decine e decine di corpi chiusi
nel cellofan azzurro, stature diverse e volti,
ovvero nomi e identità, vergognosamente
coperti, sigillati per sempre, speranze abortite
sul nascere; il dolore composto dei Signori
Cucchi, il viso di lei come rarefatto dal gelo
della sofferenza, quello di lui più morbido e
pronto al pianto, e l’immagine solo suggerita
dai signori Cucchi, ma così vivida nella mia
mente del volto del figlio, il volto del figlio,
irriconoscibile ai loro occhi in obitorio, tanto
era straziato di lividi e rotture. Sono dovuta
andare oltre la commozione estemporanea,
perché non mi bastava; sono dovuta uscire
fuori da me, che ancora vivo e respiro il primo
pizzicorio autunnale, così saporito e stuzzicante; ho dovuto elaborare l’idea della morte ingiusta, della morte che non è esito naturale o
accidente fortuito, ma che è frutto di sopruso e
strategia di male; ho dovuto pensare che esistono i diritti della mia coscienza, certo, però
anche i doveri della mia coscienza; ho dovuto
pensare che io sono qui fortuitamente viva,
perché al posto dei tanti profughi africani o di
Stefano Cucchi avrei potuto esserci io - perché
non?-, e sono colpevolmente viva, almeno fino
a quando non avrò speso le mie energie e le
mie parole, la mia presenza e il mio esempio
di vita per additare e denunciare e contrastare
per quanto mi è possibile lo scandalo di queste
e altre storie di ingiustizia, tanto diverse e
sempre uguali.
Non posso barricarmi nel recinto
della mia singola vita io, il cui diritto alla vita
altri prima di me e con me hanno difeso senza
risparmio della vita propria.
“Sei parte in causa, non assolverti
mai” mi sono andata ripetendo dopo l’incontro
con i signori Cucchi, quando ho camminato
un’ora a zonzo perché a casa proprio non riuscivo a stare e il cielo stellato mi pareva una
meraviglia mai vista e mentre lo guardavo mi
tornava in mente quel detto di Kant, che forse
non ho mai capito o forse solo ora ho capito
interiormente: “Due cose riempiono l’animo
di ammirazione e venerazione sempre nuova e
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crescente quanto più spesso e più a lungo la
riflessione si occupa di esse: il cielo stellato
sopra di me e la legge morale in me”.
Tra le donne della mitografia
tragica greca, Antigone per me giganteggia,
l’ho sempre amata, la associo nell’aspetto ad
Anna Magnani, con quella dignità tanto più
altera quante più sono le strettezze della vita,
con quel fare spiccio a coprire un eccesso di
sensibilità.
Nella omonima tragedia di Sofocle, Antigone oltraggia il decreto di Creonte,
signore di Tebe, che vieta gli onori funebri
al fratello di Antigone, Polinice, morto combattendo contro la patria; mossa dall’amore
fraterno e convinta di compiere il suo più
sacro dovere, seppellisce simbolicamente
Polinice coprendolo di uno strato di polvere,
quindi, accusata da Creonte, non rinnega la
sua azione, anzi a fronte degli ordini di Creonte stesso si appella alla superiorità delle
leggi non scritte e non mutabili, leggi né di
ieri né di oggi, che vivono da sempre e afferma decisa di non voler esporre se stessa a
condanna divina per timore di orgoglio di
un uomo
Penso ai marinai lampedusani,
secondo la Legge correi di clandestinità per
non aver assistito allineati e corretti alla
morte di ulteriori profughi; penso ai genitori
di Cucchi, cui la Legge ha tolto un figlio e
che ora si battono perché mai più accadano
violenze simili, non importa che Stefano
comunque non tornerà a casa. Penso che la
loro polvere è sacrosanta, come quella di
Antigone, che io, che tutti, dovremmo riempircene i pugni. ☺
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arte
il segno e la forza
Gaetano Jacobucci
L’arte figurativa espressa nel disegno degli artisti delle botteghe di Oratino
descrive una contrazione della carne e la sua
metamorfosi. Contrazione e rilassamento,
attraverso la tensione della distensione, quasi
distorsione ritmica. L’immobilità è rappresentata come uno sforzo
intenso di attesa o come
negazione tensiva del
movimento, paralisi in
estensione impotente.
La decorazione
dà ai nudi una bellezza
apollinea, monumentalità
di fascino assoluto. Non è
la forma modello che si
incarna, spegnendo la
vita mutevole e metamorfica della materia, ma
l’emanazione inesauribile
e mai finita del corpo
naturale. Alla scuola dei
Brunetti il movimento
costruisce una nuova
mentalità del corpo nudo,
attraverso uno scivolamento continuo della
materia carnale. Fluire sensibile dell’intera
vitalità, musica e lirica, poesia e canto di
antichi poemi sfociano nei repertori dei corpi
nudi attraverso repertori di forme classiche.
Nel contemplare antiche sculture le parti
performanti danno al disegno un raccordo
compositivo nel senso tradizionale del montaggio e della resa delle forze interne, che si
traducono in una frenesia di moti febbrili, in
cui ogni azione è irrisolta e ogni desiderio
inappagato. Il “Fondo Giuliani” racconta la
formazione culturale dei Brunetti, viva testimonianza di una sorta di tempo dei lumi ritrovato: l’eroico impresso nella carne.
Volti e paesaggi
Nei fogli sciolti e nei libretti si può
cercare un progetto che transita tra temi di
storia dell’arte, connesso tra pittura e scultura,
paesaggio e natura morta. Il nudo canonico
neutralizza l’espressività del viso riflettendo lo
sguardo dell’artista, il viso
si denuda o tutto il corpo si
fa viso, dal nudo modello
ai volti che esprimono la
emotività passionale. Fasciare e sfasciare il corpo,
coprire i volti con maschere primitive, tutto concorre
alla rappresentazione del
sentimento tanto da coinvolgere chi guarda a tenere
tra le mani un corpo carnale. Il corpo spogliato si
pone non isolato ma tende
ad integrarsi nel contesto
della natura o del paesaggio. La muta natura e i
paesaggi portano un linguaggio dell’andare insieme verso la completezza delle forme: spirito e
materia, vestiti o spogliati a seconda
dell’evenienza.
Dietro l’occhio dell’artista sta un
pensiero, frutto di confronti e studi di maestri
napoletani, ai quali gli
oratinesi si rifanno,
passando dal corpo
all’occhio, così che la
nudità reale c’è stata, e
c’è ancora, come dimostrano le botteghe degli
artisti, con figure, calchi
e modelli. Lasciare i
modelli muoversi liberamente, corpi in
moto, con tratti rapidi da dare l’impressione
di non guardare il foglio, hanno espresso il
corpo come emblema dell’opera che rappresenta il corpo nell’arte. La posa idealizza il
corpo, impedisce la messa a nudo e permette il passaggio al nudo. Nel passaggio dalla
posa alla pittura, negli oratinesi, si può riscontrare una accurata ricerca anatomica in
posa o in movimento nei vari personaggi
vestiti dal colore.
Gli schizzi e i bozzetti sono velati
dall’ombra del chiaroscuro, lasciando
l’osservatore come unico destinatario dei
personaggi in posa. I committenti di opere,
religiose o profane, potevano spaziare in
scelte e tematiche le più disuguali dando
all’artista la capacità di esprimersi alla perfezione. Idea e stile, tormento, patos, religiosità o impulso profano, diventavano linee
guida nel gioco dell’esperimento con i modelli passati dai fogli in bozza alla esecuzione visiva nello sfolgorìo e brillantezza del
colore.
Oggi la tecnologia digitale accentua leggerezza e plasticità, e prolunga la
libertà del tratto, nel gioco e nell’ esperimento con i simulacri del corpo, legando una
potenzialità corporea, propria dei grafici
contemporanei. Tornare alla bottega sarebbe
l’ideale per rinvenire la genialità del sogno,
e della realtà incantata, schizzata da una
sanguigna, su un foglio paglierino da disegno. ☺
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CAMPOBASSO
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mondoscuola
Nel momento dell’anno scolastico
che, più di ogni altro, è ricco dell’ elaborazione di idee e progetti destinati all’ arricchimento dell’offerta formativa scolastica, ci piace
oggi proporre ed illustrare, in questa rubrica,
il tentativo di un’alternativa esperienza didattica in cui si è cercato di intrecciare - in prospettiva interdisciplinare - l’italiano, la storia,
la geografia, le scienze naturali, la storia
dell’arte, l’informatica: il tutto inserito in una
proposta di turismo “locale” (ossia consapevole della ricchezza della propria terra), che
mirasse alla conoscenza e alla valorizzazione
del territorio regionale molisano, troppo comunemente “snobbato” da quanti lo considerano inadatto ad ospitare delle visite culturali
di spessore.
Stiamo parlando dell’esperienza
intitolata “Paesaggi dell’anima. Il Molise
nella pagine di Elvira Tirone”, attraverso la
quale, qualche tempo fa, un gruppo di alunni
dell’Istituto Comprensivo “G. Pallotta” di
Boiano ha avuto l’opportunità di scoprire grazie ad un percorso letterario - un pezzo
della propria storia e della propria regione.
