I3IBLJOTECf\ DELLA GUERRA
PRD!i\ SERIE -
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OFFREDO BELLONCI
La guerra _riso · e
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tu ti i problemi azionali
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IS"lTI l ro vRA~1SCI
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BIBLIOTECA
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Op.
TIPOGRAFIA
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EDITRICE NAZJ()NAl.F:
Via Flam inia, N.
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BIBLIOTrCA
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Op.
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l'ONDAZIOU ISTITVTO GRAlfsCI
FRANCO FE ~.
ONLus
BIBLIOTECA
Dal/' impresa di Libia al conflitto europeo.
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Voglio dimostrare, in queste pagine di necessità nude di
cifre e di documenti, che l'Italia, con la partecipazione alla gue rra
europea, risolve tutti i suoi ardui problemi interni ed esterni ; i
quali erano diventati complessi e difficili negli anni dal novecento
al novecentoundici, quando la vita itali rna aveva perduto il senso
della vita mondiale, e s'era reclusa dentro i confini della patria.
Il mutamento, ad ogni modo, non è di oggi. L'impresa di Libia
giunse improvvisa nell'anniversario della proclamazione del Re gno,
a ricondurre l'Italia su le vie del mare, e a rimetterla nel corso
della storia contemporanea che si fa sui mari e sui continenti d'Asia,
d'Affrica e d'America. Qualcuno di noi comprese, allora, che la
miserabile politica dei gruppi e delle categorie era finita per sempre, che lo Stato doveva oramai esser l'organo supremo della nazione, e disciplinarli, i cittadini, alla comune impresa della grandezza nazionale, e non esser più lo strumento di soddisfazione
degli interessi particolari rappresentati alla Camera da una « maggioranza » anonima e irresponsabile. Chiuso, quel tristo periodo,
per sempre, bisognò riordinare l'esercito e la flotta, e disciplinare
le energie nazionali alla guerra; e non indaghiamo ora, qui, se
a codesto provvidero bene o male, e se ebbero o non ebbero il
coraggio di porre e risolvere compiutamente il problema della
nostra preparazione militare. f: certo che una qualche esperienza
bellica fu fatta; che uno scheletro d'esercito da quella impresa
s'espresse, il quale abbiamo miracolosamente rimpolpato ed ani·
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-4mato in pochi mesi; che, sovra tutto, si formò all'Italia una legione
di giovani rotti alle fatiche del campo e ai pericoli della mitraglia;
e che, insomma. i nostri governanti, e gli industriali e gli operai
indirizzarono la mente a propositi meno angusti dei soliti, anzi vastissimi, ad attuare i quali era necessario un forte esercito e una
fortissima flotta. E vivo in me il ricordo del mirabile discorso
pronunciato in quei mesi ad un Congresso socialista dall 'on. An~
giolo Cabrini, volto a mostrare lo strettissimo nesso che v'ha tra
l'emigrazione e l'esercito, tra la prosperità dei lavoratori italiani
costretti a cercare nei mercati stranieri il lavoro che non trovano
in patria, e i formidabili cannoni che facciano la nostra patria
rispettata e temuta nel mondo, accolta da eguale nei mercati internazionali. e non spregiata, e non derubata del suo più alto patrimonio, il lavoro dei suoi figli.
E anche vedemmo, allora, ritornare a vivere della nostra vita
quotidiana gli emigranti, che davvero nel decennio precedente si
eran quasi staccati dall'Italia. avevano mostrato di non sentir pifl
saldi quei vincoli che l'Italia stessa, abbandonar.doli indifesi al
proprio destino, aveva allentati. Anzi, l'impresa di Libia raccolse
grandi ed unanimi consensi meglio nelle colcnie dell'America settentrionale e meridionale, che qui in patria, dove molti mostraronQ
di condannare inutile la conquista libica. Un elemento nuovo sentimmo nella politica italiana: l'orgoglio nazionale, che questf emigranti, rialzatisi fieri su le proprie miserie, gridarono ai popoli
del vecchio e del nuovo continente. nei luo.ghi alti e negli umili,
nelle discussioni scienti:tche e nelle dispute da osteria. appena
l'Italia la cc grande proletaria n di Giovanni Pascoli fe'
cenno di muoversi, e si mosse davvero. cercando con ingenuo spirito, nella propria storia romana e del rinascimento, giustificazione ideale della impresa marinara e della conquista affricana.
