aritas diocesana di Tempio | Ampurias
18 novembre 2013
18 novembre 2014
’azione della Caritas
nei giorni del fango e della carità
A cura di Daniela Astara
n copertina la Chiesa di Sant’Antonio il 18 novembre 2013
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Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano,
ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno».
Beata Madre Teresa di Calcutta
PREFAZIONE
alla
devastante alluvione, una straordinaria esperienza di solidarietà e di Chiesa!
Credo che questa sintetica espressione possa ben rappresentare il senso e la portata dell’anno
appena trascorso, da quel tragico pomeriggio del 18 novembre 2013. Un evento che ha accomunato tutti i territori della Sardegna toccati dal ciclone e che ha commosso l’opinione pubblica,
non solo sarda e italiana, per il numero di vittime e per i danni provocati, oltre ad aver suscitato
una straordinaria rete di solidarietà. La Chiesa Diocesana non poteva non essere in prima linea,
insieme a istituzioni, associazioni e semplici cittadini nell’opera di sostegno della prima emergenza e di aiuto nel lento faticoso ritorno delle persone e delle famiglie alla normalità.
La desolante immagine delle 13 bare, il mare di acqua e di fango, le montagne di detriti e
macerie, di suppellettili, di effetti personali, di automobili e strumenti di lavoro è ben impressa
negli occhi, nel cuore, nella carne di ciascuno di noi. Quante lacrime e quanti volti sconvolti, con
il terrore ancora stampato sul viso, quelli di chi era stato strappato alla morte e di chi aveva
perso tutto o quasi, di chi in pochi attimi aveva visto stravolta la propria vita e quella dei propri
cari!
Le migliaia di persone che da subito si son date da fare, a cominciare da coloro che avevano
avuto la casa allagata, fino alla schiera di volontari giunti da ogni parte, sono state da subito il
segno più tangibile della reazione a qualunque forma di rassegnazione. Passati i momenti della
prima emergenza, con il graduale spegnersi dei riflettori, c’era il rischio che la mole dei danni da
riparare avrebbe spento ogni energia e voglia di reagire. Così non è stato. La lenta macchina
della ricostruzione si è messa in moto, grazie alle istituzioni locali, con le poche risorse a loro disposizione, al mondo del volontariato e agli aiuti di semplici cittadini e associazioni pervenuti
da ogni parte d’Italia e non solo, nonché all’iniziativa di molti degli stessi alluvionati. Mancano
ancora all’appello le risorse più grosse e risolutive promesse dal governo centrale.
In questa gara di solidarietà, la Chiesa Diocesana, grazie al coordinamento della Caritas in
collaborazione con le Parrocchie e a una nutrita schiera di volontari, ha costantemente svolto
un’opera di ascolto, di prossimità e di sostegno concreto alle persone e alle famiglie, soprattutto
quelle più povere, impossibilitate a far fronte all’emergenza con propri mezzi.
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Prefazione
(on per sterile ostentazione di ciò che si è fatto, ma per doverosa informazione e rendicon-
tazione di come sono state utilizzate le somme, gli arredi, le suppellettili e i beni di prima necessità
che alla Chiesa sono state affidate da innumerevoli benefattori, si è pensato di diffondere il presente opuscolo, dove accanto alle immagini dell’evento, ci sono le testimonianze dei vari protagonisti (vittime, operatori, volontari…), i progetti e principali interventi effettuati, ma anche
l’orizzonte futuro di un’azione che non s’interrompe, ma anzi si apre a continuativi servizi alla
popolazione più svantaggiata colpita dall’alluvione.
Attraverso tale pubblicazione la Chiesa Diocesana intende esprimere la più viva gratitudine
a tutti coloro che in molteplici modi le hanno affidato il proprio obolo a favore degli alluvionati,
dimostrandoLe ampia e totale fiducia. Nello stesso tempo intende rivolgere a tutti un caldo appello per non spegnere lo straordinario spirito solidaristico che l’evento ha suscitato.
Ritengo che anche per la Chiesa l’alluvione sia stata una grande scuola, lasciandole un importante e inderogabile impegno: quello di essere sempre più comunità aperta a tutte le periferie
esistenziali dell’uomo e della società moderna, verso le quali Papa Francesco la spinge ad andare
per portarvi il sollievo della carità evangelica.
+Sebastiano Sanguinetti, vescovo
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INTRODUZIONE
@lbia venne sommersa dal fango, dopo un pomeriggio di pioggia, il 18 novembre 2013. Fino
ad allora l’avevamo considerata una città superba, colpita dalla crisi, ma fiera. Il breve passaggio
del ciclone Cleopatra e l’arrivo imprevisto dell’onda di piena, illuminando le sue fondamenta nel
fango, rivelarono ben altro.
Le pagine che seguono sono la storia rivissuta dei giorni terribili del fango, della sofferenza
per la perdita di vite umane, dello sgomento di fronte alla imprevedibilità della natura e della
vita, ma anche della forza dell’uomo, della certezza di un Dio che non abbandona, della carità
che supera il concetto di “altruismo”.
Olbia posta di fronte al dramma ha reagito con coraggio e determinazione. Supportata da
una Chiesa viva, in azione, ha espresso con forza straordinaria quel senso di coesione che fa di
un gruppo una comunità di cittadini, ma prima di tutto una fraternità.
Il racconto non ha la pretesa di completezza. La fede operosa nella carità non vuole la ribalta
delle cronache, quando la fai “non suonare la tromba” consiglia Gesù. Tanti sorrisi e tanti aiuti
donati e ricevuti non saranno presenti in queste pagine, però potranno essere immaginati e gustati come perle preziose che ognuno custodirà nel proprio cuore.
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18 NOVEMBRE 2013
E che vantaggio viene all’uomo da tutto ciò che fa con fatica?»
Qohèlet 3, 9-10
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3a mattina del 18 novembre 2013 la morte bussò alle porte di Olbia. Il giorno prima la protezione civile regionale alle 15 e 52 aveva diramato un avviso di allerta per rischio idrogeologico
di criticità elevata. Nessuno, forse, poteva immaginare cosa sarebbe accaduto.
I bambini erano ancora a scuola quando il vento diventò impetuoso e la pioggia venne giù
con forza in tutta l’isola. Era il ciclone Cleopatra. A mezzogiorno la furia dell’acqua colpì il Campidano, in poche ore il cielo si oscurò e divenne buio. Ma non era notte, erano le nuvole basse e
scure. Solo qualche lampo illuminava il cielo e i volti segnati dalla paura. I corsi d’acqua che
prima scorrevano lenti nei loro alvei diventarono impetuosi e memori del loro passaggio ignorato
dall’uomo, si ripresero strade asfaltate, giardini, campi coltivati, abitazioni. Trascinarono con sé
auto, alberi, imbarcazioni, detriti e tanto fango.
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'artito dal sud–ovest dell’isola il ciclone corse veloce verso il nord. Cleopatra si abbatté sulla
Gallura nel tardo pomeriggio e a Olbia un’autentica tempesta travolse la città e suoi abitanti.