“Oltre la valle”, della scrittrice
molisana Elvira Tirone Santilli - nata e a
lungo vissuta a Capracotta -, è una deliziosa,
lirica autobiografia che, stemperando nel
sorriso i momenti più drammatici della storia
personale della protagonista, ripercorre tutte
le tappe principali del ‘900 molisano e italiano, dal ventennio fascista al secondo dopoguerra, sullo sfondo di un paesaggio poetico
per sé e reso assolutamente indimenticabile
dalla penna innamorata dell’autrice: l’Alto
Molise.
La lettura del romanzo, che ha
accompagnato i ragazzi durante tutto l’arco
dell’anno scolastico e ha dato modo di approfondire al meglio l’analisi del testo letterario
come strumento per “godere” di più il testo non per farne un’autopsia di dubbia utilità -,
si è conclusa con una visita “interattiva” ai
luoghi in cui è ambientata la vicenda, in cui il
romanzo ha costituito una sorta di “vademecum” in un cammino di ricerca e di verifica dei luoghi nominati e dei paesaggi descritti, sulle tracce dei tanti personaggi divenuti nel frattempo - autentici compagni di viaggio
degli studenti.
Un itinerario “emotivo”, insomma,
che, a dispetto della frequente distrazione che
accompagna i ragazzi durante le “gite”, li ha
coinvolti e suggestionati in maniera insolita.
All’imbocco del paese, la chiesetta
tra storia e natura
Gabriella de Lisio
di S. Maria di Loreto - che nel romanzo è protagonista di una singolare scena di panico
collettivo quando, nel settembre del ’43, si
diffuse la notizia dell’arrivo imminente di un
gruppo di tedeschi - ha costituito la prima
tappa del cammino: qui, nel silenzio della
cappellina, gli studenti hanno osservato il pregevole altare e la nicchia in legno dorato che
custodisce la statua della Madonna, ancora
oggi portata in processione presso la chiesa
parrocchiale - al centro del paese - in settembre, ma solo ogni tre anni, durante una grande
festa mariana che richiama i capracottesi da
tutto il mondo.
Interessante è anche il recente e
suggestivo monumento all’emigrante - famosa
è la definizione di “zingari” data ai capracottesi, a causa della loro capillare presenza in tutti i
continenti - situato proprio di fronte alla chiesina, soprattutto perché ai suoi piedi vi sono
incise le distanze reali di quel preciso punto da
alcune città europee o d’oltreoceano che sono
state mèta degli abitanti di Capracotta.
Guerra, emigrazione, geografia delle
culture, problemi relativi all’integrazione in
comunità “altre” (un argomento quanto mai
attuale), religiosità popolare, arte barocca e…
testo narrativo. Ma c’è di più. Dopo la visita
alla casa natale dell’autrice - oggi ristrutturata e
occupata da altri - e alla cappella funeraria dei
Santilli, dove la famiglia si rifugiò per tre giorni nel ‘43, insieme a molte altre, prima dello
sfollamento - suggestivo è stato rileggere proprio in quella sede, come davanti ad ogni tappa, le pagine del romanzo che “toccano” quei
luoghi - i ragazzi hanno ammirato lo spettacolo mozzafiato della vallata del Sangro dal belvedere della chiesa parrocchiale, esaminando
per altro alcuni aspetti della tutela e della valorizzazione di quei beni
ambientali e paesaggistici di cui tanto si
parla oggi, specialmente in relazione alla
politica di scarsa valorizzazione che ne facciamo nel Molise.
Qui, nella
vallata, bruciarono nel
’43 alcuni paesi incen-
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diati dai tedeschi, in una danza di falò che
viene drammaticamente ricordata dalla
Tirone in una delle pagine più suggestive
del romanzo.
Infine, una puntata a Prato Gentile
- un’immensa radura verde, teatro invernale
dei campionati di sci di fondo - ha offerto
agli studenti una pausa pranzo immersa
nella natura e nel clima tipicamente montani, prima di scendere a visitare le macerie
della fornace “Vallesorda”, dove lavorava il
padre della scrittrice, presso lo scalo ferroviario di S. Pietro Avellana.
Lungo il tragitto, l’imponente
parco eolico nei pressi di Capracotta ha
rappresentato uno spunto di riflessione sulla
questione energetica attuale, sulla dibattuta
diffusione dell’eolico selvaggio molisano,
l’antropizzazione del paesaggio e
quant’altro.
Il ricordo di questa piacevole
mattinata capracottese, spesa tra la storia e la
natura, ha lasciato una traccia in una colorata
presentazione in Power Point costruita dai
ragazzi, in cui essi hanno documentato e
illustrato con fotografie, didascalie e sottofondo musicale tutti i momenti salienti
dell’itinerario.
Che bello prendere… “in giro” il
Molise con tanto rispetto. 
[email protected]
mi abbono a
la fonte
perché moglie e bue
sono corna tue!
17
libera molise
don pino puglisi
Franco Novelli
Il 15 settembre 1993, giorno del
suo 56° compleanno, intorno alle 20.45, viene ucciso nel quartiere Brancaccio di Palermo padre Pino Puglisi - noto a tutti i palermitani col nomignolo di 3P . 3P viene assassinato con un colpo alla nuca, sparato da Salvatore Grigoli, in seguito pentitosi e divenuto
collaboratore di giustizia, con una pistola,
calibro 7.65, munita di silenziatore. Gaspare
Spatuzza, anche lui in seguito collaboratore
di giustizia, che fa parte del “gruppo di fuoco”, nel buio della strada, alle 20.45 circa, gli
afferra il borsello e sotto voce gli sussurra:
“Padre, è una rapina”. 3P ha appena il
tempo di rispondere, sorridendo, “Me
l’aspettavo” che Grigoli alle sue spalle gli
spara sotto l’orecchio sinistro, facendolo
cadere supino.
È quella del 1993 un’estate
molto calda e piena del sangue delle stragi
mafiose a Roma - San Giovanni in Laterano e San Giorgio a Velabro -, a Firenze
- Via dei Georgofili -, a Milano - Via
Palestro… È l’estate del 1993 successiva
a quella nel corso della quale muoiono
Giovanni Falcone (con la moglie, magistrato anche lei, Francesca Morvillo),
Paolo Borsellino e gli uomini delle loro
scorte.
Nel 1993 Berlusconi organizza
Forza Italia che - lo apprendiamo anche
dai processi succedutisi in questi venti
anni - sostituisce la DC di Giulio Andreotti,
di Ignazio e Salvo Lima come punto di riferimento per la mafia siciliana.
È il 1993, e la “trattativa” fra lo
Stato e la mafia ha già avuto inizio da un
anno e questa “trattativa” è una ferita ancora
aperta, molto dolorosa, dai contorni pieni di
complessa ambiguità, inferta alla vita democratica del nostro Paese; e la cicatrice ancora
non si è formata… Ma qual è (stato) il motivo scatenante dell’assassinio di questo sacerdote mite, sereno ma rigorosamente impegnato nella quotidianità di servizio nella sua
parrocchia, del suo apostolato sacerdotale in
genere, del suo impegno civile al fianco di
quanti soffrivano o erano gli ultimi della
società civile?
Dalle indagini è emerso il motivo
18
vero della fine violenta di 3P, cioè la sua attività pastorale ed evangelica e la sua severa contrapposizione al clima di terrore, al regime di
sopraffazione, di violenza gratuita e infine di
morte che la mafia impone, comunque, a
quanti diventano suoi succubi e di conseguenza complici.
Padre Pino Puglisi, oltre a esprimere
avversione e a dare fastidio ai boss di Brancaccio, i fratelli Graviano, e a quanti erano a loro
legati da affari illegali e loschi, rappresentava
agli occhi di Cosa Nostra e alla luce dello
stragismo collegato con Leoluca Bagarella un
obiettivo concreto e percepibile di intimidazione alla Chiesa siciliana e al suo crescente e
progressivo impegno nella lotta a tutte le mafie. Viene colpito 3P per dare un segnale di
forte intimidazione alla Chiesa romana e questo da quando, il 9 maggio del 1993, il pontefice Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi ad
Agrigento ha scagliato il suo violento
“anatema” contro la mafia e la cultura della
violenza e della illegalità che essa rappresenta
e conclama.
In quel periodo a Palermo si diceva
che padre Puglisi con la sua attività al Centro
di accoglienza Padre Nostro in via Conte
Federico potesse nascondere persone non
controllabili - per l’andirivieni del Centro dalla mafia; che 3P fosse sospettato dagli ambienti mafiosi vicini ai fratelli Graviano di
la
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febbraio
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2005
2013
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fontenovembre
gennaio
marzo 2005
ospitare “sbirri” che in questo modo potevano controllare i movimenti di quanti stavano
coprendo, salvaguardando, la latitanza di
boss feroci e spietati, come appunto erano i
fratelli Graviano. Di qui, il Centro di accoglienza Padre Nostro, fondato da 3P, doveva non esistere più, allo scopo di eliminare
un potenziale pericolo alla latitanza dei Graviano. Dal momento che la mafia aveva
bisogno per la sua quotidiana operatività di
pianificare il regime di sicurezza per sé e per
i suoi adepti, essa esigeva l’annientamento
di tutti coloro che si impegnavano nella
costruzione di un argine civile alle illegalità
di ogni tipo, alla prassi della violenta sopraffazione, a quella della deroga da qualsiasi
regola, a quella della diffusione abnorme del
clima di illegalità su cui Cosa Nostra alimenta il suo potere e la sua capacità di eliminazione di ogni ostacolo. Di qui,
l’esecuzione - il 15 settembre, alle ore
20.45 circa, di 3P da parte di quel “gruppo
di fuoco” (Antonino Mangano, Gaspare
Spatuzza, Cosimo di Nigro, Luigi Giacalone, Salvatore Grigoli) che nello stesso
anno si rende protagonista di azioni stragiste, come quelle di Roma, di Firenze e di
Milano. E Milano forse è l’anello che
manca al processo contro gli assassini e i
mandanti della violenta morte di padre
Pino Puglisi. Infatti, non è a Milano che i
fratelli Graviano sono stati arrestati, mentre mangiavano in un lussuoso ristorante
del centro? Sì, proprio lì, nella capitale
lombarda del debole e esangue capitalismo italiota! A questo punto qual è la
considerazione amara che ricaviamo
dall’assassinio di 3P, da poco, dal mese di
maggio di quest’anno, conclamato dalla
Chiesa “Beato”?