L'emigrazione e la guerra.
Da quell'anno, prnno della nostra resurrezione, ad oggi, è rigore meraviglioso d1 svolgunento, che si nrnstra in ogni cosa italiana : non ci si contese più i privilegi e i denari pubblici, provincie contro provincie, categorie contro categorie; ma si volle, di
tante volontà disc.ordì e contrastanti fare una sola volontà, che
fosse l'Italia, e produrre una piit grnnde ricchezza. Vedemmo,
niente meno, che la formazione d1 una eletta industriale ed operaia desiderosa di espandersi in mercati stranieri, e di dar saldo
organismo al nostro mercato ddla produzione del lavoro e dei capitali. Ci fu, anche tra noi, la febbre di ricerca di nuovi sbocchi
alle nostre merci, di nuove terre ptr i nostri emigrant: . quel
senso della vita europea e mondiùlc ch1; (! il più certo segno della
grandezza futura di un popolo. E tutti · pmblemi della esistenza
nazionale apparvero in diversa forma, e s'avviarono a risoluzione.
In primo luogo, quello del Mezzogiorno. L'antico regno delle
due Sicilie, che prnno aveva fiorito al sole di Roma una civiltà
nuova italiana, con i Normanni e con gli Svevi, era entrato nel
Reguo d'Italia dopo lunghi secoli di mal governo, senza una. viva
e profonda originalità regionale. Le sue poche energie mortificate
da un balordo acccntramen to e da una parassitaria burocrazia non
avevan trovato possibilità nuove di svolgimento; ed era, esso, il
Mezzogiorno, rimasto povero e torpido nella angustia della propria
vita sociale ed economica. Tutti gli studi fatti per medicare questa
gran piaga della nostra patria avevano avuto un esito assai misero.
Da prima, la cagione del male fu cercata nel pessimo stato della
igiene, specie delle classi popolari : poi, nella mancanza delle
strade, dei boschi, e di una borghesia agr cola: e poi anche, nella
scarsità delle scuole e nella cattiva distribuzione della ricchezza
nazionale. E sì, certo. bisognavano strade, boschi, scuole e riforme
doganali o tributarie; ma sovra tutto era necessaria una maggior
potenza politica del! 'Italia nel mondo per difendere al Mezzogiorno la più grande ricchezza che avesse mentre maturava la
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sua tarda çconon11a, dico l'emigraziore. lo penso, oggi, con animo
commo:sso, alle piccole ltalie » che han vis'-uto per decenni, di là
dall'Oceano, nelle due Americhe, una trista vita di duro lavoro,
tra popoli nen;ici; a questi nostri emigranti, che per isforzi di
operosità che facessero, rimanevano una gente smarrita, sfruttata,
ingiuriata, costretta a raccogliersi in gruppi per la difesa e l'offesa, I! a nascondere, per crescere in prosperità se non in potenza, l'italianità propria. Quanto lungo calvario han fatto, i napoletani, i calabresi, i pugliesi, i basilischi, i siciliani nelle terre
d'America, in questi anni di smemoratezza nostra . Ora, il calvario è finito: non sono più gli uomini di Custoza, di Lissa e di
Adua - eroi, del resto, meravigliosi di queste battaglie perdute
sono cittadini di una nazione, individui di un popolo che ha
varcate le frontiere, e ha manifestata una propria volontà e una
propria forza ali 'Europa e al mondo. Chi guardi alla guerra di
ogg: con occhi capaci di abbracciar larghi orizzonti, subito vedrà
che i motivi profondi di una tanto spaventevole mescolanza di
popoli sono religiosi ed economici, e non solo nazionali. Ci si
batte per il trionfo di un principio umano più alto; e si sta in
campo per asserire i diritti delle genti ricche di energie umane e
povere di denaro, contro le genti ricche di denaro e povere di
uomini . I possessori della ricchezza del mondo, gelosi e desiderosi