Il bilancio fu agghiacciante. 13 morti: una mamma di 42 anni, Patrizia Corona, con la sua
bambina Morgana Giagoni di 2 anni, finirono con la loro Smart in un canale in piena in via Ungheria; una donna di 83 anni annegò nella sua casa al primo piano di via Lazio, Anna Ragnedda;
un uomo con la moglie e la suocera che viaggiavano su un Pajero, Bruno Fiore, Sebastiana
Brundu e Maria Corriga di 68, 61 e 54 anni, morirono a causa del crollo di un ponte nella strada
per Tempio in località Monte Pino; Maria Massa, 88 anni, morì in via Romania perché uscendo
di casa i gradini bagnati la fecero scivolare e annegò nell’acqua che aveva invaso il piano terra
della sua casa; Francesco Mazzoccu di 37 anni e suo figlio Enrico di 4 anni furono travolti da un
fiume a Raica. Assieme ai morti, il disastro di una città: oltre 1500 case al piano terra furono
travolte dall’onda di piena, 7107 persone vennero coinvolte e poi 96 imprese artigiane, 104
aziende commerciali, 15 agricole e 100 studi professionali. Furono migliaia le auto andate distrutte, numerose le strade impraticabili e i ponti crollati. La Gallura perse anche un’intera famiglia
brasiliana che si trovava ad Arzachena per lavoro. Era la famiglia Passoni che viveva in un seminterrato in località Mulinu Vecchio. Il ciclone Cleopatra li trovò insieme, in casa: il padre Isael
di 42 anni, la madre Cleide Mara Rodriguez e i due figli Weristone e Laine Kellen di 20 e 16 anni.
La notizia del disastro giunse in tempo reale al vescovo della diocesi di Tempio Ampurias.
Mons. Sebastiano Sanguinetti così raccontò quelle terribili ore: «Ero a Tempio quel lunedì pomeriggio e al telefono da Olbia mi informavano di quello che stava succedendo. All’inizio non si
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apeva
quale sarebbe stato l’esito, ma quando ho ricevuto la telefonata di don Theron Casula
che mi diceva che anche la chiesa di Sant’Antonio era stata allagata da 20 cm d’acqua, ho avuto
la percezione di qualcosa di drammatico. Da lì in seguito una molteplicità di telefonate mi informava della tragedia che era successa, dei morti e del disastro».
«Padre stiamo scappando, la chiesa è sott’acqua». Dissero al telefono, al parroco don Theron
Casula, alcuni parrocchiani che si trovavano nella chiesa di Sant’Antonio in via Aspromonte,
proprio nel momento in cui, intorno alle 18, arrivò l’onda di piena. Il sacerdote che nel pomeriggio
si era recato in visita in uno dei quartieri più fragili dal punto di vista idrogeologico della parrocchia, il quartiere di Putzolu, si precipitò in chiesa. «Giunto nei pressi di via Vittorio Veneto vidi
il mare d’acqua e la chiesa illuminata, mi prestarono degli stivali ed entrai in chiesa, c’erano 20
cm di acqua fino al primo gradino dell’altare. Mi fermai davanti al tabernacolo e pregai: Signore
la mia parrocchia è sott’acqua, i miei collaboratori parrocchiali non hanno più casa e fuori continua a piovere».
«Fu una notte terribile anche per chi, come me - raccontò suor Luigia Leoni, direttrice Caritas
diocesana di Tempio Ampurias - da Tempio seguiva la situazione attraverso il telefono con le
suore della comunità di Olbia che ospita handicappate psichiche. L’acqua era entrata anche in
quella casa, aveva invaso il piano terra e la cappella. Le ospiti erano state portate al piano superiore con difficoltà perché anche l’ascensore era bloccato. Anche da Golfo Aranci arrivava la notizia che l’acqua aveva invaso il piano terra della casa per anziane. Solo dopo le tre del mattino
ci fu un po’ di tregua».
Intanto nel pomeriggio la Caritas diocesana aprì in via straordinaria, per i senza tetto della
città, il dormitorio di via Canova.
Il ciclone Cleopatra scaricò in poche ore la pioggia di sei mesi: «117,6 millilitri in 24 ore (Fonte
Regione Sardegna)». Chi non conosceva Olbia prima di venire travolta dal ciclone e ne ignora lo
sviluppo urbanistico impetuoso fondato sul fango, non può rendersi conto di quanto queste
scelte e decisioni abbiano influito nel determinare la terribile tragedia.
Quando smise di piovere era notte ed era il caos. Fu una notte terribile che trascorse in un
susseguirsi di soccorsi a persone rimaste intrappolate in casa, in auto, alla ricerca delle persone
disperse con centinaia di uomini, bagnati fradici nel fango, con il fiato corto e gli occhi gonfi. Fu
urgente trovare un luogo di appoggio per i soccorritori, giunti anche dai paesi limitrofi. Per loro,
alle 00:05 si aprirono i locali della parrocchia della Sacra Famiglia.
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I GIORNI DELL’EMERGENZA
Vicini col nostro sforzo, con la nostra solidarietà e con il nostro amore»
Papa Francesco
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e prime luci dell’alba illuminarono il disastro. Un disastro senza precedenti. L’acqua dalle
case e dalle strade era defluita ma restava ancora nelle cantine, nei seminterrati, restava nella
mente e nel cuore delle persone. Il sole che splendeva mostrava auto sommerse, strade sventrate,
ricoperte da una coltre di fango, muri di cinta abbattuti, giocattoli tra i detriti e nelle case una
riga marrone lungo le pareti, in cucina, in soggiorno, in bagno e nelle camere da letto. Ovunque.
In alcuni casi era a un metro e ottanta dal pavimento, il chiaro segno del passaggio di Cleopatra.
Ciò che impressionò inoltre, furono gli occhi della gente per strada: smarriti, disorientati, increduli. Era urgente incontrare quegli occhi, condividere il loro dolore e dir loro, tramite la Chiesa,
che Gesù non li abbandonava e che non erano soli.
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I giorni dell’emergenza
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on le prime luci dell’alba arrivò a Olbia da Tempio il vescovo, mons. Sebastiano Sanguinetti,
accompagnato da suor Luigia Leoni. La prima cosa che fece fu recarsi nelle vie del fango.
Anche don Andrea Raffatellu accompagnato da don Mirko Barone, vice parroco della Sacra
Famiglia, andò nelle vie del fango, nella zona del campo sportivo Bruno Nespoli. «Ho fatto due
passi a piedi. Venga a vedere, mi dicevano, non c’erano parole, solo mi chiedevano di entrare
nelle case e guardare. Alcuni mi dissero: se non altro ci stiamo parlando».
Fu la consapevolezza di aver perso tutto, ma di essere dei sopravvissuti, fortunati, nonostante
tutto. Già, perché non tutti si salvarono. Una dura realtà scolpita nel cuore e percepibile nello
sguardo di chi incontravi. Furono migliaia le persone sfollate, uomini, donne, bambini, anziani,
tutti vittime dell’onda di piena. Non ci fu il tempo per capire l’accaduto, non si poté aspettare,
bisognava aiutare le persone a rialzarsi, spalare il fango dalle case, dai negozi, dalle strade e poi
portare conforto e seppellire i morti. Nelle parrocchie di Sant’Antonio e Sacra Famiglia, le due
più colpite della città, immediatamente si iniziò ad organizzare l’arrivo dei primi aiuti, delle prime
donazioni. Si misero a disposizione alcuni spazi dell’oratorio della Sacra Famiglia e il piazzale e
alcune stanze della chiesa di Sant’Antonio.
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I giorni dell’emergenza
a reazione alla tragedia fu sorprendente. Una generosità popolare senza precedenti. Parenti,
amici, conoscenti, e anche vicini di casa indossarono stivali in gomma e tuta, e con una pala si
misero a spalare. Furono denominati “gli angeli del fango”, furono coloro che non attesero un
minuto e sciamarono nelle strade trasformate in torrenti melmosi. Che scesero negli scantinati,
nei negozi allagati, nei magazzini devastati dall’acqua e senza chiedere nulla a nessuno, animati
dal vento della solidarietà, si rimboccarono le maniche e aiutarono, dimenticandosi di pranzi e
cene, con l’unico conforto di mangiare quello che qualche anima buona si ricordava di regalare.