Deduciamo un dato semplice ma
essenziale, che, se lo Stato e la Chiesa fossero stati vicini e solidali con 3P più di quanto non abbiano fatto, probabilmente la sua
morte violenta si sarebbe potuta evitare. Ma
questa è un’altra storia che esiste solo nella
sua virtualità, e perciò nella sua assoluta
inconsistenza. Difatti, 3P è morto, le stragi ci
sono state con le loro decine di morti innocenti, lo Stato ha condotto la trattativa di
“resa” con Cosa Nostra, la nostra democrazia e la nostra economia (ma su questo torneremo!) sono nelle mani di mafiosi, alcuni
dei quali, eletti dal popolo, siedono ancora
nel nostro Parlamento. ☺
[email protected]
terzo settore
Stiamo attraversando una fase
storica di default. Parola che ricorre frequentemente sui giornali e sulla bocca di politici e
tecnici del nostro tempo. E non c’è giorno
che non ci vengano rilanciate immagini, voci
e numeri sulla crisi che ci investe. Non c’è
paese che non ne sia colpito, salvo quelli che
hanno scelto di collocarsi in un angolo di
stretta riserva o altri che hanno consolidato
salde mura a confine tra loro e l’intero mondo per evitare il contagio con nazioni e popoli
colpiti da un male che non lascia spazio a
segnali di ripresa. Anche se piccolo e racchiuso in uno spazio ristretto, e per molti angoli
guarnito da frontiere naturali che segnano e
danno risalto ad un territorio anche avvincente per bellezza e storia, il Molise non si distingue e non si riscatta dai contagi che gli procurano altri contesti del contorno italico, come
pure da un mondo più vasto segnato da modelli di cultura, di economia e di vita che
nulla hanno a che vedere coll’antico modello
di sobrietà e di eticità che ha segnato luoghi e
popoli strettamente radicati alla loro terra e ai
valori dei padri.
Sogni…? Forse. Anche allora si
inquinavano contadini, artigiani e l’intero
popolo. Ma su questa terra, nel periodo prerisorgimentale si registrò la nascita di una società civile di alto tono che riuscì anche ad
alimentare il fenomeno di un brigantaggio
che sottraeva i beni ai signori per ridistribuirli
alla povera gente.
Anche in questi tempi si registrano
testimonianze di intellettuali e gruppi di cittadini che hanno il coraggio di denunciare il
degrado politico che ha invaso il mondo
moderno e non si fanno problema nell’ asserire con determinazione che “mentre in passato le dittature hanno rinfocolato la passione per la libertà, le democrazie l’hanno spento” e, a seguire: “il secolo della democrazia,
che in guerra vince la dittatura, in pace non
dà la libertà”.
Il pensiero di Mario Tronti, espresso con forza in un recente saggio si applica al
tempo che stiamo vivendo e che ci fornisce
giorno dopo giorno il quadro di un “pensiero
paralizzante” che trova quotidianamente
conferma in un sistema di informazione reclusa nel gusto del clamore che si fa carico
solo di eventi chiassosi, per lo più cronaca
nera, solo per far clientela asservita all’ascolto
passivo degli accadimenti di ogni giorno. Ma
siamo quasi privati di un’informazione che
va a scovare eventi e documenti che fornisca-
segnali di rilancio
Leo Leone
no al cittadino la chiave interpretativa che
promuove la corretta conoscenza di fenomeni
ed episodi di corruzione e di malaffare che
infestano la società.
Siamo in qualche modo asserviti ad
una politica che non fornisce opportunità per la
presa di coscienza di una democrazia garante
di libertà e di salvaguardia dei diritti. Chi ci
prova rischia l’emarginazione, la perdita di
lavoro o ben altra condanna… da parte di
soggetti e gruppi che acquistano e assicurano
poteri e denaro per vie illegali minacciando
vendetta e anche morte. Perché non promuoviamo lo spirito critico e la coscienza etica di
figli e alunni ricorrendo alle testimonianze di
Milena Gabanelli e Roberto Saviano?
È di questi giorni una chiara denuncia delle responsabilità delle stesse istituzioni
nei fenomeni di grave inquinamento in diverse
regioni d’Italia con conseguenze drammatiche
circa la diffusione di gravi rischi che insidiano
la vita dei cittadini.
Sono stati prodotti da
organizzazioni malavitose che dalla Campania al Piemonte riescono a distribuire prodotti
ad alto indice di rischio
per gli abitanti delle
zone infestate.
Il Molise non
la
la
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fonte
febbraio
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2005
2013
la
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fonte
fontenovembre
gennaio
marzo 2005
ne è immune. Emergono chiari episodi di
tale fenomeno che segnano drammaticamente il malessere in regione, a partire da
Venafro, e che si estendono fino alle zone
della nostra riviera adriatica. Si posseggono
chiari indizi di connivenza di molisani, anche proprietari dei terreni utilizzati, collusi
nelle infami tresche delle cosche per ricavarne copiose rimunerazioni. La stessa cosa si è
registrata per quanto riguarda la diffusa
presenza di pale eoliche che forniscono
notevoli compensi in euro ai proprietari
terrieri ma anche ai municipi. La regione
Molise ha fatto registrare il più alto indice di
pale eoliche rispetto all’intera Italia. Occorre
adoperarsi per ridare vita alla polis partendo
dal basso. Lo sviluppo autentico si ottiene
con la promozione della coesione sociale.
Ma si rintracciano anche oggi
politiche nate dal basso, alternative al malgoverno. In Gran Bretagna, ad esempio, si
registra una poderosa rinascita di imprese
sociali che coinvolgono numeri significativi,
circa un milione di persone, che producono
un capitale sociale di grande spessore sul
piano del lavoro e della moneta che si aggira
intorno a una quota di 20 miliardi. E non è
da meno il segnale di crescita, anche in Italia, di istituzioni non profit con un indice di
+ 28% rispetto al 2011. Da questi segnali
occorre prendere inventiva e determinazione
per un nuovo modello di polis che è determinata a dare, essa sì, segnali di rilancio e
sostegno a un modello di governo antico, e
sempre da riproporre, che si fonda su una
democrazia che va promossa e difesa dal
popolo. ☺
[email protected]
19
spazio aperto
amore e odio
Sabrina Del Pozzo
Ed il nostro paese piangerà sempre
di più e continueremo a non essere liberi se
questa stessa gente avrà bisogno sempre più
di piegarsi al potere dei forti quasi con vergogna ed imbarazzo ma molte volte costretta (?)
a farlo. Mi viene una rabbia, pari a quella
stessa che mi induce a dichiarare il Molise
morto.
Caro Francesco ho pensato mille
volte a cosa risponderti (mi riferisco
all’articolo di Francesco De Lellis dal titolo il
Molise è vivo). Non condivido tutto di ciò che
hai affermato ma l’essenza delle tue parole in
fondo sì, la voglia di crederci sempre, la voglia di lottare per un qualcosa che in fondo è
tornato ad uno stato embrionale e che forse
un giorno con un parto di durata superiore
sicuramente ai nove mesi può tornare a nuova vita. Come affermava un grande storico,
filosofo, scrittore e politico italiano di nome
Benedetto Croce “Non abbiamo bisogno di
chissà quali grandi cose o chissà quali grandi uomini. Abbiamo solo bisogno di più
gente onesta’’. Che forte affermazione, non
trovi? Quando affermo che il Molise è morto
è a questo che in parte mi riferisco. Tu mi dici
di ripeterti mille volte che il Molise è vivo ed
è da questa affermazione che parti con le tue
lotte; io mi ripeto che il Molise è morto ed è
da questa affermazione invece che partono le
mie. Ti sembra che io, insieme alle persone
che la pensano come me, mi arrendo oppure
provo un’impresa (rivoluzione? Come affermato da te) ancora più ardua?