di godersela in pace, non solo con tutte le diverse pratiche avevan
ristretta la natalità, ma anche, con leggi limitatrici di ogni specie,
avevan conteso ai lavoratori delle nazioni giovani l'ingresso e il
libero esercizio nel proprio territorio. E le fiumane di emigranti si
abbattevano a queste leggi come ad argini enormi, che bisognava
toglier via perchè le acque ritornassero eguali, perchè insomma la
ricchezza si distribuisse più equamente. La guerra ha rotto questi
argini. E una nazione, come l'Italia, ricchissima di uomini - e di
uomini, badate, sofferenti alle fatiche, economi e frugali - ora
può espandersi vittoriosamente, ora può, il lavoro dei suoi figli,
tutelarlo, organarlo e volgerlo a profitto proprio. A parlar chiaro,
non c'è più emigranti da oggi : c'è espansione; e quei napoletani,
quei siciliani, quei pugliesi, quei calabresi, quei basilischi che
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_,_
flegll Stati Uniti, nell'Argentina e
crescere il peculio e a conquistarsi
un 'orda senza patria e senza nome,
~ saranno, avanguardia del nostro
Italia.
nel Brasile hanno faticato a
una dignità sociale, apparendo
si mostrano a noi quali furono
esercitÙ-f esercito della nostra
L'avvenire del Mezzogiorno.
Ma codesto aumento di potenza che lo Stato avrà dalla
guerra non gioverà solo ai nostri emigranti : anche al Mezzogiorno in tutta la sua vita economica. $tato forte - credo necessario ripetere con altre parole un 'altra volta - è quello che
adempie al fine di organare le energie di un popolo e di farle
meglio produttive : che dunque sommette a codesto officio l'altro
di distributore della ricchezza. Ebbene, questa distribuzione, prima
della guerra, negli Stati europei corrotti dal parlamentarismo si
faceva secondo l'arbitrio delle classi dirigenti, o le transazioni
delle diverse èategorie in lotta tra loro per il governo, o principi
astratti di umanità; tre cose, che significano sperpero a danno
della economia nazionale e delle classi più povere e meno politicamente ordinate. E il danno s'è visto anche da noi, in Italia,
nel tempo della prosperità industriale e commerciale, cioè a dire
dal 1898 al 1912 : che i rappresentanti di certe categorie borghesi e proletarie e di certi interessi provinciali e regionali si
erano costituiti in una vera e propria aristocrazia di governo che
soddisfaceva a volta a volta gli interessi e le cupidigie di ciascun
gruppo, di ciascuna categoria e di ciascuna provincia, instituendo
i lavori pubblici come prezzo di pace tra le classi, favorendo le
associazioni cooperative di lavoratori - emiliane e romagnole con danno dell 'intero proletariato, e distribuendo esenzioni dal
fisco, forniture privilegiate, premi e sussidi. Di tutte queste provvidenze legislative e politiche pagavano il costo, in massima parte,
i meridionali, che avevano un assa i povero mercato della produzione e del lavoro, e una molto modesta forza politica, e non po-
FONDAZIONE ISTITUTO GRAMS'': I
ONLUS
BIBLfOTECAj
- s_tevano contrastare validamente agli instituti politici ed economici
del settentrione a favor dei quali eran consumate tutte le energie
dello Stato. « Cne monta che il paese sempre più sudi e produca
- scriveva un illustre uomo basthseo, il senatore Giustino Fortunato - se lo Stato sempre più assorbe troppa p.irte d1 ricehezza
per volgerla a fini non utili a.l'universale?». Ed enumerava questi
fim: u lavori pubbiici o eccessivi o costosi as::iai più che non
valgano, bonifiche idrauliche incapaci da sè sole a fugare la malaria, speculazioni b;-.ncarie ed ed1ltzk o favorite o promos' e ual
Governo, sovvenzioni e incoraggiamenti alle organizzazioni imprt;sane operaie, aumento e 111iglioramento a tutta la coorte degli