Mons. Sanguinetti subito dopo aver visto con i propri occhi la devastazione di alcune vie e
toccato con mano l’urgenza di agire subito e agire bene decise di recarsi in Comune dove il sindaco della città, Gianni Giovannelli aveva istituto il Coc, centro operativo comunale e dove in
mattinata per gestire l’emergenza giunse da Roma il capo della protezione civile Franco Gabrielli.
«Io la mattina stessa di martedì 19 novembre assieme a suor Luigia mi recai al centro di coordinamento allestito in Comune a Olbia, dove c’era l’unità di crisi. Ebbi modo di parlare con il prefetto
Gabrielli, con il sindaco, con la struttura, perché capivo che nell’emergenza del primo momento,
con tutta la confusione che questo comportava, era comunque necessario agire all’interno di
un coordinamento generale». «Questo incontro serviva per dire che anche la Caritas con tutti i
suoi volontari era presente e per un maggior coordinamento, un nostro rappresentante della
Caritas fu aggregato dentro l’unità di crisi».
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opodiché l’alto prelato riunì i parroci della città per una valutazione e una programmazione
sul da farsi in modo coordinato e utile e volle fosse presente anche la Caritas.
D’intesa e in stretta collaborazione con Caritas italiana e con il vescovo diocesano, che mise
a disposizione la casa vescovile di via Cagliari a Olbia, Suor Luigia Leoni aprì il centro di coordinamento Caritas dell’alluvione. Fu importante impostare immediatamente le basi per predisporre
un sistema integrato di aiuti mirati alle famiglie alluvionate, finalizzato alla piena integrazione
sociale ed economica. Si decise di intervenire in maniera capillare direttamente nelle famiglie e
di rispondere ai loro bisogni primari, attraverso la prossimità delle parrocchie, di tutte le parrocchie della città. Un lavoro difficile per il numero elevato di persone coinvolte.
Dal primo pomeriggio del 19 novembre iniziarono per la segreteria della Caritas diocesana
giornate infinite trascorse ad organizzare gli arrivi e la sistemazione di un esercito di volontari
proveniente da tutta Italia, e poi gli arrivi di tonnellate di viveri, abbigliamento e materiale igienico-sanitario. I telefoni cellulari da quel momento in poi furono come impazziti.
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ntanto
in serata giunsero nella parrocchia della Sacra Famiglia le sei salme di Olbia, tra le
quali le due bianche di Enrico e Morgana. «Una cosa che faceva tremare» raccontò a distanza di
mesi, con ancora visibile commozione don Andrea «ma bisognava muoversi, era necessario provvedere ai parenti delle vittime che erano rimasti a vegliare i loro cari per ore. Come servizio avevamo preparato del caffè e allestito in sacrestia un piccolo punto di ristoro».
Quelli che seguirono furono giorni di confusione, le persone alluvionate che avevano necessitavano di tutto: dalla biancheria intima a un pasto caldo. Fu però una confusione operosa,
fatta di volontari che non si risparmiavano, che si svegliavano all’alba e andavano a dormire a
notte fonda. Squadre di ragazzi e ragazze, ma anche uomini e donne che, caricata l’auto di vestiti
e detersivi, a due a due si misero a girare per le vie del fango distribuendo il necessario casa per
casa.
La preparazione dei pasti caldi fu organizzata nelle Caritas parrocchiali della Sacra Famiglia
e Sant’Antonio.
Se ne distribuirono migliaia grazie alle donazioni di numerosi privati, di ristoranti della città,
associazioni e famiglie. Tra pranzi e cene in alcune prime giornate dopo l’alluvione si sfiorarono
i diecimila pasti, la media fu di qualche migliaio ogni giorno, per tutto il mese di novembre. La
distribuzione andò avanti fino a Natale in entrambe le Caritas parrocchiali. «Non so come riuscii
a lavorare così tanto» fu il commento unanime dei volontari.
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l
20 novembre fu il giorno del lutto.
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La città si fermò a salutare i morti. I funerali si svolsero al Geopalace di Olbia. Papa Francesco
in segno di vicinanza inviò mons. Angelo Becciu, sostituto della segreteria di Stato Vaticana e
una speciale benedizione apostolica. Le esequie furono strazianti. Vi partecipò la città intera,
tutti ancora sotto shock.
Durante la sua omelia mons. Sebastiano Sanguinetti, che presiedette i funerali, esplicitò i
sentimenti di cordoglio di centinaia e centinaia di persone, ricordò Morgana ed Enrico, li definì
«angeli volati in cielo troppo presto» ebbe un pensiero per tutte le vittime e per i loro familiari e
per quanto accaduto affermò con fermezza: «in tanti degli eventi calamitosi che si succedono
sempre più frequenti nel mondo, come quello che ci ha colpito in questi giorni, non è estranea
la mano e la volontà dell’uomo».
I telegiornali di tutto il mondo mostrarono le immagini della devastazione di Olbia e da tutto
il mondo arrivarono aiuti di ogni tipo.
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I giorni dell’emergenza
rrivarono
subito i soccorsi da Caritas italiana. Lo stesso direttore don Francesco Soddu
venne a rendersi conto della situazione e a portare la sua fattiva solidarietà. Arrivò da subito
anche il delegato regionale della Caritas della Sardegna don Marco Lai, che organizzò con i suoi
volontari una rete di aiuti. I primi a raggiungere Olbia furono i volontari della Caritas di Bergamo
dotati di idrovore con le quali far uscire l’acqua dalle case ancora allagate e Caritas Ambrosiana
con le attrezzature per la deumidificazione. I milanesi capeggiati da Alberto Minoia si fermarono
a lungo per aiutare la Caritas di Olbia a razionalizzare gli aiuti, a impostare il servizio di carico e
scarico, ad annotare i nomi dei volontari accorsi da ogni parte. Caritas italiana supportò costantemente l’impegno della Caritas di Olbia anche tramite don Andrea La Regina, responsabile
ufficio macro progetti e Marcello Pietrobon. I loro consigli furono puntuali e adeguati e contribuirono a rendere il cammino più agevole.
Ci si rese subito conto che i locali della parrocchia della Sacra Famiglia e di sant’Antonio,
non erano sufficienti a contenere le donazioni arrivate e la Caritas diocesana individuò un capannone nella zona industriale della città.
All’interno un gruppo di volontari si occupò di gestire e coordinare gli arrivi di vestiti, generi
alimentari e prodotti per la pulizia.
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ontestualmente il lavoro proseguì anche nelle due parrocchie più colpite dove una fila com-
posta e silenziosa di alluvionati attendeva il proprio turno per ritirare il necessario. Si distribuirono
tonnellate di abbigliamento, scarpe e prodotti per la pulizia della casa, soprattutto detersivi,
scope, strofinacci e saponi. Impossibile conteggiare al dettaglio la merce giunta e donata.
Le persone che avevano perso davvero tutto, compresa la macchina, facevano fatica a raggiungere i due centri di distribuzione nelle parrocchie e bisognava avvicinarsi. Nel giro di qualche
giorno ne furono aperti otto sparsi in diversi quartieri.
Se questo da un lato era da considerarsi positivo, dall’altro generò una grande confusione e
consentì anche alcuni episodi spiacevoli di sciacallaggio, da parte di gente che approfittò della
tragedia e prese con l’inganno merce che mai consegnarono agli alluvionati.