Non ho mai pensato di fuggire alle
prime sconfitte, dopo anni invece sono rientrata tra lo stupore di molti consapevole che
avrei trovato un campo di guerra davanti ai
miei occhi. Non mi chiedo mai ‘ma io cosa ci
20
faccio qua’? È la mia terra e soltanto per questo non è poi così strano che io mi ci ritrovi. Si
lotta forse partendo da punti di vista differenti
ma con gli stessi obiettivi. Quando sposo
l’affermazione di cui sopra, permettimi però
non di arrendermi ma di arrabbiarmi e di vivere momenti di sfiducia, proprio perché è in
quei momenti che mi fermo e realizzo che
dura lotta spesso portiamo avanti e quanto
tempo bisogna attendere perché crescano persone più oneste, ma senza fermarsi mai perché
speri quanto meno che più gente possibile
capisca e condivida le tue imprese (hai citato
anche la fonte quale esistenza di un ottimo
esempio in tal senso e ovviamente condivido).
Ti chiedevi se poi davvero altrove le
cose vanno molto meglio. Per alcuni aspetti sì,
per altri forse meno ma del resto mi riferisco
soltanto alla mia esperienza personale. Scusami però ma io non me la sento di affermare
che la mia regione è un esempio di regione
viva, non più o forse non ancora. Potremmo
avere e mirare a coscienze (cum-scire, sapere
insieme) più unite ed intellettualmente più
elevate. Mi auguro di poter un giorno dire che
il nostro Molise è vivo e lo sarà quando non
sentiremo soltanto lamenti di giovani e vecchi;
quando le persone capiranno che davvero con
una parola di ognuno qualcosa cambia; quando tutti non avranno sempre paura di esporsi
perché avranno altre mille persone pronte ad
appoggiarli e quindi tutti insieme non vivranno
la paura di perdere, chissà magari un lavoro o
altro. Sarò felice di affermare che la mia regione è viva quando sarò libera ad esempio anche
di sentirmi male e non per questo rischiare di
morire perché nessuno mi può operare a causa
del dramma assoluto della nostra sanità o
quando smetteremo di far finta di non sapere
la
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fonte
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febbraio
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2005
2013
la
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fontenovembre
gennaio
marzo 2005
molte cose, da qualche giorno si parla molto
di grossi camion con rifiuti tossici che percorrono anche il nostro Molise. Ma davvero
nessuno lo sapeva? Perché se ne parla soprattutto e forse soltanto sui social network?
Perché di alcune cose se ne parla così poco?
Mi rendo conto di oscillare tra un
estremo utopistico e un estremo realismo,
pari proprio ad un amore e odio per la mia
regione. ☺
[email protected]
post sisma a bonefro
Mentre si chiede con forza e determinazione la ripresa dei lavori di ricostruzione
nel contempo si esige:
- che venga rifinanziata, come verbalmente promesso dal presidente, la legge per
l’agevolazione delle bollette elettriche di
quanti abitano nel villaggio prefabbricato;
- che si garantisca il collegamento del
villaggio con il paese;
- che si continui a erogare l’autonoma
sistemazione a quanti sono fuori casa;
- che si individui una soluzione politica
per il rientro in paese di quanti soggiornano nelle fatiscenti casette di legno nel
villaggio prefabbricato.
società
i colori dell’autunno
cupidigia e morte
Giulia Di Paola
Grigio sopore del quartiere
nei mattini d’autunno.
Tenue la luce sulla strada
e le ombre risucchiate
dall’asfalto.
Neri volano sul manto di nubi
stormi di uccelli migratori.
Ferrigno l’umore del mare
dai riflessi d’acciaio.
Fuori sulle colline
gli ultimi colori dell’estate.
Il rosso e il giallo dei pampini
fanno tappeti fiammeggianti
sui nudi legni dei vigneti.
Intorno sparsi i campi arati
nei vari toni di bruno.
Poi il verde cupo della boscaglia
che va sfumando, di colle in colle,
verso l’orizzonte
lì dove i monti si sfaldano
in cortine di foschia.
Autunno, portale dove sfilano
immagini di una natura
che si spegne.
Assorte armonie
tra il rigoglio dell’estate
ed i rigori dell’inverno.
Cuore della stagione
novembre, brumoso e silente
quando,
tra i marmi dei cimiteri,
nel decoro amorevole
di fiori e ceri,
rimontano i ricordi
di coloro che più non sono.
Lina D’Incecco
mi abbono a
la fonte
perché
ride bene chi ha i denti
Il Vajont è stata una catastrofe che si
sarebbe potuta evitare e che è rimasta sostanzialmente impunita. In occasione dell’anniversario
ho avuto modo di vedere film e filmati su quel
dramma e non ho potuto fare a meno di rilevare
alcune analogie con disastri più recenti. La colpa
principale è sempre la cupidigia. Se gli interessi
economici si fanno sentire molto più della voce
della natura, e persino dei popoli, è inevitabile
che ci saranno centinaia di persone condannate a
morire per gonfiare le tasche di pochi faccendieri
arrivisti.
Certamente starete obiettando che la
cupidigia non è reato e quindi non è punibile dal
sistema giudiziario. Le sue conseguenze, invece,
possono connotare colpevolezza. In realtà accade che il ladruncolo finisce certamente in carcere
per aver rubato poche centinaia di euro, coloro
che invece distruggono l’ambiente per cementificare dove gli conviene o per realizzare discariche abusive che avvelenano l’uomo e la natura il
più delle volte la fanno franca. Ma chi ha prodotto maggiori danni?
Nella vicenda dei Vajont si è preferito
restar sordi ai pareri dei tecnici, alle denunce dei
cittadini, al brontolamento del monte e alle sollecitazioni del terremoto. Un comportamento che
mi è sembrato molto simile a quanto accaduto
all’Aquila dove mesi e mesi di scosse di avvertimento non hanno fatto scattare l’allarme e lo
sghignazzare della cupidigia si è manifestato in
tutta evidenza nella famigerata telefonata post
sisma.
Sul terremoto del 2002, specialmente
su questo giornale, si è già detto tanto. La morte
di quei bambini e della loro maestra forse si
sarebbe potuta evitare se solo la scuola, così
come le altre case, non fosse crollata su se stessa.
Ma la cupidigia, anche in Molise, si è manifestata soprattutto dopo il terremoto e se ne pagano
ancora le conseguenze
con una ricostruzione che
avanza alla velocità delle
ere geologiche. Nella
successiva alluvione che
trasformò in putrida pozza la foce del Biferno e
tutti i terreni circostanti,
più che la cupidigia poté
la pigrizia. Benché
la
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fontenovembre
gennaio
marzo 2005
l’allerta fosse giunta in tempo nessuno si
prese la briga di far evacuare abitazioni e
stabilimenti in pericolo.
Lucrare sui materiali, risparmiare
sulla sicurezza, guadagnare sull’improprio
smaltimento dei rifiuti nocivi è causa di
morte. Chi si arricchisce con questi mezzi
quasi sicuramente lo sa, ma preferisce ignorarlo perché la sua coscienza risponde al dio
Denaro e alla propria bramosia.
La storia non può che ripetersi se i
comportamenti umani non registreranno
un’inversione di tendenza, un’inversione a
U. Troppa leggerezza, bramosia e impunità
nella politica, nell’economia e persino nei
comportamenti di ogni giorno che nel salvaguardare il piccolo interesse di oggi non ci si
rende conto del disastro che si sta preparando per il domani. Il nodo è proprio questo:
non si investe più nel futuro, si vuole tutto e
subito. “Domani, Dio pensa!”. No! Dio ci
ha creati custodi dei fratelli e del creato,
altrimenti che scopo avrebbe la vita? Accumulare ricchezze?
Quanto sia pericolosa la sete di
denaro è un dato che la storia dell’uomo ha
sperimentato da sempre e, sperando di non
essere blasfema, mi piace credere che persino nella sua passione Cristo abbia voluto
che il tradimento di Giuda fosse pagato in
moneta (e non con una carica istituzionale o
altro elemento di corruzione) come ultimo
estremo monito contro le facili ricchezze e
le loro tremende conseguenze. Giuda decide
di pagare con la vita, la sua, l’errore commesso. Noi ci stiamo abituando a lasciare
impuniti coloro che per sete di ricchezza
provocano la morte altrui. ☺
[email protected]
21
spazio giovani
parole pensate
Mara Mancini
“E mentre brucia lenta questa
sigaretta...” si potrebbe immaginare che
anch'essa stia vivendo e che, come noi, prima
di noi, diventerà cenere. L'inizio segna già la
fine; tutto arriva, tutto passa; nulla è definitivo. Alzando lo sguardo, le nuvole di fumo si
uniscono con quelle del cielo, e quello che
hanno in comune è il non poterle afferrare.
Pensando agli aerei che attraversano le nubi,
potrei paragonarle alle parole. Le parole sono
come le nuvole. “Le parole sono fonte di
incomprensione”, si legge ne Il piccolo principe. E il mio prof. di diritto, in una sua lezione, mi rimanda a questa frase. Quello che
comunemente chiamiamo lessico è, spiega,
un complesso di termini espressivi che evocano concetti, fatti, situazioni. La parola,
invece, sintesi verbale di una descrizione, di
un concetto, ha un'efficacia evocativa, una
capacità evocativa che diventa manifesta
soprattutto quando evoca cose astratte. Altrimenti come spiegare l'amore, la sofferenza,
ecc.? Ogni parola ha un suo significato, e i
significati sono diversi da persona a persona;
può non evocare sempre la stessa cosa, perché essa può assumere o esprimere una pluralità di significati. Infatti il docente spiega che
usando sinonimi, spesso si parla in modo
scorretto o sbagliato. Il linguaggio comune è
un linguaggio generico, vago. É per questo
che egli pretende da noi un rigore terminologico.