1mp1egati ». Al Mezzogiorno ..:rano larg1ti i posti della burocrazia,
e non certo i più alti, di qu.... :la burocrazia, i1 costo del1a quale,
in ultima anaiisi, si abbatte\ a in gran parte sul Mezzogiorno
stesso; e le briciole della mei:sa dello Stato mecenate, « tali, per
esempio, le nuove leggi di nuDve opere pubbliche, progettate senz 'ordi ne e senza consideraziore, richieste assai meno dal bisogno
che dalla ingordigia della piccola borghesia improduttiva ,,,
In questa corsa ai privil...gi megiio correva chi meglio aveva
forza politica ed economica; e crebbero dunque le disparità tra
Mezzogiorno e Settentrione, e dunque s'acuirono i dissidi tra l'aristocrazia operaia e l'orda famelica dei poveri e dei disoccupati preda
degli agitatori sindacalisti ed anarchici. S'aggiunga che le provincie meridionali hanno, piuttosto che operai, classi di contadini, le quali - dice assai bene il Franchetti - non figuravano
nella clientela dello Stato italiano; e che i pubblici impieghi dati
ai meridionali facevano più grave il danno di questi contadini,
rafforzando la piccola borghesia ingorda e municipalista, e rinsaldando le sciagurate tirannie elettorali e politiche. Bisognava garantire al Mezzogiorno « il pieno esercizio della scarsa, faticosa, ·
lenta sua capacità economica », nè questo si poteva fare in altro
modo, che riconducendo lo Stato a: suo alto officio di organatore
della vita italiana. di suscitatore e difensore di tutte le energie
nazionali. La guerra ha appunto fatto dello Stato l'instituto supremo della nazione.
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L'organismo induatriale e operaio.
La guerra, insomma, vuole l'organismo economico, finan:t.iario e ammmistrativo megtio adatto a far la nazione più forte,
p1u potente, più ricca: non dunque uno Stato paterno, anzi, disciplinatore, difeso da un saldo esercito, capace di soddisfare esigenze collettive di classi numerose quelle « proletarie ,, sveito così da raggiungere e congiungere rapidamente e sicuramente tutte le sezioni della vita nazionale. Il problema che essa
c1 sforza a risolvere è proprio il gravissimo dell 'Italia contemporanea, 11 problema dell'ordine e della disciplina. Bisogna ottenere
dail'instituto pubblico il massimo rendimento con il minimo costo.
Già vede mmo i danni della cattiva organizzazione al tempo della
guerra di Libia, quando le lentezze e le dubitanze politiche e militari, e la mancanza di capitale circolante, fecero l'impresa più
lunga, più costosa, più pesa alla nostra vita italiana. E chiaro,
che non si potrebbe oggi partecipare al conflitto europeo con lo
spirito d 'allora, e con quei modi, subordinando la condotta del! 'esercito alle necessità parlamentari, e affrettandosi a regalar
riforme legislative e provvidenze economiche alle classi che mostrassero di non approvare la impresa. Esercito è tutta la nazione : lo Stato deve, codeste energie nazionali, distribuirle nel! 'ordine migliore, e farle più che si possa produttive. Ma la
guerra non si fa solo sui campi di battaglia, con le armi. Occorre
che i popoli provvedano del continuo a rifornire i combattenti, a
distribuire il lavoro in modo da non intermettere la produzione
nazionale - le industrie e i commerci - a mantenere insomma
in ogni s ua parte integro il grande meccanismo dello Stato. Quel
popolo avrà la vittoria, che avrà saputo organarsi meglio: che nel
tempo della pace sarà riuscito a ordinarsi per la guerra, e nel
tempo della guerra per la pace : che il giorno della battaglia avrà
saputo trovare in sè tutto quel che bisogna a combattere, e il
giorno della pace avrà potuto riprendere l'opera dei traffici.