Man mano che le case venivano ripulite dal fango le necessità delle famiglie cambiarono.
Le persone desideravano essere nuovamente autonome sia con il cibo che l’abbigliamento e
chiesero elettrodomestici nuovi, in particolare lavatrici, frigoriferi e cucine, ma anche mobili e
materassi.
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I giorni dell’emergenza
ei primi giorni di dicembre, passata la prima ondata di emergenza divenne necessario met-
tere ordine e l’amministrazione comunale, d’intesa con la Caritas decise di chiudere tutti i centri
di distribuzione, compreso il centro di raccolta della Caritas e di far confluire tutte le forze soltanto
nei due centri originari, quello della parrocchia della Sacra Famiglia e quello della chiesa di Sant’Antonio, con un unico centro di raccolta e smistamento comunale nella zona industriale della
città, gestito dalla Caritas in collaborazione con la Croce Rossa italiana.
I compiti furono distinti. Caritas si occupò del reparto dedicato all’abbigliamento e all’utensileria per la pulizia delle abitazioni, mentre la Croce Rossa pensò ai viveri.
Un lavoro enorme fu ad esempio catalogare, sistemare e consegnare tutti i prodotti, reso
più difficoltoso e rallentato dalla tanta merce inutilizzabile donata. I volontari dovettero fare
una cernita accurata e selezionare ciò che poteva essere consegnato agli alluvionati e ciò che
andava buttato. «Abbiamo trovato di tutto nei pacchi di aiuti che ci hanno inviato: dai materassi
sporchi agli abiti nuziali, comprese scarpe con i tacchi e vestiti di carnevale».
Intanto ogni giorno, proseguiva il difficile lavoro di aiuto alle famiglie attraverso un’azione
sinergica tra il centro di coordinamento della Caritas le parrocchie e il Comune.
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al 26 novembre Caritas diocesana, gra-
zie a Caritas Ambrosiana e Caritas Italiana
diede avvio all’opera di deumidificazione
delle case con volontari preparati da personale specializzato per le emergenze di Caritas
Ambrosiana. 35 deumidificatori vennero
messi a disposizione degli alluvionati di Olbia.
Ne beneficiarono circa 400 famiglie. Per una
o due settimane il deumidificatore venne lasciato nelle case sommerse dall’onda di
piena. La potenza calorifica di questi strumenti consentì di velocizzare la fase di asciugatura delle mura, rimaste ore a contatto con
l’acqua.
Per andare maggiormente incontro alle
tante esigenze e al numero elevato di famiglie che necessitavano di stufe e demumidificatori anche le Caritas parrocchiali
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I giorni dell’emergenza
cquistarono e misero a disposizione questi strumenti. Fu un’opera di grande aiuto che consentì
a molte persone di anticipare il rientro a casa. «Abbiamo sempre tenuto aperte le finestre delle
case affinché le pareti asciugassero, ma senza quei generatori d’aria calda, avremmo dovuto attendere la primavera per rientrare a casa, invece ci siamo riusciti a distanza di un mese dall’alluvione». Riuscirono a rientrare tanti di coloro a cui l’abitazione non fu dichiarata inagibile dai
tecnici comunali.
Contestualmente Caritas iniziò la distribuzione di centinaia di lavatrici, cucine e materassi
arrivati dalle diverse parti d’Italia.
Con la fine del mese di gennaio, venne chiuso il centro unico di raccolta e distribuzione
aperto dal Comune e gestito da Caritas e Croce rossa, allora la Caritas diocesana avviò un nuovo
progetto in collaborazione con Caritas Italiana per la prosecuzione di questo servizio. Perché se
anche la prima fase emergenziale era passata, non erano finiti i problemi. Erano ancora centinaia
le famiglie sfollate e centinaia quelle che ancora non avevano ricevuto alcun tipo di aiuto. Per
questo venne riaperto il primo centro di raccolta messo a disposizione all’indomani dell’alluvione
in zona industriale.
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A CASA DEGLI ALLUVIONATI
Non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un sorriso»
Beata Madre Teresa di Calcutta
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distanza di quindici giorni dal passaggio di Cleopatra ci si rese conto che alcuni olbiesi, per
pudore e vergogna, non si recarono mai nei centri di distribuzione della Caritas e neanche al
centro di coordinamento. Altri non sapevano di tutti i servizi messi a disposizione della Caritas
avendo perduto nell’alluvione televisori e radio. Per questo bisognava andare da loro. Mons.
Sanguinetti formò quindi una squadra di 26 volontari, indicati dai parroci, con l’incarico di effettuare un censimento e cercare di raggiungere e incontrare tutti.
I volontari andarono in coppia, muniti di tesserino di riconoscimento, questionario e una
lettera di presentazione firmata dal vescovo: «Il volontario Caritas che si presenta a Voi con
questo biglietto, viene con l’autorizzazione del Vescovo e in nome della Chiesa Diocesana con
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A casa degli alluvionati
n duplice scopo: farvi ulteriormente sentire la vicinanza della Chiesa in questa terribile tragedia
che ha colpito anche Voi; tale vicinanza si traduce nella disponibilità ad aiutarvi a riconquistare
le condizioni essenziali di vivibilità delle vostre case, mettendo a vostra disposizione le tante
forme di solidarietà che da ogni parte della Sardegna e dell’Italia ci stanno giungendo. Il questionario che viene sottoposto, serve, appunto all’individuazione delle principali vostre esigenze,
onde poter poi provvedere in modo coordinato con gli altri Enti, a farvi avere ciò che vi serve,
compatibilmente con le risorse che avremo a disposizione. La celerità nell’avere una sorta di
“carta dei bisogni”, favorirà una più puntuale erogazione degli aiuti. Le informazioni che fornirete
saranno strettamente riservate, nel rigoroso rispetto delle norme sulla “privacy”, e usate esclusivamente per lo scopo di cui sopra. Grazie della Vostra collaborazione. E, soprattutto, vogliate
ricevere il mio affettuoso saluto e l’assicurazione della mia preghiera, perché presto torni a brillare
nei vostri cuori la luce della Speranza. Vostro Sebastiano Sanguinetti».
Inviati nei diversi quartieri alluvionati della città i volontari bussarono a tutte le case. Alcune
famiglie aprirono, altre no, altre ancora non poterono perché sfollate, in queste ultime veniva
lasciato un avviso e si ripassava. Gli alluvionati mostrarono grande dignità. Con tristezza nel
cuore e il viso segnato dalla fatica, invitavano ad entrare nelle loro case ricoperte da una coltre
di fango affinché si potesse vedere con i propri occhi il disastro: mobili sottosopra, divani capo-
36
18 novembre 2013 | 18 novembre 2014
olti,
sedie a terra, bagni ed elettrodomestici sporchi di fango, gasolio e con un odore nauseabondo, segno che con l’onda di piena le condotte fognarie esplosero.
Una scena che prima di allora a Olbia si era vista solo in televisione. Una stessa triste scena
che si ripeteva in tutte le case.
E in tutte le case c’era una storia da ascoltare come quella di Gesuino che vive in zona
Baratta dove esondò il rio Siligheddu: «quel lunedì erano le 15 e 30 quando saltarono i tombini
e le fogne iniziarono a fuoriuscire. Il livello dell’acqua saliva inesorabilmente, entrò in casa e pian
piano raggiunse i mobili e i divani che dopo essersi bagnati si rovesciarono rompendo tutto
quello che vi era all’interno. Uscii fuori e salii su un muretto. Quando, verso le 18 e 30, arrivò
l’onda di piena mi aggrappai alla ringhiera di recinzione, se non l’avessi fatto la corrente mi
avrebbe portato via. Davanti ai miei occhi vidi una scena incredibile, un fiume che scorreva nella
strada, nei giardini e trascinava con sé di tutto, auto e bombole piene di gas e gasolio. La forza
della corrente li sollevava in alto, era drammatico. Piansi per una settimana, per qualsiasi cosa.