Ma le parole sono vere? Bisogna
credere alle parole? “Parole, parole, parole...” cantava Mina ad un Alberto Lupo che
cercava di convincerla nuovamente di promesse non mantenute in precedenza. Le
parole sono come le nuvole... E le nuvole,
sono vere le nuvole? Il fatto che non si possano toccare con mano, non implica che siano
false. Si vedono, ci sono, esistono. Ma dipende dai punti di vista, proprio come le parole.
Volendo usare l'espressione di questo mio
insegnante, potremmo parlare di “universo di
parole”, che probabilmente andrebbe confrontato con l'universo interiore di chi pronuncia una parola, una frase, un discorso;
confrontato con lo stato d'animo della persona in questione, con il carattere, con il tono,
con il timbro di voce. Una parola ha un signi-
22
non torna indietro, così come le parole espresse che non si possono revocare. Pensiamo bene, pertanto, alle parole che stiamo
per pronunciare, prendendo tempo e in considerazione la persona a cui le rivolgiamo: la
leggerezza con la quale si usano potrebbe
portare tanta pesantezza nel cuore e nella
mente di chi ci si rivolge.
Magari un giorno lasceremo in
pace le ricerche sul cosmo (non vedo cos'altro ci sia da capire) e la curiosità potrebbe
spostarsi verso l' universo di parole a noi
sconosciuto. ☺
ficato preciso circa la persona che la pronuncia
e il momento in cui se ne serve. Una stessa
parola cambia il suo significato, anche in un
arco di tempo limitato, come una nuvola che,
guardata per un certo tempo, ci sembra cambi
forma, assume un aspetto che pian piano si
converte nuovamente.
[email protected]
Le parole sono come le persone,
“tante maschere e pochi volti”, sosteneva
mi abbono a
Pirandello. Allora, giacché alcune persone
cambiano, si può dire che siano false? Le perla fonte
sone cambiano per determinate situazioni, per
perché da quando abbiamo
determinati incontri, per determinate trappole.
il governo dei fatti
Il cambiamento non è falsità. Le trappole sì,
i carabinieri cercano il pusher
ingannano: si presentano in un modo, poi si
rivelano essere altro. Ma non
perché cambiano, sono sempre XII.
state così. Nelle persone, invece, La miseria della miseria Italia numero dodici
è una continua pretesa, una relati- la testa in fiamme la sterpaglia
va sfiducia, determinazione e dalla festa dei pensieri paglia che
disperazione, avventure, espe- avvampa brucia fra braci di fumo.
rienze, una serie di sentimenti Si consumano notizie mescolate al ricordo
che si incrociano e prendono di vecchie età
strade diverse, un continuo vive- l’armamento sul carro della vita in corsa
re. Le parole sono come le perso- è spazio di fresca primavera.
ne: non sono fatte per restare da Altrove polvere sollevata dall’auto nella strada di campagna
sole: meglio un “addio” o un odora di mele mentre il merlo s’allontana
“vado ma, chissà, magari torne- stride forte a filo dell’erba lungo il mare
rò”? Sono fatte per non essere siepi siepi siepi di oleandri abbandonati e
mai capite fino in fondo perché pini scavezzati dai venti secolari camminano a terra.
nascondono la stessa storia di chi Può la morte ordire il suo acuminato massacro
le pronuncia, e se sono fonte di ridurre in cenere il delfino
incomprensione è solo perché ad il vascello in fuoco
una stessa parola ciascuno dà un la sovrastante nuvola in ciclone e
suo significato, una sua interpre- travolgere la vita?
Il fervore trascinato in gorgo
tazione, una sua spiegazione.
Le parole sono come il l’esistente in un attimo è scomparso
vento: “verba volant”, direbbero giovinezza è il ricordo poi sull’occhio ottuso
i latini. Sono un uragano a volte, del cielo interminabile di tetti
e ciò che abbattono è la nostra e alla fine dimenticare la tomba
certezza, la nostra felicità, quello dei vecchi eroi?
che, come tante case da esso Quante primavere gli uomini fuggitivi
distrutte, abbiamo impiegato del abbandonano alle giovani ali che arrivano portate dal garbino?
tempo a costruire. E ci rendiamo Si può considerare l’opportunità di non rassegnarsi
conto di quanto scombussoli un bruciare il carro del vincitore
cambiamento, anche in un istan- anche le nostre bandiere.
te. Perché le cose inaspettate Per favore.
Roberto Roversi Da L'Italia sepolta sotto la neve.
sono quelle che turbano di più.
Parte quarta [I/XXX] Trenta miserie d’Italia
Le parole sono come un treno
a cura di Loredana Alberti
che quando arriva a destinazione
la
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2013
la
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incontri
letti e riletti
Nel 2011 Alessandro Baricco
elencò e commentò i cinquanta libri più
importanti dei precedenti dieci anni della
sua vita. Tra questi annoverò un piccolo
libro della Codice Edizioni che in realtà
è la trascrizione dell’intervento di due
scrittori (o intellettuali che dir si voglia)
alla Biennale Democrazia di Torino del
2009. I due scrittori sono Antonio Pascale e Luca Rastello e il libro è intitolato
Democrazia: cosa può fare uno
scrittore?
Chi segue in maniera attiva, o
addirittura prende parte in prima persona, anche solo tra i propri amici, ai dibattiti più appassionati e appassionanti della
contemporaneità (globalizzazione, biologico, inceneritori, immigrazione, ecc.)
deve assolutamente leggere questo libro.
Ma deve mettere in conto una certa dose
di spiazzamento. Perché Pascale e Rastello, all’interno di una più generale
discussione sul ruolo degli intellettuali
nei processi di formazione e sulla piega
che ha preso il sistema “comunicazione”
nel complesso, sono bravissimi a mettere a nudo le debolezze delle argomentazioni che una certa stampa, ma anche
una certa opinione pubblica, che potremmo definire progressiste e critiche, utilizzano per sostenere la propria visione del
mondo. È uno smantellamento epistemologico quello compiuto dai due scrittori: essi infatti non entrano nel merito
delle posizioni (che verosimilmente
condividono in buona parte) ma evidenziano i limiti dialettici e la scarsa correttezza intellettuale del sempre più diffuso
ragionare per slogan e luoghi comuni
che non si sanno argomentare.
Insomma, sempre più spesso
ci comportiamo più come tifoseria che
come coscienza critica e, alla fine, prende il sopravvento il talk-show al quale
ciascuno di noi sogna di partecipare.
Con buona pace della vera funzione che
dovrebbe avere ogni confronto di idee:
mettere a disposizione i propri argomenti
per la crescita comune.
Felice Di Lernia
[email protected]
Non è difficile entrare in sintonia con
Mol(is)eskine (Ed. Filopoli, www. filopoli.com), l’ultima fatica di Giuseppe Tabasso
(Campobasso 1926), giornalista, scrittore e…
molisano “recidivo” come lui ama definirsi, perché
egli ci conduce per mano in storie vere che appartengono ai suoi vissuti, alla sua memoria, alle esperienze del suo mestiere e lo fa da giornalista che
non si lascia catturare dalla parola o da suggestioni
letterarie ma fa parlare i fatti, la vita; ne esce un
godibile affresco di ambienti, situazioni e personaggi della quotidianità o di spessore artistico,
intellettuale, etico… che l’autore delinea con un
linguaggio limpido, preciso e sobrio, senza enfasi o
retorica, tessendo il suo amarcord su una struttura
compositiva dove l’autobiografia si dilata in una
biografia collettiva venata non di inutile nostalgia
per ciò che è stato e per come eravamo, ma di
affettuosa ironia e di caparbia fede nel domani.
Nella convinzione che non esistono vite insignificanti, queste pagine elevano un vero e proprio inno
ai diari. Tutti dovrebbero scriverne uno; ognuno
nel suo piccolo dovrebbe provare il piacere e il
dovere di raccontare e raccontarsi per dare una
dimensione pubblica al proprio privato, per testimoniare, per difendere dall’oblio ascendenze,
discendenze e memorie nazionali, locali, familiari
e personali.
La veste grafica del libro (ideata dalla
succitata casa editrice di Gian Mario Fazzini), si
rivela chiara e riposante nel carattere della scrittura
e nella spaziatura; la copertina, inusuale e accattivante richiama il classico - e quasi omonimo taccuino della nota marca Moleskine, nella versione nera, con fascia arancione o verde, tasca interna
portanote, chiusura elastica… che si può consultare saltando da una pagina all’altra senza perdere il
“filo” della lettura.
Vale la pena leggere questo Mol(is)
eskine, innamorato abbraccio alla vita e a coloro
che ce l’hanno resa degna d’essere vissuta.
Carolina Mastrangelo
Con Fides, don Elio Benedetto giunge al terzo CD che segna una tappa nel
suo itinerario cantautorale.
Ci sono delle costanti nella sua
produzione ed anche delle perle che luccicano
di novità. Una costante certamente è lo scrivere testi ispirati alla Scrittura e alla Liturgia fino
ad aprirsi alla spiritualità vera e propria attraverso - come in questo caso - testi di S. Agostino, Bernardino da Siena, Rosmini: il tutto
rivisitato con fine sensibilità poetica e spirituale: un’operazione per nulla scontata, ma che in
Fides trova nuova maturazione e autorevolezza evidenti.