Il nostro più arduo problema era appunto questo: l'or~ana-
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me nto del mercato della produzione , de l mercato dei capitali e
del me rcato de l lavoro. li me rcato della produzione dovette sofferire i danni dei servizi pubb lici tardi nel sorgere e lenti nel
funzionare , e della continua mutevolezza delle leggi dovuta a ragioni di opportunità parlamentare, e non cre bbe rigoglioso con
ins tituti capaci di affrontare e in breve tempo liquidare le crisi.
Si dibattè anzi, in un certo senso, in una perpetua crisi. Badate
che negli anni dal '98 al 907, che furnno di risoluto progresso economico, s 'espresse dalla nazione italiana una eletta dii produttori singolarissima per ingegno ed energia: sventuratamente,
non chiese allo Stato di coordinare la propria opera e di indirizzarla alla conquista dei mercati internazionali e coloniali, ma
solo di aiutarla nella sua vita quotidiana, di interve nire a ralle ntare e ra ffr enare le fasi di discesa delle cris i e qualche volta
di assumersi il gravame della liquidazione.
Oramai, è saputo an che dai sordi e dai ciechi, che le grandi
imprese - esempio massimo i trusts - ris pondono assai meglio
che le piccole ai postulati dell 'edonismo: da noi, invece, sorse una
moltitudine di imprese e di socie tà, in lotta tra loro, e tutte legate
con gli instituti bancari e s tatali, che vissero di ogni specie di
protezione e, venuto il tempo della crisi, il 1907, quando le imprese deboli e fittizie avrebbero dovuto scomparire, trovarono il
modo di fars; salvare appunto dallo Stato. La concorre nza neJ me rcato inte rno ci impe dì la concorrenza ne l mercato internazionale;
e il frazionam e nto de lle imprese tolse alla nos tra industria la possibilità di fare que i perfe zionamenti tecnici, che solo le grandi
imprese possono compiere . Le manchevol ezze de l me rcato industriale dovevano rifle ttersi s u que llo del lavo ro; pe rchè non si
formano maestranze dove non sie no salde e durevoli aziende . I
s oli lavoratori che abbian potuto associarsi e organarsi formidabilmente, sono s tati quelli delle coope rat ive di Romagna, impresarie de i lavori pubblici : gli altri, no ; e la s tessa abb ondanza di
scioperi mostra la ins tabi lità de lle condizioni indus triali ed operaie .
II ve ro è, che la nos tra legislazione sociale è in gran parte scritta
e non attuata, non tale ad ogni modo da rinvigorire ed eleva.re i
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lavoratori e farli capaci di seguire i mutamenti del mercato 11azìonale ed int~ rnazi onale . Ma le nostre deficienze meglio si manifes tava no ne l! 'ordinamento bancario: noi non avevamo - notava il
professor B ach i - « una banca italiana del tipo di quelle straniere che esercitavano anche tra noi il mercato dei capitali; e sovrattutto ci mancava quella divers ità di instituti bancari, che ·
Germ an ia, in Francia e in Inghilterra ha dato i suoi buoni frutti ».
Ed e ravamo d .: nq ue schiavi degli instituti stranieri, che avevano
accresciuto i propri mezzi e i propr i depositi e che eran diventati
i dom inato ri della nostra ind ustria.
Il problema delle frontiere
e quello delle colonie.