Fui consapevole di essere vivo, ma avevo perso tutto, compreso la fede nuziale, i ricordi dei miei
figli, le cose di mia moglie, le fotografie, tutto». Tutti i ricordi degli olbiesi alluvionati finirono in
una grande discarica a cielo aperto nella zona di Isticadeddu.
Ti guarda Gesuino, con gli occhi di chi ha
visto la morte in faccia, rimane in silenzio,
mentre la mente rivive quel dramma e quelli
che seguirono: «mi dissero che c’erano dei
centri di distribuzione dove poter prendere
alcune cose, andai, ma mi sentii straniero a
casa mia, alcune persone si comportavano
come se fossero padroni di quello che stavano donando».
Aveva bisogno di aiuto Gesuino, lui che
fino ad allora aveva condotto una vita serena, difficile dopo l’infarto, ma dignitosa si
ritrovò costretto a girare con biancheria intima ricevuta in prestito e a chiedere aiuto,
per sé e per la sua famiglia: «quando mi rivolsi al centro di coordinamento della Caritas
non mi aspettavo nulla. Eppure mi ritrovai
due ragazze che mi accolsero, mi ascolta-
37
A casa degli alluvionati
ono,
e mi diedero un aiuto senza che le pregassi. Un supporto che neanche uno psicologo sarebbe stato in grado di dare». Poi proseguì: «la mia famiglia forse avrebbe vissuto anche senza
quell’aiuto materiale, anche se in quel momento era quasi indispensabile, però fu il modo decoroso con cui fui trattato ad avermi aiutato veramente e ad avermi fatto capire che quell’atteggiamento era Chiesa e non era giusto fare di tutta un’erba un fascio».
Anche Battista ha una storia da raccontare. Nella sua zona, nei pressi della Chiesa di Sant’Antonio esondò il rio Gaddhuresu. «Sono stato già alluvionato nel ’79 e adesso di nuovo. Ho
avuto un metro e 80 di acqua in casa, erano 2 metri all’esterno. Ho salvato 5 bambini e perso
tutto, compresi i soldi che conservavo in alcuni libri».
E ancora la vicenda di Mariangela che vive in via Lazio. «Io e il mio bambino di otto anni non
eravamo a casa quel giorno, altrimenti non sarei stata qui a parlare» racconta con un sorriso
appena accennato, memore dello scampato pericolo. L’onda di piena distrusse la loro casa e furono sfollati. «Il due dicembre trovai nella cassetta delle poste un biglietto lasciatomi da alcuni
volontari inviati dalla Caritas diocesana che mi invitavano a chiamare qualora avessi avuto bisogno di qualcosa ma, scoraggiata da tutte le promesse di aiuto rimaste vane, non telefonai se
non nel mese di marzo, su sollecitazione di alcuni vicini di casa. Chiamai e mi rispose una ragazza,
spiegai che ero sfollata e non avevo la possibilità di aggiustare la mia casa. La ragazza dopo
qualche giorno mandò alcuni volontari a controllare lo stato della mia abitazione e poi mi disse
che mi avrebbero aiutata, quindi mi mise in lista d’attesa. A luglio venne una squadra composta
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38
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a
muratori, elettricisti e falegnami. Mi sistemarono la casa, ora io e mio figlio siamo rientrati,
sono felice, senza l’aiuto della Caritas sarei ancora sfollata».
Ogni giorno, in serata, entro le 18, dopo aver visitato di media quattro o cinque famiglie, i
volontari rientravano al centro di coordinamento Caritas dove si provvedeva alla raccolta dati.
«Non riuscivamo a visitare moltissime persone» riferirono, «ogni famiglia raccontava la propria
storia, come si era salvata, come, in alcuni casi, aveva salvato i vicini e bisognava dedicare loro
il giusto tempo».
I casi più disperati tra gli alluvionati erano rappresentati dai sessantenni che già colpiti dalla
crisi che li aveva lasciati senza lavoro, senza una pensione e con mutui da pagare, dopo il passaggio dell’onda di piena si ritrovarono anche senza una casa. Difficili anche i casi di numerosi
anziani che con una pensione esigua e un’abitazione danneggiata, videro svanire la possibilità
di invecchiare serenamente. Una vicenda comune alla maggior parte degli alluvionati fu inoltre
quella di aver dovuto contrarre debiti per riparare i danni causati dal passaggio dell’onda di
piena. Famiglie che proprio a causa di questi debiti si videro costrette a chiedere aiuto per mangiare o pagare le bollette.
«Il centro di coordinamento Caritas vagliò con attenzione e cercò di provvedere fin quanto
possibile», spiegarono i volontari. «Comunque, al di là degli aiuti, grazie a questo censimento le
persone ricevettero almeno una visita e questo era di conforto» dissero con visibile gioia.
A distanza di 10 mesi dall’alluvione, quando ancora la fase del censimento non era conclusa,
(1021 le famiglie registrate e all’appello mancavano ancora tutte quelle che a novembre 2014
erano sfollate, impossibile conoscerne il numero preciso, molte avevano trovato alloggio presso
amici o parenti e non era possibile rintracciarle) la Caritas sentì il dovere di incontrare nuovamente le famiglie alluvionate, di ritornare nelle loro case per verificare se e come fossero cambiate
le cose, per capire quali altre necessità avessero, ma anche per controllare che tutte le case
fossero state ripulite dal fango. Mons. Sebastiano Sanguinetti di concerto con suor Luigia chiese
ai volontari Caritas di effettuare un nuovo giro nei quartieri alluvionati. I primi resoconti fotografarono una situazione ancora molto difficile sia da un punto di vista umorale che economico,
con persone disorientate, impaurite, fortemente indebitate e arrabbiate nei confronti dello Stato,
reo di aver promesso (e non mantenuto) aiuti e risarcimenti. I volontari segnalarono diverse case
ancora chiuse e sporche di fango. Abitazioni che al passaggio dell’onda di piena erano state date
in locazione e poi abbandonate.
39
A casa degli alluvionati
F0
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atale 2013 fu difficile per gli olbiesi, per chi fu colpito dall’alluvione e per chi si sentiva comunque alluvionato avendo vissuto da vicino quel dramma. Il vescovo e i sacerdoti di Olbia desideravano che Gesù bambino nascesse nelle case sporche di fango. Per questo donarono a
tutti un bambinello, accompagnato da un biglietto di auguri, affinché nelle macerie delle case e
dell’umano, l’incarnazione di Dio, fosse il migliore monito di rinascita e speranza. Una speranza
che non delude, certezza e ricchezza del presente e del futuro, di un Dio che si fa uomo per indicare all’uomo la strada, di un “Dio che vive nella sua città”:
«Sono nato nudo, dice Dio,
Affinché tu sappia spogliarti di te stesso.
Sono nato povero,
Affinché tu possa considerarmi l’unica ricchezza.
Sono nato in una stalla,
Affinché tu impari a santificare ogni ambiente.
Sono nato debole
Affinché tu non abbia mai paura di me.
Sono nato per amore,
Affinché tu non dubiti mai del mio amore.
Sono nato di notte,
Affinché tu creda che posso illuminare qualsiasi realtà.
Sono nato persona,
Affinché tu non abbia mai a vergognarti di essere te stesso.