Il Cd contiene anzitutto il canto
“Vieni”, invocazione allo Spirito; “Vedrai”
canta la vicenda del cieco nato; mentre in
“Sete di te” il dialogo si sposta al pozzo della
samaritana; “Dio, Dio, Dio” è un originale ed
ispirato testo di Rosmini; “Solo il suo nome” è
un nuovo modo di riproporre le giaculatorie;
“Tenero è il tuo cuore” è l’inno mariano del
Cd; “Tardi ti ho amato” presta note al famoso
testo agostiniano che non conosce tramonto;
“Eternamente tu” evoca ogni vera canzone
d’amore dove il ‘persempre’ è parte integrante
del presente; “Via Verità e Vita” e “Sete di
te” sono tra le più belle canzoni della raccolta.
R. M.
[email protected]
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economia
la cassa delle beffe
Nel consueto oblio degli organi di
(dis)informazione nazionali, ha preso avvio,
da alcuni mesi, il Forum per una nuova Finanza Pubblica e Sociale. Come ci ricorda
l'esperienza referendaria per la ripubblicizzazione dell'acqua, l'iniziativa non nasce in
modo improvvisato, ma è stata costruita da
incontri, riflessioni, assemblee dal basso.
Ricordiamo per tutte quella del Teatro Valle a
Roma nel febbraio 2013 e l'avvio del Forum,
infine, il 13 aprile scorso in una affollatissima
Assemblea a Firenze cui hanno partecipato
movimenti, realtà territoriali, organizzazioni
politiche, sindacali, ecclesiali fra le quali Pax
Christi che ha aderito ufficialmente.
Obiettivi del Forum sono: 1) definanziarizzare la società attraverso la campagna per l'inchiesta popolare sul debito pubblico (audit) 2) la riappropriazione della ricchezza sociale, attraverso la socializzazione di
questo enorme salvadanaio pubblico (12
milioni di famiglie che depositano i propri
risparmi alle Poste) che è la Cassa Depositi e
Prestiti.
Cassa Depositi e Prestiti (CDP )
nasce nel 1850 come Ente dello Stato e come
tale ha operato fino alla data fatidica del 2003
(governo Berlusconi). La sua funzione, una
funzione pubblica, dunque, era quella di
raccogliere i risparmi postali dei cittadini e di
utilizzarli per finanziare a tassi agevolati (ben
inferiori a quelli richiesti dalle Banche) gli
investimenti degli Enti Locali. Concretamente: quegli investimenti pubblici che concorrono a migliorare la vita dei cittadini: strade,
scuole, ecc. Attualmente CDP detiene il risparmio di 12 milioni di famiglie per un totale di 225 miliardi di euro (tutte le banche
private del paese valgono 60 miliardi circa...).
Nel 2003 CDP cambia pelle: diventa una SPA, con il 70% detenuto dal Mi-
24
nistero del Tesoro e 30% da 66 Fondazioni
bancarie. Con l'anomalia tutta italiana, che pur
detenendo il 30% le Fondazioni hanno una
presenza maggioritaria negli organismi di
governance della CDP. Concretamente: decidono. Da quel momento CDP entra in tutti i
settori dell'economia del paese e su tutto il
mercato finanziario internazionale, continuando a operare con un bilancio separato da
quello dello Stato (riuscendo così a non violare le normative europee).
Molte cose sono cambiate con questa trasformazione: l'obiettivo principale ora
per CDP è produrre utili, con buona pace delle
finalità pubbliche di sostegno agli enti Locali.
Per i cittadini risparmiatori, invero, il risparmio
viene remunerato con l'1,5%, alle Fondazioni
vanno utili superiori al 10%. Con l'entrata delle
Fondazioni CDP è di fatto, ora, una banca,
anzi una merchant bank con accesso al vasto
mercato degli investimenti degli enti locali
(prima, come si è detto, precluso alle banche).
A questo punto ci chiediamo: 1)
come possono enti di diritto privato (SPA) e
soggetti di diritto privato decidere per l'interesse generale? 2) si può lasciare decidere la strategia industriale di un paese a società private,
libere di perseguire i propri interessi e senza
alcun vincolo? 3) si può lasciare che le priorità
di intervento nel sistema economico del nostro
paese siano decise fuori dal parlamento e che i
mezzi per perseguirle escano dal controllo
pubblico?
La trasformazione di CDP in SPA
confligge con la sua natura. Se più dell'80%
delle entrate deriva dal risparmio dei cittadini,
essi devono avere diritto alla informazione e
diritto di partecipazione alle scelte .
Se per un secolo e mezzo la destinazione dei nostri risparmi agli Enti Locali (il
livello di governo più vicino ai cittadini e alle
loro esigenze) era scontato, ora nasce una questione di democrazia: i
cittadini devono avere
voce sulla destinazione
dei soldi prestati e partecipare alla scelta degli
investimenti da intraprendere, anche ponendo vincoli di destinazione a finalità sociali e
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ambientali.
La Campagna è aperta, le iniziative che si possono intraprendere sono diverse, per il secondo fine settimana di novembre è indetta una tre giorni di iniziative varie
(dal volantinaggio di fronte alle Poste ai
flash mob in strada, incontri con i lavoratori
delle Poste, ecc.) in ogni regione vi sono
gruppi che aderiscono alla campagna, in
Molise Pax Christi è ovviamente fra questi.
È importante precisare che dalla
nascita del Forum il 13 aprile scorso ad oggi
le due campagne cui accennavamo sopra
sono partite, in effetti, sui territori, anche se a
diverse velocità, per così dire, seguite da una
fisiologica interruzione estiva. In Molise e
Abruzzo vi sono stati varie iniziative, alcune
hanno precorso i tempi: all'Assemblea Nazionale di Pax Christi a Termoli, infatti, il 26
aprile 2012 in una bella conversazione fra
Marco Bersani e mons. Toso si accennò per
la prima volta al tema della riappropriazione
della ricchezza sociale e si ragionò per la
prima volta di CDP. In seguito su indicazione dell'Assemblea, Pax Christi Molise ha
organizzato tre incontri di Scuola Popolare
di economia tenuti a Campobasso. Sempre
in Molise, nel giugno scorso, c’è stata la
prima iniziativa pubblica indetta da un
Comune, quello di Montefalcone nel Sannio
con la partecipazione di Marco Bersani. A
Sambuceto (Ch) e L'Aquila, con Antonio
De Lellis, di formazione sul tema Cassa
Depositi e Prestiti. L'Arcidiocesi di PescaraPenne ha indetto con il gruppo locale di Pax
Christi, un incontro pubblico con Marco
Bersani su CDP.
Segnali importanti ed incoraggianti per una Campagna che non sarà breve
né facile, è bene dirselo con tranquillità, ma
che sarà decisiva per la democrazia nel nostro paese.
Pax Christi Molise
[email protected]
le nostre erbe
il fiore dell’oltretomba
Gildo Giannotti
L’asfodelo (Asphòdelus ramosus
L.) appartenente alla famiglia delle Liliacee
è presente in quasi tutte le regioni italiane,
dal mare fino a 1.200 m di altitudine. È una
pianta perenne che predilige i luoghi erbosi
e i pascoli delle zone temperate.
Secondo il celebre botanico Pignatti, il nome scientifico Asphòdelus deriverebbe dal greco a = non, spod(ós) =
cenere e hélos = valle; e il suo significato
sarebbe “valle di ciò che non è stato ridotto
in cenere”. Infatti gli asfodeli ricoprono
terreni calcarei e rocciosi ricchi di abbondanti specie vegetali spesso soggette ad
incendi; questa specie di fiore, somigliante
ad un giglio, è anzi tra le prime a rinascere
dopo gli incendi, sopravvivendo al passaggio del fuoco grazie agli organi sotterranei
(bulbo-tuberi) o colonizzando terreni poveri ed aridi.
Sono diverse le specie che appartengono a questo genere: ramosus, albus,
aestivus, ecc.; nella maggior parte di esse i
fiori sono bianchi con delle strisce scure ad
eccezione della specie lutea che porta,
invece, i fiori gialli. Per i suoi bei fiori,
all’apice di uno scapo che può superare il
metro di altezza, l’asfodelo viene anche
coltivato a scopo ornamentale.
Fin dai poemi omerici, in particolare l'Odissea, l’asfodelo è considerato la
pianta degli Inferi. Per questo i Greci usavano piantare questo fiore sulle tombe, immaginando il soggiorno dei morti come un
prato di asfodeli.
Ma l'associazione di questa pianta
con l'aldilà continua
anche nella modernità:
da L'etèra, uno dei Poemi conviviali di Giovanni Pascoli, al romanzo Il
piacere di D'Annunzio;
dal primo capitolo di
Orlando della scrittrice
inglese Virginia Woolf,
al primo libro della saga di Harry Potter,
dove l'asfodelo origina una pozione soporifera così potente che va sotto il nome di
“distillato della morte vivente”.
In Corsica, il giorno di Ognissanti,
i fiori dell'asfodelo vengono imbevuti nell'olio d'oliva e poi accesi come piccoli lumi
sulle tombe dei propri cari.
In alcune località della Sardegna,
invece, lo stelo dell’asfodelo viene impiegato per la creazione di pregiati cesti artigianali da tempo utilizzati per la panificazione.