C odesto dif~tto di ordine, la guerra, che è maestra di ordine
e di disciplina, toglierà via. Ma ben altro occorre alla nostra prosper ità . La caratteristica del regime indust r iale moderno è la espansio ne , la conq uista dei mercati no n ancora organati ind ustr ialme nte : an zi, il conf litto europeo rappresenta la necessità dei
popoli d 'Eu ropa , di spartirsi in diverso modo le zone coloniali e
d'i nflu enza. S'esporta n merci e capi tal i ; e codesta esportazione di
cap itali pro voca un accum ulamento di redditi, e consente una maggi or quan tità di opere. La Germania dal 1881 al 1912 ha potuto,
per vir tù di una tale politit:a, richiamare ed impiegare in patria
duece ntoventimila emigranti. C'è dunque antitesi tra espansione
ed emigrazione. Ebbene, I 'l talia è incredibilmente ricca di uomini
e povera di materie pr ime: il nostro suolo, se eccettuiamo la meravigliosa valle del Po, è misero: paludoso in parte della Toscana
e del Lazio, roccioso e brullo in Puglia, franoso in Basilicata; e
non ha mi niere, se non di zolfo, in S icilia. Ci manca sovra tutto il
carbone, che è indispensab ile alla ind ustria, e che potrà in gran
parte essere sos tituito da lla energia idro-elettrica, quando l'avremo
sviluppata. È un ve ro mi r acolo che con tante di fficoltà abbiamo
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I~ -
potuto portare dal 1885 al 1892 la cifra del commercio totale da
tre a sette miliardi, e crescere industrie tessili, metallurgiche e
chimiche.
Che occorre dunque all'Italia? Tre cose: colonie di popolamento, colonie di sfruttamento e zone di influenza politica per il
commercio (specie per il commercio della mano d'opera). Popolo
di trentasei milioni di abitanti, che, con i 5ei delle Americh~, fanno
quarantadue, con un territorio di appena 286,000 chilometri quadrati, abbiamo un dominio coloniale di appena 2,000,000 di chilometri quadrati con una soarsissima popolazione. Proviamoci un
poco, su la scorta del Ricchieri, a paragonarlo a quello della
Francia, che pure vien terza tra le nazioni colonizzatrici. La
Francia ha 40,000,000 di abitanti sopra un territorio di 536,000
chilometri quadrati; eppure ha un dominio coloniale di 11,0ÒO,OOO
di chilometri quadrati con una popolazione di 55,000,000. Alla
nostra più alta densità di popolazione non corrisponde un più vasto
impero; e s'intende che siam costretti a mandare per il mondo
600,000 emigranti l'anno (nel 1913 furono addirittura 870,000)
dei quali appena 250,000 nel bacino mediterraneo : gli altri in
America, dove spesso si perdono. La guerra - dico la guerra vittoriosa - anche questo problema risolve.
La prima cosa, ci assicura una potenza politica. Popolo giovine, sano, forte, l'Italia nei primi mesi della sua guerra ha meravigliato il mondo, e ha mostrata una, non saputa da nessuno, nemmeno da noi, energia d'acciaio. S 'ha da fare i conti con il nostro
esercito, da oggi in poi, per mutare il mondo; ed è tale, questo
esercito, da assicurarci che nulla sarà mutato se noi non vorremo,
e se non profitterà alla nostra nazione. I fini prossimi che ci proponiamo sono dunque il dominio dell'Adriatico, e la espansione in
Asia minore; e quel dominio è la necessaria premessa di questa
espansione. Dobbiamo conquistare la sicurezza delle nostre frontiere, se non vogliamo esaurirci nella loro difesa, se vogliamo, le
forze che saremmo costretti a tener ferme nella difesa dei confini,
adoperarle ad assicurar nuovi sbocchi e nuovi territori alla nostra
attività. Allora solo, potremo fare una grande politica marinara,
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quando avremo garantita l'integrità territoriale d'Italia. Ebbenb,
e non sembri strana l'affermazione, anche I'« altra sponda » è una
frontiera per noi. Il possesso della Dalmazia è indispensabile al1'Italia come la libertà di Calais all'Inghilterra: chè, se no, la
nostra flotta dovrebbe rimaner ferma in Adriatico, a difendere la
oosta orientale, con manifesto danno del nostro sviluppo navale.
E del resto, se guardate bene, l'Adriatico diventa mare sol nello
sbocoo in Mediterraneo: qua su, è i.I gran lago della gente italiana.