Sono nato uomo,
Affinché tu possa essere “dio”.
Sono nato perseguitato,
Affinché tu sappia accettare le difficoltà.
Sono nato nella semplicità,
Affinché tu smetta di essere complicato.
Sono nato nella tua vita, dice Dio,
Per portare tutti alla casa del Padre».
(Lambert Noben “Pourquoi je suis né”)
41
L’OPERA DI RICOSTRUZIONE
MATERIALE E SPIRITUALE
!La solidarietà e la rinascita spirituale siano la forza della ricostruzione materiale»
Papa Francesco
18 novembre 2013 | 18 novembre 2014
"el mese di dicembre senza aver mai interrotto il rapporto con le persone e le famiglie colpite
dall’alluvione, con l’ascolto e con gli aiuti concreti che via via si rendevano necessari, il servizio
della Chiesa si orientò verso un accompagnamento delle famiglie nel difficile ritorno alla normalità, mettendo a disposizione tutte le offerte ricevute. I dati del censimento raccolti, divisi per
parrocchia di appartenenza, consentirono ai parroci e loro collaboratori, in sinergia con il Centro
di Coordinamento, di dare le risposte in base ai bisogni rilevati. In questa delicata fase furono
due gli obiettivi principali della Caritas diocesana: il ripristino delle condizioni minime di vivibilità
45
L’opera di ricostruzione materiale e spirituale
#ttraverso
la fornitura di generi alimentari, medicinali, elettrodomestici e la riparazione delle
abitazioni e il supporto delle persone nella ripresa e nella elaborazione dei vissuti. Perché come
dice Dietrich Bonhoffer: «Come l’amore di Dio incomincia con l’ascolto della sua Parola, così
l’inizio dell’amore per il fratello sta nell’imparare ad ascoltarlo». I servizi rientrarono in un grande
progetto denominato Cleopatra I e II.
Per il primo obiettivo fu formata un’équipe di 10 professionisti (muratori, idraulici ed elettricisti) che in sei mesi di lavoro riuscì a ripristinare 51 abitazioni. Si trattò di lavoratori locali
alcuni dei quali anche alluvionati. Insomma un aiuto duplice.
Per il secondo obiettivo nella casa vescovile di Via Cagliari, furono attivati uno sportello di
ascolto qualificato per le famiglie colpite dall’alluvione, uno sportello per il microcredito, prestito
della speranza e uno sportello per il sostegno psicologico.
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$llo sportello di ascolto qualificato si presentarono circa 600 persone. I racconti drammatici
di queste persone furono ascoltati con pazienza e attenzione dalla responsabile del servizio Donatella Careddu. L’ascolto, infatti, inteso come valore, è stato voluto quale supporto privilegiato
per una pronta rinascita spirituale. Si trattò di un’occasione utile anche per indirizzare le persone
verso i servizi offerti dallo Stato.
Molte persone alluvionate ebbero il desiderio di potersi rialzare, di riemergere dal fango con
le proprie gambe. Per questo la diocesi decise di destinare un fondo speciale a finanziare il microcredito per le persone alluvionate, 100 mila euro come prima tranche. Si trattò di uno strumento di lotta alla povertà e anche un’opportunità di dignità.
Nel concreto consistette nella possibilità di ottenere un credito normalmente fino a 10 mila
euro, ma in alcuni casi, se necessario, anche oltre, con un tasso agevolato del 2,5% di interesse.
Allo sportello attivato nel centro di coordinamento Caritas si presentarono alluvionati che chie-
47
L’opera di ricostruzione materiale e spirituale
%ero
un aiuto per acquistare un’auto, o per il risanamento delle case o attività commerciali. In
sei mesi furono avviate 43 pratiche. Diverse le categorie di persone che ne fecero richiesta: dai
pensionati ai commercianti, dai ristoratori ai liberi professionisti. La reazione della gente a questo
servizio fu duplice, spiegò la responsabile Alessandra Cossu: «chi pensava che i fondi fossero
una donazione anziché un credito si lamentava, altri al contrario che capivano lo strumento,
furono grati per la possibilità offerta e per la professionalità e umanità mostrata». In casi particolari e per famiglie impossibilitate a restituire l’eventuale finanziamento, d’intesa con il parroco,
fu erogato tramite accredito direttamente quanto si riteneva necessario per risolvere il problema.
L’alluvione fu per tutti motivo di forte stress emotivo. Uno stress psicologico a cui Caritas
diocesana volle porre rimedio offrendo un servizio di sostegno psicologico, un aiuto a livello
emotivo. Mise a disposizione della cittadinanza una psicologa, la dottoressa Angela Lai, affinché
potesse accompagnare attraverso un percorso psicologico chi non fosse in grado di sostenere
la spesa in privato o chi non avesse trovato un adeguato accompagnamento altrove.
48
18 novembre 2013 | 18 novembre 2014
&hiesero
di poter usufruire del servizio svariate persone di tutte le età, prevalentemente
adulti. Tutti ebbero il bisogno di raccontare i momenti drammatici dell’arrivo in casa dell’onda
di piena, gli attimi di terrore vissuti, i soccorsi che, in alcuni casi, tardarono ad arrivare e la paura
di morire».
Che esperienza è stata per gli alluvionati il 18 novembre?
«Si è trattato indubbiamente di una esperienza fortemente traumatica, un evento inatteso
che nel giro di poche ore ha sconvolto la vita di molte persone. In tanti si sono ritrovati ad aver
perso la casa costruita col lavoro di una vita, le proprie cose, i ricordi, ad aver rischiato la vita, ad
aver rischiato di perdere le persone care. Tutto ciò è stato ed è motivo di forti angosce.
Si tratta di un’esperienza devastante per tutti, in particolare per le fasce più deboli della popolazione: gli anziani, che sentono di non avere più il tempo o le forze per ricominciare, e i più
giovani, nei quali questo evento va ad intaccare una struttura di personalità ancora in formazione».
Come si può ricominciare dopo un’esperienza così traumatica?
«Ricominciare dopo un’esperienza di questo tipo è sicuramente molto difficile, perché si
tratta di rimettere in gioco tutto. Richiede un lungo lavoro di rielaborazione della perdita subita,
tanto in termini materiali, quanto in termini emotivi. Le cose perdute, infatti, oltre ad un valore
materiale, hanno anche un valore simbolico, legato alla storia di ciascuno, ai ricordi. Per questo,
anche se riacquistati e sostituiti da qualcosa di nuovo, non sempre riescono a ripristinare la serenità nelle persone colpite. Quello materiale è il problema che si affronta in prima battuta, ma
poi, una volta colmato questo tipo di perdita, resta da affrontare il vuoto interiore, la perdita
che questo evento ha lasciato in termini di serenità, di fiducia. E’ la più difficile».
Come si lavora a livello psicologico?
«A livello psicologico si è lavorato innanzitutto al fine di promuovere un’azione di contenimento emotivo, volta a riequilibrare la sfera emotiva e a riattivare una funzione di pensiero; gli
utenti sono stati aiutati ad esternare i propri vissuti (di paura, sgomento, ansia, ecc.); in un secondo tempo si è lavorato al fine di favorire la riattivazione delle risorse personali necessarie all’elaborazione del trauma e alla gestione degli eventi problematici di natura quotidiana.
49
L’opera di ricostruzione materiale e spirituale
)uali
sono i principali sintomi riscontrati dagli alluvionati che si sono presentati allo
sportello psicologico?