Questi cesti anticamente erano parte indispensabile del corredo della
sposa prima del matrimonio. La lavorazione dei cesti
ha radici antichissime e nei
secoli ha contribuito a integrare i magri bilanci delle
famiglie di pastori, massai e
agricoltori.
Le radici di questa
pianta sembra che abbiano
costituito una fonte importante di cibo in età preistori-
ca e, più di recente, nei periodi di carestia.
L'antico scrittore e filosofo Epimenide di
Creta, ritenuto da alcuni uno dei sette
sapienti, usava l’asfodelo, insieme alla
malva, per le sue capacità di scacciare la
fame e la sete. La leggenda vuole che
Epimenide, grazie all’uso di radici e erbe,
non avesse bisogno di mangiare, e che
visse 157 anni.
Il gambo dell’ asfodelo giallo, molto presente in Puglia (in
particolare intorno al
castello di Federico II
di Svevia), rappresenta un cibo antico che
gli anziani pugliesi
raccolgono prima della fioritura e conservano sott’olio, dopo averlo scottato con
acqua e aceto. In Sicilia i gambi raccolti,
privati delle foglie esterne e tagliati a
metà, vengono invece cucinati con un
sugo o in frittate. Sempre in Puglia, le
foglie vengono tuttora usate per confezionare un prodotto caseario tipico, la
“burrata”.
L’asfodelo viene utilizzato infine per la produzione di un miele dal gusto
delicato. ☺
[email protected]
Via Marconi, 62/64
CAMPOBASSO
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società
situazione difficile incendio di libertà
Sandro Del Fattore*
Antonio De Lellis
Gli ultimi dati disponibili, in particolare l’ultimo rapporto SVIMEZ, fotografa una condizione assai grave del Mezzogiorno. Le manovre economiche degli ultimi anni hanno profondamente inciso sul PIL
delle regioni del sud aggravando gli effetti della crisi che investe il Paese.
In questo contesto di grave recessione il Molise risulta essere tra le regioni maggiormente penalizzate. Negli ultimi cinque anni, infatti, il Molise
ha perso il 14% del suo P.I.L.; il tasso di disoccupazione è aumentato del
2% rispetto al 2012 e nel 2014 manterrà ancora un trend negativo; la
disoccupazione giovanile si attesta al 42%, quella femminile al 44%. A
ciò si aggiunge un aumento rispetto al 2012 del 110,79% della cassa
integrazione ordinaria e del 28,83% della cassa integrazione straordinaria.
Si moltiplicano inoltre le crisi aziendali con il rischio di una vera e propria
“desertificazione” del già fragile tessuto industriale esistente. Una situazione difficile, quindi, che richiede di intervenire sulle emergenze, a partire dal sostegno al reddito di tanti lavoratori e lavoratrici oggi in difficoltà,
ma che impone di pensare alla creazione di nuove opportunità lavorative
e ad una diversa qualità dello sviluppo.
La nuova programmazione comunitaria 2014-2020 va orientata a questo fine. Siamo convinti infatti che una nuova qualità dello sviluppo debba valorizzare quelle filiere connesse alle peculiarità del territorio:
l’agro-alimentare, la tutela e la valorizzazione del patrimonio ambientale
e culturale, l’assetto idro-geologico del territorio, il turismo, le reti infrastrutturali e tecnologiche, la cura e l’assistenza alle persone, la conoscenza
e la formazione. Come si vede sono attività che possono produrre nuove
opportunità di lavoro, innovazione, e, al tempo stesso, migliorare la qualità della vita e del territorio.
Per rendere fattibile tutto ciò, c’è però bisogno che si realizzino
due condizioni. In primo luogo va definita una nuova capacità di programmazione nell’utilizzo delle risorse disponibili che metta in discussione le vecchie logiche dei finanziamenti a pioggia, della frammentazione
degli interventi, della burocratizzazione e dei clientelismi. In secondo
luogo c’è bisogno di rivitalizzare le forme e i modi della democrazia
intesa come progetto partecipato, fondato sull’attività sociale consapevole
dei lavoratori, capace di incontrarsi con le tante associazioni presenti sul
territorio e con le forze intellettuali oggi demotivate e rinchiuse in se stesse. Nuove qualità dello sviluppo, capacità di programmazione, democrazia partecipata e consapevole sono facce diverse di una stessa medaglia.☺
Il potere del popolo è più forte del popolo al potere.
Questa la scritta dello striscione che scendeva dal grattacielo
ove risiedevano molti migranti che applaudivano agli oltre
100.000 manifestanti accorsi a Roma il 19 ottobre per il grande
assedio. A partecipare non i nomi altisonanti, ma la gente vera
senza casa e senza reddito, per la difesa dei beni comuni (acqua,
territorio, lavoro ingiusto quando c’è, grandi opere inutili). Un
bagno di folla che mi ha rigenerato ed emozionato. La città
sembrava sott’assedio
per il gran numero di
misure di sicurezza a
presidio del Ministero
dell’Economia,
delle
infrastrutture e trasporti
e della Cassa Depositi e
Prestiti. Momenti di
tensione, con lo Stato
presente attraverso i suoi
impiegati anch’essi tartassati nella gestione di
un’insicurezza generalizzata.
Per noi del Molise e di
Termoli è stato importante esserci per dire che
anche da noi il territorio è sotto scacco, svenduto come merce
alla voracità del capitale privato e dei costruttori che costruiscono case laddove ci sarebbe bisogno di utilizzare le tante case
sfitte per darle in qualche modo ai senza casa e senza reddito. I
tanti immigrati erano, con i loro famigliari e bambini, a gridare
la loro voglia di vivere e di lottare per un futuro possibile. Era
una vera manifestazione dal basso, senza poteri e senza leader.
Era una Rivoluzione democratica, non un momento o una singola sollevazione, ma una tappa di un sommovimento popolare
già in atto da tempo. Il popolo si organizza, difende i diritti, lotta
per la vita e non vuole morire. Non conta quanti molisani
c’erano, ma ciò che conta è che il fuoco di quel corteo incendi
di libertà e diritti tutta l’Italia. Questa è la grande opera: casa e
reddito per tutti.☺
*Segretario generale cgil molise
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etica
Narrano le cronache della rivoluzione francese che nell’Assemblea costituente di Versailles, dopo aver votato l’abolizione
del regime feudale, un certo numero di rappresentati aveva suggerito una specie di carta
dell’umanità che avrebbe dovuto precedere e
differenziarsi dalla Costituzione propriamente
detta. Le costituzioni, infatti, derivavano dal
diritto positivo, dalle condizioni storiche e
dalle diverse tradizioni nazionali. Potevano
cambiare nel tempo ed essere riviste. Si impose l’idea che la costituzione andava preceduta da una premessa che affermasse i diritti
naturali dell’uomo; quelli che valgono per
tutti gli uomini e per tutte le generazioni.
Tutto doveva dipendere da questa legge suprema.
Gli americani, nel 1776, avevano
già dato l’esempio. Proprio un ex combattente della loro guerra di liberazione, La Fayette,
l’11 luglio fu il primo a sollevare la proposta
di una dichiarazione solenne. L’abate Sieyés,
chiamato a fare sintesi delle diverse proposte
di costituzione già presentate, aveva pubblicato un opuscolo dal titolo Premesse alla
Costituzione. Fu così che i milleduecento
delegati dell’assemblea, dopo aver messo ai
voti i progetti concorrenti presentati, scelsero
un testo anonimo del sesto ufficio composto
di 24 articoli. La discussione si protrasse dal
20 agosto 1879 al 26 successivo quando fu
approvato l’articolo 17, l’ultimo, di quelli che
furono chiamati diritti immortali. L’abate
Seyés ne aveva proposto un altro specifico
sul diritto al lavoro, che i costituenti non approvarono; fu introdotto nella costituzione del
1848.
Prima di costituire il nuovo Stato, si
erano voluti enunciare i diritti naturali che
debbono esserne il fondamento e lo scopo.
Questi articoli che hanno fatto il giro del
mondo hanno contribuito al prestigio della
Francia più di tutte le cannonate dei suoi
eserciti. Gli eventi precipiteranno per cui ciò
che nasceva dal primo dibattito democratico
e costituente, sarà travolto dalla spaccatura
violenta tra destra e sinistra, dalla radicalizzazione delle posizioni, dalla violenza delle
fazioni, dalla giustizia sommaria. Tutto in
modo rapido, precipitoso e sconvolgente
racchiuso nelle date 5 maggio 1879, inaugurazione degli Stati generali e 27 luglio 1794,
Robespierre e i suoi amici vengono ghigliottinati. Comunque l’eredità del 1789 ha travalicato la Francia ed è divenuta comune patrimonio. Mentre un tempo la rivoluzione ap-
la fraternità smarrita
Silvio Malic
parteneva alla sinistra e la destra era antirepubblicana e contro-rivoluzionaria, oggi
l’una e l’altra si richiamano ai diritti dell’uomo
dentro una sistemazione costituzionale delle
democrazie e dei diritti. Se “libertà, uguaglianza e fraternità” saranno lo slogan e
l’attesa comune del processo rivoluzionario,
nella dichiarazione dei diritti è tematizzata
l’uguaglianza e la libertà, ma non la fraternità.