Per buona sorte, l'acquisto di Trieste molti altri problemi connessi con questo, risolve d'improvviso per noi. « Trieste italiana
- scrive il Bachi - sarà, forse, fattore primario per rianimare la
vita economica nazionale secondo direttive nuove, anche perchè la
fortuna sua non è connessa solo con la magnifica posizione geografica, ma pure con le particolarissime qualità degli uomini che
vi son dediti agli affari. L'unione di Trieste alla madre patria
aggiunge all'economia nazionale un grosso emporio che raccoglie
molto traffico dal Levante, e un mercato che ha per talune merci
importanza europea; reca una cospicua aggiunta alla scarsa flotta
mercantile italiana, e aggrega all'Italia alcuni organismi finanziari
poderosi ll.
Nè basta : la nostra impresa contro il turco ci promette una
vasta colonia in Asia Minore, non certo limitata a Adalia, ricca di
miniere, e prodigiosamente fruttifera; e il nostro rinnovato pr"stigio bellico e politico ci consente di ottenere dall'America migliori condizioni di lavoro per i nostri emigranti. mentre l'accordo
con la Francia queste migliori condizioni assicura agli italiani di
Tunisia.
I dissidi interni e lo .... spirito 11ozio11ale.
Tutti i grandi inter,essi collettivi soddisfa la guerra nostra; e
le crisi, tutte, son vinte. C'è classi, instituti, idee, che sino a ieri
eran state, in parte, fuor della compagine nazionale, nemici df
questa compagine nel oome di future solidarietà umane; i quali
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han dovuto mescolarsi nella nazione, e difenderla, e asserirla. Intendo, i socialisti e i cattolici. Conchiusasi la guerra, queste masse
che han combattuto per la patria e han composto il grosso del1'esercito. vorranno essere ancora tra le forze vive d'Italia. Noi
vediamo. oggi, un cattolicismo e un socialismo nazionali, che nessuno sforzo di retorica potrà ricondurre nella via cattiva delt 'internazionalismo. E bastata la guerra tra i popoli, perchè questi ostinati assertori della pace si sentissero prima di tutto e sovra tutto
cittadini, e comprendessero che l'umanità, troppo vasta, non si P"'
amarla che in qualcuno, come diceva Alfredo Oriani. E s'ha da
incominciare ad esser socialisti e cattolici dentro i confini della
nazione. nel! 'ambito della più forte e spontanea solidarietà umana.
quella nazionale. Ebbene. codeste classi e codesti instituti han
conquistato oramai il diritto di partecipar la vita d'Italia, di concorrere a riorganarla, l'Italia. più saldamente e più modernamente: sono energie. che muteranno il nostro ordine interno.
E così la nazione italiana. composti i suoi dissidi. e medicati
i suoi mali. si tempra nella guerra. e s'avvia con fermo animo
all'avvenire. Come sempre accade, questo rinvigorimento spirituale
ci ha fatto risentir vivH 'a tradizione nostra. ed ha riscosso nella
nostra mente le idee romane e itqliane. Abbiamo riconquistato il
nostro genio, che per tre volte diede alla storia una forma più alta
di civiltà : romana. nel tempo antico: cristiana. nel medioevo:
umanistica, nel rinascimento; e che, son certo. saprà sigillare di
sè il mondo una quarta volta.
La {Biblioteca della Guerra
----<>-Questa Biblioteca s'iniziò e proseguirà sotto gli
auspicii di autorevoli giornalisti romani, che ne hanno
affidata la cura a Luigi Lodi.
La prima serie sarà formata di fascicoli che,
come il presente, saranno posti in vendita a 5 ceni.
Sono già in preparazione e potranno essere diffusi
in breve tempo altri fascicoli consimili, scritti da:
Mario Alberti
-
~
Francesco Coppola
Febea
Giuseppe Meoni -- Emanuele Rocco.
Prezzo dell'opuscolo : Cent.
5
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