«Sicuramente ansia, sintomi depressivi dovuti alla perdita di tutto e poi disturbi del sonno,
difficoltà di gestione delle situazioni stressanti e dell’emotività. In alcuni casi, queste problematiche erano già presenti e l’alluvione ha contribuito ad acuirle».
Gli alluvionati, come hanno saputo della presenza dello sportello psicologico offerto dalla
Caritas?
«L’informazione è giunta all’utenza sia da parte dei volontari, che hanno rilevato la necessità
di un intervento di natura psicologica già durante il censimento, sia dagli operatori del Coordinamento, nel momento in cui le persone vi si rivolgevano per altri tipi di esigenze.
Soprattutto però è stato molto efficace il passaparola tra gli utenti stessi: l’aver ripristinato
una situazione di benessere emotivo da parte dei primi utenti, ha fatto sì che fossero essi stessi
a proporre a familiari e conoscenti questa modalità di supporto, portando sé stessi come testimonianza della validità dell’intervento stesso. L’alluvione, infatti, avendo colpito tutte le fasce
della popolazione, ha coinvolto anche persone che in passato non hanno mai avuto necessità
di chiedere aiuto di alcun tipo. In questi casi è stato particolarmente difficile confrontarsi con
questo tipo di necessità; i vissuti di fallimento, impotenza e umiliazione che ne sono scaturiti
hanno costituito un blocco emotivo importante, di conseguenza, l’esperienza di amici o familiari
che sono stati seguiti, ha costituito un canale efficace».
Per quanto tempo sono state seguite le persone?
«L’intervento psicologico si è articolato in diverse modalità a seconda delle esigenze e delle
caratteristiche individuali delle persone interessate. Sono stati proposti tanto interventi consulenziali, svolti in un numero limitato di incontri, quanto interventi di supporto prolungato e continuativo».
È trascorso un anno dal 18 novembre 2013, si può dire che dall’alluvione oltre alla sofferenza sia emerso anche qualcosa di positivo?
«In questo anno trascorso è stato possibile osservare un forte sentimento di solidarietà, sia
nella prima fase di emergenza che nei mesi successivi, ed una grande capacità da parte della
50
18 novembre 2013 | 18 novembre 2014
*opolazione colpita di attivarsi per far fronte alla calamità che li ha colpiti. A livello psicologico,
tuttavia, il lavoro verso la rielaborazione del trauma è ancora tanto, soprattutto in vista dell’anniversario dell’alluvione e del periodo invernale, quando i vissuti angoscianti tendono a riaffacciarsi e a destare preoccupazioni».
Le persone hanno apprezzato il servizio offerto?
La risposta da parte dell’utenza a questo tipo di intervento, dopo una iniziale diffidenza dovuta per lo più alla negazione della presenza di una problematica di natura psicologica, è stata
molto positiva».
51
18 NOVEMBRE 2014
+Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno preparato per voi sin dall’origine
del mondo. Poiché: ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, ero pellegrino
e mi ospitaste, nudo e mi copriste, infermo e mi visitaste, ero in carcere e veniste a trovarmi”. Allora
i giusti diranno: “Signore, quando ti vedemmo affamato e ti demmo da mangiare, assetato e ti
demmo da bere? Quando ti vedemmo pellegrino e ti ospitammo, nudo e ti coprimmo? Quando ti
vedemmo infermo o in carcere e venimmo a trovarti? E il Re risponderà loro: “in verità io vi dico:
tutto quello che avete fato a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l’avete fatto a me”.
Mt 25, 34-40
18 novembre 2013 | 18 novembre 2014
, trascorso un anno dal passaggio di devastazione e morte del ciclone Cleopatra. Un anno
difficile sotto il profilo materiale ed economico con le case da riparare, gli arredi e le auto da ricomprare. Difficile sotto il profilo psicologico e dettato dalla paura dell’acqua e della pioggia.
Difficile inoltre, sotto il profilo spirituale, con la domanda che resta senza una precisa e chiara
risposta: perché Dio che ci ama ha permesso tutta questa sofferenza? Durante questo lungo
anno la Caritas diocesana e le Caritas parrocchiali hanno cercato di fare il possibile per stare
vicine alle persone e famiglie alluvionate, per essere strumento di Dio e aiutare i suoi Figli. Con
l’azione concreta e con la preghiera. Non sempre, nonostante l’impegno, è stato possibile raggiungere e aiutare tutti. Le cifre della tragedia ne spiegano le ragioni: ammontano a oltre 27
milioni i danni al patrimonio immobiliare privato in Gallura, di cui 26 milioni e 844 mila solo a
Olbia, dove sono state presentate richieste per il ripristino di 1573 abitazioni. I danni alle attività
commerciali sfiorano i 20 milioni di euro in Gallura, dove sono state colpite 393 aziende, di cui
362 a Olbia, per un valore di quasi 18 milioni di euro. L’intervento della Caritas è stato vasto se
rapportato alle esigue risorse a disposizione, circa un milione di euro, raccolte grazie a una rete
nazionale di contatti. Più di mille famiglie sono state aiutate con innumerevoli interventi in tutti
i quartieri della città, attraverso le Caritas parrocchiali. E migliaia sono coloro che indirettamente,
attraverso i centri di distribuzione o la consegna a domicilio di materiali, sono stati raggiunti.
“Abbiamo cercato di dare priorità a persone e famiglie che non avevano ricevuto nulla dalle
tante organizzazioni ed enti impegnati negli aiuti. Disoccupati, disabili, vedove, separati sono
stati i nostri primi beneficiari” ha spiegato suor Luigia Leoni.
Dopo i primi mesi trascorsi a distribuire aiuti alimentari, pasti caldi e generi di prima necessità,
abbigliamento, ora la Caritas diocesana è impegnata a portare avanti i servizi attivati di ascolto
qualificato, la fornitura di voucher per l’acquisto di elettrodomestici, il ripristino delle abitazioni,
il sostegno psicologico, la concessione del microcredito e l’opera di accompagnamento spirituale
delle famiglie nel difficile periodo del post alluvione, caratterizzato dalla paura per il possibile ripetersi del drammatico evento atmosferico, dal forte indebitamento e dallo scoraggiamento nei
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18 novembre 2014
-onfronti
dello Stato, da cui si sentono abbandonate. Perché se, a distanza di un anno, l’emergenza è passata e le strade sono state ripulite, come gran parte delle abitazioni, il fango rimane
depositato nella vita della gente. La dottoressa Lai, psicologa incaricata dalla Caritas di supportare
e accompagnare le persone alluvionate che lo avessero richiesto, ha sottolineato come il passaggio del Ciclone Cleopatra sia stato un trauma. E l’esperienza del trauma è per definizione
qualcosa che resta, che non va via. È il cambiamento, la trasformazione della paura, dello shock,
della sofferenza che sopravvive nel corpo o nella mente, che riaffiora e riemerge nei ricordi e
che perseguita. È un’esperienza di morte, anche se non in maniera letterale.
Come vivere e non sopravvivere al trauma causato dall’alluvione? Come i cristiani possono
illuminare il cammino?