Farà la sua timida e prima apparizione, nell’art. 1 della Dichiarazione dei diritti
formulata del’ONU il 10 dicembre 1948:
“Tutti gli uomini nascono liberi ed eguali in
dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di
coscienza e devono agire gli uni verso gli altri
in spirito di fratellanza”. La fratellanza riconosciuta nella dichiarazione dei diritti è iscritta
però come compito, come dovere da assolvere. Dovere imposto da chi? Semplicemente
assunto come compito fondamentale nello
statuto precedente dell’ONU del 26 giugno
1945: “Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi
a salvare le future generazioni dal flagello della
guerra… a riaffermare la fede nei fondamentali diritti dell’uomo… a istituire condizioni in
cui la giustizia e il rispetto degli obblighi possano essere mantenuti… a promuovere il progresso sociale e più elevati tenori di vita in una
più ampia libertà… a unire le nostre forze per
mantenere la pace e la sicurezza internazionale… ad assicurare, mediante l’accettazione dei
principi e l’istituzione di metodi, che le forze
armate non saranno usate, se non nel comune
interesse, ecc.”. L’incipit della Dichiarazione
dei diritti dell’uomo, come quello dei due Patti
successivi sui diritti economici sociali e cultu-
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rali e sui diritti civili e politici, (1966) afferma in preambolo: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i
membri della famiglia umana, e dei loro
diritti uguali e inalienabili, costituisce il
fondamento della libertà, della giustizia e
della pace nel mondo”. I patti premettono il
soggetto responsabile: “Gli Stati parte del
presente Patto, considerato che...” ed aggiungono immediatamente dopo: “Riconosciuto che questi diritti derivano dalla dignità inerente alla persona umana”.
Emergono nuovi soggetti a cui
poca rilevanza abbiamo dato: “Noi popoli”
e “tutti i membri della famiglia umana”.
Rimosse queste premesse culturali e spirituali dai progetti delle persone, degli Stati,
della politica, dell’economia, degli affari, ne
risulta lo squallore dei tempi presenti,
dall’ultimo trentennio del secolo scorso ad
oggi. In sessant’anni abbiamo rovesciato
ogni prospettiva umanizzante e liberante.
Termino con un breve racconto
tratto da La morte del prossimo di Luigi
Zoja (p.7). “Negli anni Sessanta e Settanta
prendevo ogni settimana il treno ZurigoMilano. I Gastarbaiter (lavoratori) italiani
che lo affollavano, e proseguivano verso
Napoli o Lecce, avevano scatoloni e valigie
fissati con lo spago. Per loro il prossimo era
una presenza scontata. Prima del Gottardo
estraevano un cartoccio. Facevano girare
pane e salame per lo scompartimento, versando vino scuro. ‘Vuole favorire?’ diceva
il capofamiglia, timidamente perché avevo
in mano un libro. Proprio come
nell’Odissea (III,69, IV,60, V 95) per prima
cosa si offre da mangiare. Solo quando
l’ospite è sazio si possono fare domande.
Non diversamente per Mosé ed Aronne e gli
anziani, sapere e sapore avevano ancora la
radice comune: così, salirono al monte
‘videro Iddio, e mangiarono e bevvero’ (Esodo 24, 11). Niente di tutto questo
accadeva negli scompartimenti che si fermavano in Svizzera, e neppure in quelli che
proseguivano solo fino a Milano, per non
parlare della prima classe”. Nei luoghi del
nostro vivere quotidiano e insieme, cosa
accade? ☺
27
sisma
chi ci guadagna?
Domenico D’Adamo
Undici anni e quasi due miliardi di
euro non sono bastati alla nostra regione, non
dico a diventare adulta, ma neanche adolescente. Oltre un miliardo e duecento milioni
non sono stati sufficienti a far sì che i terremotati, quelli veri, rientrassero nelle loro
abitazioni e neanche sono bastati altri seicento milioni per promuovere lo sviluppo in
quelle terre da sempre abbandonate. Una
massaia avrebbe fatto di meglio e di più di
quanto hanno fatto loro, quelli che si sono
occupati a vario titolo di terremoto e dintorni.
Chiunque avrebbe capito che prima di ricostruire le case sarebbe stato necessario riavviare l’economia per ridare speranza a chi
l’aveva persa. Iorio, invece, ha impiegato ben
due anni per partorire un programma di sviluppo che tra l’altro non ha creato un solo
posto di lavoro, né dentro né fuori il cratere
sismico; chiunque avrebbe compreso che
sarebbe stato più giusto intervenire a favore
di coloro i quali sono stati costretti a lasciare
la loro casa per trasferirsi altrove e solo successivamente occuparsi del resto, invece, si è
fatto l’esatto contrario. Ma veniamo ai dati
che sono più illuminanti di qualsiasi spiegazione.
La stima dei danni causati dal sisma e rilevati dalla Presidenza del consiglio
dei Ministri attraverso il dipartimento di Protezione Civile è stata valutata in poco più di 4
miliardi di euro e siccome fino ad oggi sono
stati utilizzati dalla struttura commissariale
circa 1,2 miliardi, possiamo affermare, senza
tema di smentita, che il processo di ricostruzione ha interessato nei primi undici anni
poco più del 20% degli edifici danneggiati,
non il 37% come invece sostiene il consigliere delegato. È facile dedurre che se il flusso
finanziario continua ad affluire con le stesse
modalità e con gli stessi tempi impiegati
nell’era Iorio, fra trent’anni, staremo ancora a
parlare di terremoto del Molise. Al presidente
Frattura vorremmo far presente che, per questa vicenda, non si tratta di allentare il patto di
stabilità, come sostengono invece gli imprenditori molisani dell’edilizia, ma di escludere
da qualsiasi vincolo tutte le spese relative alle
calamità, non solo del Molise ma di tutto il
Paese. Non si può subire oltre al danno del
28
terremoto anche la beffa degli ottusi vincoli
europei. L’attuale governatore ha in più occasioni annunciato, e gliene diamo atto, radicali
cambiamenti nella gestione post-sisma, dalla
trasformazione dell’agenzia della Protezione
Civile in servizio regionale come primo atto,
fino alla sostituzione del “modello Iorio”, che
aveva alla base l’assenza ragionata ed interessata di una pur minima programmazione, con
un sistema più attento alle priorità a partire dai
terremotati che ancora vivono nelle baracche.
Naturalmente, e come suo solito, gli
ha fatto eco da Roma il senatore Ruta, il quale
a tale proposito ha chiesto ai suoi compagni
delle grandi intese di votare un ordine del giorno che impegni il governo a stabilizzare il
personale precario dell’agenzia di Protezione
Civile. Non abbiamo capito se l’ordine del
giorno Ruta abbia l’obiettivo di creare imbarazzo al Presidente del Consiglio o di colpire
alla schiena il governatore del Molise; di certo
sappiamo che serve a prendere per culo tutti i
lavoratori dell’Agenzia oltre che a fare incazzare tutti i precari che vivono nel belpaese. Far
credere ai lavoratori che il governo nazionale
possa occuparsi della sistemazione definitiva
dei lavoratori della Regione Molise è puro atto
di sciacallaggio. Noi che lo conosciamo, siamo certi che il senatore Ruta e i suoi compagni
di viaggio siano in perfetta buona fede e tanto
hanno fatto e detto solo perché non conoscono
le leggi. Il nostro
senatore si occupa
di terremoto così
come si occupa di
manze e di agricoltura in genere: non
è colpa sua, sono i
fondamentali del
bene comune che
gli mancano, non
certamente quelli
del bene proprio.
Da quando sono
stati eletti, circa
otto mesi fa, tutt’
insieme appassionatamente, oltre a
sette milioni di
euro per pagare un
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po’ di debiti, rintracciati nelle pieghe del
bilancio regionale e al pasticcio combinato
per non svincolarne altri 15, nonostante
Letta glieli volesse dare a tutti i costi, nulla
di concreto è stato ancora fatto. Ora a seguito dell’azione sinergica delle delegazioni
parlamentari e l’intervento deciso della sottosegretaria molisana, gli imprenditori edili
minacciano di chiudere i cantieri perché non
arrivano i soldi promessi; i terremotati si
incazzano perché vedono allontanarsi i tempi per un rientro a casa, i tecnici privati
promettono di far partire i decreti ingiuntivi
per essere pagati, i tecnici pubblici, quelli
dell’agenzia, sputano veleno dopo aver
scoperto che l’ordine del giorno presentato
da Ruta è utile solo a lui, i lavoratori
dell’edilizia minacciano di salire sulle gru
per difendere il loro posto di lavoro; questa
volta i politici molisani di sopra e di sotto, di
destra e di sinistra -sarà l’effetto delle larghe
intese - hanno finalmente messo d’accordo
proprio tutti.
Intanto, l’unico progetto che procede senza sosta e senza intoppi è quello
relativo alle manze della Granarolo. Saranno
12.000, verranno ingravidate in Emilia,
trascorreranno il periodo di gravidanza in
Molise, precisamente a San Martino in Pensilis dove mangeranno e cacheranno tanto,
oltre naturalmente a fare pipì e un mese
prima di partorire torneranno, se ce la faranno, a fare latte per i loro padroni. La domanda viene spontanea: ma con questa grande
cagata chi ci guadagna oltre alla Granarolo.☺
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