Nel suo volume Quel che resta del dolore. Il trauma e la testimonianza dello Spirito, la teologa
americana Shelly Rambo è convinta che la buona notizia del Cristianesimo possa offrire le chiavi
giuste per vivere quest’esperienza del trauma, e che sia capace di “guarire”, non cancellando la
storia personale di ciascuno ma illuminandola e visitandola affinché, seminando nel tempo la
speranza, si costruisca un futuro che non occulti la realtà della morte nella vita ma la illumini e
la visiti. I cristiani di Olbia sono chiamati a rendere testimonianza di questa fase intermedia tra
la morte e la resurrezione, certi che non saranno lasciati soli in questo compito ma accompagnati
da una Chiesa viva, attraverso l’azione concreta del centro di coordinamento Caritas che diverrà
un punto di riferimento permanente a Olbia. Caritas Italiana, alla luce delle necessità di Olbia,
delle opere compiute dalla Caritas diocesana, della straordinaria azione di solidarietà di cui è
stata capace la città, ha deciso di contribuire alla realizzazione in località Tannaule, nei pressi
della nuova parrocchia di San Michele Arcangelo, attualmente in fase di costruzione, di un Centro
diocesano della Caritas, una “cittadella della Carità”, convinta che solo un’azione sinergica tra
un centro di coordinamento e le diverse parrocchie cittadine possa offrire un aiuto adeguato e
un supporto veramente efficace di accompagnamento e amicizia, come avvenuto durante l’alluvione. Sarà segno e simbolo di sofferenza e speranza.
Non solo. Mons. Sanguinetti durante la sua omelia ai funerali delle vittime dell’alluvione di
Olbia lo aveva detto chiaramente: “la mano dell’uomo non è estranea a quanto accaduto”, e la
Caritas diocesana si pone come ambizioso obiettivo di educare la “mano dell’uomo”. Attraverso
un progetto denominato “Madre Terra” e finanziato da Caritas italiana, la Chiesa gallurese vuole
offrire il proprio contributo nella sensibilizzazione verso la “Terra”, che sarà proposta come
“Madre”. Il progetto predisposto da un giovane laureato in ingegneria dell’Università di Torino,
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Cabriele
Leoni e da una laureanda, Maria Laura Corda, entrambi originari di Tempio, intende
«sensibilizzare le nuove generazioni nei riguardi delle problematiche connesse con l’ambiente e
il territorio». Anche se il fine è quello di raggiungere tutti: «educare i bambini, i ragazzi e i giovani
al rispetto e alla salvaguardia del creato costituisce il primo passo fondamentale verso la sensibilizzazione dell’intera comunità». E tutti saranno coinvolti: «I destinatari del progetto sono gli
studenti delle scuole dell’infanzia, delle scuole primarie, delle scuole secondarie di primo e secondo grado, dell’università. Attraverso le attività e le manifestazioni pubbliche (concerti, seminari
ecc...) saranno inoltre coinvolti i docenti, i nuclei familiari, i singoli individui e tutta la comunità
della Diocesi di Tempio - Ampurias».
Non potendo prevedere o evitare gli eventi atmosferici la Caritas diocesana vuole dare il proprio contributo affinché gli effetti del cambiamento climatico si possano almeno limitare. Ciò
potrà avvenire solo attraverso un’educazione al rispetto e alla responsabilità verso la natura e il
creato. La Caritas vuole offrire a tal fine la ricchezza del cristianesimo e le sue tematiche tutt’altro
che marginali: origine del mondo, rapporto tra creatore e creatura, la portata dei racconti simbolici della Genesi, la questione della sofferenza, del male, della provvidenza. Tutti argomenti
che saranno posti in forma dialogica, partendo dalla convinzione che scienza e fede, pur avendo
il medesimo oggetto, ma affrontandolo da prospettive differenti siano entrambi importanti per
l’uomo. A partire da uno sguardo che abbracci entrambe le discipline, la Caritas vuole mostrare
la possibilità di uno sguardo sapienziale che vada oltre la spiegazione empirica, che sia teso non
solo a spiegare, ma a comprendere. Il desiderio di comprendere non potrà mai essere soddisfatto
dalla mera prospettiva delle scienze naturali perché richiama la realtà, il soggetto stesso che si
interroga e il loro rapporto. Ebbene, lo sguardo di fede va anche oltre la comprensione e si apre
alla relazione. Oltre a spiegare e comprendere, la fede si apre a un rapporto personale con il
Creatore del mondo. Facendo entrare in gioco anche i sentimenti di stupore e gratitudine. La
Creazione diventa quindi un messaggio di amore di Dio verso l’uomo e un appello alla responsabilità.
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e risorse raccolte e impiegate da Caritas diocesana di Tempio Ampurias
.
Somme raccolte:
- conti correnti
Euro 434.371,82
- contributi Cei, Caritas Italiana
Euro 895.000,00
- contributo diocesi Tempio Ampurias
Euro 100.000,00
- beni donati: viveri, elettrodomestici e altro Non quantificabile
——————————————
Totale
Euro 1.429.371,82
Somme impiegate:
Euro
943.394,42
Dati aggiornati al 11/11/ 2014
Elenco progetti sostenuti da Caritas diocesana
• Progetto Cleopatra: interventi a favore della popolazione di Olbia colpita dall’alluvione
- Fase I: distribuzione generi di prima necessità, elettrodomestici e materassi,
sostegno economico.
- Fase II: deumidificazione e ripristino abitazioni, centro raccolta merce, sostegno psicologico, microcredito, sostegno economico.
• Progetto “Madre Terra”: sensibilizzazione bambini, ragazzi e adulti sul tema dell’ambiente.
• Progetto “cittadella della solidarietà”: il centro di coordinamento della Caritas, attivato a Olbia all’indomani dell’alluvione diverrà un punto di riferimento permanente
in città.
:9
18 novembre 2013 | 18 novembre 2014
/ppello
di Caritas diocesana di Tempio Ampurias agli olbiesi:
la Chiesa non può risolvere tutti i problemi ma è costantemente in ascolto e vicina.
I servizi del coordinamento e delle parrocchie rimangono aperti. Prima di indebitarvi
non abbiate paura di bussare alla nostra porta.
60
CONCLUSIONE
0ttraverso un racconto critico tra l’avvenimento imprevisto dell’alluvione e la generosa e
determinata reazione di Olbia di fronte al dramma si è voluto evidenziare che l’elemento originario dell’uomo è il voler vivere, la speranza, come direbbe il filosofo tedesco di formazione marxista, E. Bloch nella sua opera più famosa Il principio speranza. Una speranza che diviene
l’elemento trainante della vita umana e che fa vivere l’uomo proteso verso il futuro. Una speranza
che se fondata nell’umano però lascia irrequieti, insoddisfatti. La speranza che la Caritas è andata
testimoniando con la sua azione è una speranza che può cambiare l’orizzonte dell’uomo e che
non tradisce le sue aspettative di pienezza, perché come direbbe il teologo J. Moltmann nella
sua opera in dialogo con Bloch, Teologia della speranza, poggia le sue radici nelle promesse di
Dio, anticipate in Cristo. Una fiduciosa certezza che la giustizia di Dio arriverà, e che sprona a
non adagiarsi nel corso della vita, a non accontentarsi e rassegnarsi alla realtà data, ma permette
di anticipare e immaginare come le cose potrebbero andare meglio ed essere giuste.
Come evitare che l’anima si rifugi nella disperazione? Come evitare che il dramma dell’alluvione perseguiti ancora a distanza di un anno?
Sarà la fede ad animare questa speranza, la fede dei cristiani di Olbia chiamati ad essere tali,
ad essere luce per i fratelli, ad andare incontro a chi soffre, ad accogliere e amare.
Oggi la città è chiamata a non dimenticare, a tenere viva nella sua memoria storica la sua
tragedia, ma anche la sua forza e la sua rinascita.
61
INDICE
1refazione
5
Introduzione
7
18 novembre 2013
9
I giorni dell’emergenza
15
A casa degli alluvionati
33
L’opera di ricostruzione materiale e spirituale
43
18 novembre 2014
53
Conclusione
61
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Libretto 18 novembre - Progetto Madre Terra